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Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima, il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola come una trappola da sacrificio, è quindi venuto il momento di cantare una esequie al passato. Alda Merini, da "La Terra Santa" di una sopravvivenza negata. IL MENESTRELLO DEI SEMPLICI Scrivere… perché? Scrivo da sempre, è il mio modo di comunicare con gli altri e con me stessa. Scrivo di getto e devo fare in fretta per non rischiare che il pensiero sfugga. Spesso scrivo intuizioni che comprendo dopo qualche tempo perché la penna arriva prima della coscienza. Scrivo i sussurri dell’aria e lo sguardo della gente, il viaggio introspettivo in rapporto con la vita. Il mio pensiero è il pensiero di chiunque nel quotidiano, nella stanchezza di un vivere confuso, nella difesa sempre alta che ci impedisce di vedere e godere ciò che siamo e ciò che abbiamo intorno. Con la rabbia dell’impotenza contro le ingiustizie, ma anche l’importanza dell’amicizia, dell’amore vero, profondo, della generosità d’animo contro la grande paura di donarsi e donarci neutralizzando il cinismo che ci difende e ci offende in quest’epoca illusoria di apparenza e possesso. Sono soltanto un menestrello, “il menestrello dei semplici” perché semplici sono le mie parole, recitate su una panchina nel parco o una piazza, per chi passa e afferra una frase nella corsa verso un dove… e magari si ferma un istante a pensare. Le emozioni le vivo mentre le scrivo, non potrei farlo su commissione. E' non riuscire ad entrare in certi schemi mentali e quindi soffrire il disagio di un diverso approccio alla vita. Pensare è strettamente legato alla penna che è strumento di comunicazione di un sentire l'esistenza al di fuori delle convenzioni. Poesia è il sospiro dello spirito che incontra se stesso Verità svelata in un sussulto di penna. Uno sguardo profondo sull’esistenza uno sguardo intenso, da afferrare prima che fugga. La parola è una piccola scintilla che accende un grande fuoco.

Il menestrello dei semplici (finito)

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Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,

il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola

come una trappola da sacrificio,

è quindi venuto il momento di cantare

una esequie al passato.

Alda Merini, da "La Terra Santa"

di una sopravvivenza negata.

IL MENESTRELLO DEI SEMPLICI

Scrivere… perché?

Scrivo da sempre, è il mio modo di comunicare con gli altri e con me stessa.

Scrivo di getto e devo fare in fretta per non rischiare che il pensiero sfugga.

Spesso scrivo intuizioni che comprendo dopo qualche tempo perché la penna arriva prima della

coscienza.

Scrivo i sussurri dell’aria e lo sguardo della gente, il viaggio introspettivo in rapporto con la vita.

Il mio pensiero è il pensiero di chiunque nel quotidiano, nella stanchezza di un vivere confuso, nella

difesa sempre alta che ci impedisce di vedere e godere ciò che siamo e ciò che abbiamo intorno.

Con la rabbia dell’impotenza contro le ingiustizie, ma anche l’importanza dell’amicizia, dell’amore

vero, profondo, della generosità d’animo contro la grande paura di donarsi e donarci neutralizzando

il cinismo che ci difende e ci offende in quest’epoca illusoria di apparenza e possesso.

Sono soltanto un menestrello, “il menestrello dei semplici” perché semplici sono le mie parole,

recitate su una panchina nel parco o una piazza, per chi passa e afferra una frase nella corsa verso

un dove… e magari si ferma un istante a pensare.

Le emozioni le vivo mentre le scrivo, non potrei farlo su commissione. E' non riuscire ad entrare in

certi schemi mentali e quindi soffrire il disagio di un diverso approccio alla vita. Pensare è

strettamente legato alla penna che è strumento di comunicazione di un sentire l'esistenza al di fuori

delle convenzioni.

Poesia è il sospiro dello spirito che incontra se stesso Verità svelata in un sussulto di penna. Uno sguardo profondo sull’esistenza uno sguardo intenso, da afferrare prima che fugga.

La parola è una piccola scintilla che accende un grande fuoco.

Il menestrello Il pensiero è uno starnuto trattenuto, implode inespresso nell’universo di emozioni vibrando come corda di violino. Il pensiero cerca parole per fare di visioni una poesia. Ma sono un menestrello, il menestrello dei semplici e lo starnuto del poeta resta inespresso. Sono un menestrello, cavalcando un aquilone folle parlo a te, che distrattamente passi, cantandoti le mie canzoni naif.

