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Guida geologico-ambientale del Monte Gelbison: Novi Velia

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Guida geologico-ambientale del Monte Gelbison

Novi Velia

ANIELLO ALOIA - DOMENICO GUIDA ANGELO IANNUZZI - MAURIZIO LAZZARI

Edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento

Escursioni naturalistiche per riscoprire l’ambiente abiotico e biotico in cui affondano le radici di una comunità

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Copyright©2006 - Comune di Novi VeliaRiproduzione vietataTutti i diritti di riproduzione sono riservati dalla legge sui diritti d’Autore

In copertina: panoramica di Novi Velia in un dipinto del maestro Mario Modica (2005)

L’opera ha beneficiato del patrocinio del Comune diNovi Velia e dell’Autorità di Bacino Sx Sele

COMUNE DI NOVI VELIA

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Ai nostri figli

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Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9

Presentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10Sindaco di Novi Velia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10Segretario generale dell'Autorità di Bacino Sinistra Sele . . . . . . . . . . . .11

Premessa metaforica di una storia naturale: il Monte Gelbison . . . . . . 13

1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17

2. Novi Velia nel contesto ambientale e storico-culturale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano . . . . . . . . . . . . . .21

3. Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison . . . . . .29 3.1 Paleogeografia e litogenesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .303.2 Tettogenesi ed orogenesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .383.3 Neotettonica e morfogenesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42

4. Le risorse ambientali e geologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 534.1 Caratteristiche climatiche generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .534.2 Idrografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .554.3 Idrogeologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .564.4 Aspetti vegetazionali e faunistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .594.5 Flora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .634.6 Fauna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .654.7 Geositi e geodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .66

5. Itinerari geologico-ambientali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .715.1 Introduzione agli itinerari del monte Gelbison: dal sentiero

al percorso tematico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .725.2 Itinerario I. Sentiero 101: Il Monte dell'Idolo (Gelbison) . . . . . . . .755.3 Itinerario II. Sentiero 102: Il sentiero dell'acqua . . . . . . . . . . . . . . .935.4 Itinerario III. Sentiero 103: La via del pellegrino . . . . . . . . . . . . .115

Sommario

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Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .125A1 Caratteri formazionali del substrato del gruppo del Cilento . . . . .125A2 Unità Liguridi e Sicilidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .128A3 Caratteri stratigrafici e formazionali delle unità

affioranti nel contesto del Monte Gelbison o Monte Sacro . . . . . .130A3.1. Formazione di Torrente Bruca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .131A3.2. Formazione di Monte Sacro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .131

Le schede dei geositi e dei biotipi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .161 Scala dei tempi geologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .173

Tavole fuori testo:Carta dei sentieriCarta geomorfologica

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Vitalità, contemporaneità e linguaggio della Montagna. La montagna parla, lamontagna ride, la montagna piange, la montagna si arrabbia, la montagnaesplode: non sono più metafore o immagini che escono dalle favole ma, nella

“Guida” che ci viene donata dagli scienziati della montagna, sono espressioni di unavitalità decodificata..Veniamo accompagnati per essere educati al lemmario delle parole da capire; ini-zia la ricerca per la conoscenza delle pagine importanti della geologia da scoprire.Un intero territorio ci appare improvvisamente contemporaneo e vivo.La nostra è diventata la contemporaneità degli scienziati che ieri, oggi e domani,hanno camminato, camminano e cammineranno per parlare il linguaggio dell’evo-luzione della Terra..A poco a poco il nostro livello percettivo cambia, il geosito estraneo diventa fratel-lo, sorella, sposo, sposa , amico o amica con cui fare famiglia o comunità.La nostra coscienza ambientale cambia, la nostra percezione ecologica diviene pro-fonda, la nostra soggettività si mischia con la soggettività espressiva delle montagne,dei fiumi, delle pianure.Rincorriamo le parole amiche e quelle da scoprire: crosta, abiotico, degradazionecrioclastica, esumazione della vitalità, debris flow , pillow lavas , danzano in cerchiodi apprendimento per noi.E, poi, fosse oceaniche, morfoselezione, morfostruttura, piega, margine passivorecitano al teatro dell’immaginario.Infine, corrugamento, ancora crosta, flysch, Pangea, marna, placca, suonano aiuta-te dal vento.A poco a poco il linguaggio della montagna diventa paesaggio contemporaneo inevoluzione, finalmente si apprende che il paesaggio è rincorsa tra i segni del pro-getto della natura ed i segnali del progetto dell’uomo.La convenzione di Firenze può essere vista come interpretazione del paesaggio inmaniera dinamica, di evoluzione di sistemi complessi.Il turismo sarà allora turismo di ricerca e la sostenibilità è garantita; anzi, inizia ilpercorso nuovo di sviluppo sostenibile basato su un approccio di ecologia profon-da. La metafora della biblioteca torna come luogo dell’apprendimento.La biblioteca è diventata la catena appenninica, con i suoi strati , la sua formazionee il suo divenire insieme di unità di paesaggio.Finalmente la gioia di sfogliare i capitoli della storia dell’uomo senza separarla dallastoria del suo territorio.A poco a poco diventiamo mentalmente più esperti e rincorriamo il futuro che ciappare brevissimo, ma pieno di nuova vitalità, per un minuto anche noi scienziatidella montagna.

Prof. Pasquale Persico (amico del Cilento)Università degli Studi di Salerno

Prefazione

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Il Monte Sacro o, nell'accezione pagana Monte Gelbison, ha rappresentato, dasempre, un punto di riferimento importante ed imprescindibile per le cultureche si sono avvicendate alle sue pendici. Numerosi studi e pubblicazioni hanno

evidenziato come la centralità del Cilento nell'area mediterranea abbia favorito, tral'altro, la convergenza e lo stanziamento di flussi migratori di Greci, Romani, Arabi,Longobardi, Normanni, facendo assumere al Monte Sacro un ruolo centrale e por-tandolo a divenire progressivamente un centro d'interesse storico e culturale inItalia meridionale. Ciò nonostante rare sono state le pubblicazioni che lo hannovisto protagonista, ma molte, invece, lo hanno reso solo attore comprimario a soste-gno della centralità di realtà limitrofe. Con l'istituzione dell'Ente Parco Nazionaledel Cilento e Vallo di Diano si è cercato di rinnovare l'attenzione verso il MonteSacro, visto non più solo come luogo di interesse storico e religioso, ma anche comeimportante riferimento ambientale. Ad oggi, tuttavia, esso non è stato ancora collo-cato nella sua giusta posizione di rilievo cosi come le sue caratteristiche imporreb-bero. In tale contesto si è sviluppato l'intento, degli Autori di questo libro, di realizzareuno studio geologico-ambientale sul Monte Gelbison con lo scopo di proporre alpubblico un diverso punto di vista sulla sua storia, a cui è strettamente legata anchequella di Novi Velia, Comune in cui esso ricade, mostrata non più solo con gli occhidello storico bensì con quelli del naturalista. L'idea degli Autori è stata immediata-mente condivisa e sostenuta dall'Amministrazione che ha offerto la massima dispo-nibilità ed il pieno sostegno all'iniziativa culturale.Dopo circa quindici mesi di lavoro, gli Autori hanno predisposto la prima guidanaturalistica del territorio di Novi che si armonizza pienamente con i suoi significa-ti storici e religiosi. Ai visitatori-pellegrini che periodicamente si recano per devo-zione a migliaia in visita al Santuario della Madonna del Sacro Monte di Novi Velia,il libro propone, fra gli altri, due itinerari che, durante il cammino, conducono alMonte permettendo di cogliere tutte le peculiarità geologico-ambientali tipichedella montagna cilentana.L'originalità del testo e la sua versatilità ne consentono un utilizzo diversificato edindirizzato ad un pubblico vario: dagli studenti universitari, a quelli delle scuolesecondarie di primo e secondo grado a tutti gli appassionati della montagna ed agliescursionisti.Con riconoscenza esprimo la mia gratitudine, e quella di tutti i novesi, agli Autoridi questa prima guida naturalistica del territorio di Novi per aver creduto e volutofortemente e tenacemente dedicarsi a questo progetto. Mi auguro che questo lavo-ro sia solo l'inizio di un interesse crescente verso la nostra terra ed esempio per altristudiosi affinché pongano maggiore attenzione nei confronti del nostro patrimonioambientale, della nostra cultura e della nostra storia.

Dott. De Vita AdrianoSindaco del Comune di Novi Velia

Presentazioni

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Recentemente, la sensibilità da parte del pubblico nei confronti del geoturi-smo e/o turismo ambientale è aumentata notevolmente. Infatti, oltre all’in-teresse per i “fenomeni naturali noti” quali quelli vulcanici, sismici, alluvio-

nali e franosi, si registra un maggiore interesse per i geositi (siti geologici caratteri-stici) e verso i geomorfositi (aspetti estetico-evolutivi del paesaggio). A testimonian-za di ciò, in Italia si sta sempre più diffondendo il concetto di salvaguardia delnostro patrimonio geologico. Sulla scia di questa sensibilità territoriale nasce laGuida geologico-ambientale del Monte Gelbison che si inserisce pienamente nelfilone della promozione del patrimonio geologico nazionale (Geological Heritage). E’ per questo motivo che volgo il mio plauso e sostegno all’opera che, grazie alnotevole lavoro di sintesi dei caratteri geologico-ambientali del territorio di Novicondotto dagli Autori, rappresenta, pertanto un concreto esempio di divulgazionegeologica anche ad un pubblico non specialistico ed un efficace strumento didatti-co e di promozione geoturistica.Il mio auspicio è che il libro possa rappresentare uno stimolo ed un passo in avan-ti per la geoconservazione del territorio, poiché esso costituisce sia uno strumentoadatto per usufruire del bene geologico/ambientale, sia un modello di sviluppo eco-sostenibile. Concludo ringraziando gli Autori per il loro operato e sperando che la loro sensibi-lità ambientale possa riflettersi nella realizzazione di altre pubblicazioni sulle emer-genze ambientali del nostro territorio.

Ing. Carlo Camilleri Segretario Generale Autorità di Bacino Sinistra Sele

Presentazioni

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Ai più una montagna, per i suoi notevoli scorci panoramici, può sug-gerire espressioni di meraviglia estetico-percettive, ad altri puòindurre desideri di avventura o semplici occasioni sportive e ricrea-

tive lungo le sue valli e sulle sue vette, ad altri, i più distratti, riesce solo aprovocare la percezione topografica di altitudine e la sensazione spazio-temporale di fissità. Spesso le montagne sono state anche sede di culto religioso, perché hannoindotto una naturale tendenza verso l’ “alto” ed un progressivo avvicinamen-to all’infinito ed al mistico.Le montagne, invece, come tutte le entità naturali, hanno una loro “vita”:nascono, crescono, evolvono, a volte si spostano ed, infine, “muoiono”, ridu-cendosi progressivamente a semplici colline o vasti bassipiani; hanno, quin-di, una storia ciclica da raccontare e delle vicende complesse da narrare, nelcontesto di un sistema di riferimento spazio-temporale più ampio di quellonormalmente adottato dal senso comune.Essa è registrata, episodio per episodio, negli strati lapidei che costituisco-no l’ossatura delle montagne e che, in senso metaforico, possono essereconsiderati strato-pagine di un libro che illustra una lunga ed affascinantestoria naturale, il cui ultimo capitolo deve essere ancora scritto. Questa storia è riportata negli archivi stratigrafici e paleontologici degli oriz-zonti rocciosi ed è impressa, ancora, nelle infinite disposizioni spaziali enelle strutture macroscopiche e microscopiche degli ammassi lapidei cheregistrano gli effetti delle spinte tettoniche responsabili del sollevamento edel piegamento delle successioni rocciose precedentemente formatesi. Essa è, infine, scolpita nelle forme dei paesaggi superficiali e sotterranei,testimoni di un incessante modellamento da parte degli agenti esogeni in unperenne antagonismo naturale con le titaniche azioni degli agenti endoge-ni. Morfostrutture e morfosculture che registrano l’avvicendarsi dei diversiregimi climatici del passato e dei processi geomorfici impostatisi a partiredalla emersione della catena e che, negli ultimi milioni di anni, hanno primacondizionato e poi accompagnato l’occupazione storica del territorio daparte dell’uomo.

Premessa metaforica di una storia naturale: il Monte Gelbison

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La successione degli eventi geologici del M.te Sacro-Gelbison contenuta inquesto enorme “libro”, materializzato nella montagna, è stata scritta su stra-to-pagine che illustrano fenomeni sedimentari, tettonici e geomorfologici, avolte catastrofici, ma più spesso tranquilli, lenti e progressivi; le strato-pagi-ne sono state raccolte in formazioni-capitoli, la cui successione temporaleha condotto all’attuale edizione aggiornata del “testo base”.Il linguaggio utilizzato non è stato quello correntemente utilizzato dagli sto-rici delle vicende umane e l’alfabeto non è costituito da lettere o simbolo-gia convenzionale. La traduzione, infatti, oltremodo difficoltosa ed ancoraincompleta, si è basata esclusivamente su di un principio apparentementebanale, chiamato Principio dell’Attualismo, secondo cui “il presente è lachiave per interpretare il passato”.Le più grandi difficoltà per la traduzione dei capitoli di questa “storia natu-rale” derivano dal fatto che i testi si ritrovano in frammenti, molte paginesono state perdute e moltissimi brani sono incompleti; il libro, infatti, non èstato mai completamente impaginato, né tanto meno rilegato con la coper-tina di intestazione. Mentre l’Autore scriveva uno degli ultimi formazioni-capitoli e poggiaval’ennesima pagina, fortunatamente numerata, sulla pila degli altri foglisciolti, già scritti e codificati, il solito anti-Autore, in cui antropomorfica-mente si possono identificare le potenti forze endogene di tipo tettonico egli sconvolgimenti esogeni, gli ha sottratto parte del manoscritto, lo ha scol-lato dal suo basamento-scrittoio, lo ha spostato, piegato, accartocciato, seg-mentato e variamente disarticolato nell’originario ordine e nella integritàdelle strato-pagine e delle formazioni-capitoli(Fig. 1.0).Il paziente lavoro di raccolta e di ricostruzione del testo condotto per oltreun secolo da parte dei certosini-geologi ha consentito di ottenere l’attualericomposizione, ancora non completa, del “libro” ed alla sua collocazionenei grandi “scaffali”, in fase di riordino, denominati “Unità Nord Calabrese”e “Gruppo del Cilento”, a loro volta contenuti nella grande bibliotecadell’Arco Orogenetico Appennino Campano-lucano. Se, per metafora, abbiamo considerato ogni montagna un libro di storianaturale, il M.te Sacro-Gelbison ne costituisce, in piccolo, uno degli esem-pi più affascinanti ed interessanti, la cui conoscenza risulta essenziale per laricerca delle “radici” più profonde di una cultura, di una tradizione e di unaidentità, su cui innestare la consapevolezza delle proprie risorse territoriali,geologiche, biologiche ed antropiche e su cui fondare qualsivoglia modelloconsapevole, condiviso e compatibile di crescita culturale e di svilupposocio-economico futuro (Guida et al. 1997).

Premessa metaforica di una storia naturale: il Monte Gelbison

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Premessa metaforica di una storia naturale: il Monte Gelbison

Figura 1.0 - Diagramma comparativo dei rapporti metaforici tra la storia geologica di unsito (sulla destra) e quella di un libro (sulla sinistra), con livelli gerarchici crescenti verso ilbasso.

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La conoscenza del patrimonio geologico di un territorio, quale ele-mento di base del più vasto patrimonio ambientale e paesaggistico,è di fondamentale importanza per ogni comunità socio-culturalmen-

te avanzata, sia per la sua salvaguardia a garanzia e fruizione delle futuregenerazioni e sia per la valorizzazione dello stesso in termini di sviluppocompatibile. In passato, questo patrimonio è stato generalmente considerato un insiemedi risorse puramente “materiali”, costituito da suolo, acqua, boschi, fauna,siti di sviluppo insediativo, prima a supporto della sopravvivenza e poi perlo sviluppo delle comunità storicamente radicate sul territorio. Di recente,con la crescita della coscienza ambientale e, soprattutto, con l’istituzionedelle aree protette, tale patrimonio ha gradualmente assunto anche uncarattere “immateriale”, in termini di stabilità e funzionalità ecosistemica, divalenza estetico-percettiva e di componente identitario, a supporto dellaqualità della vita e dello sviluppo equilibrato delle popolazioni.Nonostante ciò, però, esso è ancora percepito in modo “statico”, comemonumento della natura, emergenza naturalistica, singolarità geologica ed,in ogni caso, come elemento avulso dalla dinamica socio-economica e cul-turale del territorio. Ma un “Geosito”, quale elemento di singolarità del patrimonio geologico,possiede significati e potenzialità che vanno ben oltre questa visione museo-grafica, costituendo, nel contempo: risorsa essenziale dello sviluppo econo-mico e scientifico, habitat per gli ecosistemi, elemento rilevante del paesag-gio per la popolazione residente e non, fondamento di geodiversità e diconoscenza della dinamica e del passato della Terra, memoria dell’evoluzio-ne biologica e della vita dell’uomo dai suoi albori, insomma: un formidabi-le laboratorio di educazione, ricerca e coscienza ambientale.

E’ solo attraverso lo studio e l’osservazione dei fenomeni naturali attua-li, infatti, che noi possiamo capire l’evoluzione geologica che il paesaggio hasubito nel tempo, apprezzarne maggiormente la composizione, costituzionee conformazione e prendere coscienza delle sue interazioni con la sferaantropica, in tutte le sue articolazioni e manifestazioni. Tutte le forme del

1/ Introduzione

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paesaggio, gli affioramenti di roccia, gli organismi fossili eventualmentecontenuti in questi – ovvero tutti quegli elementi fisici definiti “beni geolo-gici” - sono conseguenza di processi che li hanno generati in un intervallo ditempo che è ben diverso, come ordine di grandezza, dalla storia dell’uomo.Infatti, se la storia umana, intesa in senso stretto, vale a dire come succes-sione di eventi documentati, comprende al massimo qualche millennio, giàla stessa storia biologica dell’uomo risale a qualche milione di anni dal pre-sente. Eppure anche questo rappresenta un intervallo che, se raffrontato altempo geologico, risulta ancora estremamente limitato. Va, pertanto, sotto-lineato che un qualsiasi “oggetto geologico” diventa “bene culturale”, e quin-di patrimonio condiviso dalle comunità locali prima e poi dall’umanità, solonel momento in cui la sua conoscenza viene resa fruibile, anche attraverso“guide” appositamente redatte, sottraendolo dal ruolo di reperto o sempli-ce elemento di un catalogo naturalistico, ovvero argomento di ricerca scien-tifica specialistica.A tal riguardo, quindi, una semplice “Guida” non può pretendere di esau-rire la conoscenza e la interpretazione dei singoli elementi geoambientali,né di ricostruire nei dettagli la storia naturale di un territorio, né tanto menovuole complicare l’approccio escursionistico e ricreativo dei visitatori. Essavuole essere un tentativo di fornire ai non addetti ai lavori quei concettiindispensabili per meglio comprendere l’origine di un paesaggio, di un ele-mento del rilievo o di un singolo affioramento; questo non solo per l’even-tuale aspetto scenico/”sensazionale”, ma anche allo scopo di evidenziare ilsignificato didattico-scientifico che esso riveste e risvegliare l’interesse ola semplice curiosità sul tema della valorizzazione dei beni geologici. Interpretando la sensibilità sul tema ambientale e culturale mostratadall’Amministrazione Comunale di Novi Velia, è stata predisposta laseguente “Guida geologico-ambientale per gli itinerari del MonteSacro o Gelbison”, allo scopo di illustrare gli aspetti rilevanti del territoriocomunale ad un pubblico più vasto e di riconoscere al Monte Gelbisonquella centralità turistico-culturale caratterizzata dalla presenza di geositi ebiotipi di particolare interesse scientifico, armonicamente inseriti in un par-ticolarissimo contesto storico-religioso.La “Guida” si compone di una prima parte che inquadra il territorio comu-nale di Novi Velia nel contesto più generale del Parco Nazionale del Cilentoe Vallo di Diano.La seconda parte illustra in generale i lineamenti geologici del territoriocomunale di Novi Velia ed, in particolare, le singolarità naturalistiche delMonte Gelbison, alla luce delle conoscenze scientifiche consolidate e di

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quelle in fase di acquisizione, nonché in base ad originali osservazioni edelaborazioni geomorfologiche. Si tenta di fornire, così, ai lettori le cono-scenze di base per la migliore comprensione del contesto spazio-temporalecomplessivo entro cui s’inseriscono gli elementi puntuali o sistemici dicarattere ambientale più estesamente illustrati nella successiva parte.In quest’ultima sono esposti e territorializzati i concetti di geosito, geodi-versità, biotipo e biodiversità, con una ampia guida alla lettura delle singo-larità geologiche e geomorfologiche del territorio, quale “bussola di orien-tamento” per i successivi approfondimenti specifici. Sulla scorta di quanto esposto nei capitoli introduttivi, l’ultima parte dellibro illustra gli itinerari prescelti in base ai criteri ritenuti discriminanti,quali la distribuzione dei siti naturalistici più significativi, le loro peculiaritàgeologico-ambientali, storiche e turistiche, la facilità d’accesso e di percor-renza, la valenza didattica e lo stato di conservazione. Ciascun sito vienedesignato con una numerazione riferita alla classificazione C.A.I. congiun-tamente ad un toponimo rappresentativo della località su cui lo stesso si svi-luppa.A supporto degli itinerari sono state predisposte delle “Schede” di appro-fondimento tematico che descrivono in dettaglio i geotipi ed i biotipi, non-ché le singolarità geologiche, morfologiche e floro-faunistiche presenti nelterritorio comunale di Novi Velia, in particolare lungo i percorsi studiati, inmodo da costituire un utile strumento didattico anche per i non addetti ailavori. Quale ulteriore supporto alla comprensione del testo è stato elabora-to un glossario terminologico posto a fine testo, mentre un’estesa bibliogra-fia dei lavori citati consente al lettore più interessato di approfondire letematiche trattate e di sviluppare con maggiore dettaglio gli aspetti più set-toriali.La presente “Guida” vuole essere, quindi, nello stesso tempo un modestocontributo all’analisi del paesaggio di questo particolare settore geograficodel comprensorio cilentano ed un “accompagnamento” alla scoperta edall’approfondimento delle singolarità naturalistiche ed ambientali ivi pre-senti.Essa si inserisce nel filone di azioni che le amministrazioni promuovono perla salvaguardia, gestione e pianificazione del “paesaggio” in riferimento allaConvenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nel 2000 da 25 paesieuropei. In questo importante documento, il “paesaggio” viene definito, infatti,come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popo-lazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle

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loro interrelazioni”. Con riferimento alla dimensione “culturale” si dichia-ra che “il paesaggio coopera nella elaborazione delle culture locali e rappre-senta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturaledell’Europa, contribuendo così al benessere ed alla soddisfazione degli esse-ri umani ed al consolidamento dell’identità europea”.Nella varietà di modi di guardare al paesaggio, l’approccio che si proponecon la presente “Guida” è quello che pone maggiore attenzione ai caratterifisici e biotici del territorio e, cioè, all’insieme delle sue componenti natu-rali, nel quadro di quella che viene attualmente definita la “landscape eco-logy” (Ingegnoli, 1993).A tal riguardo, in questa guida la lettura del paesaggio è stata realizzataseguendo tre diversi approcci conoscitivi.Il primo ha previsto una lettura cosiddetta “orizzontale” che consiste nellapreliminare individuazione degli elementi presenti nel paesaggio e nellaloro classificazione, mediante accorpamento in categorie secondo deglischemi tassonomici ed eventualmente gerarchici (fase descrittiva) e nellasuccessiva ricerca e definizione delle interrelazioni reciproche fra gli ele-menti individuati (fase funzionale). Il secondo approccio ha seguito, invece, una lettura cosiddetta “verticale”che consiste nella ricerca delle interrelazioni fra le forme del paesaggio edi processi che le hanno generate, discriminando i fattori naturali da quelliantropici, interpretandone il ruolo in un contesto essenzialmente spaziale.Il terzo, infine, ha considerato il paesaggio un sistema dinamico in perma-nente trasformazione e prevede un percorso per così dire “temporale” checonsiste nella individuazione delle principali tappe evolutive del paesaggioe nella ricostruzione “storica” degli eventi che hanno condotto alla suaattuale conformazione.

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Il territorio comunale di Novi Velia ricade interamente nel perimetro delParco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, area protetta istituitanel 1995 in riferimento alla Legge 394/91, che, con i suoi 181.048 etta-

ri, rappresenta la seconda area protetta italiana per estensione dopo il Parcodel Pollino e la prima come popolazione, con circa 280.000 abitanti (Fig.1.2).Il territorio del Parco si estende tra la Piana del Sele a Nord, l’Autostradadel Sole ad Est, il Golfo di Policastro a Sud e la fascia costiera tirrenica adOvest. Dal punto di vista orografico, i Monti Alburni (q. 1700 circa) necostituiscono i rilievi più settentrionali, il complesso montuoso del MonteCervati (q. 1900 circa) e del Monte Gelbison (q. 1707 m) ne occupano il set-tore centrale, mentre verso il mare si elevano i massicci costieri di MonteBulgheria (q. 1225 ) a Sud e di Monte Stella ad Ovest (q. 1100 ). La rimanente parte di territorio cilentano è costituita da paesaggi collinarie dalle piccole piane alluvionali dei fiumi Alento, Mingardo, Lambro e

2/ Novi Velia nel contesto ambientale e storico-culturale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano

Figura 1.2: Il territorio di Novi Velia nella Provincia di Salerno ed all’interno del Parco

Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.

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Bussento. Il Parco, infine, si affaccia sul Mar Tirreno per un lungo tratto,pari ad un terzo dell’intera costa campana, ed è caratterizzato da una mor-fologia più dolce a Nord e più accidentata verso Sud.Il Cilento è, dunque, un territorio molto articolato con paesaggi collinari amorfologia dolce e paesaggi montani con spianate sommitali e vallate moltoaspre profondamente incise dai corsi d’acqua, cui corrispondono settoricostieri a falesie e limitate pianure litoranee. Questo forte contrasto è da attribuire sia alla duplice natura geologica dellerocce che costituiscono l’ossatura di questo territorio, sia alla lunga storiaevolutiva cui questo è stato soggetto. Da una parte i massicci carbonatici, ilcui il paesaggio è stato modellato principalmente dalla morfogenesi carsica1,con formazione di vasti altipiani a doline e polje, limitati da versanti moltoacclivi segnati da una intensa attività neotettonica e dissecati da profondeforre e articolati canjons. Dall’altra, le rocce sedimentarie del “Flysch delCilento” (Auctorum), nella doppia componente arenaceo-conglomeraticasommitale, affiorante lungo i rilievi terrigeni di Monte Stella, MonteGelbison e Monte Centaurino, e la componente argilloso- marnosa basale,con i rilievi collinari velini, mingardini e bussentini, modellati prevalente-mente dalla erosione dei corsi d’acqua e dai movimenti di versante.La geodiversità del territorio del Parco influenza la varietà di ecosistemi dielevato valore ambientale, naturalistico e paesaggistico in esso riscontrabili.Eccezionale è, inoltre, la presenza di testimonianze storico-culturali stret-tamente connessi al contesto fisico, basti pensare: all’area archeologica diPaestum localizzata sul vasto “piastrone” di travertino creato nelQuaternario dalle sorgenti di Capodifiume; ai resti dell’antica Elea-Veliacostruita su di un antico promontorio di conglomerati; alla Certosa diPadula, edificata su una conoide alluvionale. A questi siti si aggiungono unafitta trama di centri storici di indubbio interesse, quali i borghi abbandona-ti di Roscigno Vecchio e di S. Severino di Centola, castelli, vaste aree impro-priamente dette archeologiche “minori” (ad es. Molpa-Palinuro, MontePruno, la Civitella e Roccagloriosa), chiese e luoghi di culto, spesso inqua-drati in scenari di elevato valore paesaggistico ed ambientale, come nel casodel Santuario della Madonna di Novi sul Monte Sacro o Gelbison. In base a queste motivazioni, nel giugno 1997, il Parco Nazionale delCilento e Vallo di Diano è stato inserito tra le Riserve della Biosfera2, rien-trando, così, nella categoria dei paesaggi evolutivi (Laserre 1999).In tal senso, quindi, il Cilento costituisce un vero e proprio living landsca-pe o “paesaggio vivente” che, pur mantenendo un ruolo attivo nella societàcontemporanea, conserva i caratteri tradizionali che lo hanno generato, nel-l’organizzazione del territorio, nella trama dei percorsi, nella struttura delle

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coltivazioni e nel sistema degli insediamenti.Nel Cilento, infatti, si realizza storicamente l’incontro tra mare e montagna,tra oriente e occidente, tra culture nordiche e culture africane: il territoriofonde popoli e civiltà e ne conserva le tracce nei suoi caratteri distintivi.Il settore territoriale su cui sono stati individuati ed illustrati gli itinerariproposti è collocato lungo il versante occidentale del M.te Sacro-Gelbisoned il suo più immediato piedimonte, rientranti entrambi nell’ambito delbacino idrografico del T. Torna-Caricaturo, che, a sua volta, fa parte del piùvasto bacino drenante del Fiume Alento, il maggiore sistema fluviale delCilento (Laureano et al. 1998).Orograficamente, l’area in oggetto è caratterizzata dalle dorsali montuosedello Scanno Chiuso – T.pa del Lupo (quota massima s.l.m. di circa 1000 m)e della “Tempa della Rosalia” (quota massima s.l.m. di circa 980 m. slm.),con le massime cime costituite appunto dal Monte Gelbison (1707 m slm),mentre da un punto di vista idrografico, l’area è inserita nell’ampio venta-

glio di testata del Torrente Torna-Caricaturo, asta drenante principale di unampio bacino imbrifero, verso il quale confluiscono numerose valli monta-ne molto incise e rettilinee (Fig. 2.2). Nell’ambito di questo contesto oro-idrografico si colloca anche il centro sto-

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Figura 2.2: Caratteristiche oro-idrografiche del territorio di Novi Velia e del MonteGelbison.

