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© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati Pontificia Universitas Gregoriana Estratto Roma 2014 - 95/3 Gregorianum LUIGI GIOIA, OSB, Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell’identità personale in Agostino

"Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell'identità personale in Agostino", Gregorianum, 95 (2014), 487-509

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Pontificia Universitas Gregoriana

Estratto

Roma 2014 - 95/3

Gregorianum

JACEK ONISZCZUK, S.I., Caino come tipo antitetico di Cristo nella PrimaLettera di Giovanni

LUIGI GIOIA, OSB, Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell’identità personale in Agostino

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Pontificia Universitas Gregoriana

Roma 2014 - 95/3

Gregorianum

JACEK ONISZCZUK, S.I., Caino come tipo antitetico di Cristo nella Prima Lettera di Giovanni

MAURIZIO GUIDI, OFMCap, L’annuncio pasquale di Lc 24,1-12 e la sua ricontestualizzazione liturgica

LUIGI GIOIA, OSB, Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell’identità personale in Agostino

YILUN CAI, Desiderium naturale vivendi Deum in Robert Bellarmine’sCommentary on Summa theologiae

WILLIAM M. WRIGHT IV, Echoes of Biblical Apocalyptic in the Encyclical Teaching of Benedict XVI

PAUL GILBERT, S.I., Écriture phénoménologique et méthode patristique. Les frontières de la philosophie et de la théologie selon Emmanuel Falque

RANDALL S. ROSENBERG, Guarding a Metaphysics of the Whole Person. Walker Percy and Bernard Lonergan

LLOYD BAUGH, S.I., Evoking the Resurrection in Recent Cinema. TheChallenge of the Gospel

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GREGORIANUM 95, 3 (2014) 487-509 Luigi GIOIA, OSB

Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell’identità personale in Agostino

I. AGOSTINO E LA SOGGETTIVITÀ MODERNA

Nella sua indagine sulle sorgenti del «sé» e sullo sviluppo dell’identità moderna, Charles Taylor attribuisce senza riserve ad Agostino l’introduzione di ciò che chiama «l’interiorità di una riflessività radicale» nel pensiero occidentale1. Se un atteggiamento di attenzione à sé, di cura si sé, attende tibi ipse, non era sconosciuto prima di lui, con Agostino «l’attenzione è trasferita dal dominio degli oggetti conosciuti a quello dell’attività stessa della cono-scenza. [...] Diventiamo consapevoli della nostra consapevolezza, cerchiamo di sperimentare il nostro sperimentare»2. Tale interiorità è considerata da Taylor «radicale» perché tutto si trasferisce dal punto di vista del sé e la base di ogni evidenza in campo gnoseologico diventa quella della propria esistenza: «La caratteristica di questa certezza è che è una certezza per me; sono certo della mia esistenza: la certezza riposa sul fatto che soggetto e oggetto della conoscenza sono la stessa persona. È la certezza della presenza à sé»3. Su tale certezza riposa quella relativa all’esistenza stessa di Dio: «Al termine di questa strada vediamo che la nostra attività [cognitiva] è sostenuta e diretta da Dio»4, non «giusto come oggetto trascendente o principio di ordine», non «giusto come ciò che aspiriamo a vedere», ma come «ciò che conferisce al nostro occhio la capacità di vedere»5. Una interpretazione analoga si incontra presso Wayne Hankey, uno studio-so americano che ha consacrato una serie di studi di grande interesse alla que-stione della posterità agostiniana soprattutto negli ambiti convenzionalmente ———––

1 C. TAYLOR, Sources of the self: the making of the modern identity, Cambridge, Mass. 1989, 131.

2 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 130 (mia traduzione). 3 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 133. 4 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 136. 5 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 129.

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denominati «modernità» e «post-modernità». Secondo Hankey, la riflessione su di sé in Plotino si scontra con un ostacolo insormontabile: «Per Plotino, essere e volontà non appartengono all’Uno in un atto di riflessione su di sé. Un tale atto dividerebbe l’Uno, situandolo al di sopra e al di sotto di sé, rice-vendo se stesso da se stesso come se fosse da un altro. [...] Non vi è quindi una riflessività di distinzione da sé nell’Uno»6. Nell’unione con l’Uno, l’indi-viduo «ritorna a sé, ma non è se stesso. Certamente, conoscenza di sé e comprensione dell’Uno non possono coesistere. Siamo aldilà dell’essere e della conoscenza di sé, perché l’Uno è egli stesso aldilà dell’essere e della riflessività»7. Il confronto con Plotino permette di misurare la novità agosti-niana: «la riflessività è condotta fino in fondo»8 attraverso una trasformazione teologica della divina triade plotiniana di anima, nous e Uno: Agostino «unifica il sé e lo conduce all’unione con Dio nella conoscenza di sé più completamente di quanto non lo avesse fatto Plotino»9. Il risultato di questo superamento di Plotino, secondo Hankey, sta nell’unità tra pensiero, essere e mente umana. Ciò permette ad Agostino di concepire l’esistenza e la natura delle sostanze incorporee. «Egli giunge a questa concezione attraverso la riflessione sul suo proprio pensiero come al tempo stesso incorporeo and indubitabilmente esistente»10. Una tale conoscenza è quella che lo conduce alla fede e alla conversione, «è — conclude iperbolicamente Hankey — conoscenza salfivica»11. Sia Taylor che Hankey fanno riferimento al legame ben conosciuto tra conoscenza di sé e conoscenza di Dio che attraversa tutta l’opera di Agostino: Noverim me, noverim te affermava infatti già nei dialoghi di Cassiciaco12. Ma se tale legame è indiscutibile, due delle caratteristiche che questi autori gli attribuiscono richiedono una verifica critica: il sé agostiniano emergerebbe nel processo di ricerca di una doppia certezza, quella gnoseologica e quella riguardante la natura e l’esistenza di Dio; stabilita la prima, Agostino giun-gerebbe alla seconda. Tale ordine non è neutro. Esso è già gravido della possibilità di dispensarsi dall’affermare l’esistenza di Dio. Infatti, pur essendo in questa ricostruzione Dio ancora fondamento dell’essere personale e pur essendo la certezza della sua esistenza intrinseca rispetto alla certezza di sé, dimora nondimeno una conseguenza della certezza della soggettività. Le basi per una identità tra pensiero, essere e individualità sono dunque stabilite.

———–– 6 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God as Other in Augustine: Problems for a Post-

modern Retrieval», Bochumer philosophisches Jahrbuch für Antike und Mittelalter 4 (1999) 113-114.

7 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 114. 8 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 117. 9 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 117. 10 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118. 11 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118. 12 AGOSTINO, Soliloquia, II,i,1 (CSEL 89,45).

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 489

Si è creduto di poter individuare un «proto-cogito» cartesiano in Agostino13 e si può addirittura trovare la formulazione quasi letterale di un dubito, ergo sum nel De Trinitate14. È indubbio, naturalmente, che Cartesio abbia ben conosciuto Agostino e che si sia direttamente ispirato ai suoi scritti per sviluppare le sue idee. Ma si può davvero affermare che «Agostino dedu-ce l’esistenza direttamente dal fatto di sbagliarsi»15, stabilendo così una identità tra soggettività, pensiero ed essere16? Si possono assimilare conoscenza di sé e conoscenza di Dio17, affermare che l’interiorizzazione è ciò che permette di giungere a Dio18, perché «Dio deve essere trovato nell’intimità della presenza a se stessi»19, e considerare così Agostino come «l’origine di quella corrente della spiritualità occidentale che ha cercato la certezza di Dio interiormente» [...], «l’origine dell’argo-mento ontologico»20? In questo quadro, «il principio dell’esame di sé nel libro 10 [del DT] è un’audace escatologia realizzata nella quale» si conosce se stessi come Dio è conosciuto»21? Il sé del DT è razionale, incorporeo, possie-de l’essere e, «che raggiunga o meno la conoscenza di Dio, ha ciò che gli ci vuole per essere un sé, ha una “auto-completezza a priori” (prior self completeness)»22.

L’argomento di Agostino non è che la mente [...] non conosce se stessa — la mente conosce sempre se stessa, perché è sempre immediatamente presente a se stessa, e quindi conosciuta da se stessa meglio di quanto non lo sia qualsiasi altra cosa. [Il suo argomento è] piuttosto [...] che la mente conosce se stessa confusa-mente. [...] Non dobbiamo cercare di aggiungere nulla a quanto già sappiamo esistere, ma piuttosto sottrarre quanto vi abbiamo aggiunto illecitamente. [...] [La mente resterà allora] con una conoscenza della sua natura o sostanza23.