Natura è femmina L’universo è nel nostro grembo, nell’universo ci nascondiamo. Non un ruolo, ma mille ne rivestiamo nella nostra eclettica natura. Natura è femmina, fautrice di vita! Natura crudele nella difesa del perfetto, crudele con le sue incubatrici. Relegata la nostra vita nella tua violenta mano che affondi ingrata, nel nostro ventre. Con mille inganni a noi affidi il compito dell’infinito. Siamo la vita, la fantasia, il coraggio … Siamo tenerezza, comprensione, accoglienza … Siamo tue figlie amate, usate, ingannate! Non c’è scampo dalle tue lusinghe! Nella nostra ribellione siamo nemiche di noi stesse. Illusione spezzare le catene che ci legano al tuo disegno. Dentro di noi ci nascondiamo, dentro di noi, nel nostro universo.

la natura ha scelto male la razza dominante … di tutte le razze quella umana è la più devastante!

Un senso alla vita Guarda nei miei occhi, sono una donna delusa! Il dominio è nella prostituzione dello spirito. Sodoma e Gomorra, soffocate da una pioggia di fuoco, avevano bisogno d’amore! Il seme della follia acceca potenti e popoli. Sopraffare il nostro simile è il solo scopo. Guarda nei miei occhi, sono una donna in cerca di un’anima, un senso più degno alla vita. Arde nelle nostre viscere il terrore d’amare. Sodoma e Gomorra sono qui, sopravvissute, ignorando gli innocenti! la felicità è semplice, amarsi è semplice. Il bambino nel suo candore sa bene cosa vuole, sa quando ha fame, sete, voglia di coccole... si conosce. Poi impara a camminare e si perde. Continuerà a cercarsi fino allo sfinimento. Più si cercherà, più si confonderà perché spenderà troppe energie nel cercare di essere come gli altri vogliono che sia, per essere amato.

Il pudore dei sentimenti Una carezza è imbarazzante e dolorosa se non si è avvezzi a riceverla. E’ paura che si prova nel sentire l’anima nuda sciogliersi di fronte a un emozione. E’ pudore disarmante davanti a una parola, un tenero gesto che può costare il cuore. Una carezza in ritardo è una mina nelle viscere. Un debito inestinguibile per gratitudine esagerata. E’ terrore della nostra capacità di provare amore, perché il suo rifiuto è tradimento.

Indosserò il mio vestito di spine, vomitando sulle false libertà.

Sconfitti e rassegnati Hanno un sorriso spento, lo sguardo malinconico, l’animo inaridito. Percorrono la stessa via ogni giorno, ma non sanno dove conduce. Si alzano al mattino senza sogni, vanno a letto la sera senza sonno. Fanno l’amore senza passione e, poco dopo, dimenticano d’averlo fatto. Mangiano senza gusto, bevono senza sete, amano senza amore. Sopravvivono pagando sogni che non hanno. Eppure, in un angolo dimenticato in fondo al cuore, hanno il sapore di terre lontane. Insaziabile fame d’aria con i suoi profumi. Il sorriso di un amico, l’entusiasmo di un bambino. Il brivido di un travolgente amore … Ma se un desiderio emerge dalla polvere dell’apatia, un angosciante disagio li assale, soffocando qualunque sentimento che risvegli la voglia di vivere.

Il mostro Guardavo occhi volutamente distratti, sopra labbra mascherate di un sorriso sfuggente, a giustificare il vuoto di parole. Così, ho capito che il bagaglio è solo mio, indivisibile. Ho ancora i primi denti senza radici, ma sento ciò che sentite. Sento la vostra fuga da me, il rifiuto di guardare in faccia il vostro mostro. Ingoio l’inferno, ingoio io quel mostro, con smarrimento e pudore, in silenzio. Stringo e sigillo al petto il mio nero bagaglio colmo di colpe non mie, il vostro mostro! Implodo nella negazione, incollandolo per sempre al ventre. Sarà una morsa di profonda solitudine. Una tomba senza lapide. Non ho più denti senza radici, non ho più denti … ma, qualche ruga di tante primavere. Il mostro ha trovato una fessura nella stanca pelle del mio bagaglio. Sfugge al mio controllo … e … Guardo occhi increduli e smarriti sopra labbra serrate in una smorfia risentita. Sento la vostra fuga, sento l’odore della paura, il disagio e ancora una volta -negazione-. Guardate, senza timore. Il mostro è risorto per avere pace. Sa che neanche lui è colpevole!

… Accettare il passato per vivere il presente, dissolvere i sensi di colpa perché non ci sono colpe ma solo avvenimenti, spesso indipendenti dal nostro e dall'altrui volere. Riconoscere e contattare il nostro dolore ci aiuta ad esorcizzarlo, rimuoverlo spesso significa vederlo riaffiorare sotto mentite spoglie...