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rico di Novi Velia posto ad una quota di circa 650 m s.l.m. in corrisponden-za di un ripiano collinare allungato in direzione E-W, mentre la zona diespansione urbanistica recente è ubicata in un’area subpianeggiante a circa550 m. di quota (Fig. 3.2). Il nome Novi, altrimenti riportato negli antichi diplomi “Nova”, “Noa”,“Nove”, “Nobi” e “Nobes”, compare per la prima volta in una pergamena

del 1005 conservata presso la Badia di Cava con la quale Guaimario IV, prin-cipe di Salerno, concedeva dei beni all’abate del Monastero di S. Barbara,in pertinentia de Nobe, finibus Salernitanus (Ebner 1973). Solo il 23 dicem-bre 1862, con la unità d’Italia la municipalità ha assunto la denominazionedefinitiva di Novi Velia. Non è difficile immaginare il perché di questa scelta da parte dei novesi;infatti, la sua felice posizione geografica, anche come rifugio-fortezza deivelini greci3, ha creato nel tempo legami molto forti con la illustre cittadinafino al molto probabile trasferimento a Novi degli ultimi suoi abitanti. Èproprio questa sua felice posizione che ne ha caratterizzato la storia facen-dola diventare, nel tempo, Stato, Baronia, Feudo e Sede Vescovile4.Le alterne vicende che seguirono la discesa in Italia dei Longobardi e leguerre contro i Bizantini produssero, assieme ad un periodo di relativa tran-quillità e benessere, la trasformazione del territorio di Novi in gastaldato(La Greca 2001). Novi Velia, per lungo tempo, divenne ancora principalepunto di riferimento per le popolazioni locali che continuarono anche ariunirsi attorno alle comunità dei monaci basiliani i quali si attivarono per latrasformazione socio-conomica della zona non solo con la costruzione delle

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Figura 3.2 – L’abitato di Novi Velia visto da Sud

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tante chiese e cenobi, ancora oggi facilmente individuabili, ma con l’attivatrasformazione rurale del territorio mediante importanti bonifiche e siste-mazioni idraulico-forestali.Il lento ma deciso passaggio dalla dominazione longobarda a quella nor-manna caratterizza ancora di più la Terra di Novi che inizia il periodo piùimportante della sua millenaria storia. Tra le signorie e poi le baronie piùillustri del regno meridionale, Novi diventa polo di attrazione e luogo parti-colarmente ricco di avvenimenti sociali e religiosi. Sotto i Normanni, e conla diretta influenza dei reali di Napoli, la trasformazione urbana raggiungel’apice con la costruzione di castelli, palazzi e chiese ed il rafforzamentodella cinta muraria nella sua particolarità di case-fortezza (Cantalupo,1990). Il suo periodo di massimo splendore è legato alla presenza dei PadriCelestini la cui venuta a Novi è fedelmente documentata. Fu, infatti, ilBarone Tommaso di Marzano che, nel 1323, a fronte di una profonda fedein S. Pietro del Morrone (Papa Celestino V) volle donare il Santuario ed ilVecchio Castello (adibito poi a convento) ai monaci Celestiniani che lo res-sero ininterrottamente per quasi cinque secoli fino alla soppressione dell’or-dine avvenuta con una legge di Giuseppe Bonaparte il 13 febbraio 1807(Zennaro et al., 1995). L’ex Chiesa di S. Giorgio annessa al convento è stataappena restaurata ed appare ora in tutta la sua imponenza accanto alCastello Baronale ed alla Torre Longobarda (riadattata dai Normanni)5

dalla sommità della quale lo sguardo può spaziare a contemplare uno sce-nario che ha pochi eguali nell’Italia costiera (Cerino e Viceconte 2003).Le tre strutture, ovvero: la Torre Longobarda, l’Abbazia dei Celestini ed ilCastello del Conte Marzano, sono poste alla sommità della collina forman-do una sorta di “Acropoli” architettonica di grande suggestione (Fig. 4.2),oltre che di notevole interesse storico-culturale.Sino ad oggi, però, la sua notorietà è stata legata essenzialmente alla presen-za, sulla cima del Monte Gelbison a 1707 mt, del Santuario Mariano, unodei più alti d’Italia e visitato in pellegrinaggio ancora oggi da circa centomi-la persone l’anno provenienti dalla Calabria, dalla Lucania e dallaCampania meridionale. La posizione centrale all’interno del Parco Nazionale (ora sede dellaComunità del Parco, il cosiddetto “parlamentino” del Cilento) e l’invidiabi-le patrimonio di antichità, di arte e peculiarità ambientali, fanno del terri-torio di Novi Velia, quindi, uno dei luoghi non solo ad oggi più visitati, maanche più interessanti nella prospettiva di centro propulsivo per una valo-rizzazione complessiva ed integrata dell’area protetta. Alla Torre, alle chiese ed ai Palazzi nobiliari, che ancora rappresentano la

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struttura medievale dell’antico borgo, si affianca la Chiesa di S. Maria deiLongobardi e l’annessa Cripta bizantina che sono uno scrigno prezioso diaffreschi, pitture, opere lignee e architettoniche tra le più quotate dellaintera Campania. Questa chiesa costituisce un esempio interessante diarchitettura sia religiosa che militare e fu costruita addossata alla preesisten-te cinta muraria longobarda inglobando strutture militari difensive e diguardia ad una delle tre porte d’ingresso al paese. La parte più antica, di molto anteriore all’anno mille, è la cripta di stilebizantino, ricca di affreschi di epoche diverse tra i quali spicca una “Nativitàdel XV sec., esempio tipico di iconografia cristiano-orientale. La cripta ècomposta da vari ambienti che si articolano intorno ad una colonna centra-le sulla quale scaricano gli archi delle volte a crociera delle quattro parti incui è divisa la sala centrale.Spicca in fondo al presbiterio un imponente polittico di G. FilippoCriscuolo (1540) composto di nove tavole tra le quali si evidenzia una“Madonna con Bambino”, riproduzione fedele della “Madonna del Pesce”dipinta da Raffaello per la Cappella di S. Domenico Maggiore a Napoli.Numerose altre opere pittoriche e sculture in legno ( ad esempio la via cru-cis del maestro Bruno Aloia) fanno da cornice al pregevole soffitto ligneo.

NOTE AL CAPITOLO 2

1 La morfogenesi carsica è legata alla dissoluzione del carbonato di calcio da parte di acqueaggressive ricche di acido carbonico che agiscono nel tempo su rocce carbonatiche frattura-te: le forme che ne derivano possono essere superficiali (epigee), come i solchi dei campi car-reggiati e le doline o profonde (ipogee), quali grotte, inghiottitoi, gallerie e cavità.2 Il concetto di Riserva di Biosfera, introdotto nel 1974 dal “Programma MAB - Uomo eBiosfera” dell’UNESCO, fu messo in atto nel 1976 con l’attivazione della “Rete Mondiale diriserve di Biosfera” ritenuta la componente chiave per realizzare l’obiettivo prioritario delprogramma MAB, ovvero mantenere un equilibrio, duraturo nel tempo, tra l’uomo e il suoambiente, attraverso la conservazione della diversità biologica, la promozione dello sviluppoeconomico e la salvaguardia degli annessi valori culturali. In definitiva, le Riserve di Biosferadevono preservare e generare valori naturali e culturali attraverso una gestione scientifica-mente corretta, culturalmente creativa ed operativamente sostenibile.3 Novi Velia è stato sicuramente uno dei Frourion (piccoli e strategici abitati fortificati), della

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cittadina greca a guardia della “Via del Sale” e delle miniere di ferro presenti sul MonteGelbison. Quale testimonianza storica rimane la “Porta Greca” (sec. IV a.c.), che rappresen-ta una delle strutture architettoniche più antiche e richiama l’epoca di appartenenza di Novial territorio di Elea/Velia. 4 Novi è stata residenza vescovile per il periodo che va dal 1600 al 1872. I vescovi di Capacciola utilizzavano sia come residenza estiva che come punto centrale da cui effettuare visite nel-l’ampia diocesi. Il Palazzo vescovile con i suoi portici, il cortile, l’annessa cappella di S. Pietroassieme alla ex chiesa di S. Maria dei Greci sono ancora ben conservati e di grande valorestorico.5 La torre medioevale si erge maestosa sul punto più alto del colle, a guardia e punto di rife-rimento della sottostante Valle di Novi. Ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia delpaese svolgendo nel tempo diverse funzioni l’ultima delle quali il suo utilizzo come “carce-re”. Costruita probabilmente nel X – XI secolo dai Longobardi, sicuramente riadattata daiNormanni, è di forma quadrata, costituita anche da geometrici blocchi di pietra locale cherichiamano il modo di costruire dei velini.

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La configurazione attuale del Monte Gelbison e delle circostanti areepedemontane è strettamente legata alla costituzione geologica edall’evoluzione geomorfologica del massiccio montuoso.

La lettura della storia geologica del massiccio, però, non può essere com-presa appieno se non inserita nel quadro più generale degli eventi naturaliche, nel corso di qualche milione di anni, hanno portato alla conformazionepaesaggistica e morfologica del Cilento, quale segmento tirrenicodell’Appennino meridionale e, più in generale, nella evoluzione geodinami-ca del Mediterraneo centrale. Il disegno generale del rilievo, inoltre, è ilrisultato di vicende geomorfologiche che hanno accompagnato il territoriocilentano fin dalla sua prima emersione avvenuta qualche milione di annidal presente. Volendo seguire l’approccio metaforico prospettato in premessa e l’itinera-

rio conoscitivo esposto nella introduzione, per leggere la storia del libro-montagna “Gelbison” è necessario effettuare un breve riesame degli avve-nimenti pregressi e delle condizioni al contorno che ne hanno determinatola formazione.Studiare la formazione di un massiccio montuoso nell’ambito di una catenaa falde di ricoprimento, come quella appenninica, è un processo di ricostru-zione della storia evolutiva di vasti territori e di forti spessori di crosta ter-restre (parte più superficiale della Terra, litosfera), andando a ritroso neltempo di milioni di anni, attraverso lo “svolgimento” all’indietro della pila difalde e sedimenti sovrapposti. Tale processo viene indicato come ricostru-zione palinspastica.La storia evolutiva di un’area montuosa o di una parte di essa è strettamen-te legata a due caratteri principali rappresentanti le condizioni iniziali pre-orogeniche, quello paleogeografico e quello paleotettonico da cui dipende-rà anche l’evoluzione morfologica dell’area stessa. Tali aspetti verranno diseguito utilizzati per l’illustrazione delle varie fasi che hanno caratterizzatola “storia” del Monte Gelbison e che possono essere così sintetizzate:– Paleogeografia e litogenesi– Tettogenesi ed orogenesi– Morfogenesi e neotettonica

3/ Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

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I processi di formazione delle catene montuose , nell’insieme denominatiorogenesi (dal greco: oros= montagna e ghenesis= genesi, origine), portanoin superficie rocce che originariamente si trovavano a varie profondità. Intal modo, le rocce già sedimentate e litificate nei fondali oceanici, oggi costi-tuiscono l’ossatura dei rilievi montuosi, a seguito della loro deformazione,traslazione e reciproca sovrapposizione in forma di pieghe (inarcamentodelle rocce), faglie (zona di fratturazione delle rocce con scorrimento rela-tivo tra le parti) e falde di ricoprimento (grandi masse di terreno accavalla-te le une alle altre), ad opera degli agenti endogeni (forze interne dellaTerra). Una volta avvenuta l’emersione, vengono aggredite le masse continentali sitrovano in disequilibrio rispetto alle condizioni originarie e vengono aggre-diti dai processi demolitivi ed erosivi, generalmente denominati agenti eso-geni, come degradazione, gravità, acque correnti, ghiaccio, onde, e vento,che tendono a ripristinare l’equilibrio disturbato. Il risultato di questa evo-luzione è il rilievo terrestre nelle sue forme diversificate.

3.1 Paleogeografia e Litogenesi

Il nostro viaggio nel tempo inizia oltre i 250 M.a. dal presente, alla finedell’Era Paleozoica o Primaria (vedi

Appendice “Scala dei TempiGeologici”), quando l’Africa el’Europa costituivano assieme adaltre terre un unico super-continen-te, denominato Pangea, con la pre-senza di un ampio golfo, denomina-to Paleo-Tetide, nel quale si comin-ciavano ad individuavare le zonepaleogeografiche (aree geograficherelative ad un continente con limiti

geografici diversi dagli attuali) in cui si sarebbero in seguito depositate lesuccessioni sedimentarie (metaforicamente denominate “formazioni-capi-toli”), che progressivamente hanno costituito i “libri-unità” dei massiccisilentini e, nell’insieme, la “biblioteca-catena” appenninica (Fig. 1.3). Successivamente a questa data comincia la storia geologica dell’area di inte-resse e, più in generale, del Cilento, che si sviluppa interamente nella cosid-detta “epoca alpina”, cioè nell’intervallo di tempo compreso tra il Triassico(220 M.a.) ed il Quaternario (1.8 M.a. circa-attuale). Ciò avvenne in conseguenza di due eventi geodinamici principali.

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 1.3: Situazione paleogeografica alla fine dell’Era Paleozoica (225 M.a dal presente)

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L’evento più antico, verificatosi nelTrias (220 M.a.), ha portato allaseparazione ed all’allontanamentorelativo delle zolle litosferiche con-tinentali (parti della crosta conti-nentale terrestre) europea ed afri-

cana, derivate dallo smembramentodell’unica massa continentale sopracitata, ed alla formazione di unvasto bacino oceanico, o bacinodella Neo-Tetide, compreso tra i

due blocchi , con formazione di crosta oceanica (Fig. 2.3).Durante questo periodo più antico, sulla zolla europea si verificava la depo-sizione di successioni sedimentarie di ambiente continentale (serie di stratiposti l’uno sull’altro accumulati ad opera dell’azione di fiumi o della gravi-tà) e lungo il margine africano, invece, si individuava un vasto “Promontorioafricano” (Fig. 3.3), denominato “Adria” (D’Argenio et al., 1973; 1975;Channel et al., 1979).

Lungo il margine africano siimpostano zone di marebasso e clima tropicale, deno-minati ambienti di piattafor-me carbonatiche (simili aquelli attualmente presenti

alle Isole Bahamas, al largo della Florida), separati da zone con ambiente dimare profondo, denominati bacini continentali (concavità crosta terrestreche può contenere acqua marina, lacustre e fluviale), e delimitati verso l’in-terno dal bacino oceanico (parte della crosta terrestre che include piana

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 2.3: Situazione paleogeografica all’ini-zio dell’Era Secondaria (220 M.a dal presen-te)

Figura 3.3Schema paleogeografico relativo alGiurassico inferiore (modificato daBally et al., 1994). Legenda: 1) zone di subduzione; 2) margini passivi o trasformi

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abissale, isole vulcaniche) della Tetide centrale (Fig. 4.3) Questa situazione, mantenutasi pressoché invariata fino al Cretacico medio(circa 100 M.a dal presente sulla Scala dei Tempi Geologici), è stata rico-struita con maggiore dettaglio dai “certosini-geologi”, i quali, dopo ricerchedurate diversi decenni, hanno impostato il quadro paleogeografico mostra-to schematicamente in Fig. 5.3. Tale quadro prevede la presenza, dalla zona oceanica verso il margine afri-cano, di un’alternanza di aree o domini bacinali marini ed aree continenta-li e merse. Tali domini caratterizzano diverse unità paleogeografiche: il Bacino “tirrenico”, area in cui si depositavano successioni sedimentarie,denominate “Liguridi” per la forte analogia con analoghe successioni affio-

ranti in Liguria ed in Toscana, che attualmente formano i rilevibasso collinari cilentani;

la Piattaforma carbonatica appenninica, dove, dall’internoverso l’esterno, si sedimentavano le successioni

calcareo-dolomitiche di transizione interna(denominate nell’insieme Unità del

Monte Bulgheria ed affioranti estesa-mente nell’omonimo massiccio

montuoso cilentano), il comples-so dei calcari di retroscogliera

(depositi calcarei deposti inambiente costiro allespalle di una zona difrangenza delle onde),

accorpati nella UnitàAlburno-Cervati e le successioni dolo-

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 5.3: Schema paleogeografico del margine africano dal Trias medio (250M.a) alMiocene inferiore (20 M.a.) (modificata da Mostardini e Merlini, 1988).

Figura 4.3Schema paleogeografico della Tetide intorno a 150M.a. Legenda: FNp: Faglia Nord-pirenaica; FAp:Faglia Appula; Pc: Paleogolfo calabro; Ts: Tetidesettentrionale; Tm: Tetide meridionale; Io: Areaoceanica del Paleo-Ionio. In tratteggio, i contornidella Calabria, della Sardegna e della Puglia.

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mitico-calcaree di transizione esterna (Unità della Maddalena), che costitui-scono la dorsale montuosa ad Est del Vallo di Diano; il Bacino di Lagonegro, dove si sedimentavano le successioni di bacinocontinentale denominate Unità di Lagonegro I e II, da facies sedimentarie(insieme delle caratteristiche sedimentarie, petrografiche e paleontologichedella roccia, caratteristiche dell’ambiente di formazione) di mare basso e discogliera (Formazione di Monte Facito) a quelle di mare profondo(Formazione dei Calcari con Selce e Formazione degli Scisti Silicei), affio-ranti, in Cilento, solo nei pressi di Padula e di Sala Consilina, in forma difinestra tettonica.la Piattaforma carbonatica apula, relativamente articolata in interna edesterna, separata da un piccolo Bacino Apulo, corrispondente in parte alcitato “promontorio africano”, i cui terreni affiorano attualmente nelleMurge, nel Gargano ed in Salento.Il secondo rilevante evento paleo-geodinamico fu il progressivo avvicina-mento delle zolle continentali europea ed africana e la rotazione antiorariadel “Promontorio Africano” (impercettibile nella scala dei tempi umani),che comportarono l’inizio di fenomeni di compressione ed accorciamentocrostale che determineranno, in seguito, la definitiva collisione tra le zolleed uno scorrimento trascorrente sinistro tra i blocchi continentali (zonedella crostra terrestre sullo stesso piano, ma in senso opposto), responsabi-li nell’insieme della formazione della Catena Alpina prima e successivamen-te dell’Appennino. In particolare, la convergenza tra i due blocchi cominciaa partire già dal Cretaceo medio (tra 130 e 100 M.a. dal presente), a segui-to della contemporanea apertura dell’Oceano Atlantico e dell’apertura delBacino balearico che separa definitivamente il Blocco sardo-corso ed ilComplesso Calabride dall’Europa (Fig. 6.3).

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 6.3: Schema paleogeografico delMediterraneo occidentale e centra-le tra 100 e 32 M.a.Legenda: Bl: Bacino balearico; Ka: Fronte orogenico della Kabilia; Al: fronte orogenico alpino; Ap: Fronte orogenico appenninico;Sa: Blocco Sardo-corso; Cal: Complesso Calabro.

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La progressiva chiusura del bacino della Tetide ebbe come principali con-seguenze la consunzione di materiali crostali (sia continentali che oceanici)per subduzione (zona dove avviene l’immersione della crosta litosfericaall’interno del mantello) e la creazione, lungo i margini convergenti, di unaserie di fosse oceaniche (depressioni tettoniche dove avviene la subduzioneper la convergenza di crosta continentale e/o ocenaica) o “trench”, doveavveniva la deposizione dei sedimenti e la loro deformazione e sovrapposi-zione in migrazione progressiva verso Est. Quest’ultimo processo di convergenza avrebbe portato alla progressiva for-mazione della catena appenninica a falde di ricoprimento, mentre tra ilBlocco sardo-corso ed il fronte orogenico (area più esterna dell’orogene) inavanzamento progressivo verso Est Nord-Est si formava un nuovo dominiooceanico, il “Dominio Tirrenico”, a partire da 19 M.a dal presente, ed ilComplesso Calabride (Ogniben, 1969) procedeva velocemente verso Sud-

Est (Fig. 7.3).Circa 7 M.a dal presente, nel Mediterraneo centrale si verifica una dellemaggiori fasi tettoniche che influenza fortemente la paleogeografia dell’a-rea. Infatti, mentre la catena appenninica prosegue nella sua strutturazione,segmentandosi nell’Arco Appenninico Settentrionale e l’Arco appenninicoMeridionale, il Complesso Calabride si incunea velocemente verso S-E edil Mar Tirreno si amplia, inducendo lungo il margine tirrenicodell’Appennino un regime tettonico distensivo (dove prevalgono le fagliedirette) noto come “Rifting peritirrenico” (Finetti, 1982; Doglioni, 1991),con disarticolazione e ribassamento delle falde di ricoprimento (Fig. 8.3).L’entità dei complessiva del raccorciamento crostale nel Mediterraneo cen-trale, avvenuto in circa 30 M.a., è stata valutata nell’ordine delle centinaia

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 7.3: Schema paleogeografico delMediterraneo occidentale ecentrale tra 32 e 19 M.a.

Legenda: Bl: Bacino balearico; Ka: Fronte orogenico dellaKabilia; Ap: Fronte orogenico appen-ninico;Sa: Blocco Sardo-corso; Cal: Complesso Calabro.

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di chilometri, mentre la rotazione antioraria del Sistema Fronte Orogenico-Avanfossa-Avanpaese risulta non inferiore a 60°, passando da un andamen-to originario all’incirca NNW-SSE ad un andamento finale NW-SE (Fig.9.3). In questo intervallo temporale, nell’ambito delle Avanfosse, nei bacini che

si formano progressivamente in corrispondenza della zona di subduzione, siverifica la deposizione di ulteriori successioni sedimentarie (formazioni-capitolo) che, assieme alle falde già deformate e sovrapposte precedente-mente, andranno a costituire l’ossatura della catena appenninica. In particolare, durante una delle prime fasi di avanzamento del fronte oro-

genico, si era costituito un bacino continentale di avanfossa “il bacino delCilento” compreso tra la Piattaforma appenninica lungo il margine passivo

Lineamenti geologici e geomorfologici del Monte Gelbison

Figura 8.3: Schema paleo-geografico del Mediterraneooccidentale e centrale tra 19M.a ed il presente.Legenda: Aps:Fronte orogenico appen-ninico settentrionale;Apm:Fronte orogenico ap-penninico meridionale; Sa: Blocco Sardo-corso; Cal: Complesso Calabro; Ti: Bacino Tirrenico; Pt: margine peritirrenico;Sap: Scarpata apulaSim: Scarpata ibleo-maltese.

Figura 9.3: Avanzamento delfronte orogenico da 30 M.a. all’at-tuale (modificato da Wortel eSpakman, 2000).Legenda:Adr=Mar Adriatico;Alb=mare di Alborian; Ap=Appennini; A-P= Bacino Algero-Provenzale;Bet=Betica; Cal=Calabria; Co=Corsica; Din=Dinaridi; Ion=mar Ionio; Meg=Maghrebidi; Pa= Bacino Pannonico; Rif=Rif; Sa=Sardegna; Si=Sicilia; Tyr=Bacino.Tirrenico

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esterno (area non interessata dall’orogenesi), avente il ruolo di Avampaese,ed una struttura costituita da materiale già deformato in fase di progressivoavanzamento (margine orogenico interno), in forma di “cuneo di accrezio-ne” (forma a cuneo assunta lungo la zona di fossa, regione dove si hanno duezolle in avvicinamento e una delle due va in subduzione) (Fig.10.3). E’ in questa Avanfossa Cilentana che si andavano progressivamente deposi-tando secondo particolari meccanismi sedimentari di frane e flussi detritici,denominati “torbiditi”, veicolati verso le zone di mare profondo lungo lascarpata continentale ed i canyons sottomarini del fronte orogenico tetto-nicamente attivo in avanzamento e depositati in forma di conoidi sottoma-rini (Fig.11.3).Dalla fine dell’Oligocene al Miocene inferiore-medio (22-15 M.a.), infatti,nel “Bacino del Cilento” si sono accumulati enormi quantità di materialiprovenienti dallo smantellamento per erosione dei margini continentali chelo delimitavano. Questi materiali erano costituiti da sedimenti di composi-zione differenziata: silico-clastici quelli di provenienza dal fronte orogenicooccidentale e carbonatici quelli di provenienza dal margine passivo dellapiattaforma appenninica in progressivo annegamento sotto il fronte in avan-zamento. Si tratta di frammenti rocciosi trasportati dai corsi d’acqua conti-nentali, depositati in un primo tempo sul sistema piattaforma-scarpata con-tinentale e successivamente ridistribuiti dalle correnti lungo costa e trasci-nati fino sul fondale marino sia dalle stesse correnti che da frane sottomari-ne1, convogliati dai citati canyons sottomarini o staccati dall’orlo superioredella scarpata continentale.

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Figura 10.3: Cuneo di accrezione

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Per qualche milione di anni, quindi, enormi flussi torbiditici2 (correnti ditorbida) e gigantesche frane sottomarine hanno costituito (Fig. 12.3) l’”impalcatura” del Gruppo del Cilento (Bonardi et al., 1988), noto anchecome “Flysch del Cilento” (Cocco e Pescatore, 1968).

E’ così che si deposita anche la “formazione-capitolo”denominata Formazione di Torrente Bruca

(Bonardi et al., 1988;Cieszkowski et al., 1995)che costituisce granparte del Monte Gel-bison e del rilevo mon-tuoso ad oriente di que-

sto, il Monte Centau-rino. Nell’ambito della

successione della Forma-zione di Torrente Bruca (v.

Appendice A2), si registranodiversi mega-eventi sedimentari,collegati probabilmente ad altret-tanti episodi tettonici e climatici con

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Figura 11.3: Schema paleogeografico del Bacino di Avanfossa del Cilento, modificato daCieszkowski et al.,1995; Legenda: MO: Margine orogenico; CC: Complesso Calabride; ULUnità Liguridi; US: Unità tipo Sicilide; BA: Bacino di Avanfossa= Bacino del Cilento; AP:Avampaese=Piattaforma Appenninica. MT: Megatorbiditi; TS: Torbiditi silico-clastiche. 1.Correnti silico-clastiche dei canyons sottomarini e relativi conoidi; 2. Correnti carbonatichee torbiditi; 3. Sovrascorrimenti; 4. Faglie dirette e 5. Direzione di trascorrenza.

Figura 12.3: Schema di formazione deiflussi torbiditici di scarpata (1) e di conoidesottomarino(2); CA cuneo di accezione.