———–– 13 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 132: «In order to prove that we know

something, Augustine makes the fateful proto-Cartesian move: he shows his interlocutor that he cannot doubt his own existence, since “if you did not exist it would be impossible for you to be deceived”».

14 AGOSTINO, De Trinitate 10.14 (CCL 50,327): «Viuere se tamen et meminisse et intellegere et uelle et cogitare et scire et iudicare quis dubitet? Quandoquidem etiam si dubitat, uiuit; si dubitat, unde dubitet meminit; si dubitat, dubitare se intellegit; si dubitat, certus esse uult; si dubitat, cogitat; si dubitat, scit se nescire; si dubitat, iudicat non se temere consentire oportere. Quisquis igitur alicunde dubitat de his omnibus dubitare non debet quae si non essent, de ulla re dubitare non posset».

15 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 96. 16 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118. 17 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 109. 18 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 132. 19 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 134. 20 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 140. 21 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 91-92. 22 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 121. 23 S.P. MENN, Descartes and Augustine, Cambridge – New York 1998, 252 citato da W.J.

HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 111.

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Non c’è nulla di meglio per problematizzare un’interpretazione che quella di esporla a una provocazione. Siamo davvero certi che esista un sé in Agostino? Non sono mancati studiosi agostiniani di una certa autorevolezza per negarlo, osservando che «non esiste una parola latina che equivalga al nostro [...] «sé», che connoti cioè l’individuo come oggetto della propria riflessione o introspezione»24. L’ego latino, è risaputo, appare solo per stabi-lire un contrasto o una distinzione tra individui; i termini abitualmente (ed erroneamente secondo alcuni)25 tradotti con le particelle sé (self in inglese), o sono assenti nel testo latino, o sono usati in riferimento a quello che Agostino chiama mens, cioè «la mente nelle sue specifiche orientazioni interiori e superiori di giudizio razionale su oggetti forniti dalla percezione sensoriale (scientia) o dalla contemplazione della verità eterna (sapientia)»26; o ancora in riferimento all’interior homo, il quale tutto è fuorché questa «realtà inte-riore, stabile, sempre pronta a essere intravista per mezzo di una visione interiore purificata [...], accessibile alla coscienza di sé, ma essenzialmente isolata dagli altri sé»27. Sulla stessa linea si situano una serie di autorevoli interpreti anglosassoni di Agostino (Rowan Williams, Lewis Ayres et John Milbank) le cui analisi lungi dal considerare Agostino come l’autore della privatizzazione dell’io, lo propongono come un rimedio contro la fondamentale illusione della moder-nità, vale a dire quella che fa dell’io privato l’arbitro e la sorgente dei valori nel mondo. Il sé agostiniano, secondo questi interpreti, non è una «identità spirituale atemporale», ma «un sé in movimento», che conosce «la propria incompletezza temporale e la propria motivazione per mezzo del desiderio»28.Esso è caratterizzato da due limiti fondamentali: «non può contemplare la verità eterna come un oggetto in sé» (ma solo attraverso una mediazione di carattere temporale e sensibile); «la riflessione su di sé non può essere la percezione della mente stessa come oggetto»29. Ciò di cui la mente diventa consapevole è della sua attività, del suo desiderio, della sua incompletezza, e del suo radicale orientamento verso l’altro da sé30. Una interpretazione analoga del sé agostiniano si incontra in Jean-Luc Marion: il paradosso diverse volte ripreso da Agostino, «factus eram mihi ———––

24 R. INNES, «Integrating the Self through the Desire of God», Augustinian studies 28(1997) 69.

25 J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self in Augustin's Thought», Augustinian studies 38(2007) 120-123.

26 R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 69. 27 J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 120 e 122. 28 R. WILLIAMS, «De Trinitate», in A.D. FITZGERALD, ed., Augustine Through the Ages:

and Encyclopedia, Grand Rapids, MI 1999, 849. 29 R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge in the De Trinitate», in J. LIEHNARD,

ed., Augustine: Presbyter factus sum, New York 1993, 122. 30 R. WILLIAMS, «Sapientia and the Trinity. Reflections on De Trinitate», in B. BRUNNER,

ed., Mélanges T. J. van Bavel, Collectanea Augustiniana, Leuven 1990, 320.

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 491

magna quaestio»31 attesta quanto l’io non appaia a se stesso come una conoscenza, come un oggetto, ma come una domanda definitiva32. Lungi dall’essere l’espressione di un fallimento della conoscenza, di una limitazione della coscienza di sé o di un’aporia, la quaestio di S. Agostino è la via verso un modo totalmente diverso di conquistare ciò che sono come tale»33. Un approccio basato sulla stretta equivalenza tra pensabile ed essere conduce a una definizione dell’uomo, ma

pretendere di conoscere e di definire l’uomo con un concetto inevitabilmente conduce a una decisione che lo trasforma in oggetto, o piuttosto a una decisione riguardo alla sua umanità secondo l’oggettivazione che avremo prodotto. Definire l’uomo con un concetto non conduce sempre o immediatamente a ucciderlo, ma riempie la prima condizione richiesta per eliminare tutto quello che non rientra in questa definizione. [...] Si apre la temibile regione nella quale l’uomo prende decisioni riguardo alla normalità e quindi riguardo alla vita e alla morte, di altri esseri umani34.

Affermare che la quaestio agostiniana conduce a una affermazione di quello che Marion chiama il «privilegio di inconoscibilità per l’uomo», perché a immagine del Dio inconoscibile, non trova riscontri diretti nelle opere dell’ipponate35, ma l’impossibilità di una identificazione di se stessi a se stessi36 è una conseguenza inevitabile della concezione dell’identità perso-nale di Agostino. «Nelle Confessioni, il rovescio della conoscenza di sé è una ignoranza che costringe, per così dire, il soggetto a appoggiarsi non su ciò che sa di se stesso, ma su ciò su cui Dio lo illumina riguardo a se stesso»37. Per dirimere queste divergenze nell’interpretazione dell’identità personale agostiniana procederemo dunque con una verifica fondata soprattutto su una analisi incrociata delle Confessioni e del De Trinitate.

———–– 31 AGOSTINO, Confessiones, 4,9 (CCL 27,44). 32 J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum: The Privilege of Unknowing», The

Journal of Religion 85/1 (2005), 1-24. 33 J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 7. 34 J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 11-12 (mia traduzione). 35 J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 15-16, dove invece

Marion cita Gregorio di Nissa. 36 I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu», Le firmament de l’Écriture: l’herméneutique

augustinienne, Paris 2004, 300: «Une telle quête suppose qu’il n’y ait pas d’adéquation de soi à soi».

37 I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu» (cf. nt. 36), 305. Cf. AGOSTINO, Confessiones,10,7 (CCL 27,158): «Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me, perché quanto so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché lemie tenebre si mutino quale il mezzogiorno nel tuo volto».

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492 LUIGI GIOIA, OSB

II. L’APPARIZIONE DEL SÉ NELLE CONFESSIONI

Le Confessioni, lo sappiamo, si aprono con una preghiera38 nella quale già nell’arco della prima pagina, il soggetto iniziale alla terza persona, homo («et laudare te uult homo»), lascia il posto alla prima persona singolare: «da mihi, domine, scire et intellegere». Significativamente, questo «io» appare nell’atto non di interrogare se stesso, ma Dio. E l’interrogazione verte su una priorità: bisogna prima lodare Dio, o prima invocarlo, o prima conoscerlo? L’io appa-re nell’atto non di riflettere su di sè, ma di rivolgersi ad altri da sé, chiedendo: Signore, vieni prima tu o vengo prima io? E la risposta conduce a un primo inatteso decentramento da sé: «Ti invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante l’umanità del tuo Figlio, mediante l’opera del tuo predicatore» («inuocat te, domine, fides mea, quam dedisti mihi, quam inspirasti mihi per humanitatem filii tui, per ministerium predicatoris tui»). Ilsoggetto diventa la fede; fede e io si identificano; chi interroga è una «fede» data, ispirata attraverso una mediazione esterna, sensibile, temporale: «Credo, perciò parlo» («Credo, propter quod et loquor»). Ma non è tutto. Un altro robusto fattore di decentramento da sé è rappresentato dall’identità del Dio interrogato, declinata attraverso una serie di attributi che ne sottolineano immanenza e trascendenza, immutabilità e coinvolgimento nella storia, sufficienza e bisogno, «nomen esse» et «nomen misericordiae»39. Appare dunque un io la cui consapevolezza di sé sorge in risposta a un interlocutore che non si può oggettivare, che non può essere trattato alla terza persona, di fronte al quale è impossibile assumere una distanza, rivendicare una neutralità e che soprattutto lo precede. Se vi è dunque qualcosa in Agostino che potremmo chiamare un «sé», il meno che si possa dire è che esso si lascia cogliere non in un movimento di auto-riflessività ma dialogicamente; non spontaneamente, di sua iniziativa, ma per vocazione, perché pro-vocato, con-vocato attraverso una mediazione di carattere storico e temporale («predicatum enim es nobis» e «per ministe-rium predicatoris tui»); non per conoscere se stesso, ma per ri-conoscersi, ri-flettersi in questa presenza che lo precede e lo rivela a se stesso40. Se si può parlare di riflessività in Agostino, non è in riferimento a un atto di ———––

38 AGOSTINO, Confessiones, 1,1 a 1,7 (CCL 27,1-4). 39 AGOSTINO, Sermones, 6,4 (CCL 41,64). Cf. E. GILSON, Philosophie et Incarnation selon

saint Augustin in A.M. VANNIER, ed., Saint Augustin: Philosophie et Incarnation, Ginevra 1999.