Oggi tutto è possibile Se questo mondo ti ruba i sogni, ti avvelena la mente dimenticandosi di te, se ogni minuto chiede il tuo sacrificio trasformandoti in un sacco vuoto, tu digli: “ Il mio sorriso si legge nei miei occhi e accende il mio viso. Mi sveglio al mattino e so che è un nuovo giorno, non è ieri, non è domani … gli alberi hanno una nuova foglia che ieri non c’era e domani sarà più grande. La strada che percorro ha mutato l’asfalto. E il mio sorriso si legge nei miei occhi! Sono viva e oggi guardo le mie mani, queste mani così scontatamente mie! Ed è talmente normale il loro possesso che non penso mai d’averle. Così, come i miei occhi, la bocca, i piedi … E il sorriso si legge nei miei occhi! Ogni minuto è unico, non voglio perderlo né sprecarlo, ma voglio assaporarlo fino in fondo, respirarlo … “ se il mondo ti travolge uccidendo i tuoi sogni, tu digli che oggi è diverso da ieri e non è ancora domani. Se vuole spegnere i tuoi sogni Accendili con un sorriso perché oggi tutto è possibile!

Capodanno Un ultimo giro di lancette e il mondo prende fuoco. La promessa è nel primo nuovo minuto dove sono riposti i nuovi propositi, ma è un tempo rimescolato come un mazzo di carte … Che resti almeno lo stupore fanciullo della festa.

Inno all’innocenza Inerme nell’acerbo tempo, guardo il mondo con sorriso curioso. Con passo traballante e coraggioso. Credo, imparo … ma … l’innocenza è ignorata! Tradita brutalmente! Mi assolvo dall’ ostinata Ingenuità che nulla ha corrotto. Resterò derisa e disarmata di fronte all’imbroglio. Nulla mi toglie! Lo trasformerò, rispondendo con un sorriso amaro di patetica pena.

È sugli innocenti che cade la malvagità del presunto padre che ha fatto i suoi figli a sua immagine e somiglianza!

Mulini a vento Ci si prendeva gioco di me quando, cucciolo di cane ancora malfermo sulle zampe, mi scagliavo ringhiando contro l’orribile gigante che minacciava violenza sui miei cari. Si rideva della mia furia ed io non capivo la canzonatura. Sono nata paladina derisa, il Don Chisciotte dei poveri! La follia è la stessa come l’ostinazione. L’uomo! Creatura strana! Ruba il veleno alla vipera ma la schiaccia se ferita minaccia il morso. Elargisci a piene mani se vuoi un posto in paradiso! Ti basterà una mancanza per perderlo. Un cuore grande non vola come un palloncino, affonda come un sasso negli abissi. Il dolore allontana, annoia e allora ridi... ridi per non restare solo, ma quel tarlo ti rode dentro

celato dal sorriso che io chiamo, "il bavaglio a mezzaluna". Ti impedisce quella carezza che vorresti

fare e resta chiusa nel pugno perché la rabbia, la sfiducia e la difesa sono più forti del desiderio del

disarmo.

Sono un’ onda che cerca di sfuggire al mare al quale appartiene, lambisco la riva, mi ci aggrappo per poi tornare a largo. Un giorno m’infrangerò su uno scoglio che spezzerà i miei legami e offrirò al sole la mia preghiera.

Mimì A Mia Martini Mimì dal timido gesto, Mimì compagna di ribellione. Da una fiaba raccontata danzando sul mio smarrito dolore, scivolano lenti i veli dai ricordi. Da una fiaba raccontata scopro nei fogli il mio riscatto. Mimì tra le stelle, sconosciuta amica … chi ci ha rapito il tempo e le carezze? La tua fiaba apre una finestra all’amore, ma il perdono è una ruvida carezza sul male di vivere.

Un sogno ho disegnato un mio bisogno, l’ho fatto indossare a un sogno dandogli vita. Il sogno non aveva spazio e non ha guardato il suo ritratto. Ma la follia di credersi vero ha squarciato il reale. Un parto isterico il mio! Ho permesso al mio bisogno di fare di me una schiava . Mi ameresti tu che rispondi al mio disegno? No! Io sarò dannata nell’estasiata ammirazione dell’altrui vita. mondo è troppo grande per due soli occhi, la vita è troppo intensa per una sola testa e troppo breve per due sole gambe.

Piombo fuso Per un istante ho avuto fiato, scoprendomi un sorriso nel vedere le mie lacrime. Ci si spalma addosso piombo fuso, senza risparmio, sul cuore , sugli occhi … Piombo fuso e Prozac nel cervello, per non vedere, non sentire il calore di lacrime. Siamo inespugnabili castelli pronti a sputare pece bollente dalle feritoie. Pece bollente su chi minaccia le nostre coperte di piombo. Per istanti sparpagliati ho amato, ed ho sorriso assaporando le mie lacrime. Quando tagli i fili di un intricato groviglio, non sai mai cosa ti può crollare addosso!

