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Hispaniorama. Istantanee del cinema spagnolo dalle origini al crepuscolo del Franchismo, in "CinemaSud", I, n. 1, luglio 2016

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Avvertenza: Riporto l’articolo a mia firma apparso sullarivista «CinemaSud » (n. 1, anno 1, luglio 2016) alle pp.51-57.In neretto e tra parentesi quadre nel corpo del testo, lanumerazione delle pagine come nell’originale cartaceo.

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HISPANIORAMA. ISTANTANEE DEL CINEMA SPAGNOLO DALLEORIGINI AL CREPUSCOLO DEL FRANCHISMO

Antonella Brancaccio

DAL MUTO AL SONORO

[51] Risale al 1896 La bella Chiquita e le sue danze oscene, unodei primi filmati proiettati a Madrid. L’autore è ErwinRousby, inventore dell’animatografo, apparecchio in gradodi mostrare vedute animate, dapprima in competizione epresto soppiantato dal più complesso cinematografo deiLumière. Alexander Promio, operatore dell’azienda deifratelli francesi, realizza nello stesso anno il primofilm interamente girato in Spagna, Place du Port à Barcelone(t. l. Piazza del Porto a Barcellona, 1896); numerosi operatoriattraversano le principali città spagnole per riprendereimmagini panoramiche in movimento da trasmettere nellesale di proiezione. Si tratta, ovviamente, di fotografieanimate dal valore prettamente documentario, senza alcunoscopo narrativo. Il pioniere della finzionecinematografica è invece il catalano Fructuós Gelabertche nel 1897 debutta con Riña en un cafè (t. l. Rissa in uncaffè) volgendosi successivamente verso una direzionedocumentaria. Il nome di Gelabert resta comunque legato

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al successo di Los guapos de la vaquería del parque (t. l. I bellidella vaquería del parco, 1905), simpatica commediaincentrata sullo stratagemma utilizzato dal proprietariodi uno sfortunato locale per cercare di attrarreclientela. Nonostante il successo ottenuto da La puntaire(t. l. La ricamatrice, 1928), sua ultima pellicola, lacarriera di Gelabert viene stroncata dall’avvento delsonoro all’inizio degli anni Trenta.Il vero protagonista di questa fase pionieristica ètuttavia l’aragonese Segundo de Chomón che apprende isegreti della settima arte a Parigi lavorando con CharlesPathé. Impossibile tracciare un quadro uniforme della suasterminata opera (circa mezzo migliaio di film) che vadal reportage al documentario alla trasposizione di fiabepopolari. È tuttavia nel genere fantastico che emerge lacifra caratteristica del regista: L’hotel elettrico (El hoteleléctrico, 1908) è indubbiamente il vertice della carrieradi Chomón, il film in cui egli sperimenta, oltre che unacerta mobilità della macchina da presa, una vasta gammadi trucchi come la tecnica del “giro di manovella” con laquale gli oggetti sullo schermo si spostano magicamente.Dal 1912 al 1929, anno della sua morte avvenuta a Parigi,Chomón si divide tra l’Italia e la Francia, impegnato ingrandi produzioni: è lui a occuparsi degli effettispeciali di Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone e deitrucchi di Napoleone (Napoléon, 1927) di Abel Gance. In virtù della sua vivacità culturale, Barcellonas’impone, almeno per vent’anni, come la capitale spagnoladel cinema, condizione favorita anche dalla fondazione divarie case di produzione; Madrid, invece, nonostante lasua posizione di capitale geografica, non riesce a staredietro alla città catalana. La ripresa di [52] Madrid è