40 Cf. I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu» (cf. nt. 36), 325 che cita la seguente frase di Goulvain Madec: «Les deux métaphores ont exactement le même sens: mon intimum n’est autre que mon summum; ce qui est frappant et qui fait sens, c’est l’adjonction paradoxale des comparatifs: interior, superior, à des superlatifs, intimum, summum. L’intériorité augusti-nienne est le substantif d’un comparatif; elle n’est pas une introspection narcissique, mais l’exigence même de l’être spirituel constitué par la tension ou l’attrait que Dieu crée en lui, en le créant à son image».

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 493

«riflessione primordiale su di sé» (radical reflexivity)41, ma nell’atto di riflettere Dio, di scoprirsi in riflesso rispetto a Dio, immagine di Dio. Vale la pena soffermarsi sul carattere non spontaneo della conoscenza di sé, sulla conoscenza di sé come vocazione. È significativo che il leit-motive del libro 10 del De Trinitate sia il celebre oracolo delfico gnw/qi seauto,n,ripreso da Socrate e spesso citato da Cicerone42. Agostino lo riprende non meno di 10 volte in questo libro43. La saggezza filosofica aveva già stabilito che la conoscenza di sé è la risposta a un invito che viene dal di fuori, ha un carattere dialogico, necessita di una mediazione temporale44. Un’osservazione analoga può essere fatta riguarda alla necessità di una pro-vocazione per la conoscenza in generale. Il libro 10 del De Trinitate inda-ga ripetutamente su cosa inneschi il processo di conoscenza. La ricerca (inquisitio) comincia quando un desiderio (appetitus) ci induce a indagare e cercare ciò che vogliamo conoscere45. Cosa spiega però il risvegliarsi di questo desiderio? Poiché uno dei postulati della gnoseologia agostiniana è che nessuno può amare ciò che gli è sconosciuto46, l’origine della ricerca va attribuita a una qualche forma di «conoscenza che preceda la conoscenza». È questo uno dei casi nei quali Agostino ricorre alla metafora della illumina-zione. Quando desideriamo percepire il significato di una parola sconosciuta, siamo stimolati dalla percezione dell’utilità e della bellezza del linguaggio e delle possibilità da esso aperte per stabilire relazioni con altre persone. In questo caso, una tale bellezza e utilità sono percepite «nella luce della verità» (in luce ueritatis). Ciò è concepito sia in termini attivi con il ricorso alla metafora del vedere, sia in termini passivi come il risultato di qualcosa che «tocca» la nostra anima: «Un ideale (species) tocca l’anima che conosce e pensa, nel quale viene in luce lo splendore dell’intesa tra le anime resa possibile dalla comprensione delle parole udite e pronunciate»47. Tutta una serie di metafore evocate in riferimento all’illuminazione attribuiscono un ruolo attivo alla luce o ai suoi sinonimi: riguardo al giudizio di verità, si dice

———–– 41 C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 131. 42 Cf. per esempio CICERONE, De finibus bonorum et malorum, 3,22,73 e la lista di altri

passaggi citati in CCL 50,316, nota 32. 43 Cf. soprattutto la sezione AGOSTINO, De Trinitate, 10,11-13 (CCL 50,324-327). 44 Che nel De Trinitate la necessità di questo invito denoti una anomalia nel processo di

conoscenza non compromette il valore paradigmatico che del resto Agostino stesso gli rico-nosce rispetto all’attività filosofica in generale, cf. L. GIOIA, The theological epistemology of Augustin's De Trinitate, Oxford 2008, 205-207.

45 AGOSTINO, De Trinitate, 9,18 (CCL 50,310). 46 AGOSTINO, De Trinitate, 10,1 (CCL 50,311): «rem prorsus ignotam amare omnino

nullus potest». 47 AGOSTINO, De Trinitate, 10,2 (CCL 50,314): «Species namque illa tangit animum quam

nouit et cogitat in qua elucet decus consociandorum animorum in uocibus notis audiendis atque reddendis».

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che esso «brilla dall’alto»48; la forma della verità (forma ueritatis) riversa una luce incorruttibile sulla vista delle nostre menti49; la species nella quale brilla la bellezza della conoscenza del linguaggio tocca (tangere) le nostre anime50;ancora la luce tocca (tangit) anche coloro i quali vivono nel peccato, poiché anche loro conoscono l’eternità e a volte emettono giudizi esatti51. La teoria dell’illuminazione è più la riformulazione del paradosso di questa «cono-scenza prima della conoscenza» che un reale tentativo di spiegarla. Nel quadro di questa nostra indagine, essa ribadisce in termini più astratti il carattere della conoscenza in generale come risultato di una pro-vocazione, di qualcosa che ci precede. Ma dobbiamo verificare la necessità di questa pro-vocazione riguardo alla conoscenza di sé e per questo possiamo cominciare con il ricorrere al libro 10 delle Confessioni. In esso scopriamo che anche per la conoscenza di sé occorre una illuminazione, questa volta non attribuita alle idee, ma a Dio stesso:

Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me, perché quanto so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché le mie tenebre si mutino quale il mezzogiorno nel tuo volto52.

L’itinerario di conoscenza di sé si dispiega attraverso il processo ben noto di interiorità e trascendenza53. Quale ne è il punto di partenza? Cosa lo innesca? Quale è la certezza sulla quale esso riposa?

Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, come lo dicono senza posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse. Più profonda misericordia avrai di colui del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui verso il

———–– 48 AGOSTINO, De Trinitate, 9,10: «claret desuper» (CCL 50,302). 49 AGOSTINO, De Trinitate, 9,11 (CCL 50,303). 50 AGOSTINO, De Trinitate, 10,2 (CCL 50,314). 51 AGOSTINO, De Trinitate, 14,21 (CCL 50,450). 52 Conf. 10,7 (CCL 27,158): «Confitear ergo quid de me sciam, confitear et quid de me

nesciam, quoniam et quod de me scio, te mihi lucente scio, et quod de me nescio, tandiu nescio, donec fiant tenebrae meae sicut meridies in vultu tuo».

53 Conf. 10,9 (CCL 27,159s): «Et direxi me ad me et dixi mihi: "Tu quis es?". Et respondi: "Homo". Et ecce corpus et anima in me mihi praesto sunt, unum exterius et alterum interius. Quid horum est, unde quaerere debui Deum meum, quem iam quaesiveram per corpus a terra usque ad caelum, quousque potui mittere nuntios radios oculorum meorum? Sed melius quod interius. Ei quippe renuntiabant omnes nuntii corporales praesidenti et iudicanti de responsionibus caeli et terrae et omnium, quae in eis sunt, dicentium: “Non sumus Deus”, et: “Ipse fecit nos”. Homo interior cognovit haec per exterioris ministerium; ego interior cognovi haec, ego, ego animus per sensum corporis mei. Interrogaui mundi molem de Deo meo, et respondit mihi: “Non ego sum, sed ipse me fecit”».

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 495

quale fosti misericordioso. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi a sordi. Ma che amo, quando amo te?54.

