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I percorsi di Andrea Vaccaro (1604-1670)

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Mariaclaudia Izzo

NICOLA VACCARO(1640-1709)

Un artista a Napoli traBarocco e Arcadia

I percorsi di Andrea Vaccaro(1604-1670)

diRiccardo Lattuada

INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9

1. La vita di Nicola Vaccaro, artista a Napoli nella seconda metà del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 15

2. La vicenda critica di Nicola Vaccaro negli studi sull’arte napoletana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 23

3. Il ruolo di Nicola Vaccaro nell’arte napoletana della seconda metà del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 47

3.1. I percorsi di Andrea Vaccaro (1604-1670) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 49

3.2. L’evoluzione del linguaggio figurativo di Nicola Vaccaro . . . . . . . . . . . ” 109

4. Nicola Vaccaro impresario, librettista e scenografo del Teatro San Bartolomeo (1683-89) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 129

Catalogo ragionato:A - Opere documentate o di attribuzione accolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 151B - Opere di attribuzione incerta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 235C - Opere di attribuzione respinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 245D - Disegni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 251E - Opere disperse, indicate con i titoli desunti dagli antichi inventari . . ” 259

Regesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 271

Appendice documentaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 281- La vita di Nicola Vaccaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 283- L’attività artistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 287- L’attività teatrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 291

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 299Indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 317

3.1. I PERCORSI DI ANDREA VACCARO(1604-1670)

In memoria di Domenico de Conciliis.della sua intelligenza,

del suo tormentato rigore.

Per comprendere non solo gli esordi, ma anche tutto il percorso di Nicola Vaccaro, ènecessario riportare l’attenzione su alcune fasi della traiettoria del suo ben più noto ge-nitore, Andrea Vaccaro. Non è questa la sede per rianalizzare punto per punto – com’èormai urgente – la complessa e non brillantissima fortuna critica di Andrea Vaccaro1, enemmeno per interrogarsi ancora sul problema dei suoi esordi, specialmente dal pun-to di vista di un riesame del suo ancora magro catalogo di pittore caravaggesco, su cuimolto lavoro resta da compiere2. È invece forse più importante tentare di comprende-re meglio, anche solo a partire dalla Vita che gli dedica Bernardo de’ Dominici a Sette-cento inoltrato, le attitudini operative e professionali di Vaccaro, cercando poi di ap-profondire il suo percorso attraverso opere nuove o poco note. Vaccaro non è un pittore difficile da riconoscere, specialmente nei dipinti della sualunga maturità, che egli firma spesso con il suo noto monogramma. È dunque agevo-le assemblare corpose raccolte di immagini di dipinti che spazino da un capo all’altrodella sua produzione, mentre più difficile è smascherare la raffinata trama dei riferi-menti che questo pittore elegantissimo, quasi mai corrivo e spesso molto più profon-do di quanto si sia voluto vedere in passato, riesce sempre a fondere entro una for-mula propria, inconfondibile. Un altro problema notevole nella qualificazione dellatraiettoria artistica di Vaccaro è nella sua capacità di recuperare, anche in momentimolto diversi della sua attività, riferimenti culturali più antichi o da egli stesso prati-cati in fasi precedenti della sua carriera, smentendo spesso una idea di sviluppo linea-re della sua poetica. In attesa di una monografia completa sul pittore – impresa diffi-cile, ma che speriamo di riuscire a dedicargli al più presto – il tentativo qui compiu-to è quello di approfondire meglio il peso dei riferimenti culturali insiti nei percorsidi Andrea Vaccaro (percorsi, come si è detto, spesso paralleli nel tempo), cercandocontemporaneamente di non annullare la sua potente figura artistica entro una retedi rinvii che ne cancellerebbero la specificità ed il ruolo centrale sostenuto nella pit-tura napoletana del Seicento.

1 Cf. Causa 2007, per una rassegna della fortu-na critica di Vaccaro, da ricucire però unendovarie annotazioni sparpagliate in questo libroveramente scritto da un lettore – e da un auto-re – “rizomatico”, come ammette lo stessoCausa, nel senso di Deleuze (p. 28; e temo chel’amico che ha definito Causa in tal modo, e dicui parla lo stesso autore sia proprio chi scrive).2 Cf. Bologna 1991; Santucci 1999; Causa 2007;De Vito 1994-95. Quest’ultimo contributo èun tentativo di sommario dell’attività di An-drea Vaccaro le cui implicazioni non è possibi-le discutere interamente in questa sede; vi tor-nerò di quando in quando almeno per i puntisalienti. Vorrei solo rilevare qui preliminar-mente che l’Ebbrezza di Noè in collezione pri-vata, riprodotta a colori (tavv. IV-V, p. 88) e di-scussa a p. 143, mi sembra opera tipica di Ago-stino Beltrano, ed appare priva di rapporti conla produzione di Vaccaro.

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A contatto con il caravaggismo e con Guido Reni. Il metodo di Andrea Vaccaro e ilrapporto con Massimo Stanzione

Una parte interessante della biografia di de’ Dominici è quella relativa alla attività dicopista di Vaccaro. Inizialmente copista da originali di Caravaggio e forse anche diBattistello Caracciolo; poi da opere di Guido Reni. E però non solo copista filologi-co, imitatore pedissequo, ma anche interprete dello stile dei suoi riferimenti cardina-li. Vaccaro, infatti, avrebbe continuato a produrre opere di registro caravaggescocontinuando “su quello stile insino a tanto, che essendo divenuto amicissimo del Ca-valier Massimo Stanzioni, fu da questi avvertito dell’erronea maniera che seguitava,e consigliato lasciarla per appigliarsi a quella nobilissima di Guido Reni”3. Quel cheimporta di questo passo è il fatto che al giovane Vaccaro – quanto giovane, è impos-sibile stabilirlo con certezza – de’ Dominici riconosce non solo l’abilità tecnica delcopista professionista, ma la facoltà di declinare opere autonome nello stile dei mae-stri che egli copia e conosce.È questa, credo, la base del metodo di Andrea Vaccaro. La sua pittura non è costrui-ta sulla ricerca di una originalità a tutti i costi (peraltro questa originalità verrà inve-ce spesso raggiunta, eccome, nelle sue opere), ma su una costante riflessione profes-sionale sui metodi, sugli stili della pittura a cui riferirsi nell’atto quotidiano di pro-durre le proprie immagini. In tal senso è certamente necessario definire Andrea Vac-caro un pittore accademico, e senza alcuna accezione negativa, anche nelle sue primeopere. Tale metodo sarà poi alla base delle opere del figlio Nicola, che non smarriràmai fino in fondo gli insegnamenti paterni, nemmeno nei suoi esiti più schiettamen-te proto-settecenteschi.È dunque qualificando Andrea Vaccaro come un professionista in grado di imposses-sarsi rapidamente di tutti gli stili con cui viene a contatto che si comprende la facilitàdel suo passaggio dall’impianto tenebristico delle prime opere – prodotte, diciamo, apartire dagli anni Venti del Seicento – ad un bagaglio linguistico più articolato. Un ba-gaglio improntato sui paralleli esiti di Guido Reni, facilmente osservabili tra Napoli eRoma, ma non necessariamente ad una sola fonte di cultura romano-bolognese.La nostra ricognizione su questo sviluppo, che come già detto si tenterà di fondaresoprattutto su nuove e recenti acquisizioni al corpus di Vaccaro, può ben partire dauna notevole Allegoria dell’Amore dormiente (fig. 27). Un quadro colto, innanzitut-to, la cui chiave iconografica è nel cartiglio con l’iscrizione “Ego dormio, et cormeum vigilat”, che è il secondo verso del quinto capitolo del Cantico dei Cantici. Unquadro, dunque, di tema erotico ma dai significati molteplici, poiché si appella sia al-la sensualità del noto testo biblico sia alla forza dell’amore divino. Dal punto di vistaformale l’opera è un compendio equilibrato – e perciò particolarmente indicativo diun metodo – tra caravaggismo e modi romano-bolognesi. Sintomaticamente apparsasul mercato internazionale con un’attribuzione a Simone Cantarini4, è insieme unaraffinata memoria di amori dormienti caravaggeschi e di Cristi bambini di Guido.Il taglio luminoso è un indicatore importante delle attitudini formali di Andrea Vac-caro: non ostante la figura sia en plein air e dunque vi appaia sullo sfondo una sinte-

3 Cf. de’ Dominici 1742-44, III : 137.4 Cf. Sotheby’s Londra Olympia, 4-VII-2006,lotto 426, considerato un Infant St. John theBaptist non ostante l’iscrizione ne designichiaramente il soggetto. Ancor prima il dipin-to era passato da Christie’s Londra, SouthKensington, 13-VII-2001, lotto 242, con l’al-trettanto indicativa attribuzione a ‘Seguace diGuido Reni’ (ma considerato uno ‘SleepingPutto’). Pubblico qui il dipinto dopo la recen-te pulitura, che ne ha palesato le perfette con-dizioni, preservatesi anche grazie al fatto cheesso ci è giunto in prima tela.

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tica apertura di paesaggio, la scelta di una luce vespertina, appena dopo le effemerididal giorno al buio, proietta su di essa ombre estremamente graduate, a ben vederepiuttosto diverse da quelle tipiche di Battistello Caracciolo, ai cui modi la critica hacostantemente ancorato la fase tenebrista di Vaccaro.In altre parole, nell’‘Allegoria dell’Amore dormiente’ il lavoro sulle luci è molto atte-nuato rispetto alla stagione di caravaggismo militante cui la critica ha ancorato le pri-me prove di Vaccaro, tra le quali spicca, per la forte parentela con invenzioni di CarloSellitto, la Giuditta e Oloferne a Napoli, collezione privata (fig. 30)5. È dal momentodel giorno in cui è colto il bambino che discende la scelta delle luci che lo investono.Questo metodo è evidentemente diverso dall’adozione della camera oscura caravagge-sca, e ciò in coerenza anche iconografica con il soggetto del dipinto. Siamo probabil-mente tra la fine del terzo e gli inizi del quarto decennio del Seicento. Vaccaro, sensibi-le come un barometro ai mutamenti delle tendenze formali – non solo a Napoli, di cer-to anche a Roma – appare qui cosciente dell’attualità ancora inesausta della pittura for-temente chiaroscurata, ma è portato ad articolare il suo bagaglio formale su registri giàben lontani da quelli di Caravaggio o di Caracciolo. La fortuna di quest’opera è peral-tro attestata dall’esistenza di un’altra versione, siglata e più tarda, nel Museo di Cham-béry, dalla quale fu tratta anche una copia ottocentesca (figg. 28-29)6.Un discorso per molti versi simile può esser fatto per un’altra opera inedita. Si tratta diuna allegoria della ‘Pittura incoronata dall’alloro della Fama’ per la quale sono statoconsultato nel 2001, quando era negli Stati Uniti. L’opera è stata poi offerta sul merca-to l’anno successivo con una attribuzione a Massimo Stanzione, che io stesso proposialla Sotheby’s di cambiare in quella a Vaccaro con cui passò poi sul rostro (fig. 31)7.La confusione con Stanzione non sorprende. La vigorosa figura femminile, che sivolta sorpresa dall’arrivo del putto in volo, ha molto a che fare con lo stile di Massi-mo tra la fine del terzo e gli inizi del quarto decennio del Seicento, persino dal pun-to di vista della fisionomia, e sembra che qui Vaccaro abbia tenuto in debito contoopere famose come la Lucrezia di Vouet, nota anche da stampe. Per contro il disegnodel putto e i suoi stessi tratti sono una firma per Vaccaro. La composizione, che ser-ra le due figure in primo piano, è ancora caravaggesca, ma il gesto elegante della don-na e il volo in diagonale del putto sono svolti secondo modalità più avanzate rispet-to a quelle dei primi caravaggeschi napoletani, e denunciano una scioltezza già forie-ra di una visione barocca, o se si vuole pre-barocca, in cui forse è proprio Vouet ilnuovo riferimento per un’uscita dal passo strettamente caravaggesco.Posso disporre qui solo della foto del dipinto nelle condizioni in cui è apparso a NewYork, con tasselli di pulitura aperti su uno spesso strato di vernici ingiallite e vecchi ri-tocchi. È facile immaginare l’impatto visivo degli incarnati della donna dopo un restau-ro. Investita quasi frontalmente da una luce attentamente graduata, la figura – pur stac-cata dal fondo – ne emerge mediante un accorto senso dello sfumato, anche qui (devoripetermi) del tutto diverso dai modi di Battistello. Una volta ricondotto ad AndreaVaccaro, questo dipinto sembra quasi un manifesto delle sue ambizioni di artista: l’at-tesa della gloria attraverso la pittura non deve avergli fatto difetto, e qui egli ci offreun’immagine viva e comunicante, che credo ci dica qualcosa anche del suo carattere.Nondimeno, a dispetto degli sforzi della critica, i primi passi di Vaccaro restano

5 Cf. il gruppo di opere discusse e radunate daF. Bologna in Mostra Napoli 1991: 91-92, tavv.34-35; 154; 129-131, figg. 130-134; e le schededi L. Rocco: 306-308, 2.66-2.69. Per la ‘Giudit-ta e Oloferne’ cf. in part. la tav. 34: 91, e lascheda di L. Rocco: 306, 2.66. Una versionepiù tarda e più riconoscibile nel percorso diVaccaro è quella passata da Christie’s NewYork, 21-V-1992, lotto 31, che credo sia pro-prio quella poi ripubblicata da Pacelli 2001: 46,tav. 30, il quale la confonde con quella pubbli-cata da de Vito 1994-95: 68, fig. 4; 77, che è nelCastello di Hradek (Moravia). In tale contestode Vito 1996: 77, cita anche una “replica, mol-to più debole, di cui ritrovo foto nell’archiviolonghiano con relativo commento circa l’auto-grafia”. Credo si tratti della tela già pressoChristie’s a New York, poi pubblicata da Pa-celli 2001.6 Cf. Brejon de Lavergnée – Volle 1988: 335.7 Cf. Sotheby’s New York, 24-I-2002, lotto211; l’opera misura cm. 102,9 x 121,6. Sonograto a George Gordon per avermi fornito lefoto che qui riproduco.

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Fig. 28 – Andrea Vaccaro, Allegoriadell’Amore dormiente, Chambéry,Museo.

Fig. 29 – da Andrea Vaccaro, Allego-ria dell’Amore dormiente, Chambé-ry, Museo.

Fig. 30 – Andrea Vaccaro, Giuditta eOloferne, Napoli, collezione privata.

Fig. 27 – Andrea Vaccaro, Allegoriadell’Amore dormiente, collezioneprivata.

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Fig. 31 – Andrea Vaccaro, La Pitturaincoronata dall’alloro della Fama, giàNew York, Sotheby’s.

Fig. 32 – Anonimo caravaggesco na-poletano o romano, Amor di Virtù,Riga, Museo d’Arte occidentale (daVsevolozhskaya-Linnik 1975).

Fig. 33 – Valentin de Boulogne,Amor di Virtù, New Haven (Conn.),collezione privata.

perlopiù oscuri e frammentari, com’è logico pensando alla sua traiettoria professiona-le iniziale, e ancora vaga è la rete dei suoi riferimenti. Influssi romani, anch’essi perce-pibili soprattutto nel gruppo di opere radunate da Ferdinando Bologna nella mostradel 1991 su Battistello Caracciolo8, sembrano provenire dall’ambiente caravaggescofrancese, soprattutto Valentin e Tournier. A riprova di questa situazione ancora nonben definita, a Vaccaro vengono ascritte opere con cui non mi sembra abbia molto ache fare. Ad esempio l’ Amor di Virtù o Allegoria della Poesia del Museo d’Arte occi-dentale di Riga (fig. 32), già attribuito a Battistello Caracciolo, a Matteo Arciero, aCarlo Sellitto e all’ambiente fiorentino del primo Seicento, è stato di recente ascrittoad Andrea Vaccaro da Stefano Causa9, ma temo che quest’idea abbia poche speranzedi essere accolta. Nel quadro di Riga è evidente il rapporto con il dipinto omonimo aNew Haven (Conn.), collezione privata, attribuito a Valentin da Pierre Rosenberg giàoltre un quarto di secolo fa (fig. 33)10. Si può convenire con Causa che è difficile pro-nunciarsi su “un dipinto che pochi hanno visto” (compreso chi scrive), anche “a giu-dicare dalla foto”. Ma – ammesso che il dipinto sia napoletano, sul che non v’è la mi-nima certezza – la dipendenza dal prototipo di Valentin è talmente chiara che per in-sistere su una attribuzione a Vaccaro bisognerà postulare un suo viaggio molto preco-ce a Roma, o in alternativa pensare più ragionevolmente ad un anonimo caravaggescoche – sempre a Roma, più difficilmente a Napoli – si esercita qui in una variante sulprototipo del maestro francese. In ogni caso, piuttosto che avvalersi della vecchia fo-to pubblicata nel 1976 nel catalogo della mostra di Sellitto, è forse possibile fare unpasso in più verso la comprensione a distanza del quadro di Riga mediante la sua ri-produzione a colori pubblicata in un testo di un anno più antico, ma di gran lunga mi-gliore dal punto di vista delle foto: quello di Vsevolozhskaya e Linnik11.Entriamo a questo punto nella fase più nota e praticata del percorso di Vaccaro, in cuiil pittore evolve la sua cultura di base e vira più decisamente verso i temi e le acquisi-zioni del classicismo romano-bolognese, pur senza mai tradire la sua forte identità, esempre filtrando questi riferimenti attraverso la tavolozza e le invenzioni compositi-ve del suo amico Massimo Stanzione.Questo notevole San Giovanni Battista (fig. 34) era giunto nel 2004 alla Christie’s diLondra con ascrizioni provvisorie alla cerchia di Pietro Novelli o a quella di Muril-lo, e mi parve giusto attribuirlo ad Andrea Vaccaro, in un forte momento sull’iniziodegli anni Trenta del Seicento12. Ancora una volta l’ambientazione a lume oscuro e laserrata impaginazione spaziale sono memorie del caravaggismo fra Roma e Napoli,ma la presentazione della figura e i suoi tratti fisiognomici sono insieme un omaggioa Reni ed al classicismo moderno in via di diffusione in questi anni. Un classicismoin cui i metodi del rapporto con l’Antico e i riferimenti alle grandi espressioni dellaRinascenza italiana restano rispettosi, ma in definitiva scevri da attitudini realmentecinquecentesche, a prescindere dal fatto che in una estesa casistica la pittura napole-tana tra il 1630 e il 1650 si avvalesse scopertamente di impianti compositivi e di ico-nografie prelevate di peso da quelle del secolo precedente.Su tali registri la posizione di Vaccaro sembra attestarsi sin dalla fine del terzo decen-nio. Il San Giovanni Battista è un testo figurativo utile per comprendere le sue incli-nazioni. Il lume oscuro resta il collante delle sue figure, ma il disegno è sempre più il

8 Cf. Bologna 1991, con i riferimenti qui allanota 5.9 Cf. Causa 2007: 186, fig. 110; per la storia cri-tica del dipinto cf. P. Santucci in Mostra Napo-li 1976: 118-119, n. 16, tav. XLIII.10 Cf. Rosenberg (1980) 1982: 215; fig. 21. Ilfatto è tanto più curioso se si pensi che StefanoCausa – che pratica in forma di culto storio-grafico la conoscenza di Longhi – cita il testoin cui è contenuto il contributo di Rosenberg ap. 303 del suo libro del 2007.11 Vsevolozhskaya-Linnik 1975: 81.12 Cf. Christie’s Londra, South Kensington, 9-VII-2004, lotto 151. Il dipinto misura cm.100,1 x 73,7.

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telaio su cui poggia l’impianto dell’immagine, al punto che persino il trattamento del-l’anatomia ne risente. E, su tutto, una misura, una contenutezza alla Reni è il fattoreprincipale del controllo emotivo dell’immagine. La eloquentia allusa dal gesto delsanto è un topos per il soggetto rappresentato, e intenso è il suo colloquio visivo conlo spettatore; ma è l’attitudine a moderare l’impatto emozionale dell’immagine a se-gnarne il climax. Una sensibilità di questo tipo è innanzitutto indebitata nei confron-ti di Stanzione, il più sereno e scelto dei classicisti napoletani, ma se si volessero cer-care paralleli con l’ambiente romano – probabilmente del tutto casuali, ma pur sem-pre indicativi di una tendenza comune – verrebbero in mente gli esiti più sentimen-tali di un Nicolas Renier o comunque di un esponente francese di quel mondo.Sin da queste prime prove Vaccaro si conferma sostanzialmente un pittore di figura,che non derogherà mai da questo ambito neppure per occasionali digressioni versoaltri generi. È evidente che il suo segmento di mercato deve essere stato questo, e cherare sembrano essere state per lui le commissioni di opere a tema profano o mitolo-gico, mentre costanti furono le committenze di figure di santi, pale d’altare e storiebibliche anche di notevole impegno formale. Nel suo mestiere Vaccaro non mostra

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Fig. 34 – Andrea Vaccaro, San Gio-vanni Battista, già Londra, Christie’s.

attitudini sperimentali o scelte extravaganti; egli sembra invece aver trovato i suoipunti di riferimento in una cauta e perlopiù serena esplorazione del suo mondo for-male: non di rado nelle sue opere gli stessi modelli – maschili e femminili – ri -compaio no sotto vesti iconografiche mutate. E persino la tavolozza dei suoi molti di-pinti firmati con il noto monogramma AV, curiosamente uguale a quello di Andreadel Sarto (scelta deliberata di porsi nella scia ideale del “Pittore senza errori?”), a benguardare mostra un sapiente ma riconoscibile rimescolamento di alcune componen-ti cromatiche che sono la base comune a tutta la pittura napoletana del suo tempo: ilrosso e il blu di Stanzione; il bruno e un verde acido e pallido per alcuni panneggi, re-taggi di caravaggismo romano e napoletano; più raramente il giallo brillante caro aPacecco de Rosa e talvolta a Bernardo Cavallino; abbastanza spesso i cangiantismidelle stoffe di Cavallino e di Francesco Guarino. Eppure, se la riconoscibilità di unprodotto visivo è un segno delle attitudini di chi lo crea, non c’è forse un pittore piùriconoscibile di Andrea Vaccaro nel panorama della pittura napoletana del Seicento.Appare francamente dubbio il peso del ruolo svolto da Andrea Vaccaro nelle dina-miche della koiné caravaggesca, ma non altrettanto si può dire per la sua produzionepiù nota – quella, direi, effettivamente nota – cioè quella orientativamente databile apartire dalla fine degli anni Venti del Seicento. Tutti gli influssi formali e culturali ri-scontrabili nelle sue opere più importanti non sono soltanto una sommatoria delleinvenzioni dei suoi colleghi più brillanti, ma vengono rifusi in una sigla assolutamen-te inconfondibile, conseguita mediante un metodo di attento dosaggio di tutte lecomponenti formali. Su questo piano Andrea Vaccaro è probabilmente più avanti ditutti gli altri pittori napoletani del suo tempo; in epoche successive sapranno far co-me e a volte meglio di lui – ma seguendo direzioni totalmente diverse – soltanto Lu-ca Giordano, Paolo de Matteis e Francesco Solimena.All’inizio degli anni Trenta del Seicento le botteghe di Stanzione e Vaccaro assumo-no una posizione dominante a Napoli. Un’opera fondamentale per comprendere ilrapporto tra Vaccaro e Stanzione è lo straordinario Martirio di Sant’Agata a Parigi,Galerie Giovanni Sarti, che credo si debba situare tra la seconda metà degli anni Tren-ta e i primi anni del decennio successivo (fig. 35)13. La composizione del dipinto, cheritengo tra i più forti di Vaccaro recentemente riemersi, è correlata a quella della Sa-lomè che riceve la testa del Battista di Stanzione a Manchester, City Art Gallery (fig.36), nella quale Sebastian Schütze e Thomas C. Willette hanno giustamente notatol’ascendente della Salomè di Caravaggio a Madrid, Palazzo Reale per il disegno delboia di spalle14. E la posizione del busto e del volto della santa è molto simile a quel-la della Giuditta con la testa di Oloferne dello stesso Stanzione, nota in tre redazioni(fig. 37)15. È la fase di rielaborazione della cultura di Reni, che coinvolge allo stessolivello di consapevolezza Stanzione e Vaccaro. Nel quadro di Stanzione Salomè sivolge verso qualcosa o qualcuno all’esterno del dipinto, astraendosi dal rapporto conle persone circostanti. Nel quadro della Galerie Sarti Sant’Agata ha lo sguardo persoverso l’alto, a chiedere forza all’ispirazione divina, e ignora il sacerdote che le impo-ne di adorare l’idolo pagano e l’aguzzino di spalle che sta per seviziarla con un paiodi immense tenaglie. La figura del sacerdote è quella che ricorre nel Martirio di SanLorenzo in ubicazione ignota (fig. 49), e il soldato a sinistra ricorre in varie posizioni

13 Il dipinto, che riproduco grazie alla cortesiadella Galerie Sarti, era al TEFAF di Maastrichtnel 2007. Misura cm. 122 x 159, ed è siglato inalto a destra con il consueto monogramma diAndrea Vaccaro.14 Cf. S. Schütze in Schütze-Willette 1992: 208,A44; 313, fig. 174. Schütze data il dipinto ver-so il 1635.15 Cf. S. Schütze in Schütze-Willette 1992: 208-209, A45; 312-313, figg. 170-172.