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merito di Benito Perojo il cui esordio è legato a Fulano detal se enamora de Manón (t. l. Tal dei tali si innamora di Manón,1914), film girato al Parco del Retiro, location predilettada molti registi dell’epoca. Nel 1915 Perojo fonda unasocietà di produzione cinematografica, la Patria Films, edà vita al personaggio di Peladilla, sorta di Charlotispanico protagonista di varie pellicole di successo tracui Peladilla cochero de punta (t. l. Peladilla autista di punta,1915). A partire dal 1920 i registi cominciano unafortunata avventura nell’adattamento di opere letterarie,il cui sfruttamento va di pari passo con la popolaritàottenuta. Un esempio del genere è La verbena de la paloma (t.l. La verbena della colomba, 1921) di José Buchs dalla zarzueladi Ricardo de la Vega e Tomás Bretón che vedeprotagonista il futuro regista Florián Rey. Nel 1935proprio Perojo fa un remake di questo film, dimostrando,nonostante l’avvento del sonoro, di aver mantenuto unatenace vitalità espressiva, specialmente nella messa inscena delle classi popolari e nella direzione degliattori. Se durante la Guerra Civile il regista preferiscespostarsi in Italia e poi in Germania per realizzarealcuni film comici, negli anni Quaranta ritorna in Spagnae contribuisce alla creazione della commedia levita (cioè“in frac”), genere che trova la sua giustificazione nellaricostruzione storica. In Goyescas (1942), Perojo assegna aImperio Argentina – star del cinema spagnolo e reduce dalset di quella Tosca (Idem, 1940) iniziata da Jean Renoir eterminata Carlo Koch – due parti: quella della duchessad’Alba e quella di una giovane popolana. Dopo GoyescasPerojo, insofferente al clima della Spagna post-bellica,decide di recarsi in Argentina per continuare la suaattività registica fino alla fine degli anni Quaranta.

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Parallelo a quello di Perojo, anche se decisamenteinferiore, è il percorso registico di Florián Rey checomincia recitando in qualche zarzuela e approda alladirezione nel 1924 con La revoltosa (t. l. La rivoltosa). Lesuccessive pellicole che il regista realizza durante glianni Venti sono principalmente trasposizioni di romanzi:El Lazarillo de Tormes (1925), liberamente ispirato al librodell’anonimo secentesco, e La hermana San Sulpicio (t. l. Lasorella San Sulpicio, 1927), adattamento di un’opera di ArmandoPalacio Valdés di stampo clericale in cui esordisce lagià citata Imperio Argentina. Sulla soglia degli anniTrenta anche il cinema di Rey, come quello di Perojo,privilegia tematiche regionali, il primo esempio ècostituito da La aldea maldita (t. l. Il villaggio maledetto,1930), dramma contadino di importanza cruciale per quantoriguarda il passaggio dal muto al sonoro e ammirevolesoprattutto per il lavoro sulla fotografia che richiamail contrasto chiaroscurale proprio della pittura barocca.Se con Nobleza baturra (t. l. Nobiltà contadina, 1935) e MorenaChiara (t. l. Scura Chiara, 1936) Rey offre unarappresentazione efficace (seppur stereotipata) dellaSpagna rurale, nei decenni seguenti il suo cinema perdequest’attenta capacità descrittiva e ripiega verso unformalismo puramente esteriore.

DALLA REPUBBLICA AL TRIONFO DEL FRANCHISMO: LUIS BUÑUEL

Con l’avvento del sonoro, tra il 1929 e il 1930,inaugurato dal film di Francisco Elías El misterio de la Puertadel sol (t .l. Il mistero della Puerta del sol, 1929), esplicitaparodia del divismo americano dell’epoca, ben pochi sonoi cineasti e le strutture produttive che riescono a