Appare in questa citazione la certezza di partenza, la certezza che precede l’interiorizzazione e la pro-voca: «Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo». Come il pungolo che innesca il processo di conoscenza è un desiderio la cui origine misteriosa è descritta attraverso la metafora dell’illuminazione, così il processo di interiorizzazione è innescato da un amore che inspiegabilmente è già presente, già orienta, già stimola, già sospinge la confessio, cioè la conoscenza di sé che si produce nell’atto stesso di ri-conoscenza di Dio, ri-conoscenza a Dio. Ritroviamo quanto già attestato nella preghiera iniziale delle Confessioni: l’ordine tra conoscenza di sé e conoscenza di Dio, coscienza di sé e coscienza di Dio è l’inverso di quello che ci aspetteremmo. Esiste una forma di «conoscenza prima della conoscenza» di Dio che precede la presa di coscienza di sé, la risveglia, la stimola, la orienta: «Quid autem amo, cum te amo?»55.

III. IL DE TRINITATE

È stato detto del De Trinitate che esso «decodifica la metafisica della rela-zione tra conoscenza di sé e conoscenza di Dio presupposta dalle Confes-sioni»56. E difatti nel De Trinitate, e soprattutto nel rapporto tra il libro VIII e i libri IX-X, si trova una riformulazione teorica della conoscenza di sé come vocazione e dell’anteriorità della pro-vocazione di Dio esposta nelle Confessioni in forma narrativa. Ai fini della nostra indagine, sarà opportuno (1) cominciare con un breve esame del processo di conoscenza intellettuale; poi (2) identificare le caratteristiche del soggetto della conoscenza intellet-tuale, vale a dire la mens; saremo pronti allora per (3) seguire l’argomento sviluppato da Agostino riguardo alla conoscenza di sé57.

———–– 54 Conf. 10,8 (CCL 27,158s): «Non dubia, sed certa conscientia, Domine, amo te.

Percussisti cor meum verbo tuo, et amavi te. Sed et caelum et terra et omnia, quae in eis sunt, ecce undique mihi dicunt, ut te amem, nec cessant dicere omnibus, ut sint inexcusabiles.Altius autem tu misereberis, cui misertus eris, et misericordiam praestabis, cui misericors fueris; alioquin caelum et terra surdis loquuntur laudes tuas. Quid autem amo, cum te amo?». Notare anche in questo caso la mediazione temporale: «Percussisti cor meum verbo tuo, et amavi te».

55 La domanda ritorna in AGOSTINO, Confessiones, 10,8 (CCL 27,159). 56 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 92: «The De Trinitate works out

the metaphysics underlying the relation between self-knowledge and the knowledge of God which the Confessiones presuppose».

57 Per una analisi più approfondita cf. L. GIOIA, The theological epistemology (cf. nt. 44), 190-218.

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496 LUIGI GIOIA, OSB

1. Il processo di conoscenza intellettuale

In una delle descrizioni più sintetiche del processo di conoscenza intellet-tuale del trattato Agostino afferma quanto segue:

Dunque in quella eterna verità, secondo la quale tutte le cose temporali sono state create, vediamo, con lo sguardo della mente, la forma (forma) secondo la quale siamo e secondo la quale, con ragione vera e retta, facciamo qualsiasi cosa in noi o nei corpi; grazie a essa concepiamo in noi una conoscenza (notitia) vera, che abbiamo presso di noi come un verbo (verbum), che generiamo dicendolo al di dentro di noi e che nascendo non si separa da noi58.

L’atto di giudicare la conoscenza proveniente dai sensi — e il nostro agire- alla luce della verità eterna è illustrato attraverso la metafora della concezione di una nozione (notitia) che a sua volta è generata come un verbo (verbum).Questo verbo è descritto in questi termini: «conoscenza con amore»59. La produzione di questa nuova realtà nel processo di conoscenza comporta l’inseparabilità tra conoscenza e volontà caratteristica della teoria della conoscenza di Agostino. Nella conoscenza intellettuale, la volontà svolge un ruolo determinante fin dall’inizio inaugurando il processo di conoscenza come una «brama di trovare» (appetitus inueniendi), che è una forma di amore60. Essa mette il soggetto conoscente in uno stato di sospensione (pendet), fino a che questi non trova il riposo per mezzo di una copulatio con l’oggetto conosciuto: «Questo stesso desiderio, che spinge verso la cosa da conoscere, diventa amore della cosa conosciuta quando possiede e abbraccia questa prole in cui si compiace, cioè la conoscenza, e la unisce al suo generatore» 61. La stessa volontà che è all’origine del processo di conoscenza, lo conduce dunque al suo compimento o riposo. Questo completamento del processo di conoscenza continua a essere illustrato per mezzo della metafora della generazione con la distinzione tra la concezione e la nascita, il «verbo concepito» e il «verbo nato». Non cercheremmo la definizione di una cosa –cioè di conoscerla – né ci preoccuperemmo di stabilirne la bellezza o l’utilità, se un appetito non stimolasse il nostro interesse. Lo stesso appetito non potrebbe considerarsi soddisfatto dalla semplice rappresentazione di una ———––

58 AGOSTINO, De Trinitate, 9,12 (CCL 50,303): «In illa igitur aeterna ueritate ex qua temporalia facta sunt omnia, formam secundum quam sumus et secundum quam uel in nobis uel in corporibus uera et recta ratione aliquid operamur uisu mentis aspicimus, atque inde conceptam rerum ueracem notitiam tamquam uerbum apud nos habemus et dicendo intus gignimus, nec a nobis nascendo discedit».

59 AGOSTINO, De Trinitate, 9,15 (CCL 50,307): «cum amore notitia». 60 AGOSTINO, De Trinitate, 10,4 (CCL 50,315). 61 AGOSTINO, De Trinitate, 9,18 (CCL 50,310): «appetitus quo inhiatur rei cognoscendae

fit amor cognitae dum tenet atque amplectitur placitam prolem, id est notitiam gignentique coniungit».

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 497

nozione (cioè quando il verbo è «concepito»): il suo dinamismo interiore raggiunge il suo fine, il suo riposo, solo nella effettiva copulatio tra il sogget-to conoscente e l’oggetto bramato (solo allora il verbo è «nato»). Ciononostante, questo processo di conoscenza varia a seconda che il suo oggetto siano delle realtà corporali o delle realtà intellettuali. Nel caso di realtà temporali o corporali, il processo cognitivo potrebbe essere descritto come segue: qualcosa è registrato dalla nostra attività senso-riale; questa sensazione risveglia in noi il desiderio di conoscere l’oggetto che l’ha causata e di apprezzarne il valore; questo desiderio ci conduce a volgere l’attenzione verso le ragioni e i modelli perché ci permettano di definire e di valutare l’oggetto conosciuto; a questo punto, se questa definizione o valutazione ci diletta al punto da convertire l’attrazione iniziale in amore, concepiamo un verbo (conoscenza con amore); questo amore, però, non è soddisfatto fino a che non c’è unione (copulatio) con la cosa conosciuta: solo allora, il verbo non sarà solo ‘concepito’, ma realmente “nato”62. Nel caso della conoscenza di realtà spirituali (spiritualia), c’è una identità tra il verbo concepito e il verbo nato. Qui, la nozione non è solo la rappre-sentazione di qualcosa che rimane fuori di noi e che, una volta conosciuta, deve ancora essere raggiunta e posseduta. Con le realtà spirituali, la nozione stessa è sia oggetto di amore — conoscenza con amore — che del riposo della volontà. Il verbo concepito e il verbo nato sono identici quando la volontà si riposa nella conoscenza stessa, cosa che accade nell’amore delle realtà spirituali63. La ragione di questa distinzione rispetto alla conoscenza delle realtà spiri-tuali è di capitale importanza. Nel caso di una realtà corporale o temporale posso davvero dire di conoscerla non quando ne ho elaborato solo una rappresentazione mentale, ma quando effettivamente la possiedo o ne traggo godimento. Nel caso di realtà spirituali e soprattutto di realtà che hanno una connotazione morale, quello che possiedo mentalmente non è solo una rappresentazione, ma la realtà stessa, purché al processo di conoscenza corrisponda una effettiva trasformazione della mia volontà, cioè una conversione, resa possibile dall’amore o, piuttosto, dal giusto tipo di amore (come vedremo). Essendo il verbo interiore (nel quale consiste la conoscenza) una «nozione amata», posso dire di conoscere la giustizia, per esempio, non

———–– 62 AGOSTINO, De Trinitate, 9,14 (CCL 50,305): «In amore autem carnalium

temporaliumque rerum [...] alius est conceptus uerbi, alius partus. Illic enim quod cupiendo concipitur adipiscendo nascitur, quoniam non sufficit auaritiae nosse et amare aurum nisi et habeat, neque nosse et amare uesci aut concumbere nisi etiam id agat, neque nosse et amare honores et imperia nisi proueniant».

