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61-62 NUOVA SERIE · ANNO XXXII · GENNAIO-DICEMBRE 2011 FABRIZIO SERRA EDITORE PISA · ROMA STUDI DI TEORIA E STORIA DELLA LETTERATURA E DELLA CRITICA IL CENTRO E IL CERCHIO. CONVEGNO DANTESCO brescia, università cattolica, 30-31 ottobre 2009 a cura di cristina cappelletti

Il testo della ‘Commedia’ dopo l’edizione Petrocchi

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61-62NUOVA SERIE · ANNO XXXII · GENNAIO-DICEMBRE 2011

FABRIZIO SERRA EDITOREPISA · ROMA

STUDI DI TEORIA E STORIA DELLA LETTERATURA E DELLA CRITICA

IL CENTRO E IL CERCHIO.CONVEGNO DANTESCO

brescia, università cattolica,30 -31 ottobre 2009

a cur a di cr istina cappelletti

Numero monografico pubblicato con il contributo di :Fondazione Cattolica Assicurazioni e Università Cattolica sede di Brescia

Autorizzazione del Tribunale di Pisa n. 10 del 10/05/2002Direttore responsabile: Enzo Noè Girardi

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SOMMAR IO

Programma del convegno 9Carlo Annoni, Attualità di Dante 11Nota del curatore 13Edizioni di riferimento e abbreviazioni 15

Luigi Franco Pizzolato, Presenza e assenza di Agostino in Dante 17Carlo Paolazzi, Francesco e i frati minori nella Commedia 35Uberto Motta, La poesia di Dante. Da Croce a Contini 45Andrea Canova, Il testo della Commedia dopo l’edizione Petrocchi 65Rosaria Antonioli, Un poema intitolato Commedia : Dante nell’epoca di Tasso 79Cristina Cappelletti, Della prima e principale allegoria del poema di Dante. Interpretazioni sette-ottocentesche di Inferno i 93Andrea Battistini, La retorica della salvezza 105Pierantonio Frare, La retorica del nome e del numero : Purgatorio xi 123Edoardo Fumagalli, La retorica dell’ingegno : tra falsi profeti e profeti veri 145Paolo Gresti, Dante e i trovatori : qualche riflessione 175Aldo Menichetti, Bonagiunta e lo stilnovo 191Luca Carlo Rossi, Un bilancio sugli antichi commenti alla Commedia (1965- 2008) 201Luca Azzetta, Il Convivio e i suoi più antichi lettori 225Gian Paolo Marchi, « Equis armisque vacantem ». Postille interpretative a un passo dell’epistola di Dante a Oberto e Guido da Romena 239Giorgio Simonelli, « Questo tuo grido farà come vento ». Le trasposizioni di Dante dal cinema muto alla televisione di Roberto Benigni 253Marco Corradini, Marino e Dante 263Massimo Castoldi, Un episodio del dantismo pascoliano : le Canzoni di re Enzio 289Carla Riccardi, Ripensando il dantismo della Bufera : la Commedia come teoria della letteratura. Con una corrispondenza inedita Pound-Montale 295Paolo Corsini, Il carcere di Farinata, la prigione di Gramsci 311

Indice dei nomi 327

Giancarlo Pontiggia, Libri di poesia 341

schedario manzoniano internazionale

Edizioni 349Riscritture 353Studi 356

6 sommario

Libri ricevuti 401

Riviste ricevute 403

IL TESTO DELLA COMMEDIA DOPO L’EDIZIONE PETROCCHI

Andrea Canova

This essay examines a series of proposals for the critical edition (some already published) of Dante’s masterpiece following the Commedia secondo l’antica vulgata edited by Giorgio Petroc-chi (1966-1967). In particular, the reconstructions of Federico Sanguineti, Giorgio Inglese and Paolo Trovato are discussed. Emphasis is placed on the nature of the transmission of the manuscripts, on the hypothetical descriptions of the archetype, and on the applicability of a strictly lachmannian approach to a heavily contaminated tradition. Examples of the usefulness of new reflections on the collation of witnesses are also presented.

L’invito dell’amico Carlo Annoni mi impone di entrare in un territorio perme insolito e che, nell’ultimo periodo, è andato trasformandosi rapidamen-

te. 1 Dopo un trentennio di relativa quiescenza si sono avviate da più parti nuo-ve ricerche e nuove proposte per un’edizione critica della Commedia che migliori quella dell’‘antica vulgata’ stabilita da Giorgio Petrocchi e pubblicata tra il 1966 e il 1967. 2 Queste novità sul testo più importante della nostra storia letteraria hanno animato e stanno animando un dibattito vivacissimo. D’altronde c’era da aspet-tarselo : alta la posta in gioco ; molte le persone che di quel testo hanno fatto l’oggetto dei propri studi e quasi una ragione di vita ; pesante l’ingombro del pre-cedente : l’edizione Petrocchi, con i suoi pregi e i suoi difetti, è diventata la Comme-dia, la vera vulgata novecentesca, continuamente riproposta, magari con minime varianti, a tutti i livelli editoriali.

Io, non appartenendo alla schiera dei dantisti in servizio permanente effetti-vo, mi limiterò a una rassegna delle voci principali, articolata su alcuni problemi specifici, conservando il punto di vista di un lettore interessato (ma vedo che si va affermando anche nei nostri studi il più burocratico termine ‘utente’). Un let-

1 Mantengo la forma dell’intervento letta al Convegno, integrandola in pochi punti. L’accaval-larsi dei contributi usciti negli ultimi anni, spesso in dialettica serrata tra loro, complica il lavoro di sintesi e il ragguaglio preciso su tutte le questioni : dei saggi recentissimi, pubblicati dopo il Convegno, do solo una rapida notizia. Per motivi di spazio, e per evitare doppioni rispetto a lavori altrui, ho operato una selezione drastica della bibliografia citata nelle note, privilegiando le voci successive all’edizione Petrocchi e più utili a ricostruire la letteratura remota. Ringrazio gli amici che mi hanno dato informazioni e suggerimenti e tra loro, in particolare, quelli che sono stati più sistematicamente messi alla prova : Maria Antonietta Marogna, Giuseppe Frasso, Luca Mazzoni, Paolo Trovato, Marco Veglia.

2 Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Mila-no, Arnoldo Mondadori, 1966-1967, 4 voll. Minimi ritocchi furono apportati da Petrocchi nella ristampa dell’Inferno uscita nel 1975 e nell’edizione del solo testo critico per la « Piccola Biblioteca Einaudi » (Torino, 1975) per essere poi inseriti, con qualche altra modifica nella seconda ristampa riveduta (Firenze, Le Lettere, 1994). In queste pagine farò riferimento alla terza ristampa, Firenze, Le Lettere, 2003.

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tore che per piacere personale e per obbligo didattico frequenta regolarmente la Commedia, ma che è ben lieto se qualcun altro si incarica di portarne a termine l’edizione. Non vorrei pertanto che il titolo di questa comunicazione generasse speranze eccessive in chi ascolta. Ovviamente non terrò conto dei lavori mirati su singoli luoghi del testo, che non potrebbero in alcun modo essere qui compressi.