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Fig. 35 – Andrea Vaccaro, Martirio diSant’Agata, Parigi, Galerie GiovanniSarti.

Fig. 36 – Massimo Stanzione, Salo-mè, Manchester, City Art Gallery.

in altre opere del pittore. Ma sono il bilanciamento del dipinto, la profondità psico-logica a contrasto con la naturalezza perfetta di ogni dettaglio, a farne un canone diclassicismo napoletano. Si insiste spesso sulla piacevolezza di Vaccaro, sul suo essere un pittore gradito ai col-lezionisti per la seduzione ammiccante delle sue immagini. Nel Martirio di Sant’Aga-ta, così come nel San Sebastiano della Galerie Canesso (fig. 38), è necessario parlaredi esplorazione profonda degli affetti; di capacità di rendere vive immagini – anchequelle di un martirio – attraverso una lettura della condizione umana dei protagoni-sti che va oltre il discorso stilistico, oltre il problema formale. Questa è la grandezzadi Vaccaro, che con il Martirio di Sant’Agata si pone ai vertici della pittura italianadel suo tempo.Tra quarto e quinto decennio del Seicento Vaccaro va precisando il suo metodo, pro-ducendo varianti autonome della congerie di linguaggi figurativi che si fronteggianoanche sulla scena artistica napoletana. Ad esempio, parlando del rapporto con Reni,è forse utile ridiscutere qui un dipinto piuttosto noto, il Martirio di San Sebastianogià a Genova, collezione Piero Pagano, ed oggi a Parigi, Galerie Canesso (fig. 38). Seè vero, come ha notato Vincenzo Pacelli, che la composizione del dipinto è in rap-porto con il San Sebastiano di Ribera a Madrid, Prado16, è altrettanto evidente la re-lazione di entrambe le opere con modelli di Reni, nella versione del San Sebastiano aParigi, Louvre, e specialmente in quella dello stesso soggetto a Genova, Palazzo Ros-so; due opere di Guido note anche attraverso una innumerevole serie di copie coeve. Nella versione a Genova il santo a mezza figura ha lo sguardo rivolto verso l’alto, asottolineare la provenienza divina della forza necessaria per aver potuto sopportareil martirio; il suo torso riflette intensamente la luce contro uno sfondo paesistico; ledue braccia legate in alto all’albero enfatizzano l’anatomia apollinea del suo torso.Nella sua interpretazione Vaccaro offre una altissima variatio del tema: come in Ri-bera, il santo ha un solo braccio legato all’albero e non è lievemente girato verso laparte destra del dipinto come in Reni; è visto frontalmente, in modo da offrire il mas-simo rendimento alla potente resa anatomica del torso, colto in un lieve hanchement,e del perizoma. Ma la variante più importante rispetto alla composizione di Reni ènella scelta del momento narrativo: invece di raffigurare il santo già trafitto dalle frec-ce, come fa Guido (e come fa Ribera nel quadro del Prado), Vaccaro opta per il mo-mento che precede il martirio. Il centurione visto di profilo, una figura con elmo difattezze ispirate a quelle dell’Imperatore romano Vitellio, ordina ai due aguzzini diserrare la fune che lega il santo all’albero. È, questo, un raffinato ricordo della rivo-luzionaria invenzione narrativa della Flagellazione di Caravaggio già a San Domeni-co Maggiore. La finezza di passaggi chiaroscurali e l’accuratezza delle stesure croma-tiche sulle figure degli aguzzini sono straordinarie – l’investimento anche economi-co del pittore in tal senso è dimostrato dalla ricchezza dei toni di lapislazzuli della ca-sacca dell’aguzzino di spalle – e una sensibilità formale affine a quella di Van Dyck siosserva nello straordinario profilo del centurione e nella splendida figura dell’aguz-zino chino a controllare la fune alle spalle del santo. La fisionomia perfetta del voltodi quest’ultimo è tipica di Vaccaro; la sua conoscenza dell’anatomia si palesa in tuttala forza nella resa del torso. Se è vero che “Vaccaro si è servito di un modello in

16 Cf. la scheda di V. Pacelli in Mostra Napoli1984, I: 491-492, n. 2.268, che data il dipinto –siglato con il monogramma di Vaccaro – versoil 1640 e ne pone lo schema compositivo inrapporto con il San Sebastiano di Ribera a Ma-drid, Prado, pubblicato da Spinosa 1978: 113,fig. 131; 114, n. 131. Il dipinto di Ribera è da-tato da Spinosa tra il 1635 e il 1640.

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Fig. 37 – Massimo Stanzione, Salo-mè, collezione privata.

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Fig. 38 – Andrea Vaccaro, Il martirio di San Sebastiano, Parigi, Galerie Maurizio Canesso.

posa, evidentemente molto muscoloso, la cui immagine viene riprodotta nel dipintosenza alcuna idealizzazione”, risulta però difficile convenire con Wolfgang Prohaskasul fatto che “Il modello reniano, nella sua «idealità», ha assunto i tratti triviali di un’«accademia»”17. La sensualità della figura del santo è innanzitutto legata all’interpre-tazione del soggetto: è la bellezza – raffigurata in tutta la sua composta realtà – di unapersona che sta per essere oltraggiata; una bellezza innanzitutto interiore, che colpi-sce ancor più per il fatto di essere specchiata in un corpo perfetto. Per una volta dob-biamo dunque ricordare di essere a Napoli, dove qualunque influsso – compresoquello dell’eletta lingua di Reni – andava comunque temprato nella forgia della real-tà. Vaccaro è davvero il principe di queste alchimie perfette.Reni contò molto per Vaccaro e per il suo fortunato dioscuro Massimo Stanzione, everamente de’ Dominici riporta una realtà storica parlando di questa venerazione perGuido condivisa dai due artisti, pur da un’angolazione assolutamente napoletana. Adesempio, la Fuga in Egitto di Vaccaro già a Roma, Christie’s (fig. 39), mostra ribalta-ta l’identica matrice della Madonna con Bambino di Stanzione a Roma, Galleria Na-zionale di Palazzo Corsini18 e questo dittico ideale va rapportato alla Fuga in Egittoa Napoli, Quadreria dei Girolamini, forse di Simone Cantarini – come suggerito daErich Schleier e da Stephen Pepper19 – forse proprio di Reni, come tramandato datutta la tradizione degli studi napoletani20. La riprova del successo di questa composizione è data dall’esistenza di una Madon-na con Bambino segnalata a Federico Zeri nel 1993 in una collezione privata, in cuile due figure sono riprese integralmente dal dipinto già presso Christie’s (fig. 40)21.Sia Vaccaro sia Stanzione sembrano più interessati a palesare la loro sintonia con imodi di Guido che a impiegare meccanicamente il prototipo di queste loro opere. Idue pittori, e non solo loro, sembrano aver praticato a lungo e con fortuna il meto-do della intertestualità: la conoscenza dei prototipi di Guido, evidentemente condi-visa con un gran numero di collezionisti e conoscitori, porta ad una sorta di citazio-nismo molto articolato, che da un lato tende a ostentare – a rendere trasparente – ilprelievo da opere di Reni di schemi compositivi, posture di figure e altri dettagli; dal-l’altro vuole esaltare la personalità, l’identità stilistica e in generale le scelte formalidegli interpreti. Se uno dei prototipi più significativi di tale metodo è il Martirio diSant’Orsola di Bernardo Strozzi per Marcantonio Doria – che è una variazione delsecondo decennio del Seicento sul famoso dipinto omonimo di Caravaggio22 – guar-dando da vicino l’interazione tre le opere di Reni e l’ambiente artistico a Napoli traquarto e quinto decennio del Seicento, è sempre più il tema della ‘variatio’ ad assu-mere un carattere dominante. In questa tendenza Andrea Vaccaro e Massimo Stan-zione appaiono come i più sofisticati interpreti del metodo della variante intertestua-le ma – come già accennato – non sono i soli: un caso particolarmente eclatante èquello di Lot e le figlie di Reni. La recente disamina offerta da Laura Muti di versio-ni autografe e copie antiche di quest’opera famosissima di Guido è il punto di arrivoattuale alla sua fortuna (fig. 41)23. A Napoli un riflesso diretto del successo di que-st’opera è, ad esempio, riscontrabile nel Lot e le figlie di Filippo Vitale a Napoli, col-lezione Furgiuele (fig. 42)24. Non è solo per il volto della figura femminile alla estre-ma sinistra del dipinto – praticamente lo stesso della figura corrispondente nel qua-

17 Cf. W. Prohaska in Mostra Frankfurt 1988:676-677, D53, che data il dipinto tra il 1635 e il1640 e lo pone correttamente in rapporto conla versione a figura intera già a Madrid, colle-zione Sebastian de Borbón y Braganza, illu-strato da Spinosa 1984: 832, e discusso da Bo-logna 1991: 131, fig. 134, che lo indica a Napo-li, collezione dell’architetto Francesco Perro-ne Capano.18 Cf. Christie’s, Roma, 28-XI-1996, lotto 395.Il dipinto, che non a caso recava un’antica at-tribuzione a Stanzione, proviene dalla colle-zione della Principessa di Castelcicala (fino al1906); passò poi in quella della Duchessa Tere-sa Dusmet de Smours (fino al 1915) e in segui-to al Duca Falco Dusmet de Smours (fino al1951).19 Cf. Pepper 1988:, 345-346, A6, fig. 52.20 Cf. Leone de Castris – Middione 1986: 102-103 per una scheda sul dipinto che però, curio-samente, non fa riferimento alla monografia suReni di Pepper.21 Credo che questo dipinto possa essere quel-lo passato a Londra, Sotheby’s, 9-XII-1987,lotto 128. In questa occasione il dipinto era in-dicato come “signed”, con le misure di cm.101,6 x 74,9.22 Cf. F. Bologna in Bologna-Pacelli 1980: 38-40; Bologna 1992: 279-280 per la ricezione del-le novità formali del dipinto di Caravaggio daparte di Domenico Fiasella; M. Gregori inMostra Napoli 1985: 352; Bologna 1992: 278;Pacelli 1994: 116-117; G. Algeri in Mostra Ge-nova 1995: 120-121, n. 12 (con bibliografiaprecedente), per il ‘Martirio di Sant’Orsola’ diStrozzi in collezione privata.23 Cf. Muti 2007: 36-41, 56-63.24 Cf. Pacelli 2001: 35, tav. 14; Pacelli et al.2008: 27, fig. 17.25 I due dipinti misurano cm. 148 x 199. PerMosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe cf. DeVito 1994-95: 100, 86 fig. 16, che pubblical’opera in riferimento alla tela di analogo sog-getto di Antonio de Bellis a Budapest, Museo

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dro di Reni – né per la scelta degli stessi toni giocati tra accenti di rosso vivo e gialliocra, e nemmeno per l’analogo dettaglio del vaso di metallo pregiato retto dalla stes-sa figura citata, ma soprattutto per il taglio compositivo delle figure rappresentate perdue terzi che Vitale mostra una consapevolezza del prototipo di Guido. Siamo pro-babilmente sugli inizi del quarto decennio del Seicento; la diffusione della poetica diReni è al suo apice, e non solo a Napoli. Andrea Vaccaro può ormai contare su unatale frequentazione delle opere di Guido da non lasciarsi intrappolare in un gioco diprelievi automatici. Il magnifico pendant, Lot e le figlie e Mosè fa scaturire l’acquadalla rupe in collezione privata (figg. 43-44), sono esempi perfetti di cosa egli inten-desse prendere da Reni e cosa della propria pittura egli ritenesse intangibile25. Possoora riprodurre a colori e dopo la pulitura i due dipinti, che sono sempre stati insie-me. È innanzitutto Reni, specie per il Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe, a co-stituire il riferimento più forte. Un Reni fortemente rivisto e filtrato attraverso lo sti-le del più stretto compagno di strada per Vaccaro in questi anni, Massimo Stanzione.L’incastro di figure sulla sinistra è una memoria diretta dell’analogo dettaglio a destradella Strage degli innocenti di Massimo a Rohrau, Gräflich Harrach’sche Gemälde-

di Belle Arti. Mi sembra che l’opera di de Bel-lis sia databile sugli inizi degli anni Quarantadel Seicento, e che dunque sia successiva aquella di Vaccaro qui in discussione. Soprat-tutto, l’impianto del dipinto di de Bellis ha po-co a che fare con quello di Vaccaro: figure in-tere, ambientazione paesistica più ampia, dif-ferente strutturazione della composizione ren-dono assai labile questo parallelo. Pacelli et al.2008: 29, fig. 20; 30; 58-59, pubblica una fotoin bianco e nero della Fuga di Lot e le figlie daSodoma reperita presso la Fototeca dell’Istitu-to Amatller di Barcellona, e pone giustamentein correlazione quest’opera di Vaccaro conquella omonima di Pacecco de Rosa in colle-zione privata (Pacelli et al. 2008: 357-358, n.95) per la figura dell’angelo di spalle che com-pare in entrambe, e che è una citazione dal fa-moso Riposo nella Fuga in Egitto di Caravag-gio a Roma, Galleria Doria Pamphilij. Ma que-sto dipinto era già stato pubblicato da Spinosa1984: tav. 855, con l’indicazione della prove-nienza dalla collezione Sebastian de Borbon yBraganza a Madrid. È assai possibile che persoggetto, momento stilistico e (presumibil-mente) formato questo dipinto sia nato insie-me ai due qui discussi.

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Fig. 39 – Andrea Vaccaro, La fuga in Egitto, già Roma, Christie’s. Fig. 40 – Andrea Vaccaro, Madonna con Bambino, Reggio Emilia, col-lezione privata.

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Fig. 41 – Guido Reni, Lot e le figlie,collezione privata.

Fig. 42 – Filippo Vitale, Lot e le figlie,Napoli, collezione Furgiuele.

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Fig. 44 – Andrea Vaccaro, Mosè fascaturire l’acqua dalla rupe, collezio-ne privata.

Fig. 43 – Andrea Vaccaro, Lot e le fi-glie, collezione privata.

galerie26, e c’è poco da aggiungere sul taglio alla Reni della figura femminile che reg-ge il vaso a destra. Al tempo stesso la tavolozza è in questo momento l’aspetto piùsperimentale della produzione di Vaccaro. Una miscela di blu cupi e ricchi di mate-ria, di bruni luminosi e di lacche scure staglia i panneggi in un modo che al tempostesso è vicino a Van Dyck e a Monrealese, e se proprio si deve cercare un rapportocon il mondo emiliano viene alla mente più Guercino che Reni. È il colore rosso vi-vo che non ha cittadinanza in questi quadri, caso praticamente unico nella pittura na-poletana del periodo. La tipologia di queste tele a due terzi di figura, di formato da galleria, deve aver co-stituito un vero e proprio agone per molti pittori napoletani: nel gioco degli infinitirimandi tra un pittore e l’altro, non sorprende di vedere lo stesso Pacecco de Rosa ci-tare composizioni di Vaccaro, e viceversa Vaccaro rendere nei suoi modi idee di Pa-cecco e di altri pittori napoletani27, a patto però di tenere sempre Stanzione e lo stes-so Vaccaro al centro di questa rete di rapporti.

Ribera, Cavallino, Van Dyck, Monrealese

È necessario spendere ancora qualche parola sul metodo di lavoro di Andrea Vacca-ro. Non tanto dal punto di vista operativo – l’impiego sistematico del disegno, pur sequasi non documentato, è palese; lo scrutinio e la selezione (che è innanzitutto capa-cità di lettura critica) delle tendenze figurative che di volta in volta fanno la loro com-parsa sulla scena napoletana, sono strumenti del tutto evidenti nel bagaglio del pitto-re – quanto da quello della interpretazione che Vaccaro ci dà dei materiali con i qua-li viene a contatto.Ad esempio, Ribera. Andrea Vaccaro, al pari di tutti i suoi colleghi napoletani, nonpuò non aver compreso la portata delle opere del grande pittore spagnolo. Pur da unaprospettiva formale del tutto diversa, egli dev’essere stato ben conscio soprattuttodella forza delle composizioni di Ribera. Quando affronta temi che avevano reso fa-moso Ribera sin dai suoi esordi napoletani, Vaccaro sembra quasi volergli tributaredegli omaggi. Il fenomeno sembra databile a partire dalla seconda metà dai anni Tren-ta del Seicento, e dunque si innesta sulla svolta neoveneta di Ribera, ma sembra di ca-pire che a Vaccaro non interessassero tanto le ricerche dello Spagnolo sul colore,quanto quelle sul montaggio delle figure in scene di martirio e di supplizio, nelle qua-li quest’ultimo era il dominatore assoluto. Con tutta la cautela necessaria a discutereun dipinto che non ho visto, e che conosco solo da una foto in bianco e nero, pensoche il primo esempio reperibile di queste inclinazioni sia questo Martirio di San Bar-tolomeo in ubicazione ignota (fig. 45). È un’opera impensabile senza aver avuto da-vanti agli occhi il famoso Martirio di San Filippo di Ribera a Madrid, Prado (1639)(fig. 46)28. Ma proprio nel senso dell’omaggio (che prevede poi anche l’apposizionedi caratteri riconoscibilmente propri nell’ambito di una citazione) si spiegano detta-gli come la potente figura in controluce a sinistra – quanto importante per il Caval-lino del Muzio Scevola del Kimbell Art Museum di Fort Worth29 – e quella a destra,

26 Cf. Schütze-Willette 1992: 46, tav. XIV;203, A33; 302, fig. 153.27 Cf. ad esempio il Mosè che fa scaturire l’ac-qua dalla rupe di Pacecco de Rosa in collezio-ne privata, che chi scrive ha segnalato a Pacelliet al. 2008: 303-304, n. 34; tav. 34. Pacelli ponegiustamente questo dipinto in rapporto conun’altra versione del tema data dallo stessoVaccaro, che per molti aspetti è quasi specula-re a quella di Pacecco (cf. Pacelli et. al 2008: 58;60, fig. 61), ma a giudicare dalla foto l’opera diVaccaro è molto più tarda di quella qui in di-scussione (forse verso il 1650?), il che poneproblemi di datazione anche per il quadro diPacecco, datato da M. di Mauro in Pacelli et al.2008: 303 “alla fine degli anni ’30 o agli inizidegli anni ‘40”.28 Cf. Spinosa 2003: 317, A222.29 Cf. A. Tzeutschler Lurie in Mostra Cleve-land-Fort Worth-Napoli 1985: 169-172, A.48.

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china a tirare la fune, ricordo caravaggesco e variante della figura del David giovani-le in collezione privata (fig. 86). Per questo genere di dipinti Vaccaro non dimenti-cherà mai gli esempi di Ribera: il Martirio di San Bartolomeo di Opocno, opera for-se della metà degli anni Quaranta, non fa eccezione (fig. 47)30, e lo stesso può dirsianche del Martirio di San Lorenzo a Sant’Agata dei Goti, Cattedrale, forse lievemen-te più antico (fig. 48)31. Nel 1992 mi sono imbattuto in una versione più articolata nella composizione, checonosco solo attraverso vecchie foto virate ritrovate per caso in una collezione pri-vata (fig. 49)32. In questo dipinto è ribadita la disposizione in diagonale della figuradel santo, come nel quadro di Opocno, e due splendide figure di soldati a cavallo incontroluce fanno da quinta ad una scena segnata da tre possenti nudi d’Accademia,dello stesso impegno formale di quelli poi dispiegati nel Sant’Ugo costruisce l’Abbazia di Lincoln a Napoli, Certosa di San Martino (1652) (fig. 50)33. La figura delsacerdote pagano, che impone a San Lorenzo di adorare l’idolo, è frutto di un dise-gno impiegato anche per il Giuseppe d’Arimatea nella Deposizione a Napoli, PioMonte della Misericordia (fig. 51). E, sempre a giudicare dalla foto, i tre grandi basa-menti di colonna che chiudono a destra la composizione sono segnali del neoveneti-smo che, da una posizione diversificata ma affine, interesserà anche Stanzione in questi stessi anni.Altro punto importante della traiettoria di Vaccaro è quello del rapporto con Bernar-do Cavallino. Un rapporto innanzitutto fatto di affetto: Vaccaro, secondo Bernardode’ Dominici, “non poco amava, ed ammirava la virtù” di Cavallino, e lo considera-va “qual figliuolo”34, e secondo il biografo napoletano avrebbe avuto un ruolo im-portante nell’indirizzare la carriera del suo più giovane collega. Ma i testi figurativiche ci restano provano che di fronte ad un genio come Cavallino anche per Vaccarosi può parlare più di scambi – in un dare ed avere fatto di dinamiche sottili, sulle qua-li si vorrebbe sapere di più – che di influenza del pittore più anziano sul più giovane.