63 AGOSTINO, De Trinitate, 9,14 (CCL 50,305): «Conceptum autem uerbum et natum idipsum est cum uoluntas in ipsa notitia conquiescit, quod fit in amore spiritalium. Qui enim uerbi gratia perfecte nouit perfecteque amat iustitiam, iam iustus est etiamsi nulla exsistat secundum eam forinsecus per membra corporis operandi necessitas».

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quando ho capito cosa essa sia, non quando sono capace di fornirne una definizione, ma solo quando l’ho amata, cioè ho aderito a essa, mi sono convertito a essa, mi sono lasciato formare e trasformare da essa:

E come potranno diventare [giusti], se non aderendo a questa stessa forma che intuiscono, per essere formati da essa e diventare anime giuste, non più soltanto per percezione e dicendo che giusta è l’anima «che ordina la sua vita e la sua condotta secondo la scienza e la ragione e distribuisce a ciascuno il suo», ma per vivere anch’essi secondo giustizia e improntare a essa la loro condotta distri-buendo a ciascuno il suo, in modo che non debbano nulla a nessuno, se non l’amore vicendevole? E come si aderisce a quella forma se non amandola?64

2. Il soggetto della conoscenza

Il soggetto di questa attività di conoscenza è la mens:

Perciò la mente, come raccoglie per mezzo dei sensi del corpo le conoscenze delle realtà corporee, così raccoglie le conoscenze delle realtà incorporee per mezzo di se stessa. Dunque conosce anche se stessa per mezzo di se stessa, perché è incorporea. Infatti, se non si conosce, non si ama.65

Il carattere paradossale della mens appare immediatamente: essendo essa una realtà incorporea ed essendo le realtà incorporee conosciute attraverso la mens, la mens conosce se stessa solo per mezzo di se stessa. E poiché, come abbiamo visto nella descrizione del processo di conoscenza delle realtà spirituali, queste ultime comportano il ruolo dell’amore e una conversione, occorre concludere quanto segue: conoscere se stessi non è elaborare una definizione di se stessi, ma è inseparabilmente prendere coscienza di sé aderendo a sé, prendere coscienza di sé amandosi. E difatti, una estesa e dettagliata dimostrazione stabilisce che la mente non conosce se stessa nel modo nel quale ogni altro oggetto è conosciuto, cioè attraverso la conoscenza empirica66 oppure alla luce delle ragioni eterne67.Non è neanche esatto affermare che la mente conosce se stessa attraverso se stessa, come se le due cose potessero essere separate, cioè come se la mente potesse essere considerata anche solo per un momento in astrazione dalla ———––

64 AGOSTINO, De Trinitate, 8,9 (CCL 50,283): «Quod unde (iusti) esse poterunt nisi inhaerendo eidem ipsi formae quam intuentur ut inde formentur et sint iusti animi, non tantum cernentes et dicentes iustum esse animum “qui scientia atque ratione in uita ac moribus sua quique distribuit”, sed etiam ut ipsi juste uiuant justeque morati sint sua cuique distribuendo ut nemini quidquam debeant nisi ut inuicem diligant? Et unde inhaeretur illi formae nisi amando?».

65 AGOSTINO, De Trinitate, 9,3 (CCL 50,296): «Mens ergo ipsa sicut corporearum rerum notitias per sensus corporis colligit sic incorporearum per semetipsam. Ergo et se ipsam per se ipsam nouit quoniam est incorporea. Nam si non se nouit, non se amat».

66 Cf. AGOSTINO, De Trinitate, 9,9 (CCL 50,301). 67 AGOSTINO, De Trinitate, 10,5 (CCL 50,317).

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 499

conoscenza di sé. In realtà, la mente è conoscenza di sé. Questo è affermato con chiarezza nella citazione seguente:

Ma quando si dice allo spirito: Conosci te stesso, nello stesso istante (eo ictu) in cui comprende le parole te stesso, esso si conosce e questo per la sola ragione che è presente a se stesso. Se al contrario non comprende ciò che gli si dice, non lo fa di certo. Gli si comanda dunque di fare ciò che fa nell’atto di comprendere il comando stesso68.

Questo punto è ribadito molte volte, in forme diverse. Anche quando la mente cerca di conoscere se stessa, già conosce se stessa nell’atto di compiere questo tentativo; paradossalmente, anche quando la mente pensa di ignorare se stessa o dubita riguardo a se stessa o a qualsiasi altra cosa, di fatto conosce se stessa nell’atto di ignorare o di dubitare69. L’eo ictu di questa citazione fa da eco all’eo ipso del passaggio che segue:

Dunque, il fatto stesso (eo ipso) che essa si cerchi è la prova che essa è a se stessa più nota che sconosciuta. Infatti, quando cerca di conoscersi, si conosce come colei che cerca se stessa e che ignora se stessa70.

In aggiunta all’inevitabilità della conoscenza di sé, vi è l’impossibilità per la mente di conoscere se stessa solo parzialmente: essa può conoscere se stessa solo interamente, tota71. Questa è la base concettuale dell’elaborazione della triade della memoria di sé, della conoscenza di sé e dell’amore di sé che, nel corso del libro 10, appare come quella che più perfettamente corrisponde alle caratteristiche formali della confessione del mistero trinitario (unità, trinità, uguaglianza etc...) e quindi corrisponde all’immagine di Dio in noi72. Senza soffermarci in questo studio sulla sua genesi, ci limiteremo a rilevare quanto in essa ci permette di capire meglio l’identità personale agostiniana.

3. La conoscenza di sè come pro-vocazione

Sulla base della ricostruzione sommaria della teoria della conoscenza di Agostino condotta finora, diventa adesso possibile percepire come anche nel

———–– 68 AGOSTINO, De Trinitate, 10,12 (CCL 50,326): «Cum dicitur menti: “Cognosce te

ipsam”, eo ictu quo intellegit quod dictum est “Te ipsam”, cognoscit se ipsam, nec ob aliud quam eo quod sibi praesens est. Si autem quod dictum est non intellegit, non utique facit. Hoc igitur ei praecipitur ut faciat quod cum praeceptum ipsum intellegit facit».

69 AGOSTINO, De Trinitate, 10,5 and 10,14 (CCL 50,318 e 327). 70 AGOSTINO, De Trinitate,10,5 (CCL 50,318): «Quapropter eo ipso quo se quaerit magis

se sibi notam quam ignotam esse conuincitur. Nouit enim se quaerentem atque nescientem dum se quaerit ut nouerit».

71 AGOSTINO, De Trinitate, 10,6 (CCL 50,318). 72 AGOSTINO, De Trinitate, 10,17 (CCL 50,329).

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500 LUIGI GIOIA, OSB

quadro più teorico del De Trinitate sia ribadita la sua concezione della conoscenza di sé come vocazione e come risultato di una pro-vocazioneemersa in forma narrativa nelle Confessioni. Tutto verte intorno alla natura dell’amore di sé che, insieme alla conoscenza e alla memoria di sé, è costitutivo della mens. Un postulato decisivo della epistemologia agostiniana è che a partire dalla conoscenza empirica fino a quella delle realtà intellettuali nella luce della verità stessa, la volontà non è mai neutra. Volontà, per Agostino, significa desiderio, amore, aspirazione. Essa non può mai essere considerata come una forza meccanica, adeguatamente regolata da una ragione che potrebbe disporne senza ostacoli per il perseguimento dei propri obbiettivi. La dichia-razione più importante riguardo al ruolo della volontà nel processo di conoscenza e in particolar modo riguardo al ruolo della volontà nel processo di generazione del verbo interiore, è la seguente: «questo verbo è concepito per amore o della creatura o del creatore, cioè o della natura mutevole o della verità immutabile»73. E se questa affermazione non fosse stata chiara abba-stanza, l’alternativa è immediatamente espressa come segue: «o per concu-piscenza o per carità»74. La volontà che determina il processo di conoscenza è o una forma di concupiscenza o l’amore donato da Dio; o inverte il retto ordine tra usare e gioire o ne rispetta la gerarchia. La concupiscenza consiste nel gioire (frui) di ciò che dovrebbe svolgere solo un ruolo strumentale (uti) e nel cercare il proprio riposo in esso, compromettendo la possibilità di ottenere la felicità per la quale siamo fatti e invertendo altresì il dinamismo fondamentale della nostra vita morale e cognitiva. Sulla base di quanto stabilito finora, possiamo adesso approfondire la nostra analisi dell’identità personale agostiniana, soprattutto in merito alla questione della sua alienazione e della sua dipendenza da una “vocazione”. Per parafrasare la celebre frase della Città di Dio75, due amori non solo fanno due città, ma danno anche origine a due manifestazioni della identità personale: l’amor sui conduce a una perdita di coscienza e di conoscenza di sé, a una alienazione da sé; l’amor Dei (inteso prima come amore da Dio e poi per Dio) invece conduce alla presa di coscienza della propria identità personale e al compimento del suo dinamismo («vocazione»).