Comincio venendo meno, per la prima volta in vita mia, a una regola che ho sempre seguito e prendo le mosse da una citazione letteraria che non ha alcuna attinenza diretta all’oggetto di cui devo trattare. Lo faccio per alleggerire il tono generale di questa comunicazione, che dovrà essere almeno un po’ tecnico, e anche perché un legame credo si possa instaurare. Nelle prime pagine del Mondo nuovo di Aldous Huxley, il Direttore del Centro di Incubazione e di Condiziona-mento di Londra centrale, dove sono concepiti tutti gli esseri umani del futuro, sta conducendo in visita un gruppo di studenti nuovi. Come di consueto, inizia la sua illustrazione con le parole « Semplicemente per darvi un’idea generale » : « un’idea generale dovevano pure averla [...] e tuttavia era meglio che ne avessero il meno possibile ». Spiega Huxley :Perché, come tutti sanno, i particolari portano alla virtù e alla felicità ; mentre le generalità sono, dal punto di vista intellettuale, dei mali inevitabili. Non i filosofi, ma i taglialegna e i collezionisti di francobolli compongono l’ossatura della società. 1

Ecco ; il sottotitolo del mio intervento potrebbe proprio essere : Felicità del taglia-legna e tristezza del filosofo, perché gli ultimi studi danteschi hanno sì illuminato molti aspetti singoli del gran problema, ma resta difficilissimo trovare la risposta generale che conduca a un testo critico della Commedia soddisfacente in tutto. Beninteso : questa è la situazione di qualunque tentativo di edizione critica e sulla natura ragionevolmente ipotetica di ogni operazione filologica non sarebbe nem-meno il caso di discutere. Ma veniamo al dunque.

I dati storici di partenza sono troppo noti perché ci si debba dilungare. È ancora utile rinviare al bel contributo di Gianfranco Folena sulla tradizione delle opere dantesche pubblicato negli atti del Congresso del 1965 : un saggio la cui eccellente tenuta, anche nella bibliografia più recente, desta ammirazione. 2 Ottimo anche il bilancio di Claudio Ciociola nel decimo volume della Letteratura italiana Salerno uscito nel 2001. 3

In estrema sintesi : della Commedia (come di tutte le altre opere dantesche) non resta alcuna traccia autografa. Incerta è la data d’inizio della stesura (forse intorno al 1306) ; certo è che Inferno e Purgatorio circolavano rispettivamente nel 1317 e nel 1319, come testimoniano i Memoriali bolognesi. Per l’Inferno si può risalire al 1313-1314 in virtù del notissimo appunto di Francesco da Barberino e per il Purgatorio al

1 Aldous Huxley, Il mondo nuovo, traduzione italiana di Lorenzo Gigli, Milano, Mondadori, 2007 (prima edizione 1933), p. 10.

2 Gianfranco Folena, La tradizione delle opere di Dante Alighieri, in Atti del Congresso interna-zionale di studi danteschi (20-27 aprile 1965), a cura della Società Dantesca Italiana e dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura Italiana e sotto il patrocinio dei Comuni di Firenze, Verona e Ravenna, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 1-78 : 40-78.

3 Claudio Ciociola, Dante, in Storia della letteratura italiana, vol. x, La tradizione dei testi, Ro-ma, Salerno editrice, 2001, pp. 137-199 : 174-197.

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1316, se regge l’ipotesi di Folena relativa al compendio volgare dell’Eneide eseguito da Andrea Lancia : il testo riecheggia l’episodio di Casella nel secondo canto del Purgatorio (ma su questo dovremo tornare). Inoltre va ricordato che nella Maestà di Simone Martini si trovano una terzina (oggi difficilmente leggibile) di schema aba e alcuni endecasillabi che paiono memori del trentesimo canto del Purgatorio. La circostanza sembrerebbe dimostrare che la cantica fosse già pubblicata entro il 1316. 1 Il Paradiso fu probabilmente iniziato nel 1316 : in quell’anno il primo canto era inviato a Cangrande della Scala con l’Epistola xiii (sulla cui autenticità il dibat-tito non è chiuso). 2

Il poema fu verosimilmente diffuso dal suo autore per gruppi di canti sulle cui fisionomie non c’è unanimità tra gli studiosi. Nulla sappiamo dei primi copisti, che furono verosimilmente settentrionali, ma possiamo pensare che la fortuna dell’opera fosse vasta e immediata. Ciononostante le « prime testimonianze mano-scritte organiche » della Commedia che ci siano pervenute risalgono agli anni Tren-ta del Trecento, cioè un decennio circa dopo la morte di Dante : come se una pri-ma e sicuramente folta generazione di codici fosse andata totalmente cancellata. 3

1 La testimonianza è opportunamente messa a frutto da Furio Brugnolo, Le terzine della Mae- stà di Simone Martini e la prima diffusione della Commedia, « Medioevo Romanzo », vol. xii, 1987, pp. 135-154, che pone il termine al 1315. Giuseppe Indizio, Gli argomenti esterni per la pubblicazione dell’Inferno e del Purgatorio, « Studi Danteschi », vol. lxviii, 2003, pp. 17-47 : 36, in base agli usi ca-lendariali senesi, lo sposta « alla metà circa del 1316 ».

2 Sulla cronologia della scrittura e della prima circolazione delle cantiche rinvio a Gianfran-co Folena, La tradizione, cit., pp. 40-43 e Claudio Ciociola, Dante, cit., pp. 174-176, con esau-rienti rassegne della bibliografia. Negli ultimi anni sono da segnalare due contributi di Giuseppe Indizio : La profezia di Niccolò e i tempi della stesura del canto xix dell’Inferno, « Studi Danteschi », lxvii, 2002, pp. 73-97, che conclude per una composizione di Inferno xix non prima del 1312 con una circoscritta modifica intorno al 1314, e Gli argomenti, cit., secondo cui almeno il primo canto dell’Inferno doveva essere noto nella seconda metà del 1314 e il Purgatorio « vide la luce, con somma verosimiglianza, tra la fine del 1315 ed i primi mesi del 1316 » (p. 47). Proprio mentre il mio contri-buto si avvia verso la tipografia leggo Alberto Casadei, Sulla prima diffusione della Commedia, « Italianistica », a. xxxix, 2010, pp. 57-66 che, partendo da considerazioni sul controverso sonetto Acciò che le bellezze, Signor mio di Iacopo Alighieri e sulle Egloghe di Dante, propone Ravenna e il pe-riodo immediatamente successivo alla metà del 1320 per la diffusione del Paradiso. Casadei allon-tanerebbe il Paradiso da Verona e da Cangrande, mettendo anche in dubbio l’attribuzione a Dante dell’Epistola xiii, o quantomeno di buona parte di essa (su questi problemi si veda anche Alberto Casadei, Il titolo della Commedia e l’Epistola a Cangrande, « Allegoria », vol. xxi, 2009, pp. 167-181).