Donare per vivere Lascia libero il mio talento, il dare non serve a chi riceve ma all’ anima del donatore che così esulta. Non istillare in me la paura del dubbio e la rabbia della difesa. Non avvelenare la mia aria per chiudere i miei occhi. Il germe infetto della gelosia, ci priverà di ciò che desideriamo. Costringermi alla difesa cancella l’orizzonte, inaridisce l’anima, priva di senso la vita . Lascia che senta la commozione dell’empatia che apre il petto lasciando che il mio cuore voli, invece di affondare negli abissi del nulla. Dare è luce che si spande intorno per tornare riflessa in uno specchio. Dare è il ventre che si apre per accogliere l’essenza della vita. Lasciami libera di espandere la mia energia, ho bisogno di donarla perché diventi più grande. Il tempo è solo un’illusione e la pelle che indossiamo non è che un vestito sgualcito.

La mia anima Siedi accanto a me anima mia. Abbandona ogni razionale pensiero, ascolta! E’ gelo che si scioglie l’acqua che ti culla. Sei sola nella bolla di sapone rapita dal vento. Nulla può portarti più in alto del tuo abbandono. Siedi accanto a me, lascia la difesa. Ti hanno mentito, ti ho mentito. La forza è una lacrima libera di commozione, non ingoiata a denti serrati. E’ nel respiro lungo, assaporato, non nel fiato corto della corsa. E’ nel profondo sentire il suono della vita, è accettare i suoi tormenti e la tua fragilità. Troppo spesso mi manchi anima mia! Mi manchi quando chiudo la porte all’emozione. Quando ti convinco che non è importante se uno sguardo mi ferisce. Mi manchi quando con un sorriso beffardo e falso ti chiudo in una bara. Quando ti tradisco e ti rifiuto. Quando ti lascio calpestare e ti calpesto anch’io. Quando ti nego l’offesa umiliandoti al silenzio. Mi manchi quando scivolo nel cinismo e mi arrendo. Quando scendo nel meschino pettegolezzo della vita. Pensi d’essere libero tagliando i lacci annodati a qualcosa o a qualcuno, ma i lacci che ti legano ai tuoi veri o falsi desideri sono quel limite invalicabile che rende la libertà un utopia.

Guai ai potenti Sedete sul trono del potere Capaci solo a rimpinguare i vostri forzieri già traboccanti. Tranquilli! Il gregge è incazzato e abbandonato, perché siete tutti chini sulla stessa mangiatoia. Quando la nave affonda, almeno i topi scappano. Voi, senza pudore e dignità, vi cibate delle carogne. Patria puttana con troppi papponi! Terra mia martoriata e offesa! Terra tutta! Perché tanta ingiustizia? Chi muove i fili della nostra sorte e divora la nostra carne vivendo della nostra paura, della nostra rabbia? Ma e naturale che solo la gazzella più forte e veloce Sopravviva al giorno. Che Dio fulmini questo olimpo e tutti i suoi dei! la paura è un arma potente per tenere buona la gente! Muscoli pronti, alta la difesa. Non lasciamoci rinchiudere nel nostro guscio ignorando i fratelli! Mano nella mano, a testa alta possiamo difendere il diritto alla vita non alla sopravvivenza!

Anche io sono Caino Folle, ho nuotato uccidendo i miei fratelli per conquistare il mio universo. Io, germoglio nutrito di umori e sangue altrui. Sconosciuto ospite in un generoso grembo. Goccia di padre, carne di madre. Io, seme di salice nell’acqua salmastra. Ho affondato le radici nel fertile terreno aspettando il sole. Piangendo l’ho salutato, urlando la paura dello strappo. Io, Caino, figlia del peccato… Pago il debito di una mela E di una costola di Adamo. natura, cultrice del perfetto! quante selezioni per avere il diritto alla vita? vince il più forte non il più giusto!

Canonica Quattro case di pietra viva si sostengono abbracciate, mentre ammirano la valle dove il Tevere scorre tranquillo. I resti di una vecchia canonica, riposano protetti dall’abbraccio, ospitando storie di tormentati spiriti. Nei miei ricordi innocenti, il tempo scorre lento sui portoni aperti. Ora, cancelli elettrici accolgono fuoristrada arroganti che solcano i serpenti bianchi, incastonati tra distese di grano. Piccolo mondo senza appariscente gloria, senza troppa storia. Rannicchiato nel mio ricordo, il profumo del pane cotto nei forni a legna, si spandeva nei vicoli, confondendosi alla lavanda ed uva fragola. La pietra levigata che lastricava le stradine, torna come una fresca sensazione sui miei piedi nudi. Piccolo popolo di bestemmiatori … C’è più fede nell’imprecazione, che in cento sterili preghiere non pensate. Il tempo scorre offendendo lo spirito, perché chiudiamo i cancelli e le nostre teste.