CA

BA

MO

CCUL TS

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intensa attività sismica: due megatorbiditi carbonatiche (note come “MarnaFogliarina”) e due grandi frane sottomarime, denominati(“Olistostromi”),che costituiscono due delle maggiori geosingolarità delMonte Gelbison (vedi schede di approfondimento).Le prime hanno sicuramente provenienza orientale, mentre per i secondi learee sorgenti sono occidentali (Fig. 5.3), con presenza di materiale estraneoal bacino di sedimentazione, che, al Monte Centaurino, si arricchisce dibrandelli dell’antica crosta oceanica della Tetide centrale (con rocce basi-che del tipo lava a cuscini - pillow lavas-) e della relativa copertura sedimen-taria (ofioliti-rocce ignee di colore verde), “pizzicati” in uno dei cunei diaccrezione del fronte orogenico. A seguito di una delle fasi tettoniche“minori” che accompagnano la messa in posto dell’Olistostroma Superiore,quello più esteso e di maggiore spessore, la Formazione del Torrente Brucasi deforma lievemente. Successivamente su questa si sedimenta una succes-sione prevalentemente conglomeratica, in discordanza angolare (inizio diuna nuova stratificazione non parallela alla precedente) su quella sottostan-te; essa viene denominata proprio Formazione di Monte Sacro, in quantocostituisce l’intera parte sommitale del massiccio, a partire da quota 1000 mslm circa. Questa formazione-capitolo, di cui si discuterà ampiamentenell’Appendice 1, chiude la storia tettono-sedimentaria del Bacino delCilento, cioè quella parte di storia che metaforicamente abbiamo chiamatola Storia Antica o “Paleogeografia e Litogenesi”.

3.2 Tettogenesi ed orogenesi

La “vita” deposizionale dell’Avanfossa Cilentana, corrispondente al riempi-mento torbiditico del Bacino del Cilento, dura fino al Miocene medio-supe-riore, allorquando l’insieme del Gruppo del Cilento e del suo substratopaleodeposizionale corrispondente ai Complessi Liguride e Sicilide (v.Appendice 1) si accavalla sulla piattaforma appenninica che, nel frattempo,era quasi completamente annegata e sulla quale si depositava una successio-ne sedimentaria sinorogena, discordante sulle precedenti formazioni traloro concordanti ed avente il carattere prima di “wildflysch” o “facies a bloc-chi” di Piaggine e poi di bacino torbiditico minore (Arenarie di Piaggine;Castellano et al., 1997).Il regime di compressione, responsabile della tettogenesi appenninica suc-cessiva, indusse poi nel Miocene Superiore (10 M.a.), l’accavallamentodella pila formata dalle Unità prima descritte e di quelle derivate dallaPiattaforma appenninica sui terreni sedimentati nella parte più interna del

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Bacino di Lagonegro, dando vita ad un nuovo Sistema Fronte Orogenico-Avanfossa-Avampaese in progressiva migrazione verso Est e, quindi, ad unnuovo bacino torbiditico di avanfossa, denominato Bacino Irpino, di cui, inCilento, si trovano lembi residui sull’Alburno Cervati e nella Valle del Sele(Fig. 13.3).

A seguito delle successive fasi tettogenetiche, anche questa nuova configu-razione si sposta in blocco verso Est inglobando progressivamente nellefalde di ricoprimento, prima il margine esterno del Bacino di Lagonegro,rimasto prima indisturbato e, poi, la cosiddetta Piattaforma ApulaIntermedia (Fig. 14.3 e 15.3). A partire dal Pliocene medio (3 M.a.), infine, avviene l’accavallamento dellacatena appenninica, così come strutturata, sulla nuova avanfossa, denomina-ta Avanfossa Bradanica (Migliorini, 1937; Pieri et al, 1996; Ricchetti 1980;Lazzari e Pieri, 2002), formatasi a spese dell’ avampaese, formato dalla piat-taforma carbonatica apula e dalla piana batiale ionica, in progressivo spro-fondamento verso Ovest. Verso la fine del Miocene (circa 5 M.a.), forse al passaggio con il Pliocene,terminate le maggiori spinte tettoniche traslative, inizia un nuovo regimetettonico distensivo, caratterizzato da sollevamenti verticali (“uplift”) preva-lenti, accompagnati da importanti faglie recenti con rigetto3 notevole, anchese ancora non mancano segni di movimenti orizzontali, ma solo di tipo tra-scorrente.Il motore di questo sollevamento è probabilmente legato alle spinte isosta-tiche verticali cui le pile delle falde di ricoprimento, a densità minore rispet-to ai materiali del mantello sottostante, sono state soggette per la naturaletendenza all’equilibrio tra masse crostali ispessite dalla Paleotettonica com-

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Figura 13.3: Situazione all'epoca di formazione del Bacino Irpino (modificato da Pescatoreet al., 1996). Legenda: UI: Unità Interne; AB: Flysch di Albidona; PSA Piattaforma SudAppenninica; PA: Piattaforma Apula; N: Flysch Numidico; A: Argille e marne varicolori diGroppa D'Anzi; G: Galestri

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pressiva. Tali sollevamenti producono l’emersione della sequenza sedimen-taria del Gruppo del Cilento su cui iniziano ad agire i processi di modella-mento subaereo del paesaggio a cui è legata l’evoluzione polifasica dellostesso.Alla fine delle “due fasi storiche” raccontate nei due precedenti paragrafi, siè completata la complessa strutturazione litostratigrafica del MonteGelbison, che assume un assetto strutturale a piega sinclinale con l’asse leg-germente asimmetrico verso Est (Fig. 16. 3 a, b, c).

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Figura 15.3: Sezione geologica interpretativa delle prospezioni sismiche passante perMonte Gelbison (modificata da Mostardini e Merlini, 1988).

Figura 14.3: Il Cilento nel quadrodell'Italia Meridionale (modificata

da Mostardini e Merlini, 1988).

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Figura 16.3a: Carta geologica dell'area di Monte Sacro o Gelbison (modificata daAloia,1993) - Legenda: 1. Arenarie grossolane e conglomerati (F.ne di Monte Sacro)Serravalliano?; 2. Olistostroma, olistolite e megastrato di marna e fogliarina (F.ne T. Bruca)Langhiano-Burdigagliano sup.; 3. Arenarie e conglomerati alternati a livelli siltosi (F.ne T.Bruca) Langhiano-Burdigagliano sup.; 4. Conglomerati (F.ne T. Bruca) Langhiano-Burdigagliano sup.; 5. Argilliti, marne e calcilutiti (Fne. delle Crete Nere) Eocene Medio-Cretacico sup.; 6. Detriti sciolti e cementati; 7. Idrografia; 8. Strada per M. Gelbison; 9.Elementi strutturali (Faglie e grandi fratture);

Figura 16.3b: Co-lonna stratigrafica delMonte Gelbison.

Figura 16.3c: Sezione geologica schematica del monte Gelbison.

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3.3 Neotettonica e morfogenesi

Le fasi tettoniche avvenute dal Pliocene in poi e che di fatto hanno compor-tato l’emersione dell’orogene appenninico, definiscono la cosidetta “faseNeotettonica”, a cui è strettamente connessa la morfogenesi recente delMonte Sacro o Gelbison.La storia geomorfologia dell’area fin dalla sua prima emersione, è stata con-trollata e condizionata, infatti, dalla combinazione delle fasi neotettonicheplio-pleistoceniche (circa 1.5 M.a.), essenzialmente distensive e surrettive,con residui eventi trascorrenti, almeno fino al Quaternario medio-inferio-re(circa 0.12 M.a.), e degli effetti morfogenetici delle variazioni climatichequaternarie, accompagnate dalle oscillazioni glacioeustatiche del livello dibase, particolarmente efficaci nel settore territoriale prossimo alla costa tir-renica. Nell’ambito del Distretto Geologico di Monte Gelbison (sensu Guida D. etal., 1996) si possono riconoscere diversi elementi morfologici che, correla-ti a quelli più studiati e relativamente datati del vicino Monte Bulgheria,possono contribuire a delineare le tappe della evoluzione geomorfologicadell’area di interesse. A seguito della fase tettonica medio-pliocenica, rico-nosciuta a scala regionale, il paesaggio basso cilentano doveva risultareemerso con un livello di base posto intorno agli attuali 800-900 metri slme con i principali rilievi (Monte Sacro-Gelbison, Monte Centaurino eMonte Bulgheria) emergenti e caratterizzati dai lembi sommitali dell’anticaPaleosuperficie (Auctorum) del Pliocene Medio posti a quote differenziatetra 1600 e 900 metri slm attuale e raccordati alle zone di basso morfostrut-turale (poste a quota più bassa) attraverso versanti a controllo strutturaleevoluti in forma di pediment o glacis d’érosion (superficie di roccia erosa adebole pendenza che raccorda le zone montuose con quelle di pianura) ,cioè. Lembi di questa antica superficie di erosione si possono riscontrare incorrispondenza della sommità di Monte Gelbison e delle più alte cime delCilento meridionale: Monte Cervati, Monte Centaurino e MonteBulgheria, Monte Serralunga e Monte Coccovello (Figura 17.3).Una nuova fase tettonica, attribuibile al Pliocene Sup.-Pleistocene Inferiore(circa 1 M.a.) induce un uplift generalizzato dell’area, smembrando la pre-cedente superficie di erosione, incrementando il rilievo regionale di circa200-300 metri e creando le condizioni di energico smantellamento dei ver-santi di neoformazione modellati sulle successioni arenaceo-conglomerati-che del Gruppo del Cilento, anche in sinergia morfogenetica con le primefasi glaciali tardo-plioceniche. A questa fase morfogenetica sarebbe da

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attribuire la deposizio-ne dei cosiddetti Con-glomerati di Centolas.s. (Guida D. et al.,1980; Romano, 1992),estesamente diffusi siaad Ovest che a Sud delmassiccio di M. Gel-bison, fino a quotesuperiori ai 500 metrislm attuali ed il model-

lamento dei lembi di superfici morfologiche antiche presenti in forma dicrinali e di ripiani sommitali lungo i rilievi circostanti l’area in esame, lembiresidui dei pediments e dei glacis d’erosion e d’accumulation di secondagenerazione (Fig. 18.3) . Una ulteriore fase neotettonica di sollevamento(probabilmente quella di 0.7 M. a dal presente; Brancaccio et al., 1991) inne-

sca un nuovo ciclomorfogenetico chedovrebbe essereresponsabile dellosmembramento dellesuperfici deposizio-nali dei Conglomeratidi Centola al contor-no di Monte Gel-bison e del model-

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Figura 17.3: Ricostruzioneimmaginaria della situazio-ne del Cilento Meridionalenel Pliocene Superiore (1.8M.a).

Figura 18.3: Ricostru-zione immaginaria dellasituazione del CilentoMeridionale nel Pleisto-cene Inferiore (1.5 M.a.).

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lamento dei terrazzi marini alti presenti lungo la fascia costiera, che alMonte Bulgheria sono stati attribuiti appunto al Pleistocene Inferiore.Questi terrazzi sono testimoni di un livello di base generale posto intorno ai400 metri s.l.m. attuale. Nell’area in esame, in particolare, la superficie deposizionale deiConglomerati di Centola viene ribassata a gradinata verso il graben (depres-sione delimitata da faglie dirette) della valle dell’Alento (Guida et al., 1980),fino a quote inferiori all’attuale livello del mare, come testimoniato dal vastoaffioramento della formazione in corrispondenza dell’area archeologica diVelia.Ad un successivo ciclo morfogenetico sono, ancora, da attribuire lembi disuperfici morfologiche mature e lembi di probabili terrazzi marini lungo lacosta, privi di depositi, posti intorno a quote comprese fra 160 e 200 metrislm attuale, correlabili ai terrazzi marini con depositi litorali localizzati allastessa quota al M. Bulgheria, dove sono stati attribuiti al Pleistocene infe-riore-medio (Siciliano 0.8 M.a.).La energica azione surrettiva delle fasi neotettoniche medio-pleistocenichee le coeve oscillazioni glacio-eustatiche negative hanno determinato unnotevole abbassamento del livello di base dell’erosione ed il conseguenteapprofondimento del reticolo drenante, che ricalca i lineamenti strutturaliprecedenti. Infatti, i principali corsi d’acqua (Torrente Bruca, Palistro,Torna e Mennonia), lungo il versante occidentale di M. Gelbison, si impo-stano su linee di faglia ad andamento NW-SE.I processi morfogenetici che ne seguono, determinano il modellamento perslope replacement4 dei margini dei blocchi sollevati (versanti occidentali diM. Gelbison). A questo periodo sono da attribuire alcune faglie fossilizzatedai processi di modellamento presenti a Sud del M. Gelbison. Inoltre, sonoevidenti alcuni indizi geomorfici quali allineamento dei corsi d’acqua, scar-pate rettilinee e rotture di pendenze brusche che testimoniano come imovimenti tettonici hanno svolto un ruolo importante sull’evoluzione mor-fologica dell’area. Un primo tentativo di correlazione fra processi geomorfici prevalenti e leforme del rilievo relative è stato proposto da Guida et al. (1980) a cui è statoattribuito un probabile sistema morfoclimatico in un contesto cronologicoclassico alpino (Tab. 1). Gli stessi Autori hanno ricostruito planimetricamente gli scenari creatisilungo la zona pedemontana nel corso di tre stadi evolutivi (Fig. 19.3). Attraverso l’analisi di tali elaborati, si evidenzia una “singolarità” dell’area adOvest di Monte Gelbison che la rende particolarmente interessante dalpunto di vista scientifico, ma che può anche risultare di interesse didattico

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e turistico-culturale.Quest’area, infatti, può essere definita “metaforicamente”, la “valle deifiumi di pietra” (stone stream valley), vere e proprie colate di blocchi edetrito (debris flow) depositatisi a più riprese durante i periodi marcata-mente più freddi dell’attuale nelle paleovalli incise dai corsi d’acqua duran-

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Tabella I: Tabella riassuntiva dei principali eventi morfogenetici dell'area ad Ovest dimonte Gelbison (Guida et al.,1980).

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te i periodi interglaciali (più caldi), secondo un meccanismo noto nella let-teratura geomorfologia come “valley filling” (colmamento vallivo; Fig.20.3). Il più imponente “Fiume di Pietra” dell’area è proprio quello che, diparten-dosi dall’anfiteatro fluvio-nivale del T. Torna, si incunea nella stretta valletra Novi Velia e Massa, procedendo sinuosamente verso l’attuale Vallo dellaLucania e raggiungendo la bassa valle del T. Badolato, nei pressi di Pattano(Figura 21.3).Il progressivo sollevamento regionale e le oscillazioni glacioeustatiche del

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Figura 19.3: Ricostruzione di sequenzemorfoevolutive del paesaggio ad Ovest dimonte Gelbison dallla situazione attuale alQuaternario (modificato da Guida et al.,1980).a) Stadio III: Attuale; b) Stadio II: Pleistocene Medio; c) Stadio I: Pleistocene Inferiore.

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livello del mare, conconseguente appro-fondimento erosivodelle valli, hannoindotto una singolaresequenza evolutivalungo i principali siste-mi vallivi (T. Badolatoe F. Palistro) che vasotto il nome di“inversione del rilie-vo” (Figura 22.3 a, b,c, d, e), durante laquale quello che pre-cedentemente era ilfondovalle (basso mor-fologico) diventa, suc-cessivamente, crinalemorfologico (alto mor-fologico) e viceversa.Per quanto riguardal’area di interesse

della presente Guida, la Carta Geomorfologica (t.f.t.), appositamente redat-ta, riporta le principali forme del rilievo connesse alle zone sorgenti (zonedi alimentazione) del materiale, le forme di trasporto in massa e le formedeposizionali, legate alla morfodinamica periglaciale dei grandi ventagli ditestata dei corsi d’acqua citati, che ha prodotto quantità di materiale gros-solano per degradazione crioclastica e trasporto per meccanismi gravitatividel tipo debris flow (colate detritiche).Sono presenti, inoltre, lungo il versante occidentale del Monte Gelbisonaltre forme paraglaciali e nivali: nicchie di nivazione e rock glaciers (cfr.Carta Geomorfologia t.f.t.).Se le forme erosionali e deposizionali fin qui descritte sono le espressionispaziali dei processi legati alle fasi fredde del Pleistocene, sul MonteGelbison si riscontrano anche forme legate a fasi climatiche passate più

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Figura 20.3: Esempio diStone Stream e BoulderStream in altri contestigeografici.

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Figura 21.3: Stone Stream del T. Torna tra Novi Velia e Vallo della Lucania, da Tempa dellaRosalia. Le linee tratteggiate delimitano il corpo detritico che mostra un evidente andamen-to canalizzato.

Figura 22.3: Esempio schemati-co di "inversione del rilievo" conricostruzione delle diverse fasievolutive; a) deposizione dei Conglomerati

di Centola per valley fillinglungo assi vallivi sviluppati su unapaleomorfologia corrispondenteal piedimonte occidentale dimonte Gelbison; b): reincisione leterale del corpodeposizionale originario; c) instabilizzazione dei versantilaterali alle reincisioni e redistri-buzione in fondovalle con appor-ti trasversali sia dei materiali difrana dalle successioni argilloso-marnoso che dei materiali didegradazione ed erosione deiConglomerati di Centola nellanuova posizione di alto morfolo-gico relativo; d) ulteriore fase di valley fillingcon apporti detritici longitudinaliin forma di Stone streams oBoulder streams;e) ulteriore fase di reincisione

laterale degli Stone streams.

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calde rispetto a quella attuale.La testimonianza geomorfologica più evidente è costituita da forme simili aiTors, considerate forme di esumazione [Scheda n.3] di ambiente non-gla-ciale con associate delle caratteristiche strutture alveolari (Fig. 23.3a, b). Mentre l’ evoluzione quaternaria procedeva e modellava il paesaggio delMonte Gelbison con alternanza di fasi morfogenetiche fredde e tempera-

te/calde, il volume del rilievo montuoso si riduceva progressivamentesoprattutto lungo i versanti bordieri e nei grandi anfiteatri di testata valliva,come quello del T. Torna.La particolare struttura geologica “multistrato” del Monte Gelbison, carat-terizzata da una successione sommitale, corrispondente ai conglomerati instrati e banchi della Formazione di Monte Sacro, poggiata sulle litologieprevalentemente argillose dell’Olistostroma Superiore (vedi fig. 16.3), haindotto rilevanti deformazioni viscose nell’ambito di queste ultime, aventiun comportamento prevalentemente duttile, con la creazione di una tipicastruttura a doppie creste, tipo “double-sided compound-sagging” (Varnes,1978) associato a lateral spreading ed insaccamenti di vetta tipo trench(Figura 24.3 a e b) .

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Figura 23.3: a) Tor e b) strutture alveolariassociate

ab

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Figura 24.3: Insaccamento di vetta al Monte Gelbison associato ad espansione laterale("lateral spreading") (frecce rosse) della successione conglomeratica sommitalesull'Olistostroma Superiore. Le linee rosse indicano discontinuità strutturaliche hannoaccompagnato l'espansione laterale. a) foto; b)schema grafico.

a

b

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NOTE AL CAPITOLO 3

1 Questo fenomeno sedimentario si verifica attualmente nei nostri mari, non visibile all’oc-chio umano: i sedimenti deposti sui fondali vengono compattati dal peso stesso del materia-le sovrastante che si impila l’uno sull’altro, diventando così vera e propria roccia (processo didiagenesi e litificazione).

2 Le correnti di torbida sono correnti marine ad alta densità originate dalla messa in sospen-sione di grossi volumi di sedimenti accumulati sui margini del bacino. Queste correnti simuovono sott’acqua anche per centinaia di chilometri fino a quando perdendo energia,depositano gradualmente il carico di sedimenti (strati torbiditici e/o strato pagina del libro distoria naturale). Ogni strato torbiditico si presenta gradato e costituito da una coppia di mate-riale grossolano alla base (sabbia cementata) e più fine verso l’alto pelite (limo e argilla).

3 Il sollevamento pleistocenico massimo è stimato dell’ordine di 1200 metri in base alle quoteraggiunte da depositi marini del Pleistocene inferiore e di epoche successive, in massimaparte dovute a cause tettoniche, benché intervengano a determinare l’elevazione dei depo-siti altre cause, come i movimenti eustatici legati alle oscillazioni del mare durante le glacia-zioni quaternarie.

4 Il modello di slope replacement prevede la sostituzione di un versante acclive originario lacui sommità arretra parallelamente all’andamento originario, con un versante a pendenzepiù attenuate modellato sia su roccia che sul detrito proveniente da monte.

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4.1. Caratteristiche climatiche generali

La struttura del Monte Gelbison, per la sua particolare posizione geografi-ca e situazione orografica, presenta caratteri climatici complessi. Questacomplessità deriva, peraltro, da fattori molteplici quali l’orientamento dellecreste montuose, l’altimetria massima e l’orientamento prevalente dei ventiche convogliano le masse di aria umida provenienti dal mar Tirreno. In particolare si registra una certa asimmetria climatica tra il versante occi-dentale più mediterraneo e quello orientale più tipicamente temperato-umido, anche se l’intero territorio risulta riferibile al clima delle montagnemediterranee, con estati calde e asciutte ed inverni piovosi e temperati. Leprecipitazioni, peraltro, seguono un andamento tipicamente stagionale, convalori massimi nel periodo novembre-febbraio, medi tra marzo-maggio e insettembre-ottobre e minimi nella lunga estate mediterranea che corrispon-de ai mesi di giugno, luglio e agosto.Al fine di evidenziare i caratteri climatici nell’area sono stati analizzati i datipluviometrici relativi alle stazioni di Casalvelino (225 m), Castelnuovo C.to(300 m.), Stella C.to (370 m.), Vallo della Lucania (380 m), Roccagloriosa(501 m), S.Sumino (518 m.); ciò ha consentito di “tarare” l’andamento dellarelazione lineare piovosità ed altitudine (P/h) ai fini della determinazionedelle precipitazioni in corrispondenza delle porzioni di territorio situato allequote medio – alte (Aloia, 1993). Dall’analisi dell’andamento delle precipitazioni si evince che l’area è carat-terizzata da un tipico clima mediterraneo, con i mesi invernali più piovosied i mesi estivi più asciutti e che le precipitazioni sono maggiori nelle zoneubicate ad alta quota (per Vallo della Lucania 1225 mm/a, oltre i 2000 mm/aper la vetta del Monte Gelbison). La media annuale delle precipitazioni èstata valutata per un periodo d’osservazione di 50 anni. Si sono avuti anchelunghi periodi di scarse precipitazioni con punte massime di ben 120 gior-ni senza pioggia nel periodo estivo (Fig. 1.4).Da registrare infine, in merito al dato “aridità”, la tendenza manifestatasinegli ultimi decenni a una dilatazione del periodo di latenza delle precipi-

4/ Le risorse ambientali e geologiche

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tazioni e la concomitante azione dei venti prevalenti, che nei mesi secchisono quelli relativi ai quadranti meridionali. Per quanto concerne la temperatura (T) sono stati esaminati i dati registra-ti nelle stazioni di Casalvelino (225 m.), Capaccio (450 m), Palinuro (184 m)e Morigerati (300 m). L’andamento termico evidenzia un clima di tipo medi-terraneo con medie annuali di 16,5 °C, 13,7 °C, 17 °C e 15,8 °C rispettiva-mente per le stazioni di Casalvelino, Capaccio, Palinuro e Morigerati (inperiodo di osservazione di 50 anni). Dalla relazione lineare temperaturadell’area al suolo ed altitudine (T/h), la temperatura media annua, nell’areain studio, oscilla tra i 10,4°C delle quote più basse (abitato di Novi Velia) edi 2°C nella zona di vetta del Monte Gelbison (1700 m.slm.). La temperatu-ra media presenta, in genere, valori inversamente proporzionali all’entitàdelle precipitazioni. Assai più che la asimmetria di versante, o meglio d’e-sposizione, risulta significativa sul Monte Gelbison l’altimetria, che nellediverse stagioni fa registrare notevoli differenze tra il fondovalle e le vette.La Fig. 2.4 mostra l’andamento delle linee di uguale evapotraspirazionereale media annua (evaporazione dell’acqua attraverso il suolo e le piante),un parametro strettamente connesso all’andamento termometrico.

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Figura 1.4: Carta delle isoiete annue.

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Un cenno, infine, merita l’innevamento della montagna. Il fenomeno pre-senta un’entità rilevante alle massime quote soprattutto nei mesi di gennaioe febbraio. Le precipitazioni nevose interessano in questa fase l’intera fasciaaltimetrica superiore ai 1000 m di quota, giungendo eccezionalmente adinteressare anche il livello collinare. La copertura nivale, specie alle quotepiù elevate, si mantiene in media per 4/5 mesi, sino a primavera inoltrata,condizionando il tipo d’alimentazione ritardata dell’acquifero conglomerati-co (serbatoio naturale di roccia che trattiene l’acqua e la restituisce attraver-so le sorgenti).

4. 2 Idrografia

Le condizioni generali geologiche e morfologiche (permeabilità piuttostobassa ed elevate pendenze) favoriscono il ruscellamento diffuso e concen-trato, quindi creano un reticolo idrografico ben sviluppato. Il versante occi-dentale del Monte Gelbison è solcato, infatti, da una serie di torrenti tribu-tari del Fiume Alento: il T.Torna, il T. Palistro, il T. Mennonia, il T.

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Figura 2.4: Carta della evapotraspirazione.

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Nocellito, il T. Badolato, ed il T. Fiumicello. Specialmente nella parte doveaffiorano le rocce più resistenti all’erosione (conglomerati) si può notare unandamento susseguente dei tracciati fluviali che seguono molto spesso lineedi faglia e di frattura con direzione NW-SE (Fig. 3.4).

Osservando la montagna dall’abitato di Novi Velia o dal punto panoramicodi T.pa della Rosalia si nota una serie di incisioni (valloni montani) che,creando un anfiteatro naturale (bacino imbrifero) delimitato nella partesommitale (in direzione N, E, S) dalla cresta del Monte Gelbison, sembra-no rincorrersi fino a raggiungere l’asta drenante principale del T. Torna . Traquesti va menzionato il Vallone Caricaturo che, tra i ciclopici blocchi con-glomerati, crea delle cascate caratteristiche e degli ambienti naturali unici. Il regime delle portate è legato sia agli apporti delle acque sorgive distribui-te mediamente intorno alla quota di 1000 m.slm (vedi paragrafo successi-vo), che garantiscono un discreto deflusso di base1, sia alle precipitazionimeteoriche che alle nevi.

4. 3 IdrogeologiaPer le peculiarità geologiche descritte nel paragrafo precedente, il massic-cio di Monte Gelbison assume caratteristiche idrogeologiche notevolmente

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Figura 3.4: Carta del reticolo idrografico del settore occidentale del Monte Gelbison

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differenti da quelle degli altri rilievi costituiti dalle successioni del Gruppodel Cilento tanto da costituire un complesso idrogeologico (insieme di rocceche hanno le stesse caratteristiche di permeabilità) a se stante (Fig. 4.4). I conglomerati della Formazione di Monte Sacro, che costituiscono l’ossa-

tura del massiccio, hanno un grado di permeabilità più elevato ed un tipo dipermeabilità per porosità (basso grado di cementazione della roccia) e perfratturazione (reticolo di fratture ben sviluppato). Queste caratteristicheconferiscono alla formazione di M. Sacro un’attitudine all’infiltrazione mag-giore delle altre formazioni della successione terrigena, e soprattutto, diver-se modalità di circolazione idrica sotterranea. La struttura idrogeologica di Monte Gelbison è condizionata dai rapportigeometrici delle formazioni precedentemente descritte. In particolare, alMonte Gelbison si osserva la sovrapposizione dei terreni della Formazionedi M. Sacro, prevalentemente conglomeratici e permeabili per porosità e

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Figura 4.4: Stralcio della Carta Idrogeologica (Celico et al., 1978)

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fessurazione, a quelli argilloso-marnosi (olististroma) che, avendo un gradodi permeabiltà notevolmente inferiore, costituiscono l’impermeabile dibase. Il contatto tra questi due gruppi di terreni ha un andamento sinclina-lico a più assi di piegamento (le rocce sono piegate con la concavità versol’alto), tale da conferire all’intera struttura la forma di un “catino” e permet-tere così l’immagazzinamento di riserve idriche permanenti. Lo stesso con-tatto tra queste due formazioni a diversa permeabilità relativa si ritrova aquote inferiori sul lato occidentale (territorio comunale di Novi Velia), inquesto modo l’acqua immagazzinata nell’acquifero conglomeratico traboc-ca da questa parte attraverso le importanti emergenze sorgentizie (in granparte captate), classificabili per soglia sottoimposta all’acquifero (Fig. 5.4). Tale disposizione delle emergenze, quindi, fa presupporre un deflusso pre-ferenziale della falda verso occidente e uno spostamento dello spartiacque

sotterraneo(ele-mento geometri-co, in questo casole rocce imper-meabili quali l’o-listostroma, checondiziona ildeflusso delleacque sotterra-nee) verso orien-te (Fig. 6.4). Va, inoltre, evi-denziato, chesulla scorta diconoscenze stra-tigrafiche e strut-turali sono stateindividuate, nel-l’ambito dellastruttura idrogeo-logica di Monte

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Figura 5.4 Carta idrogeologica dell’area di Monte Gelbison (modificata da Celico etal.,1993). Legenda: 1. Complesso conglomeratico; 2. Complesso marnoso argilloso; 3.Complesso arenaceo-conglomeratico; 4. Complesso argilloso; 5. Complesso detritico; 6.Sorgenti; 7. Direttrici del deflusso idrico sotterraneo; 8. Limite del bacino sotterraneo; 9.Idrografia; 10. Strada per M. Gelbison; 11. Traccia di sezione.