3 Gianfranco Folena, La tradizione, cit., p. 43. Si è ora aperta la discussione sul lacerto (Inf. xxvi, 67-xxviii, 48) adibito a guardia del ms. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conventi Soppressi, H.8.1012 (che tramanda le Sentenze di Pietro Lombardo in un insieme formato da « due nuclei distinti » del secolo xii, secondo la descrizione di Teresa De Robertis). Il bifolio, noto da tempo, era abitualmente datato al xiv secolo, finché Teresa De Robertis, Rivalutazione di un frammento dantesco, « Studi Danteschi », lxvi, 2001, pp. 263-278 lo ha collocato entro il quindicen-nio successivo al 1314 (cioè alla prima testimonianza esplicita della diffusione dell’Inferno). Renzo Iacobucci, Un nome per il copista del più antico frammento della Divina Commedia : Andrea Lancia, « Scrineum Rivista », vol. vii (2010), pp. 1-30 riconosce nel copista Andrea Lancia e assegna il bifolio al « torno di anni tra il 1314 e il 1320 », in attesa di conferme. Sulla testimonianza bisognerà lavorare ancora. Un esame sommario degli errori e delle lezioni caratteristiche pare dimostrare un certo grado di affinità con famiglie diverse e con testimoni più tardi, che andrebbe conciliato con una cronologia così alta. Un cenno al riguardo in Paolo Trovato, Intorno agli stemmi, cit., pp. 632-633.

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Se le cose stanno così, l’elaborazione e la prima diffusione dell’opera obbligano a pensare a un Dante ormai alla fine della vita, intento a imporre l’estrema mano al suo capolavoro, solo come al momento terminale di un processo più lungo e, da un punto di vista filologico, complicato. Di quel processo non si riesce a ricostruire nulla, ovvero dalla tradizione che ci è nota non emergono varianti d’autore sicure né tanto meno strati redazionali diversi. Però sembra difficile che in tanti anni Dante procedesse senza alcun minimo ripensamento. Come che sia, la tradizione del testo può avere occultato irrimediabilmente ogni scarto nella sua selva di varianti adiafore.

Come dobbiamo immaginare – ancora da un punto di vista filologico – le pri-me copie, ora perdute, della Commedia ? Non necessariamente correttissime, se Jacopo Alighieri, figlio di Dante e commentatore dell’Inferno un anno dopo la morte del padre, si serviva di un esemplare tutt’altro che impeccabile. 1 E difficile sarebbe stato, d’altra parte, trovare un copista adeguato, che non fosse Dante stes-so. La Commedia offriva certo punti di insuperabile resistenza a scribi pure media-mente cólti nell’Italia del primo Trecento. Precoce fu il proliferare di corruttele in luoghi circoscritti ma numerosi del testo e rapido il decadimento testuale com-plessivo, per motivi che non sto qui a rammentare. 2 Importa però dire che anche la coscienza della scorrettezza del testo si diffuse molto presto, suggerendo a in-traprendenti copisti-editori di emendare i propri antigrafi attingendo a più codici. Ciò accade anche per il testimone della Commedia più antico del quale si conservi la lezione : il codice fiorentino copiato da Forese Donati tra il 1330 e il 1331, che ci è noto nella cosiddetta Aldina Martini. 3 La contaminazione è dunque un fatto do-cumentato per la tradizione del poema fin dalla sua fase più remota e certo uno dei fattori di maggiore complicazione per gli editori moderni : Petrocchi sostene-va addirittura che essa fosse cominciata per le prime due cantiche già prima della morte del poeta, tra il 1316 e il 1317. 4

Date le premesse, facciamo qualche considerazione. Uno dei maggiori proble-mi per la critica testuale dantesca è, da sempre, fare coincidere i pochi dati storici noti con i manoscritti superstiti e con uno stemma codicum accettabile. Gli effetti di tale difficoltà si rendono evidenti già alla definizione preliminare degli oggetti di partenza e pure degli obbiettivi che l’operazione ecdotica vorrebbe raggiunge-re. Infatti, nel contesto che si è descritto, che cosa si intende per originale e che cosa si intende per archetipo ? Le due domande, che nessun filologo può eludere quando prende di mira il suo bersaglio, non hanno ricevuto una risposta univoca nel caso della Commedia.

1 Per quel manoscritto, oggi perduto, si veda in particolare Jacopo Alighieri, Chiose all’Infer-no, a cura di Saverio Bellomo, Padova, Antenore, 1990, pp. 38-51.

2 Gianfranco Folena, La tradizione, cit., pp. 46-48 li additava soprattutto nell’operato di copi-sti inadeguati e nella forte tendenza alla contaminazione, provocata dal ricorso a esemplari diversi da parte degli amanuensi ma anche alla diffusa abitudine di mandare il testo a memoria (con il verosimile risultato di mescolare alle lezioni dell’antigrafo quelle precedentemente imparate).

3 L’esemplare della Commedia (si tratta di quella pubblicata da Aldo Manuzio nel 1515) fu postil-lato da Luca Martini nel 1548 e si conserva oggi a Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, con la segnatura AP xvi 25. Le informazioni al riguardo in Claudio Ciociola, Dante, cit., pp. 180-181.

4 Dante, La Commedia, cit., vol. i, pp. 365-366.

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Giorgio Petrocchi, che aveva collazionato integralmente i ventisette testimoni prescelti, nella pure generosa discussione del suo stemma affidata a un intero vo-lume dell’edizione, lambiva l’argomento più che affrontarlo di petto. Poneva un generico O in cima all’albero e non ne specificava con chiarezza la natura. Parlava, sì, di convergenze tra il manoscritto Trivulziano (cioè il più autorevole rappresen-tante della tradizione fiorentina : Milano, Biblioteca dell’Archivio Storico Civico e Trivulziana, 1077) e quello Urbinate (cioè il più autorevole rappresentante della tradizione settentrionale : Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ur-binate lat. 366) come di « conservazione di esiti testuali dell’archetipo comune, prima della divergenza in a e in b », 1 ma non dimostrava l’esistenza di una fonte comune, fatto che era puntualmente registrato dai primi recensori : penso in par-ticolare a D’Arco Silvio Avalle. 2 E dopo di lui sono da ricordare le pagine di Alber-to Varvaro e quelle più recenti di Claudio Ciociola, che parla, a proposito dello stemma Petrocchi, di a e di b come di due archetipi più che di due subarchetipi. 3

Io non mi unisco ai detrattori di Petrocchi, che certo adoperava talune catego-rie filologiche in modo personale per raggiungere il risultato e che certo si serviva della strumentazione, anche grafica, per tracciare un quadro sommario dei rap-porti tra i manoscritti, come ha ricordato Saverio Bellomo. 4 Tuttavia l’ambiguità rimane a denunciare un problema rilevante.