30 Cf. L. Daniel in Mostra Praga 1995: 124-126,A 40, che nota come in quest’opera “s’intuiscal’ammirazione per Ribera”. Non concordo pe-rò con la datazione “alla fine degli anni qua-ranta o alla prima metà degli anni Cinquanta”,basata su confronti poco attendibili “con ope-re tarde di Cavallino o quelle giovanili diGiordano”.31 Cf. V. Pacelli in Pacelli 1997: 22-23.32 Sul retro della foto che qui pubblico c’è solol’indicazione a matita delle misure, cm. 126 x151.

33 Cf. Causa 2007: 206-208, per dati e note sul-la fortuna critica dei dipinti di Vaccaro nellaCappella di Sant’Ugo.

34 Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 36.

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Fig. 45 – Andrea Vaccaro, Martirio diSan Bartolomeo, ubicazione ignota.

Fig. 46 – Jusepe de Ribera, Martiriodi San Filippo, Madrid, Museo delPrado.

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Fig. 48 – Andrea Vaccaro, Martirio diSan Lorenzo, Sant’Agata dei Goti,Cattedrale, transetto destro.

Fig. 47 – Andrea Vaccaro, Il martiriodi San Bartolomeo, Opocno, Castello.

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Fig. 50 – Andrea Vaccaro, Sant’Ugocostruisce l’Abbazia di Lincoln, Na-poli, Certosa di San Martino, Cap-pella di Sant’Ugo.

Fig. 49 – Andrea Vaccaro, Il martiriodi San Lorenzo, ubicazione ignota.

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Fig. 51 – Andrea Vaccaro, Deposizione, Napoli, Pio Monte della Misericordia.

35 Cf. R. Lattuada in Napoli 1984: 52-55.

36 Cf. N. Spinosa in Mostra Cleveland-FortWorth-Napoli 1985: 201, B.23, il quale accon-discendeva ad affermare che “il riferimento alVaccaro in una fase di marcata sperimentazio-ne dei modi cavalliniani, voltati in soluzioni diuna sentimentalità corsiva e popolare e in im-magini di devozionalità quotidiana sembre-rebbe il solo degno di qualche credito”.

37 Cf. M. D’Elia in La Puglia tra Barocco eRococò 1982: 191; 195.

38 Cf. Christie’s Londra, 10-XII-1993, lotto89. Il dipinto misura cm. 55 x 45.

39 La più completa antologia di giudizi criticisull’arte di Cavallino è sicuramente quella oraprodotta da Causa 2007: 109-116, che nella re-gistrazione puntigliosa e anche sarcastica del-l’iterarsi di giudizi sul pittore estatici, spessoretorici, ne riflette – una volta tanto per un ca-so napoletano – la immensa statura, e indicaanche il fatto che le sue opere toccano una cor-da della sensibilità moderna che andrebbe an-che approfondita. Con gli occhiali di StefanoCausa si può identificare una retorica ad hocper Giotto, Botticelli, Raffaello, Michelangelo,e – negli ultimi ottanta o cent’anni – anche perCaravaggio, con punte nell’ultimo dopoguerratalvolta anche più irritanti di quelle che Causaregistra per Cavallino.

40 Cf. Amberes Anversa, 21-IV-1996, lotto 86,attribuita a Scuola italiana del Seicento. Il di-pinto è stato riprodotto con la corretta attribu-zione a Cavallino (già da tempo circolata) daSpinosa (1994-95) 1996: 251 poco prima delsuo passaggio presso Sotheby’s New York, 30-I-1997, lotto 70.

41 Cf. Spinosa (1994-95) 1996: 251, che riesce adapplicare anche a questo dipinto la sua arcicon-sunta etichetta della “raffinata eleganza compo-sitiva, di ricercata grazia formale, di più intimaed estenuata resa sentimentale, anche per l’uso dimaterie cromatiche sempre più rischiarate e pre-ziose”, etc., indistintamente impiegata nei suoiscritti per pressoché tutte le opere della maturi-tà di Cavallino e anche di molti altri pittori na-poletani e non.

42 I Vangeli apocrifi 1969 (1990): 85-86.

43 Cf. E. D’Amico Mostra Palermo 1990: 160-163, II.2.

44 Cf. Di Domenico 2003 per un recente riesamedei rapporti tra Vaccaro e Cavallino. In questocontributo è discussa la importante Sant’Agatagià presso Finarte nel 2001, proveniente dallacollezione Gualtieri – De Biase di Napoli, data-ta dall’autrice verso il 1630 in base ad una “do-minante caravaggesca”, che “suggerisce perl’opera una datazione alta, a cavallo tra il terzo eil quarto decennio del secolo” (p. 129). A mioavviso la datazione è forse più tarda per gli ele-menti ispirati a Stanzione e a Cavallino, per lagamma cromatica ribassata e per il ductus pitto-rico sciolto, quasi ottocentesco delle mani e del-l’incarnato. Va poi segnalato che la Sant’Agata aLondra, collezione privata, già pubblicata dalBologna nel 1991 e ridiscussa dalla Di Domeni-

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Nel 1984, catalogando questa Maddalena penitente della collezione del Banco di Na-poli (fig. 52)35, ipotizzavo che l’autore potesse essere “un intelligente pittore, in gra-do di penetrare la poetica di Cavallino, eppure capace di lasciare un suo segno in que-sta esercitazione nella sua maniera”, e postulavo una attribuzione ad Andrea Vaccaro,poi accettata anche da Nicola Spinosa36. In realtà già nel 1982 Michele D’Elia aveva se-gnalato una versione di bottega del dipinto del Banco di Napoli collocandola “in orbi-ta cavalliniana”37. Ma solo nel 1993, in un’asta della Christie’s a Londra, apparve l’ori-ginale di Cavallino (fig. 53)38. È un’opera potente, che marca una distanza notevole daVaccaro in termini emozionali ed anche esecutivi, ma che può ben essere l’apertura diun discorso sui rapporti fra i due pittori. Non è soltanto la grazia di Cavallino a passa-re in molte opere di Vaccaro a partire dalla fine degli anni Trenta; è un comune sentirerispetto a molti dei temi attuali sulla scena artistica napoletana del periodo.Vaccaro, artista ormai navigato nell’impiego delle sue risorse operative e formali, de-ve aver indicato a Cavallino disegni, opere, punti nodali per la sua formazione. Ca-vallino deve aver tradotto questi insegnamenti in interpretazioni a loro volta basatesulla strategia della variatio, immettendo nelle sue opere la sua ben nota inclinazio-ne a rendere empatici, vivi, umani i rapporti tra i protagonisti dei suoi racconti perimmagini39. Il suo stupefacente Riposo durante la Fuga in Egitto già nel 1996 ad An-versa presso Amberes, l’anno dopo a New York presso Sotheby’s (fig. 54)40, non è al-tro che una altissima rielaborazione della Fuga in Egitto e della Madonna con Bam-bino di Vaccaro qui più sopra discusse (figg. 39-40). Al tempo stesso, volendo usci-re per una volta dal malvezzo di pubblicare opere di tale importanza affidandonel’interpretazione alla riproduzione e a poche righe (sempre le stesse)41, va notato cheil San Giuseppe che coglie datteri per la moglie e il figlio da una palma la cui frascasi piega miracolosamente – su richiesta del piccolo Gesù – sotto la sua trazione, haantecedenti colti: il racconto di questo episodio è nel Vangelo apocrifo dello Pseu-do-Matteo42, e il tema è trattato in due famosissime opere del Correggio, il Riposodurante la fuga in Egitto a Firenze, Uffizi, e la Madonna della scodella a Parma, Gal-leria. Da quest’ultima Francesco Brizio trasse un’incisione (eseguita entro il 1623)che dové fornire lo spunto narrativo a Cavallino (fig. 56). Ma quest’ultimo non siprivò della possibilità di una tenera variante personale: Maria, che aveva espresso ildesiderio di mangiare i datteri che pendevano troppo in alto dalla palma, ha già da-to il primo grappolo dei frutti al figlio, mentre Giuseppe si protende verso l’alto araccoglierne un altro per la moglie. Quanto rilevato su questo dipinto – che dal pun-to di vista iconografico non mi riesce di confrontare con altri esempi napoletani matrova invece un parallelo preciso in un’opera di Pietro Novelli (fig. 55)43 – ci parla diun ambiente artistico napoletano colto, smaliziato nell’uso delle fonti testuali, atten-to a cogliere l’importanza di una tradizione cinquecentesca anche molto lontana dalproprio territorio; in grado di perseguire interpretazioni originali di questa tradizio-ne, e sensibile alle riscoperte che l’area post-carraccesca romano-bolognese andavaoperando in parallelo ai grandi cantieri gestiti da Domenichino e Lanfranco tra Ro-ma e Napoli.Non è questa la sede – se non per esempi – di esplorare ancor più a fondo la relazio-ne tra Vaccaro e Cavallino44, che peraltro porterebbe a qualificare l’evoluzione di

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Fig. 52 – Andrea Vaccaro, Maddalena penitente, Napoli, colle-zione del Banco di Napoli.

Fig. 54 – Bernardo Cavallino, Riposo durante laFuga in Egitto, già Anversa, Amberes, poi NewYork, Sotheby’s.

Fig. 55 – Pietro Novelli, il Monrealese, Fuga inEgitto, frammento di affresco, Santa Flavia(Palermo), Villa Valdina, Cappella di famiglia.

Fig. 56 – Francesco Brizio La Ma-donna della scodella, incisione daCorreggio (entro il 1623).

Fig. 53 – Bernardo Cavallino, Maddalena penitente, giàLondra, Christie’s.

quest’ultimo meglio di quanto non sia stato fatto fin’ora, ma qualche altro esempioaiuta a comprendere il ruolo sostenuto da Vaccaro in questo rapporto.La ormai nota collaborazione tra i due pittori per i due piccoli rami, Muzio Scevoladavanti a Re Porsenna di Cavallino a Fort Worth, Kimbell Art Museum, e La predi-ca di Giona a Ninive di Vaccaro in collezione privata (fig. 57)45, è la sola prova del so-dalizio tra Vaccaro e Cavallino, ma è quanto basta per farci comprendere che la sin-tonia tra i due pittori fu fortissima. Sia pure all’interno di una composizione a lui pro-pria, Vaccaro mostra grande abilità nel piccolo formato su rame e una ricezione deimodi di Cavallino nel Trionfo di David già a Londra presso Sotheby’s (fig. 58)46. Ela matrice riconducibile a Stanzione della Visitazione, già a Londra presso Sotheby’s(fig. 59) – è effettivamente il frutto di un dialogo con Cavallino, ma non tanto nelsegno di Guido Reni, come è stato recentemente affermato47, quanto nel senso diuna adesione alle formule di Massimo che vede in Vaccaro il capofila indiscusso, ein Cavallino un interprete talmente geniale da fornire spunti importanti al suo piùanziano compagno di strada (a questa vicenda, di cui posso scrivere solo per accen-ni in altre parti di questo contributo, continuo a vedere del tutto estraneo Antoniode Bellis, notoriamente prossimo a Cavallino, ma che a mio avviso non ebbe alcuninflusso su Vaccaro)48. In casi per il momento da considerare rari Vaccaro immette anche in dipinti a figurasingola qualcosa delle non tantissime figure di santi e Apostoli di medio formato pro-dotte da Cavallino: questo intenso San Paolo Apostolo recentemente a Roma pressola Bloomsbury (fig. 60)49, è una silloge di mezze figure di Cavallino come il San Pie-tro en pendant con il San Paolo a Londra, Spatford Establishment, o come il San Bar-tolomeo riapparso a New York presso Sotheby’s nel 200550. L’intensa ispirazione del-lo sguardo del santo e i vigorosi contrasti chiaroscurali sulla figura porterebbero aduna datazione verso il 1635-40, forse rafforzata anche dall’espediente, non comunis-simo in Vaccaro, di rifinire i contorni delle mani e alcune parti del volto mediante sot-tili tocchi di lacca di garanza. Vagamente alla Cavallino – ma nettamente alla Vacca-ro – è il profilo delicato della bocca incorniciata dalla grande barba, e anche per que-sto importante dipinto bisognerà evocare una sintonia con il mondo genovese per lascelta delle intonazioni cromatiche.Sempre de’ Dominici racconta della suggestione esercitata su Cavallino dal Banchet-to di Erode di Peter Paul Rubens, giunto a Napoli verso il 1640 nella collezione diGaspare Roomer51, ma in verità non si avverte quasi l’influenza di quest’opera sul-l’ambiente napoletano fino a Luca Giordano e Mattia Preti, e meno che mai in Vac-caro. La sontuosa maniera di Rubens avrà colpito i Napoletani per il lusso della suatavolozza e per la forza nella rappresentazione degli affetti, ma solo Giordano avreb-be saputo trarre le estreme conseguenze da questi raggiungimenti. Il punto, però, ènella potente immissione di stilemi neoveneti nell’ambiente artistico napoletano52, etale tendenza – alla quale certamente si giunse per più vie – interessa Andrea Vacca-ro, che mostra sintomi di un suo assorbimento, ma sempre secondo modalità pro-prie, altamente individualizzate.Tra quarto e quinto decennio la tavolozza di Vaccaro consegue nuovi timbri proprio

co (che segue la datazione proposta dal Bolognaa circa il 1630), consente di attribuire definitiva-mente a Vaccaro – qui, forse, davvero verso il1636, anno della Maddalena nella Cappellaomonima nella Certosa di San Martino, la note-vole Santa Barbara nel Quarto del Priore dellaCertosa, attribuita a Ignoto del XVII da L. Ar-bace in Il Quarto del Priore 1986: 93, n. 56. LaArbace riporta una attribuzione di Teodoro Fit-tipaldi a Niccolò de Simone, da lei non condivi-sa, e giustamente prospetta in chiave dubitativala possibilità che il dipinto sia di mano di Vacca-ro. A mio avviso tale dubbio va definitivamentesciolto in favore di Vaccaro.45 Cf. A. Tzeutschler Lurie in Mostra Cleve-land-Fort Worth-Napoli 1985: 169-172, per unaipotesi di datazione dei due rami a dopo il 1647-48, e per la credibile supposizione di un loro col-legamento seriale con la Cacciata di Eliodoro daltempio di Cavallino a Malibu, The J.P. GettyMuseum.46 Cf. Sotheby’s Londra, 19-IV-1967, lotto 59,su rame, di cm. 68,2 x 88,2. Il dipinto è citatosenza né dati né provenienza da Causa 2007:137, fig. 68.47 Cf. Sotheby’s Londra, 20-IV-1988, lotto XX,e prima ancora Christie’s Londra 24-IV-1991,lotto 94. L’opera misura cm. 100,5 di diamentro.De Vito 1994-95: 89; 78, fig. 12. De Vito riferiscedi conoscere il dipinto da una foto della Fonda-zione Roberto Longhi e lo inserisce corretta-mente in una fase di riscoperta di Reni cheavrebbe riguardato Vaccaro e Cavallino “all’in-circa nell’ultimo lustro degli anni trenta” [delSeicento]. Tale riscoperta sarebbe stata compiu-ta per opera di Stanzione. Forse le date di questaevoluzione vanno anticipate, per dirla con DeVito, al primo dei due lustri del quarto decennio,come emerge da numerose opere di Stanzionedel periodo, anche perché è ben noto che que-st’ultimo lavorava a Roma già tra la fine del se-condo e gli inizi del secondo decennio del Sei-cento, e dunque ebbe modo di conoscere le ope-re di Guido ben prima di poter studiare i “circasessanta pezzi di mano di Guido, la maggiorparte però di mezze figure”, che secondo de’Dominici egli avrebbe consigliato ad AndreaVaccaro di copiare.48 Cf. Causa 2007: 83-88, 90-108 e passim perestesi interventi su de Bellis in vari contesti, an-che in rapporto a Vaccaro, col quale a mio avvi-so possono sussistere solo labili legami rappre-sentati dalla comune attenzione per Stanzione.Non posso qui dilungarmi su questo contribu-to, ma rilevo almeno che: 1. Il San Francesco e ilCristo a Parigi, Saint Nicholas de Chardonnet,restituito da Causa a de Bellis “senza indugi”,dopo una visione diretta mi sembra un’operafrancese degli anni Cinquanta del Seicento, divaghe ascendenze alla Vouet – Le Sueur, e taleparere è condiviso anche da altri colleghi france-si; mi sembra si tratti di un dipinto che non harapporti con la pittura napoletana del periodo. 2.Ho dubbi sulla piena autografia di Cavallino perla Sant’Agata in ubicazione ignota, che sarebbeil prototipo della versione della collezione delBanco di Santo Spirito, già attribuita a de Bellis– secondo me giustamente – e della quale hopubblicato anni fa un’altra versione in condizio-ni conservative non perfette a Matera, Pinacote-ca D’Errico (cf. Lattuada 1999: 16-17, anche per

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i riferimenti alla versione del Banco di Santo Spi-rito). Penso che quando questo quadro riemer-gerà – in foto mostra durezze incompatibili conCavallino – potremo farcene un’idea migliore. 3.Evidentemente de Bellis è un punto caldo del di-battito attuale sul Seicento napoletano, e ne vapreso atto. Nonostante i raffronti e gli argomen-ti da me portati per smentire l’attribuzione delBologna a questo pittore del potente Giacobbecontempla la tunica insanguinata del figlio Giu-seppe a Matera, Pinacoteca D’Errico, in favore diDirk van Baburen o di un pittore a lui affine (cf.F. Bologna in Mostra Napoli 1991: 164; 150, fig.158; Lattuada 1999: 12-15), Causa 2007: 93-94,ha rilanciato l’idea di de Bellis evocando ancherapporti con Aniello Falcone (in tal caso, allora,quello della Maestra di Scuola ora a Capodi-monte, e solo per la figura alla estrema destradell’opera; in verità un po’ poco) e – seguendo ilBologna – con “una composizione Velazquezia-na” (ma quale? Certo non quella della nota ope-ra omonima di Velázquez a El Escorial, con laquale quella di Matera ha in comune solo il sog-getto). Dunque devo ripetermi: il trattamentodel colore e la composizione di questo dipintonon trovano riscontro in niente di ciò che cono-sciamo di de Bellis. De Bellis non è un maestrodi difficilissima riconoscibilità: nel 1985, in unosfortunato convegno a margine della mostra Ci-viltà del Seicento a Napoli, i cui atti non sonostati mai pubblicati, ho attribuito a questo pitto-re la Immacolata della Fondazione Longhi, cheaveva a lungo oscillato fra Stanzione, Cavallinoed altri maestri napoletani nei cataloghi dellaFondazione. Non so se sia un caso che poi altriabbiano accolto (scrivendone come un’acquisi-zione conseguita per vie indipendenti) tale attri-buzione, che era fondata su un confronto con ildipinto omonimo di de Bellis a Napoli, San Car-lo alle Mortelle (cf. Leone Castris 1991: 49-50;fig. 59). 4. Sempre nel convegno del 1985 hoascritto a Pacecco de Rosa un piccolo rame di al-to impegno formale, il Sansone e Dalila in colle-zione privata, già attribuito a de Bellis (cf. N.Spinosa in Mostra Cleveland-Fort Worth-Na-poli 1985: 180, B.5. Ho poi comunicato tale at-tribuzione in Lattuada 1991), che ho segnalato aVincenzo Pacelli, il quale ha invece riconferma-to l’attribuzione a de Bellis nella sua monografiasu Pacecco (cf. V. Pacelli in Pacelli et al. 2008:155; 161 fig. 173). Il guerriero con elmo allaestrema sinistra del dipinto, la lavorazione delbroccato del tendaggio sullo sfondo, e anche lastessa figura abbigliata con stoffe dagli squillan-ti toni rossi e blu sono tipici di Pacecco de Rosa.La sola parte effettivamente vicina a de Bellis ènel gruppo di Sansone e Dalila, che però è co-stantemente replicato in opere di DomenicoFiasella e di altri artisti napoletani e non del pe-riodo. Ritengo perciò vada mantenuta l’attribu-zione a de Bellis. 5. Il tema dei rapporti tra deBellis e Cavallino trae linfa dal crescere di inte-resse per il primo dei due pittori. Anni fa hopubblicato, attribuendolo a Cavallino, un po-tente San Filippo Apostolo in collezione privata(cf. Lattuada 1988). Alla lunga scheda che dedi-cai al dipinto grazie alla stima e all’affetto diOreste Ferrari, mai abbastanza compianto, Spi-nosa 1990: 56, n. 2, contrappose una sbrigativaattribuzione a de Bellis “negli anni della maturi-tà, verso il ‘50”. Avevo mostrato personalmenteil dipinto a Spinosa prima della pubblicazione,ed egli aveva concordato sull’attribuzione a Ca-vallino salvo poi cambiare idea nei termini cheho descritto: cose che capitano. In seguito F. Bo-

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Fig. 57 – Andrea Vaccaro, La predica di Giona a Ninive, collezione privata.