La custode del fuoco Ricordo un fuoco acceso , l’odore di confetti alla cannella e di orzo bollito , mentre le uova sudavano in un piccolo vulcano di cenere. Un tempo c’era un mondo intorno a quella fiamma allegra , fonte di calore e sostentamento . Un universo con tante stelle che, scoppiettando salivano su per il comignolo a raggiungere le loro sorelle . La fiamma legava gli affetti , stimolava la parola . Giochi , storie , amore , intorno a un magico falò . Lei, silenziosa custode della fiamma , trasportava fascine sulla testa , avanzando sul terreno impervio con passo da modella . Lei per ultima salutava, ordinando alla cenere di coprire la brace, perché riposasse fino al mattino . Lei apriva il mattino ordinando alla brace di accendere la cenere, per portare calore al nuovo giorno . E’ il sacrificio di una custode del fuoco che lega gli affetti , il fuoco le appartiene , ma lei non ne gode il tepore .

Gesù è mio fratello. Sono stata bambina e ne ho subito le conseguenze. Ti ho amato con empatia fratello in croce, nutrendomi della tua tacita compagnia. Poi, ho capito la tua morte e sono rimasta sola.

Silenzio

Non si ribella la foglia ingiallita e muta. Lascia al vento la carezza di mille parole. ciò che si tace è la distanza che mettiamo tra noi e la paura di scoprire la nostra identità temendo il rifiuto.

Correndo La mia esistenza è stata un treno in corsa! Se scendevo a una fermata, il treno ripartiva senza di me che restavo a corrergli dietro sfiancando i miei polmoni. Ho sgomitato l’amore temendo il guinzaglio. Ho elargito accondiscendenze per paura del rifiuto. Ho odiato la mia essenza non perdonando l’inadeguatezza. Vigliaccamente ho sbavato con il naso schiacciato sulla vetrina del mondo, sopravvivendo al silenzio. Quando la vita si è incastrata, ho rifiutato il cibo e l’affetto elemosinato e più volte, anche la stessa vita. Che inutile spreco di energie il non riuscire ad accogliersi! Più ancora mostrarsi, tanto che si perde la conoscenza di se, ansimando dietro ai fantasmi delle ossessioni.

Scende la sera. L’antica angoscia attanaglia l’anima. Qualunque casa è una prigione, forte è la smania di scappare via. Via da un ricordo sbigottito dal terrore delle mura intorno. Via dall’ essere goccia nel deserto. Sono io le pale del mio mulino, sempre io a combatterle. Non c’è poesia in tutto questo, solo tanta amarezza nel mio piangermi addosso, nell’eterna voglia di vomitare la vita, ma anche morderla come una succosa mela. È utopia pensare di condividere sensazioni. E’ solitudine accorgersi di parlare senza essere ascoltati, ascoltare senza sentire.

Tramonti Mille tramonti ho negli occhi, mille cieli stellati, con l’anima solitaria. I nostri cuori sono facili bersagli. Vagabondi cristalli di ghiaccio disciolti dal tepore di una lontana stella, di una calda parola, di uno sguardo profondo, un pensiero, un ricordo … siamo prigionieri delle incertezze, vaghiamo su una nuvola aspettando la pioggia.

Alla terra Tra le pieghe del collo si annida la stanchezza di spalle appesantite da fardelli senza più nome. Some incollate tra scapole indurite che, doloranti, incurvano verso terra. Grande madre, generosa di ultimi abbracci, ti bacio, ti accarezzo, ti abbraccio con il ventre teso ad ascoltare il tuo fremito. Mi riposo in croce per sentirti in ogni angolo di pelle, cuore contro cuore, madre mia!

L’orma fantasma I rami dell’albero si sono allungati generando altri rami. Si agitano a distanza salutandosi senza mai toccarsi. Non c’è molto di mio in questa terra testardamente mia. Il tempo tesse la sua tela, nulla è certo e stabile eppure tutto è parte del quadro della vita. Queste colline mi hanno sfiorata accarezzandomi con pennellate di odori e colori, sono parte del mio dipinto. Qui non si parla che di morte a dispetto delle nuove sconosciute vite. Non mi appartengono ma, entrambe mi sfiorano come le rotaie di un treno. Ascolto racconti, ma sono un ospite distratto. Amo questa terra, mia per così poco tempo! Amo il mio colle umilmente fiero che su tutto domina e mi concede ancora le sue grazie. Ma è solo il primo vagito a legarmi all’idealizzato, flebile ricordo. Ti saluto terra mia! Lo spirito inquieto cercava qualcosa che non è qui e non è altrove. Qualcosa che non ha avuto il tempo di esistere. Ti saluto folle nostalgia di un sogno. Recido l’ultimo filo del rimpianto e accarezzo la pace dell’unica verità.

Radici Esule, senza radici, hai accolto il mio smarrimento spalancando il sipario sulla cornice blu del tuo mare. E’ qui che diventerò edera! Qui dove i miei figli volano con i gabbiani. Qui dove le presenze si fanno famiglia e mi mostrano la strada per il mio cuore.

