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GLI SVILUPPI DEL POSITIVISMO IN FRANCIA: EMILE DURKHEIM La sociologia di Emile Durkheim (1858-1917) è tutta fortemente influenzata dai problemi della Francia del suo tempo: egli, cittadino francese di origine ebraica ed alsaziana, si identifica a fonto con la Terza Repubblica che si forma dopo la guerra perduta con la Prussica nel 1870 e i disordini interni e le lotte di classe che sfociano nel clamoroso episodio della Comune di Parigi (1871). Egli fu sempre attratta dal positivismo e dalle scienze esatte i cui mediti volle estendere alle scienze sociali. Studiò a Parigi, poi in Germania e, negli anni, si fece sempre più assertore della necessità di una sociologia concepita come scienza empirica ed esatta. Nel 1893 discusse la tesi di dottorato su La divisione del lavoro sociale, destinata a diventare una tra le sue opere più famose. Nel 1896 fondò la famosa rivista “L’année sociologique”. Egli dunque visse la sua giovinezza in una Francia uscita sconfitta dalla guerra e ciò comportava sentimenti nazionalistici di rivincita che egli condivideva pienamente. Inoltre la situazione era resa precaria dai conflitti di classe che erano poi sfociati nei massacri della guerra civile. La Terza Repubblica, democratica, laica e anticlericale, che era sorta imponendosi sui tentativi monarchici di restaurazione e su quelli rivoluzionari della Comune, aveva l’esplicito compito di ristabilire un nuovo ordine politico e di rinforzare l’economia della nazione sulla base dei principi borghesi: non è un compito facilee praticamente come non lo è neanche da un punto di vista teorico perché l’ordine presuppone dei limiti agli individui che il sistema economico borghese, basato sulla libera concorrenza e sul non intervento dello stato nelle attività economiche, non può che rifiutare. Il problema dell’ordine costituisce il tema centrale della sociologia durkheimiana: egli non solo si propone questo scopo ma lo fa scendendo 1

GLI SVILUPPI DEL POSITIVISMO IN FRANCIA - EMILE DURKHEIM

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GLI SVILUPPI DEL POSITIVISMO IN FRANCIA: EMILE DURKHEIM

La sociologia di Emile Durkheim (1858-1917) è tuttafortemente influenzata dai problemi della Francia del suotempo: egli, cittadino francese di origine ebraica edalsaziana, si identifica a fonto con la Terza Repubblica chesi forma dopo la guerra perduta con la Prussica nel 1870 e idisordini interni e le lotte di classe che sfociano nelclamoroso episodio della Comune di Parigi (1871). Egli fusempre attratta dal positivismo e dalle scienze esatte i cuimediti volle estendere alle scienze sociali.Studiò a Parigi, poi in Germania e, negli anni, si fecesempre più assertore della necessità di una sociologiaconcepita come scienza empirica ed esatta. Nel 1893 discussela tesi di dottorato su La divisione del lavoro sociale, destinata adiventare una tra le sue opere più famose.Nel 1896 fondò la famosa rivista “L’année sociologique”.Egli dunque visse la sua giovinezza in una Francia uscitasconfitta dalla guerra e ciò comportava sentimentinazionalistici di rivincita che egli condivideva pienamente.Inoltre la situazione era resa precaria dai conflitti diclasse che erano poi sfociati nei massacri della guerracivile. La Terza Repubblica, democratica, laica eanticlericale, che era sorta imponendosi sui tentativimonarchici di restaurazione e su quelli rivoluzionari dellaComune, aveva l’esplicito compito di ristabilire un nuovoordine politico e di rinforzare l’economia della nazionesulla base dei principi borghesi: non è un compito facileepraticamente come non lo è neanche da un punto di vistateorico perché l’ordine presuppone dei limiti agli individuiche il sistema economico borghese, basato sulla liberaconcorrenza e sul non intervento dello stato nelle attivitàeconomiche, non può che rifiutare. Il problema dell’ordinecostituisce il tema centrale della sociologia durkheimiana:egli non solo si propone questo scopo ma lo fa scendendo

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sullo stesso piano degli economisti classici, cioè, appuntodella divisione del lavoro. Non solo, egli vuole anchedimostrare che anche in una società fondata sulla liberaconcorrenza e sull’individualismo esiste un elemento nonriducibile al contratto individuale e agli egoismi deisingoli: si tratta della solidarietà. Essa è presente ed è ilfondamento di ogni società, anche di quella basata sullaconcorrenza e sul contratto.Durkheim si ricollega alla tradizione del positivismocompiano, che a sua volta aveva a fondamento il compito diristabilire l’ordine messo in crisi dalla Grande Rivoluzionepur condannando come impossibili i tentativi reazionari:Durkheim si pone lo stesso compito in relazione alla Franciadel suo tempo.Tanto Comte quanto Durkheim si opponevano all’individualismoe vedevano nella solidarietà sociale un valore superiore aquello del singolo e a cui quest’ultimo si dovevasottomettere. La critica agli economisti classici,costituisce, paradossalmente, il punto comune di pensieritra loro tanto diversi quanto quello di Marx da un lato eComte e Durkheim dall’altro. Durkheim rimprovera all’economiapolitica di aver creduto che l’unica realtà sia l’individuodal quale tutto promana e al quale tutto ritorna.A Comte riconosce il merito di aver colto come la società siauna realtà sui generis che non può essere ridotta alla sommadegli individui che la compongo ma muove ad esso la criticafondamentale secondo cui la sua sociologia è in realtà ancorafilosofia perché egli non ha saputo comprendere che “non esisteLa società ma esistono Le società” : esistono una pluralità di società ela sociologia come scienza deve indagare attraverso ricerchespecifiche, società e problemi particolari.Durkheim a Comte riconosce il merito di aver avvertito lanecessità di una scienza naturale della società contro leprecedenti speculazioni astratte; a Spencer riconosce ilcarattere più analitico della sua sociologia (però Comte èsuperiore a Spencer perché ha compreso il carattere suigeneris e di superiorità della società contro i varitentativi individualistici). Entrambi sono rimasti peròfilosofi in quanto hanno voluto forzare i fatti entro