Fig. 58 – Andrea Vaccaro, Trionfo di David, già Londra, Sotheby’s.

per l’espandersi dell’influsso neoveneto in tutto l’ambiente napoletano. Un fattore diquesta espansione fu la maturazione di più che una semplice sintonia con l’ambienteartistico genovese. Gioacchino Assereto, Giovan Bernardo Carbone, Giovanni Bat-tista Carlone, Orazio de Ferrari53, Domenico Fiasella, soprattutto Giovanni Bene-detto Castiglione, detto il Grechetto, mostrano nel loro specifico pittorico inclina-zioni parallele a quelle di Stanzione, Vaccaro e dello stesso Cavallino in una triango-lazione che è difficile ritenere casuale con la traiettoria del grande genio siciliano, edirei italiano del periodo, Pietro Novelli, il Monrealese. Alle radici di questi rapporti, perlopiù ancora irrisolto, resta il problema del viaggioitaliano di Anton Van Dyck e della sua influenza – vigorosamente sostenuta, o

logna in mostra Napoli 1991: 164; 151, fig. 159,reiterava l’ascrizione del dipinto a de Bellis, de-finendolo un San Giuseppe e omettendo di ri-portare la discussione precedente. Dopo la miapubblicazione il dipinto è stato restaurato, e cre-do che la sua visione diretta sia sufficiente a do-ver ribadire che l’opera è proprio di BernardoCavallino. 6. Ancora per de Bellis e Cavallino:concordo con Causa 2007: 132, sul fatto che ilSan Giacomo Maggiore a Palermo, Galleria re-gionale di Sicilia – già ascritto a Bernardo Stroz-zi (cf. P. Boccardo in Mostra Palermo 1999: 212-213, n. 22) – vada riportato a Napoli, ma non at-tribuendolo a Cavallino (mirando peraltro mol-to vicino al bersaglio), quanto proprio a de Bel-lis. La fattura un po’ più grezza degli abiti delsanto; il suo volto ovato e – come sempre in deBellis – più irregolare e popolaresco che in Ca-vallino; le forme in generale più vibranti dellamano aperta sul petto – tanto simile nel disegnoa quella del San Filippo Apostolo qui più sopradiscusso, e invece tanto diversa nella risoluzionepittorica – nonché il formato piuttosto cospi-cuo, molto più raro in Cavallino, mi rendonocerto che l’autore di questo intenso dipinto siaproprio de Bellis. 6. Stesso discorso vale per il vi-goroso San Giovanni Evangelista già a NewYork Sotheby’s, 25-I-2001, lotto 145, ‘Attribu-ted to Bernardo Cavallino’, che visto da vicino èuno dei maggiori raggiungimenti di de Bellis,veramente a poca distanza di qualità e impegnoformale del suo modello di riferimento.49 Cf. Bloomsbury Roma, 20-XI-2008, lotto113, attribuito al Maestro di Fontanarosa inbase ad una perizia di Franco Moro, in cui sirilevavano nell’opera rapporti con opere gio-vanili di Stanzione. L’opera, forse in origineconcepita come un ovale o come un ottagono,presentava una sagoma ovale dipinta che, purnon inficiandone la leggibilità, appariva ese-guita in epoca successiva alle stesure originali.Misure attuali cm. 106 x 77.50 Cf. Sotheby’s New York, 26-I-2005, lotto152. Per tutti e tre i dipinti di Cavallino cf. A.Percy in Mostra Cleveland-Fort Worth-Na-poli 1985: 120-122, A.21-22; A.21-22c.51 Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 35. Per unascheda sul dipinto in rapporto all’ambiente na-poletano cf. C. Whitfield in Mostra Londra1982: 239-240, n. 138.52 Chi ha posto per la prima volta il problemadel neovenetismo a Napoli è stato indiscutibil-mente Bologna 1952, che ha parlato, “già primadel 1635”, di “un dissolvimento dell’ascenden-te caravaggesco” e di una “crisi di pittorici-smo” dell’ambiente napoletano, sfociata in “ra-rità pittoriche vandyckiane” (p. 52). Ma cf.Prohaska 1994-95 (1996): 210-222, per una tesiapparentemente opposta a quella di Bologna.Per Prohaska Ribera non ebbe bisogno di ve-dere opere di Van Dick, peraltro presumibil-mente rare a Napoli, e piuttosto scelse una suavia all’innesto di una tavolozza neoveneta sulsuo realismo di base. Ma in definitiva lo studio-so concorda sul fatto che tendenze neovenete,peraltro registrate su pressoché tutto il territo-rio artistico italiano del periodo, furono attivea Napoli attraverso il contatto dei pittori localicon le grandi collezioni romane e anche napo-letane. Credo che tutti questi contributi an-dranno in futuro articolati approfondendo il

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Fig. 59 – Andrea Vaccaro, Visitazione, già LondraChristie’s, poi Londra, Sotheby’s.

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Fig. 60 – Andrea Vaccaro, San PaoloApostolo, già Roma, Bloomsbury.

respinta con altrettanta energia – sui centri artistici nei quali lasciò sue opere, sostan-zialmente Genova e Palermo, e forse anche Napoli54. Rubens e Van Dyck sono sul-lo sfondo di tali vicende, ma non si può del tutto escludere qualche sacca di attenzio-ne nei confronti di Rembrandt (più attraverso le stampe che vedendo i suoi dipinti; eora possediamo nuovi riscontri, relativi però ad un momento più tardo di quello dicui ci occupiamo qui)55. La questione è estremamente complessa, e – senza poterlaqui ripercorrere passo per passo – occorre qui parlarne almeno per quanto attiene aVaccaro56.Il rapporto tra Novelli, Ribera e altri pittori napoletani ricorre di frequente negli in-terventi su Vaccaro a partire da alcune note e restituzioni del Bologna, già nel 195857.È a tutt’oggi impossibile disporre di date e opere per il soggiorno napoletano delMonrealese, e non ostante la mancanza di dati documentari “della sua sosta a Napo-li in questa congiuntura [cioè dal 1631 al 1632] non è dubbio alcuno, come le opererivelano”58. In un sistema di scambi difficili da circoscrivere, Novelli interagisce conRibera e Stanzione, e proietta la sua straordinaria personalità sulle opere degli stessiVaccaro e Cavallino in un momento in cui Artemisia Gentileschi e lo stesso MatthiasStomer erano operativi in città59. E va qui recuperato, in vista di un ulteriore riesame,quanto nel 1984 scriveva Flavia Petrelli a proposito di copie di Vaccaro da opere diVan Dyck60.Se è vero, come è vero, che la più importante opera pubblica di Van Dyck in ambitomeridionale resta la stupenda Madonna del Rosario a Palermo, Oratorio del Rosarioin San Domenico (fig. 61)61, è forse possibile vedere una lata eco di questa pala nelmontaggio di due opere tarde di Vaccaro, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina daSiena e la Santa Caterina da Siena riceve le stimmate a Napoli, Santa Maria della Sa-nità, del 1659 (figg. 62-63)62. Nel primo dei due dipinti la figura di Santa Caterina tor-reggia con un allungamento atipico a Napoli per questo genere di opere, e la compo-sizione è nettamente divisa in due piani (certo sì, all’italiana, ma proprio come nellapala di Van Dyck a Palermo). Nel secondo – che avrà un’influenza non passeggerasulle posteriori invenzioni di Francesco Solimena – giganteggia il San Paolo Aposto-lo che fa da quinta a destra della composizione63. Sono, queste soluzioni, il frutto di uno studio su disegni della pala di Van Dyck a Pa-lermo? Sono – il che è egualmente plausibile – memorie della identica maniera concui Rubens aveva impaginato la sua famosa pala all’altare maggiore della ChiesaNuova a Roma (che peraltro è considerata il riferimento fondamentale per la stessapala di Van Dyck)? Ancora: gioca sui dipinti di Santa Maria della Sanità la memoriadi quanto aveva fatto nel campo delle pale d’altare lo stesso Monrealese, altissimomediatore fra invenzioni nordiche e pittura meridionale nella prima metà del Seicen-to? Impossibile decidere per l’una o l’altra di queste ipotesi, e forse è più sensato por-le su un piano paritario di spunti. Andrea Vaccaro è un pittore troppo sofisticato pernon fondere qualunque riferimento in una formula propria, con un metodo che soloingenuamente è stato qualificato come eclettico. Nelle due pale di Santa Maria dellaSanità, infatti, la tavolozza si smorza, e i bruni, gli indaco e i blu cupi mostrano unasintonia, forse non casuale, anche con i timbri del Guercino maturo, a segno di unainesausta capacità di rinnovamento, di una perenne curiosità nell’esplorare vie

problema della diffusione delle stampe, su cuile nostre conoscenze per l’ambiente napoleta-no sono al momento quasi a zero. Ma per ulte-riori osservazioni sul punto cf. qui più oltre.53 Cf. M.G. Paolini in Mostra Palermo 1990:62-63, che pone il problema di un soggiornonapoletano di Orazio de Ferrari tra il 1624 e il1628. Tale ipotesi è accettata con cautela daDonati 1997: 10-11.54 Cf. V. Abbate in Mostra Milano 2004: 79-81,che attraverso una acuta lettura dei documentirelativi alla commissione della Madonna del Ro-sario di Van Dyck per l’Oratorio del Rosario inSan Domenico a Palermo (pubblicati da G.Mendola in Mostra Palermo 1999: 93-104) ri-propone autorevolmente la questione di una so-sta del pittore a Napoli tra il 1625 e il 1626 – daidocumenti emerge che tale sosta era stata chiara-mente programmata – e in tale contesto conferi-sce nuovo valore ad un passo di Giulio CesareCapaccio (1634) in cui si menzionano una SantaSusanna e un San Sebastiano di Van Dyck nellacollezione di Gaspare Roomer.

55 Cf. Magnani 2006, oltre alla nota vicenda deldipinto per la collezione di Don Antonio Ruf-fo a Messina.

56 Cf. l’Incontro di Rebecca e Isacco al pozzo aMadrid, Prado, per un esempio dell’impiego diuna tavolozza che mostra una vicinanza vera-mente impressionante con quella dei pittorigenovesi qui chiamati in causa (cf. A.E. PérezSánchez in Mostra Madrid 1985: 332-333, n.147).

57 Cf. Bologna 1958: 19-20; 33-34.

58 Cf. M.G. Paolini in Mostra Palermo 1990: 60.

59 Cf. F. Petrelli in Mostra Napoli 1984, I: 162-163 per una importante biografia di Novelli inrapporto ai fatti napoletani.

60 Cf. F. Petrelli in Mostra Napoli 1984, I: 163.Non sono riuscito a trovare la fonte di questaaffermazione, che sarebbe interessante rintrac-ciare, ma che riporterebbe un fatto del tuttonaturale considerando le attitudini di Vaccaro.

61 Cf. G. Mendola in Mostra Palermo 1999: 93-104; V. Abbate in Mostra Milano 2004: 78-81.

62 Cf. Spinosa – Ciavolino 1981: 64-66, per unadatazione delle due opere tra il 1653 e il 1655.È stata poi Mimma Pasculli a pubblicare i do-cumenti che fissano al 1659 l’ultimazione del-le due grandi tele (cf. M. Pasculli in Pane 1983:252-253). Posso qui riprodurre solo due vec-chie foto dei due dipinti, che da un recente so-pralluogo in Santa Maria della Sanità vedo orarestaurati, ma lasciando ben visibili le lacuneaccumulate nel tempo con grandi campi colorocra che praticamente ne distruggono la cor-retta fruizione.

63 Per De Vito 1994-95: 101, “nella seconda te-la [cioè quella qui in discussione] sul lato de-stro compare una figura tipicamente giordane-sca”, sul che è difficile convenire.

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Fig. 61 – Anton Van Dyck, Madonna del Rosario, Palermo, Oratorio del Rosario in San Domenico.

Fig. 62 – Andrea Vaccaro, Lo sposalizio mistico diSanta Caterina da Siena, Napoli, Santa Maria dellaSanità.

Fig. 63 – Andrea Vaccaro, Santa Caterina da Siena ri-ceve le stimmate, Napoli, Santa Maria della Sanità.

nuove per composizioni che avrebbero vincolato alla ripetizione un pittore menoaperto di Andrea Vaccaro alla sperimentazione, e meno abile di lui nel riversarla nel-la sua inconfondibile maniera.Certo, è difficile non vedere ancora l’ombra di Van Dyck nella Deposizione a Napo-li, Pio Monte della Misericordia (fig. 51), opera probabilmente dei tardi anni Qua-ranta o oltre. La posizione del Cristo e l’impianto della composizione sembrano va-rianti del Compianto sul Cristo morto di Van Dyck già a Berlino, Kaiser-FriedrichMuseum (distrutto nell’ultima guerra), noto da copie e dalla stampa di Paulus Pontius (fig. 64)64.E ancora: il bellissimo Noli me tangere oggi nella Galleria Nazionale di Cosenza (fig.65)65, che pure mi sembra pertinente alla produzione del quarto decennio, non è im-mune da un’attenzione verso la Santa Rosalia davanti alla Santissima Trinità di VanDyck a Monaco, Alte Pinakothek, opera del 1624-25 (fig. 67)66. Grazie al ritrova-mento di una stampa di notevole formato di Guglielmo Morghen (fig. 66), mi è orapossibile accertarne la presenza, agli inizi nell’Ottocento, nella raccolta napoletanadei Principi Caracciolo di Forino, che se non sbaglio era nel Palazzo di famiglia an-cor oggi esistente a Via Medina, opera di Ferdinando Fuga67. Ai tempi di GugliemoMorghen il dipinto era attribuito a Ribera, il che quanto meno segnala la percezionedegli elementi neoveneti in esso presenti. I lontani, famosissimi prototipi di Tizianoe Correggio sono travasati in una libera rielaborazione dall’esito pienamente napole-tano, e la figura della Maddalena dev’essere stata cara a Vaccaro se la ritroviamo re-plicata, come al solito con belle varianti, nella Maddalena già a Vienna, Dorotheum(fig. 68)68.

I Genovesi: quali rapporti?

Prima di passare al ruolo sostenuto dal classicismo nella traiettoria di Andrea Vacca-ro, resta da dire qualcosa sul suo rapporto con i Genovesi. Abbiamo già fatto cenno,e ancora parleremo della luce brunastra che caratterizza tante opere mature di Vac-caro, e l’abbiamo rapportata a Genovesi come Assereto, Giovan Bernardo Carbone,Giovanni Battista Carlone, Orazio de Ferrari, Fiasella, e soprattutto al Grechetto. Èquest’ultimo che sembra aver fornito idee a Vaccaro per la intonazione generale ditanti suoi dipinti a partire dalla seconda metà del quarto decennio. Dopo un soggior-no a Roma (1633-34), Castiglione è documentato a Napoli durante il Carnevale del1635, e dové trattenervisi, con altre probabili puntate a Roma, almeno fino al 1639,anno in cui è di nuovo a Genova69. Nei suoi anni napoletani Castiglione intrattienerapporti con Andrea de Lione, che per più versi diverrà un suo epigono70, e che col-laborerà poi nel 1660-61 con Andrea Vaccaro per la traduzione su muro delle Storiedi San Gaetano per la Chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli71. Le epidermidi sem-pre più arrossate delle figure delle battaglie di Andrea de Lione a partire dalla metàdel quarto decennio del secolo sono uno dei segni più evidenti della influenza di Ca-stiglione su determinati settori della pittura napoletana.

64 Cf. Larsen 1980, II: 98-99, n. 655.

65 Il dipinto è stato offerto a Londra, Sothe-by’s, 14-X-1998, lotto 56, con una attribuzio-ne a Pacecco de Rosa proposta da N. Spinosa.Chi scive segnalò alla Sotheby’s che il dipintoè invece di Andrea Vaccaro, ma non so se di ta-le attribuzione sia stata data notizia al momen-to dell’asta. Cf. W. Prohaska in Mostra Cosen-za 2003: 64-65, n. 9, per una datazione del di-pinto “forse già agli anni Quaranta”, contra-riamente a quanto prospettato da De Vito1994-95: 82; 76, fig. 11, che pone più credibil-mente il dipinto in rapporto alla Maddalenanella Cappella omonima della Certosa di SanMartino (1636).

66 Cf. Larsen 1980, I: 118, n. 453.

67 La stampa, che misura circa mm 500 x 350nella parte incisa, reca la seguente dedica: “ASua Maestà Maria Carolina d’Austria Reginadelle due Sicilie / Protettrice delle Belle Arti”,con uno stemma borbonico in basso al centro.A sinistra sotto il campo inciso: “Gius. Ribbe-ra [sic] pinx”; a destra: “Guglielmo Morghensculp”. A sinistra sul bordo bianco in basso:“Il quadro esiste presso S.E. il Princ. di Fori-no”; a destra: “Guglielmo Morghen D.D.D.”.

68 Cf. Vienna, Dorotheum, 16-X- 2007, lotto11, attribuita a Vaccaro. Il dipinto misura cm.77 x 68,1, ed è in precedenza passato a Londra,Sotheby’s, 27-IV- 2006, lotto 90.69 Cf. T. Standring in Mostra Genova 1990: 16-17.70 Cf. Andrea de Lione 2008 per una rassegnarecente sul pittore, con ampia bibliografia.71 Cf. De Vito 1994-95: 101-124 per una rico-struzione documentaria delle vicende del ciclodi San Paolo Maggiore.

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Fig. 64 – Anton Van Dyck, Ilcompianto sul Cristo morto,già Berlino, Kaiser FriedrichMuseum (distrutto).

Fig. 65 – Andrea Vaccaro, No-li me tangere, Cosenza, Galle-ria Nazionale.

Fig. 66 – Guglielmo Morghenda Andrea Vaccaro, Noli metangere, incisione.

Fig. 67 – Anton Van Dyck, LaSantissima Trinità appare aSanta Rosalia, Monaco, AltePinakothek.

Vaccaro, come sempre perfettamente in grado di comprendere le implicazioni di ogninovità pittorica, reitera la sua scelta di luminosi fondali bruni per i suoi dipinti di am-pio formato, e qui e là nella sua produzione si avvertono anche abili rielaborazionitratte dalle due serie di Grandi e Piccole teste all’orientale di Castiglione72, che sonoil caso più vistoso di interesse per Rembrandt nell’arte italiana del Seicento. Nasceprobabilmente così la splendida testa di vecchio alle spalle della Susanna e i Vecchio-ni d’Avalos (fig. 83); è così che si spiega il tono così fortemente genovese delle figurein secondo piano della Adorazione del vitello d’oro (fig. 82). Di certo, una sintesi par-ticolarmente significativa di tale fase ci è fornita dall’Abramo e i tre Angeli in colle-zione privata (fig. 69), un’opera datata dalla critica verso il 1635-40, e dunque tipicadella fase di maggior vicinanza con Monrealese73. Qui, quelli che ci sembrano essereuna tavolozza alla van Dyck e un chiarore alla Monrealese degli incarnati degli ange-li, si situano in una dimensione imprescindibile anche da Castiglione e dagli altri Ge-novesi.

Il classicismo

Gradualmente Vaccaro stabilizzerà formule proprie nell’ambito di quello che si po-trebbe definire il classicismo napoletano-bolognese, e forse ancor più napoletano-ro-mano. La Madonna con Bambino in ubicazione ignota, che era sul mercato nel 1999(fig. 70)74, è una rielaborazione del dipinto omonimo di Stanzione a Napoli, MuseoDiocesano (fig. 71)75, e la Sacra Famiglia con San Giovannino, già a Roma pressoChristie’s nel 2001 (fig. 72)76 rappresenta una ulteriore variante dello stesso schemacompositivo. Sembra naturale istituire qui un rapporto con invenzioni di Simon Vo-uet del tipo della Madonna della Rosa (1638) (fig. 73)77, che tra il quarto e il quintodecennio del Seicento non era più in Italia, ma presumibilmente continuava ad esse-re seguito nell’ambiente napoletano soprattutto attraverso le stampe. A riprova del-la abilità di Vaccaro nel reimpiego dei suoi disegni, la composizione della Madonnacon Bambino qui a fig. 70 ricompare nella Adorazione del vitello d’oro di Capodi-monte, un dipinto probabilmente di poco più tardo e qui discusso più avanti (fig. 82).E specie nella Sacra famiglia con San Giovannino si avverte un ammorbidimento deipassaggi chiaroscurali e un impiego di colori neoveneti, che in qualche modo si pos-sono ricondurre alla percezione delle opere di van Dyck e dei pittori genovesi, di cuipiù sopra si è qui discusso.I contrasti chiaroscurali si ammorbidiscono, ma non sempre: la Samaritana al pozzogià presso Sotheby’s nel 1998 (fig. 74)78, che forse è anch’essa un’opera tra quarto equinto decennio, è un esempio di combinazione di maniere bolognesi, ritmo narra-tivo pacato e basato sull’eloquentia e vigorosi chiaroscuri napoletani.Credo che un sostanziale passo avanti nella ricerca dei riferimenti del classicismo diAndrea Vaccaro sia stato compiuto, sia pure per accenni, da Wolfgang Prohaska, epiù di recente, da Stefano Causa, i quali hanno prospettato un rapporto del pittorenapoletano con i modi di Giacinto Gimignani e quindi con il classicismo romano

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72 Cf. G. Dillon in Mostra Genova 1990: 209-224.73 Cf. V. Pacelli in Mostra Napoli 1984, I: 489-490, n. 2.266.74 Non sono riuscito a rintracciare la prove-nienza di questo dipinto, che probabilmente fupresentato alla Christie’s nel 1999 ma che nonmi risulta sia poi passato in asta.75 Cf. Schütze-Willette 1992: 241-242, A.101;387, fig. 339; e S. Causa in Il Museo Diocesanodi Napoli 2008: 116-117, n. 32, con altra bi-bliografia precedente e altri confronti con ope-re di Stanzione. Schütze-Willette 1992 datava-no l’opera agli inizi degli anni Cinquanta delSeicento, ma ad avviso di chi scrive è preferibi-le una datazione agli inizi del decennio prece-dente.76 Cf. Christie’s Roma, 22-V-2001, lotto 275. Ildipinto misura cm. 128 x 94.77 Cf. Mostra Roma 1991: 72. Preferisco qui ri-produrre la stampa di Claude Mellan, che ètratta dal dipinto di Vouet a Marsiglia, Muséedes Beaux-Arts (cf. Mostra Roma 1991: 298-299, n. 46).78 Cf. Sotheby’s Londra, 9-VII-1998, lotto325.

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Fig. 68 – Andrea Vaccaro, Maddalena, già Vienna, Doro-theum, collezione Roberto Parenza.

Fig. 70 – Andrea Vaccaro, Madonna con Bambino, ubicazio-ne ignota.

Fig. 71 – Massimo Stanzione, Madonna con Bambino, Na-poli, Museo Diocesano.

Fig. 69 – Andrea Vaccaro, Abramo e i tre Angeli, collezione pri-vata.

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Fig. 72 – Andrea Vaccaro, Sacra Famiglia con San Gio-vannino, già Roma, Christie’s.

Fig. 73 – Claude Mellan da Simon Vouet, Madonnadella Rosa, incisione (1638).