Non basta Non ti mancherà ciò che non vedi ma ciò che stimola i tuoi sensi. A me non basta! Nell’ignaro offendere di verbo e gesti poco hai scalfito la mia essenza. Non c’è suono d’arpa per sordi d’animo e l’arpa non gioisce di questo!

Torno sempre al nido Ombre minacciose e nere affondano rostri nell’anima. Sacra cattedrale posseduta dall’ostilità e risentimento. Eden offuscata dal delirio delle proiettate colpe. Male di vivere afferra alle spalle e piega ad affondare la testa nella terra umida di livore. Straniera, invoco la morte o il sogno, o dell’incubo il risveglio. Ma l’amore spalanca il cancello contro la fuga. Ammiccante affonda artigli nel mio petto. Impotente entro e mi lascio divorare.

Primordiale Cerco la mia atavica essenza ora che la stagione del ruggito mi scuote con violenza. Io, figlia di Marte E del capriccio d’aprile. Ignorante stratega! Mille cavalli di Troia mi hanno usurpato l’anima. Non mi arrendo, cerco il primordiale, tradito istinto a rendermi inquieta e infelice. Obliato istinto Di femmina cacciatrice e preda, felino e pecora. Eterna madre generatrice. Due gambe, un cuore per esplorare, giro di sole senza lancette. Io priva di possesso E di confini avvezza. Quale primordiale istinto perso A rendermi errante sulla terra? E morire sorridendo perché è il solo momento senza domande. Io, fabbricante di dei prostrata a scintillii duri e freddi ingordi del mio tempo. Io, piedi imprigionati e omologata testa. Io, impilata in anonime moltitudini inconsapevoli… Semplicemente respiro e non so più farlo! Io che, negli occhi di un gorilla mi perdo perché lui sa cosa sono.

La grande madre Piccoli soli splendono Nell’universo verde cosparso di bianche stelle. Faccine azzurre sorridono sgranando occhietti blu sulle sopravvissute api indaffarate. Smerlettati pianeti, i fiordaliso, in questo universo di spighe che promettono pane. Di vedetta, i papaveri rossi, controllano l’orizzonte. In un angolo, è in fiore un cumulo di macerie e rifiuti. Emergono ortiche dallo sportello di un vecchio frigorifero E malva rosa spunta dai buchi di neri copertoni. Più in là, da un rudere avvinghiato dall’edera, germogliano alberi di fichi e lillà protetti da un tappeto di rovi. Minuscole orchidee sorridono dai fori dei mattoni consumati. E’ primavera, il tempo del risveglio a mostrare la potente forza della natura. La grande madre tutto modifica E l’uomo diventa insignificante.

Basta uno starnuto della terra per radere al suolo una città o modificare il clima. Così ci accorgiamo di essere piccoli, piccoli. Indaffarati ad accumulare a spese di tutto e tutti, con cinico egoismo in questo ridicolo pugno di tempo che ci è concesso. Crediamo di poter turbare un equilibrio tanto perfetto, senza subirne le conseguenze. Illusi! La grande madre tutto modifica, ma non è detto che lo faccia a nostro favore! Il cinico potere colpevole di disperati roghi umani

L’urlo Immobile sul precario asse della mia ragione, concedo alla fuga la menzogna di un sogno. Livida si abbatte stremata La mano avvinghiata alla sporgenza. Nera fuliggine danza sulla pietra intrisa di sangue dove annega l’urlo dei nostri figli! Il disegno

Ho disegnato il mio amore idealizzato, ma è un vestito che calza solo la mia fantasia. E' il risultato della mia vigliaccheria, il terrore del dolore, del guinzaglio e le rinnovate conferme di rifiuto quando una ribellione esce dal mio essere stanca di tolleranza. Allora divento nebbia! Ma dall’amore non si fugge, quindi torno luce, lasciando la mia essenza al sicuro, celata nella foschia. Torno di notte quando l’ empatia apre lo scrigno della colpa per l'altrui malessere provocato dei miei graffi di difesa.

L’eredità

La tua solitudine è un macigno sulla mia percezione. Sarà una dannazione Il risentimento che ora scatta felino ad ogni tuo lamento. Nel pugno ho chiuso la carezza che mi negasti e nel silenzio, la pietà per il mio dolore sminuito. Chiede congedo il ruolo di madre protettrice di chi mi ha generato. Anelavo una carezza senza parole. Con occhi supplicanti la chiedevo, prima della grande ribellione. Ora mi divora la furia per il tuo smarrimento che mi morde l’anima. Non posso nulla contro l’ostinato ignorare, non posso nulla per lenire il dolore della carezza che ti nego. Non posso nulla contro l’amore che ho per te che mi lasci in eredità l’inferno! Le streghe