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un’unica legge generale anziché muovere da ipotesi piùspecifiche e verificarle poi empiricamente.Durkheim, dunque, fa dipendere l’individuo dalla società esostiene che non vi può essere moralità al di fuori di ogniregola sociale.La moralità non si identifica con la libertà individuale maha bisogno, al contrario, di un potere regolatore esterno,che si trova nella società. Nell’opera La divisione del lavorosociale (1893) egli considera la società come dotata di uncerto, pur mutevole e imperfetto grado di solidarietà, diintegrazione, di “consensus” (come diceva Comte). Ilconsensus, per Comte consisteva nel buon funzionamentodell’insieme, nello stato di salute di una società in cuiogni sua singola parte agisca in armonia con le altre per ilbuon andamento dell’insieme e non si tratta di unatteggiamento psicologico in quanto esso agisce come forzaautonoma rispetto all’individuo.La solidarietà, per Durkheim deriva dall’idea comtiana diconsensus ed è strettamente collegata ad essa: la società nonpuò esistere senza un minimo di solidarietà ed essa non èsemplicemente la somma di individui che agiscono mossi daltornaconto egoistico. “Riunendosi in una forma definitive eattraverso legami durevoli, gli uomini formano un esserenuovo che ha una sua natura e sue specifiche leggi: èl’essere sociale. I fenomeni inerenti ad esso hanno senzadubbio le loro radici ultime nella coscienza dell’individuoma la vita collettiva non è però una semplice immagineingrandita della vita individuale. Essa ha caratteri suigeneris che le sole induzioni della psicologia non permettonodi indagare.”.Durkheim distingue due forme di solidarietà:

a) la solidarietà meccania - caratteristica delle societàsemplici, in cui la divisione del lavoro è scarsa. Gliindividui che vivono in essa svolgono funzioni lavorativescarsamente differenziate (è fondata sulla identitàdelle funzioni delle sue parti) ed essi hanno pochepossibilità di sviluppare personalità autonome. In essavi è poco individualismo e la coscienza collettiva

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prevale su quella individuale. Durkheim definisce talesolidarietà “meccanica” proprio per mettere in evidenzache le parti di essa sono fondamentalmente simili le unaalle altre nella loro realtà e nelle loro funzioni. Manmano che la popolazione cresce e si ha, come diceDurkheim, un aumento della “densità morale”: la maggiorevicinanza fisica comporta anche maggiori possibilità diinterazione e proprio questo comporta a sua volta ilsuperamento della società fondata sulla somiglianza dellefunzioni e la necessità della divisione del lavoro su cuiè basata, invece, l’altro tipo di solidarietà

b) la solidarietà organica – che è propria delle societàcomplesse nel senso che vi è in essa una più altadifferenziazione dei ruoli lavorativi (= divisione dellavoro). La divisione del lavoro di per sé producesolidarietà anche se si tratta di una solidarietà diversada quella delle società più semplici. Poiché le diversefunzioni lavorative sono tutte utili al mantenimento, albuon funzionamento dell’insieme (come le funzioni diogni singolo organo per l’organismo) ne deriva che ladivisione del lavoro comporta essa stessa solidarietà.Nella solidarietà organica, senza dubbio c’è lapossibilità di sviluppare la personalità individuale, didifferenziarsi.

Alla solidarietà meccanica corrisponde il diritto penalecon carattere di espiazione e a quella organico il dirittopenale di tipo restituivo (che vuole cioè ripristinare lostato precedente alla violazione giuridica): ma comunque,in ogni tipo di società, un corpo di regole giuridiche emorali è comunque necessario e la dipendenzadell’individuo dalla società non viene meno in seguito alladivisione del lavoro e al maggior individualismo.L’idea dell’evoluzione sociale come progressivadifferenziazione non è certo nuova perché essa avevacostituito il nucleo centrale della sociologia di HerbertSpencer. Ma Durkheim non condivide del tutto il pensierodi Spencer perché questi aveva presupposto alla base delcontratto l’individualismo egoistico, l’interesse personalesacrificando quindi l’idea che, comunque, alla base di ogni

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società c’è la solidarietà. Per Spencer la solidarietàderiva dal contratto mentre per Durkheim il contratto èpossibile là dove c’è la solidarietà la quale, dunque, loprecede.Durkheim afferma poi che la solidarietà organica (cioè ladivisione del lavoro) può essere patologica e distingue dueforme di patologia: a) la divisione coercitiva del lavoro – che si ha quando ad

un individuo è assegnato un certo lavoro in virtù dellaposizione sociale che egli occupa e non in base ai suoimeriti o alle sue capacità (in questo caso le regolepossono anche esserci ma non sono giuste: l’autorerisolve questo problema affermando, in modo sorprendente,che non vi sarebbe più coercizione se i singoli individuiesercitassero funzioni superiori o inferiori le une allealtre che fossero adatte alle loro inclinazioniindividuali. Se la società, nella sua dinamicità,consente agli strati inferiori di migliorare le propriecondizioni gli individui più dotati non accettano più lostato di cose in atto).

b) la divisione anomica del lavoro - che è una condizionepatologica caratteristica della società capitalisticaconseguenza della esasperata specializzazione del lavoronelle industrie anche se non è corretto pensare che siala stessa divisione del lavoro a creare una situazionedi disgregazione della solidarietà sociale. E’ perspiegare questa situazione che Durkheim espone la suateoria dell’anomia