———–– 73 AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Quod uerbum amore concipitur siue

creaturae siue creatoris, id est aut naturae mutabilis aut incommutabilis ueritatis». 74 AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «aut cupiditate aut caritate». 75 AGOSTINO, De Civitate Dei, 14,28 (CCL 48,451): «Fecerunt itaque civitates duas amores

duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui».

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 501

IV. L’ALIENAZIONE DA SÉ

Cominciamo con la relazione tra il tipo sbagliato di amore e l’alienazione da sé. Esso è illustrato dal paradosso già menzionato che tanto cruccia Agostino: come mai il «conosci te stesso» è dovuto diventare un comando, malgrado la conoscenza di sé costituisca la sostanza stessa della nostra anima? Questo paradosso è scelto per illustrare le conseguenze della concu-piscenza sulla conoscenza di sé e, attraverso la conoscenza di sé, sull’intero processo di conoscenza e diventa così il punto di partenza per dimostrare quale sia l’unico modo di restaurare la conoscenza umana, vale a dire l’amore (dilectio) ristabilito e esemplificato da Cristo e riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. O, per usare il tema dell’imma-gine di Dio, per dimostrare come l’immagine sia rinnovata o riformata nella conoscenza di Dio, nella agnitio Dei. Come è possibile, dunque, che un dato gnoseologico così fondamentale come la conoscenza di sé ci sia diventato inaccessibile? Tutta la sezione compresa tra i libri 9 e 14 può essere vista come un tentativo per risolvere questo mistero. Agostino stesso dichiara apertamente nel libro 14 che la sua intenzione era stata quella di condurre il suo lettore a riconoscere che non conosce, che ignora la cosa più fondamentale riguardo a se stesso, vale a dire che è conoscenza di sé76. Il suo stesso sforzo di chiarificazione non acquieta completamente la sua perplessità: «Come possa [la mente] non essere percepita da se stessa quando non pensa a se stessa, visto che non può esistere senza se stessa, come se essa sia una cosa e la percezione di se stessa un’altra: ecco una cosa che non so scoprire»77. Nel tentare di spiegare questa anomalia, egli sviluppa una sorta di genesi dell’alienazione da sé che è uno dei passaggi più suggestivi di tutto il trattato e che deve essere analizzato da vicino78. Il colpevole di questa disastrosa dimenticanza di sé è la concupiscenza, cioè il disordine nella relazione tra usare e gioire delle cose (uti e frui). La perversione della nostra volontà è collegata all’orgoglio: attribuiamo questi doni a noi stessi per un rifiuto di riconoscere la nostra dipendenza da Dio, per una auersio: «ma invece di restare calma e di gioire di essi come occor-rerebbe farlo, la mente vuole rivendicarli per sé, e piuttosto che essere come

———–– 76 AGOSTINO, De Trinitate, 14,9 (CCL 50A,432-434). 77 AGOSTINO, De Trinitate, 14,8 (CCL 50A,431): «Quomodo autem quando se non cogitat

(mens) in conspectu suo non sit cum sine se ipsa numquam esse possit quasi aliud sit ipsa, aliud conspectus eius, inuenire non possum».

78 AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320).

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lui per mezzo dei suoi doni, vuole essere ciò che egli è per se stessa. Così si allontana da lui»79. Il primo risultato di questo allontanamento (auersio) è una situazione di permanente insoddisfazione, poiché solo Dio può soddisfarci. Ne consegue una concentrazione sempre più ansiosa sulle nostre azioni e sui piaceri tratti dalla conoscenza delle realtà esteriori, quae foris sunt. La natura fuggevole di questa realtà causa un senso di insicurezza permanente che contribuisce al carattere ossessivo del nostro coinvolgimento in esse. Il combinarsi dell’influenza di questa ansietà e di questa insicurezza conferisce una tale forza alla capacità della concupiscenza di unirci all’oggetto conosciuto, che diventiamo progressivamente incapaci di discernere tra ciò che conosciamo e noi stessi. In un certo qual senso, conferiamo all’oggetto bramato qualcosa della nostra essenza – diventiamo cioè ignari della nostra natura spirituale e perdiamo ogni distanza rispetto alle nostre azioni, alle cose che desideriamo, agli oggetti che possediamo: «la mente si sbaglia quando congiunge se stessa a queste immagini con un amore così estravagante che arriva a percepire se stessa come qualcosa dello stesso tipo. [...] Insomma, quando la mente perce-pisce se stessa in questo modo, pensa di essere essa stessa corporale»80. La genesi della nostra alienazione da noi stessi può dunque essere riassunta come segue: concupiscenza e orgoglio, tentativi ansiosi di trovare la nostra soddisfazione altrove che in Dio, progressiva dipendenza da ciò che è esteriore a noi fino al punto di dimenticare noi stessi (obliuio sui) e di diven-tare incapaci di percepire noi stessi separatamente dalle realtà esterne alle quali ci aggrappiamo così disperatamente. La dimenticanza di sé, cioè la perdita della nostra capacità naturale di conoscere noi stessi, risulta dalla errata articolazione tra usare e gioire, cioè da un amore di sé invertito. Perdia-mo la capacità di pensare noi stessi (se cogitare), di desiderare o di amare secondo la nostra propria natura: «sotto colui al quale dovrebbe essere soggetta e sopra ciò che dovrebbe dominare; sotto colui dal quale dovrebbe essere governata, sopra ciò che dovrebbe governare»81. Questa perdita non solo conduce a un fallimento dal punto di vista etico, cioè al totale capovolgimento del giusto ordine dell’amore, ma ha ulteriori conseguenze per la conoscenza in se stessa che si lasciano intravedere dietro gli errori di carattere filosofico. Giusto dopo il passaggio fin qui riassunto, Agostino stabilisce un legame tra la dimenticanza di sé che ostacola la conoscenza di sé e una serie di errori filosofici che riguardano la natura

———–– 79 AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320): «Et cum stare debeat ut eis fruatur, uolens

ea sibi tribuere et non ex illo similis illius sed ex se ipsa esse quod ille est auertitur ab eo». 80 AGOSTINO, De Trinitate, 10,8 (CCL 50,321): «Errat autem mens cum se istis imaginibus

tanto amore coniungit ut etiam se esse aliquid huiusmodi existimet. [...] Cum itaque se tale aliquid putat, corpus esse se putat».

81 AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320): «sub eo scilicet cui subdenda est, supra ea quibus praeponenda est; sub illo a quo regi debet, supra ea quae regere debet».

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IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO 503

dell’anima. La causa degli errori dei fisici, degli atomisti, degli stoici che identificarono la natura dell’anima con una delle realtà corporali è la perdita della nostra capacità di conoscere noi stessi. Tutti questi filosofi non avevano capito che la mente è una sostanza incorporea e che la causa di questo errore non è che la mente non è conoscibile nella sua natura spirituale, ma nel fatto che aggiungiamo delle immagini corporali a essa82. Infatti,

poiché essa [la mente] è nelle cose alle quali pensa con amore — le cose sensibili, cioè le cose corporee — con le quali si è familiarizzata per amore, essa non è più capace di essere in se stessa senza le immagini dei corpi. L’origine del suo errore umiliante è nella sua incapacità di separarsi dalle immagini delle cose sentite per vedersi sola. Quelle infatti si sono unite a essa in modo straordinario con il legame dell’amore ed è questa la loro impurità, perché quando si sforza di pensare sé sola, si identifica con ciò senza cui non può pensarsi83.

V. CARITÀ E IDENTITÀ PERSONALE

Se dunque da una parte la cupiditas imprigiona nell’oblio di sé e impedisce una presa di coscienza della propria identità personale, dall’altra la carità ci libera da questa cecità e conduce alla conoscenza di sé autentica. Un passaggio del libro 9, già parzialmente citato, ci aiuterà a precisare questo punto:

Questo verbo è concepito per amore o della creatura o del creatore, cioè o della natura mutevole, o della verità immutabile. È dunque per concupiscenza o per carità; non che non si debba amare la creatura, ma se questo amore viene riferito al creatore, non sarà più concupiscenza, ma carità. C’è infatti concupiscenza, quando la creatura è amata per se stessa. Allora non è più di utilità per chi ne usa, ma corrompe chi di essa fruisce. Dato perciò che la creatura o ci è uguale o ci è inferiore, bisogna usare di quella inferiore in vista di Dio, fruire invece di quella uguale, ma in Dio. Come infatti tu devi compiacerti di te stesso, non in te stesso bensì in Colui che ti ha creato, così pure di colui che ami come te stesso. Di noi dunque e dei fratelli gioiamo in Dio e non osiamo abbandonarci a noi stessi e lasciarci trascinare, per così dire, verso il basso84.