Danzano balli celtici Le streghe consumate. Danzando ridono esorcizzando il dolore. E’ il tramonto dei giochi intorno al falò, è il tramonto degli anni graffianti di ribellione. E’ il tramonto in vesti di fanciulle, su corpi forgiati dal tempo. In controluce volteggiano A piedi nudi, streghe leggere davanti a un tramonto sul mare. Non si arrendono intorno al paiolo dove ribollono i sogni. Danzano sagome di farfalle nuove come bambine divertite di libertà ritrovata. Non scrivo d’amore

Non scrivo d'amore perché d'amore vivo. L'amore che accarezza zagare generose di profumo. L'amore della luna che muove il mare e lascia andare la mia vela sulla sua brillante scia. L'amore di uno sguardo pulito che apre le porte dell'anima e nell'anima entra in punta di piedi. L’amore dell’universo tra le mie braccia alzate al cielo. L’orgasmo dei miei occhi nei tuoi occhi, capaci di frugare nei segreti labirinti dei mie sensi. L'amore del cane che cede la vita in cambio di una carezza. L'amore che ho per il mondo e il coraggio dei tanti, ignorati eroi.

Una madre si cerca Una madre si cerca come un albero fermo, ma vive come mare contro lo scoglio. Una madre è una catena di madri che guardano indietro e urlano lo strappo. E’ smarrimento del dubbio, dell’ errore. E’ aquila che lascia il nido In cerca di cibo e sempre torna. Una madre è una mano sul cuore e una sugli occhi. Di notte sento Di notte mi appartengo. Siedo ad ammirare l’unghia della luna riflessa nel calmo specchio del lago.

Nel silenzio rotto da serenate di raganelle verdi, io sento. Sento i suoni nell'aria calda profumata di erica e lavanda. Mi perdo nella vastità del cielo, cancellando la distanza. Sento il languore della nostalgia, sento il mio cuore espandersi e vorrei condividere questa sublime, dolorosa, imbarazzante felicità. A volte piango perché il mondo non sente e sprofondo nell’ angoscia della solitudine. Di notte mi appartengo, ma vorrei appartenere e fuggo da ogni remota possibilità di fare di questo desiderio, una realtà. Di notte frugo nella mia anima e la sento volare. Un cuore senza tempo

Un cuore senza tempo scalpita chiuso nella crisalide avvizzita. Pronto allo scatto ha piedi imprigionati in logore scarpe. Un cuore senza tempo ride in faccia alla morte credendola irreale. E ama sempre, rifiutando l’immagine rimandata dall’inclemente specchio, pensandolo bugiardo. L’orco Attendi tremante e smarrita l’ora che chiamavi desiderio. La morsa nello stomaco ti da il vomito

mentre ingoi il nulla con gli occhi smarriti nel terrore. Lo avresti adorato abbandonandoti al suo sguardo. Vivevi del suo sorriso prima di vederci il ghigno, esultavi felice ascoltando il passo. Il pugno è una vigliacca carezza all’io perverso di chi per cento vite dovrebbe chiedere perdono a tutte le donne ancora prima di respirare. La viltà arma la mano di chi pretende la vita altrui perché della propria vita non ha diritto. Il mostro codardo si nutre della tua paura per sentirsi potente, vomitando su di te le sue frustrazioni. Nell’ultimo respiro stringi nei pugni Il nettare, ormai putrefatto, che porgevi a piene mani. Di cosa si nutrirà ora, l’orco?

Ora Ora che hai strappato l’ultimo laccio, dopo aver scavato le mie radici. Ora che nutro di cinismo le mie foglie

negandoti l’ossigeno di una carezza. Ora che la libertà è smarrimento tra la folla. Ora che come un cavallo ferito dal morso, travolgo ostacoli non frenando la corsa. Ora che la libertà è un mare negli argini di un piccolo lago. Ora, si è oscurato il tramonto dell’uomo che avvelena la sua acqua e trascina il passo stanco accanto a una donna distante e sola. Non avrò artigli per sorrisi compiacenti che catturano i tuoi occhi. Avrò sguardi per i tuoi sguardi, se mia sarà la tua emozione. Sazierò i tuoi spazzi se dei miei avrai fame. Ma senza contesa mostrerò le spalle alla tua noia. Musica La musica ci prende quando la realtà disumanizza. E’ vibrazione che cancella ombre dal viso.

E’ orgasmo di commozione nel ricordo che torna. E’ dolore sottile che penetra nel petto e non fa male. Scioglie corazze come neve, al caldo sole dell’ emozione. La musica è la voce dell’universo che l’anima sempre ascolta. poesia è trasformare la più profonda notte in radiosa alba... so quanto costa ma anche quanto riempie l'anima... Qui Qui, dove l’inferno ha la tua impronta, dove la carezza dell’aria ha l’eco del tuo sospiro.