Egli inzia con l’affermare ciò che costituisce l’unitàdelle società organizzate è il consensus spontaneo delleparti, è la solidarietà interna che non solo è altrettantoindispensabile quanto l’azione regolatrice dei centrisuperiori, ma anzi ne è la condizione necessaria poichéessi non fanno altro che tradurla in un altro linguaggio econsacrarla. Le parti di una società che svolgono funzionilavorative differenziate per la loro stessa vicinanzareciproca e perché intrecciano rapporti tra di loro creanocon il tempo le norme che regolano questi loro rapporti. Lanorma non precede i rapporti coordinati ma, al contrario ne

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è semplicemente l’espressione. Sono le parti che con iltempo individuano le modalità migliori per i loro rapporti,modalità che meglio si confanno alla natura delle cosetanto che, alla fine, esse diventano regole generali. Senel lavoro industriale e nella scienza si crea anomia èperché i mutamenti sociali e scientifici verificatisi sonostati troppo rapidi per consentire che si formassero normeadeguate per il loro buon funzionamento. Normalmente, leregole derivano spontaneamente dalla divisione del lavoroma queste regole non sempre riescono a crearsi. Se ladivisione del lavoro non produce la solidarietà è perché lerelazione degli organi non sono regolate: si trovano cioèin uno stato di anomia ma lo stato di anomia è impossibileovunque gli organi solidali sono sufficientemente eabbastanza a lungo a contatto. Nelle società industriali,il lavoro della macchina sostituisce quello dell’uomo; lamanifattura sostituisce la piccola officina, l’operaioviene irreggimentato, staccato per tutta la giornata dallafamiglia, vive sempre più spesso separato da chi lo impiegae dai suoi stessi compagni. Queste nuove condizioni dellavita industriale richiedono nuove regole, una nuovaorganizzazione ma dato che queste trasformazioni si sonocompiute con una rapidità estrema, gli interessi inconflitto non hanno ancora avuto modo di regolarsi, diequilibrarsi. Così, le scienze, essendo esse sorte da poco,non hanno ancora avuto tempo e modo di cogliere i punti incomune che esse hanno l’una con l’altra me è inevitabileche ciò prima o poi avvenga.Durkheim riprende il discorso sui rapporti tra divisionedel lavoro e anomia nella prefazione alla seconda edizionedella Divisione del lavoro che esce nel 1902. In essa appare subito evidente una differenza importanterispetto ad un concetto precedentemente espresso. Nellaprecedente edizione Durkheim affermava che le regole sisarebbero formate spontaneamente qualora le diversefunzioni sociali sarebbero entrate tra loro in rapporto. Inquesta seconda edizione, Durkheim afferma che “tale mododi adattarsi reciprocamente delle parti l’una all’altradiventa regola se esiste un gruppo che lo consacra in virtù

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della sua autorità”. Regola non è soltanto una manieraabituale di agire: è una maniera di agire obbligatoria cioèsottratta all’arbitrio individuale. Ora, qual è questogruppo che ha tale autorità: Durkheim lo indica nellecorporazioni o gruppi professionali in quanto costituitisia dai datori di lavoro sia dai lavoratori in ognispecifico settore lavorativo, e, stando in continuorapporto reciproco, risolvono le controversie e creanosolidarietà. Non può essere né lo stato né la societàpolitica nel suo insieme può adempiere a questa funzione inquanto la vita economica sfugge alla loro competenza e allaloro azione.La differenza tra quanto affermato nel 1893 rispetto allaprefazione del 1902, non può essere considerata solo unapprofondimento dello stesso tema. Prima si fa riferimentoad una regola che nasce spontaneamente, ad un aggiustamentoreciproco che viene poi naturalmente riconosciuto comeregola (erano sufficienti il tempo e la vicinanza); nellaprefazione del 1902 non appare più alcuna spontaneità ma sipassa ad un progetto, alla necessità di un gruppoappositamente costituito con il compito di consacrare lasolidarietà. Le regole del metodo sociologico (1895)

In questa sua opera Durkheim esprime il proprio parerecirca il metodo della sociologia ed è in essa che giunge adaffermare che la sociologia ha il compito di studiare ifatti sociali i quali vanno considerati “come cose”.Quando Durkheim afferma che i fatti sociali devono essereconsiderati come cose, è perché egli vuol mettere inevidenza che la loro caratteristica è la coercitività el’esteriorità: essi sono elementi che si contrappongono eimpongono all’individuo senza possibilità di mutamenti.Per fatto sociale deve intendersi ogni modo più o menodefinito dell’agire in grado di costringere socialmentel’individuo; è ciò che l’individuo riceve come esseresociale (educazione, linguaggio, legge, ecc.). E’ un mododi agire, di pensare esterno all’individuo, dotato di

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potere coercitivo ed imperativo in virtù del quale siimpone all’individuo con o senza consenso.La causa determinante di un fatto sociale deve esserecercata in altri fatti sociali e non tra gli stati dellacoscienza individuale ed essi vanno spiegati inriferimento alle funzioni che essi svolgono nella società eoccorre seguirne lo sviluppo integrale attraverso tutte lespecie sociali.Il fatto sociale va considerato normale quanto è propriodella generalità e patologico nei casi in cui è proprio diuna minoranza ma ciò vale non in relazione a singolesocietà ma piuttosto a singole specie sociali, singoli“tipi sociali”. Mentre per lo storico esistono solo societàuniche e per il filosofo esiste solo l’umanità in generale,per il sociologo esistono “tipi sociali”. Le società,infatti, vanno classificate a partire da quelle piùsemplici fino a giungere a quelle più complesse. Quellapiù semplice è l’orda: è l’aggregato sociale che noncomprende e non ha mai compreso in sé aggregati piùsemplici: esso si risolve direttamente negli individui. Suquesta base si possono distinguere tanti tipi fondamentaliper quante sono le possibilità di combinazione dell’ordacon se stessa e dare origine a nuove società e in cuiqueste ultime possono combinarsi tra loro.Di conseguenza, un fatto sociale è normale per un tiposociale determinato, considerato in una fase determinatadel suo sviluppo, quando esso si presenta nella media dellesocietà di quella specie, considerate nella fasecorrispondente della loro evoluzione.A proposito del comportamento patologico (nel senso dideviante dalla “media”) Durkheim distingue tra coloro cheturbano l’ordine sociale quando poi questo va semplicementeristabilito e coloro che pur agendo in modo diverso dallageneralità sono portatori di una nuova coscienzacollettiva, destinata a creare un nuovo ordine. Pertanto,non tutti i comportamenti devianti si trovano sullo stessopiano.