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Gelbison due substrutture o bacini sotterranei (Celico et al., 1993).La substruttura settentrionale interessa gran parte dell’affioramento con-glomeratico ed è delimitata a W, N ed E dal limite di permeabilità che sepa-ra il complesso conglomeratico da quello argilloso marnoso, mentre a Sudda uno spartiacque sotterraneo decorrente, in senso SW-NE, lungo la fagliapassante immediatamente a Nord di Monte Scuro. Proprio in corrispon-denza di questo lineamento tettonico l’impermeabile si trova a quote piùelevate, circa 1300 m. sul lato orientale e 1100 m. sul lato occidentale (Fig.5.4). La substruttura meridionale di più modesta entità è delimitata a Norddallo spartiacque sotterraneo prima descritto ed a W, S ed E dal limite dipermeabilità che separa il complesso conglomeratico da quello argillosomarnoso.I calcoli idrogeologici effettuati sull’area hanno permesso di stimare unCoefficiente di Infiltrazione Potenziale (C.I.P.) (cioè la percentuale delquantitativo di acqua che si infiltra nelle rocce) pari al 27% corrispondentea circa 9 milioni di mc/anno (Celico et al., 1993) (Tabella 1.4).

4.4 Aspetti vegetazionali e faunistici

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Precipitazioni(P)

Evapotraspirazione(ER)

P-Er Infiltrazione(I)

C.I.P.

39,7*106

m3/anno6,7*106

m3/anno32,9*106

m3/anno8,8*106

m3/anno27%

Tabella 1.4: Tabella del bilancio idrogeologico del monte Gelbison (Celico et al, 1993).

Figura 6.4 - Sezione idrogeologica schematica (Aloia, 1993). Legenda: 1. Complesso con-glomeratico; 2. Complesso marnoso argilloso; 3. Complesso arenaceo-conglomeratico.

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La diffusione per tipologia e specie del manto vegetazionale di un territorioè regolata e condizionata dalla natura geologica del terreno e, soprattutto,dai fattori meteo climatici quali temperatura e piovosità. Infatti, la distribu-zione della vegetazione non è mai casuale e, senza considerare la direttainfluenza dell’uomo, assume aspetti differenti anche in funzione della lati-tudine, dell’altitudine e della esposizione del versante di riferimento (nellefasce submontana e montana). Ne è un esempio il bosco di faggi del MonteGelbison che estende il proprio dominio in maniera differenziata lungo idue versanti (est-ovest) (fig.7.4). In Italia si distinguono due “zone bioclimatiche” (Pignatti, 1982), la zona

Medioeuropea (Alpi, Padania, versante settentrionale Appenninico dallaLiguria alla Romagna) e la zona Mediterranea (Penisola, isole).All’interno delle zone gli aspetti della vegetazione non sono in genere com-plessi e si strutturano in “fasce vegetazionali” distribuite in sequenza altitu-dinale ed a quote che dipendono dalla latitudine di riferimento. Lo studiodelle fasce viene fatto quasi sempre identificandole con le comunità foresta-li stabili quali boschi e foreste. Per quanto concerne il territorio del Parco Nazionale del Cilento e Vallo diDiano, esso si inquadra in un più ampio contesto territoriale che, sia pure

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Figura 7.4 Panoramica del M. Gelbison. Le varie tonalità di verde sottolineano le diversefasce vegetazionali.

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appartenente alla “zona italiana Mediterranea”, si adatta alla variabilità deifattori climatici responsabili della formazione di complessi vegetazionali(fasce) all’interno dei quali si diversificano subunità fitoclimatiche per effet-to della geomorfologia, della composizione del substrato litologico e dell’a-zione dell’uomo.Tra le subunità fitoclimatiche vegetazionali presenti nella regione italiana, ilterritorio del Parco ne annovera tre: 1) fascia montana o subatlantica checoincide con le faggete; 2) fascia collinare o submontana che coincidecon i querceti collinari; 3) fascia litoranea che coincide con la linea più ameno larga della costa. Il Monte Gelbison, per la sua particolare posizione geografica e per i suoicomplessi aspetti climatici correlati all’orientamento dei crinali principali esecondari, all’altimetria massima, all’orientamento prevalente dei venti checonvogliano le masse di aria umida provenienti dal mar Tirreno, costituisceuno dei più importanti complessi biogeografici dell’Italia Meridionale. Essorappresenta per la notevole varietà di ambienti che nasconde e protegge, unampio mosaico di biodiversità ancora da studiare e comprendere. La sco-perta e la identificazione della Minuartia moraldoi, quale specie endemi-ca (il cui areale è presente in un solo territorio ben definito) del MonteGelbison (vedi scheda n. 8), è solo uno degli esempi di “endemismo” chetrovano modo di vivere negli innumerevoli microambienti. Il Cilento ed ilMonte Gelbison, che ne costituisce l’anima, danno vita ad un’ampia varia-bilità vegetazionale con presenza di specie rare ed interessanti, molte dellequali sono esempi di endemismo: la conosciutissima Primula Palinuri, iboschi di Ontano napoletano (Alnus Cordata –Loisel), le numerose sassifra-ghe e la menzionata minuarta. I pochi Km che uniscono le coste al cilentointerno possono diventare, ripercorrendoli, ottimi laboratori di biodiversitàconiugando specie del cilento costiero a specie tipiche del settore submon-tano e montano. La vicinanza del Monte Gelbison al mare ed il clima temperato, soprattut-to nel versante ovest, fanno si che la vegetazione mediterranea (macchiamediterranea) si spinga fin sotto le pendici e non è raro trovare piante qualil’Erica (Erica arborea), il Mirto (Myrtus communis), il Cisto (Monspeliensise salvifolius), che si integrano e confondono con quelle tipiche del settorepedemontano. Solo la presenza, oltre una certa quota, dei boschi di faggiocontribuisce a determinarne le caratteristiche appenniniche (ad esempiofasce altimetriche con una stessa vegetazione). Dal mondo delle specie arbustive ed arboree tipiche della macchia mediter-ranea si passa ad ambienti che registrano varietà di boschi, dove i quercetirappresentano la tipologia dominante e più numerosa. Boschi che raramen-

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te presentano caratteri di sviluppo naturale visto il loro utilizzo periodicocome fonte di legna (boschi cedui). Le piante hanno per questo sviluppatouna grande capacità di produrre nuovi polloni (fusti che si originano dallabase del tronco tagliato).Sempre più spesso i boschi assumono carattere di “bosco misto” in quanto,non di rado, alla specie predominante si accompagnano individui di specieaffini e non, spesso semplici testimonianze di antiche e diverse diffusioni. La distinzione in fasce montana e submontana è ancora il migliore modoper mettere in evidenza caratteri, tipi e particolarità della vegetazione.Dal punto di vista faunistico va evidenziato, invece, che gli animali, diretta-mente (erbivori) o indirettamente (carnivori), sono legati alla vegetazionesecondo relazioni che possono diversificarsi a seconda dei rapporti qualiricerca di cibo e/o ricerca di un ambiente idoneo alla riproduzione. Tra glierbivori distinguiamo specie monofaghe (che si nutrono solo di una deter-minata specie vegetale) e polifaghe (che vivono a carico di più specie vege-tali). La loro diffusione, più o meno vasta, segue quella delle specie vegeta-li alle quali sono legate; chiaramente le specie polifaghe dimostrano unacapacità di adattamento migliore ed hanno la possibilità di divenire cosmo-polite occupando un territorio più vasto. Al contrario, le specie monofaghe(soprattutto insetti), data la loro stretta relazione con una o poche specievegetali, legano la loro vita alla prosperità delle piante nutrici e si distribui-scono in genere in un territorio meno vasto. Biotopi di piccoli dimensionirappresentano la norma, per un territorio come quello del Monte Gelbison,data la estrema variabilità di microclimi che lo caratterizzano. Lo studiodella fauna, che completa la biocenosi di un biotopo e l’insieme dei suoi rap-porti con l’ambiente (ecologia), si presenta particolarmente interessante sefinalizzato alla scoperta di specie, soprattutto invertebrate, che popolanotali ambienti; fiumi e ruscelli, rupi e boschi fitti, ospitano altrettante comu-nità faunistiche dove, non di rado, emerge la presenza di specie di alto valo-re naturalistico. Questi ambienti, a mano a mano che si sale verso l’altamontagna coperta di boschi, consentono alla fauna di differenziarsi a secon-da dell’altitudine e delle diverse comunità vegetazionali. Va da se, tuttavia,che le culture intensive, il disboscamento con la relativa erosione delle pen-dici, la caccia eccessiva e l’uso indiscriminato di potentissimi insetticidihanno estremamente depauperato la fauna anche della nostra montagna. Disicuro essa non è molto diversa da quella presente sulle altre montagnedell’Appennino meridionale. Solo occhi esperti riescono ad individuarealcuni tra gli animali più caratteristici della fauna italiana, tra i quali è faci-le trovare specie il cui areale di diffusione è limitato al massiccio montuosodel Monte Gelbison e/o monti limitrofi.

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4.5 FLORA

L’abitato di Novi ricade nella zona altimetricamente più bassa (600-800m.slm.) dell’area studiata, e pertanto in una subunità fitoclimatica o “fasciavegetazionale submontana”. Le zone limitrofe collinari sono ricoperte daboschi misti che hanno lasciato il posto a coltivazioni d’ulivo, che costituiscela specie vegetazionale più tipica e caratterizzante dell’area di Novi.Essendo però una pianta coltivata e, come tale, soggetta a modificare,soprattutto per l’azione dell’uomo, il suo “areale”(distribuzione geografi-ca), risulta più conveniente, ai fini di una descrizione fitoclimatica, far rife-rimento ad un tipo più spontaneo di vegetazione forestale. Il bosco diRoverella (Quercus pubescens Willd) è quello più diffuso e si accompagnacon piante quali Frassini (Fraxinus ornus), Lecci (Quercus ilex), Acericampestre (Acer campestre), Carpini (Ostrya carpinifolia). L’aumento diquota trasforma il bosco di roverella in una ambiente caratterizzato da con-dizioni di boscaglia cedua con infiltrazioni diverse, a seconda della posizio-ne climatica più o meno favorevole, di elementi della macchia mediterraneache si spingono ad altitudini anche superiori a 800 metri. Di notevole importanza sono i numerosi microambienti fluviali ricchi divegetazione ripariale “igrofila” (che necessita di continua disponibilità diacqua). Il clima umido creato dal torrente Torna ha consentito, tra gli 800 ei 1300 metri di altitudine e al di sotto della fascia inferiore del faggio, unacrescita di boschetti di Ontano (Alnus cordifolia o cordata) che è elemen-to endemico di notevole bellezza. Nel piano submontano si osservano numerosi boschi di castagno (Castaneasativa), la cui diffusione, favorita dall’uomo, caratterizza ampi spiazzi lungoquasi tutti i versanti. Si incontrano sia boschi cedui che castagneti da frutto. Il sottobosco mostra, assieme alla Ginestra dei carbonai (Sarothamnusscoparius), un tappeto folto di Felce (Pteridium aquilinum) che a fineinverno e in primavera si presenta color rosso rame, vivificato dal verdechiaro dell’Elleboro fetido (Helleborus foetidus), dalle stelle cerulee e rosa-te degli anemoni (Anemone sp.), dalle fiammelle rosa violacee dei Crochiprimaverili (Crocus longiflorus) e da frequenti arbusti di Biancospino(Crataegus monogyna).Il piano montano, dove il clima diventa fresco e umido, è dominio incontra-stato del Faggio (Fagus selvatica) che si raccoglie in maestose faggete chericoprono quasi uniformemente tutta la cima del Monte Gelbison (fig. 8.4). Il Tasso (Taxus baccata) albero molto affine per indole e storia al faggio,cresce qua e là all’interno della faggeta, anche se la sua diffusione ha risen-tito dell’opera decimatrice dell’uomo.

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Ha significato assai simile a quello del Tasso l’Agrifoglio (Ilex acquifolium)che nella nostra montagna si presenta ancora oggi come pianta arbustivadominante e fedele accompagnatrice del faggio, che imprime con il suofogliame lucido e spinescente una singolare fisionomia ed un caratterearcaico al bosco. Lo si trova anche ad altitudini superiori ai 1500 metri.Tassi e agrifogli sono nella nostra vegetazione relitti e testimoni di altriperiodi climatici.Quello che una volta rappresentava un endemismo della fascia appenninicatirrenica calabro campana, lo si può ancora trovare sotto forma di individuiisolati all’interno della faggeta ed alle quote anche massime. Parliamodell’Acero lobelliano (Acer lobelii); esemplari di notevole bellezza sonofacilmente individuabili tra i faggi della cima del monte. Biotopi di notevole importanza sono presenti lungo gli itinerari. Tra i 1300e i 1500 metri, nel versante assolato sono frequenti le radure nelle quali lavegetazione erbacea ed arbustiva è prevalente e la presenza di specie diver-se di orchidee diventa elemento naturale. Il prato erboso si arricchisce dianemoni, ranuncoli, campanule, arbusti di biancospini, lamponi e fragolinedi bosco, specie aromatiche.Ancora a 1600 m, tutt’intorno alle strutture del Santuario, la presenza disalici astati, peri corvini, aceri, ornielli e sorbi montani creano una

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Figura 8.4: Schema delle fasce altimetrico-vegetazionali

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cornice unica e di grosso interesse floristico.Non è difficile notare come questi alberi si siano insediati tra le fessure deiconglomerati a costituire associazioni vegetali particolari (vedi scheda n. 6).

4.6 FAUNA

Le acque del torrente Torna offrono ospitalità a tutti i nostri principali anfi-bi, anuri, urodeli sia come presenza di individui adulti che nelle loro formedi uova e larve, che nelle acque fresche ed ossigenate del torrente stessotrovano ambienti ideali per il proprio sviluppo. Il Tritone italiano (T. italicus; 5-8 cm) detto anche “salamandra acquaiola”che fuori della stagione degli amori (gennaio-maggio) conduce spesso vitasotterranea (vedi scheda n. 9). Salamandre (Anfibi) che sono state osservate ad altitudini elevate (al disopra dei 1500 m);Il rospo comune (Bufo-bufo) è il più grosso (8-13 cm) ed è uno dei piùcomuni e diffusi anuri. Frequenta le nostre zone montane ed è facilissimotrovarlo nel periodo della “fregola” in marzo-aprile, quando si reca all’ac-qua, nelle pozze, nei torrenti ove le femmine depongono cordoni di uovalunghe anche oltre un metro. Nelle altre epoche dell’anno è più difficile tro-varlo in quanto conduce vita solitaria. Il suo aspetto inconfondibile è dovu-to alle dimensioni, alla forma tozza, alla presenza dietro gli occhi di duegrossi rilievi ghiandolari, la pelle verrucosa è di colore bruno, olivastro, gri-gia. Raramente si può ancora trovare il Rospo verde (Bufo-viridis), lungo 7-9 cm, più agile e vivace anche se predilige di più le zone di media altitudi-ne.È presente la raganella (Hyla arborea) che conduce vita arboricola per lamaggior parte dell’anno e si reca all’acqua solo per la “fregola nei mesi diaprile maggio, con le uova deposte in piccoli ammassi. Tra le rane (tuttedepongono le uova sotto forma di grossi ammassi) vi è la comunissima Ranaverde (rana esculenta), che di regola possiamo trovare al di sotto dei 1500metri, la Rana temporaria ( Rana temporaria), la Rana greca (R. Greca) e larana Agile (R. dalmantina). Peraltro tutte queste specie, tra loro distingui-bili solo dagli specialisti, frequentano le acque esclusivamente nei periodi difregola (febbraio-aprile). I mammiferi erbivori trovano, tra i propri rappresentanti, il Cinghiale (Susscrofa) che è stato una fra le selvaggine più diffuse che popolavano la nostramontagna alla quale, assieme al Lupo (Canis lupus), dava quel carattere

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malsicuro che condizionava pesantemente la economia pastorale che, untempo, era il modo di sussistenza più importante della economia dei nostriborghi. Attualmente, sempre assieme al lupo, che sembra essere riapparsosui nostri monti, questo artiodattile non ruminante, le cui principali armidi difesa e di offesa sono rappresentate dagli incisivi trasformati in zanne, sirinviene facilmente anche se per una specie non autoctona frutto di unapoco attenta fase di ripopolamento.Tra i mammiferi carnivori troviamo: la Volpe (Vulpes vulpes) animale pres-soché ubiquitario più presente nei dintorni del centro abitato che in mon-tagna; la Donnola (Mustela nivalis), il più piccolo dei nostri mustelidi; laPuzzola (Mustela putorius), ancora comune; la Faina (Martes foina); ilTasso (Meles meles) dalle forme tozze e dalla robusta dentatura.Sulla vetta e sulle rupi montane è frequente la Lepre appenninica (Lepuscorsicanus); la presenza è biologicamente importante in quanto rappresen-ta popolazioni autoctone appenniniche oramai estinte altrove. È’ presenteanche il Falco pellegrino (Falco peregrinus), il Lanario (Falco biarmi-cus), il Corvo imperiale (Corvus corax) ed il Gracchio corallino(Pyrrhocorax pyrrhocorax).Tra i pascoli è facile osservare, invece, l’arvicola del Savi (Microtus savii),un piccolo roditore erbivoro predato dalla Volpe, dalla Martora (Martesmartes). Tra la ricca avifauna delle foreste di faggio le specie più tipiche sono ilPicchio nero (Drycopus martius), il Picchio muratore (Sitta europaea) eil Ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula), mentre di grande interesse è la presen-za dell’Astore (Accipiter gentilis), uccello rapace la cui distribuzione è indeclino. Sugli alti alberi vivono anche mammiferi come il Ghiro (Myoxusglis) e il Quercino (Eliomys quercinus), mentre altri piccoli roditori fre-quentano tane scavate tra le radici, come nel caso dell’Arvicola rossastra(Clethrionomys glareolus), o tra le piccole radure che si aprono nei boschi.

4. 7 Geositi e geodiversità

II termine geosito è una forma abbreviata che sta a significare sito geolo-gico, che può essere considerato approssimativamente equivalente al ter-mine geotopo. II termine geosito può essere utilizzato in molti contesti: siaper affioramenti superficiali circoscritti, miniere e simili, che per elementiisolati con caratteri notevoli (monumenti geologici nella vecchia accezione),sia per gruppi di siti o territori di maggiore estensione.

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Tale definizione è stata ulteriormente precisata nell’ambito del gruppo dilavoro che sta elaborando la struttura generale del progetto Geosites per ipaesi del Nord Europa. Per questi autori un “geosito” è un’area o una loca-lità che rappresenta in modo esemplare eventi geologici, geomorfologici eregionali; la storia, lo sviluppo e i rapporti geologici, rivestendo la funzionedi modelli per un’ampia fascia di territorio o a livello globale. Un geosito èdi eccezionale importanza primariamente in base al contesto scientifico eculturale (in quanto in grado di fornire un contributo indispensabile allacomprensione della storia geologica di una regione, stato o continente) maesso riveste grande interesse anche in relazione al paesaggio, alla biodiver-sità, all’educazione, alla ricreazione, così come per motivi economici.Stando alla definizione del gruppo di lavoro sulla protezione dei geotopi neipaesi di lingua tedesca, il termine “geotopo” descrive la più piccola unitàspaziale, geograficamente omogenea (parti di paesaggio con caratteri estruttura relativamente uniformi). Sulla base di tale presupposto i geotopi rappresentano quelle parti dellageosfera che sono riconoscibili o accessibili sulla superficie terrestre, sonospazialmente limitati e chiaramente distinguibili dalle zone circostanti inrelazione a caratteri e processi geologici e morfologici definiti. In tale con-testo, il termine “geotopo” può assumere la stessa funzione che il termine“biotopo” ha per la pianificazione territoriale e la protezione della naturaCon il termine “geotopi” e “biotipi” s’intendono quei siti che, per la lorosingolarità geologica e floro-faunistica, costituiscono un patrimonio natura-le di particolare valore scientifico e didattico, tali da essere anche oggetto difruizione per la collettività. Nel complesso i geotopi ed i biotipi possono avere carattere: 1. stratigrafico - eventi, sequenze, stratotipi di maggiore estensione, inter-valli di stratotipi, biozone, cronostratigrafie e datazioni assolute, siti tipo disignificato generale, onotemi ed eratemi, evidenze paleomagnetiche ecc;2. Botanico - associazioni vegetazionali particolari e singolari) 3. Faunistico - fauna terrestre e fluviale tipica dell’ambiente naturale instudio)4. paleoambientale - climi del passato, geologia sedimentaria globale,indicatori fossili, eventi e processi sedimentar!;5. paleobiologico - macro e micro animali e piante, pseudofossili e/o ele-menti incertae sedis, tracce, depositi biochimici, stro-matoliti, evoluzione;6. petrografico - eventi e province ignee e metamorfiche, petrografiaignea, metamorfica e sedimentaria, tessiture e strutture;7. mineralogico - processi e tipi;8. economico - di tutti i tipi, intrusivo, effusivo, depositi e/o intrusioni stra-

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liformi, camini diamantiferi, processi metallogenici nel tempo, risorsemetalliche e non, miniere e cave;9. strutturale - maggiori strutture tettoniche o di gravita;10. continentale/oceanico - caratteri a scala geologica, tettonica delieplacche e margini ecc., fosse (africana, antartica ecc.) archi insulari, faglie(di San Andrea ecc.). Tali caratteristiche spesso possono essere viste nelmodo migliore dallo spazio;11. relazionale - tettonica delle placche e distribuzione dei terreni;12. sottomarino - piattaforme oceaniche e continentali, “fumarole nere”,fosse oceaniche profonde, montagne sottomarine, scarpate di faglia;13. geomorfologico - caratteri e processi di erosione e deposito, forme delpaesaggio e paesaggi (desertici, carsici, vulcanici, fluviali, costieri, glaciali eperiglaciali ecc.);14. cosmico - evidenze di intervento extraterrestre, crateri d’impattometeorico;15. altri - per esempio storici, che hanno determinato lo sviluppo delleScienze Geologiche e Biologiche.

Il concetto di geosito richiama automaticamente quello di una diversitàtipologica che, come si è detto, può essere di varia natura (fig. 9.4). Comeper i biotopi ci si può riferire più in generale al concetto di biodiversità, rife-rendosi alla diversità di specie presenti nell’ecosfera o negli ecosistemi, cosìsi potrebbe definire per i geositi il concetto di geodiversità, intesa come spe-cificità geologica ed estesa non più ai tipi biologici ma a quelli abiotici comele rocce, il paesaggio, etc. Il concetto di “Geodiversità” si focalizza, infatti,sulle variazioni del substrato roccioso, dei depositi, delle forme del terrenoe dei processi geologici che modellano i paesaggi. La geodiversità trovadunque fondamento e si manifesta nelle significative diversità del paesag-gio. Essa fornisce così le trame di fondo e le strutture di base per gli ecosi-stemi e la biodiversità. La geodiversità descrive, quindi, la varietà dei feno-meni geologici e dei relativi processi in una determinata area. La diversità è uno dei fattori e criteri che determinano il valore naturale diun sito o di un paesaggio. Siti e aree possono avere apparentemente un’altadiversità, con molti elementi geologici, o una bassa diversità, in presenza diuno o pochi elementi. Il carattere uniforme può essere particolarmentesignificativo e rappresentativo. La diversità può essere misurata direttamen-te come grandezza e possono essere registrati gli elementi di alterazione edi disturbo. La rarità, la rappresentatività e l’importanza scientifica sono sta-bilite da comparazioni basate su una più estesa conoscenza. Le condizionieccezionali, come ad esempio uno scenario (spettacolare) sono al contrario

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criteri più soggettivi.La geodiversità è l’espressione di differenti ambienti geologici (come quel-lo vulcanico, glaciale, fluviale o litorale), e differenti tematiche, come peresempio la stratigrafia e la morfologia. La biodiversità dipende essenzial-mente dalla geodiversità, dall’ambiente geologico e dalle sue variazioni. Peresempio, alcune piante necessitano di determinati minerali ed elementi;alcune associazioni di piante sono radicate su uno specifico substrato, talu-ni animali sono adattati alle dune sabbiose, altri alle rive dei fiumi. Certi tipidi vegetazione indicano la presenza di specifiche caratteristiche geologiche.La geodiversità disegna, attraverso i “materiali da costruzione” geologici, ipaesaggi, i loro profili, i singoli elementi che li compongono. La tipologienaturali e di paesaggio sono tutti caratteristici per le regioni fisico geografi-che di appartenenza. Essi possono apparire senza importanza in una pro-spettiva locale, ma molti di essi assumono grande importanza internaziona-le poiché sono veramente caratteristici e rappresentativi per le loro regioni,per le tipologie naturali e paesaggistiche, per l’evoluzione dei processi geo-

Le risorse ambientali e geologiche

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Figura 9.4 - Esempio di Carta dei Geositi del Cilento (Santangelo et al., 2005). Legendadella tipologia dei siti: 1) stratigrafico; 2) paleoambientale; 3) paleontologico; 4) strutturale;5) geomorfologico (generale); 6) geomorfologico (forra); 7) geomorfologico (altopiano car-sico); 8) idrogeologico; 9) panoramico;10)economico; 11)multiplo; 12)limiti parco.

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logici e morfologici.L’introduzione del concetto di geodiversità è diretto soprattutto ai pianifica-tori, a chi gestisce ambienti naturali e a coloro che assumono decisioni inrelazione all’utilizzo del suolo e alla gestione della natura, e anche nelladidattica e per il pubblico. La gestione include la pianificazione, il governodelle situazioni e le analisi di impatto ambientale, in relazione all’utilizzodelle risorse naturali e all’influenza su paesaggi, geositi e biotopi per diver-si tipi di uso del suolo. Una gestione strategica deve comprendere molto dipiù che una selezione e delimitazione di siti e aree. Tutti gli strumenti digestione dovrebbero prefiggersi obiettivi finalizzati alla protezione paesag-gistica e naturalistica con particolare riguardo sia alla geodiversità che allabiodiversità. La protezione della natura è parte integrante di una strategiaglobale per la salvaguardia della diversità a cui tutte le componentiLungo i sentieri proposti in questa guida sono stati rilevati alcuni siti di par-ticolare valenza geologica e geomorfologica, vegetazionale e faunistica chevengono proposti come geotipi e biotipi di riferimento.Per ciascun sentiero, pertanto, è stata elaborata una scheda di approfondi-mento dei geositi e biotopi, distinguendoli sulla carta topografica di riferi-mento ed associando la relativa documentazione fotografica.Per quanto concerne il Monte Gelbison la geodiversità la si ritrova in asso-ciazione relativamente ampia di geositi diversi ubicati in un’area abbastan-za ristretta.Vanno ricordati, ad esempio, i geositi dell’olistostroma, della fogliarina,degli Stone Streams etc. che verranno descritti ed approfonditi sia nel capi-tolo successivo che nelle schede allegate.