Ha avviato la dimostrazione dell’archetipo Federico Sanguineti. In un articolo del 1994, propedeutico all’edizione, Sanguineti scrive che l’archetipo w è provato da un errore comune a tutta la tradizione in Paradiso xv, 101 : il famoso « donne contigiate » in luogo di « gonne contigiate ». 5 Dunque un solo errore in tutto il poema. E peraltro un lapsus la cui poligenesi – credo – non si dovrebbe escludere senza appello. 6 Ancora a questo stadio della riflessione di Sanguineti, il bersaglio sembra essere l’archetipo, ma si sa che il filologo deve inseguire l’ultima volontà dell’autore e cioè l’originale. E infatti il futuro editore lascia un margine di possi-bilità : « Se l’archetipo necessiti qui di eventuale emendatio è questione da rinviare a più riposata occasione ». 7

L’edizione critica della Commedia (e anzi Comedìa) che Sanguineti pubblica nel 2001 presenta novità sull’archetipo, la cui esistenza è provata per altra via. 8 La le-zione di Par. xv, 101 ritenuta erronea nell’articolo del 1994 è qui promossa a testo ; si trova infatti : « non donne contigiate e non cintura ». Come si apprenderà nell’Ap-

1 Dante, La Commedia, cit., vol. i, p. 367.2 D’Arco Silvio Avalle, « Strumenti Critici », vol. i, 1966-1967, pp. 199-202.3 Alberto Varvaro, Critica dei testi classica e romanza (1970), in La critica del testo, a cura di Al-

fredo Stussi, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 151-164 : 154 n. ; Claudio Ciociola, Dante, cit., p. 195.4 Saverio Bellomo, Giorgio Petrocchi dantista, « La parola del testo », vol. iii, 1999, pp. 419-423.5 Federico Sanguineti, Per l’edizione critica della Comedìa di Dante, « Rivista di Letteratura

Italiana », vol. xii, 1994, pp. 277-292 : 290.6 Per Giorgio Inglese, Come si legge un’edizione critica. Elementi di filologia italiana, Roma, Ca-

rocci, 1999, p. 152 : « errore tutto psicologico : si sta infatti parlando di lussi nel vestire femminile » ; inoltre uno scambio gonne / donne potrebbe essere ben riconducibile alla dettatura interiore.

7 Federico Sanguineti, Per l’edizione critica, cit., p. 291.8 Dantis Alagherii Comedia, edizione critica per cura di Federico Sanguineti, Tavarnuzze-

Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001.

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pendice bibliografica (il secondo volume dell’edizione, uscito nel 2005) la lezione va accettata « a norma di stemma », cioè è lezione del manoscritto Urbinate, cui San-guineti dà il massimo credito. 1 L’onere della dimostrazione dell’archetipo ricade dunque su altri luoghi del poema. 2 Innanzitutto il martoriato (dai copisti) Par. xxviii, 136 che per Petrocchi suonava « E se tanto secreto ver proferse » e per San-guineti suona « E se tanto, se vero [ver] proferse ». La lezione di Petrocchi è recupe-rata da Vat (la famiglia Vaticana) e dunque non è comune a tutta la tradizione ; ha inoltre il vantaggio di entrare in un rapporto significante con il « discoperse » del successivo verso 138. La lezione di Sanguineti non è di nessuno dei testimoni noti : è una brillante congettura che presuppone una diffrazione in absentia.

A dire il vero Sanguineti indica un altro errore congiuntivo in Par. xxix, 100-101 : « E mentre che la luce si nascose / da sé » (lezione probabilmente erronea) in luogo di « E mente, ché la luce si nascose / da sé » (lezione probabilmente corretta). Ora : dato che la parola « mente » è seguita dalla congiunzione « che », una banalizzazio-ne in « mentre che » non ha tutti i requisiti della monogenesi. E, come informa lo stesso Sanguineti, la lezione è corretta in alcuni recenziori.

Nel 1995 usciva l’edizione della Commedia curata da Antonio Lanza, ristampata l’anno successivo. 3 L’impostazione prettamente bédieriana del lavoro ne riduceva le preoccupazioni stemmatiche. Tuttavia anche Lanza ammetteva un archetipo, individuato da ventisei errori indicati in una nota della Premessa (p. xi). Sulla rile-vanza di tali errori non mi pare ci sia stato poi largo consenso.

Il problema dell’archetipo e dei suoi rapporti con l’originale è stato toccato an-che da Giorgio Inglese, che procede per loci critici e sta rivedendo il testo Petroc-chi per una nuova edizione della Commedia (nel 2007 ne è uscito il primo volume, contenente l’Inferno). 4 I contributi di Inglese mettono nella giusta evidenza che le condizioni di trasmissione della Commedia ostacolano una prassi strettamente genealogica o, come siamo soliti dire in maniera un po’ impropria, lachmannia-na. Un articolo di Inglese uscito nel 2002 affronta la questione che qui ci occupa partendo dall’esame degli accordi tra il Trivulziano e l’Urbinate e avvertendo che essi « non definiscono una specifica figura stemmatica, ma si inseriscono in estesi processi di deterioramento poligenetico o rappresentano corruttele anteriori alla separazione tra b e a (archetipo w) ». 5 Che è formulazione – a mio parere – con-divisibile. Inglese si chiede inoltre se l’archetipo che si può intravedere « coincida storicamente » con il testo che aveva per le mani Jacopo Alighieri e, pur potendo contare su pochi elementi, sembra propendere per una risposta negativa e con-

1 Dantis Alagherii Comedia. Appendice bibliografica 1988-2000, per cura di Federico Sanguineti, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2005.

2 Dantis Comedia, 2001, cit., pp. lxii-lxiii. Su questo aspetto dell’edizione si vedano le riserve di Rudy Abardo (recensione apparsa nella « Rivista di Studi Danteschi », i, 2001, pp. 153-162 : 156).

3 Faccio riferimento a Dante Alighieri, La Commedìa. Testo critico secondo i più antichi mano-scritti fiorentini, Nuova edizione a cura di Antonio Lanza, Anzio, De Rubeis, 1996.

4 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci, 2007.

5 Giorgio Inglese, Per il testo della Commedia di Dante, « La Cultura », vol. xl, 2002, pp. 483-505 : 494-495.

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cludere a favore di codici intermedi tra il problematico originale e il subarchetipo settentrionale b. 1

In un altro articolo, uscito nel 2007, lo studioso mette ulteriormente a fuoco il problema e stabilisce – per così dire – alcune condizioni per il funzionamento dell’archetipo. 2 Sottolinea innanzitutto che, soprattutto in tradizioni fortemente contaminate, le coincidenze tra i testimoni vanno valutate più in base a criteri statistici che su casi singoli e dà un elenco di « errori diffusi in tutta la tradizione at-tribuibili – se non poligenetici – a una fonte comune a + b = w », non trascurando « l’eventualità che l’archetipo sia stato corretto nel tempo » e « il ricorso a fonti al-ternative ». 3 Ribadisce inoltre che « l’archetipo stemmatico non coincide col ‘testo di Jacopo’, unica possibile attestazione per la lezione originale degli ultimi canti del poema ». 4 Nel commento allo stemma si fa inoltre presente che omega esiste, ma con una clausola prudenziale « almeno per Purgatorio e Paradiso ». 5

Tra un contributo di Inglese e l’altro, nel 2003 è uscito un notevole articolo di Marco Veglia, che ha riesaminato tutto il dossier editoriale della Commedia. 6 Ve-glia è piuttosto scettico sull’applicabilità, in questo caso, di categorie come origi-nale e archetipo statici, da interpretare in senso rigidamente lachmanniano. Cre-do che la sua disamina, anche dei fatti storici contestuali, faccia riflettere sulla vexata quaestio della diffusione del poema, dubbio restando quanta fede sia da accordare alle narrazioni di Boccaccio. E fermo restando che – come si diceva prima – la tradizione di cui disponiamo è in grado di occultare varianti di tempo e di spazio antiche.