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Il socialismo – lezioni su Saint Simon (1895-96)

In quest’opera è possibile individuare i tratti costantie caratteristici di tutta la sociologia di Durkheim.In essa afferma che il nucleo centrale delle teoriesocialiste consiste nell’idea della necessità di uncoordinamento centralizzato delle attività economiche,considerate come il fattore fondamentale della società, inseguito alla convinzione che il libero giuoco degli egoisminon è sufficiente a produrre automaticamente l’ordinesociale. Anche se egli si è spesso trovato teoricamente afianco dei socialisti nella loro lotta conto l’ideologialiberista ed individualista degli economisti classici, egliritiene che il socialismo vada studiato come “fattosociale”, fenomeno caratteristico della societàindustriale. Sebbene socialismo e sociologia non possanoessere confusi in quanto il primo ha una funzione praticadi mutamento sociale mentre l’altra una funzioneprettamente scientifica, conoscitiva, entrambi hanno unamedesima origine sociale. L’uno e l’altra nascono e simanifestano quando si sente la necessità che l’ordineeconomico cominciasse a prevalere su quello religioso epolitico e che il commercio e l’industria avessero giàraggiunto un inizio di centralizzazione.Secondo Durkheim, Saint Simon è importante perché egli èuno dei primi a manifestare la necessità di uno studioscientifico della realtà sociale: si può dimostrarescientificamente l’esigenza di organizzare la società inmodo da togliere qualsiasi potere agli strati improduttivie da non abbandonarla agli arbitri individuali. Durkheimperò non condivide la convergenza di scienza sociale esocialismo mentre condivide l’idea dell’esigenza di unascienza sociale che essa ha avuto origine nell’ambitodella società industriale.Durkheim diverge da Saint Simon perché questi aveva sìavvertito l’esigenza della religione ma poi l’aveva ridottaal fattore economico e industriale.Durkheim afferma che affinché l’ordine sociale regni ènecessaria una forza morale, un’autorità morale (un

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principio economico non può essere sufficiente) cheeserciti sulla società un’influenza regolatrice senza laquale gli appetiti degenerano e l’ordine economico sidisorganizza. Soltanto la società, sia direttamente e nelsuo insieme, sia mediante uno dei suoi organi, è capace disvolgere questa funzione moderatrice, soltanto essa è quelpotere morale superiore di cui l’individuo accettal’autorità.Scrive Durkheim, “ciò che è necessario perché l’ordineregni è che la maggior parte degli uomini si accontentidella propria sorte; ma ciò che è necessario perché se neaccontentino non è che posseggano di più o di meno ma chesiano convinti di non avere diritto ad avere di più”. Ritroviamo dunque nella monografia su Saint Simon tutte leidee di Durkheim: la supremazia della societàsull’individuo; la società intesa come forza morale,l’esigenza della religione intesa in termini che coincidonocon questa forza morale la quale mantiene la coesione degliindividui nella società; la possibilità e l’esigenza di unascienza positiva.

In una recensione del libro di Antonio Labriola (1897) Laconcezione materialistica della storia, possiamo trovare espressioniinteressanti che ci aiutano a capire fino in fondo leconvinzioni di Durkheim in merito al materialismo storico.Innanzitutto egli riconosce al materialismo storico di fardipendere i fenomeni sociali dallo stato raggiuntodell’attività umana (e non dalla fame, dalla sete, daldesiderio genetico); poi condivide con esso la convinzioneche la storia può essere spiegata solo ricercando le suecause profonde che sfuggono alla coscienza: la sociologiaha un senso ed una funzione specifica proprio in quantoricerca le cause profonde e non esplicite degli eventistorico-sociali.Durkheim critica il marxismo perché a fondamento dellasocietà non vi è l’attività economica ma la partecipazionereligiosa: la religione è il primo di tutti i fenomenisociali. Però quando egli afferma questo, cade in

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contraddizione perché egli aveva anche affermato che quantoè esplicito nel comportamento dell’uomo non corrisponde deltutto alle motivazioni dell’azione che, invece sonoprofonde. Egli così dimostra di dare più importanza a ciòche è esplicito ed evidente, a ciò che è cosciente a coloroche fanno parte della società che non ai fattori socialicome motivazioni reali e inconsce. Infatti, si potrebbeobiettare che la maggiore importanza iniziale dellareligione potrebbe dipendere proprio dal fatto chel’economia e la tecnica erano scarsamente sviluppate e che,invece, con lo sviluppa di queste la funzione dellareligione potrebbe essere diventata meno rilevante.Religione dunque come tentativo di dominare una realtà nonancora dominata dal lavoro umano.

La ricerca sul suicidio (1897)Il suicidio è considerato solitamente come un attoeminentemente individuale, il cui studio, quindi, competealla psicologia. Durkheim in questa sua ricerca violedimostrare invece che il suicidio è un fatto sociale nelsenso che varia in rapporto con variabili sociali, inrapporto con mutamenti o di ordine economico, o di ordinereligioso, o di altro genere ancora cosicchè le motivazioniindividuali, psicologiche, non costituiscono le vere causedel fenomeno. Per Durkheim, “le deliberazioni umane sonospesso mera forma e non fanno altro che corroborarerisoluzioni già prese per motivi che la coscienza ignora”.Il suo antiindividualismo gli impedisce persino di vederedei nessi indiscutibili che esistono, ad esempio, tracondizioni sociali e alcoolismo o specifiche manifestazionidi malattie mentali. Questi motivi che la coscienza individuale ignora sonocostituiti dalla società e dal suo diverso potere diintegrazione.In questa ricerca riappare dunque l’esigenza dellareligione, intesa nel senso più lato, come forza morale chemantiene la coesione degli individui nella società.