Le risorse ambientali e geologiche

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In questo capitolo vengono proposti e descritti i percorsi ed i principaliaspetti geologici, geomorfologici ed ambientali osservabili lungo tre iti-nerari ricadenti nel territorio comunale di Novi Velia e del Monte

Gelbison. La proposta di tali percorsi rappresenta un modo indiretto di operare per lasalvaguardia delle zone descritte, attraverso il tentativo di indirizzare i flus-si di frequentazione, o almeno la loro parte più massiccia ed intrusiva, lungoitinerari definitivi e controllati.Tale iniziativa, se da una parte potrà assolvere ad una funzione di controllofisico dei flussi turistici e di metaforico percorso di conoscenza alle dinami-che della natura e dell’uomo nel territorio del Monte Gelbison, dall’altracostituirà un efficace segnale affinché si radichi nella coscienza locale, eancor più in quella dei visitatori, il rispetto per il territorio. Obiettivo finaleè quello di non far intendere più la montagna come una terra di nessuno,sempre e totalmente disponibile e sfruttabile incondizionatamente, bensìcome un bene comune unico ed insostituibile da rispettare, tutelare e cura-re a vantaggio delle generazioni future.Tre sentieri rientrano in un programma di valorizzazione pluriennale cheprevede, tra l’altro, un quadro informativo, documentario e didattico delquale la presente “Guida geologico-ambientale” vuole essere lo strumentodi lettura, che accompagnerà i visitatori lungo i percorsi più interessanti edun’occasione di rilettura del territorio da parte della popolazione residenteinteressata. I sentieri proposti sono stati scelti accuratamente sulla base di criteri com-plessi di valutazione, tra cui: la storicità dei tracciati, la natura particolar-mente significativa dell’ambiente, la diversità tipologica e la facilità d’acces-so e d’orientamento, l’assenza di particolari fattori di rischio ed i tempi dipercorrenza contenuti entro limiti accettabili. Il tutto, ovviamente, salvolimitate accezioni e con il fine di consentire una reale conoscenza e fruizio-ne dell’ambiente naturale e del paesaggio di quell’affascinante e straordina-rio insieme di natura, storia e di cultura che caratterizza il territorio di NoviVelia, e nell’ambito di questo, il Monte Gelbison.Alcuni degli itinerari proposti non hanno una meta apparente: non condu-cono ad una cima, né ad un monumento o a una peculiarità naturalistica. In

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questi casi la vera meta è il percorso stesso che si sviluppa con le sue atmo-sfere, le sue morfologie naturali, le sue trasformazioni antropiche, i suoicaratteri ecosistemici e naturalistici, i profumi ed i suoni di un territorioantico, ma ancora vivo e capace di offrire sensazioni di “meraviglia”. L’ambiente stesso, di cui gli itinerari descritti offrono appunto opportunitàdi conoscenza, viene in genere proposto ad una lettura di tipo propriamen-te interdisciplinare, in cui i vari aspetti siano percepiti e recepiti nella rela-tiva complessità di interconnessione e nelle inevitabili interazioni.Per semplificare la lettura si è ritenuto opportuno specificare, di seguito, ladifferenza tra sentiero, percorso ed itinerario:Sentiero: viottolo segnato su terreno campestre o montano dal passaggio diuomini e animaliPercorso: tratto da compiere lungo un sentiero che contiene aspetti dicarattere temporale e tematicoItinerario: percorso articolato in più tappe che contiene anche aspetti con-cettuali di relazione e di interconnessione fra diversi aspetti tematici

5.1 Introduzione agli itinerari del Monte Gelbison: dal sentiero alpercorso tematico

Secondo quanto previsto dalla manualistica CAI per sentiero s’intende“una via stretta e appena tracciata tra i prati, boschi, rocce, ambiti natura-listici o paesaggi antropici, in pianura, collina o montagna”. Allo scopo di definire meglio le diverse tipologie di sentiero riscontrabili esuggerire nel contempo l’interesse prevalente e il grado di difficoltà nellapercorrenza, è stata utilizzata la classificazione del CAI nella descrizione deisentieri scelti. In particolare si definisce:Sentiero escursionistico, un itinerario segnalato secondo le presentidirettive, tra un punto di partenza ed una meta, privo di difficoltà tecnichee indipendentemente dalla quota altimetrica, corrispondente in gran partea mulattiere realizzate per scopi agro-silvo-pastorali o a sentieri di accesso arifugi o di collegamento fra valli vicine (nella scala di difficoltà CAI è classi-ficato “E” itinerario escursionistico privo di difficoltà tecniche)Sentiero alpinistico, un itinerario segnalato che si sviluppa in zone imper-vie e con passaggi che richiedono all’escursionista una buona conoscenzadella montagna ed un equipaggiamento adeguato. Corrisponde general-mente ad un sentiero di traversata nella montagna medio alta e può presen-tare dei tratti attrezzati (sentiero attrezzato) con infissi (funi corrimano e

Itinerari geologico-ambientali

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brevi scale) che però non snaturano la continuità del percorso (EE escur-sionisti esperti);Sentiero turistico, un itinerario di ambito locale su stradine pedonali, car-rarecce, mulattiere o evidenti sentieri. Si sviluppa nelle immediate vicinan-ze di paesi, località turistiche, vie di comunicazione e riveste particolareinteresse per passeggiate facili di tipo culturale o turistico-ricreativo (T iti-nerario escursionistico-turistico);Sentiero natura, un itinerario naturalistico usualmente attrezzato conapposita tabellatura e punti predisposti per l’osservazione, che si svolge inzone di particolare interesse paesaggistico, botanico, geologico, ecc. (gene-ralmente è breve e privo di difficoltà tecniche T o E).Trattandosi della prima esperienza di identificazione e classificazione deisentieri nell’area di Novi Velia, si è ritenuto opportuno adottare la nomen-clatura CAI, secondo cui ad ogni settore territoriale significativo viene asse-gnato un numero cardinale che lo identifica come prima delle tre cifre checompongono la numerazione dei sentieri di cui si prevede la segnaletica,cosicché ogni settore potrebbe disporre così di 99 itinerari numerati diffe-rentemente e progressivamente integrati. Nell’area sono stati individuati eproposti 4 itinerari lungo sentieri e lungo la strada principale per il MonteGelbison. Gli Itinerari predisposti, così come sintetizzato sulla Tabella 1.5 esulla carta dei sentieri allegata al libro, sono caratterizzati da vari gradi didifficoltà e, pertanto, aperti ad una frequentazione diversificata dal turistaoccasionale, al naturalista fino all’escursionista esperto.

Itinerari geologico ambientali

Tabella 1.5: Schema riassuntivo degli itinerari proposti

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5.2.1 INFORMAZIONI GENERALI

Il nome attribuito all’itinerario deriva dalla presenza a fine percorso di unluogo di culto, localizzato proprio sulla vetta del Monte Gelbison; con essosi vuole evidenziare come gli aspetti geologico-ambientali siano ben corre-lati a quelli storico religiosi. Infatti, il percorso proposto, se da una parte sisviluppa lungo affioramenti di alcuni geositi particolarmente significativi, acui si affiancano anche diverse varietà di associazioni vegetazionali, dall’al-tra consente di rivivere racconti e leggende popolari (legate a miti o a situa-zioni reali) che, nel tempo, si sono integrate ed indissolubilmente intrec-ciate tra loro.L’itinerario si sviluppa per intero nel territorio comunale di Novi Velia trauna quota minima di 514 m. s.l.m (inizio percorso- bivio strada per NoviVelia) ed una quota massima di 1707 m.s.l.m (vetta del Monte Gelbison),per una lunghezza totale di circa 15 Km ed un dislivello complessivo di circa1200 metri (Fig. 1.5).

Itinerari geologico ambientali

Figura 1.5 – Profilo altimetrico dell’itinerario 1

5.2 ITINERARIO N. 1. Sentiero 101: Il monte dell’Idolo (Gelbison)

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La lunghezza del percorso suggerisce l’utilizzo di un’automobile o di unabicicletta (per i più allenati) con un tempo di percorrenza compreso tra ledue e le tre ore, a seconda del numero di soste e delle condizioni meteoro-logiche (Fig. 2.5). Il periodo migliore per percorrerlo è, comunque, quellocompreso tra maggio e settembre1.Prima di passare alla illustrazione dell’itinerario, però, si ritiene opportunoprocedere alla descrizione essenziale della storia e del significato religiosodel Santuario della Madonna del Monte di Novi. La fondazione del Santuario della Madonna del Sacro Monte di Novi Velia,come ampiamente descritta dal Rettore Don Carmine Troccoli (1986), sem-bra sia da attribuire, come culto di adorazione mariano, ai monaci italo-greci agli inizi della seconda metà del X secolo. Tale ipotesi è rafforzata dal confronto tra l’attuale zona di influenza delSantuario e gli insediamenti dei monaci italo-greci del Mercurion, delLatinianon e del Monte Bulgheria del settimo secolo d.C. oltre che dallecaratteristiche della statua della Madonna che presenta fattezze tipichedella iconografia bizantina: collo alto, viso allungato, naso ed occhi allagreca, il bambino sul braccio sinistro. Il ritrovamento negli anni Sessanta, presso la località Tuzzi di Monte Piano,di reperti archeologici quali una statuetta di terracotta raffigurante unamatrona greca, un serpentello di bronzo e alcuni cocci di lampade votive,lasciano intendere un legame religioso con le divinità greche. Questo con-ferma la presenza, in età paleocristiana, di un luogo di culto in cima alMonte Sacro, luogo probabilmente trasformato in tempio dedicato allaMadonna dai monaci bizantini. La prima notizia storica è solo del sec. XIV ed è riportata da padre BernardoConti in “Storia e miracoli della Beata Vergine di Novi” edita nel 1718. Il santuario, che rimane aperto dall’ultima domenica di maggio alla primadomenica di ottobre, è ancora oggi meta di pellegrinaggi che mantengonotradizioni e comportamenti popolari antichi, carichi di significati religiosi.

Itinerari geologico-ambientali

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Itinerari geologico ambientali

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Itinerari geologico-ambientali

DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO

Il percorso inizia in corrispondenza del bivio per Novi Velia, all’innesto trala Strada di accesso all’abitato e la S.S. 18 “Tirrena Inferiore”. Appena 50 m dall’inizio dell’itinerario (stop 1) si può osservare, sulla sini-stra, un blocco ciclopico emergente dalla superficie topografica subpianeg-giante ed avente dimensioni superiori ai 500 mc (Fig. 3.5). Dal punto divista della natura litologica, esso è costituito dai conglomerati della F.ne diM.te Sacro affioranti appunto in prossimità nella porzione sommitale del-l’omonimo rilievo montuoso. In particolare, come osservabile alla base dello stesso (Figura 4.5), esso ècostituito da un insieme di clasti eterometrici (cioè con diametro variabilefino ad un massimo di circa 30 cm); questi clasti sono poligenici, nel sensoche la natura litologica di questi ciottoli è estremamente variabile, essendocaratterizzata da clasti di rocce ignee intrusive (granito) ed effusivi (lave),nonché da clasti calcarenitici, arenacei e da frammenti di filoni quarzosi. I clasti descritti, a forma spigolosa o subarrotondata, risultano cementati edimmersi in una fine pasta di fondo che li sostiene, a testimonianza di pro-cessi deposizionali che prevedono una messa in posto gravitativa da parte difrane di flusso sottomarine (correnti di torbida prossimali).Le caratteristiche dimensionali, litologiche, morfologiche ed ubicazionaliindicano che questo blocco è stato prima generato da fenomeni di crollolungo le pareti sommitali del Monte Gelbison, mobilizzato poi lungo i ver-santi montani di questo grazie a processi di colata detritica (debris flow) ed,infine, trasportato in loco da particolari fenomeni di paleo-flussi detriticicatastrofici incompatibili con le attuali condizioni climatiche e legate, inve-ce, ai cosiddetti “stone streams” periglaciali, già descritti nel Capitolo 3.Tali considerazioni lo rendono un vero e proprio “relitto morfoclimatico”,inserendolo di diritto nei geositi di carattere geomorfologico e paleoclima-tico più interessanti del Cilento.Questi particolari blocchi conglomeratici, così singolari per le loro forme edimensioni, hanno da tempo immemorabile richiamato l’attenzione dellepopolazioni residenti, le quali hanno loro attribuito un significato quasimitologico, alimentando la leggenda locale della “a Petra re’ Currienti”(Medaglione n. 1).Proseguendo per circa 2 Km, appena superato il campo sportivo, sulladestra, si può osservare un altro masso conglomeratico (stop 2), di dimen-sioni superiori ai 200 mc e con le stesse caratteristiche e lo stesso significa-

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Itinerari geologico ambientali

Figura 3.5: Blocco conglomeratico ciclopico in corrispondenza dell’inizio dell’Itinerario n.1

Figura 4.5: Particolare dei ciottoli poligenici inglobati nella pasta di fondo

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to di quello descritto nella prima sosta (Fig. 5.5). Da questo punto si può anche osservare il tratto sub-pianeggiante terrazza-to del T. Torna modellato sui depositi a blocchi e massi di conglomeratici

Itinerari geologico-ambientali

Fig. 5.5: Secondo blocco conglomeratico ciclopico presente lungo l’itinerario

Medaglione 1Leggenda longobarda della “Petra re’ Currienti”

“A petra re’ Currienti”

Si narra che all’interno del masso sia custo-dita una “chioccia con i pulcini d’oro”, cheha dato il nome anche al ristorante localiz-zato nei pressi.Questa leggenda richiama il popolo deiLongobardi, cui questa terra è stata sotto-messa tra il secolo VIII ed il secolo X.Esiste difatti a Monza, tra gli oggetti deltesoro dei Longobardi, un famoso oggettoche rappresenta una “Chioccia con settepulcini” simbolo longobardo della vita rea-lizzata in argento dorato, con rubini inca-stonati negli occhi della chioccia e smeral-di in quelli dei pulcini. Probabilmente, taleoggetto apparteneva alla reginaTeodolinda. (Zennaro 2001)

Chioccia con 7 pulcini, in argento dorato (sec. VI).Tesoro del Duomo di Monza

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cementati, con la presenza di bosco misto a prevalenza di ontani napoleta-ni (Fig. 6.5)Lungo la strada carrabile, dopo l’attraversamento del ponte della Torna,sulla sinistra, è osservabile una struttura fatiscente che ha svolto funzione diCentrale idroelettrica fino agli anni ‘60 e che conserva ancora i vecchi mac-

chinari: rotore, dinamo e strutture di canalizzazione delle acque e, sullastrada, la vecchia condotta forzata. Il percorso prosegue poi fino ad una prima area attrezzata (stop 3).L’elemento naturale caratterizzante è la diffusa presenza dei depositi di fon-dovalle o “Stone Streams” (Guida et al., 1980); essi, infatti, formano, lungol’alveo del T. Torna, un esteso “fiume di pietra” composto da blocchi con-glomeratici di grosse dimensioni (fino ad alcune decine di m3), che, origina-tosi da colate detritiche meno antiche rispetto a quelle più estese descrittenel Cap. 3, costringe l’attuale deflusso torrentizio ad adeguarsi ai blocchi ivipresenti, assumendo il carattere di un suggestivo e singolare paesaggio mor-fologico, in altre località denominato paesaggio a “Boulder stream” (Figg.7.5-8.5)

Itinerari geologico ambientali

Figura 6.5: Tratto del torrente Torna, in primo piano alberi di ontani

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Itinerari geologico-ambientali

Figura 7.5: Blocchi conglomeratici dello “Stone Streams”, lungo il T.Torna

Figura. 8.5: Particolare di blocchi dello "Stone Stream"

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Al margine della strada ed al limite di un bosco misto di ontani e castagnicedui, si può osservare un caratteristico Caprifoglio (lonicera periclyme-num), attorcigliato ai rami di un albero di noce spontaneo, che, all’inizio del-l’estate, diffonde un intenso profumo. Il pianoro annovera una variabilità di piante che creano un insieme di colo-ri ed associazioni che sono l’espressione della ricchezza di flora della zona.La presenza di Biancospini, Ontani, Sambuchi, sono, infatti, una cornicesingolare per le piante erbacee tra le quali si riconoscono varietà di felci,ranuncoli, anemoni, sassifraghe, orchidee, non-ti-scordar-di-me, ombelicodi Venere ed altre più comuni.Circa 1,5 km verso monte, si giunge alla Tempa della Rosalia (stop 4), otti-mo punto panoramico per la osservazione del paesaggio che abbraccia sialo scenario montano verso Est e tutta la valle sottostante verso Ovest (Figg.9.5 e 10.5).

La Tempa, dal punto di vista vegetazionale, si caratterizza per la presenzadi boschetti di Ontano (Alnus cordata), tra i quali si individuano numerosiesemplari di biancospino. La felce aquilina è specie dominante del sottobo-sco. Leggermente più avanti maestosi alberi di Castagno testimoniano lapresenza attiva dell’uomo nel corso dei secoli.L’area è caratterizzata da un’affioramento di un bancone di marna calcarea

Itinerari geologico ambientali

Figura 9.5: Il Monte Gelbison visto da Tempa della Rosolia. In primo piano boschetti diontani.

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siltosa di colore dal grigio al cinereo, denominata localmente “pietra foglia-rina” e classificata in termini geologici come “Marna Fogliarina”, corrispon-dente litologico della Megatorbidite carbonatica (Cfr. Appendice 1 eScheda 2) (Fig. 11.5).Appena più a monte (circa 700 m), il paesaggio si modifica bruscamente incorrispondenza di un affioramento geologico singolare e di grande valenzadidattico-scientifica (stop 5). Esso è caratterizzato da un “olistostroma”(vedi scheda n. 1) (Fig. 12.5) che, unitamente alla Marna Fogliarina, rap-presenta uno “strato guida” per l’intera successione litostratigrafica delGelbison.Proseguendo lungo la strada, in corrispondenza del contatto fra l’olistostro-ma ed i conglomerati sovrastanti, si giunge in località Santa Croce (stop 6).Qui è possibile fermarsi ad un punto di ristoro con relativa area attrezzata evisitare le vicine sorgenti di Fiume Freddo (cfr. par. 4.1.3) immerse in uncastagneto. Tra le specie del sottobosco non è raro osservare l’Asfodelomontano (Asphodelus albus) (Fig. 13.5)Proseguendo il percorso si arriva a Tempa della Pantanella (stop 7) da cuisi può godere un panorama interessante: in lontananza, verso Sud-Ovest si

Itinerari geologico-ambientali

Figura 10.5 : La Valle di Novi vista da Tempa della Rosalia, sullo sfondo Vallo della Lucania

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Itinerari geologico ambientali

Fig. 11.5: Affioramento di marna fogliarina di Tempa della Rosalia

Fig. 12.5: Affioramento di argilla rossa nell’ambito dell'Olistostroma presente in localitàsorgente di Sacchetto.

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intravvede la sagomainconfondibile di CapoPalinuro ed, in primopiano, la spianata dimorfoselezione di Tempadi Cuccaro Vetere (Fig.14.5). Questa sosta permettetra l’altro di osservare ilcontatto stratigraficodiscordante fra l’Olisto-stroma superiore e laFormazione di M. Sacro,nonché l’intero sviluppostratigrafico di quest’ul-tima (Fig. 15.5 – 16.5).Infine, volgendo lo

Itinerari geologico-ambientali

Figura 13.5: Esemplare diAsfodelo montano (Aspho-delus albus)

Figura 14.5: Belvedere: in primo piano Tempa di Cuccaro Vetere , in lontananza CapoPalinuro

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sguardo verso lacima del MonteGelbison, sui ver-santi prospicienti lastrada, si osservanostrati conglomerati-ci, alterati a formadi blocchi incolon-nati (Fig. 17.5), giàriferite nel cap. 3, aforme di esumazio-ne chiamate Tors(vedi Scheda 3). Tra le particolarità

vegetazionali merita attenzione la presenza di Iberis saxatilis e di Rubusidaeus (Fig.18.5).Continuando lungo il percorso esalendo di quota fino alla localitàPietra Capanna (stop 8) il paesag-gio si caratterizza per la rocciaconglomeratica che affiora nelsottobosco della faggeta creandoun ambiente unico; i blocchi con-glomeratici emergenti dalla let-tiera sono caratterizzati dalle tipi-che forme di esumazione simili

Itinerari geologico ambientali

Fig. 15.5: Versantemeridionale di MonteGelbison lungo cui èpossibile osservare ilcontatto stratigrafico trai conglomerati in strati ebanchi della omonimaformazione, in alto asinistra, e l'olistostromaa giacitura caotica , inbasso a destra.

Fig. 16.5: Sezione geologica schematica

Fig. 17.5: Forme di esumazione deglistrati conglomeratici

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ai Tors, associate a strutture alveolari (Fig. 23.5 ). Arrivati al punto di confluenza tra la strada principale che si sta percorren-do e la vecchia mulattiera (itinerario n. 3), sulla sinistra si osserva la località“Manto della Madonna” (cfr. itinerario n. 3, stop 4). Circa 1 Km a monte dell’ultima sosta finisce la strada carrabile ed inizia ilpercorso pedonale che porta al Santuario (stop 9). Questa sosta rappresen-ta il punto di incontro (Croce di Rofrano) delle due mulattiere principaliche, una a ponente da Novi Velia ed una a levante da Rofrano vengono per-corse dai pellegrini che si recano al Santuario (Medaglione 2).All’inizio delle Vie Crucis (stop 10), la natura ha messo assieme particolarispecie arboree che creano un sito di notevole interesse floristico. Assiemeai secolari faggi, si osservano: Orniello (Fraxinus ornus), Pero corvino(Amelanchier ovalis L.), Ciliegio canino (Prunus mahaleb L), Salice astato(Salix hastata L.) (Fig. 19.5, 20.5 - 21.5 - 22.5)Sempre in corrispondenza dello stop 10, affiora ancora il conglomeratodella Formazione di M.te Sacro con evidenza degli inclusi (clasti a spigolivivi e subarrotondati) asportati dall’azione di dissoluzione chimica, del ciclogelo-disgelo ed infine dall’azione eolica, che danno vita a strutture alveola-

Itinerari geologico-ambientali

Fig. 18.5: Iberis Saxatilis (fiori bianchi) e rubus idaeus

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Itinerari geologico ambientali

Figura19.5: Orniello (Fraxinus ornus) Figura 20.5: Pero corvino (Amelanchierovalis)

Figura 21.5: Ciliegio canino (Prunusmahaleb)

Figura 22.5: Salice astato (Salix hastata)

Medaglione 2La Leggenda del Monaco

“Croce di Rofrano”

Si narra che la Croce diRofrano rappresenta illuogo di deposito del“monaco” (pietra raccoltanell’ultimo tratto del sen-tiero e depositata a forma-re un “cumulo” dai pelle-grini che salgono alSantuario per la primavolta come segno di peni-tenza).I pellegrini, stanchi masoddisfatti, usano girareper tre volte intorno alcumulo di sassi stringen-dosi subito dopo la manoin segno di pace.

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ri (Fig. 23.5) Va sottolineata l’e-vidente eteroge-neità della naturadei clasti tra i qualisi possono distin-guere blocchi diserpentino (lerocce verdi prove-nienti da antichifondi oceanici) e digranito (Fig. 24.5),provenienti damargini all’internodei continenti.Al termine del per-corso religiosodella Via Crucis(stop 11), gli stratic o n g l o m e r a t i c isono caratterizzatida sequenze sedi-mentarie la cuig r a n u l o m e t r i adiminuisce man

mano che si va dal basso verso l’alto(fining upward). L’erosione differen-ziale di tali depositi produce caratteri-stici gradini gradualmente inclinati aforma di “naso allungato” (Fig. 25.5).Questo tipo di effetto geomorfologico èlegato alla differente velocità d’erosionenell’ambito del medesimo deposito, inrapporto al diverso grado di resistenzaall’erosione stessa, offerto dalle variegranulometrie che lo caratterizzano.

Itinerari geologico-ambientali

Figura 23.5: Conglomerato con strutture alveolari

Figura 24.5: Particolare dei clasti di serpenti-no e granito all'interno delle strutture alveolari

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In prossimità della Chiesa di S. Bartolomeo (stop 12) si trova una formazio-ne rocciosa molto particolare per forma e posizione, detta “Ciampra diCavallo” (Fig. 26.5). La leggenda narra che il masso abbia impedito ad unCavaliere infedele di precipitare nel burrone per intercessione della

Itinerari geologico ambientali

Figura 25.5: Il "guerriero longobardo": sequenze sedimentarie fining upward con caratte-ristici gradini gradualmente inclinati a forma di "naso allungato" .

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Madonna e che in seguito lo stesso si sia convertito alla fede cristiana. Èd’uso lanciare sassolini sul masso associando a tale gesto significati diversi.Per gli anziani è un augurio di ritorno per l’anno seguente, per le ragazze èun auspicio a trovare marito entro l’anno.

1 Anche in questo caso, si consiglia, prima di intraprendere il percorso, un’attenta lettura

della parte generale della presente guida e di munirsi di macchina fotografica e binocolo.

Itinerari geologico-ambientali

Figura 26.5: "Ciampra di Cavallo", blocco conglomeratico isolato in forma colonnare

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5.3.1 INFORMAZIONI GENERALI

Il nome attribuito all’itinerario vuole evidenziare come l’elemento naturale“acqua” interagisce in un equilibrio perfetto con gli altri elementi natura-li, dominandoli e condizionandone, in particolare, sia l’assetto geomorfolo-gico, che l’armonia di colori e suoni generati dalla flora e dalla fauna. Il percorso consente di osservare alcuni geositi particolarmente interessan-ti, a cui si affiancano diverse varietà di associazioni vegetazionali, che sialternano con estrema mutabilità in funzione di parametri microambientali

quali la tipologia del terreno, la temperatura, l’umidità e la quota s.l.m. Esso si sviluppa per intero nel territorio comunale di Novi Velia tra unaquota minima di 750 m. s.l.m (inizio percorso-alveo Torrente Torna) ed unaquota massima di 960 m.s.l.m (Piano Mancuso), con una lunghezza di circa4.800 m. (Fig. 27.5), e s’imbocca in corrispondenza di un’area attrezzataraggiungibile percorrendo la strada che da Novi Velia conduce al MonteGelbison, circa 800 mt a monte del Ponte della Torna (Fig. 28.5). Il temponecessario per percorrere a piedi l’intero l’itinerario varia tra le tre e le quat-tro ore, a seconda del numero di soste e delle condizioni temporali. Il

Itinerari geologico ambientali

5.3 ITINERARIO N. 2. Sentiero 102: Il Sentiero dell’Acqua

Fig. 27.5 - Profilo altimetrico dell'itinerario 2

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Fig. 28.5 Sentiero 102. Legenda: 1. sorgente; 2. fonte; 3. punto di ristoro; 4. direzione per-corso; 5. punto di osservazione panoramico; 6. tracciato itinerario

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periodo migliore per percorrerlo è, comunque, quello compreso tra maggioe settembre1.

5.3.2 DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO

Il primo tratto (Fig. 29.5) è lungo circa 500 m con una pendenza media del10% (subpianeggiante) e riprende un sentiero naturale che fiancheggia l’a-veo del T. Torna sulla sua sponda sinistra, fino ad attraversarlo nel punto diinnesto con il vallone Caricaturo (Fig. 30.5). L’elemento geologico caratteristico di questo primo tratto (stop 1) è la dif-

fusa presenza di depositi tipo “Stone Streams” (Fig. 31.5). L’elemento vege-tazionale dominante, anche in questo caso, è il Caprifoglio (lonicera pericly-menum), attorcigliato ai rami di un albero di noce spontaneo (Fig. 32.5). L’area è caratterizzata da una variabilità di piante quali: Biancospini,Ontani, Sambuchi. Immerse tra esse troviamo, anche, una varietà di felci,ranuncoli, anemoni, sassifraghe (Fig. 33.5), orchidee, “non-ti-scordar-di-

Itinerari geologico ambientali

Figura 29.5: Punto di inizio dell'Itinerario 2

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Itinerari geologico-ambientali

Fig. 30.5: Il sentiero attraversa il Torrente Torna alla confluenza del vallone Caricaturo.

Figura 31.5: Il sentiero attraversa lo "Stone Stream", costeggiando il T. Torna,

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Itinerari geologico ambientali

Figura 32.5: Caprifoglio

Figura 33.5 : Saxifraga granulata

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me” e ombelico di Venere. La tipicità dell’ambiente fluviale è quella che si incontra poi proseguendoper tutto il primo tratto con pozze (pools), raschi (riffles) e piccole cascate(steps) (Fig. 34.5).

Il secondo tratto,quasi tutto in salita(pendenza del 21%),costeggia per circa740 m la spondadestra del valloneCaricaturo e si svi-luppa lungo una pistarealizzata con ampi

Itinerari geologico-ambientali

Figura 34.5: Felce aculeata (Polystichum aculeatum) tra ontani nei pressi di una cascata.

Figura 35.5:Affioramenti di blocchiconglomeratici lungo ilsentiero.