———–– 82 AGOSTINO, De Trinitate, 10,9s (CCL 50,322). 83 AGOSTINO, De Trinitate, 10,11 (CCL 50,324): «quia in his est quae cum amore cogitat,

sensibilibus autem, id est corporalibus, cum amore assuefacta est, non ualet sine imaginibus eorum esse in semetipsa. Hinc ei oboritur erroris dedecus dum rerum sensarum imagines secernere a se non potest ut se solam uideat; cohaeserunt enim mirabiliter glutino amoris. Et haec est eis immunditia quoniam dum se solam nititur cogitare hoc se putat esse sine quo se non potest cogitare».

84 AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Quod uerbum amore concipitur siue creaturae siue creatoris, id est aut naturae mutabilis aut incommutabilis ueritatis. Ergo aut cupiditate aut caritate, non quo non sit amanda creatura, sed si ad creatorem refertur ille amor, non iam cupiditas sed caritas erit. Tunc enim est cupiditas cum propter se amatur creatura.

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Per cominciare, questo passaggio risolve la questione dell’articolazione tra usare e gioire nell’amore per il prossimo e per Dio. Le altre persone non svolgono un ruolo semplicemente strumentale (uti) in vista di un diletto (frui)che ci è permesso di cercare solo in Dio. Al contrario, c’è un riposo, una gioia, un diletto già nella carità fraterna. La carità fraterna non è semplicemente un mezzo in vista di un fine, ma un fine in se stesso, inseparabile dal fine ultimo dell’amore per Dio. Dire che occorre gioire del fratello non «in vista di» Dio, ma «in» Dio, significa che lo amiamo «da» Dio, «per mezzo di» Dio. In altre parole, l’articolazione tra usare e gioire in questo passaggio presuppone la teologia della carità sviluppata nel libro 8 del De Trinitate:

Questa connessione [tra 1Gv 4,16 e 4,7] mostra in maniera sufficiente e chiara che questo amore fraterno [...] non solo viene da Dio, ma che, secondo una così grande autorità, è Dio stesso. Quando dunque amiamo il fratello per mezzo dell’amore (de dilectione), amiamo il fratello per mezzo di Dio (de deo)» 85.

Ma c’è di più. Questo passaggio mostra che anche l’amore di sé (cioè questo amore di sé che è elemento costitutivo della conoscenza e della memoria di sé, cioè della nostra identità personale) obbedisce esattamente alla stessa relazione tra uti e frui valida per l’amore del prossimo: «Come infatti tu devi compiacerti di te stesso, non in te stesso bensì in Colui che ti ha creato, così pure di colui che ami come te stesso. Di noi dunque e dei fratelli gioiamo in Dio»86. Possiamo e anzi dobbiamo amare noi stessi «per mezzo» dell’amore che viene da Dio (dilectio), esattamente come dobbiamo farlo per l’amore del prossimo. Esiste un giusto tipo di riposo, di diletto, di gioia in se stessi che non solo non ci distoglie da Dio, ma già rappresenta un’anti-cipazione del riposo, del diletto e della gioia che troveremo in Dio nella vita futura. L’identità personale implica dunque il riferimento alla carità senza la quale non vi è un autentico amore di sé e dunque non vi è memoria di sé e conoscenza di sé — e questa carità esiste solo in movimento, solo nell’atto di essere ricevuta e di riversarsi verso il prossimo e verso Dio. Ma una vo-cazione e una pro-vocazione sono costantemente necessari per avviare e ———–– Tunc non utentem adiuuat sed corrumpit fruentem. Cum ergo aut par nobis aut inferior creatura sit, inferiore utendum est ad deum, pari autem fruendum sed in deo. Sicut enim te ipso non in te ipso frui debes sed in eo qui fecit te, sic etiam illo quem diligis tamquam te ipsum. Et nobis ergo et fratribus in domino fruamur, et inde nos nec ad nosmetipsos remittere et quasi relaxare deorsum uersus audeamus».

85 AGOSTINO, De Trinitate, 8,12 (CCL 50,288): «Ista contextio satis aperteque declarat ipsam fraternam dilectionem [...] non solum ex deo sed etiam deum esse tanta auctoritate praedicari. Cum ergo de dilectione diligimus fratrem, de deo diligimus fratrem».

86 AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Sicut enim te ipso non in te ipso frui debes sed in eo qui fecit te, sic etiam illo quem diligis tamquam te ipsum. Et nobis ergo et fratribus in domino fruamur».

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sostenere questo processo, vale a dire una mediazione temporale e storica costituita tanto dall’economia della salvezza, quanto da quella delle relazioni con altri-da-sé, o il prossimo, o la comunità di coloro che sono con-vocati nel quadro di questa stessa economia, ne diventano consapevolmente gli attori e i testimoni nei confronti dell’umanità intera. Due osservazioni vanno fatte a questo riguardo. In primo luogo, non è superfluo ricordare che l’Agostino del De Trinitate èlo stesso successivamente impegnato nella crisi donatista e poi in quella pelagiana, nel corso delle quali elabora con vigore il carattere storico, comunitario, concreto della carità e l’inabilità dello spirito creato di salvare se stesso87, quindi la necessità dell’iniziativa di Dio, della vocazione e della pro-vocazione di Dio. Poi, occorre almeno menzionare l’argomento del libro 8 del De Trinitate, consacrato appunto ad affermare l’inseparabilità tra amore da/per Dio e amore per il prossimo. Se ci scopriamo capaci di amare è perché siamo nati da Dio e perché già lo conosciamo88. C’è quindi una priorità dell’amore per il prossimo, cioè della manifesta-zione esteriore, storica e comunitaria di questo amore sulla sua percezione interiore: «Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio»89. L’identità personale, dunque, formalmente descritta come «memoria di sé, conoscenza di sé, amore di sé», implica necessariamente il riferimento ad altri da sé. Tutta la pedagogia del DT intende condurre a conoscere e speri-mentare se stessi come immagine, come riflesso di una realtà, una res altra, che è appunto Dio90. Concretamente, essere immagine vuol dire aver bisogno di riferirsi, di relazionarsi ad altri rispetto a sé, cioè a Dio e più esattamente all’economia attraverso la quale Dio si fa conoscere e agisce: «La risposta ———––

87 R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge» (cf. nt. 29), 132. 88 AGOSTINO, De Trinitate, 8,12 (CCL 50,288). 89 Cf. AGOSTINO, In Johannis evangelium tractatus, 17,8 (CCL 36,175): «Dilige ergo

proximum et intuere in te unde diligis proximum; ibi uidebis, ut poteris, deum». 90 Tutto il discorso agostiniano sulla soggettività si sviluppa come una esegesi di Gen 1,26:

«E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza». Alla luce della dottrina agostiniana della creazione, appare quanto questa immagine non sia una realtà statica. Piuttosto che una immagine di Dio, sarebbe più esatto chiamarlo immagine da Dio e verso Dio, poiché in essa la volontà à sospinta da una carità il cui solo compimento, la cui sola beatitudine è il riposo in Dio. Si è spesso colpiti nel constatare quanto la definizione del desiderio e quella dell’immagine di Dio in Agostino si assomiglino tra di loro e si correspondano. Cf. R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 72: «We must therefore properly speak not simply of desire for God, but rather desire of God. God is both the object of our desire and he who places this desire for himself within us». La soggettività moderna, in termini agostiniani, corrisponderebbe piuttosto a un rinnegamento di sé come immagine: «se ci fosse un uso del termine «sé» (self) riconducibile ad Agostino, sarebbe quello dell’anima orgogliosa che ha reificato se stessa come res ultima, rispetto alla quale anche Dio è diventato significatore», J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 127 (mia traduzione).