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restare in piedi. La vera e propria riorganizzazione [53]del sistema coincide con l’instaurazione dellaRepubblica, durante la quale la produzione riacquista iprecedenti ritmi di crescita. Difficile individuare,nella giungla di autori e titoli, un progettointeressante in cui poter cogliere lo stato della coevasituazione storica. Solo grazie al ritorno di Luis Buñuelin Spagna dopo uno sterile soggiorno statunitenseassistiamo all’affermazione del documentario, genere finoad allora ingiustamente trascurato. Prodotto con i soldivinti alla lotteria dall’amico Ramón Acín, l’enfant terribledi Calanda gira Las Hurdes – Tierra sin pan (Las Hurdes – Terra senzapane, 1932), documentario sulle condizioni di vita di uninsediamento nelle montagne delle Hurdes, «una regionesterile e inospitale dove l’uomo è obbligato a lottare,ora dopo ora, per la sua sopravvivenza», come avverte ladidascalia introduttiva del film. Benchè sia undocumentario, Las Hurdes si riallaccia perfettamente aldisegno surrealista iniziato precedentemente con Un chienandalou (Idem, 1929) e L’âge d’or (Idem, 1930). Attraversoprocedimenti che ricordano l’iperrealismo surrealista,Buñuel mostra in primo piano la testa di un asino indecomposizione – immagine che ci riporta alla mentequella degli asini putrefatti di Un chien andalou – emediante un montaggio-collage contrappone la miseriadelle povere case degli hurdanos spiranti malaria allamagnificenza delle chiese. La Spagna repubblicana econservatrice proibisce Las Hurdes e accusa il regista diaver screditato il Paese, costringendo Buñuel ad unintermittente esilio prima in Messico e poi in Francia.Luis, nonostante tutto, tornerà in patria altre tre volteper realizzare Viridiana (Idem, 1961), Tristana (Idem, 1971)

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e Quell’oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du desir, 1977),tre titoli caratterizzati dalla presenza di Fernando Rey.Viridiana è una novizia, vittima delle ossessioni di unozio che cerca di violentarla per poi impiccarsi elasciarle in eredità la sua tenuta. Viridiana trasformala casa in ospizio per persone bisognose, ma un giorno,ritornando alla magione, scopre il caos che i miserabilihanno generato in sua assenza e, durante il trambusto,viene stuprata proprio da uno dei suoi “amati” reietti.«È inutile essere misericordiosi perché il mondo ècattivo e sarà sempre privo di riconoscenza» sembraessere il messaggio di questa straordinaria parabolaanticlericale. Ampiamente discussa è la scena in cui imendicanti si raccolgono intorno al tavolo per la lorovolgare cena: essi sono tredici e si dispongono secondoil modello de L’ultima cena di Leonardo, anche se,centralmente, al posto di Gesù, c’è un uomo che per ilsuo comportamento appare molto più simile a Giuda. LaToledo del 1929 è lo sfondo su cui si snoda la dolorosastoria di Tristana, ragazza senza padre né madre dellaquale Don Lope diviene tutore e insieme amante.Innamoratasi di un pittore, Tristana fugge con lui mapresto si ammala di cancro a una gamba, ritorna da DonLope, lo sposa e subisce l’amputazione dell’arto. L’unicasequenza onirica ricorrente nel film mostra Tristanaosservare la testa del tutore appesa al battaglio di unacampana, palese metafora del desiderio di morte che laprotagonista prova nei confronti di Don Lope, ambizionesopita e violenta che la donna metterà in attoconcretamente solo alla fine come unica possibilevendetta. Con Quell’oscuro oggetto del desiderio Buñuel torna inSpagna per l’ultima volta e affida alla nazione natale il