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Questi limiti dell’impostazione della ricerca, non devonomettere in ombra i meriti che pure sono notevoli in quantoDurkheim riesce a risalire ad alcune cause sociali delsuicidio pur considerandole come cause esclusive anzichécome fattori che agiscono in un vasto contesto diconcause.Egli individua 4 tipi di suicidio:1) il suicidio egoistico. C’è da dire innanzitutto che il termine “egoistico” èinteso da Durkheim come “prevalenza dell’individualismo sulsenso del sociale” cioè quando la coscienza individualeprevale su quella collettiva e ciò va visto in correlazionecon quanto avviene nella società con il venir meno dellasua forza di coesione. Ovviamente, dato il presuppostodurkheimiano, questa coesione è concepita in termini di“credenze religiose, politiche e morali”. Egli studia ilsuicidio in relazione alla diversità di religione, alfattore familiare, al fattore politico.Quanto al fattore religioso, Durkheim cerca di dimostrareempiricamente che rimanendo inalterati gli altri fattori,il tasso dei suicidi varia con il variare delle religionistesse in quanto non tutte e tre queste religioni, infatti,assicurano allo stesso grado l’integrazione sociale: alcuneesercitano più direttamente un controllo sui loro fedeli,altre lasciano un maggior margine di libertà. Durkheimmette in evidenza come il tasso dei suicidi è più altro trai protestanti in quanto la loro religione, ammettendo illibero esame, consente un più ampio margine di libertàindividuale; è più basso tra i cattolici in quanto la lorofede impone loro delle regole che non possono assolutamenteessere messe in discussione (dogma della fede); è ancorapiù basso tra gli ebrei in quanto gruppo minoritario che siregge sulla sua forte coesione interna. Durkheim, affermache non è tanto il libero esame che determina la più altaincidenza dei suicidi quanto piuttosto il fatto che lachiesa protestante è meno fortemente integrata dellachiesa cattolica. Gli ebrei, inoltre, in quanto gruppominoritario perseguitato, ha da sempre sviluppato

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fortissimi legami di solidarietà che li tiene strettamenteuniti tra loro.Il rapporto tra libero esame e aumento del tasso deisuicidi risulta anche dal fatto che tale tasso aumenta conil grado di istruzione: non è però l’istruzione di per sé acreare la tendenza suicidogena quanto piuttosto è vero chelo stato di incertezza che incrementa questa tendenza,conduce all’esigenza di maggiore chiarezza e quindi diistruzione.Quanto alla situazione familiare, Durkheim mette inevidenza che la famiglia in quanto tale tendenzialmentepreserva dal suicidio e tanto più ciò è vero quanto piùessa appare ben integrata. Il tasso dei suicidi tende adaumentare con l’aumento dei divorzi e delle separazionilegali. Non è tanto l’istituzione giuridica del divorzio aprovocare l’aumento dei suicidi quanto l’indebolirsi nellasocietà del vincolo matrimoniale. Non tanto il matrimonioper sé, ma il matrimonio con figli preserva dal suicidio; ivedovi si uccidono più dei coniugi ma, in genere, meno deicelibi: ciò dimostra che il fatto che sia esistita unafamiglia comporta un coefficiente di preservazionesuperiore a quello dei celibi. Lo scapolo è descritto daDurkheim come un individuo non sottoposto ad alcunadisciplina per ciò che riguarda le sue passioni,esemplificando la sua figura nel Don Giovanni. Per quanto riguarda il mondo politico, Durkheim sostieneche quando vi sono grandi sconvolgimenti sociali, quali leguerre o le rivoluzioni, il tasso dei suicidi tende adiminuire e da ciò si può affermare che le grandi scossesociali come le grandi guerre popolari ravvivano isentimenti collettivi, stimolano lo spirito di parte comeil patriottismo, la fede politica, la fede nazionalistica econcentrando le attività verso un unico scopo determinano,almeno per un periodo, una più forte integrazione sociale. Vediamo dunque come il suicidio egoistico dipende da unascarsa influenza della società nel regolamentare la vitaindividuale e, nel caso specifico del suicidio egoistico,la società non riesce a dare un significato all’individuo.

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Durkheim giunge così alla conclusione finale che ilsuicidio varia in ragione inversa al grado di integrazionedella società religiosa, in ragione inversa al grado diintegrazione della società domestica; in ragione inversa algrado di integrazione nella società politica.2) Suicidio altruisticoE’ il suicidio caratteristico delle società semplici,fondata sul prevalere della coscienza collettiva su quellaindividuale: quando l’individuo si annulla completamentenella società tende a seguire un imperativo moraleuccidendosi con il venir meno del senso della sua funzionesociale. E’ il caso del suicidio dei vecchi e dei malatiche si sentono ormai socialmente inutili, di quello dellemogli che seguono i mariti nella morte, di quello deiservitori alla morte dei padroni.3) suicidio anomicoTrattando di questo tipo di suicidio, Durkheim riprende iltema dell’anomia ed inizia il capitolo dedicato a questotipo di suicidio affermando che “La società non è soltantouna cosa che attrae a sé con ineguale intensità isentimenti e l’attività degli individui ma è anche unpotere che le regola”.Durkheim inizia l’esame di questo tipo di suicidioconsiderandolo rispetto alle crisi economiche. Sulla basedi dati statistici non elaborati personalmente ma a suadisposizione egli sostiene che il tasso di suicidi aumentanei momenti di crisi, intendendo come crisi sia quellerecessive come quelle di prosperità. Durkheim considera che se le crisi industriali ofinanziarie aumentano i suicidi non è perché impoveriscono,giacchè le crisi di prosperità hanno lo stesso risultato maperché sono delle perturbazioni dell’ordine collettivo.L’uomo, contrariamente agli animali, non sa autoregolarsiperciò una volta raggiunta una meta, tende a volerneraggiungere altre più ambiziose, in un processo che siimbatte prima o poi in limiti invalicabili. Ma perseguireun fine inaccessibile significa condannarsi a uno stato diperenne insoddisfazione. Pertanto, il limite agli appetiti