Fig. 74 – Andrea Vaccaro, La Samaritana al pozzo, giàLondra, Sotheby’s.

degli anni Trenta e Quaranta del Seicento79. Come è noto, questa tendenza mostrauna attenzione costante ma non dogmatica ai raggiungimenti di Raffaello, AnnibaleCarracci e Domenichino; insiste su temi classici e di storia antica interpretati con unachiarezza narrativa meno ermetica che in Poussin e meno articolata che in Pietro daCortona; ed è incline ad un classicismo più normativo che filologico. Ispirata soprat-tutto dalle posizioni teoriche e di metodo artistico di Andrea Sacchi, questa tenden-za segna il gruppo dei Cortoneschi – Andrea Camassei, Giacinto Gimignani, GiovanFrancesco Romanelli, Ciro Ferri, Lazzaro Baldi, Guillaume Courtois, detto il Bor-gognone – che tentano di congiungere le invenzioni del maestro con il rigore e il ri-chiamo all’antico di Poussin e dello stesso François Duquesnoy80.Il cantiere in cui verificare questa tendenza è il Battistero di San Giovanni in Fontenella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma81. Dal 1640 al 1649 Andrea Sacchicoordinò Andrea Camassei (fig. 75), Giacinto Gimignani (fig. 76), Carlo Magnoni eCarlo Maratti (fig. 77) per cinque affreschi con Storie della vita dell’Imperatore Co-stantino sulle pareti del Battistero del Laterano, eseguendo personalmente le ottoStorie della vita di San Giovanni Battista. Per usare le parole di Andrea Emiliani, inquesto fondamentale ciclo pittorico il classicismo romano di Sacchi porta al massimocompimento quei valori “di probità ideali, di decoro sublime, di ardore perfino fana-tico per la moderazione del gesto pittorico”82. Credo che a contatto con questo tipodi pittura Andrea Vaccaro abbia distillato la sua specifica via al classicismo. La Cac-ciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre già a Roma presso Christie’s (fig. 78)83

è un esempio perfetto di queste attitudini: le tre figure dalle anatomie accademichesono scandite secondo un ritmo paratattico nel paesaggio brullo ma insolitamente ar-ticolato. I corpi di Adamo ed Eva forniscono lo spunto per mostrare la padronanzain Vaccaro dello studio dal vero, e l’attenta metrica della posizione dei corpi, dei con-trapposti evidenziati dalla posizione delle gambe sono un saggio dell’interpretazio-ne che il pittore seppe dare della “moderazione del gesto pittorico” propugnata daSacchi e dai suoi sodali84. Un curioso apporto altamente individuale è nel curioso ge-sto di stizza di Eva, che sembra voler contrastare il gesto imperioso dell’angelo. Neldipinto si scorge un “ardore” perfino troppo evidente nei confronti dell’Apollo delBelvedere, che appare nelle vesti di angelo, ma che tornerà in infinite varianti nel-l’opera di Vaccaro, a testimoniare uno studio alacre molto probabilmente condottosulla scultura in quanto tale – non c’è neanche bisogno, a questo punto, di sforzarsia sostenere che Andrea Vaccaro dev’essere stato a Roma più di una volta, e probabil-mente anche prima degli anni Trenta e Quaranta del Seicento – e forse anche sulle in-numerevoli stampe e copie, considerato che a partire dall’esposizione dell’ Apollo delBelvedere in Vaticano (1511) “non vi fu serie di stampe o di gessi o di copie, che pre-tendesse di rappresentare le opere più famose dell’antichità, nella quale mancassequesta statua”85. È probabile che il dipinto già presso la Christie’s sia “Un Adamo,ed Eva con l’Angelo, che li discaccia dal Paradiso Terrestre mano d’Andrea Vaccarodi palmi 6, e 5 con cornice indorata intagliata” inventariato nel 1699 a Napoli nellacollezione di Pompilio Gagliano86.Un gruppo di opere di Vaccaro, probabilmente databili tra il 1640 e il 1650 o anchedopo, rispecchia queste attitudini87. Il Pasce Oves meas già a Roma, Christie’s, ed og-

79 Cf. Prohaska in Mostra Cosenza 2003: 64, n.9; Causa 2007: 15, 157, 184, 204-205, 235 n. 1.80 Cf. Fagiolo dell’Arco 2001. Per Gimignani,oltre alle storiche aperture di Voss 1924 (1999):365-367, cf. i fondamentali contributi di Fi-scher 1973 e Fischer Pace 1979-80, e anche ilprofilo dell’artista di A. Negro in Mostra Ro-ma 1997: 199-212, 400-403.81 Cf. la recente sintesi di C. Tempesta in Mo-stra Nettuno 1999-2000: 52, con bibliografiaprecedente.82 Il passo di Emiliani, riguardante AndreaSacchi e Guido Reni, è citato da C. Tempestain Mostra Nettuno 1999-2000: 49.83 Cf. Christie’s Roma, 15-VI-2005, lotto 700.Il dipinto misura cm. 102 x 119,5.

84 Cf. Causa 2007: 158, fig. 97, per un confron-to tra l’Angelo custode di Sacchi a Rieti, Duo-mo, Cappella di San Giuseppe, e parti del Giu-dizio di Paride di Pacecco de Rosa a Capodi-monte. Credo che tale confronto valga ancorpiù per Vaccaro – in modo impressionante, di-rei – guardando la figura dell’angelo custodenel quadro di Sacchi.

85 Cf. Haskell – Penny 1981 (1984): 189-191.

86 Cf. Labrot 1992: 198, n. 38. Le misure del di-pinto, cm. 102 x 119,5, corrispondono abba-stanza bene – una volta invertite, cioè conside-rate in larghezza per altezza – a quelle in palminapoletani dell’inventario. Una versione delquadro già Christie’s e – a giudicare dalla fotoconservata nella fototeca Zeri – più tarda e diminor qualità, di cm. 90 x 130, era sul mercatoantiquario in data non precisabile.

87 Tra esse spicca il noto ciclo di Quattro storiedi Tobia a Barcellona, Museo de Arte de Cata-luña (cf. M. Mena Marques in Mostra Madrid1985: 324-329, nn. 142-145), che sembra vera-mente eseguito tenendo a mente i classicisti ro-mani qui confrontati con Vaccaro.

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gi presso la Galleria Moretti di Firenze (fig. 79)88, presenta la stessa preferenza per laparatassi e per la chiarezza nella disposizione delle figure in sintonia con il classici-smo romano, ma esprime anche una memoria molto precisa del classicissimo rilievodi Gian Lorenzo Bernini sulla facciata della Basilica di San Pietro a Roma, già espo-sto nel 1646 (fig. 80)89. Questo dipinto sembra praticamente nato insieme al Cristoche appare alla Madonna con i redenti del limbo, già a Dresda, Pinacoteca (distrutto)(fig. 81): oltre alla figura del Cristo, è la relazione spaziale tra le figure principali del-le due opere – insomma la composizione – a essere di fatto la stessa. E per capirequanto la traiettoria iniziale di Nicola Vaccaro sia inscindibile dalle invenzioni di

88 Cf. Christie’s, Roma, 16-VI-2004, lotto 500.Il dipinto misura cm. 76 x 103.5. Ma prima an-cora va registrato un passaggio dell’opera aVienna, Dorotheum, 17-V-1970, lotto 125.Sono grato alla Galleria Moretti per la possibi-lità di riprodurre il dipinto dopo il restauro.

89 Cf. M. e M. Fagiolo dell’Arco 1967: n. 73;Wittkower 1981 (1990): 256, n. 34. Per quantoio ne sappia esistono ben poche altre declina-zioni del soggetto del rilievo di Bernini, tantopiù in ambito napoletano. Il tema, come è no-to, è tratto dalla prima lettera di San Pietro, incui l’Apostolo così esorta i presbiteri:

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Fig. 75 – Andrea Camassei, Costantino alla Battaglia di PonteMilvio, Roma, San Giovanni in Laterano, Battistero.

Fig. 76 – Giacinto Gimignani, La visione di Costantino prima del-la Battaglia di Ponte Milvio, Roma, San Giovanni in Laterano,Battistero.

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Fig. 77 – Carlo Maratta, Costantinoordina la distruzione degli idoli, Ro-ma, San Giovanni in Laterano, Batti-stero.

Fig. 78 – Andrea Vaccaro, La caccia-ta di Adamo ed Eva dal Paradiso ter-restre, già Roma, Christie’s.

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Fig. 79 – Andrea Vaccaro, Pasce Ovesmeas, Firenze, Moretti Srl.

Fig. 80 – Gian Lorenzo Bernini, Pa-sce Oves meas, Roma, Basilica di SanPietro.

Fig. 81 – Andrea Vaccaro, Cristo ap-pare alla Madonna con i redenti dellimbo, già Dresda, Pinacoteca.

questa fase del percorso paterno è sufficiente osservare, di Nicola, l’impianto dellaCacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre in collezione privata (A2).Il vigoroso ma nitido chiaroscuro della Samaritana al pozzo già Sotheby’s torna invarie altre opere di altissimo impegno formale di tale fase (quinto, sesto decennio?Difficile proporre date certe). Un dipinto da ascrivere a questo periodo è l’Adorazio-ne del vitello d’oro del Museo di Capodimonte (fig. 82), con un altro Vitellio tra gliastanti di sfondo e una donna con bambino sul lato destro che riprende la Madonnacon Bambino qui già discussa e riprodotta alla fig. 7090. Una lata memoria dei vari Sa-crifici di Mosè ispirati da Nicolas Poussin a pittori napoletani come Andrea de Lio-ne – forse anche sotto il già citato influsso del Castiglione – è riscontrabile nell’im-pianto del dipinto, ma sempre nei termini di un riuso estremamente individualizza-to. E ancora vanno inclusi in questo gruppo altri due poderosi raggiungimenti più omeno coevi, Susanna e i Vecchioni (fig. 83) e Rinaldo e Armida nel giardino incanta-to (fig. 84) già della collezione d’Avalos e oggi a Capodimonte. Sono opere della se-conda metà del quinto decennio o forse anche un po’ più tarde91, tutte segnate da unaluce ocra lavorata su una complessa gamma di tonalità brunastre, come di oro cupo,che Vaccaro anima con accenti luminosi e cromatici di straordinaria potenza nelle fi-gure in primo piano. Nel Rinaldo e Armida lo splendore degli abiti dei due protago-nisti riporta a Stanzione e ad Artemisia – specie per la figura di Armida92 – e l’aper-tura di paesaggio, obbligata per il soggetto, mostra una attenzione nei confronti del-le coeve opere en plein air di Micco Spadaro e Viviano Codazzi.Nel Rinaldo e Armida è stata poi notata “la qualità «specifica» dei fiori di cui è co-sparsa l’intera scena, non dissimili dalla produzione di un «generista» attivo in que-gli anni come Giacomo Recco”93. È forse possibile articolare questa osservazioneipotizzando per i fiori del dipinto un contributo di quel Pietro Fiammingo animali-sta e pittore di fiori di cui si dirà più avanti a proposito dell’Orfeo e le Baccanti di Pa-lazzo Reale94.A dispetto dell’ambientazione a lume oscuro – che non può essere il solo indifferen-ziato indicatore di datazione e di stile per qualsiasi dipinto napoletano del Seicento –è a mio avviso pertinente a tale fase anche il San Sebastiano di Capodimonte (fig.85)95. La possente figura perfetta del santo mostra lo stesso contrapposto delle gam-be e la moderata torsione del busto di tante delle opere qui esaminate. È in parte ve-ro, come sostiene Stefano Causa, che tale figura è il frutto di una “desculturizzazio-ne di Battistello”, e proprio perciò la cifra stilistica espressavi è molto distante daun’opera antica di Vaccaro, a suo modo battistelliana – ma soprattutto caravaggescaromana – come il David in collezione privata (fig. 86)96. Nel quadro di Capodimon-te la sintetica ma efficiente apertura di paesaggio presenta la stessa tonalità bruna ca-rica di effetti di luce della Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, già a Ro-ma presso Christie’s (fig. 78), e tale espediente riverbera sulla stessa figura effetti dichiaroscuro di straordinaria morbidezza di passaggi. Sicché, contro tutta la criticamaturata sul dipinto di Capodimonte, bisognerà riportarne la datazione almeno allafine del quarto decennio, se non anche agli inizi del quinto.E, ancora parlando di classicismo: due poderose prove di grande formato degli anniQuaranta (tardi anni Quaranta?) ci fanno comprendere appieno la grande maniera di

“pascete il gregge di Dio, che da voi dipende,governandolo non forzatamente, ma di buonavoglia, come vuole Iddio; non per amore di vilguadagno ma con animo volonteroso; e noncome dominatori dell’eredità [del Signore] madivenuti sinceramente modelli del gregge. Equando il principe dei pastori apparirà, riceve-rete la incorruttibile corona di gloria” (Primalettera di San Pietro, 5, 1-5).

90 De Vito 1994-95: 137, rileva nel dipinto “co-se debellisiane e presenze luministiche allaBeltrano” che francamente non si riesconoproprio a riscontrare, se non per il fatto chespecialmente nella produzione di de Bellis ri-corrono dipinti di tema analogo.

91 Per questi due dipinti cf. P.L. Leone de Ca-stris in Mostra Napoli 1994: 114-117, nn. 56-57, il quale data Rinaldo e Armida a dopo il1642, data del San Gennaro e della Santa Tere-sa a Madrid, Prado, e Susanna e i Vecchioni“nel corso degli anni Cinquanta”. Ma cf. anchele pertinenti osservazioni di Causa 2007: 149-150 sul trattamento iconografico di Rinaldo eArmida.92 Cf. P. L. Leone de Castris in Mostra Napoli1994-95: 114.

93 Cf. P. L. Leone de Castris in Mostra Napoli1994-95: 114.94 “Un quadro di palmi 4 jn circa con fiori efrutti di Pietro fiamengo” era nel 1654 nellacollezione di Ferrante Spinelli, Principe diTarsia, e appare poi passato nel 1675 nella col-lezione della moglie, Isabella Spinelli di Tarsia(cf. Labrot 1992: 99, n. 225; 127, n. 40). Su Pie-tro Fiammingo cf. qui più oltre.95 Causa 2007: 187-188, considera questo di-pinto “il quadro maestro della prima maturitàdi Vaccaro”, ma anch’esso rientra, ad avviso dichi scrive, nelle opere databili nel quinto de-cennio del Seicento.96 Il dipinto è stato pubblicato nel 1978 da V.Pacelli, ma cf. anche F. Bologna in Mostra Na-poli 1991: 154; 129, fig. 130; 92, tav. 35, il qua-le pensa che “occorre solo anticipare la data aprima del 1630” e considera il dipinto “d’im-pronta battistelliana”. Per il San Sebastiano incollezione privata cf. anche la scheda di L.Rocco in Mostra Napoli 1991: 306, n. 2.67; peril San Sebastiano di Capodimonte cf. L. Roccoin Mostra Napoli 1991: 308, n. 2.69. De Vito1994-95 (1996): 77 confronta a mio avviso conpoco costrutto l’opera al Crocifisso di SantaTeresa a Chiaia, considerato una delle primeopere note di Vaccaro, “di afflato tutto batti-stelliano”, e invece testo di difficile decifrazio-ne sia per le condizioni conservative che per iltroppo rigido impianto devozionale.

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Fig. 82 – Andrea Vaccaro, L’adorazione del vitello d’oro, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte.

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Fig. 84 – Andrea Vaccaro (e PietroFiammingo?), Rinaldo e Armida nelgiardino incantato, Napoli, MuseoNazionale di Capodimonte.

Fig. 83 – Andrea Vaccaro, Susanna ei Vecchioni, Napoli, Museo Naziona-le di Capodimonte.

Andrea Vaccaro, che si pone di fronte a temi vetero-testamentari o mitologici con ilmedesimo respiro culturale e con identica forza di stile e di racconto visivo. Davidcon la testa di Golia, festeggiato dalle fanciulle d’Israele e Orfeo e le Baccanti a Na-poli, Palazzo Reale, sono esempi di altissima euritmia – proprio nel senso che a taleparola attribuiva Rudolf Steiner – applicata alla narrazione per immagini. Nel Davidcon la testa di Golia, festeggiato dalle fanciulle d’Israele (fig. 87), la danza sinuosa del-le ragazze si contrappone emotivamente allo sguardo corrucciato di David rivolto al-la testa di Golia. L’enorme testa del gigante perde sangue dalla bocca, a testimoniarela contiguità di tempi tra la fine della sfida e il trionfo dell’eroe ebreo, ancora carico

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Fig. 85 – Andrea Vaccaro, San Sebastiano, Napoli, Museo Naziona-le di Capodimonte.

Fig. 86 – Andrea Vaccaro, David, collezione privata.

di adrenalina per la lotta sostenuta. Quasi tutte le figure femminili sembrano varian-ti di postura della stessa modella, quasi a significare un bisogno di astrazione sul pu-ro esercizio ritrattistico, ma un discorso a parte merita quella a sinistra col tamburel-lo. Qui, nelle accensioni di blu, bianco, giallo e rosso degli abiti, e nell’opulenza delvolto e del tipo fisico, Vaccaro tributa un omaggio all’area Stanzione – Artemisia –Guarino – Francesco Fracanzano, e impiega questa figura, che guarda lo spettatore,per introdurlo nella scena. Ancora alla Stanzione, certo, è anche il trattamento dellaragazza di spalle alla estrema destra del dipinto. Il suo abito celeste chiaro, i cui pan-neggi si incurvano per i movimenti generati dalla danza, è definito da contorni nettiche esaltano anche la posizione in primo piano della figura. La sfida che ingaggia quiAndrea Vaccaro è evidente: combinare il senso di azione rituale, altamente emozio-nale, con quella “moderazione del gesto pittorico” di cui abbiamo già parlato. L’idea-lizzazione della maggior parte dei volti femminili è operata nel senso della riconosci-bilità dei modelli consueti del pittore; quella commistione di Reni, Stanzione e forseGimignani, o Sacchi, o Maratta, che in definitiva è solo propria di Vaccaro97.L’Orfeo che incanta gli animali, mentre le Baccanti stanno per tendergli l’agguato a Na-poli, Palazzo Reale (fig. 88), non presenta particolari novità rispetto a quanto già nota-to qui a proposito del Trionfo di David nello stesso museo. Il modello della figura delprotagonista, come ha notato Stefano Causa, va ricondotto all’Apollo del Parnaso diRaffaello nella Stanza della Segnatura98, ma è la parte animalistica del dipinto – che, im-bolsito da antichi e massicci ritocchi, da troppo tempo attende un restauro – a renderenecessaria qualche osservazione. Sempre Causa ha prospettato l’influsso di opere ge-novesi, ad esempio quelle di Sinibaldo Scorza99, come possibile riferimento per il di-pinto di Vaccaro a Palazzo Reale; lo stesso autore ha anche rammentato il possibile im-piego di libri a stampa illustrati, e ha indicato la rarità del tema di Orfeo nella pitturanapoletana del Seicento, segnalando un dipinto di identico soggetto a Besançon, Mu-sée des Beaux-Arts, giustamente attribuito da Giuseppe Porzio a Pacecco de Rosa perla figura di Orfeo, e che può ben essere quello inventariato nel 1648 nella collezione diGiuseppe Carafa (fig. 89)100. Stando all’inventario di questa collezione, pubblicato daGérard Labrot, nel dipinto di Besançon la parte animalistica va ascritta ad un PietroFiammingo, del quale fin’ora non conosciamo opere101, e del quale vari quadri a temaanimalistico compaiono anche nell’inventario della collezione di Ferrante Spinelli,Principe di Tarsia, redatto nel 1654102. Uno di essi appare poi passato nella collezionedi Isabella Spinelli, Principessa di Tarsia, dov’è citato nel 1675103.Su tali basi Causa e poi Pacelli hanno ipotizzato che anche la parte animalistica del-l’Orfeo di Andrea Vaccaro possa essere stata eseguita da Pietro Fiammingo. In atte-sa di conoscere opere certe di questo pittore, va detto che l’ipotesi è suggestiva, tan-to più che rari furono nel Seicento napoletano i pittori di animali vivi, a testimonian-za del fatto che l’attenzione verso la realtà – su cui tanto insistono pressoché tutti icontributi moderni sulla natura morta a Napoli – ha avuto le sue gerarchie e i suoivincoli di genere anche per l’area napoletana. Qui, evidentemente, l’osservazione dianimali vivi è stata meno interessante di altri temi, ed è significativo che Vaccaro siadovuto ricorrere a uno dei rari specialisti del genere, forse l’unico presente in città aisuoi tempi.

97 Una versione del dipinto di Palazzo Reale,di dimensioni inferiori ma quasi identica, èquella citata come in collezione Colletta dePeppe da Commodo Izzo 1951: fig. 11. De Vi-to 1994-95: 137, la riproduce senza registraretale indicazione. Funziona quasi come la se-conda valva di un dittico idealmente compostocon il dipinto di Palazzo Reale a Napoli la bel-la versione del Trionfo di David a Ginevra,Musée d’Art et d’Histoire. È sempre a nove fi-gure, e la fanciulla di spalle col tamburello, adestra nel dipinto di Napoli, appare in negati-vo sul lato opposto. Nel dipinto di GinevraDavid, a sua volta, ha il corpo rivolto verso si-nistra così come la testa del gigante, al contra-rio di quanto accade nella versione di Napoli.Nella versione di Ginevra manca la figura fem-minile che chiude a sinistra la versione di Na-poli, e il tono generale dell’esecuzione, che nelquadro di Ginevra è più nervosa e meno distil-lata, fa propendere per una datazione più anti-ca per quest’ultimo, forse anche di un decen-nio (cioè verso il 1640?).98 Cf. Causa 2007: 160.99 Cf. Causa 2007: 160-161; le opere di Scorzacui pensa Causa sono evidentemente quelle ri-prodotte da A. Cottino in Porzio-Zeri 1989: I,124, fig. 120; 125, fig. 121.100 Cf. Causa 2007: 162. L’attribuzione a Pa-cecco de Rosa è stata recepita da V. Pacelli inPacelli et al. 2008: 302-303. Per completezza vaqui aggiunto che, sulla base di una indicazionedi Federico Zeri, il dipinto era già stato consi-derato “attribué à Sinibaldo Scorza” in Brejonde Lavergnée – Volle 1988: 314.101 Cf. Labrot 1992: 76. Ma, sempre di PietroFiammingo, sono inventariati nella collezionedi Giuseppe Carafa altri “Cinque quatri di ani-mali” e “Un altro piombo de animali” (cf. La-brot 1992: 77, nn. 33 e 45).102 Cf. Labrot 1992: 98-99, nn. 161, 163-168,172-173, 225.103 Cf. Labrot 1992: 127, n. 40.

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Fig. 88 – Andrea Vaccaro e PietroFiammingo, Orfeo e le Baccanti, Na-poli, Palazzo Reale.

Fig. 87 – Andrea Vaccaro, David conla testa di Golia, festeggiato dallefanciulle d’Israele, Napoli, PalazzoReale.

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Fig. 90 – Frans Snyders, Il concerto degli uccelli, San Pietroburgo, Her-mitage.

Fig. 89 – Pacecco de Rosa e Pietro Fiammingo, Orfeo, Besançon, Muséedes Beaux-Arts.

Dal mio canto rilevo che gli animali dell’Orfeo di Vaccaro mostrano una evidentecultura nordica nella disposizione paratattica, quasi da repertorio naturalistico, e chespecie la ricca antologia uccelli nella parte alta del dipinto mi è sempre sembrata in-concepibile senza una conoscenza – attraverso copie di bottega? Stampe? – di operesul tipo del Concerto degli uccelli di Frans Snyders, di cui si possono citare qui alme-no la versione a Madrid, Prado, e quella a San Pietroburgo, Hermitage (fig. 90). Il cherafforza indirettamente la possibilità di un contributo di Pietro Fiammingo al dipin-to di Andrea Vaccaro.