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suo testamento artistico. Il film è tratto da La donna e ilburattino, romanzo di Pierre Louÿs già adattato per loschermo da Josef von [54] Sternberg [Capriccio spagnolo (TheDevil is a Woman), 1935] e da Julien Duvivier [Femmina (Lafemme et le pantin), 1959]. Questo vecchio progetto,realizzato grazie alla collaborazione dello sceneggiatoreJean-Claude Carrière, ruota intorno ad un vecchioborghese innamorato di una ragazza che continuamente glisi nega, illudendolo, però, che prima o poi si concederàa lui. Per il suo commiato il cineasta aragonese sceglieancora l’atto mancato, “spezzando in due” il ruolo dellaragazza affidato a due attrici, Carole Bouquet e AngelaMolina, che lo interpretano a vicenda, dando vita ad uncurioso gioco che però non provoca alla vicenda alcunosconvolgimento dal punto di vista narrativo. L’ultimaimmagine del film è un’esplosione causata da unimprecisato attentato terroristico, degno sigillo di unpercorso cinematografico iniziato e concluso nel segnodegli inesauribili enigmi dell’inconscio.Lo scoppio, nel 1936, della Guerra Civile, che vedecontrapporsi franchisti e repubblicani, produce un tipodi cinema, in parte di finzione in parte documentario,che si mette al servizio delle rispettive ideologie. Ilfranchismo non comprende subito l’importanza di questomezzo di propaganda e, infatti, i filmati deglioppositori sono nettamente superiori sia per numero cheper qualità. Considerato una delle testimonianze piùrealistiche e dolorose dei sanguinosi scontri in stradache si verificarono durante la Guerra Civile, Spagna 1936(España 1936, 1937) del francese Jean-Paul Le Chanois (susoggetto e sceneggiatura di Buñuel) rimane un documentofondamentale dell’impegno civile e umanitario dimostrato

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dalla fazione repubblicana. Se si escludono i varicinegiornali prodotti dal Departemento Nacional deCinematográfia, l’unico titolo rilevante girato nellaprospettiva del fronte franchista è Raza (t. l. Razza,1941) di Sáenz de Heredia, sceneggiato da Jaime deAndrade, pseudonimo nientemeno che di Francisco Franco.Il film segue le vicende della Spagna dal 1898 al 1939attraverso il destino di una famiglia della piccolaborghesia, classe sociale da cui proviene lo stessoCaudillo de España, permettendo allo spettatoreun’identificazione tra la figura del dittatore e quelladel valoroso ufficiale di fanteria José Churruca. Questapellicola bellicista diverrà il modello ufficiale delregime instaurato dal Generalísimo Franco.

SULLA SCIA DEL NEOREALISMO E OLTRE: BERLANGA E BARDEM

A partire dagli anni Cinquanta i cineasti inizianoprogressivamente a recuperare il contatto con la realtàche li circonda, rompendo ogni legame di continuità conla linea celebrativa dominante nel precedente decennio.Il primo titolo rappresentativo dei nuovi fermenti è Esapareja feliz (t. l. Quella coppia felice, 1951), girato a quattromani da due future promesse del cinema spagnolo: JuanAntonio Bardem e Luis García Berlanga. Si tratta di unacommedia sulla vita matrimoniale di un elettricista e diuna casalinga vincitori di un concorso indetto da unamarca di sapone che consente loro di diventare per ungiorno «La Coppia Felice». Nonostante il finaleconsolatorio, la censura franchista colpisce quest’operacorrosiva nei confronti della società spagnola del tempo.Bardem e Berlanga, compagni di studio alla Escuela

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Oficial de Cinematográfia, proseguiranno la lorocollaborazione con Benvenuto, Mister Marshall! (¡Bienvenido MisterMarshall!, 1952), diretto da Berlanga e scritto da Bardem.Questa commedia realista, ambientata nel paesino [55]castigliano di Villar del Río, si fonda sull’attesa, daparte degli abitanti, di alcuni commissari americaniincaricati di distribuire i soldi del Piano Marshall.Mentre nel paese fervono i preparativi, passa l’auto deidelegati USA che se ne va senza nemmeno fermarsi. Senegli altri film del Berlanga anni Cinquanta si avverteancora l’influenza di certo neorealismo di marcazavattiniana, la vena satirica del regista vieneesasperata dall’incontro, negli anni Sessanta, con losceneggiatore Raphael Azcona, collaboratore anche delnostro Marco Ferreri. L’apporto di Azcona, padredell’umorismo nero, consente a Berlanga di spostarel’asse del suo cinema verso un grottesco che col passaredel tempo si fa sempre più spietato. Ne La ballata del boia (Elverdugo, 1964), un impiegato delle pompe funebri,interpretato magistralmente da Nino Manfredi, sposa lafiglia di un boia, ma, per poter mantenere la propriaabitazione, deve chiedere al padre di sua moglie il suoposto di lavoro. Il genero, con riluttanza, è costrettoad accettare, ma arriva il momento di eseguire unacondanna e, in una formidabile scena del film, l’uomoviene trascinato dal suocero verso il luogodell’esecuzione quasi fosse lui la vittima. Dopo un paiodi commedie nere e il fiasco di Life Size-Grandezza naturale(Grandeur nature, 1974), il sodalizio Berlanga-Azconas’interrompe per qualche anno, causando al cineastavalenciano un ristagno di carriera. La coppia si ritrovanel 1977 con La escopeta nacional (t. l. La carabina nazionale),