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individuali deve essere posto dall’autorità morale dellasocietà. Soltanto la società, sia direttamente e nel suoinsieme sia mediante uno dei suoi organi, è in grado disvolgere questa funzione moderatrice perché soltanto essaha qual potere morale superiore di cui l’individuo accettal’autorità. E’ la società che stabilisce i limiti delbenessere economico in relazione alle varie professioni econdizioni sociali e in una condizione normale gliindividui accettano tali limiti. In una monografiadedicata a Saint Simon, pubblicata nello stesso periododella ricerca sul suicidio, Durkheim scrive che “ciò che ènecessario perché l’ordine regni è che la maggior partedegli uomini si accontenti della propria sorte; ma ciò cheè necessario perché se ne accontentino non è che possegganodi più o di meno ma che siano convinti di non avere dirittoad avere di più”.Durkheim afferma che vi è una particolare sfera della vitasociale in cui l’anomia si trova allo stato cronico ed è ilmondo del commercio e dell’industria. Egli si riferisce alsuo tempo in quanto afferma anche che in altri periodi vierano forze sociali che ostacolavano questo stato cronicodell’anomia. Qui si ha l’esaltazione della religione (nonimporta quale) intesa nella sua accezione più ampia comefattore che regola i desideri individuali indicando ilimiti oltre i quali non si poteva andare, di imporre ilsuo sistema normativo. Nella società industriale, invece,caduti i vincoli imposti dalla religione, la vita economicaè abbandonata alla libera concorrenza senza alcun frenoesterno: e dalla vita economica l’anomia passa anche neglialtri settori della società. La ricerca di infinito, nellavita sociale, è solo segno di sregolatezza, di anomia.4) il suicidio fatalisticoè un tipo di suicidio cui Durkheim fa soltanto un piccolocenno: egli scrive che esiste un tipo di suicidio che sicontrappone al suicidio anomico come quello egoistico sicontrappone a quello altruistico. E’ quello risultante daun eccesso di regolamentazione, quello che commettono isoggetti che hanno un avvenire completamente chiuso, conpassioni violentemente compresse da una disciplina

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eccessiva. E’ il suicidio di chi si sposa troppo giovane,delle donne sposate senza figli.

Da questa pur breve descrizione del suicidio fatalisticopossiamo vedere come Durkheim contrappone il suicidio anomicoa quello fatalistico; al suicidio egoistico quelloaltruistico: la prima contrapposizione deriva da unacarenza/eccesso di regolamentazione mentre la seconda da unacarenza/eccesso di integrazione. A supporto di questacontrapposizione, ricordiamo ciò che l’autore cita all’iniziodel capitolo sul suicidio anomico e cioè che la società nonè solo una cosa che, con diversa intensità, attrae a sé isentimenti e le attività degli individui ma è anche un potereche li regola.C’è da mettere in evidenza che non è tanto semplicedistinguere tra suicidio egoistico e suicidio anomico tant’èvero che entrambi i casi sono considerati in rapporto allasituazione familiare.Un’altra difficoltà di Durkheim in questa ricerca, derivadalla distinzione tra gli stati acuti dell’anomia (causatida momenti particolari quali le crisi economiche) e l’anomiacome condizione cronica della società industriale in quantotale. Alcuni affermano che Durkheim usa questa distinzioneper criticare e condannare vigorosamente l’ideologiaindustriale ma è anche vero, per contro, che egli, nelcomplesso non è un critico ma un sostenitore della societàindustriale e borghese.La difficoltà maggiore sembra però trovarsi nell’affermazionedi Durkheim là dove egli dice che il suicidio deriva da causeche stanno al di fuori della coscienza individuale e che lemotivazioni coscienti possono al massimo corroboraredecisioni già prese sotto la forza dei condizionamentisociali. La società agisce inconsciamente. Nella ricerca sulsuicidio, però egli fa riferimento, per individuarne lecause, a stati di coscienza: la sete di infinito propria delsuicidio anomico, per esempio, non può essere consideratacome un fattore inconscio essendo ben presente alle coscienzeindividuali. Si potrebbe replicare che se la motivazione

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individuale è come tale cosciente, non lo è il fatto chel’individuo risponda, nelle sue preferenze, al forzecollettive.

Il problema pedagogico

Durkheim afferma che i principi morali che stanno alla basedella società (ne costituiscono l’autorità) vengono trasmessiattraverso l’educazione ed ecco spiegata l’importanzafondamentale dell’educazione. I principi trasmessi possonovariare radicalmente da società a società ma non per questoperdono la loro autorità. Tale relativismo, però, è mitigatoda Durkheim da un principio evoluzionistico secondo il qualei diversi modi di essere della società non sarebbero tutti daporre sullo stesso piano ma sarebbero piuttosto espressionidiverse di singole fasi di un unico processo evolutivo. Lasocietà industriale, con la sua divisione del lavoro, laspersonalizzazione dei rapporti, l’anomia, ecc.. è una fasedi questo processo evolutivo.Ma quali principi devono essere insegnati: Durkheim(impostazione relativistica) afferma che non è importantestabilire quali principi devono essere insegnati me èimportante che vi sia un’autorità morale che rappresenti lasocietà e che inculchi nei giovani un qualche sistemaeducativo, quale che esso sia.