Non condivide lo scetticismo di Veglia Paolo Trovato, uno dei protagonisti del dibattito in corso, che, con un gruppo di collaboratori, sta puntando a una ride-finizione complessiva del problema e a una nuova edizione basata sullo scrutinio di loci critici. 7 Trovato biasima Petrocchi anche per l’evasività sui problemi lega-ti ai piani altissimi dell’albero e per l’aporia dei due subarchetipi non collegati, dando così una valutazione strettamente lachmanniana di quel tentativo. 8 Tro-vato orienta la sua ricerca verso una definizione rigorosa degli oggetti e tende a escludere l’influenza di redazioni anteriori o, comunque, di fasi pretradizionali sul testo della Commedia ricostruibile. Dà pochissima udienza ai sostenitori del-la diffusione ‘per blocchi’ ed è assertore della « versione unica e monolitica » del poema sostenuta già da Avalle e Quaglio (tra gli altri). 9 La strategia aggredisce il

1 Ivi, p. 497 n.2 Giorgio Inglese, Per lo ‘stemma’ della Commedia dantesca. Tentativo di statistica degli errori

significativi, « Filologia Italiana », vol. iv, 2007, pp. 52-72. 3 Ivi, p. 67.4 Ibidem. 5 Ivi, p. 68.6 Marco Veglia, Sul testo della Commedia (da Casella a Sanguineti), « Studi e Problemi di Criti-

ca Testuale », n. 66 (aprile 2003), pp. 65-119.7 Una prima – e ingente – raccolta di risultati in Nuove prospettive sulla tradizione della Comme-

dia. Una guida filologico-linguistica al poema dantesco, a cura di Paolo Trovato, Firenze, Cesati, 2007 : i contributi del volume hanno già suscitato una cospicua serie di reazioni, di parte delle quali si dirà oltre ; su alcune delle linee portanti lo stesso Trovato ha avuto modo di tornare.

8 Paolo Trovato, Intorno agli stemmi della Commedia (1924-2001), in Nuove prospettive, cit., pp. 611-649 : 622-624. 9 Ivi, p. 628.

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caotico esercito delle varianti con una combattiva fiducia nel metodo genealogico per neutralizzare gli ondeggiamenti della tradizione ; deve quindi immobilizzare la preda prima di catturarla. Questo attacco nobilmente illuministico contro una certa arrendevolezza alla complessità del reale produce molte novità interessanti. Va detto che Trovato rivoluziona più di ogni altro lo stemma di Petrocchi e non pensa più a una tradizione a fiorentina e a una tradizione b settentrionale, soste-nendo invece l’esistenza di un manoscritto settentrionale g giunto a Firenze in data molto alta, che avrebbe dato origine a tutto il ramo sinistro dell’albero e la cui veste linguistica sarebbe stata progressivamente rifiorentinizzata. Indipenden-temente da questo, sarebbe sopravvissuto un altro subarchetipo chiamato b, che avrebbe generato una famiglia settentrionale, la cui consistenza è in via di accer-tamento, ma già le si ascrivono i codici Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urbinate lat. 365 ; Modena, Biblioteca Estense e Universitaria, Ital. 474 ; Florio (San Vito al Tagliamento, Loc. Preseriano [Udine], Biblioteca del dr Attilio Maseri, già Udine, Biblioteca dei conti Florio), oltre all’importantissimo Urbinate. 1

Che ne è dunque dell’archetipo ? Per Trovato l’archetipo esiste ed è dimostra-bile in base all’accordo in errore del manoscritto Urbinate con l’interposito (bo-lognese ?) x1 e con molti altri testimoni fiorentini a. 2 Che aspetto ha, a questo punto, l’archetipo ? Scrive Trovato che è « segnato prevalentemente da guasti di lieve entità. I quali risultano spesso spietatamente corretti, ope ingenii o ricorrendo a testimoni perduti o alla perspicacia dei primi commentatori, già nei più antichi manoscritti toscani dell’antica vulgata ». 3 Bisogna insomma rinunciare all’idea di errori comuni a tutti i testimoni. Trovato compila alcune tabelle di « verosimili errori d’archetipo » e specifica : « l’archetipo è caratterizzato quasi esclusivamente da errori facilmente correggibili, non separativi, oltre che poligenetici ». 4 Anche in questo caso vale il numero complessivo dei casi più che la qualità del singolo er-rore. Secondo Trovato « l’insieme risulta probante », con possibilità di « sporadica contaminazione extrastemmatica, ben inteso in data molto alta e ancora al Nord degli Appennini ». Su basi linguistiche, seppure in un quadro « non [...] nitidissi-mo », l’archetipo si localizza « tra i maggiori centri della Romagna (ma esclusa, a quanto pare, la costa), Ferrara e la popolosissima Bologna dello Studio ». 5

Seppure discordi su molti aspetti, anche determinanti, Inglese e Trovato rico-noscono che la dimostrazione dell’archetipo può poggiare su basi statistiche in assenza di errori che figurino in tutti i testimoni. La formulazione più elastica di Inglese mi pare attagliarsi meglio alle esigenze del caso. Per i motivi che ho velo-cemente riassunto, reputo rischioso pensare a un originale dell’intera Commedia consegnato da Dante alla posterità poco prima della morte, magari per mano di Jacopo. Per quanto riguarda l’archetipo – se si vuole tenere fede al principio per

1 Per le proposte stemmatiche di Trovato si vedano Intorno agli stemmi, cit., pp. 643, 648 e Fuori dall’antica vulgata. Nuove prospettive sulla tradizione della Commedia, in Nuove prospettive, cit., pp. 669-715 : 702. Un supplemento di indagine su b in Federico Sanguineti, Sui manoscritti Estense it. 474, Florio, Urbinati lat. 365 e 366, in Nuove prospettive, cit., pp. 651-667.

2 Paolo Trovato, Intorno agli stemmi, cit., pp. 641-643 ; Idem, Fuori dall’antica vulgata, cit., pp. 677-679. 3 Idem, Intorno agli stemmi, cit., p. 641.