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scalini in pietrae facilmentep e r c o r r i b i l e(Fig. 35.5-36.5-37.5), fino adincrociare unamulattiera aquota 960 ms.l.m. in localitàPiano Mancuso. Anche in questocaso si attraversada vicino unadistesa di mega-

blocchi conglo-meratici adagiati

lungo il versante (Figg. 38.5-39.5), che corrispondono a “relitti morfoclima-tici” di ambiente periglaciale e che sulla letteratura scientifica geomorfolo-gica vengono denominati “Block fields”, o anche, “Felsenmeere” .Lungo il percorso, in corrispondenza dello stop 2 si giunge ad un geosito diparticolare interesse dal punto di vista didattico. Si possono osservare, infat-ti, dei blocchi conglomeratici con le caratteristiche strutture alveolari dadissoluzione e corrosione in fase di formazione, tipo quelle già incontratelungo l’itine-rario 1 (Fig.40.5). Inquesto caso,le former i scontra tesono il risul-tato deglieffetti deiprocessi na-turali che tra-sformano emodellano lerocce, quali:a l teraz ionec h i m i c a

Itinerari geologico ambientali

Figura 37.5: Ulteriore panoramica del sentiero

Figura 36.5: Panoramica del sentiero in ampi tornanti attrezzati

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Figura 38.5: Affioramento di blocchi conglomeratici isolati ("Block field") lungo il percor-so.

Figura 39.5: Blocco conglomeratico con dimensione superiore a decine di metri cubi

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(fenomeno di idrolisi), alterazione fisica (fenomeno di gelo-disgelo) ed azio-ne erosiva esercitata dal vento.Proseguendo il cammino, ad una quota di circa 900 m s.l.m. si giunge inun’area di ristoro detta “Cantiere” (stop 3), dove un boschetto misto fa dacornice sia ad una fonte che ad una vecchia baracca ancora utilizzata comericovero di animali da pascolo (Figg. 41.5 e 42.5 ). Qui è possibile riconoscere l’intervento antropico di bonifica e rimboschi-mento che, a partire dagli anni ‘50, ha favorito l’impianto di acacie, cipressied abeti che si alternano e vengono, a poco a poco, sostituiti ed integrati daspecie più autoctone quali ontani, biancospini, carpini, frassini e da radiarbusti tipici della macchia mediterranea; ciò testimonia il clima mite anchea queste altitudini.Inoltre, in prossimità di quest’area, volgendo lo sguardo verso valle, si puòosservare come l’elemento acqua abbia creato delle incisioni caratteristichecon cascate naturali con salti di circa 20 metri (Fig. 43.5) creati per effettodella morfoselezione (erosione differenziale) all’interno dei “Block Field” edegli “Stone Streams”. Osservandole con ossequioso silenzio si può ascolta-re la musica di sottofondo delle acque che rimbalzando sulle rocce sembraaccompagnare il cinguettio degli uccelli ed il fruscio delle chiome degli

Itinerari geologico ambientali

Fig. 40.5: Blocco conglomeratico con strutture alveolari da dissoluzione e corrosione

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Figura 41.5: Area di ristoro "Cantiere" con fonte in pietra

Figura 42.5: Area di ristoro "Cantiere": una vecchia baracca è adibita a ricovero per anima-li.

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alberi mosse dal vento.Giunti in località Piano Mancuso, si abbandona il sentiero principale e ci siimmette su una mulattiera che conduce a Tempa del Lupo.Il terzo tratto lungo 2.300 m si sviluppa quasi esclusivamente ad una quotadi 950 m s.l.m. consentendo di osservare diversi geositi e biotopi. Lungo lamulattiera, voltando a destra, si incontrano le sorgenti di Fiume Freddo,captate mediante bottini di presa (portate intorno ai 50-60 l/sec – Fig. 44.5).

Si resta incantati da questopaesaggio da favola, dovealberi di noci sembrano sbu-care come per magia daenormi blocchi conglomera-ti e dove il vallone Cari-caturo adatta il suo percorsoall’interno di questi depositi,

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Figura 43.5: Cascata naturale sulla sponda sinistra del Vallone Caricaturo

Fig. 44.5: Sorgenti di FiumeFreddo

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originando un’alternanza di bruschi salti (steps) e dolci pendenze (pools)(stop 4) (Figg. 45.5 e 46.5).

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Figure 45.5: Il Vallone Caricaturo tra blocchi conglomeratici maestosi ed alberi di noci

Figure 46.5: Il Vallone Caricaturo crea dei salti tra i blocchi conglomeratici.

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Tornando indietro, e proseguendo in direzione di T.pa del Lupo, si attraver-sa la località Piano Mancuso, un anfiteatro naturale di blocchi conglomera-tici di varie dimensioni. Anche questo tratto è caratterizzato, sulla sinistrada castagneti imponenti e sulla destra da un bosco di ontani. Ai limiti delsentiero si riconoscono associazioni vegetazionali molto caratteristiche tra lediverse specie di orchidee, felci, timo, ginestre e fragoline di bosco (Fig.47.5, 48.5 e 49.5).

Itinerari geologico ambientali

Figura 47.5: Panoramica di Piano Mancuso

Fig. 48.5: Timo selvatico

Fig. 49.5: Giacinto dal pennacchio

(Muscari comosum)

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Poche centinaia di metri dopo, in una curva, sul lato destro si può sostare(stop 5) ad osservare una cascata di oltre 15 m. di altezza, impostata suglistrati arenaceo-conglomeratici della Formazione di Monte Sacro (Fig. 50.5)

ed originatasi da una sorgente posta poco più a monte dalle medesimerocce. Le cascate sono il risultato di processi morfoselettivi che, erodendo ilivelli più fini intercalati alle arenarie, producono un effetto a gradino conscalzamento alla base.La sosta consente di osservare la vegetazione che si caratterizza per unaampia varietà di specie del sottobosco, tra le quali la felce aquilina è specieprevalente. Fragoline di bosco, orchidee viole e anemoni si accompagnanoalle ginestre che creano una cornice particolare agli ontani ed alle secolaripiante di castagno.Proseguendo, a breve distanza (stop 6), si incontrano sulla destra le sorgen-ti del Gruppo dell’Elce, captate sempre mediante bottini di presa e con por-tate complessive intorno ai 20 l/sec. (Fig. 51.5-52.5-53.5). Queste sorgentisono utilizzate per uso potabile per il fabbisogno della popolazione di NoviVelia. Essi si originano proprio in questo punto per le particolari caratteri-stiche idrogeologiche e geometriche delle rocce ivi presenti. Infatti, si ha lasovrapposizione delle rocce conglomeratiche, attribuibili alla formazione di

Itinerari geologico-ambientali

Figura 50.5: Particolare di una cascata che si incontra lungo il percorso (stop 5)

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Monte Sacro (permeabile per porosità e fatturazione), sull’Olistostroma(impermeabile) che tampona e consente, quindi, la fuoriuscita delle acquepiovane che si infiltrano e si accumulano nella sovrastante roccia conglome-ratica (cfr. par. 4.1.3). Le sorgenti sono classificabili per soglia di permeabi-lità sottoposta all’acquifero.Dalla stessa posizione, volgendo lo sguardo a sinistra è possibile godere, inprimo piano, un panorama della valle di Novi (Fig. 54.5) caratterizzata dal

Itinerari geologico ambientali

Figura 51.5:Sorgente n.1 del gruppo del'Elce

Figura 52.5:Sorgente n.2 del gruppo del'Elce

Figura 53.5:Sorgente n.3 del gruppo del'Elce

Figura 54.5: Panorama della Valle di Novi dalla località Stagliola

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“Fiume di pietra” o “Stone Stream” del Torna, e sullo sfondo la fasciacostiera ed il rilievo terrigeno del Monte Stella. Tra le pozze d’acqua presenti lungo il sentiero è facile incontrare anche iltritone (Fig. 55.5) (Scheda n. 9)

Giunti in corrispondenza della sella morfologica che precede Tempa delLupo, allo stop 7, ci si ritrova di fronte ad un geosito stratigrafico di grandeinteresse. Proseguendo fino a Tempa del Lupo verso Ovest, infatti, affiorain contatto stratigrafico (sovrapposizione di diversi terreni, per normalesequenza sedimentaria) sia il contatto tra le successioni di arenarie e con-glomerati della Formazione di Monte Sacro e l’Olistostroma (Fig. 56.5), chequello tra l’Olistostroma ed il bancone di Marna Fogliarina (Figg. 57.5-58.5-59.5). Ciò testimonia una estrema variabilità litologica della successio-ne, legata alla notevole complicazione paleogeografica del bacino di sedi-mentazione e delle aree sorgenti del materiale.

Questo contatto , inoltre, funge da limite tamponante inferiore, come giàdescritto in precedenza, per le acque di falda contenute nell’acquifero are-naceo-conglomeratico, determinando diffuse emergenze sorgive (cfr. par4.1.3). Osservando attentamente l’affioramento di cui alla figura 59.5, si nota comele rocce abbiano subito, nei tempi geologici, dei processi di tettonizzazione,rendendole molto fratturate e spesso modificandone la loro stratificazione

Itinerari geologico-ambientali

Figura 55.5: Tritone

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originaria con pieghe da rovesciate a coricate.Nell’area, gli alberi di alto fusto sono rari, ma l’ambiente si caratterizza perla presenza di ampi pianori ricchi di vegetazione, dove le tante orchidee,che si distinguono e confondono tra le pietre fogliarine e tra gli ontani dallaforma arbustiva, rendono la zona tra le più belle ed interessanti dell’interopercorso. Il punto è ideale per l’osservazione della vegetazione circostante,dalle pendici del Monte Gelbison a tutta la valle sottostante (Stop 8), conboschi di roverella, di castagni, di ontano e di faggio, uliveti e isole di mac-chia mediterranea.A questo punto, si torna indietro per circa 250 m fino alla biforcazione sulladestra dove ha inizio il quarto ed ultimo tratto dell’itinerario (Fig. 60.5). Il quarto tratto, che chiude il percorso, è un tratturo (Fig. 61.5-62.5 -63.5)che si sviluppa in discesa per 1200 m e con una pendenza di circa 8%. Solonel tratto finale dopo aver guadato un valloncello si deve affrontare in sali-ta un breve tratto di versante molto acclive, per poi ridiscendere fino adarrivare in corrispondenza del vallone Caricaturo ed immettersi sul primo

Itinerari geologico ambientali

Fig. 56.5: La linea rossa indica il contatto stratigrafico (sovrapposizione di diversi terreni)tra la successione arenaceo-conglomeratica della F.ne di M.Sacro e l'Olistostroma, qui carat-terizzato da argille rosse.

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Itinerari geologico-ambientali

Figura 57.5: Tempa del Lupo con la sommità costituita dalla Marna Fogliarina e la sellacon affioramento dell'Olistostroma

Figura 58.5: Particolare dell'affioramento della "Marna Fogliarina" a Tempa del Lupo

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Itinerari geologico ambientali

Figura 59.5: Contatto stratigrafico tettonicamente disturbato tra l'olistostroma e la marnafogliarina

Figura 60.5: Inizio del quarto tratto dell'itinerario. La freccia indica il sentiero da imboc-care

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tratto dell’itinerario.L’intero tratto si snodaagevolmente all’internodi un castagneto com-posto da maestose pian-te da frutto accompa-gnate ancora da ontani,arbusti della macchiamediterranea e da tuttala vegetazione tipicadel sottobosco di uncastagneto, nel quale lafelce aquilina risultadominante.A circa 500 m dall’iniziodi quest’ultimo tratto(stop 9) si ritrova ancorail contatto stratigraficotra le arenarie - conglo-merati della F.ne diMonte Sacro e l’Olisto-stroma (Fig. 64.5). Inoltre, nascosto tra lafitta vegetazione, làdove i raggi solaririescono a penetrare, èfacile incontrare deiramarri (Fig. 65.5) chesi mimetizzano facil-mente nella vegetazio-ne erbacea.

Itinerari geologico-ambientali

Figura 61.5: Panoramica del tratturo tra alberi di castagno

Figura 62.5: Panoramica del tratturo invaso dalla felceaquilina

Figura 63.5: Parte finale del tratturo. In primo piano anco-ra la felce aquilina

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Itinerari geologico ambientali

Figura 64.5: Contatto stratigrafico tra i conglomerati e l'olistostroma

Figura 65.5: Ramarro al sole

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1 Si consiglia, prima di intraprendere il percorso, un’attenta lettura della parte generale

della presente guida e di munirsi di scarponcini, binocolo e macchina fotografica.

Itinerari geologico-ambientali

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5.4.1 INFORMAZIONI GENERALI

Il terzo itinerario si sviluppa lungo due dei più antichi sentieri che portanoal Monte Sacro-Gelbison: il primo è quello percorso dalle cosiddette“Compagnie” che, a piedi, si recano periodicamente in visita al Santuario; ilsecondo è la prima strada carrozzabile realizzata negli anni sessanta oramaiabbandonata a seguito alla costruzione della nuova sede negli anni settanta.L’intero percorso si può scomporre in due anelli che si intersecano: uno,più corto e agevole, l’altro più lungo e di difficoltà crescente, risulta tangen-

te al percorso dell’itinerario n. 1 e consente anch’esso di proseguire fino allacima della Montagna (1707 m s.l.m.). L’itinerario si sviluppa tra una quotaminima di 1120 m. s.l.m (inizio percorso: bivio dopo loc. Santa Croce) eduna quota massima di 1500 m.s.l.m (incrocio con la strada carrabile per ilMonte Sacro o Gelbison), con una lunghezza di circa 4.5 Km (Figg. 66.5 -67.5). Il tempo necessario per percorrere a piedi l’itinerario varia tra le tree le quattro ore, a seconda del numero di soste e delle condizioni meteoro-logiche. Il periodo migliore per percorrerlo è sempre quello compreso tramaggio e settembre1, nelle ore mattutine, per evitare eventuale temporali

Itinerari geologico ambientali

5.4 ITINERARIO N. 3. Sentiero 103: La via del pellegrino

Figura 66.5 - Profilo altimetrico dell'itinerario 3

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estivi, localmente denominati “trupie”.

5.4.2 DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO

Giunti in località “Santa Croce”, a circa 200 metri dall’omonima area attrez-zata, sulla sinistra della strada carrozzabile, si imbocca il sentiero di seguitodescritto, facilmente individuabile per il basolato in pietra locale (Fig. 68.5).

Il primo tratto attraversa un bosco misto di Conifere (Fig. 69.5) testimo-nianza di un recente rimboschimento che ha interessato vaste zone e crea-to lussureggianti luoghi a macchia di leopardo. Ai bordi del sentiero, nella stagione consigliata, fiorenti arbusti di biancospi-no, rose canine, veroniche, ontani, ginestre e molte tra le specie tipiche delsottobosco fanno da cornice al bosco di alto fusto (Fig. 70.5). Proseguendo lungo il versante settentrionale di T.pa della Pantanella, salen-do sulla destra a circa 50 metri dall’imbocco del percorso (stop 1), è possi-bile osservare un ben esposto profilo pedologico. Esso è caratterizzato dauna sezione pedologica spessa circa 2 mt. di suolo, da classificare come

Itinerari geologico ambientali

Figura 68.5: Inizio percorso

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Figura 69.5: Panoramica del sentiero con conifere

Figura 70.5: Anemone variegata

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Spodosol (sandy forest soil, sensu Retallack, 2001) lungo cui è possibiledistinguere 5 orizzonti pedologici (Fig. 71.5).

Poco più avanti, in corrispondenza dello stop 2, si può osservare come i pro-cessi di alterazione chimico-fisici del substrato conglomeratico determinino

fenomeni di desquama-zione-esfoliazione in sitoche portano progressiva-mente all’isolamento disingoli blocchi (Fig.72.5). Il substrato dei suoli checaratterizza i versanti delM.te Gelbison è, infatti,costituito da rocce con-glomeratiche in partefratturate per azionedella tettonica recente.Le rocce vengono quindiattaccate dagli agenti

Itinerari geologico ambientali

Figura 71.5: Sezione pedologica con indicazione degli orizzonti distinti.

Figura 72.5: Processo di des-quamazione ed esfoliazione inatto su un blocco conglomera-tico.

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chimici2 lungo le superfici di fratturazione di grossi blocchi. Ciascun bloccoviene maggiormente alterato sugli spigoli e sui vertici ed in minor gradolungo le superfici laterali. In combinazione con l’alterazione meccanica3,ciascun blocco subisce una progressiva esfoliazione4 con uno sviluppo“cipollare”, assumendo via via una forma sferoidale (Scheda n. 4).Il percorso continua agevolmente fino al punto di confluenza, stop 3, deidue anelli dell’itinerario (Fig. 73.5). Da un punto di vista botanico, lungo i

bordi del pianoro non è raro ammirare splendide orchidee che si confondo-no con fitocenosi ricche di specie vegetali. Qua e la ricompare, come speciearborea prevalente, l’ontano napoletano (Alnus cordata) accompagnato daaceri di monte, frassini e pseudoacacie. Non è raro che ci si possa imbatte-re in qualche gruppo di orchidee selvatiche (Fig. 74.5) (Nazzaro et al.,1995).Da questa postazione è possibile scegliere tra due percorsi alternativi:Imboccare sulla sinistra un agevole sentiero lastricato che fiancheggia ilbosco di Abeti, giungendo sino alla strada provinciale, chiudendo così l’anel-lo più corto. In tal caso, il tempo di percorrenza è di circa 1,5 ore (Fig. 75.5).Oppure proseguire a destra, immettendosi sul secondo anello del percorso(Fig. 76.5), lungo il sentiero pavimentato che permette, in circa due ore, diarrivare al punto di tangenza con l’itinerario n°1. E’ la parte più impegnati-

Itinerari geologico-ambientali

Figura 73.5: Punto di confluenza del percorso

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va del percorso in quanto si rag-giunge quota 1500 m.slm., percor-rendo una serie di tornanti accliviin località “Belvedere”. È un suc-cedersi di pascoli, arbusti e faggi;questi ultimi costituiscono unaFaggeta tra le più integre di tuttal’Italia Meridionale.Arrivati al sito denominato “Mantodella Madonna”, stop 4 (fig. 77.5) ,gli escursionisti “meno stanchi”possono proseguire per la cima delMonte, immettendosi sull’itinera-rio n°1. Il percorso si sviluppa quasi intera-mente nella faggeta, percorrendoagevolmente l’ultimo tratto del

secondo anello e riportandosi allaquota di partenza. Diverse aree attrezzate (stop 5)consentono di ammirare esemplaridi faggio dai tronchi diritti, eleganti,tanto più alti e sottili (Fig.78.5)quanto più è fitta la fustaia,che si innalza, alla ricerca di luce.Dall’alta chioma il sole traspareattenuato in luminescenze verdi edorate, irrompendo qua e là attra-verso qualche varco con obliquecortine luminose. Il colore pallidodelle cortecce è variegato da mac-chie più scure o più chiare di liche-ni e da chiazze verdi e brune dimuschi. Suggestivo è l’aspetto della faggetain autunno, quando le fronde sicolorano di tutte le gradazioni fra ilgiallo oro ed il rosso quasi sangui-gno.

Itinerari geologico ambientali

Figura 74.5: Orchidea (Orchis mascula)

Figura 75.5: Inizio del primo "anello" dell'i-tinerario

Figura 76.5: Secondo "anello" immerso nellafaggeta

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Itinerari geologico-ambientali

Figura 77.5: Roccia che mostra un evidente piano di strato e che ha creato la leggendareligiosa del Manto della Madonna (vedi Medaglione 3)

Medaglione 3“Manto della Madonna”

Si narra che in un anfratto strettissimo tra due rocce riescano a passare solo i pellegri-ni che sono in grazia di Dio. Questi poi si recano a baciare il “manto della Madonna”,una grossa pietra piatta dove la leggenda vuole che la Madonna si sia fermata per “con-fezionarsi il vestito nuovo”.

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A poche decine di metri dal percorso, nell’ultima parte del primo anello, sinota una piccola croce che sovrasta un cumulo di pietre (Fig. 79.5). È questo il luogo dove anticamente gli abitanti di Novi avevano deciso dierigere una chiesetta in onore della Madonna. Eventi inspiegabili, però,fecero optare per la sua costruzione in cima alla Montagna dove, in una

Itinerari geologico ambientali

Figura 78.5: Faggio secolare

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grotta venne rinvenuta la statua di Maria (Conti, 1718). Dal crocevia si prosegue poi, immettendosi nel primo anello, fino al par-cheggio dell’area attrezzata Santa Croce.

1 Alterazione chimica: processo di alterazione attraverso il quale reazioni chimiche (idrolisi,idratazione, ossidazione, scambio di ioni e soluzione) trasformano la roccia ed i minerali alsuo interno in nuove combinazioni chimiche che sono stabili nelle condizioni prevalenti sullasuperficie terrestre o in prossimità.2 Alterazione fisica o meccanica: processo di alterazione legato all’azione del gelo, della cre-scita di cristalli di sale, assorbimento di acqua o altri processi fisici che comportino la rottu-ra della roccia in frammenti senza comportare scambi chimici.3 Processo con il quale parti della roccia di spessore variabile dal centimetro fino a qualchemetro sono progressivamente staccate dalla superficie integra di un blocco di roccia, comerisultato dell’azione combinata dei processi di alterazione chimica e fisica.

Itinerari geologico-ambientali

Figura 79.5: Santa Croce

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A1. CARATTERI FORMAZIONALI DEL SUBSTRATO DEL GRUPPO DEL CILENTO

Molti autori (Selli et al.,1962; Ietto et al.,1965; Ogniben, 1969; Pescatore etal.,1970; Scandone, 1972; D’Argenio et al., 1973; Amodio Morelli et al.,1976) si sono cimentati, con diverse interpretazioni e revisioni, nella rico-struzione delle pagine della storia geologica del Cilento e quindi del MonteGelbison. Infatti, quest’ultimo va immaginato come la parte sommitale diuna successione sedimentaria (capitoli del libro di storia naturale), potente2-3000 metri,definita da insiemi di formazioni geologiche che, come espo-sto in precedenza, nel passato sono appartenute a contesti geografici,ambientali e geodinamici diversi da quelli attuali.I terreni affioranti nel Cilento sono fondamentalmente riferibili a due insie-mi ben distinguibili per litologia, caratteristiche sedimentologiche e posizio-ne strutturale e ritenuti da tutti gli Autori come appartenenti a due dominipaleogeografici distinti (per un inquadramento a scala della catena appen-ninica si veda Cocco, 1971; Mostardini e Merlini, 1988; Sgrosso, 1986;Bonardi et al., 1988; Amore et al., 1988; Bigi et al., 1992)1.L’insieme geometricamente superiore, costituito da unità terrigene(“Internidi” sensu Cammarosano et al., 2004) si presenta piuttosto articola-to, prevalentemente arenaceo-pelitico, di origine torbiditica («flysch delCilento», Cocco e Pescatore, 1968) ed è considerato da tutti gli Autori«alloctono» e ed è correlato in parte con le Liguridi o le «Argille Scagliose»dell’Appennino Settentrionale («Complesso Liguride», Ogniben, 1969). Pertale insieme Amore et al. (1988) propongono una distinzione dal basso versol’alto di (Fig. A.1):

una parte basale (substrato), di età Cretacico Eocenica, costituita dapiù unità tettoniche dette Unità Liguridi s.s. (Knott, 1987) comprenden-ti l’Unità del Frido e del Melange di Episcopia S.Severino, tettonica-mente sottoposti all’Unità Nord Calabrese e a quella dei terreni ad affi-nità Sicilide; le facies pelagiche e bacinali sono correlabili con la partealta della Formazione delle Crete Nere, con la Formazione del Saracenoe con le Arenarie di Cannicchio, con un’età compresa tra l’Eocene

Appendice

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medio e il Burdigaliano.una parte intermedia (Gruppo del Cilento), in discordanza angolaresulla prima, di età Burdigagliano – Langhiano (o Langhiano-Tortoniano,Cammarosano et al., 2004), costituita, procedendo dal basso verso l’altostratigrafico, dalle Formazioni di Pollica, di San Mauro e di TorrenteBruca (equivalente alle prime due nella sezione di Monte Sacro); una parte sommitale, discordante sulla precedente, costituita da con-glomerati, a cui è attribuito il nome di Formazione di Monte Sacro, lacui età dovrebbe essere almeno tortoniana.L’insieme sottostante è, invece, rappresentato da una successione preva-lentemente carbonatica di piattaforma, nota come «successione carbona-tica appenninica», «piattaforma appenninica» o «Unità Alburno-Cervati», su cui sovrascorrono le unità terrigene.

Per quanto concerne il substrato del Gruppo del Cilento, ossia la partebasale dell’insieme superiore, esistono dettagliate suddivisioni nella lettera-tura scientifica. In particolare, alla fine degli anni ‘80, Bonardi et al. (1988)ed Amore et al. (1988) hanno evidenziato che esso è differenziabile, essen-zialmente su base litologica, in litotipi in parte riferibili a formazioni delleunità nord-calabresi (Saraceno e Crete Nere) ed in parte a litotipi riferibili

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Fig. A.1 Confronto tra le ricostruzioni del Complesso Liguride dal 1962 ad oggi (Amore etal., 1988).

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alle unità ad affinità Sicilide (DeBlasio et al., 1978; Bonardi et al.,1989). Bonardi et al. (1988) sostengono,infatti, che i litotipi che costitui-scono il substrato del Gruppo delCilento, o «complesso Liguride»(Ogniben 1969), presentanocaratteristiche litologiche, stiledella deformazione ed età che nepermettono la correlazione inparte con formazioni dell’unitànord-calabrese, in particolare conla parte superiore costituita dalleFormazioni del Saraceno e delleCrete Nere (l’età della parte som-mitale della Formazione delleCrete Nere è non più antica dellaparte alta del Bartoniano, partesuperiore dell’Eocene medio,mentre la Formazione del T.Saraceno dovrebbe avere un’etàcompresa tra la parte media delPriaboniano, Eocene superiore, ela parte inferiore del Chattiano,

Oligocene superiore), e in parte con le unità ad affinità Sicilide, per le qualiindicano un’età genericamente compresa tra il Maastrichtiano superiore el’Oligocene superiore (Fig. A.2). Recentemente Cammarosano et al. (2000)hanno descritto le caratteristiche litologiche e la posizione stratigrafica delleunità del substrato alloctono del Gruppo del Cilento, i rapporti geometricie l’assetto strutturale interni nonché i rapporti con le unità sotto e sovrastan-

Appendice

Figura A.2 - Schema stratigrafico delleunità eo-mioceniche del Cilento. Datibiostratigrafici tratti da: Bonardi et al.(1989) per le formazioni delle CreteNere e del Saraceno, Bonardi et al.,(1988a) per le unità ad affinità sicilidi e ilGruppo del Cilento, Castellano et al.,(1997) per le arenarie di Piaggine, Cocco(1971) per le formazioni di Trentinara,Roccadaspide e Bifurto

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ti (Fig. A.3). Dal rilevamento condotto dagli stessi Autori è emerso anche che la superfi-cie di contatto del Gruppo del Cilento sul suo substrato, pur essendo pro-babilmente di origine stratigrafìca, attualmente presenta evidenze di rimo-bilizzazione meccanica ed è quindi possibile definire il contatto come tetto-nizzato.

A2. Unità Liguridi e Sicilidi

I terreni del Complesso Liguride (Fig. A.4) sono costituiti da unità tettoni-che in cui sono rappresentate successioni sedimentarie e metamorfiched’età compresa tra il Giurassico superiore e l’Oligocene superiore (Bonardi

Appendice

Figura A.3 - Schema geologico dell'area e sezione trasversale passante per il MonteGelbison-Sacro (modificata da Cammarosano et al., 2004). Legenda: A) detriti; B) frane; C)depositi alluvionali; D) formazione di Centola; E) conglomerati di M. Sacro; F) olistostro-ma (Formazione di S. Mauro); G) fogliarina superiore (Formazione di S. Mauro); H)Formazione di S. Mauro; I) fogliarina inferiore (Formazione di S. Mauro); L) Formazionedi Pollica; M) Formazione del Saraceno; N) litofacies argillitica della Formazione delSaraceno; O) litofacies arenaceo-pelitica di Pianelli; P) litofacies marnoso-calcarea del T.Trenico; Q) litofacies argillitica di Genesio.

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et al., 1992; Critelli e Monaco,1993) contenenti blocchi di cro-sta oceanica e continentale, rico-perte da successioni torbiditichedell’Oligocene superiore-Miocene medio (Bonardi et al.,1985; 1988; Monaco, 1993;Monaco e Tanzi, 1992).I terreni del Complesso Sicilideaffiorano estesamente lungo leporzioni frontali della catena esono costituiti da una serie discaglie tettoniche (thrusts) in cuisono rappresentati sedimentiprevalentemente pelagici d’etàCretaceo superiore - Oligocene,caratterizzati da elevata caoticitào mostranti caratteri di mélangetettonico. A questi terreni sonostrettamente associate copertureterrigene del Miocene inferiorecaratterizzate da sequenze quar-zoarenitiche (Flysch Numidico)e litoarenitiche a componentevulcanoclastica andesitica (Tufitidi Tusa e/o Arenarie di CorletoPerticara). La “mappe du Flyschcalabro-lucanien et du Cilento”di Bosquet (1973), successiva-mente denominata come Unitàdel Cilento (Amodio Morelli etal., 1976), comprende tutti irimanenti termini sedimentaridel Complesso Liguride.