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primo film di una trilogia composta da Patrimonio nacional(t. l. Patrimonio nazionale, 1981) e Nacional (t. l. Nazionale,1983), massimi esempi di commedia valenciana di stampofallero. La trilogia segue le evoluzioni della famigliaLeguineche alle prese con i cambiamenti politici in attonella Spagna della transizione. La escopeta nacional vedeprotagonisti un ingegnere catalano e sua moglie, invitatinella villa in campagna di un amico per partecipare a unabattuta di caccia. La gita fuori porta si trasforma in unfrenetico susseguirsi di situazioni grottesche e diincontri con personaggi surreali. Con un procedimentoanalogo a quello adoperato da Buñuel ne Il fascino discreto dellaborghesia (Le charme discret de la bourgeosie, 1972) e ne Il fantasmadella libertà (Le phantome de la liberté, 1974), Berlanga mettealla berlina la borghesia spagnola degli anni Settanta ei suoi rituali vuoti: il pranzo, la battuta di caccia, laconversazione salottiera.A differenza di Berlanga, il cui sguardo sulla realtà èdecisamente disincantato, Bardem propone una visione piùdrammatica. È tra il 1955 e il 1957 che il cineastarealizza le sue opere migliori: Gli egoisti (Muerte de unciclista, 1955) è la storia di una donna e del suo amanteche accidentalmente investono un ciclista senzaprestargli soccorso. La situazione precipita quando unconoscente minaccia la coppia di rivelare il crimine almarito della donna. Per raccontare l’ipocrisia dellaborghesia madrilena Bardem si muove sui binari delmelodramma poliziesco, optando per le atmosfere lividecreate da Michelangelo Antonioni in Cronaca di un amore(1950), da cui, tra l’altro, prende in prestito anchel’attrice protagonista, Lucia Bosè. Calle Mayor (Idem,1956) è indubbiamente il miglior film di Bardem il cui

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sguardo si posa su una piccola città di provincia e, inparticolare, su un gruppo di amici sfaccendati checonsuma il proprio tempo in scherzi puerili e partite albiliardo [il pensiero corre inevitabilmente a I vitelloni diFederico Fellini (1953)]. Uno della combriccola, Juan, sifinge innamorato della matura Isabel [56] solo per poterridere di lei con i compagni. L’epilogo è davverocommovente: in una grande sala Isabel attende Juan per ilballo d’autunno, ma le si presenta un amico di lui,Federico (personaggio che, per certi versi, ricorda ilMoraldo dei Vitelloni) che rivela alla povera donna laverità. Federico offre a Isabel la possibilità disalvarsi partendo con lui per Madrid, la attende,pertanto, alla stazione, ma lei proprio non ce la fa astaccarsi da quella provincia che tanto l’ha vilipesa.L’ultima inquadratura mostra la donna dietro i vetridella finestra di casa, quasi la sua dimorarappresentasse una prigione esistenziale dalla quale nonsi può evadere. Dopo Calle Mayor Bardem gira ancora qualchetitolo interessante, ma, preso di mira dalla critica emassacrato dalla censura, abbandona le sue inizialipretese sociali per affrontare i generi più disparati(dal musical al film d’avventura), perdendo peròquell’estro creativo che lo aveva reso, assieme aBerlanga, il regista più promettente del cinema spagnolo.