Da Andrea a Nicola Vaccaro

Ancora dei tardi anni Quaranta o dei primi anni Cinquanta sembra essere il potenteSan Michele Arcangelo a Praga, Galleria Nazionale (fig. 91), una sapiente variazionedel prototipo di Reni nella Chiesa dei Cappuccini a Roma, ma sempre al modo diAndrea Vaccaro: la posizione quasi frontale della figura dell’arcangelo, che incombecome una scultura lignea in processione, lo scarno ma efficace fondale di paesaggio alvespro, il momento scelto per la narrazione – la sconfitta immobilità di Lucifero, fer-mo sotto il piede dell’arcangelo, bloccato dalla lancia conficcata nella spalla – sonoingredienti perfetti di quella qui più volte evocata “moderazione del gesto pittorico”.La tavolozza del quadro di Praga presenta caratteri preziosi – a loro modo neovene-ti ma qui non più necessariamente alla van Dyck – giocati su una splendida giustap-posizione di lapislazzulo e garanza, e sul chiarore delle epidermidi acceso dai rossidelle labbra e dal biondo dei capelli, che ci ricordano l’inesausto rapporto di Vacca-ro con l’amico e sodale Bernardo Cavallino104. Ed è credibile che disegni della testadi Lucifero abbiano fornito più di uno spunto al giovane Nicola Vaccaro, cresciutoartisticamente proprio davanti ad opere di questa fase della produzione del padre.Nicola Vaccaro trascorse l’infanzia e l’adolescenza a contatto con le opere del padre.Essendo nato nel 1640, e considerando i tempi della formazione professionale di unartista del Seicento, è credibile che egli abbia mosso i suoi primi passi già verso il1655-60, tra i quindici e i vent’anni. Avendo per maestro il maggior artista vivente aNapoli di quel momento, Nicola dev’essere stato a lungo in ombra, lavorando comeil principale aiuto del padre e sotto il suo controllo. Quando nel 1670 Andrea muo-re Nicola Vaccaro ha trent’anni, e per i parametri dell’epoca è un uomo ormai matu-ro. Quel che importa qui è che i materiali a contatto dei quali egli crebbe sono quel-li prodotti negli ultimi due decenni della vita di Andrea: un patrimonio molto vasto,che ci indica molti spunti per comprendere la formazione di Nicola.Un caso significativo della trasmissione di questo patrimonio è quello di un dipintodi Andrea Vaccaro che conosco da una foto della Fototeca di Federico Zeri, SantaMarta rimprovera Maria Maddalena per la sua vanità in ubicazione ignota, un’ope-ra databile verso la metà degli anni Quaranta del Seicento o forse anche un po’ piùavanti (fig. 92)105. Andrea evolve il tipo di questa composizione (che aveva riscossosuccesso sin dai tempi di Bernardino Luini, e poi con Caravaggio, Pietro Paolini,

104 Cf. L. Daniel in Mostra Praga 1995: 120-123, il quale data giustamente l’opera “attornoal 1650”, leggendovi anche una influenza di-retta di Van Dyck e Monrealese che a me pareabbastanza traslata in questo periodo di Vac-caro, e tutto sommato poco evidente nel SanMichele di Praga. È questa l’occasione per pre-cisare che, ad avviso di chi scrive, la Maddale-na della Galleria Nazionale di Praga attribuitadallo stesso Daniel ad Andrea Vaccaro (cf.Mostra Praga 1995: 126-128, A 41) non sembraavere rapporti con il pittore, e che pertantosembra per il momento più giusto tornare allasua precedente ascrizione all’ambito lombardodella metà del Seicento.105 Il dipinto è catalogato nella Fototeca Zericome di Andrea Vaccaro, in ubicazione ignotae senza misure.

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Guido Cagnacci e Rubens), focalizzandosi sul dialogo delle due donne viste a mez-za figura. In quattro versioni con sottili varianti, certamente più tarde (figg. 93-96)106,nelle quali le due figure sono invertite – Maddalena a sinistra e Marta a destra – il pro-filo della Maddalena diventa più sontuoso e sensuale, tanto da far pensare a un pre-lievo da dettagli di opere di Rubens come il busto di Tomiri nella Regina Tomiri ri-ceve la testa di Ciro a Boston, Museum of Fine Arts, o il busto della Madonna nellaMadonna con Bambino, Santa Elisabetta e San Giovannino a Madrid, collezioneThyssen-Bornemisza107, note attraverso innumerevoli copie e stampe. Nei depositidel Louvre esiste poi una versione considerata copia da Andrea Vaccaro che a mio av-viso va certamente attribuita proprio a Nicola (fig. 97), il quale sembra qui voler

106 La versione a fig. 93 era in Francia, Ile-de-France, mercato antiquario, prima del giugno1970 (senza misure, Fototeca Zeri, scheda50494); quella a fig. 94 era a New York, merca-to antiquario, prima del giugno 1974 (senzamisure, Fototeca Zeri, scheda 50493); quella afig. 95, siglata, era a Imperia, mercato antiqua-rio, nel 1977 (senza misure, Fototeca Zeri,scheda 50492); quella a fig. 96 era a Roma,Christie’s, 9-XII-1997, lotto 368.107 Cf. Jaffé 1989: 20-21, 244, n. 510; 120, 200-201, n. 281.

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Fig. 91 – Andrea Vaccaro, San Mi-chele, Praga, Galleria Nazionale.

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Fig. 92 – Andrea Vaccaro, SantaMarta rimprovera Maria Maddalenaper la sua vanità, ubicazione ignota.

Fig. 93 – Andrea Vaccaro, SantaMarta rimprovera Maria Maddalenaper la sua vanità, già Parigi, mercatoantiquario, 1970.

Fig. 94 – Andrea Vaccaro, SantaMarta rimprovera Maria Maddalenaper la sua vanità, già New York, mer-cato antiquario, 1974.

Fig. 95 – Andrea Vaccaro, SantaMarta rimprovera Maria Maddalenaper la sua vanità, già Imperia, merca-to antiquario, 1977.

Fig. 96 – Andrea Vaccaro, SantaMarta rimprovera Maria Maddalenaper la sua vanità, già Roma, Chri-stie’s, 1997.

Fig. 97 – Nicola Vaccaro, Santa Mar-ta rimprovera Maria Maddalena perla sua vanità, Parigi, Louvre.

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espandere le forme tipiche del padre mediante una accensione della tavolozza che ri-troveremo in altre opere del suo percorso. Questa attribuzione, se confermata108, èuno dei punti di aggancio tra la maturità di Andrea e gli esordi di Nicola Vaccaro.Se Nicola Vaccaro, così sensibile alla raffigurazione delle donne, deve qualcosa al-l’esperienza di suo padre, ebbene disponiamo di un gran numero di opere prodotteda Andrea negli ultimi quindici o venti anni della sua vita che possono aver fornito asuo figlio spunti molto utili. La Maddalena in meditazione a Napoli, Certosa di SanMartino, Quarto del Priore (fig. 98)109, è poggiata con un languido hanchement su unblocco di pietra nella grotta della meditazione, agitando lievemente lussuosi panneggidi ultramarino e cremisi scuro, ampi come in un quadro di Rubens, e la luce vesperti-na avvolge le forme come in un’opera tarda di Guercino. Ancora: la Cleopatra già aLondra, Christie’s, nel 1965 (fig. 99)110, è un’immagine che deve esser rimasta impres-sa in Nicola Vaccaro per lo splendore del nudo accademico e l’eleganza del diadema diperle sulla complicata acconciatura, forse ricordato da Nicola Vaccaro per la forte Giu-ditta già a Napoli, collezione Pennella (A60). Infine: la Lucrezia già a Londra, Chri-stie’s, nel 1980 (fig. 100)111, mostra una tale sintonia con il mondo figurativo emilianopost-Reni da aver fatto pensare a Federico Zeri – secondo me piuttosto comprensibil-mente – addirittura a Guido Cagnacci112. Se non è impossibile che Andrea Vaccaro ab-bia visto opere di Cagnacci, bisognerà quanto meno notare il parallelismo di certi esitiin aree anche molto lontane tra loro della pittura italiana durante e dopo il magistero diGuido Reni. E sempre per il rapporto tra Andrea e Nicola Vaccaro, la importante Ca-rità romana recentemente a Napoli, Blindarte (fig. 101)113, è un’opera dei primi anniCinquanta del Seicento che mostra bene come Vaccaro, ormai un consumato rielabo-ratore anche di modelli suoi propri, riprenda un antico tema caravaggesco nei termi-ni di quel decoro che caratterizzerà poi costantemente la maniera del figlio. Infattinella Sacra Famiglia con San Giovannino nota in varie versioni (tra le quali la miglio-re è quella recentemente transitata sul mercato, cf. qui A9b)114, il volto della Vergineè quasi identico a quello di Pero nel quadro già presso Blindarte.Il classicismo di Andrea Vaccaro procederà senza sbandamenti sin verso la fine dellasua lunga e prestigiosa carriera. Il grande Battesimo di Cristo a Cropani, San Giovan-ni, restituitogli appieno da Giorgio Leone e forse databile verso l’inizio degli anniSessanta del Seicento (fig. 102)115, è un ricordo della famosa opera di Reni a Napoli,Gerolamini, ma il dipinto di Guido è ormai una matrice lontana, rifusa in una perfet-ta combinazione tra la compostezza delle figure e il realismo dei grandi nudi d’acca-demia. Giustamente Leone confronta il dipinto di Cropani con il Battesimo di Cri-sto già presso la Walpole Gallery di Londra (fig. 103), che ho pubblicato dieci anni faproponendo una datazione verso il 1650-55116, e la pala di Cropani presenta anchenella tavolozza affinità con la produzione degli ultimi due decenni del pittore. Unatavolozza rischiarata – ma sempre diversa da quella di Luca Giordano, il principalerivale di questi anni – riscontrabile anche nella Apparizione di Sant’Anna e della Ver-gine bambina a San Tommaso d’Aquino a Napoli, Pietà dei Turchini (1668), e nella grande Comunione di Santa Maria Egiziaca a Napoli, Santa Maria Egiziacaall’Olmo (1668). Queste opere mostrano una padronanza intatta – e sino all’ultimo– del tema della grande pala d’altare, trattato nel segno della perfetta leggibilità della

108 Cf. Catalogue sommaire du Louvre 1981:249; poi Loire 2006 : 381-382. In entrambi i ca-si l’opera è considerata “D’après Andrea Vac-caro”. Conosco il dipinto solo da riproduzio-ni. Misura cm. 103 x 124,5, e nella catalogazio-ne del Louvre è posto in rapporto con una ver-sione che circolava sul mercato antiquario diNew York nel 1965, credo cioè quella mostra-ta a Zeri nel 1974. È singolare che Loire 2006:462, reiteri l’attribuzione a Pacecco de Rosadella Santa Cecilia a Bar-le-Duc, Musée bar-rois, già proposta da Brejon de Lavergnée –Volle 1988: 251. Di questo dipinto – che è diAndrea Vaccaro – esistono almeno altre dueversioni: una a due terzi di figura a Budapest,Szépmüvészeti Muzeum [riprodotta, ad esem-pio, in De Vito (1994-95) 1996: 128, fig. 55], el’altra già a Londra, Sotheby’s, 8-VII-1999,lotto 72, siglata e simile a quella di Budapest. V.Pacelli in Pacelli et al. 2008: 149, 167 n. 172,contesta l’attribuzione a Pacecco de Rosa diBrejon de Lavergnée – Volle 1988 in favore diquella ad Andrea Vaccaro, ma non rileva l’ite-razione dell’attribuzione a Pacecco formulatada Loire 2006.

109 Cf. F. Capobianco in Il Quarto del Priore1986: 91-92, 54, che per questo dipinto ipotiz-za una datazione verso il 1635-40, a mio avvi-so troppo antica.

110 Cf. Christie’s Londra, 9-IV-1965, lotto 102.Non conosco le misure del dipinto, che da unavisione diretta in una collezione privata – piùdi dieci anni fa – valuto all’incirca di cm. 150 x100. Dispongo solo della buona foto in biancoe nero che qui riproduco, ma il dipinto è acce-so dai toni blu e rossi tipici della maturità diVaccaro. Dalla scheda della foto dell’operanella Fototeca Zeri emerge un passaggio attor-no al 1970 nella collezione di M.R. Waddin-gham.

111 Cf. Christie’s Londra, 2-V-1908, lotto 28.Non conosco le misure del dipinto.

112 Traggo questa notizia dalle note in calce al-la fotografia del dipinto conservata nella Foto-teca Zeri, da cui non proviene la foto che quipubblico.

113 Cf. Blindarte Napoli, 11-XII-2008, lotto53. Il dipinto misura cm. 121,9 x 95, ed è sigla-to con il monogramma di Andrea.

114 Uppsala, Uppsala Auktions Kammare, 2-XII-2008, lotto 17. L’opera è stata indipenden-temente attribuita da chi scrive e da ErichSchleier a Nicola Vaccaro.

115 Cf. G. Leone in Gregorio Preti da Tavernaa Roma 2003: 44-46; 55, nn. 287-293, con bi-bliografia precedente; e ora Leone 2008: 58,che riporta credibilmente a Vaccaro anche ilpiù antico San Gennaro in gloria a Luzzi, SanGiuseppe, di recente ascritto a Pacecco de Ro-sa da G. Porzio in Pacelli et al. 2008: 282, n. 10.Ringrazio l’amico e collega Giorgio Leone peri consigli e le indicazioni bibliografiche neces-sarie alla redazione della presente nota.

116 Cf. R. Lattuada in Twenty Important Nea-politan Baroque Paintings 1999: 46-47, n. 12;71.

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Fig. 98 – Andrea Vaccaro, Maddalena in meditazione, Napoli, Certosa di San Martino, Quarto del Priore.

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Fig. 99 – Andrea Vaccaro, Cleopatra, già Londra, Christie’s.

Fig. 100 – Andrea Vaccaro, Lucrezia, già Londra, Christie’s.

Fig. 101 – Andrea Vaccaro, Carità romana, già Napoli, Blindarte.

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Fig. 102 – Andrea Vaccaro, Battesimo di Cristo, Cropani, San Giovanni.

composizione. E devo sempre alla generosità di Giorgio Leone, che con i suoi studiva aprendo nuove prospettive sull’arte dell’età moderna in Calabria, la possibilità diriprodurre per la prima volta la Madonna del Rosario a Gioiosa Jonica, PalazzoAmeduri, siglata (fig. 104)117. Pur essendo una rielaborazione sullo schema di un di-pinto molto più antico di Vaccaro, e cioè l’opera omonima a Napoli, San Giuseppedei Falegnami al Rione Luzzatti, poi ripetuto ribaltato nella Madonna appare a SanLuca già a Napoli, San Giovanni delle Monache118; e pur echeggiando in modo forsenon casuale l’impianto della Madonna del Rosario di Francesco Guarino a Solofra,Chiesa di San Domenico (1644-49), l’opera di Gioiosa Jonica è un testo del trattoestremo di Vaccaro. Al punto che, se non vi apparisse la sigla di Andrea, si sarebbetentati di ascriverla a Nicola per le superfici levigate, il tono più caldo e rosato degliincarnati, i panneggi più morbidi e meno oggettivi e l’atmosfera quasi allegra che pre-annuncia il Settecento, ormai neanche più tanto lontano.

117 Cf. Leone 2008: 58, per la prima menzionee attribuzione del dipinto ad Andrea Vaccaro.118 Cf. De Vito 1994-1995: 110, fig. 38.

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Fig. 103 – Andrea Vaccaro, Battesimo di Cristo, già Londra, Walpole Gallery.

Il rapporto tra bozzetti e realizzazioni definitive in Vaccaro è per ora riscontrabile inun numero ridotto di esempi. Uno dei pochi è quello della Assunzione della Verginee Santi prima a Roma, Christie’s, poi a Milano, Sotheby’s (fig. 105)119, che per il for-mato relativamente ampio sembra essere il lavoro preparatorio per una pala d’altareche al momento mi è impossibile indicare con certezza. Di sicuro le figure del Cristoe del Padre Eterno sono state utilizzate quasi alla lettera per la Trinità con la Vergi-ne, San Giuseppe e tre monache a Napoli, Santa Maria dei Miracoli (1661)120, così co-me la testa e parte del busto dell’evangelista in basso a destra del bozzetto, che tor-nano nei dettagli corrispondenti del San Giuseppe nella Pala di Santa Maria dei Mi-racoli. Si può dunque cautamente ipotizzare che il dipinto sia una prima idea per lapala di Santa Maria dei Miracoli il cui impianto fu poi trasformato nella stesura fina-le, forse per esigenze specifiche della committenza. Posso qui pubblicare l’altro bozzetto, fin qui inedito, grazie alla cortesia dei SignoriMichele e Maria Grazia Gargiulo (fig. 106). È il lavoro preparatorio per la grandeMadonna delle Grazie a Napoli, Santa Maria del Pianto, e cioè la pala d’altare per la

119 Cf. Christie's Roma, 18-VI-2002, lotto 770,Dipinti e Disegni Antichi; poi Sotheby’s Mila-no, 29-XI-2005, lotto 168. Il dipinto misuracm. 76,2 x 62,5.120 Cf. Commodo Izzo 1951: 124-126, fig. 30.

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Fig. 104 – Andrea Vaccaro, Madonna del Rosario, Gioiosa Jonica, Palazzo Ameduri.

Fig. 105 – Andrea Vaccaro, Incoronazione della Vergine e Santi, già Roma, Christie’s, poi Milano, Sotheby’s.

Chiesa del Cimitero di Napoli (1660-61), per la cui commissione ci fu la nota con-troversia tra Andrea Vaccaro e Luca Giordano, che secondo de’ Dominici voleva perl’appunto eseguire la pala d’altare, lasciando a Vaccaro le due laterali121. Il bozzettodella collezione Gargiulo è una acquisizione importante per comprendere la fase fi-nale del percorso di Andrea Vaccaro. Non solo vi ritorna il ductus pittorico scioltodella Assunzione della Vergine e Santi, che presenta quasi le stesse misure122, ma èpossibile riscontrare questo momento con elementi nuovi. Rispetto alla stesura fina-le il bozzetto è semplificato nel numero delle anime purganti e della gloria d’angeli dicontorno e di sfondo. Altre varianti sono nella posizione della mano destra del Cri-sto, al petto, e che nella versione definitiva è fissata in un gesto di accoglienza versola Vergine, la quale ha le mani giunte in preghiera quasi al petto, mentre nella palapoggiano sul ginocchio sinistro. In generale Vaccaro è qui più preoccupato dall’assetto complessivo della composi-zione e dalla disposizione dei gruppi intorno alle due figure principali, presumibil-mente riservandosi di attingere poi al suo cospicuo fondo di disegni per la risoluzio-ne dei particolari compendiari della stesura finale. Ciò che cambia poco passando dalbozzetto alla pala d’altare è il tentativo – ben visibile dopo il bel restauro condottoanni fa da Francesco Virnicchi sulla tela di Santa Maria del Pianto – di animare la ste-sura pittorica con pennellate più fluide e mediante un uso meno massivo della mate-ria, forse proprio per dimostrare a Giordano che Andrea Vaccaro, il più importantemaestro della generazione a lui precedente, sapeva anche dominare la pittura scioltae nuovamente veneziana del suo giovane rivale.Lo splendore e l’eletta selezione delle forme della grande Crocifissione a Berlino, Bo-de Museum, restituita a Vaccaro da un terso contributo di Erich Schleier, è il cantodel cigno del pittore, ed è anche l’opera su cui si innesta l’esordio di Nicola Vaccaro(fig. 107)123. Un’altra opera di questo momento, l’Orazione di Cristo nell’Orto a Pe-ñaranda de Bracamonte, Carmelitas Descalzas, siglata (fig. 108)124, rappresenta vera-mente il passaggio del testimone da Andrea a Nicola Vaccaro. È su questo tipo di di-pinti, che il giovane figlio del maestro vedeva uscire dalla bottega fino agli ultimi an-ni di vita del padre, che egli avrebbe esemplato le sue migliori opere del tratto seicen-tesco della sua carriera.Nell’ultimo decennio si situa anche un piccolo capolavoro su rame, che posso ripro-durre grazie alla cortesia del Signor Jacques Leegenhoek. È una Sacra Famiglia conSan Giovannino, un dipinto che in soli 26.3 centimetri per 22 riassume tutta la poe-tica di Andrea Vaccaro (fig. 109). Lo sguardo di Maria che si astrae, a presagire il mar-tirio dei due bambini, l’effusione che promana dalle espressioni intenerite di SanGiuseppe e Santa Elisabetta (o Sant’Anna?), sono trattati con una scioltezza di toccopittorico e con un ductus vibrante nelle stesure splendenti dei lapislazzuli e degli in-carnati che è la risposta di Vaccaro alle nuove tendenze rappresentate a Napoli daGiordano e da Preti. L’ormai anziano pittore non rinuncia alla ennesima e feliceesplorazione del suo eletto mondo formale. La sua lezione, per breve tempo dimen-ticata nel furore barocco di Giordano e Preti, tornerà a imporre la sua autorevolezzacon Francesco Solimena.