L’insieme dei terreni con associati blocchi ofiolitici sono stati raggruppatinell’Unità del Flysch calabro-lucano (Monaco et al., 1991). Per Unità delFlysch calabro-lucano s’intende una successione non metamorfica, conte-nente blocchi inglobati tettonicamente, di sequenze ofiolitiche con relativacopertura pelagica (Formazione di Timpa delle Murge) e lembi di succes-sioni terrigene riferibili alla Formazione delle Crete Nere. L’Unità del

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Figura A.4 - Colonna schematica della succes-sione stratigrafica del Complesso Liguridesecondo Ogniben (1969).

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Flysch calabro-lucano, in oggetto è ricoperta tettonicamente dall’Unità delFrido e sovrascorre sulla Formazione del Saraceno,La matrice dell’Unità del Flysch calabro-lucano in cui sono inglobati i fram-menti e blocchi di altre successioni, corrispondente all’alternanza pelitico-calcarea-arenacea corrisponde alla porzione non metamorfica del Flyschargillitico-quarzoso-calcareo di Selli (1962) ed a parte della Formazione delFrido e della Formazione delle Crete Nere di Vezzani (1968; 1969). Si trat-ta di un’alternanza di prevalenti argilliti scagliettate grigio brune o verdastrecon intercalati livelli torbiditici spessi da pochi centimetri al metro di quar-zosiltiti e arenarie quarzose a granulometria generalmente fine e di colorebruno verdastro, di calcisiltiti marnose laminate a calcareniti gradate risedi-mentate, di colore grigiastro. L’età è riferita al Cretaceo inferiore da Vezzani(1968; 1969) ma arriva sicuramente almeno al Cretaceo superiore.All’interno della successione del Flysch calabro-lucano si rinvengono nume-rosi corpi di argilliti nere (black shales), di dimensioni variabili da pochedecine di metri ad alcuni chilometri ed in rapporto generalmente tettonicocon la massa includente. Dal punto di vista litologico le argilliti nere(Formazione delle Crete Nere; Selli, 1962) sono costituite da prevalentiargilliti dure foliettate, di colore nero bluastro con patine brune, alternate asiltiti o a quarzareniti finissime leggermente gradate, in strati di pochi cm,di colore grigio verdastro e frattura scheggiosa. Dal punto di vista sedimen-tologico, considerata l’assenza di ciclicità nella successione e la scarsità degliapporti grossolani, le Crete Nere possono essere considerate il prodotto diuna sedimentazione torbiditica distale (Mutti e Ricci Lucchi, 1975).

A3. CARATTERI STRATIGRAFICI E FORMAZIONALI DELLEUNITÀ AFFIORANTI NEL CONTESTO DEL MONTE GELBI-SON O MONTE SACRO

Secondo Amore et al. (1988) e Guida et al. (1988) a partire dal MonteSacro, in tutto il Cilento meridionale, il Gruppo del Cilento non è più rap-presentato dalle Formazioni di Pollica e San Mauro ma da un’unica forma-zione denominata Formazione del Torrente Bruca, eteropica con le prece-denti, in quanto, secondo questi Autori, non sono più riconoscibili i caratte-ri distintivi delle due formazioni.

Appendice

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A3.1 Formazione di Torrente Bruca

Come ricordato nel Capitolo 3, gran parte del Monte Gelbison è costituitadalla Formazione del Torrente Bruca, che marca un graduale passaggiodalle facies arenaceo argillose a quelle via via più grossolane (Cieszkowskiet al., 1995).In particolare, nella parte inferiore (ex Formazione di Pollica) troviamosedimenti silico-clastici fini (membro di Cannicchio circa 100 m di spesso-re) che verso l’alto diventano più grossolani con uno spessore max di 600 m(membro di Pollica). Al di sopra di questi sedimenti affiora l’ex Formazionedi S. Mauro costituita da un’alternanza di arenarie e marne torbiditichecirca 300 m di spessore (MembroA) che segue con arenarie e conglomera-ti con spessore di circa 150 m. (Membro B). In questa sequenza sono pre-senti due megastrati calcareo marnosi (megatorbidite o Marne fogliarine)associati a due livelli olististromici (Olistostromi), che costituiscono deilivelli guida per tutta l’area di affioramento (Fig. A. 5). La megatorbiditeinferiore (MT1) presenta uno spessore di circa 35 m ed un volume di 4,5Km3, con forti riduzioni nell’area occidentale del Monte Gelbison. Quellasuperiore (MT2) presenta una maggiore continuità di affioramento ed hauno spessore di circa 40 m per un volume di circa 3 Km3. Al di sopra delledue megatorbiditi, come già detto, si rinvengono due livelli di olistostromacon spessore variabile tra i 100 – 200 m costituiti da conglomerati a matri-ce arenaceo siltosa senza stratificazione a tessitura fluitale (mud e sandflows), calcilutiti silicifere, diaspri neri e varicolori. Su questa formazione sideposita in discordanza angolare una successione prevalentemente conglo-meratica denominata Formazione di Monte sacro.

A3.2 Formazione di Monte Sacro

La Formazione di Monte Sacro (Fig. A. 5) è costituita da una sequenza,spessa circa 600 m, di conglomerati ed arenarie grossolane poligenici, amatrice prevalente, che si rinvengono stratificati in banconi di alcuni metridi spessore. Nella sequenza sono state riconusciute sei litofacies (De Pippoe Valente,1991) raggruppabili in: litofacies conglomeratiche, costituita daclasti di dimensioni minime di 2 - 16 mm immersi in una matrice sabbiosaprevalente, e con spessore degli strati variabile da 1 a 10 m; litofacies are-nacea, costituita da strati arenacei non gradati che raggiungono lo spessoremassimo di 2 m; litofacies arenaceo siltitica, poco rappresentata in affiora-mento, in cui sono riconoscibili le sequenze di Bouma, spesso incomplete;

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litofacies argillitica, ritrovata in rarissimi casi, costituita da livelli pelitici cen-timetrici fortemente discontinui lateralmente. La geometria lentiforme e lareciproca interdigitazione di queste litofacies fanno ritenere che esse rap-presentino il prodotto del riempimento e dei processi di accrescimento edivagazione dei canali prossimali di una conoide sottomarina. La composi-zione dei clasti è attribuibile principalmente a rocce ignee e subordinata-mente a rocce calcaree e di bacino. Probabilmente tale sedimenti, prove-nienti da un basamento cristallino epimetamorfico interessato da intrusionidi origine vulcanica e carbonatica, si sono deposti in una depressione tetto-nica bordata da un sistema di faglie legate allo sviluppo della catena appen-ninica.

1 Localmente, i rapporti geometrici tra i due domini si possono presentare invertiti, proba-bile come risultato della tettonica recente, successiva alla messa in posto dei depositi alloc-toni.

Appendice

Figura A.5 - Colonne stratigrafiche del Gruppo/Flysch del Cilento (Cieszkowski et al.,1995). Legenda: 1) Conglomerati da disorganittati ad organizzati con base erosiva; 2)Arenarie conglomerati a prevalente struttura massiva, talora gradate; 3a)Alternanze di are-narie e peliti; 3b) Alternanze di arenarie e marne; 4) Olistostrimi (OL1/OL2); 5)Megatorbitidi (MT1/MT2); 6) Substrato sedimentario del Flysch del Cilento; 7) Struttureda liquefazione; 8) Direzione delle paleocorrenti; 9) Livelli caotici intrabacinali.

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SCHEDE DEI GEOTIPI

SCHEDA 1: OLISTOSTROMASCHEDA 2: MARNA FOGLIARINA

SCHEDE DEI MORFOTIPI

SCHEDA 3: TORSSCHEDA 4: STRUTTURE ALVEOLARI

SCHEDE DEI BIOTIPI(con la collaborazione del dr. Vincenzo Pasquale)

SCHEDA 5: FAGGIOSCHEDA 6: ACERO DI LOBELIUS

SCHEDA 7: SAXIFRAGASCHEDA 8: MINUARTA MORALDOI

SCHEDA 9: TRITONE ITALICOSCHEDA 10: NIBBIO

Schede dei geotipi e dei biotipi

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Schede dei geotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison” Sentiero N. 2 “Il Sentiero dell’acqua”

Comune: Novi Velia Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Quota max Quota min

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 960 m s.l.m 750 m s.l.m

Lunghezza Difficoltà Lunghezza Difficoltà

15 km E 5 km E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Valenza didattica Carta 1:5.000 del

Comune di Novi Velia Valenza didattica

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità Stato di conservazione

dei geositi Accessibilità

Buono Lungo la strada Buono Lungo il sentiero

SCHEDA 1

Olistostroma

Tipo Deposito Sedimentario. Il termine è stato intro-dotto per la prima volta da Flores nel 1955 perindicare accumuli gravitativi caratterizzati damateriali eterogenei, in cui si distingue unamatrice inglobante al suo interno clasti e blocchi(olistoliti). La definizione originale è stata adot-tata per la Sicilia per indicare alcuni corpi caoti-ci riferibili alle Formazioni delle Argille scaglio-se e Argille brecciate intercalati a sedimentinormali. Da lì il termine è stato esteso a feno-meni comparabili nell'Appennino ed in altricontesti orogenetici, subendo nel tempo criti-che e revisioni da parte di un notevole numerodi autori. Alla luce delle ultime interpretazioniun olistostroma è qui definito un corpo sedi-mentario a struttura caotica, essendo il prodottodi un evento gravitativo e catastrofico lungo lascarpata continentale deposto in un bacino sedi-mentario.

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Schede dei geotipi

AspettoL'olistostroma affiorante lungo i due itinerari (Fig. 1)si presenta caratterizzato da argille rosse scagliettate etettonizzate con straterelli di selce e torbidite calcaree(foto 1-2). Alla base degli strati si osservano controim-pronte di limivori ed anche la sequenza di Bouma(foto 3- 4). Inoltre, nei diversi strati sono presentipatine di frizione a testimonianza dell'alto grado ditettonizzazione (foto 5) che hanno subito questi depo-siti nel passato geologico.

Ambiente geologicoDeposito marino la cui origine è da attribuire a grandi frane sottomarine verificatesi circa15 M.a, quando il M. Gelbison era in via di formazione e sommerso dalle acque.

Località e diffusioneAppennino. Sul M. Sacro è affiorante intorno alla quota di 1000 m s.l.m. Affiora con mino-re estensione anche sul Monte Centaurino, ad est del Monte Gelbison.

Fig. 1 - Sentieri lungo i quali è possibileosservare il geosito, con indicazione dellearee di affioramento dell'Olistostroma,rispettivamente con il cerchio rosso lungol'itinerario 1 (in giallo) e con il cerchio bluelungo l'itinerario 2 (in verde)

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Schede dei geotipi

Sentiero N° 1 “Il monte dell’idolo Gelbison” Sentiero N. 2 “Il Sentiero dell’acqua”

Comune: Novi Velia Comune: Novi Velia

Quota max Quota min. Quota max Quota min.

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 960 m s.l.m 750 m s.l.m

Lunghezza Difficoltà Lunghezza Difficoltà

15 km E 5 km E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Valenza didattica Carta 1:5.000 del

Comune di Novi Velia Valenza didattica

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità Stato di conservazione

dei geositi Accessibilità

Buono Lungo la strada Buono Lungo il sentiero

SCHEDA 2

Marna o Fogliarina

Tipo Roccia Sedimentaria. La Marna è unamescolanza di calcite e minerali argillosi,con tracce di quarzo, mica e residui carbo-niosi. Materia prima utilizzata per l'indu-stria dei cementi.

AspettoLa Marna è di colore grigio da chiaro ascuro, bruniccio, verdastro; tessitura clasti-ca a grana finissima o fine, con pochi granu-li distinguibili ad occhio nudo.Stratificazione medio fine spesso poco evi-dente. In effetti, nella parte bassa si presen-ta come una calcarenite.

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Schede dei geotipi

Ambiente geologicoDeposito marino o lacustre di materiale clasti-co mescolato a prodotti di precipitazione chi-mica o a residui organogeni, che ha subito unlungo trasporto. La sua origine è da attribuirea correnti di torbida verificatesi circa 15 M.a,quando il M. Gelbison era in via di formazio-ne e sommerso dalle acque.

LocalitàAppennino. Sul M. Sacro è affiorante tra gli 800 900 m.slm (fig. 1) e con più precisione aTempa della Rosalia ( foto 1; itinerario 1) e a Tempa del Lupo (foto 2-3; itinerario 2).

Fig. 1 - Sentieri lungo i quali è possibileosservare il geosito, con indicazione dellearee di affioramento delle Marne, rispetti-vamente con il cerchio rosso lungo l'itine-rario 1 (in giallo) e con il cerchio bluelungo l'itinerario 2 (in verde)

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Schede dei morfotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia

Valenza didatticaSingolarità Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 3

Forme di EsumazioneTors

Descrizione delle Forme

I Tors sono delle forme del rilievo parti-colari che consistono in un pinnacolo diroccia stratificata ed arrotondata che sieleva di alcuni metri o decine di metridal terreno circostante.Sulla Foto 1 sono mostrati diversi esem-pi di Tors in varie zone geografiche,sede di frequentazioni turistiche:(a) Tor alto circa 5-m e largo 25 m.; (b) Semi-tor parzialmente coperto dadepositi di versante; (c) Vista di un tor ben sviluppato inposizione sommitale; (d) Fratture profondamente alterate.

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Schede dei morfotipi

Descrizione del ProcessoSono interpretate come forme di esumazione, nelsenso che si formano attraverso processi di altera-zione chimica e disgregazione fisica che si svilup-pano gradualmente al di sotto della superficietopografica su particolari tipi di rocce (graniti,gneiss e conglomerati) caratterizzati da faglie,piani di strato, fratture e diaclasi ("joints") e che,solo successivamente, vengono "esumati" a giornodai processi di erosione e di denudazione sottoclimi simili all'attuale (Fig.1).

Ambiente MorfogeneticoEsistono diverse teorie sulla formazione dei Tors(French, 1976), ma tutte concordano che essi sipossono formare preferenzialmente sotto regimeclimatico periglaciale, oppure regime climaticosubtropicale.

I Tors del Monte GelbisonSul massiccio di M.te Gelbison (fig. 2) sono diffu-se queste forme di esumazione tipo Tors, che sisviluppano preferenzialmente sui conglomeratidella omonima Formazione di M.te Sacro e, quin-di, nella parte più elevata del rilievo montuoso. Sipossono distinguere in Tors di sommità ("SummitTors") e Tors di versante ("Sideslope Tors"), che siformano secondo il modello evolutivo mostratosulla Fig. 1. Nella foto 2 è mostrato un tipico Torquasi del tutto mascherato dalla fustaia di faggio,mentre nella foto 3 si vede un Tor quasi conicocon tipiche strutture alveolari.

Fig. 1: Stadi di formazione dei Tors

1° Stadio: Degradazione intensa di rocce stratifica-te e fratturate

2° Stadio: Inizio del processo di esumazione

3° Stadio: Messa a giorno progressiva dei Tors

Fig. 2 - Carta topografica con indicazione del tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è pos-sibile osservare il geotopo su cui si verifica il processo. Con i cerchi rossi sono indicate lezone di affioramento di blocchi conglomeratici particolarmente interessanti.

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Schede dei morfotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Valenza didattica Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 4

Strutture alveolari nei conglomerati

Descrizione del processo

La formazione delle strutture alveolari èlegata all'azione combinata dell'alterazionechimica (idrolisi, che agisce soprattutto nelperiodo caldo umido estivo) e di quellameccanica (ciclo gelo-disgelo che agisce nelperiodo invernale) a cui si associa l'erosioneeolica. Le facies conglomeratiche grossola-ne della Formazione di M.te Sacro sonocaratterizzate da un deposito massivo diblocchi eterogenei e di diversa naturaimmersi in una matrice sabbioso-limosacementata (fig. 1). L'idrolisi tende ad agiresui minerali solubili presenti nella matricescomponendoli e mandandoli in soluzione etendendo così ad allargare i contatti tra iciottoli nel blocco conclomeratico (foto 1).Nel periodo invernale l'azione meccanicaesercitata dal ciclo gelo-disgelo (l'acquapresente negli interstizi si congela edaumenta di volume esercitando una pres-sione meccanica sulle pareti delle fessure,mentre il disgelo produce un allentamentodella pressione) tende ad allargare le fessu-re e disgregare la roccia. Il materiale chenon va in soluzione viene poi allontanatodall'azione eolica (corrosione), lasciandocosì isolati i ciottoli che vengono espulsi daldeposito lasciando come risultato una roc-cia caratterizzata da numerosi alveoli didiverse dimensioni (foto 2).In Fig. 2 sonoindicate le aree di osservazione del proces-so.

Fig. 1 Schema semplificato dei processi dialterazione che interessano i blocchi conglo-meratici con l’isolamento di singoli elementisferoidali.

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Schede dei morfotipi

Fig. 2 - Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il geotopo su cui si veri-fica il processo.

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PRIMA

DOPO

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 1 “Il monte dell’idolo Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

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SCHEDA 5

Il Faggio (Fagus sylvatica L.)

Morfologia

Albero alto fino a 40 m, chioma larga e cupo-lare, tronco diritto, foglie alterne ovate-ellit-tiche lunghe 10-15 cm. (foto 1-2). Il frutto èla Faggiola (frutto composto versione nonpungente del riccio del castagno). (fig. 1)

Habitat

Predilige zone a bassa escursione termica,dove l'estate è fresca e umida e l'invernofreddo ma non gelido. La faggeta è una fore-sta molto caratteristica soprattutto per lapoca luce che penetra al suo interno causa lacopertura molto fitta della sua chioma. Il sot-tobosco è quindi particolarmente povero conla lettiera generalmente spessa e soffice eadatta alla crescita di una ricca flora fungina.

ArealeCresce sull'Appennino fino ai 1700 m s.l.m.Sul M. Sacro è presente tra i 1300 e 1700 ms.l.m. (Fig. 2). Il legno del faggio viene utiliz-zato per la fabbricazione di mobili, per arre-damenti e oggetti ad uso domestico, per lasua facile lavorabilità e per il suo piacevoleaspetto. Dalla distillazione secca del legno siottiene il catrame. Dal seme essiccato emacinato si ottiene dell'olio, e la faggiola puòessere utilizzata come surrogato del caffè. Sitratta di una pianta molto longeva che rag-giunge normalmente i 150 anni.

Fig. 1 Particolare del frutto e delle foglie

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Schede dei biotipi

Fig. 2 - Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il biotipo.

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Valenza didattica Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 6

Acero di Lobelius (Acer lobelii Ten.)

MorfologiaSi distingue per il contorno fogliare di aspet-to stellato con lobi a margine intero termi-nanti in un apice acutissimo (fig. 1). E' unAcero simile all'Acero riccio di cui per moltotempo è stato considerato una varietà. Haperò portamento colonnare e foglie con labase a bordi arcuati. I fiori compaiono a mag-gio e presentano calici pelosi.

HabitatPresente soprattutto nei boschi della fasciamontana (750-1700 m slm) (foto 1). Sullavetta del monte Gelbison si trova spesso inassociazione con il Faggio (Fagus selvatica)(foto 2) e con l'Orniello (Fraxinus ornus L.)(foto 3).Il nome Lobelius deriva da MatthiasDe l'Obel, medico fiammingo che scrisse unacelebre Historia plantarum nel 1576.

ArealeÈ un interessante endemita dell'Appenninomeridionale. Probabilmente era la speciepredominante del "bosco della Brycia" checaratterizzava la zona interna della Kore veli-na (propaggini sud orientali del MonteGelbison). Velia da questi boschi traeva illegname per i suoi cantieri navali. La Brycia,l'attuale Calabria, nel Cilento è identificatanella zona ad est del territorio velino luogo dirifugio di profughi calabri (popoli Bretii oBrutii) nel terzo secolo a.c. Fig. 1 - Particolare del frutto e delle foglie.

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Schede dei biotipi

Fig. 2 -Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il biotipo.

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Valenza didattica Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 7

Saxifraga (Sassifraga-Saxifragaceae)

MorfologiaGeneralmente le sassifraghe si presentanocome dense rosette di foglioline verde chia-ro, spesse e cuoiose, variamente lobate, dialteza variabile tra i 5 e i 15 cm, che tendonoad avere uno sviluppo tappezzante. In prima-vera producono steli carnosi, che portanouno o alcuni fiorellini di colore che può averetutte le tonalità del rosa, dal bianco al rosascuro (figura 1)

HabitatPresente soprattutto nei boschi della fasciamontana (750-1700 m slm). Sulla vetta delmonte Gelbison (figura 2) spuntano spessotra le rocce (Saxifraga granulata) (foto 1) eOmbelico di Venere (Umbilicus rupestris)(foto 2).

ArealeQuesto genere riunisce un gran numero dipiante erbacee perenni originarie delle zonetemperate e delle zone artiche, esistonoanche numerosissimi ibridi da giardino. Lesassifraghe presentano caratteristiche abba-stanza diverse, quindi sono state riunite inalcune famiglie, che riuniscono le piante conperiodo di fioritura e necessità simili.

Fig. 1: Immagine di Saxifraga granulata (daWilhelm 1885)

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Schede dei biotipi

Fig. 2 - Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il biotipo.

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

QUOTA MAX QUOTA MIN. LUNGHEZZA DIFFICOLTA’

1707 m s.l.m 514 m s.l.m 15 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Rarità Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 8

Minuartia Moraldoi (Sp. nova)

MorfologiaÈ una specie (erba perenne) appartenenteal genere Minuartia della famiglia delleCariofillacee (ordine delle centrosperme)che si caratterizza per il fusto articolato anodi ingrossati e foglie opposte connate(saldate) alla base (Fig. 1). Le foglie nonnon sono rigide ma soffici e da leggermen-te ellittiche a leggermente obovate, e dauna infiorescenza abbastanza lassa (foto1).

CariologiaFino ad ora, nessun conteggio dei cromo-somi è stato effettuato, comunque c'è dadire che in tutte le entità della ser.Graminifoliae è stato trovato il numerocromosomico di 2n = 32. Questi cromoso-mi sono taxa poliploidi e gli antenatidiploidi sono ora apparentemente estinti(Celebioglu & Favarger, 1982, Favarger,1967).

CorologiaStenoendemismo attualmente conosciutoin una sola montagna (M. Sacro oGelbison) nel Cilento (SA), nella regioneCampania nel sud dell'Italia (Fig. 2)

Fig. 1. Disegno di Fabio Conti, Dipar-timento di Botanica ed Ecologia del-l'Università di Camerino (MC).

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Schede dei biotipi

Habitat

Gli esemplari studiati provengono dal versante occi-dentale del M. Sacro o Gelbison, rupi di flysch delCilento nella faggeta a 1650 m slm.Tutto questo èparticolarmente interessante per il fatto che tutte glialtri taxa della serie sonoassociati a pietre calcaree,fatta eccezione della M.saxifraga che vive sulgneiss e su scisti mecacei.

Nota

Questa specie è dedicata al prof.Benito Moraldo, sistematista e tas-sonomista della flora italiana cen-tro-sud che per primo l'ha scoperta.

È stata catalogata comenuova specie da F. Conti &A. Alessandrini il 21 - 06 -1999, da cui sono statiripresi i dati ripotati nellapresente scheda.

Fig. 2 - Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il biotipo.

OsservazioniData l'assenza di esemplari essiccati negli erbari consultati, e la mancanza di referenzebibliografiche anche per le specie in relazione per il Cilento e l'intera regione dellaCampania, sembra che tale entità non sia mai stata studiata dai botanici, almeno fino aquando Moraldo non l'ha trovata. Al momento presente, essa è limitata a pochi affiora-menti vicino alla vetta del Monte Sacro o Gelbison, ma era probabilmente distribuita inmodo più ampio prima della costruzione del vecchio santuario che occupa l'intera vetta.Vista la sua scarsa distribuzione, questa specie merita di essere salvaguardata immediata-mente e dovrebbe essere aggiunta al Registro Rosso nazionale (CONTI et al., 1992, 1997).

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 2 “Il sentiero dell’acqua”

Comune: Novi Velia

QUOTA MAX QUOTA MIN. LUNGHEZZA DIFFICOLTA’

960 m s.l.m 750 m s.l.m 55 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

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SCHEDA 9

Tritone Italico (Triturus Italicus)

Caratteri distintivi

Si distingue per le piccole dimensioni, pochicentimetri, è sempre privo di cresta dorsalementre la coda presenta una cresta a bordorettilineo (foto 1-2).

Habitat

Presente in qualsiasi corpo idrico durantetutto l'anno, purchè non inquinato.

Biologia

I tritoni sono specie prevalentemente legateagli ambienti acquatici e si nutrono general-mente di piccoli invertebrati.Una particolarecaratteristica dei tritoni, comune anche tra lesalamandre, è quella di riuscire a rigenerarealcune parti del corpo amputate o perdute,tra cui la coda, gli arti e persino il cristallinodegli occhi.

Areale

E un endemismo appenninico limitatoall'Italia centro-meridionale dalle Marchecentrali, Lazio meridionale alla Calabria. SulM. Gelbison è presente lungo l'itinerario n. 2(Fig. 1).

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Schede dei biotipi

Fig. 1 - Itinerari, lungo i quali è possibile osservare il biotipo, con indicazione dell'area diritrovamento.

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Schede dei biotipi

Sentiero N° 1 “Il monte Gelbison”

Comune: Novi Velia

Quota max Quota min Lunghezza Difficoltà

960 m s.l.m 750 m s.l.m 55 KM E

Riferimenticartografici

Criteriodi selezione

Stato di conservazionedei geositi Accessibilità

Carta 1:5.000 del Comunedi Novi Velia Buono Lungo l’itinerario

SCHEDA 10

Il nibbio (Milvus Milvus L.)

Caratteri distintivi

Il nibbio reale (milvusmilvus L.) appartiene aiFalconiformi (rapaci diur-ni) che sono uccelli pre-datori, carnivori, conbecco robusto uncinato ezampe con forti artigli;misura circa 50 centime-tri di lunghezza e pesa dai700 a 900 grammi. Il suodorso è di colore brunoscuro, il ventre fulvo stria-to di nero e la testa bian-castra, anch'essa striata dinero. La biforcazionedella coda è ben pronun-ciata (Fig.1)

BiologiaSolo di poco più grande del Nibbio bruno, con il quale può essere confuso, è onnivoro opportunista,si ciba prevalentemente di uccelli, piccoli mammiferi e pesci, ma non è raro osservarlo alimentarsinelle discariche di rifiuti o di animali morti lungo le strade; sottrae sovente il cibo ad altri uccelli qualicornacchie e altri rapaci. I sessi sono simili nel piumaggio ma la femmina è notevolmente più grande.Il volo è tipico: ali arcuate verso il basso e sovente angolate, coda molto mobile.

Fig. 1 - Il nibbio

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Schede dei biotipi

Habitat

Il Nibbio reale frequenta zone di bassa quota, preferibil-mente nei pressi di ambienti umidi comunque caratterizzatida zone boscose e ambienti aperti. È una presenza quasicostante all'interno del Parco e sul massiccio del MonteGelbison, dal quale spesso si spinge a descrivere un arealeche sottende il centro abitato di Novi (Fig. 2).

Fig. 2 - Tratto dell'itinerario n. 1, lungo il quale è possibile osservare il biotipo.

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ABIOTICOIndica, in generale, l’assenza di organismi viventi; in particolare viene utilizzato per indicarela parte fisica dell’ecosistema costituita da rocce e da sedimenti nonché dai processi che leformano, le trasportano e le modellano.

ACCAVALLAMENTO Sovrapposizione di una unità tettonica, soprattutto a comportamento rigido, sopraun’altra luogo piano di movimento suborizzontale. Di solito con il termine accaval-lamento si indica l’unità sovrascorsa.

ACQUIFERO Roccia satura d’acqua all’interno della quale avviene il deflusso sotterraneo.

AFFIORAMENTO Esposizione di una roccia o di un insieme di rocce direttamente osservabile.

AGENTI ENDOGENI Processi che prendono origine dall’interno della Terra e che possono avere manifestazionisulla superficie terrestre (vulcani, terremoti, etc.)