4 Idem, Fuori dall’antica vulgata, cit., p. 678. 5 Ivi, p. 706.

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cui esso deve consistere in una copia effettivamente esistita – credo che bisogne-rà quantomeno pensare a un individuo che raccolga corruttele prodottesi in fasi diverse e poi versatesi nei mille rivoli la cui idrografia impegna oggi gli studiosi. Il che pone qualche problema quando si voglia delineare la fisionomia storica di quell’individuo. Forse sarebbe meglio – provvisoriamente e in attesa di altri da-ti – ipotizzare una sorta di ‘luogo geometrico’ a valle della prima e inconoscibile circolazione dei materiali danteschi, che comprenda nella sua area di pertinenza tutti gli errori comuni ai testimoni (o alla maggior parte di essi). 1

Con questo non ritengo giustificata una nuova avventura in cerca delle varianti d’autore, che probabilmente Dionisotti avrebbe definito ‘il gioco della pentolac-cia’, né voglio predicare la resa alla contaminazione. La strada da seguire è già sta-ta imboccata con le nuove campagne di collazione promosse da Trovato. Sarebbe

1 E così torniamo a uno degli interrogativi classici della disciplina, ovvero : l’archetipo è sempre da intendere come un solo individuo storicamente esistito e ora perduto ? Sul problema termino-logico è d’obbligo il rinvio a Michael D. Reeve, Archetypes, « Sileno », vol. xi, 1986, (Studi in onore di Adelmo Barigazzi) pp. 193-201, ma – limitando lo spoglio all’ambito romanzo e anzi italiano in particolare – un’essenziale rassegna dei pareri è già indicativa di plurivocità. Diversificata la casi-stica offerta da Alberto Varvaro, Critica dei testi, cit., pp. 153-156 (a p. 153 : « Pare si dimentichi, ed accade spesso a tutti noi, che sotto il nome di archetipo va un’entità ipotetica se non nella sua esistenza almeno nei suoi caratteri »). Non pensa necessariamente a un manoscritto unico Gian-franco Contini, Filologia (1977), in Idem, Breviario di ecdotica, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986, pp. 3-66 : 30 : « Il numero degli enti congetturali [...] archetipi, subarchetipi, interpositi, è il minimo ri-chiesto dalle necessità del ragionamento, non è un numero storicamente effettuale ; quei simboli indicano piuttosto classi o insiemi di individui (contenenti almeno un individuo) che individui, piuttosto segmenti (verticali) che punti, o meglio è irrilevante che siano punti o segmenti » (sulle definizione dell’archetipo si veda anche p. 21). Parla di « stadio », ma poi specifica « un intermedia-rio » Franca Brambilla Ageno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova, Antenore, 19842, p. 23 : « A volte il più antico stadio del testo che sia possibile ricostruire in base alla tradizione coincide o può coincidere in tutti i suoi punti con l’originale ; a volte restano dei passi evidentemente gua-sti, cioè vi è stato, fra l’originale e la più antica ramificazione della tradizione, un intermediario, che si chiama archètipo, già inquinato da errori ». Si pronuncia a favore di un individuo Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 128 : « si chiama arche-tipo la copia non conservata, guastata da almeno un errore di tipo congiuntivo, alla quale risale tutta la tradizione ; di solito lo si designa o con x [...] o con w e a partire da esso (o, in sua assenza, dall’originale) si contano le diramazioni dello stemma ». Più vicino a Contini (esplicitamente ci-tato), e dunque più orientato verso una possibile molteplicità di punti, Giorgio Inglese, Come si legge un’edizione critica, cit., p. 77 n. : « Di solito, non sapremmo dire se il testimone corrotto da cui si dirama la tradizione superstite è copia diretta di un originale o copia di copia : non sapremmo dire, in altre parole, quanti fra gli errori comuni siano stati commessi dal generatore della tradi-zione [...] e quanti si siano prodotti in una fase più antica ». Paolo Trovato, Archetipo, stemma codicum e albero reale, « Filologia Italiana », a. ii, 2005, pp. 9-18 esamina nuovamente la questione e, in modo opportuno, distingue tra critica del testo (gli stemmata codicum) e storia della tradizione (gli « inattingibili ‘alberi reali’ »), riconoscendo l’archetipo in un « punto dello stemma oltre il quale la tradizione superstite non consente di risalire e di norma non ha niente a che fare con le vicende remote della tradizione, ma solo con l’insieme dei manoscritti oggi disponibili, individuati dal filologo in fase di recensio » (p. 12). Quanto al ‘luogo geometrico’, bisognerà usare ogni cura per evitare il rimbrotto di Joseph Bédier, che vedeva nell’esigenza dell’archetipo la giustificazione per intervenire e correggere indebitamente il testo, sicché esso « c’est d’ordinaire, pour eux [scil. les éditeurs d’anciens textes] le lieu géométrique de leurs ignorances » (La Chanson de Roland, com-mentée par Joseph Bédier, Paris, L’edition d’art H. Piazza, 1927, pp. 85-86 n. ; ripreso da Alberto Varvaro, Critica dei testi, cit., p. 153).

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certo più utile disporre di collazioni integrali, ma la messe è tanta : più di seicen-to manoscritti richiederebbero forze ingenti e tempi lunghissimi. Inoltre, per ciò che riguarda la Commedia, anche il concetto di errore così come lo intendono i manuali non si applica sempre con sicurezza. Anzi : è notorio che la tradizione del poema è caratterizzata proprio dalla scarsezza di errori macroscopici significativi e, viceversa, dall’abbondanza pervasiva di varianti adiafore.

Torno a quanto ho detto prima per fare un esempio. Inglese produce 21 errori attribuibili all’archetipo, Trovato ne individua 24 : tra le due liste solo 4 elementi coincidono. 1 È insomma evidente che, in mancanza di corruttele palesi, la valuta-zione dei singoli elementi si affida a criteri fatalmente soggettivi. Quindi sarà sem-pre opportuno discutere ampiamente gli errori e le scelte per la messa a testo. Per questo aspetto l’edizione Petrocchi è un esempio da seguire : la fascia di discussio-ne è prodiga di informazioni sull’operato del filologo in rapporto all’apparato, il che facilita la verifica e – dove necessario – il dissenso da parte del lettore. 2

Visto che ci siamo interrogati sull’archetipo, vale la pena di interrogarci sullo stemma, o meglio sulla sua funzione. Chiunque abbia allestito un’edizione cri-tica pluritestimoniale si è chiesto a che cosa serve lo stemma. Specialmente in casi complessi come quello della Commedia, piacerebbe avere a disposizione una macchina infallibile capace di guidarci nella scelta delle lezioni, se non proprio di produrre da sola il testo critico. Temo che questa prospettiva sia troppo ottimi-stica. Di fronte a una tradizione così inquinata e priva di errori guida sufficienti, mi affiderei più volentieri a un esame minuto delle varianti caso per caso. Da questo punto di vista, lo spostamento delle preferenze dalla tradizione toscana (o almeno toscana per Petrocchi) a quella settentrionale del manoscritto Urbinate, propugnata in modi diversi da Sanguineti e da Trovato, giova perché determina una nuova considerazione del testo e dei testimoni. Già Petrocchi, d’altro canto,