Santa Maria Capua Vetere, Giugno 2009

121 Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 150; e ora I.Maietta in Il Museo Diocesano di Napoli2008: 124-125.122 Il dipinto misura cm. 75 x 68,5.123 Cf. Schleier 2000. Concordo con Schleiersulla datazione del dipinto alla fase tarda diVaccaro, nel settimo decennio del Seicento, enon mi sembra si possano accogliere le obie-zioni avanzate da Causa 2007: 142-143; 168-169, n. 32, che lo data “almeno quindici anniprima” (p. 142, n. 32). Mi pare poi che le osser-vazioni di Schleier sulla “profonda diversitàdelle due composizioni” (pp. 34-35) siano suf-ficienti a smentire la tesi, sostenuta da Causa,di una relazione (che secondo lo studioso “vaverificata”) di quest’opera con quella omoni-ma di Lanfranco nella Chiesa della Certosa diSan Martino a Napoli. Schleier osserva che“caratteristiche sono le proporzioni slanciatedelle figure” raffrontandole con altre opere diVaccaro; Causa pensa che nel dipinto di Vacca-ro “le fisionomie appaiono quasi deformi” (p.168), e se ho ben capito crede di riconoscere inalcune sue parti la mano di Carlo Coppola.Dal mio canto, mi limito ad osservare che nonsolo – come ha già notato Schleier – il dipintoora a Berlino è il più grande mai prodotto daVaccaro: che io sappia è anche il suo più largoin assoluto. La logica avrebbe voluto che unasuperficie così vasta fosse dipinta con la tecni-ca dell’affresco, nella quale sappiamo bene cheil pittore non era per nulla versato [cf. De Vito1994-95: 101-124 per una ricostruzione dellavicenda della commissione degli affreschi diSan Paolo Maggiore, eseguiti in collaborazio-ne con Andrea de Lione tra il 1660 e il 1661].Credo che una spiegazione per l’allungamentodelle figure vada cercata nella collocazione deldipinto. de’ Dominici riferisce che esso era si-tuato “Nella Confraternità del SS. Rosarioeretta nel Chiostro di S. Tommaso d’Aquino”[…] “dirimpetto l’Altare, e sopra la Banca, ovesiedon l’Uffiziali di dette [sic] Congregazio-ne” (cf. de’ Dominici 1742-44, III: 140. Nellatrascrizione di questo passo pubblicata daSchleier manca il brano “e sopra la Banca, ovesiedon l’Uffiziali di dette [sic] Congregazio-ne”). Dunque il dipinto era sulla parete di fon-do di questo ambiente, e senza dubbio moltoin alto. Vaccaro era abbastanza esperto da sa-pere bene che solo allungando le figure avreb-be potuto annullare l’effetto di schiacciamentoche si verifica guardando un quadro dal basso,e ha scalato la proporzione delle figure confe-rendo a quelle del primo piano una dimensio-ne – e quindi un’imponenza – adeguata al con-testo architettonico cui era destinato il dipinto,e forse anche per enfatizzarne la posizione fi-sica presso la cima del Golgota, con i tre croci-fissi deliberatamente situati in lontananza.Eric Schleier mi dice che il dipinto è ora espo-sto ben in alto nella sala del Bode Museum al-la Gemäldegalerie di Berlino, e dunque è pos-sibile verificare questa ipotesi, cosa che sperodi poter fare al più presto.124 Cf. A.E. Pérez Sánchez in Mostra Madrid1985: 334-335, n. 148.

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Fig. 106 – Andrea Vaccaro, Madonna delle Grazie, Napoli, collezione Michele Gargiulo.

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Fig. 108 – Andrea Vaccaro, Orazionedi Cristo nell’Orto, Peñaranda deBracamonte, Carmelitas Descalzas.

Fig. 107 – Andrea e Nicola Vaccaro,Crocifissione (part.), Berlino, Gemäl-degalerie (cat. A1).

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Fig. 109 – Andrea Vaccaro, Sacra Famiglia con San Giovannino, Parigi, Galerie Jacques Leegenhoek.

ADDENDUM

Come spesso accade, mentre lavoravo a questo contributo ho lungamente cercato nelmio archivio – senza trovarla fin quasi alla fine – l’immagine di questo stupendo San-sone (fig. A*; cm. 112 x 90) che ho visto – forse quindici anni fa – in una collezioneprivata e che poi è transitato per quache tempo, credo verso il 2002, presso la Galle-ria Verde a Roma. Devo infatti alla cortesia del Signor Julio Marini Paniagua la di-sponibilità della foto che qui riproduco: il dipinto, eseguito sfruttando mirabilmen-te la preparazione applicandovi stesure quasi trasparenti (ancora molto potenti no-nostante gli inevitabili assorbimenti del pigmento), potrebbe essere virtualmente ilpendant della Lucrezia già presso Christie’s qui discussa e riprodotta a fig. 100. Sia-mo ancora una volta di fronte ad una sapiente combinazione di elementi classicismoromano-bolognese, e ad una grazia nell’impianto e nell’introspezione psicologicache è il frutto della già discussa sintonia con Cavallino. C’è da sperare che il dipintoriappaia presto in una sede pubblica per poterlo sottopore al vaglio degli studiosi.

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Fig. A* – Andrea Vaccaro, Sansone,collezione privata.

POST SCRIPTUM

Questo saggio era già terminato quando, poche ore prima della consegna all’editore,sono venuto a conoscenza del contributo di Vincenzo Pacelli, Andrea Vaccaro pa-triarca della pittura del Seicento a Napoli. Inediti e considerazioni, in ‘Studi di Storiadell’Arte’, n. 19, 2008, pp. 137-168 (Pacelli 2008). Devo alla cortesia di Vincenzo Pa-celli, che qui ringrazio, la possibilità di disporre in tempi brevissimi di un estratto alquale l’autore ha anche anteposto una breve premessa. Posso qui solo offrire alcuneosservazioni su questo saggio, ripromettendomi di tornare sul problema della defi-nizione del catalogo di Andrea Vaccaro in una pubblicazione monografica – auspica-ta dallo stesso Pacelli – che è sempre più necessaria per porre ordine nella vasta mo-le di materiali sul pittore. Passo dunque ad esaminare molto in breve alcune delleopere trattate da Pacelli – specialmente quelle qualificate dall’autore come inedite –mediante una lista che sia la più stringata possibile.p. V, tav. III, Allegoria della Pittura. Discuto e riproduco qui questo dipinto estesamen-te all’inizio del saggio, con i riferimenti sulla provenienza e la storia attributiva.p. VII, tav. VII, Gesù e Giovanni Battista bambini. A giudicare dalla riproduzione inbianco e nero il dipinto sembra essere un’opera giovanile di Nicola Vaccaro, confronta-bile con tutto il gruppo di dipinti di questa sua fase qui catalogati da Mariaclaudia Izzo.p. 148, fig. 23, Cristo che affida agli apostoli la missione futura della fede (discusso ap. 149, considerato inedito). È il Pasce Oves meas già a Roma, Christie’s, ed oggipresso la Galleria Moretti di Firenze, qui discusso e illustrato.pp. 150-151, fig. 25, Sant’Agata condotta al martirio (discusso a p. 149, consideratoinedito). È il dipinto a Parigi, Galerie Giovanni Sarti, qui discusso e illustrato.p. 152, fig. 26, Riposo durante la fuga in Egitto (discusso a pp. 149-152). È una ulte-riore versione ribaltata delle due opere di Vaccaro qui discusse e illustrate anche inrapporto alla Fuga in Egitto di Cavallino già presso Amberes e poi presso Sotheby’s.p. 152, fig. 27, Andata al Calvario (ma indicato a p. 152 nel testo come fig. 26, con-siderato inedito). È il dipinto già a Roma, Finarte-Semenzato, 23-VI-2003, lotto 170;

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poi a Roma, Christie’s, 14-XII-2004, lotto 607. Il dipinto misura cm. 152,9 x 114.p. 154, fig. 29, Sacra Famiglia (discusso a p. 152, considerato inedito). È il dipinto giàa Roma, Christie's, 22-V-2001, lotto 275, qui discusso e riprodotto.pp. 155-156, figg. 30-31, Adorazione dei pastori (discusso a pp. 152-153, consideratoinedito). È il dipinto passato a Philadelphia, Pennsylvania, Freeman’s, 17-IV-1999,lotto 721, con una attribuzione a ‘Circle of Massimo Stanzione’; poi a Londra, Bon-hams, 11-XII- 2002, lotto 289, attribuito ad Andrea Vaccaro. Il dipinto misura cm.132,1 x 184,4. Il volto del pastore a sinistra, riprodotto da Pacelli, mostra problemiconservativi che riguardano anche altre parti del dipinto, com’era possibile osserva-re all’esposizione della Bonhams.p. 158, fig. 33, Sacra Famiglia con San Giovannino (discusso a pp. 153-154, conside-rato inedito). Il dipinto è di Nicola Vaccaro, non di Andrea, e di esso esistono varieversioni qui elencate nel catalogo critico di Nicola Vaccaro, al quale rimando per lemotivazioni dell’attribuzione. Cf. anche qui infra.p. 159, fig. 34, Carità romana (discusso a p. 155, considerato inedito). È il dipinto re-centemente passato a Napoli in un’asta Blindarte, qui discusso e illustrato.p. 161, fig. 36, La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (discusso a p. 160,considerato inedito). È il dipinto già a Roma presso Christie’s, qui discusso e illustra-to. Pacelli vi rileva “aperture paesistiche dovute ad una personale rivisitazione delpaesaggio di Claude Lorrain e di Poussin” che io non vedo presenti: gli elementi dipaesaggio nell’opera sono minimi (l’albero al centro è quello della tentazione, dun-que risponde ad una istanza narrativa più che formale). Non ho visto l’opera dopo lapulitura, che ha sicuramente fornito una miglior lettura anche di questi dettagli.p. 163, fig. 40, Assunta e Santi (discusso a p. 161, considerato inedito). È il dipinto pri-ma a Roma presso Christie’s poi a Milano presso Sotheby’s, qui discusso e illustrato).p. 164, fig. 41, Incoronazione della Vergine (discusso a p. 161, considerato inedito).Ho dubbi sulla completa autografia dell’opera, che non ho visto.pp. 166-167, figg. 45-46, due versioni della Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Gio-vannino (discusse a pp. 161-168, considerate entrambe inedite). I due dipinti sonoentrambi di Nicola Vaccaro, e sono versioni dell’opera omonima a Napoli, Santa Ma-ria in Portico, qui catalogata da Mariaclaudia Izzo. Il secondo di essi è passato a Na-poli, Blindarte, 11-XII-2008, lotto 59, e dalla sua visione diretta ho ricavato non po-che riserve sull’autografia della sigla, che appare coeva ma più rozza di quelle che sia-mo soliti trovare sui quadri di Andrea. Aggiungo che una ulteriore versione di que-sta composizione, che deve aver riscosso un grande successo e che a mio avviso è ba-sata su un originale di Andrea Vaccaro non ancora rintracciato, è a Torre del Greco,nei depositi della Chiesa di Santa Croce (cf. Di Geronimo 2008: 136-137; 58-59).Il contributo di Pacelli è perlopiù fatto di illustrazioni (circa venti pagine), mentre ilcommento alle opere è molto, forse troppo agile, in molti casi sbrigativo. La lettura chel’autore dà di Vaccaro è in linea con molte delle tesi ormai sedimentatesi nella critica – eche qui si è tentato di verificare e qualificare – ma i paralleli che egli compie tra Vaccaroe pittori come Andrea Polinori o Alessandro Turchi non mi sembrano pertinenti, spe-cie per il primo dei due. Poi Turchi, mediante i suoi legami con Gimignani, può essereanche indicato come un esponente di quel classicismo del quale Vaccaro è in fin dei con-ti parte, ma non sembra credibile che di questo pittore Vaccaro abbia sentito il bisognodi imitare i lavori più caravaggeschi e di piccolo formato come la Deposizione della Bor-ghese, un quadro del 1617 il cui fondo è scuro non solo per scelte legate al tardo cara-

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vaggismo, ma soprattutto per essere stato eseguito su lavagna [l’invenzione della Ma-donna con Bambino con San Giovanni e San Francesco pubblicata da Pacelli con l’attri-buzione a Turchi, considerata inedita (p. 147; 146, fig. 19) e confrontata con lo stile diVaccaro, è situata dalla critica nel periodo veronese dell’Orbetto (cf. G. Peretti in Mo-stra Verona 1999: 237, n. 82, che elenca dieci versioni note oltre quella del Museo di Ca-stelvecchio e “altri esemplari in collezione privata”)].Piuttosto bisognerà registrare una sintonia di Vaccaro con le opere mature di Turchi,non a caso vicine a quelle dei pittori classicisti qui chiamati in causa per Vaccaro. Ècurioso che Pacelli non citi un esempio che rafforzerebbe la sua tesi: la Cacciata diAdamo ed Eva di Turchi a Los Angeles, collezione privata, in cui l’angelo sembraquasi una versione ribaltata della figura nell’opera omonima di Vaccaro da lui stessoriprodotta a p. 161, fig. 36 (per l’opera di Turchi cf. D. Scaglietti Kelescian in MostraVerona 1999: 152-153, n. 40, che data l’opera alla prima metà del quarto decennio delSeicento e pone la figura dell’angelo in rapporto con modelli tratti dall’antico).Nel discutere e riprodurre molte opere Pacelli adotta un metodo che non è più in li-nea con i requisiti della letteratura scientifica corrente poiché – come ho qui rapida-mente riassunto – in molti casi egli considera come inediti dipinti transitati sul mer-cato e pubblicati in cataloghi di aste o di antiquari. Il transito delle opere sul merca-to va registrato anche dalla letteratura scientifica, sia per la conoscenza della prove-nienza e dei movimenti delle opere suddette, sia perché le attribuzioni nei cataloghidi aste ed esposizioni antiquarie sono pubblicazioni a tutti gli effetti, che confluisco-no nelle biblioteche specializzate e negli archivi telematici in rete. In altre parole, lepubblicazioni relative ad opere sul mercato sono letteratura al pari di ogni altro sag-gio scientifico. Letteratura diciamo così ‘applicata’, ma letteratura. Considerare ine-diti dipinti per i quali esistono attribuzioni già formulate in queste pubblicazioni oarchivi significa non considerare il lavoro di esperti – per la chiarezza, io stesso lo so-no stato – che hanno prodotto, anche se perlopiù nell’anonimato, ricerche serie e dif-ficili in tempi spesso molto brevi, e in molti casi centrano l’attribuzione di opere chedopo non si possono considerare inedite. Questo lavoro va riscontrato, verificato e,aggiungo, anche riconosciuto e rispettato. Il lavoro accademico è più lento perchénon consente sconti o scorciatoie: il dovere della completezza – quella umanamentepossibile, è chiaro – è ancor più grande per chi produce letteratura scientifica. Inol-tre, in un momento in cui da più parti si invoca una maggior trasparenza di rapportitra ricerca applicata al mercato e ricerca – diciamo così – ‘pura’, non si può accettareche il mercato sia trattato come un pozzo oscuro, dal quale pescare informazioni sen-za riconoscerne (o anche disconoscerne, se necessario) il valore.Negli studi napoletani questa attitudine non è rara, e si potrebbero fare molti esem-pi di contributi di prolifici amateurs che da anni pubblicano disinvoltamente e dicontinuo opere per le quali case d’asta e antiquari hanno prodotto materiali ancheinediti (ormai basta solo uno scanner, e il gioco è fatto). Cambiare quest’attitudine èimportante; serve per immettere finalmente anche gli studi napoletani in un circuitomeno provinciale, e di questa esigenza c’è oggi più che mai un gran bisogno. Speroche l’amico Pacelli non me ne vorrà per questa tirata, che sentivo necessaria poichétocca un nervo scoperto del nostro mondo scientifico e professionale del quale an-ch’egli è parte integrante ed autorevole.

Riccardo Lattuada

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Spinosa 1986Nicola Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco alRococò, Napoli, Electa, 1986.

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Brejon de Lavergnée-Volle 1988Arnauld Brejon de Lavergnée-Nathalie Volle, Musée de France. Ré-pertoire des Peintures Italiennes du XVIIe siecle, Parigi, Réuniondes musée nationaux, 1988.

Bono 1988Giovanni Bono, Le confraternite nel Regno di Napoli dopo il Con-cilio di Trento, «Nord e Sud», XXXV, nuova serie, luglio-dicembre,n. 3-4, 1988.

Borrelli 1988Gennaro Borrelli, La Borghesia napoletana della seconda metà delSeicento e la sua influenza sull’evoluzione del gusto da barocco a ro-cocò. (III), «Ricerche sul ’600 napoletano», 1988, pp. 7-49.

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Delfino 1985Antonio Delfino, Documenti inediti per alcuni Pittori Napoletanidel ’600 e l’inventario dei beni di Lanfranco Massa, «Ricerche sul’600 napoletano», 1985, pp. 89-111.

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Mostra Madrid 1985Pintura Napolitana de Caravaggio a Giordano, catalogo della mo-stra, Madrid, Edizione del Museo del Prado, 1985.

Mostra Napoli 1985Caravaggio e il suo tempo, catalogo della mostra, Napoli, Electa,1985.

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Delille (1985) 1988Gérard Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, (1985), ed.cons. Torino 1988.

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Lattuada 1988Riccardo Lattuada, Un dipinto inedito di Bernardo Cavallino, «Sto-ria dell’arte», n. 64, 1988, pp. 233-236.

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Novelli Radice 1988Magda Novelli Radice, Andrea De Lione frescante e ipotesi sulla suabottega, «Napoli Nobilissima», XXVII, 1988, pp. 41-53.

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Prohaska 1988Wolfgang Prohaska, Guido Reni e la pittura napoletana del Seicen-to, in Guido Reni e L’Europa: fama e fortuna, catalogo a cura di Si-bille Ebert e Andrea Emiliani, Frankfurt, ed. it. Bologna, 1988, pp.644-651.

Schleier 1988Erich Schleier, Opere di Paolo de Matteis in Germania, in: Scritti diStoria dell’arte in onore di Raffaello Causa, Napoli, 1988, pp. 305-310.

Spinosa 1988Nicola Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Ro-cocò, Napoli, Electa, 1988.

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Mostra Genova 1990Il genio di G.B. Castiglione, il Grechetto, catalogo della mostra, Ge-nova, Sagep, 1990.

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Napoli Sacra 1993Napoli Sacra. Guida alle chiese della città, Napoli, Elio De RosaEditore, 1993.

Nappi 1993Eduardo Nappi, Il Conservatorio e la Chiesa della Pietà dei Turchi-ni, «Ricerche sul ’600 Napoletano», 1993, pp. 83-128.

Pestilli 1993Livio Pestilli, Ut Pictura non Poesis: Lord Shaftesbury’s "Ridiculousanticipation of metamorphosis" and two versions of Diana and Ac-taeon by Paolo de Matteis, «Artibus et Historiae an art anthology»,27 (XIV), Vienna 1993.

Sartori 1993Claudio Sartori, I Libretti italiani a stampa dalle origini al 1800. Ca-talogo analitico con 16 indici, Cuneo, Bertolla e Locatelli Editori,1993.

Wittkower 1993Rudolf Wittkower, voce «Carlo Maratta» in Arte e Architettura in

Italia 1600-1750, Torino, Einaudi Tascabili, (1972) ed. cons. 1993,pp. 286-287.

Mostra Napoli 1994Settecento Napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale 1707-1734,Napoli, Electa, 1994.

Pacelli 1994Vincenzo Pacelli, L’ultimo Caravaggio, dalla Maddalena a mezzafigura ai due San Giovanni (1606-1610), Todi, Ediart, 1994.

Pane-Filangieri 1994Giulio Pane-Angerio Filangieri, Capua Architettura e Arte. Catalo-go delle opere, 2 voll., Capua, Edizioni Capuanova, 1994.

Pasculli Ferrara 1994Mimma Pasculli Ferrara, I Pittori Napoletani in Francia nel XVIIsec.: dalle vite del de’ Dominici, «Napoli Nobilissima», XXXIII,1994, pp. 7-26.

Sestieri–Daprà 1994Giancarlo Sestieri–Brigitte Daprà, Domenico Gargiulo detto MiccoSpadaro. Paesaggista e “cronista” napoletano, Milano-Roma, JandiSapi Editori, 1994.

De Vito 1994-95Giuseppe De Vito, Appunti per Andrea Vaccaro con una nota su al-cune copie del Caravaggio che esistevano a Napoli, «Ricerche sul’600 Napoletano. Scritti in memoria di R. Causa», 1994-95 (1996),pp. 63-144.

Mostra Napoli 1994-95I Tesori dei d’Avalos. Committenza e collezionismo di una grandefamiglia napoletana, catalogo della mostra, Napoli, Casa EditriceFausto Fiorentino, 1994.

Prohaska 1994-95 (1996)Wolfgang Prohaska, I rapporti di Ribera con la pittura fiamminga inarea mediterranea: il caso Van Dyck, «Ricerche sul ’600 napoleta-no», 1994-95 (1996), pp. 210-222.

Sotheby’s Londra 24/25-V-1995Sotheby’s London. Old Master Paintings Part II, 24 and 25 May1995, Londra 1995.

Spinosa 1994-95 (1996)Nicola Spinosa, Il Maestro degli Annuncio ai pastori, BartolomeoBassante, Antonio de Bellis o Bernardo Cavallino? Riflessioni e dub-bi sul primo Seicento a Napoli, «Ricerche sul ’600 napoletano», 1994-95 (1996), pp. 242-256.

Christie’s Roma 21-XI-1995Christie’s Roma. Dipinti Antichi. Arredi e Pastori Napoletani, 21Novembre e 5 Dicembre 1995, Roma 1995.

Lazzarini 1995Antonio Lazzaroni, Confraternite Napoletane. Storia-Cronache-Profili,Napoli, Laurenzana, 1995.

310

Mostra Genova 1995Bernardo Strozzi, Genova 1581/82 – Venezia 1644, catalogo dellamostra, Milano, Electa, 1995.

Mostra Praga 1995Ladislav Daniel, Tra l’eruzione e la peste. La pittura a Napoli dal1631 al 1656, catalogo della mostra, Praga, Edizione della NárodníGalerie v Praze, 1995.

Pisani 1995Massimo Pisani, Per la storia del palazzo Cellamare: gli inventariinediti di beni mobili di Costanza Eleonora Giudice, «Napoli Nobi-lissima», XXXIV, 1995, pp.179-202.

Rudolph 1995AStella Rudolph, Una visita alla capanna del pastore Disfilo ’Primodipintore d’Arcadia’ (Carlo Maratti), in III Centenario dell’Arca-dia, Atti del convegno di studi (1991), volume intero di Arcadia, Ac-cademia Letteraria Italiana. Atti e memorie, serie 3, IX, 1-4, 1991-1994 (1995), pp. 387-415.

Rudolph 1995BStella Rudolph, Niccolò Maria Pallavicini. L’ascesa al Tempio dellaVirtù attraverso il mecenatismo, Roma 1995.

Schleier 1995AEric Schleier, Tre dipinti mitologici di Nicola Vaccaro, «Antichità Vi-va», 34, n. 3, 1995, pp. 23-26.

Schleier 1995BEric Schleier, Una ’Carità Romana’ di Nicola Vaccaro nel Museo diBraunschweig, «Antichità Viva», 34, n. 5/6, 1995, pp. 61-64.

Scott 1995Jonathan Scott, Salvator Rosa. His Life and Times, Yale UniversityPress, New Haven & London, 1995.

Amberes Anversa 21-IV-1996Amberes Kunst – En Antiekvliegen, Anversa, 21 Aprile 1996, An-versa 1996.

Barrella 1996Nadia Barrella, La Tutela dei Monumenti nella Napoli Post-Unita-ria, Napoli, Luciano Editore, 1996.

Bologna 1996AFerdinando Bologna, Per Giovani Ricca, con qualche aggiunta a En-rico Fiammingo, a Monrealese e a Gian Giacomo Manecchia, «Ricer-che sul ’600 napoletano», 1994-95, Napoli, 1996, pp. 9-37.

Bologna 1996BFerdinando Bologna, Andrea Malinconico in Sicilia. E anche qualchechiarimento sul suo esordio «Studi in onore di Michele D’Elia» a cu-ra di Clara Gelao. Matera 1996, pp: 353-365.

Christie’s Roma 28-XI-1996Christie’s Roma, Asta di Dipinti Antichi, 28 Novembre 1996, Roma1996.