Società e religione

Negli studi sulla religione, tra i quali il più noto ècostituito dalla ricerca su Le forme elementari della vita religiosa(1912). Durkheim, riprendendo il tema fondamentale di tuttoil suo pensiero, inizia con l’affermare che la società didistingue dall’individuo come il sacro dal profano, ed èl’autorità spirituale che trascende l’individuo ed alla qualel’individuo non può non sottomettersi. In ogni religionepositiva si coglie una verità cioè che esiste una realtà chetrascende gli individui ed è ad essa superiore. Esse però noncolgono ciò che è rilevato invece dalla scienza sociale ecioè che questa realtà superiore è la società.

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La società nasce attraverso l’interazione, l’azione comune,la cooperazione attiva. Gli individui, interagendo, creanouna realtà sui generis che si impone ad essi con queicaratteri religiosi della trascendenza, della superiorità,della imperatività costitutivi, secondo Durkheim, dellastessa società. La riprova di questa idea si ha nel fatto chetutte le istituzioni sociali, prima di acquistareindipendenza le une rispetto alle altre, erano collegate allareligione e ad aspetti di essa. La funzione delle religioni è quella di esaltare la vitamorale: esse devono raggiungere le coscienze degli individui,renderle sensibili e disciplinarle; gli aspetti esterioridella religione (i riti e le funzioni religiose, le festivitàcivile, ecc.) hanno il compito di tenere viva la coscienzacollettiva rinnovando quei momenti particolarmente intensi dicollaborazione e fusione degli individui in cui essa si èformata o rinnovata. E’ la società che crea la coscienza degli individui che,senza di essa, non potrebbe emergere come tale. Sviluppandoquesta idea, Durkheim sostiene, a proposito delle categorieconoscitive (e cioè degli strumenti mentali attraverso cuigli uomini conoscono) che la disputa filosofica tra gliaprioristi (cioè coloro che sostengono che le categorie sonodate all’uomo come possibilità prima dell’esperienzaempirica) e gli empiristi (che sostengono che le categorieconoscitive derivano dall’esperienza sensibile) non èpossibile una scelta scientificamente fondata perché lecategorie sono sì a priori e vincolanti per gli individui maesse hanno origine sociale, tant’è che variano da società asocietà.Le categorie conoscitive sono rappresentazioni collettiveesse dunque derivano da una immensa cooperazione che siestende nello spazio ma anche nel tempo: una moltitudine diindividui nella loro costruzione ha associato, mescolato,combinato, fuso le proprie idee e i propri sentimenti. Adesempio, la categoria del tempo è resa possibiledall’organizzazione e dalla suddivisione di esso a operadella società (cioè deriva da un processo collettivo) così

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come la categoria dello spazio che è resa possibile dallacooperazione collettiva.Solo la società può fornire gli strumenti per conoscere larealtà (cioè per organizzarla concettualmente).Tutte queste idee sono riprese ed approfondite da Durkheimnel saggio Il dualismo della natura umana e le sue condizioni sociali(1914). Le religioni distinguono l’anima dal corpo e consideranol’anima superiore al corpo.L’anima è la socialità, cioè moralità e capacitàconcettuale, che si crea nell’individuo attraversol’interazione e l’interiorizzazione delle norme e deiprincipi conoscitivi e valutativi.Il corpo invece è costituito dall’insieme dei nostri desideriegoistici.La società (in quanto moralità, in quanto anima) impone deilimiti ai desideri egoistici che però, in quanto costitutividel nostro corpo non possono scomparire: ecco che si spiegail carattere conflittuale della nostra vita. In essa sonopresenti forze diverse, individuali ed egoistiche da un lato,sociali (quindi morali e organizzatrici) dall’altro.In Durkheim l’esaltazione della società ha totalmente ilsopravvento sul problema degli istinti repressi che nonvengono presi assolutamente presi in considerazione (cosa cheinvece prevale in Freud).

CRITICADualismo (= dicotomia netta tra società ed individuo; inquanto egli attribuisce ogni moralità, altruismo e capacitàconoscitiva presente nell’uomo alla società mentreattribuisce all’individuo solamente istinti egoistici) eSociologismo (che discende direttamente dalla prima erimprovera a Durkheim di voler anteporre il fattore socialea tutti gli altri fattori causali - ad esempio nelsuicidio - che invece sono ad esso intrecciati).

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La dicotomia che Durkheim attua tra società ed individuo ètroppo netta: egli attribuisce ogni moralità, altruismo ecapacità conoscitiva presente nell’uomo alla società mentreattribuisce all’individuo solamente istinti egoistici.Concependo al società solo ed esclusivamente come moralitàe ordine, egli non coglie il rapporto che pure esiste tragli stessi egoismi individuali e una determinata strutturasocio-economica. Per lui la società è sempre forzamoralizzatrice, elemento positivo, creatore dell’ordine,dell’armonia tra gli individui mentre il fattore economicorimane fuori di quello sociale, rimane relegatoall’individualismo e all’egoismo e costituisce lanegazione della stessa società. Ecco che ogni rapportodialettico tra struttura economica di una società e i suoiaspetti morali e intellettuali sembra impossibile. Ad esempio, nel pensiero di Durkheim sono presentievidenti contraddizioni (derivanti dal suo sociologismo)nel modo in cui egli risolve il problema della divisionecoercitiva del lavoro nelle società industriali, affermandoche non vi sarebbe più coercizione se i singoli individuiesercitassero funzioni superiori o inferiori le une allealtre che fossero adatte alle loro inclinazioniindividuali. Se la società, nella sua dinamicità, consenteagli strati inferiori di migliorare le proprie condizioni,gli individui più dotati non accettano più lo stato di cosein atto. Dunque, il riferimento ai talenti individuali nonpuò non apparire contraddittorio.Eppure, con la sua teoria dell’anomia Durkheim si avvicinamolto a cogliere il carattere dialettico anziché dualisticodel rapporto società/individuo ma egli trascura di coglierequesta particolarità e ribadisce il suo noto punto divista: egli non riesce ad ammettere che se individuo esocietà si compenetrano e se nulla può esserenell’individuo se non discendente dalla società, alloraogni fenomeno individuale va correlato con la strutturasociale e lo stesso egoismo individuale è strettamentelegato a fattori sociali.Arroccandosi nel dualismo, Durkheim si preclude lapossibilità di spiegare la contraddizione che si evidenzia