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alla “rettificazione” dell’immagine, per ri-formarla dalle sue inversioni e ricondurla allo stato di «riferimento-a», non è maggiore introspezione, ma attenzione alle realtà esteriori che aiutano a mediare questa ri-forma nell’amore di Dio in Cristo»91. Appare dunque con evidenza quanto la riflessione agostiniana su di sé «non sia una percezione della mente stessa come oggetto, ma una presa di coscienza dell’attività della mens e del suo movimento. Questo movimento diventa a sua volta intellegibile solo come il movimento del desiderio»92. È noto il ruolo della delectatio nella dinamica morale e gnoseologica agostiniana, vale a dire la necessità di una sorgente esterna di attrazione: «Una persona non può entrare in azione autonomamente, puramente volendolo. [...] La sola sorgente di azione possibile è la delectatio: niente altro muove la volontà»93. Due citazione di Agostino tra innumerevoli altre lo attestano:

«Chi abbraccia con l’anima qualcosa che non lo diletti?»94.

«E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene»95.

Diletta ciò che è altro da sé, non solo perché esteriore all’anima, ma perché indipendente dal controllo assoluto della volontà: «La psicologia di Agostino diventa un sottile gioco tra la volontà cosciente e una sorgente di motivazione che sfugge al controllo della volontà»96. Il processo di unificazione che caratterizza l’ascesi e la mistica agostiniana avviene certo grazie a una interiorizzazione che permette di sottrarsi alla frammentazione insita nell’esperienza della condizione temporale. La presa di distanza dalle realtà temporali insita in questa interiorizzazione, però, è selettiva. Non tutte le realtà temporali sono un ostacolo, anzi questa presa di distanza è permessa proprio da quelli che nel De Trinitate sono chiamati gli utilia temporalia, gli elementi temporali e sensibili “utili”, quelli cioè attraverso i quali Dio viene a noi e noi andiamo a Dio97, quelli attraverso i

———–– 91 J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 128. 92 R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge» (cf. nt. 29), 122. 93 R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 92-93, che quota i passaggi che seguono. 94 AGOSTINO, Ad Simplicianum, 1,21 (CCL 44,53) «Quis autem animo amplectitur aliquid

quod eum non delectat?». 95 AGOSTINO, De spiritu et littera, 3,5 (CSEL 60,157): «et cum id quod agendum et quo

nitendum est coeperit non latere, nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur».

96 R. INNES, «Integrating the Self » (cf. nt. 24), 93. 97 AGOSTINO, De Trinitate, 4,24 (CCL 50,191-193), dove afferma che esattamente come

l’amore disordinato per ler realtà temporali era l’espressione della nostra condizione peccatrice, così queste stesse realtà temporali sono necessarie per il processo di guarigione: ci

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quali l’amore di Dio converte la nostra volontà e restaura la nostra capacità di amare in modo retto. Questa considerazione apre la questione della relazione tra tempo e costitu-zione dell’identità personale che potremo qui solo rapidamente menzionare. Da quanto affermato finora, è chiaro che è difficile conciliare la conce-zione agostiniana dell’identità personale e l’esistenza di un presente senza tempo, non storico e eterno accessibile al pensiero umano98. Il ricorso al concetto di sostanza, una semetipsius tota ac simul possessio (definizione dell’eternità di Boezio) implica che la temporalità è accidentale nella defini-zione del sé: il sé non possiede nessuna storia. Ma una tale «detemporaliz-zazione del sé non fa che renderlo ancora più enigmatico» e concretamente «non interviene se non in gravi forme di patologie»99. «L’idea di una coscienza spettatrice fuori dal tempo di ciò che le appare temporalmente è trivialmente falsa», poiché «non esiste una coscienza del tempo, come se il tempo fosse [...] suscettibile di diventare il contenuto della coscienza. C’è, invece, la coscienza perpetua di un flusso. [...] La coscienza non è la testi-mone atemporale di un flusso di apparizioni, ma è presa in esso. Il tempo misura tanto il sé quanto l’altro da sé che gli appare»100. Vi è dunque uno stretto legame tra identità personale e tempo, tra l’enigma dell’io e l’enigma del tempo, non per caso trattati consecutivamente nei libri 10 e 11 delle Confessioni. L’io di Agostino è immerso nel tempo; la nostra identità personale è storica al punto da essere costituita, secondo Agostino, dalle esperienze delle quali ci ricordiamo pienamente, malgrado la sua consapevolezza dell’esistenza paradossale di zone di esperienza che possiamo solo parzialmente ricordare101. È il presupposto fondamentale della distensio:«appartiene all’ego di durare; gli appartiene di affermare la sua uguaglianza a se stesso nel tempo (o malgrado il flusso temporale); gli appartiene di non essere mai raccolto in un punto nel tempo, ma di essere disteso tra ciò che è stato e ciò che non è ancora»102. Ritroviamo quindi anche nella relazione al tempo la concezione dinamica e estroversa dell’identità personale: «Non possiamo parlare della coscienza e del suo presente (vivente), senza parlarne come di una coscienza vivente; e il vivente si manifesta sempre in un

———–– sono realtà temporali utili (utilia temporalia) che «ci aiutano a ritrovare la salute e, una volta risanati, ci conducono alle realtà eterne», «suscipiunt sanandos et traiciunt ad aeterna sanatos».

98 W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 83. 99 J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi», La phénoménalité de Dieu: neuf études, Paris 2008, 188. 100 J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 180-181 (mia traduzione). 101 G. O’ DALY, Augustine's Philosophy of Mind, London 1987, 135 e 148, citato da

R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 85. 102 J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 187.

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dispiegamento temporale. [...] Parlare di distensio è parlare di un io capace di mettere tra parentesi tutto ciò che non sia la sua soggettività»103.

VI. CONCLUSIONE

È dunque chiaro quanto una interpretazione della dinamica agostiniana di interiorità e trascendenza in chiave «moderna» o «pre-cartesiana» sia inatten-dibile104. Tanto le Confessioni dal punto di vista narrativo, quanto il De Trinitate da un punto di vista gnoseologico e metafisico ci orientano in senso esattamente opposto. Non vi è conoscenza di sè senza amore di sè. Tuttavia l’amore non è mai neutro, ma può essere solo di due tipi: o è un amore disordinato che distrae da sè e impedisce del tutto la conoscenza di sè; o è l’amore teologale e ecclesiale, la carità, che ristabilendo la giusta relazione tra se stessi, Dio e le altre creature, restituisce la possibilità di conoscere se stessi. Una tale dinamica della conoscenza di sè potrà essere descritta non semplicemente in termini di interiorità e trascendenza, ma di vocazione o pro-vocazione divina, dono della carità mediata storicamente nella comunità ecclesiale e solo allora interiorizzazione e, se si vuole, trascendenza. Per definizione infatti la carità precede ogni movimento di interiorità o interio-rizzazione, ci raggiunge solo per mezzo dell’incarnazione del Figlio e della predicazione (cioè della Parola), è autentica solo nell’atto di amare i fratelli. Ne emerge una fisionomia dell’identità personale inaspettata: essa è preceduta dall’iniziativa di Dio ed è resa possibile solo attraverso la media-zione temporale dell’appartenenza alla comunità di coloro che sono stati condotti a prendere coscienza di essere amati da Dio e che ritrovano così la possibilità di amare e conoscere se stessi in Dio. L’identità personale agosti-niana è dunque teologale, storica ed ecclesiale.

Pontificio Ateneo S. Anselmo Luigi GIOIA, OSB Piazza Cavalieri di Malta, 5 00153 Roma (Italia)

———–– 103 J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 187. 104 Non ci soffermiamo qui su quanto una interpretazione di Cartesio che sottoponga la

certezza di Dio alla certezza di sé sia essa stessa attendibile. Per un confronto su questa questione tra Agostino e Cartesio, cf. J.-L. MARION, Au lieu du soi. L’approche de Saint Augustin, Paris 2008, 89-108.

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RIASSUNTO

Descrivere l’identità personale agostiniana in termini di interiorità e trascendenza non è sufficiente. Tale approccio ha condotto a una interpretazione dell’io neutrale e non storica che precederebbe e addirittura fungerebbe da fondamento alla conoscenza di Dio. Se si esamina il dinamismo della conoscenza di sé nelle Confessioni e nel DeTrinitate ci si rende conto al contrario di quanto l’identità personale agostiniana sia teologale, storica ed ecclesiale.

Parole chiave: Agostino, identità personale, conoscenza di sé, interiorità, trascen-denza, Confessioni, De Trinitate.

ABSTRACT

Describing the Augustinian notion of personal identity in terms of interiority and transcendance is not enough. This approach has led to a neutral and non historical notion of the self which would precede knowledge of God and even act as the latter’s foundation. Examination of the dynamism of self-knowledge in the Confessions and in the De Trinitate shows the extent to which the Augustinian notion of personal identity is theological, historical and ecclesial

Keywords: Augustine, Personal identity, Self-knowledge, interiority, transcendance, Confessions, De Trinitate

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