Qui, dove il mio ricordo inciampa nel filo spinato delle tue mani. Ogni respiro trafigge il petto, nei flash dell’esistenza. Hai lasciato deserto rosso nella mia anima, dove ogni seme brucia. Spazio in cui mi perdo annegando tra la folla come un cane, sfuggito alla catena. Si perdono pezzi di noi strada facendo, ma nessuno ha il diritto di spegnere il nostro entusiasmo per poi reclamarlo… E se un giorno E se un giorno, arresa alla diffidenza,

lasciassi che tutto avvenga senza né armi né difesa… Se un giorno mi accorgessi che combatto il mio desiderio per timore del fallimento. Se un giorno ammettessi che amo come sono amata rifiutando l’amore, senza concedermi tregua per colpe straniere… se un giorno smettessi di essere falsamente forte, abbandonandomi all’abbraccio tanto desiderato. se un giorno mi fidassi di te… amico, di me… Se un giorno…

Indice

Il menestrello

Natura è femmina

Un senso alla vita

Il pudore dei sentimenti

Sconfitti e rassegnati

Il mostro

Oggi tutto è possibile

Capodanno

Inno all’innocenza

Mulini a vento

Mimì

Un sogno

Piombo fuso

Donare per vivere

La mia anima

Guai ai potenti

Anche io sono Caino

Canonica

La custode del fuoco

Gesù è mio fratello

Silenzio

Correndo

Scende la sera

Tramonti

Alla terra

L’orma fantasma

Radici

Non basta

Torno sempre al nido

Primordiale

La grande madre

L’urlo

Il disegno

L’eredità

Le streghe

Non scrivo d’amore

Una madre si cerca

Di notte sento

Un cuore senza tempo

L’orco

Ora

Musica

Qui

Patrizia Nizzo, Il menestrello dei semplici, poesie,

(ed. Il Convivio, dicembre, 2013, pp. 52) La parola è una piccola

scintilla che accende un

grande fuoco scrive la poetessa

nell’incipit del libro,

una cicca non spenta può

provocare un incendio di

migliaia di ettari di bosco.

Quanta veridicità c’è in

questo detto! Aggiungo un

proverbio: “Uccide più la

parola che la spada”. Le

due affermazioni evidenziano,

mettono a fuoco la

potenza della parola.

Cos’è una parola? Un

suono, un semplice suono,

ma che racchiude in sé un’esplosione che può essere di

gioia o di dolore, d’amore o di odio, di entusiasmo o scoraggiamento,

che ti può innalzare alle stelle o abbattere a

terra, che può provocare una guerra, addirittura la morte.

Se è una parola poetica fa nascere emozioni profonde, sentimenti

di gaudio interiore che non si riesce a descrivere,

che vanno al di là del materiale, che sanno d’eterno. Quale

contrasto tra la parola e il pensiero, così come lo intende la

Nizzo: Il pensiero è uno starnuto trattenuto, / implode inespresso

nell’universo delle emozioni / vibrando come corda

di violino. La parola emerge, il pensiero rimane nel

chiuso delle emozioni e provoca sofferenza. Tale verificarsi,

comunque, riguarda situazioni particolari, nel nostro caso

“Il menestrello dei semplici” per il quale “lo starnuto

resta inespresso”.

Dall’intera raccolta emerge uno stato d’animo colorato

di grigio: lo sguardo della poetessa si posa su quanto c’è di

negativo nel mondo, nelle azioni e nei sentimenti degli uomini.

Ella giudica e biasima ed auspica un cambiamento in

positivo in coloro che non hanno il senso dell’onestà e della

giustizia, che non danno amore al prossimo, che non mostrano

comprensione per gli emarginati, coerenza e responsabilità,

siano essi esponenti della politica o altri: L’uomo

ruba il veleno alla vipera, / ma la schiaccia se ferita minaccia

il morso; L’innocenza è ignorata! / Tradita brutalmente!...

; … Vince il più forte / non il più giusto nella vita.

Spesso ella si lascia prendere dai ricordi del passato,

così come in “La custode del fuoco” (si riferisce alla madre):

Ricordo un fuoco acceso, / l’odore di confetti alla cannella / e di orzo bollito /… Lei, silenziosa custode della

fiamma / … il fuoco le appartiene, / ma non ne gode il tepore.

È la mamma di una volta, dedita alla famiglia, dotata

di spirito d’abnegazione. Ma le mamme (salvo eccezioni)

somigliano tutte, siano esse attuali o d’altri tempi. Molto

bella la lirica “Di notte sento”. È nel silenzio della notte

che Patrizia Nizzo riesce a scrutare in se stessa, a ritrovarsi,

a sentirsi: Di notte mi appartengo /… io sento /… frugo

nella mia anima e la sento volare.

Antonia Izzi Rufo