Pacelli 1996Vincenzo Pacelli, La pittura napoletana da Caravaggio a Luca Gior-dano, catalogo della mostra, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,1996.

Schleier 1996Erich Schleier, Nuove proposte per Simon Vouet, Charles Mellin eGiovan Battista Muti, in Poussin et Rome, Acts du colloqui à l’Aca-démie de France à Rome et à la Biblioteca Hertziana, a cura di Oli-ver Bonfaitt, Paris, 1996, pp. 153-167.

Schnackenburg 1996Bernhard Schnackenburg, Gemäldegalerie Alte Meister Gesamtkata-log. Staatliche Museen Kassel, Verlag Philipp Von Zaber, Mainz 1996.

Schütze 1996Sebastian Schütze, Exemplum Romanitatis. Poussin e la pittura na-poletana del Seicento, in Poussin et Rome, Acts du colloqui à l’Aca-démie de France à Rome et à la Biblioteca Hertziana, a cura diOliver Bonfaitt, Paris, 1996, pp. 181-200.

Cappellieri 1997Alba Cappellieri, Filippo e Cristoforo Schor, «Regi Architetti e Inge-gneri» alla Corte di Napoli (1683-1725), in Capolavori in festa. Ef-fimero Barocco a Largo di Palazzo 1683-1759, catalogo della mostra,Napoli, Electa Napoli, 1997, pp. 73-90.

Carandini 1997Silvia Carandini, Teatro e Spettacolo nel Seicento in Storia del Teatroe dello Spettacolo dal Medioevo al Novecento diretta da Franca An-gelici, Roma-Bari, Laterza Editori, 1997.

Carucci-Garzillo 1997Arturo Crucci-Vincenzo Garzillo, Un itinerario di arte. Museo Dio-cesano ’S. Matteo’ di Salerno, (catalogo), Lancusi, Edizioni Gutem-berg, 1997.

Christie’s Roma 9-XII-1997Christie’s Roma. Dipinti Antichi, 9 Dicembre 1997, Roma 1997.

Donati 1997Piero Donati, Orazio de Ferrari, Genova, Sagep, 1997.

Facecchia 1997Laura Facecchia, Andrea Perrucci. Le opere napoletane, a cura diLaura Facecchia, Roma 1986

Lattuada 1997Riccardo Lattuada, Luca Giordano e i maestri napoletani di naturamorta nelle tele per la Festa del Corpus Domini del 1684, in Capola-vori in festa. Effimero Barocco a largo di Palazzo 1683-1759, catalo-go della mostra, Napoli, Electa Napoli, 1997, pp. 150-161.

Mostra Napoli 1997Capolavori in festa. Effimero Barocco a largo di Palazzo 1683-1759,catalogo della mostra, Napoli, Electa Napoli, 1997.

Mostra Roma 1997Pietro da Cortona. 1597-1669, catalogo della mostra, Milano, Elec-ta, 1999.

311

Pacelli 1997Vincenzo Pacelli, Percorsi d’arte a Sant’Agata de’ Goti, in Percorsid’Arte a Sant’Agata de’ Goti. Opere restaurate dal Cinquecento alSeicento, catalogo della mostra, Napoli 1997.

Siracusano 1997Citti Siracusano, Ai margini di un itinerario seicentesco a Napoli: aggiun-te a Nicola Vaccaro, in Scritti in Onore di Alessandro Marabottini a curadi G. Barbera, T. Pugliatti, C. Zappia. Roma 1997, pp. 231-244.

Sotheby’s New York 30-I-1997Sotheby’s New York, Important Old Master Paintings, January1997, New York 2004.

Tamburini 1997Elena Tamburini, Due teatri per il Principe. Studi sulla committenzateatrale di Lorenzo Onofrio Colonna (1659-1689), Roma, BulzoniEditore, 1997.

G. Borrelli 1998Gian Giotto Borrelli, Documenti sui pittori e marmorari della II me-tà del Seicento, «Ricerche sul ’600 napoletano», 1996-1997, Napoli,1998, pp. 129-144.

Christie’s Londra 24-IV-1998Christie’s London. Old Master Pictures, 24 Aprile 1998, Londra 1998.

Christie’s Roma 26-V-1998Christie’s Roma. Dipinti antichi. Arte del XIX secolo, 26 Maggio e 2Giugno 1998, Roma 1998.

Delfino 1998Antonio Delfino, Alcuni documenti sui pittori del ’600 tratti dall’Ar-chivio di Stato di Napoli, «Ricerche sul ’600 napoletano», 1998, pp.17-22.

Mostra Bologna 1998Alla scoperta del barocco italiano. La collezione Denis Mahon, cata-logo della mostra, a cura di Gabriele Finaldi e Michael Kitson, Bo-logna, 1998.

Sotheby’s Londra 9-VII-1998Sotheby’s London, Old Master Paintings, 9 July 1998, Londra 1998.

Sotheby’s Londra 14-X-1998Sotheby’s London, Old Master Paintings, 9 October 1998.

Barroero–Susinno 1999Liliana Barroero-Stefano Susinno, Roma arcadica capitale universa-le delle arti del disegno, «Studi di storia dell’Arte», 10, 1999, pp. 89-178.

Bonhams Londra 11-XII-1999Bonhams, Old Masters Pictures, 11-XII-1999.

Causa Picone 1999Marina Causa Picone, I disegni del Cinquecento e del Seicento. Lacollezione Ferrara Dentice a cura di Marina Causa Picone, MuseoNazionale di San Martino, Napoli, Electa Napoli, 1999.

della Ragione-Pellegrini 1999Achille della Ragione-Luigi Pellegrini, Collezione Pellegrini, Co-senza, Edizioni Val-Cosenza, 1999.

Freeman’s Philadelphia 17-IV-1999Freeman’s Philadelphia, Pensylvania, Art Auction, 17-IV-1999.

Izzo 1999Mariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro, tesi di laurea, Seconda Universi-tà di Napoli, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1998-1999.

L’Abbate 1999Vito L’Abbate, Il ciclo pittorico di Paolo Finoglio sulla “Gerusalem-me Liberata” nella Pinacoteca Comunale, Comune di Conversano,Museo Civico, 1999

Lattuada 1999Riccardo Lattuada, Dipinti della Collezione D’Errico di PalazzoSan Gervasio a Matera, catalogo della mostra, Napoli, Paparo Edi-zioni, 1999.

Mostra Palermo 1999Porto di mare, 1570-1670. Pittori e Pittura a Palermo tra memoria erecupero, catalogo della mostra, a cura di Vincenzo Abbate, Napoli,Electa Napoli, 1999.

Mostra Verona 1999Alessandro Turchi detto l’Orbetto, 1578-1649, catalogo della mostra,Milano, Electa, 1999.

Pestilli 1999Livio Pestilli, “Ad arma ad arma”: una rilettura della cosiddetta“Allegoria della pace tra la Francia e l’Inghilterra” di Paolo de Mat-teis, in ’Storia dell’arte’, 96, 1999, pp. 226-237.

Santucci 1999Paola Santucci, Un dipinto firmato di Andrea Vaccaro e alcune rifles-sioni sulla sua formazione, «Prospettiva», nn. 93-94, 1999, pp. 184-188.

Sotheby’s Londra 8-VII-1999Sotheby’s London, Old Master Paintings, 8 July 1999, Londra 1999.

Spike 1999John T. Spike, Mattia Preti. Catalogo ragionato dei dipinti, Comunedi taverna, Museo Civica, Centro di Firenze, 1999.

Twenty Important Neapolitan Baroque Paintings 1999Twenty Important Neapolitan Baroque Paintings, Londra, The Wal-pole Gallery, Torino, Società Editrice Umberto Allemandi, 1999.

Voss 1999Hermann Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Propiläen Verlag,1924. Edizione consultata: La Pittura del Barocco a Roma, a cura diA.G. De Marchi, Venezia, Neri Pozza Editore, 1999.

Mostra Nettuno 1999-2000Andrea Sacchi. 1599-1661, catalogo della mostra, Roma, De Luca, 1999.

Carrella 2000Attilio M. Carrella, La Chiesa di S. Maria del Parto a Mergellina, acura di Attilio M. Carrella. Frati Servi di Maria. Soprintendenza peri Beni Artistici e Storici di Napoli. Napoli, Pentagono 2000.

312

Christie’s Londra 19-IV-2000Christie’s London. Old Master Pictures, 19 Aprile 2000, Londra2000.

Christie’s Roma 5-VI-2000Christie’s Roma. Arte del XIX secolo. Dipinti, Disegni Antichi eCornici, 23 Maggio e 5 Giugno 2000, Roma 2000.

Dall’Ombra 2000Davide Dall’Ombra, Testamento napoletano nel Luinese: una palainedita di Paolo de Matteis, «Tracce», 37, 2000, pp. 38-39.

Lattuada 2000Riccardo Lattuada, Francesco Guarino da Solofra. Nella pittura na-poletana del Seicento (1611-1651), Napoli, Paparo Edizioni, 2000.

Mostra Bologna 2000Deanna Lanzi-Jadranka Bentini, I Bibiena: una famiglia europea, acura di Deanna Lanzi e Jadranka Bentini con la collaborazione diSilvia Battistini e Alessandra Cantelli, Venezia, Marsilio, 2000.

Mostra Roma 2000L’Idea del Bello. Viaggio per Roma con Giovan Pietro Bellori, cata-logo della mostra, Roma, Edizioni De Luca, 2000.

Mostra Conversano 2000Paolo Finoglio e il suo tempo. Un pittore napoletano alla corte degliAcquaviva, catalogo della mostra, Conversano, Electa Napoli, 2000

Oliva 2000Angelo Oliva, Un Ecce Homo di Paolo De Matteis a Taranto, «Kro-nos», 1, 2000, pp. 113-116.

Sotheby’s Londra 6-VI-2000Sotheby’s London. Old Master Paintings Part II, 6 July 2000, Lon-dra 2000.

Christie’s, Londra, South Kensington, 13-VII-2001Christie’s London, South Kensington, Old Master Pictures, 13 July2001, Londra 2001.

Christie’s, Roma, 22-V-2001Christie’s Roma, Dipinti, Disegni Antichi e Cornici, 22 Maggio2001, Roma 2001.

Christie’s Roma 12-XII-2001Christie’s Roma. Dipinti e Disegni Antichi Arte del XIX secolo, 6 e12 Dicembre 2001, Roma 2001.

Fagiolo dell’Arco 2001Maurizio Fagiolo dell’Arco, Pietro da Cortona e i ’cortoneschi’, Mi-lano, Skira, 2001.

Mostra Napoli 2001Luca Giordano 1634-1705, catalogo della mostra, Napoli, ElectaNapoli 2001.

Mostra Roma 2001Orazio e Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra, Milano, Ski-ra, 2001.

Mostra Parma 2001Giovanni Lanfranco. Un pittore barocco tra Parma, Roma e Napoli,catalogo della mostra, a cura di Erich Schleier, Milano, Electa Mila-no, 2001.

Pacelli 2001Vincenzo Pacelli, Pittura del ’600 nelle collezioni napoletane, Napo-li, Grimaldi & C. Editori, 2001.

Rizzo 2001Vincenzo Rizzo, Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro. Apoteosi diun binomio, Napoli, Altrastampa Edizioni, 2001.

Sotheby’s New York 25-I-2001Sotheby’s New York, Important Old Master Paintings, 20 January2001, New York 2001.

Bellucci-Mancini 2002Ulisse Prota Giurleo, I Teatri di Napoli nel secolo XVII. L’Opera inMusica, a cura di Ermanno Bellucci e Giorgio Mancini, III, Napoli,Il Quartiere Edizioni, 2002.

Christie’s Roma 18-VI-2002Christie’s Roma, Dipinti e Disegni Antichi, 18 Giugno 2002, Roma2002.

Izzo 2002AMariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro (1640-1709), ricerca di dottoratoin ’Metodologie conoscitive per la conservazione e la valorizzazionedei beni culturali’, XV ciclo, Seconda Università degli Studi di Na-poli, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 2000-2002.

Izzo 2002BMariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro impresario, librettista e scenografodel pubblico teatro di Napoli San Bartolomeo dal 1683 al 1689, «Ricer-che sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2001», 2002, pp. 44-61.

Mostra Napoli 2002Micco Spadaro: Napoli ai tempi di Masaniello, a cura di Brigitte Da-prà, catalogo della mostra, Napoli, Electa Napoli, 2002.

Napoli 2002Restauri al Duomo. Sovvenzione Globale – Centro Antico di Napo-li. Arcidiocesi di Napoli, Ministero per i Beni e le Attività Cultura-li, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Na-poli e Provincia, Soprintendenza Speciale per il Polo Mussale di Na-poli. Napoli, Paparo Edizioni 2002.

Sotheby’s New York 24-I-2002Sotheby’s New York, Important Old Master Paintings EuropeanWorks of Art, 24 January 2002, New York 2002.

Christie’s Roma 18-VI-2003Christie’s Roma. Dipinti e Disegni Antichi, 18 Giugno 2003, Roma2003.

Di Domenico 2003Laura Di Domenico, Un’aggiunta al catalogo di Andrea Vaccaro ealcune considerazioni sui rapporti con il Cavallino, «Confronto», n.2, 2003, pp. 129-132.

313

Ferrari-Scavizzi 2003Giuseppe Scavizzi-Oreste Ferrari, Luca Giordano. Nuove ricerche einediti, Napoli, Electa Napoli, 2003.

Finarte-Semenzato Roma 23-VI-2003Finarte-Semenzato Roma, Gli Arredi di Palazzo Lazzaroni: Mobili,Dipinti, Oggetti d’Arte, Avori, Tappeti, 23 Giugno 2003, Roma2003.

Gregorio Preti da Taverna a Roma 2003Gregorio Preti da Taverna a Roma, 1603-1672. Un pittore riscoper-to e l’ambiente artistico nella Presila tra ’500 e ’700, a cura di C. Car-lino, Reggio Calabria, Iiriti editore, 2003.

Izzo 2003Mariaclaudia Izzo, Una ’Assunta’ di Andrea Malinconico a Calviz-zano, «Napoli Nobilissima», V serie, IV, fasc. I-II, Gen-Apr, 2003,pp. 21-26.

Mostra Cosenza 2003Anteprima della Galleria Nazionale di Cosenza, catalogo della mo-stra, a cura di Rossella Vodret, Milano, Silvana Editoriale, 2003.

Mostra Genova-Salerno 2003Metamorfosi del Mito. Pittura barocca tra Napoli Genova e Venezia,catalogo della mostra, a cura di Mario Alberto Pavone, Milano, Elec-ta, 2003.

Porro & C. Bologna 15-XI-2003Porro & C., Asta di Dipinti Antichi, Mobili e Oggetti d’Arte dalfallimento del gruppo Nadini S.p.a. già parte della Collezione Biz-zini, parte I, 15 Novembre 2003, Bologna 2003.

Spinosa 2003Nicola Spinosa, Ribera. L’opera completa, Napoli, Electa Napoli,2003.

Bocchi (2004)AA.VV., Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630-1750,a cura di Giulio e Ulisse Bocchi, Viadana, senza data (2004)

Bugli 2004Marialuigia Bugli, Da Capodimonte a Palazzo Grande a Chiaia. Lacollezione d’Avalos ’torna’ nella prestigiosa dimora, «Ricerche sul’600 napoletano. Saggi e documenti 2003-2004», 2004, pp. 7-54.

Christie’s Londra, South Kensington 9-VII-2004Christie’s London, South Kensington, Old Master Pictures, 9 July2004, Londra 2004.

Christie’s New York 23-I-2004Christie’s New York. Important Old Master Paintings, 23 January2004, New York 2004.

Christie’s Roma 16-VI-2004Christie’s Roma, Dipinti e Disegni Antichi, 16 Giugno 2004, Roma2004.

Christie’s Roma 14-XII-2004Christie’s, Roma, Arte del XIX Secolo, Dipinti e Disegni Antichi, 14Dicembre 2004, Roma 2004.

Coliva 2004Anna Coliva, La collezione d’arte del Sanpaolo Banco di Napoli, acura di Anna Coliva, Milano, Silvana Editoriale, 2004.

de Frutos Sastre 2004Leticia de Frutos Sastre, Noticias sobre la historia de una dispersión:el Altar de pórfido del VII marqués del Carpio y un lote de pinturas,«Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2003-2004, rubri-ca per ’Luca Giordano’», Electa, Napoli 2004, pp. 60-84.

Lattuada 2004Riccardo Lattuada, Attribuzioni a Christian Berentz, Rosa da Tivo-li, Luciano Borzone, Charles Mellin e Luca Giordano per i dipintidella Pinacoteca Comunale di Macerata, in Per la storia dell’arte inItalie e in Europa, a cura di Mimma Pasculli Ferrara, 2004, pp. 364-373.

Mostra Milano 2004Anton van Dyck. Riflessi italiani, catalogo della mostra, a cura diMaria Grazia Bernardini, Milano, Skira, 2004.

Schleier 2004Erich Schleier, Laurea Honoris Causa in Conservazione dei BeniCulturali a Erich Schleier. Seconda Università degli Studi di Napo-li, 28 giugno 2000, Avellino, Elio Sellino Editore, 2004.

Acordon 2005Quaderni di Villa Durazzo di Santa Margherita Ligure. I dipinti, acura di Angela Acordon, Genova, San Giorgio Editrice, 2005

Christie’s Londra South Kensington 6-VII-2005Christie’s South Kensington, Old Master Pictures, 6 July 2005, Lon-dra 2005

Sotheby’s Milano 29-XI-2005Sotheby’s Milano, Dipinti Antichi, 29 Novembre 2005, Milano 2005.

Christie’s New York 26-I-2005Christie’s New York. Important Old Master Paintings, 26 January2005, New York 2005.

Christie’s Roma 15-VI-2005Christie’s Roma, Dipinti Antichi, 15 Giugno 2005, Roma 2005.

Donadio-Pacelli-Speranza 2005Laura Donadio, Vincenzo Pacelli, Fabio Speranza, Santa Maria del-la Pietà dei Turchini. Chiesa e Real Conservatorio, Napoli, PaparoEdizioni, 2005.

Loire 2006Sthephane Loire, Peintures italiennes du XVIIe siècle du Musée duLouvre, Parigi, Gallimard – Editions du Musée du Louvre, 2006.

Magnani 2006Lauro Magnani, 1666: un’inedita committenza genovese per Rem-brandt, «Annali di critica d’arte», n. 2, 2006, p. 569-584.

Mostra Toulouse 2006Jacques Stella (1596-1657), catalogo della mostra, Toulouse, SomogyÉditions d’Art, 2006.

314

Blindarte Napoli 17-XII-2006Blindarte Napoli, Dipinti antichi, dipinti XIX e XX secolo, 17 di-cembre 2006, Napoli 2006.

Porro & C. Milano 23-XI-2006Porro & C., Dipinti e Disegni Antichi dal XV al XIX secolo, 23 No-vembre 2006, Milano 2003.

Sotheby’s Londra 27-IV- 2006Sotheby’s London, Old Master Paintings, 27 April 2006, Londra2006.

Sotheby’s Londra, Olympia, 4-VII-2006Sotheby’s London, Olympia, Old Master Pictures, 4 July 2006, Lon-dra 2006.

Causa 2007Stefano Causa, La strategia dell’attenzione. Pittori a Napoli nel pri-mo Seicento, Napoli, Dante & Descartes, 2007.

Christie’s Amsterdam 14-XI-2007Christie’s Amsterdam. Old Master Pictures and Drawings, 14 No-vember 2007, Amsterdam 2007.

Christie’s Londra 6-VII-2007Christie’s London, Old Master & British Pictures, 6 July 2007, Lon-dra 2007.

Dorotheum Vienna 24-IV- 2007Dorotheum Vienna, Alte Meister Gemälde und Zeichnungen, 24Aprile 2007, Vienna 2007.

Dorotheum Vienna 16-X- 2007Dorotheum Vien, Alte Meister, 16 Ottobre 2007, Vienna 2007.

Izzo 2007Mariaclaudia Izzo, Introduzione alla produzione grafica di NicolaVaccaro, «Per la conoscenza dei beni culturali. Ricerche di Dottora-to 1997-2006.» Seconda Università degli Studi di Napoli. Diparti-mento di Studio delle Componenti Culturali del Territorio. Dotto-rato di Ricerca in Metodologie Conoscitive per la Conservazione ela Valorizzazione dei Beni Culturali. S. Maria Capua Vetere, pp. 231-242.

Muti 2007Laura Muti, Guido Reni allo specchio. Il doppio e il segno, Faenza,Edit Faenza, 2007.

Schleier 2007Erich Schleier, Adamo ed Eva con i Figli: un’opera inedita di NicolaVaccaro, «Ricerche sul ’600 napoletano», 2007, pp. 85-86.

Andrea de Lione 2008Andrea de Lione. La pittura come racconto, catalogo della mostra,Napoli, Galleria Napoli Nobilissima, 2008.

Blindarte Napoli 11-XII-2008Blindarte Napoli, Dipinti antichi, disegni, grafica e gouaches, dipintiXIX-XX secolo, 11 Dicembre 2008, Napoli 2008.

Di Geronimo 2008Mariangela Di Geronimo, La Pittura a Torre del Greco nei secoliXVII – XVIII, Torre del Greco, Edizione del Comune di Torre delGreco, ACM Spa, 2008.

Il Museo Diocesano di Napoli 2008Il Museo Diocesano di Napoli. Percorsi di Fede ed Arte, a cura di PierLuigi Leone de Castris, Napoli, Elio De Rosa Editore, 2008.

Leone 2008Giorgio Leone, La Calabria dell’arte, Soveria Mannelli, EdizioniCittà Calabria, 2008.

Pacelli 2008Vincenzo Pacelli, Andrea Vaccaro patriarca della pittura del Seicen-to a Napoli. Inediti e considerazioni, «Studi di Storia dell’Arte», n.19, 2008, pp. 137-168.

Pacelli et al. 2008Vincenzo Pacelli et alii, Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco deRosa (1607-1656), Napoli, Paparo, 2008.

Uppsala, Uppsala Auktions Kammare, 2-XII-2008Uppsala Auktions Kammare, Internationell Kvalitetsauktion, 2 Di-cembre 2008, Uppsala 2008.

Blindarte Napoli 20-V-2009Blindarte Napoli, Dipinti Antichi, Oggetti d’arte e Dipinti del XIXe XX secolo, 20 Maggio 2009, Napoli 2009.

Lattuada – Izzo 2009Riccardo Lattuada – Mariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro. Il compian-to di Adamo ed Eva sul corpo di Abele. Dipinti inediti del BaroccoItaliano da collezioni private, «Quaderni del barocco», 5, Ariccia,Arti Grafiche Ariccia, 2009.

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