AGENTI ESOGENI Processi derivanti dalla dinamica dell’atmosfera o dell’idrosfera e della interazione di que-st’ultima con la litosfera.

ALLOCTONO Proveniente da altri luoghi; si dice di formazioni rocciose rimosse per fattori tettonici dalluogo di origine. E’ utilizzato in genere per indicare, nelle catene di tipo alpino, le partisovrascorse su di un substrato detto basamento autoctono.

ALLUVIONALE, Conoide Insieme di sedimenti depositati da un corso d’acqua nel punto in cui la sua pendenza dimi-nuisce; sono depositi che si formano principalmente dove le valli incontrano aree pianeg-gianti. Si tratta in genere di depositi molto potenti nel punto d’origine e si assottigliano pro-gressivamente lungo la direzione di scorrimento delle acque. Le conoidi formate dai con-fluenti possono sbarrare il corso d’acqua principale formando laghi d’estensione anche cospi-cua. Sulle conoidi delle grandi valli alpine si insediano spesso abitazioni e attività agricole,anche in relazione alla presenza di falde acquifere nel sottosuolo e alla favorevole esposizio-ne.

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ALTO MORFOLOGICO Rilievo montuoso che si erge immediatamente a ridosso di un’area depressa di fondovalle odi bacini

AUTOCTONO Originatosi nello stesso luogo in cui si trova attualmente. Si dice di formazioni rocciose nonrimosse dal luogo di origine per cause tettoniche.

AVAMPAESE Area stabile di un continente, marginale a una catena montuosa, su cui si sono rovesciate lefalde tettoniche dislocate dai fenomeni di sovrascorrimento.

AVANFOSSA Depressione o bacino che si individua sul fronte dell’orogene (catena montuosa in formazio-ne). In genere, verso l’esterno, è presente l’avampaese stabile.

BACINO CONTINENTALE Depressione della crosta terrestre. Può ospitare acque marine (bacino marittimo) o laghi(bacino lacustre) o l.insieme delle valli che convogliano le acque a un fiume collettore (baci-no fluviale). All’interno dei continenti si hanno grandi bacini racchiusi da catene montane,talora senza sbocco al mare (bacini endoreici).

BACINO OCEANICO Parte della crosta terrestre che giace al di là del margine continentale, includendo le pianeabissali, le dorsali oceaniche, le isole vulcaniche e le fosse tettoniche.

BIOCENOSI E’ l’insieme delle popolazioni di specie animali e vegetali che coesistono nello spazio e neltempo in un dato ambiente ed interagiscono fra loro, in reciproca relazione. Lo spazio, oambiente, occupato dalla biocenosi, è chiamato biotopo. Si suddivide in fitocenosi ed in zoo-cenosi quando ci si riferisce rispettivamente a vegetali o animali che popolano un ambiente.

BIOSTRATIGRAFIA Parte della stratigrafia che studia la distribuzione dei fossili nel tempo con lo scopo di suddi-videre e classificare le rocce sedimentarie su basi paleontologiche.

BIOSTRATIGRAFICA, Unità Suddivisione di un complesso di rocce in relazione al loro contenuto di fossili. Le unità sonoindipendenti dalle variazioni litologiche e sono distinte dai nomi dei fossili caratteristici inesse contenuti; le più usate sono le biozone corrispondenti agli strati che comprendono ilimiti di vita di una specie.

BIOTOPO, vedi Biocenosi

CALCARE Sono rocce costituite principalmente da carbonati di calcio e possono avere diverse origini:Calcari organogeni dovuti all’accumulo di resti organici (calcari di scogliera, calcari a coralli,alghe, crinoidi o foraminiferi); Calcari di precipitazione chimica (calcari evaporitici, calcarioolitici o pisolitici); Calcari detritici o clastici dovuti alla deposizione meccanica di frammen-

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ti di carbonato (se di origine organica assumono il suffisso bio-) e suddivisi in base alla gra-nulometria della matrice in micriti o spariti.

CARBONATICO Roccia composta in prevalenza da carbonati (rocce a base di carbonato di calcio e magnesio):calcari e dolomie.

CANYONS SOTTOMARINI Profonde valli sottomarine incise nella scarpata continentale lungo cui, a volte, vengono con-vogliati i sedimenti accumulati sulla piattaforma continetale.

CATACLASITE Roccia sottoposta a deformazione meccanica, di natura tettonica, che ne ha frantumato lamaggior parte dei granuli minerali, senza tuttavia obliterarne i caratteri originari, comeavviene invece nelle miloniti.

CICLO SEDIMENTARIO Insieme dei sedimenti depositati in un bacino nell’intervallo di tempo compreso fra due tra-sgressioni successive; all’inizio del ciclo si hanno depositi di tipo continentale seguiti dadepositi marini di ambiente via via sempre più profondo per poi tornare, durante la fase diregressione, e depositi di mare basso e, successivamente, a depositi continentali.

C.I.P. Coefficiente d’infiltrazione potenziale dato dal rapporto tra la percentuale d’acqua di preci-pitazione che s’infiltra nel sottosuolo ed i deflussi d’acqua totali (sotterranei e superficiali).

COMPLESSO IDROGEOLOGICO Gruppo di rocce o formazioni geologiche caratterizzate da caratteri idrogeologici (permea-bilità, porosità, fratturazione, carsismo) simili e variabili entro una stretta gamma di valori.

CONGLOMERATO Roccia sedimentaria detritica costituita da elementi arrotondati o subarrotondati (ciottoli) dirocce preesistenti, contiene almeno il 50% di elementi grossolani; se la percentuale è infe-riore la roccia si definisce paraconglomerato. I sedimenti sciolti corrispondenti sono leghiaie. Gli ambienti di formazione più comuni sono quello alluvionale, deltizio e costiero;sono conosciuti anche conglomerati di origine glaciale, detti tilliti. Alcune serie stratigraficheiniziano con sequenze conglomeratiche, in genere connesso con una fase d’erosione conti-nentale ed un evento trasgressivo.

CONOIDE SOTTOMARINA Deposito sedimentario a composizione spiccatamente ghiaiosa-sabbiosa che si forma all’usci-ta dei canyons sottomarini. Presenta forma di ventaglio con apice rivolto verso monte e sigenera quando le correnti di torbida che scorrono nei canyons incontrano una brusca dimi-nuzione di pendenza (solitamente allo sbocco della scarpata sulla piana abissale).

CONTATTO STRATIGRAFICO Rapporto geometrico esistente tra due o più unità, formazioni o strati geologici di diversanatura litologica

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CORRUGAMENTO Increspatura della crosta continentale e/o oceanica per effetto di movimenti tettonici o oro-genetici.

CROSTA Parte superficiale della terre che comprende la parte superiore della litosfera. Ha uno spes-sore medio dai 15 ai 30 km. La crosta si distingue in continentale e oceanica. La crosta con-tinentale è quella parte di crosta terrestre che corrisponde ai continenti e alla loro prosecu-zione sotto il livello del mare. La crosta oceanica e coperta interamente dalle acque dei mari,di cui costituisce “il pavimento”. La crosta e costituita da rocce granitiche, metamorfiche evulcaniche (95%), sedimentarie (4%), arenarie (0,75%) e calcari (0,25%).

CUNEO D’ACCREZIONE Tipica forma a cuneo assunta lungo la zona di fossa tettonica dove si hanno due zolle in avvi-cinamento e una delle due va in subduzione con progressiva deformazione e sovrapposizio-ne del materiale accumulato.

DEBRIS FLOW Correnti dal forte contenuto di materiale solido (colate detritiche) che muovono negli alveitorrentizi e/o lungo incisioni vallive.

DEGRADAZIONE CRIOCLASTICA Alterazione e disgregazione meccanica della roccia per effetto del ciclo gelo-disgelo.

DISCORDANZA Interruzione di una sequenza stratigrafia (sedimentaria, vulcuno-sedimentaria, ecc.) percause contemporanee o posteriori alla deposizione degli strati. Ad es. lacuna,superficie dierosione. La discordanza segna perciò un inizio di una nuova successione, se questa è paral-lela alla precedente è detta discordanza semplice, altrimenti prende il nome discordanzaagolare; a volte tra una sequenza deposizionale e la successiva sono intervenuti fenomeni tet-tonici deformativi.

ESUMAZIONE Azione del portare alla luce, disseppellire una forma o una struttura geologica.

EUSTATISMO Fenomeno di variazione del livello medio dei mari in seguito alla variazione della quantitàassoluta di acqua marina. La causa principale è costituita dalle fluttuazioni delle calotte gla-ciali durante le variazioni climatiche (glacioeustatismo). Lungo le coste il fenomeno è causadi trasgressione o di regressione.

EVAPOTRASPIRAZIONE Insieme di due processi: evaporazione e traspirazione. L’evaporazione riguarda quella partedell’acqua che torna direttamente nell’atmosfera attraverso il passaggio distato. La traspira-zione che avviene attraverso l’apparato fogliare, mediante l’assorbimento d’acqua da partedelle radici delle piante ed il relativo trasporto fino alle foglie con successiva liberazione inatmosfera.

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EVOLUZIONE POLICICLICA E POLIFASICA Trasformazione della superficie terrestre sviluppata in più cicli erosivi e più fasi geologiche

EVOLUZIONE TETTONO-SEDIMENTARIA trasformazione della crosta terrestre (continentale ed oceanica) ad opera di processi tettoni-ci (fagliamenti) e sedimentari (deposizione di sedimenti in ambiente sub-aereo o subacqueo)

FACIES SEDIMENTARIE Insieme delle caratteristiche petrografiche, sedimentologiche e paleontologiche di una roc-cia sedimentaria, che esprimono le caratteristiche ambientali della zona di formazione dellaroccia stessa.

FAGLIA Frattura lungo la quale è apprezzabile una spostamento relativo delle due parti della rocciainteressata. A causa di tale movimento possono trovarsi a contatto terreni di diversa naturaed età, contrariamente a quanto avviene in una frattura. Quando il piano di faglia non è ver-ticale, la parte sopra di esso è chiamata tetto, mentre quella sottostante è il letto.

FAGLIA, Piano di Superficie teorica di faglia assimilabile ad un piano.

FAGLIA DIRETTA Faglia in cui il tetto si è abbassato rispetto al letto (sinonimo di faglia normale).

FAGLIA INVERSA Faglia in cui il tetto si è sollevato rispetto al letto.

FAGLIA TRASCORRENTE Faglia a grande scala in cui prevale lo scorrimento orizzontale.

FALDA TETTONICAElemento geologico planare, costituito da terreni alloctoni attualmente situati sopra terreniautoctoni o impilate su altre falde in seguito a spinte tettoniche tangenziali. Nella falda siriconosce una parte anteriore, denominata fronte, una parte superiore, dorso, e una parteposteriore detta radice. Il ricoprimento può avvenire per mezzo di pieghe rovesciate o sovra-scorrimenti.

FASI NEOTETTONICHE Fase di deformazione e dislocazione tettonica del Terziario recente e del Quaternario anco-ra attive in regioni instabili.

FINESTRA TETTONICAZona della superficie terrestre in corrispondenza di accavallamenti tettonici in cui l’erosionemette a giorno l’unità geologica sottostante.

FLYSCH Successione stratigrafica prodotta da sedimenti clastici provenienti dall’erosione di una cate-na montuosa o di un continente e depositati in fosse in fase di progressivo colmamento. Sonogenerati in gran parte da correnti di torbidità e mostrano spesso sequenze di grande spesso-

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re a struttura gradata, in cui materiale grossolano è alternato a sedimenti più fini ricchi diimpronte e laminazioni incrociate, sovente ricoperti da sentimenti pelitici.

FORMAZIONE Suddivisione del terreno in un’unità litostratigrafica superiore allo strato ed al membro.Unità litostratigrafica di dimensioni tali da permetterne la rappresentazione cartografica e isuoi caratteri litologici. E’ l’elemento base che viene distinto in campagna durante il rileva-mento geologico e viene rappresentano cartograficamente sulle carte geologiche con diver-si colori e codici.

FOSSE OCEANICHE O “TRENCH” Solco pronunciato dei fondi marini e oceanici, presente spesso in corrispondenza di catenemontuose emerse. Come i rilievi, le fosse sono dovute a movimenti orizzontali della crostaterrestre.

FRANA Fenomeno di distacco e discesa lungo il pendio con accumulo a quote più basse, di unamassa di terreno o roccia. Le condizioni a cui la frana si verifica sono estremamente variabi-li in funzione del clima, della litologia, della struttura e della complessità della situazionegeologica; altrettanto si può dire circa il volume interessato dal movimento, che può variareda qualche metro cubo a centinai di milioni di metri cubi, e la velocità di spostamento chepuò essere dell’ordine di qualche centimetro all’anno o di decine di metri al secondo. Sullabase di queste considerazioni è evidente che esistono numerose classificazioni basate suimeccanismi, l’entità e i tipi litologici interessati. Tuttavia, indipendentemente dal tipo, unafrana può essere suddivisa in tre zone: zona di distacco, dove ha avuto origine il movimentoverso il basso; zona di scorrimento lungo la quale il materiale si è mosso con varie modalitàe zona di accumulo, dove il movimento si esaurisce.

FRONTE OROGENICO La parte più avanzata di un’area in sollevamento ed in avanzamento con un processo oroge-netico in atto.

GEODINAMICA La parte fisica della geologia che studia i processi passati e che avvengono tuttora sulla super-ficie terrestre, le loro cause ed i loro meccanismi. È lo studio dei processi che portano a cam-biamenti di forma, composizione, disposizione delle masse e di distribuzione dell’energia nelglobo terrestre.

GRABEN Depressione strutturale delimitata da faglie dirette

GRANULOMETRIA Composizione della parte minerale del suolo; comprende lo scheletro e la terra fine (ø < 2mm).

HORSTBlocco morfostrutturale rialzato per fagliamento.

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IDROGEOLOGIA Scienza che ha per oggetto di studio le acque sotterranee, le rocce che le contengono e gliaspetti geologici delle acque superficiali. In anni recenti è stata ampliata per includerviaspetti ambientali, quali i problemi dell’inquinamento delle falde acquifere.

ISOSTASIA Teoria secondo cui le masse rigide della crosta terrestre che costituiscono i continenti “gal-leggerebbero” in equilibrio statico sul sottostante mantello superiore plastico (astenosfera).

LITOFACIES Insieme della caratteristiche litologiche di una roccia sedimentarie che permettono di defi-nire l’originario ambiente di deposizione. Il termine è talvolta usato anche per indicare l’in-sieme delle rocce aventi caratteristiche litologiche comuni.

LITOGENESIInsieme dei processi geologici che portano alla formazione delle rocce.

LITOSFERA Involucro superficiale della Terra, dello spessore di 70-100 km, detto anche crosta terrestre.In senso più ampio è intesa come la porzione solida della Terra, in antitesi ad atmosfera eidrosfera che ne costituiscono, rispettivamente, l’involucro gassoso e la porzione liquida.

MARGINE PASSIVO Bordo continentale non interessato dai processi orogenetici, ma solo da fenomeni tettonicidi distensione.

MARGINE TRASFORMEContatto fra zolle litosferiche lungo cui avviene solo uno scivolamento delle masse crostali.

MARNA Roccia sedimentaria clastica costituita da calcare ed argilla in parti circa uguali. Con il varia-re dei rapporti tra i componenti si identificano i termini di passaggio: calcari marnose, marnecalcaree, marne argillose e argille marnose. Le marne possono essere più o meno compattee hanno spesso frattura concoide; non sono adatte a usi edilizi, soprattutto per opere ester-ne, sono tuttavia usate per la fabbricazione dei cementi.

MORFOGENESIProcessi geologici che portano alla formazione ed alla trasformazione del rilievo terrestre.

MORFOSELEZIONE Erosione selettiva che determina una morfologia a gradini per effetto della diversa velocitàd’erosione di strati a diversa litologia.

MORFOSTRUTTURA Forma determinata da un elemento strutturale, quale una faglia, uno strato, una piega etc.

NEOTETTONICADeformazione della crosta terrestre avvenuta prevalentemente nel Quaternario; inAppennino lo stile è prevalentemente verticale.

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NIVALEAttinente all’azione degli accumuli nevosi permanenti.

OFIOLITI Il complesso delle rocce ignee, intrusive, effusive e metamorfiche, note anche come rocceverdi per la predominanza di tale colore nei componenti mineralogici.

OROGENESI L’insieme dei fenomeni geologici che portarono alla formazione delle catene montuose

OSCILLAZIONI GLACIO-EUSTATICHE Oscillazioni del livello del mare per effetto dello sciogliemto dei ghiacci (periodo interglacia-le) o della loro espansione (periodo glaciale)

PALEOGEOFRAFIA Distribuzione delle terre e dei mari nei diversi periodi della storia della terra.

PALEOSUOLO Suolo formatosi in un’epoca geologica passata, preservato dalla distribuzione ed identificabi-le attualmente nelle serie sedimentarie. Lo studio dei paleosuoli permette di effettuaresoprattutto deduzioni sulle condizioni climatiche esistenti durante la loro formazione.

PALEOTETTONICADeformazione della crosta terrestre avvenuta prima del Quaternario.

PANGEA Il primordiale unico continente terrestre dal quale sarebbero derivati per frammentazione icontinenti attuali

PEDIMENT O GLACIS D’ÉROSION Superficie piana di roccia erosa in posto a debole inclinazione che può o no essere copertada sedimenti. Di solito raccorda aree montuose ad aree bacinali.

PEDOGENESI Processo di formazione del suolo a partire per lo più da detriti minerali provenienti dalladisgregazione delle rocce (substrato pedogenetico). Si realizza attraverso processi di trasfor-mazione, accumulo, perdita e traslocazione dovuti ad un insieme di fattori (detti fattori pedo-genetici): clima, morfologia, roccia, esseri viventi, tempo.

PERMEABILITÀ Capacità dei suoli di lasciar filtrare le acque. La legge di Darcy, dal nome del suo ideatore,l’ingegnere dei Ponts e Chausseé Henry Darcy, stabilisce il coefficiente di permeabilità k checaratterizza la predisposizione di un suolo all’infiltrazione.

PIANO DI STRATO Superficie planare che limita superiormente ed inferiormente uno strato geologico. Essa puòessere inclinata, piegata, rovesciata od orizzontale.

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PIATTAFORME CARBONATICHE Regione costiera o di mare aperto a composizione carbonatica (calcarea o calcarenitica) informa di alto fondo costituita da una scogliera corallina, una scarpata, una laguna interna eda atolli.

PIEGA Struttura tettonica che risulta da un incurvamento delle rocce per deformazione continua.

PILLOW LAVAS Lava a cuscini. Struttura a masse rotondeggianti delle colate di lava che avvengono al di sottodel livello del mare.

PLACCA (O ZOLLA)Porzioni litosferiche di varie dimensioni che si muovono l’una rispetto all’altra venendo acontatto lungo i margini di placca (o zolla).

POROSITA’ Rapporto tra il volume degli spazi vuoti del suolo (i pori) e il volume complessivo del suolo;generalmente viene espressa come percentuale.

PORTATA Volume di fluido che passa attraverso la sezione di condotto o alveo nell’unità di tempo

PROFILO PEDOLOGICO Sezione di terreno o trincea caratterizzata da uno o una successione di orizzonti pedologicidove si riscontra l’evoluzione in posto di un suolo.

REGIME TETTONICO Tipo di associazione di strutture tettoniche (pieghe, faglie, fratturazioni); distensivo quandoprevalgono le faglie dirette, compressivo quando prevalgono quelle inverse.

RELITTO MORFOCLIMATICO Forma residua di un’evoluzione geomorfologica avvenuta in condizioni climatiche diversedalle attuali.

RICOSTRUZIONE PALINSPASTICA Descrizione genetica, sistematica ed evolutiva di un fenomeno geologico che ricostruisca“all’indietro” i fenomeni di formazione delle catene montuose.

SELLA MORFOLOGICA Depressione tra due culminazioni di una cresta di anticlinale o tra due terminazioni di assistrutturali.

SEQUENZA TIPO “FINING UPWARD “Successione sedimentaria la cui granulometria tende ad assottigliarsi verso l’alto.

SERPENTINA Roccia metamorfica a composizione ultrabasica composta in prevalenza da serpentini ed altrisilicati di Mg. Fa parte delle rocce verdi o ofioliti.

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SERPENTINO Silicato di magnesio, di colore verde in vari toni; è il componente essenziale della serpenti-na.

SILICO-CLASTICO Formato da clasti o blocchi costituiti da rocce silicee.

SINCLINALE Piega nel cui nucleo compaiono i terreni più recenti concavi verso l’alto.

SISTEMA FRONTE OROGENICO-AVANFOSSA-AVAMPAESE Insieme di domini orogenici in corrispondenza dei margini compressivi costituiti da catenein avanzamento, bacino di sedimentazione ed area non deformata esterna.

SISTEMA OROGENICO Insieme delle componenti tettoniche, morfologiche e sedimentarie che caratterizzano unorogene in formazione.

SOVRASCORRIMENTO o THRUST Sovrapposizione tettonica di una unità geologica su di un’altra lungo una superficie suboriz-zontale o poco inclinata; il termine sovrascorrimento viene utilizzato per sovrapposizioni digrande ampiezza (dell’ordine di qualche chilometro).

SPINTE ISOSTATICHE ISOSTASIA Condizione di equilibrio della crosta terrestre che si realizza con spostamenti verticali aseguito di differenze di densità.

SPARTIACQUE SOTTERRANEO Linea immaginaria condotta lungo l’asse principale di un acquifero; segna la zona di separa-zione delle acque scorrenti in direzioni opposte. Non sempre lo spartiacque sotterraneocoincide con quello superficiale, in quanto, le strutture geologiche impermeabili profondepossono non coincidere con corrispondere a quelle superficiali.

SUBDUZIONE Meccanismo tramite cui il margine compressivo di una zolla litosferica scorre sotto quellodella zolla continua. La crosta continentale non può scorrere sotto quella oceanica ma sonoteoricamente possibili tutte le altre combinazioni.

SUCCESSIONE SEDIMENTARIA SINOROGENA Accumulo di strati sedimentari deposti durante la fase orogenetica.

SUCCESSIONI SEDIMENTARIE DI AMBIENTE CONTINENTALE Accumulo di strati formatisi in ambiente subaereo.

TERRAZZO MARINO Forma spianata di depositi marini depositati quando il livello del mare era più alto dell’at-tuale.

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TETIDE Grande braccio di mare mesozoico che copriva le areee oggi corrispondenti all’Europa meri-dionale, il Mediterraneo, il nord africa, l’Iran e la zona hymalaiana.

TETTOGENESI E OROGENESI Processo di corrugamento e deformazione della crosta terrestre lungo i margini attivi dellezolle litosferiche, dove si sollevano le catene montuose e le cordigliere (orogenesi).

TORBIDA Corrente marina ad alta densità con materiale in sospensione che scorrono ad alta velocitàlungo le scarpate oceaniche. I sedimenti deposti, con una caratteristica sequenza di struttu-re sedimentarie (sequenza di Bouma), formano grandi accumuli di conoidi sottomarini che,poi, costituiscono i flysch.

TORBIDITE Sedimenti depositati da corrente di torbida; si presentano generalmente a struttura gradatae ricchi di strutture sedimentarie esterne (impronte). Molti flysch sono da considerare, alme-no in parte, successioni torbiditiche.

TRASGRESSIONE Fenomeno contrario alla regressione che consiste nell’avanzamento del mare su terre emer-se. E’ provocata da un abbassamento della terra ferma per movimenti tettonici oppure ad uninnalzamento del livello marino per fenomeni eustatici. Le trasgressioni si riconoscono stu-diando le serie sedimentarie, in quanto i sedimenti depositati durante l’avanzamento delmare, giacciono in evidente discordanza sulla superficie di erosione formatasi durante l’e-mersione a causa dell’interruzione della sedimentazione.

UNITÀ STRATIGRAFICA Insieme di rocce, strati, terreni distinti dai precedenti, adiacenti e successivi per particolaricaratteristiche come ad esempio il contenuto in fossili, l’età, la litologia.

VALLEY FILLING Riempimento di valli incise in un regime morfoclimatico temperato da parte di detriti gros-solani (stone stream) generati e trasportati da processi geomorfologici compatibili con regi-mi morfoclimatici periglaciali.

ZOLLE LITOSFERICHE CONTINENTALI (v. Placca)Porzioni della superficie terrestre in cui è suddivisa la litosfera

ZONE PALEOGEOGRAFICHE (v. Paleogeografia)

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Scala dei tempi geologici

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Scala dei tempi geologici

Cronostratigrafia e geocronologia del Tardiglaciale e dell'Olocene (Orombelli e Ravazzi,1996). Le età 14C convenzionali B.P. (a partire dall'A.D. 1950) ed età 14C calibrate cai B.P.1b: età calendario B.P. (a partire dall'A.D. 1950) dei maggiori eventi/limiti del Tardiglaciale.Le prime due colonne riportano la nomenclatura cronostratigrafica/geocronolo-gica forma-le. Nella terza colonna sono indicate alcune suddivisioni informali. Sono inoltre indicate leetà 14C convenzionali B.P. che definiscono i limiti delle cronozone, secondo diversi autori.

Note: ('1) La suddivisione dell'Olocene in inferiore, medio e superiore, con limiti rispettivamente a 7000 e 3000 anni14C convenzionali B.P., è informale. Altri autori preferiscono una bipartizione in Olocene inferiore e superiore conlimite a circa 5000 anni 14C convenzionali B.P. Il termine Neoglaciazione viene impiegato secondo la definizione diPortar & Denton (1970) e Denton & Porter (1967); il termine Hypsithermal è ripreso da Porter (1981). L.I.A. =Piccola Età Glaciale. (*2) Età 14C calibrate B.P. (a partire dall'A.D. 1950). L'età 14C calendario B.P. è stata calibratacon il programma CALIB 3.0 elaborato da Stuiver & Reimer (1993). Le età calibrate sono riportate come intervalli ditempo di un sigma, ottenuti per calibrazione dell'età convenzionale impiegata da Mangerud et al., (1974, 1982) per ilimiti delle cronozone. Ai fini della calibrazione, a ciascuna data limite è stata arbitrariamente attribuita una deviazio-ne standard di ±50 anni. (' 3) Alley et al., 7993; 11,550±70 carota GRIP; 11,640±250 carota GISP2. (* 4) Becker &Kromer, 1993. (' 5) Bjòrck et al., 1992. ('6) Bard et al., 1992. (' 7) Fairbanks, 1990. (* 8) Stuiver et al., 1995. (*9)L'oscillazione di Gerznersee viene correlata con l'Intervallo freddo intra-Allerod (IACP) (Lehman & Keigwin, 1992;Stuiver et al., 1995).

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RINGRAZIAMENTI

Gli Autori desiderano ringraziare tutti coloro che hanno creduto nella bontàdi quest'opera. Su tutti si ringraziano il Sindaco, Dott. Adriano de Vita,l'Amministrazione Comunale di Novi Velia ed il Segretario Generale, Ing.Carlo Camilleri, dell'Autorità di Bacino Regionale Sinistra Sele per la sen-sibilità e la lungimiranza mostrate nel sostenere moralmente ed economica-mente la redazione di questa guida e senza le quali la stessa non sarebbestata realizzata.Un doveroso e sentito ringraziamento viene rivolto al prof. LudovicoBrancaccio di Napoli per l'attenta e critica lettura del manoscritto e per ipreziosi ed irrinunciabili suggerimenti profusi per il miglioramento dellaleggibilità del testo e dei suoi contenuti.Si ringrazia il Maestro pittore Mario Modica e lo scultore Bruno Aloia peraver dato al libro un’“anima” attraverso le loro opere che dalla copertinaintroducono il lettore in un percorso d'osservazione più attento della suaterra natia.Un ringraziamento va, inoltre, rivolto al Dr. Biologo Pasquale Vincenzo perla preziosa collaborazione nella redazione delle schede botaniche e per averindirizzato gli Autori ad una più attenta osservazione delle peculiarità vege-tazionali dell'area, nonché al Dr. Geologo Vincenzo Siervo per la restituzio-ne cartografica delle carte fuori testo.Un ultimo, ma non per questo meno importante, particolare ed affettuosoringraziamento all'ingegnere M. Patrizia Positano per gli interessanti edindispensabili spunti forniti per la chiarezza e la comprensione del testo.

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Finito di stampare nel mese di giugno 2006presso la litotipografia CGM srl - Agropoli (Sa)

Progetto grafico e prestampa: Studio Scriptorium - Agropoli (Sa)

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