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quando egli parla di una società basata sulla concorrenza(la società borghese) e la solidarietà che è sempre afondamento della società (in generale). E non lo ammetteneanche quando, a proposito del Suicidio, afferma che ilgesto cosciente estremo che sembra legato alla sceltadell’individuo non è altro che la conseguenza di unadecisione inconscia che dipende da cause che stanno al difuori dell’individuo stesso (cioè nella società): eglidovrebbe dunque ammettere che il nostro stesso egoismo (chespinge in determinate circostanze al suicidio) è unprodotto della società.Coerentemente dunque egli dovrebbe ammettere che la societànon è soltanto fonte di moralità dal momento che condizionatanto gli aspetti altruistici quanto quelli egoisticidell’individuo. Egli riesce a farlo solo in riferimento adaffermazioni specifiche ma non lo ammette mai nella suaconcezione generale di società. Simili difficoltà Durkheim le trova quando critica ilsocialismo. Egli afferma che a fondamento della società nonvi è l’attività economica ma la partecipazione religiosa:la religione è il primo di tutti i fenomeni sociali. Peròquando egli afferma questo, cade in contraddizione perchéegli aveva anche detto che quanto è esplicito nelcomportamento dell’uomo non corrisponde del tutto allemotivazioni dell’azione che, invece sono profonde. Eglicosì dimostra di dare più importanza a ciò che è esplicitoed evidente, a ciò che è cosciente a coloro che fanno partedella società che non ai fattori sociali come motivazionireali e inconsce. Infatti, si potrebbe obiettare che lamaggiore importanza iniziale della religione potrebbedipendere proprio dal fatto che l’economia e la tecnicaerano scarsamente sviluppate e che, invece, con lo sviluppadi queste la funzione della religione potrebbe esserediventata meno rilevante. Religione dunque come tentativodi dominare una realtà non ancora dominata dal lavoroumano.Durkheim è costantemente preoccupato dal problema dellacoesione sociale e in questo senso la compresa anche la suaconcezione della religione. Ma la coesione sociale può

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esserci come non esserci oppure essere imperfetta e lapresenza dell’anomia ne è indice. Per Durkheim lasocialità è una realtà problematica più che un datonaturale (egli lo intende il passaggio dall’indifferenziatoal differenziato come un processo generale; oppure quandoafferma che le rappresentazioni collettive sono ilrisultato dell’interazione tra individui; presuppongono ilsubstrato materiale della società e costituiscono rispettoagli individui una realtà a essi superiore): essa è unvalore da conquistare e da conservare in una continua lottai fattori che militano contro di essa. Alla società come fattore problematico egli dedicaattenzione particolare e lo dimostrano gli studi suiproblemi pedagogici (L’educazione morale, 1902/1902; La sociologia el’educazione, 1902) che egli ha condotto dopo la ricerca sulSuicidio. Ma anche qui troviamo in Durkheim dellecontraddizioni. Concepire la società come natura, nel sensodeterministico che il positivismo attribuisce a questotermine comporta una contraddizione che non può esseresuperata con indire che la conoscenza di tale natura necostituisce anche una liberazione (semmai porta ad unaaccettazione). Questa liberazione dalla natura presumeinfatti l’azione dell’uomo come forza storicamente elimitatamente autonoma rispetto ai determinismi naturali.Se invece anche l’azione umana si muove all’interno diquesti determinismi allora la conoscenza di essi non puòcomportare azione nel senso di trasformazione. Tanto è veroche lo stesso Durkheim ammette che l’educazione deverealizzare non tanto l’uomo così come la natura l’ha fattoma quale la società lo vuole.Riguardo al presunto carattere sociale delle categorieconoscitive, sembra che egli confonda alcune manifestazioniconcrete con cui lo spazio ed il tempo si conoscono difatto in certe società con le forme a priori che consentonoquesta conoscenza. Ad esempio, la categoria del tempo nonderiva esclusivamente dalla società ma è legata anche airitmi naturali del movimento degli astri; quella dellospazio, non è legata solo alla forma dell’accampamento maanche al fatto che l’orizzonte appare circolare.

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Le influenze che il pensiero di Durkheim esercita sullosviluppo della teoria sociologica sono importanti: egli,ricordiamo, cerca la funzione dei vari aspetti dellasocietà (ad esempio, la funzione della religione) e, inquesto senso, egli può anche essere considerato ilfondatore del moderno funzionalismo in sociologia ed inantropologia.Inoltre, il fatto che egli si preoccupi costantemente dellacoesione sociale, ci permette di inquadrarlo come legittimosuccessore di Comte in quanto si può affermare che la suasociologia costituisce un tentativo, contro l’importanzasempre crescente dei condizionamenti economici e di classe,di trovare al di fuori di essi (cioè nel consenso, nellacoesione, nell’integrazione, in un insieme di valori e dinorme comuni) l’elemento che fonda la società. Le critiche che abbiamo sopra considerato non devono farcidimenticare che Durkheim, movendo dalla criticaall’economia politica, è giunto a cogliere gli aspettianomici della società industriale, suddivisa in classi, purnell’ambito di una visione fondamentalmente relativistica.Egli ha poi evidenziato che la sociologia studia la realtàsociale come realtà umana, storica, sorta dall’interazioneeppure nello stesso tempo oggettiva, estranea e coercitivarispetto agli individui. Va detto, però, che per Durkheimla coercitività e l’oggettività delle istituzioni sono dateuna volta per tutte e non sono non appaiono superabili manemmeno affrontabili e trasformabili: egli così rischia diannullare ogni tensione tra l’azione individuale comefattore di innovazione e le strutture entro cui essa ècostretta.

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