1 Giorgio Inglese, Per lo stemma, cit., p. 67 ; Paolo Trovato, Fuori dall’antica vulgata, cit., pp. 677-679.

2 Dopo la conclusione del Convegno sono usciti almeno due contributi rilevanti per la que-stione stemmatica e per il rapporto tra genealogia dei testimoni e fatti storici, che posso qui solo segnalare. Giorgio Inglese, Filologia dantesca : note di lavoro, « Medioevo Romanzo », a. xxxiii, 2009, pp. 402-414 : 411-414 distingue ora « tra la fonte (non autografa, o parzialmente autografa) dell’intera tradizione, che chiamerò prototipo (identificabile storicamente nel ‘testo di Iacopo Ali-ghieri’, allestito a Ravenna-Bologna), e l’archetipo ‘lachmanniano’, cioè l’incognita stemmatica da cui dipendono in linea verticale tutti i gruppi riconoscibili di testimoni ». Dal 1325 Iacopo si trovava a Firenze ed è probabile per Inglese che i materiali danteschi fossero presso di lui : essi sarebbero serviti per correggere l’errore dell’archetipo ‘lachmanniano’ in Par. xxviii, 136 (lo si è visto sopra : severo [per l’autore : o se vero ?] in luogo di secreto). Luigi Spagnolo, La tradizione della Comedìa (i), « Studi e Problemi di Critica Testuale », n. 80, 2010, pp. 10-90 sottopone a nuovo esame i luoghi barbiani alla ricerca di errori sicuramente monogenetici e propone un nuovo canone di corruttele utili alla classificazione dei testimoni. Ne deriva – contro Petrocchi, Inglese, Sanguineti e Trovato, ma con qualche analogia con Casella – uno stemma bipartito tra a (Mart Triv) e b (Lo Ham Cha Urb Vat Lau Laur Ga Ash Po Rb Ricc Eg Mad Tz Triv Pa Pr Parm La), dipendenti da un archetipo w dimostrato da tre errori congiuntivi (Inf. xxiv, 69 ; Purg. xxii, 6 ; Par. vii, 37), però con la possibili-tà di un terzo ramo (dunque di un subarchetipo g) da cui dipenderebbe almeno Pal (il ms. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 319). Spagnolo promette una seconda parte nella quale si troveranno appunti sulla veste linguistica e un saggio di edizione critica.

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aveva dato un giudizio molto positivo dell’Urbinate. 1 L’esame dei settentrionali, anche recenziori, potrebbe regalarci fasi più alte della tradizione e dunque meno contaminate. Non entro qui nel merito della facies linguistica che il testo critico dovrebbe assumere. Sulla possibilità di ricostruire il sistema linguistico di Dante agendo su manoscritti del Nord hanno espresso riserve in molti, tra i quali ricordo solo Pier Vincenzo Mengaldo, Cesare Segre e Luca Serianni. 2 Trovato, dal canto suo, ha recentemente proposto un’edizione provvisoria del canto v dell’Inferno restituita – per così dire – al fiorentino da una base padana, avvalendosi del ms. Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, 589 oltre che dell’Urbinate. 3

Preferisco osservare con voi qualche effetto delle nuove ricerche e delle nuove edizioni dantesche per vedere come un rinnovato confronto tra la tradizione set-tentrionale e i testimoni toscani possa produrre esiti differenti. Nel primo caso la lezione dell’Urbinate ha buone possibilità di essere più corretta di quella dei suoi concorrenti e dunque di migliorare il testo Petrocchi che l’aveva scartata.

Purg. xi, 127-132 : Dante chiede a Oderisi perché il superbo Provenzan Salvani sia già arrivato nella prima cornice e non attenda ancora nell’Antipurgatorio.

Petrocchi

E io : « Se quello spirito ch’attende,pria che si penta, l’orlo de la vita,qua giù dimora e qua sù non ascende,

se buona orazïon lui non aita,prima che passi tempo quanto visse,come fu la venuta lui largita ? »

Sanguineti

E io : « Se quello spirito ch’attende,pria che si penta, l’orlo de la vita,là giù dimora e qua sù non ascende,

se buona orazion lui non aita,prima che passi tempo quanto visse,come fu la venuta lui largita ? »

La versione dell’Urbinate, messa a testo da Sanguineti e difesa da Trovato, sembra più logica e più consona all’usus dantesco. 4 Petrocchi giustificava la scelta con il giudizio di Vandelli, che non è affatto irresistibile. Vale la pena di leggerlo :

1 Sarebbe infatti sbagliato ricordare Petrocchi come detrattore sistematico dell’Urbinate ; basta ricordare alcune sue valutazioni al riguardo : Dante, La Commedia, vol. i, p. 377 (« l’eccezionale correttezza del testo di Urb non è dovuta ad accorta revisione di un copista-editore, ma al tipo di tradizione in cui il testimone urbinate si inserisce ») e Giorgio Petrocchi, La tradizione emiliano-romagnola del testo della Commedia (1967), in Idem, Itinerari danteschi, premessa e cura di Carlo Ossola, Milano, Franco Angeli, 1994, pp. 150-157 : 156.

2 La recensione di Pier Vincenzo Mengaldo all’edizione Sanguineti si legge in « La Parola del Testo », a. v, 2001, pp. 280-289 e va tenuta presente anche quella, già ricordata, di Abardo (pp. 159-160) ; si vedano poi almeno Cesare Segre, Postilla sull’edizione Sanguineti della Commedia di Dante, « Strumenti Critici », n. s., a. xvii, 2002, pp. 312-314 : 314 e Luca Serianni, Sul colorito lingui-stico della Commedia, « Letteratura Italiana Antica », a. viii, 2007, pp. 141-150.

3 Paolo Trovato, Primi appunti sulla veste linguistica della Commedia, « Medioevo Romanzo », a. xxxiii, 2009, pp. 29-48. Ringrazio Trovato per avermi fatto leggere, prima della pubblicazione, il suo intervento Un problema editoriale : il colorito linguistico della Commedia, al Convegno asli su Storia del-la lingua italiana e filologia (Pisa-Firenze, 18-20 dicembre 2008) : il saggio mantiene i dubbi dello studio-so sull’opportunità di scegliere il Trivulziano come testimone base. Giorgio Inglese, Filologia dante-sca, cit., pp. 402-411 tuttavia argomenta ancora in suo favore per quanto concerne la veste linguistica.

4 Paolo Trovato, Per il testo della Commedia. Varianti poziori di tradizione settentrionale, in Stu-di in onore di Pier Vincenzo Mengaldo per i suoi settant’anni, a cura degli allievi padovani, vol. i, Firen-ze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007, pp. 263-278 : 271 e Idem, Fuori dall’antica vulgata, cit., p. 691.