TRA IL TRAMONTO E L’ALBA: CARLOS SAURA E VICTOR ERICE

Segnali non trascurabili di rinascita iniziano ad essereavvertiti già prima del 1975, anno della morte di Francoe della dissoluzione della dittatura. Tralasciando iltentativo privo di seguito dei registi della Scuola di

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Barcellona vólto alla costruzione di una nuovelle vaguespagnola, due casi emblematici del rinnovamento in attosono quelli di Carlos Saura e Victor Erice. Saura, inverità, esordisce un po’ prima e infatti tra il 1962 e il1969 gira cinque film nei quali getta le basi del suocinema “allegorico” che perfezionerà nelle operesuccessive. Uno dei frutti più validi del primo Saura èLa caccia (La caza, 1965), vicenda di tre reduci della GuerraCivile che si rivedono per una partita di caccia nelcorso della quale vengono alla luce tensioni psicologichetanto forti da portare tutti alla morte. Un connubioperfetto tra metafora e politica è riscontrabile in Eljardín de las delicias (t. l. Il giardino delle delizie, 1970), in cuiun miliardario, dopo un incidente, finisce su una sedia arotelle, affetto da amnesia. I suoi genitori cercano conogni mezzo di fargli riacquistare la memoria solo perpoter recuperare la chiave della cassaforte. La sequenzafinale, che vede tutti i membri della famiglia su dellecarrozzelle, esprime il caustico giudizio di Saura sullaborghesia spagnola. In questa direzione, il vero filmspartiacque per Saura è Cría Cuervos (Idem, 1975),complesso e crudele racconto intimista costantemente inbilico tra finzione e realtà, nel quale la piccola Ana(l’intensa Ana Torrent) è convinta di aver provocato lamorte del padre ufficiale, stroncato invece da un infartofulminante. Affidata alle rigide cure della sorella dellamadre, la ragazzina – che nel corso del film alternafantasticherie a ricordi reali dei genitori – tenta(invano?) di avvelenare anche la zia. Basatosull’intervallo di tempi soggettivi e paralleli scanditidai flash-forward di Ana adulta e di Ana bambina, il film siguadagna il successo anche grazie alla canzone Porque te

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vas. La prospettiva infantile di Cría Cuervos deve molto aquella proposta ne Lo spirito dell’alveare (El espíritu de la colmena,1973) da un eccellente debuttante come il basco VictorErice, che all’ipertrofismo di Saura oppone atmosferesospese, tempi dilatati e dialoghi rarefatti. Ne Lo spiritodell’alveare, ambientato in un villaggio castigliano altempo della Guerra Civile, prima attrice è ancora lapiccola Ana Torrent stregata dal Frankestein di James Whale(Idem, 1931) che [57] ha visto proiettare in uncinematografo ambulante. Quando scopre un fuggiascorepubblicano rifugiatosi in un casolare, Ana lo assisteperché lo ha identificato con il personaggio delle suefantasticherie e soprattutto perché ha percepito chequell’uomo non è cattivo ma semplicemente diverso. Altropersonaggio fondamentale nel film è il padre di Ana,Fernando, apicultore in balìa di un’esistenzasemivegetativa, prigioniero di una vita che si sgretolanella reiterazione quotidiana di gesti sempre uguali. Lospirito dell’alveare è, quindi, anche una riflessione sulmonotono e inesorabile fluire del tempo esull’impossibilità di sottrarsi ad un prescritto destinodi reclusione, come dimostra la breve fuga della bambinadopo la fucilazione del suo “amico”. Una visionecrepuscolare, dunque, quella di Erice, che, attraverso unrecupero personale della memoria storica, sembraanticipare la fine di un’epoca e, allo stesso tempo,l’inizio, per la Spagna, di una nuova, sorprendentestagione politico-culturale.

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