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E bene sta qua giù, che ci dobbiamo figurare accompagnato da un cenno della mano verso il basso : così dal primo piano di una casa diciamo ‘qua giù’ per designare il pianterreno. Tanto più naturale suona il qua giù in bocca a Dante, che parla tutto chino a terra. 1

Il secondo caso riguarda un passo molto frequentato dalla critica e dimostra come la scelta tra le varianti adiafore possa essere aiutata da più ampie ricerche collate-rali. Anche qui la lezione di Petrocchi è passibile di miglioramento. Inf. vi, 18 : è la descrizione di Cerbero, tormentatore dei dannati. Il castigo ha luogo in tre azioni, la seconda delle quali è stata diversamente interpretata dai copisti. Secondo l’edi-zione Petrocchi « graffia li spirti ed iscoia ed isquatra » ; per Sanguineti : « graffia li spirti, incuoia ed isquatra » ; per Inglese : « graffia li spirti, ingoia e disquatra ». Dun-que iscoia, incuoia o ingoia ? Dopo gli studi di Sonia Gentili credo sia da preferire in-goia (portato da codici toscani, ma non solo), rinunciando alla limpida climax nelle nostre orecchie fin dal liceo. 2 Nella tradizione medievale Cerbero è un divoratore di carni e quindi, presumibilmente, ingoia brandelli di dannati anche nell’Inferno dantesco. Un ostacolo poteva essere costituito dalla cronologia : infatti, secondo i lessici, la prima attestazione sicura del verbo ingoiare si trovava addirittura nel Morgante di Luigi Pulci. Ma la Gentili riesce a retrodatare il verbo fino al Trecento (in un volgarizzamento delle Epistolae ad Lucilium) e ne trova anche altre occor-renze distribuite tra tardo xiv e xv secolo. A buon diritto ingoia figura nell’edizio-ne di Giorgio Inglese.

Merita una piccola sosta la lezione incuoia dell’Urbinate accolta da Sanguineti. Potrebbe essere una variante linguistica settentrionale di ingoia, ma Sanguineti la difende spingendosi a ipotizzare un « possibile neologismo dantesco, [dal signifi-cato di] ‘entra nelle cuoia di’ ». 3 Che è certo una difficilior, ma che forse pretende troppo dal « vulcanismo glottopoietico » di Dante (la definizione è di Giovanni Nencioni). 4 In questo secondo caso, pertanto, il contributo settentrionale dell’Ur-binate va regolato in una visione più ampia, che non si limiti al confronto tra le varianti.

Il terzo caso è quello più sfaccettato. Purg. ii, 79-81 : Dante cerca di abbracciare l’anima di Casella, ma non stringe nulla. La scena si svolge sulla filigrana di Aen. vi, 700-702, nel punto in cui Enea tenta di abbracciare l’ombra del padre Anchise (« Ter conatus ibi collo dare brachia circum, / Ter frustra comprensa manus effu-git imago, / Par levibus ventis volucrique simillima somno »). Concentriamoci so-lo sul verso 81, dove ci imbattiamo in una coppia di varianti adiafore da manuale.

1 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Testo critico della Società Dantesca Italiana riveduto col commento scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli, Milano, Hoepli, 2008 (ristampa ana-statica della ventunesima edizione), p. 398.

2 Sonia Gentili, « Cerberus quasi kreoboros » : iscoia / ingoia in Inf. vi, 18, « Cultura Neolatina », a. lvii, 1997, pp. 103-145.

3 Federico Sanguineti, Sui manoscritti Estense it. 474, Florio, Urbinati lat. 365 e 366, in Nuove pro-spettive, cit., pp. 651-667 : 656. Sulla questione, il punto bibliografico in Dantis Comedia. Appendice, cit., p. 61.

4 Giovanni Nencioni, Struttura, parola (e poesia) nella Commedia. Impressioni di una lettura po-strema (1990), in Idem, Saggi e memorie, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2000, pp. 23-50 : 25.

il testo della commedia dopo l’edizione petrocchi 77

Petrocchi

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto !tre volte dietro a lei le mani avvinsi,e tante mi tornai con esse al petto.

Sanguineti

O[h] ombre vane, fòr che ne l’aspetto !tre volte dietro a lei le mani avinsie tante mi tornâr con nulla al petto.

Petrocchi sceglie « Mi tornai con esse », lezione dei testimoni toscani, mentre San-guineti si fida del solito Urbinate e preferisce « con nulla ». Il parere del secondo editore ha riscosso approvazione. Anna Longoni, recensendo l’edizione sangui-netiana, ha ritenuto che la lezione « con nulla » riavvicini Dante al virgiliano « fru-stra ». 1 A parere di Trovato, l’avvicendarsi dei soggetti grammaticali sarebbe più prossimo al modello latino (« avinsi... mi tornar ») e il suo livellamento (« avvinsi... mi tornai ») sarebbe più facilmente una banalizzazione. 2 I rilievi, pur non dirimen-ti, darebbero un minimo di spinta verso l’Urbinate. Tuttavia metterei in gioco un’altra testimonianza, cui ho fatto cenno all’inizio, e cioè il volgarizzamento del compendio dell’Eneide approntato da Andrea Lancia. Come sottolineava Folena, il testo di Lancia conta molte memorie della Commedia ed è interessante che il notaio fiorentino, dovendo tradurre l’ultimo vano abbraccio di Enea a Creusa sul finire del secondo libro, faccia ricorso proprio al luogo purgatoriale di cui stiamo parlando : « Tre volte m’isforzai d’avvinghiarle le mani al collo, e altre tante mi tor-nai con esse indarno al petto ». 3

Come Folena, ritengo molto difficile pensare a una coincidenza casuale. La-scia più dubbi la datazione del volgarizzamento, che Folena fissava entro il 1316, ma che altri vorrebbero abbassare. 4 Secondo Luca Azzetta, la cronologia si potrebbe provvisoriamente collocare a « un momento anteriore al 1322 ». 5 Se così veramente fosse, saremmo in presenza di un lacerto pretradizionale non

1 Anna Longoni, recensione cit., p. 306.2 Paolo Trovato, Fuori dall’antica vulgata, p. 681.3 La istoria di Eneas vulgarizata per Angilu di Capua, a cura di Gianfranco Folena, Palermo, Cen-

tro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1956, p. xxxiv.4 Sul ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Martelli 2, che tramanda il volgarizzamen-

to, si veda la scheda in I manoscritti datati del fondo Acquisti e Doni e dei fondi minori della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, a cura di Lisa Fratini e Stefano Zamponi, Firenze, sismel-Edizioni del Galluzzo, 2004, p. 62 (n. 67). La parte più antica del codice, che ospita il segmento che ci inte-ressa, è datata 1316 : termine cui il catalogo dà credito. Per Renzo Iacobucci, Un nome per il più antico copista, cit., pp. 11-12 e n. : « tale riferimento sarà da intendersi, con ogni probabilità, 25 marzo 1316-24 marzo 1317, secondo lo stile dell’anno dell’incarnazione, computo fiorentino ».

5 Ordinamento, provvisioni e riformagioni del Comune di Firenze volgarizzati da Andrea Lancia (1355-1357), a cura di Luca Azzetta, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2001, pp. 15-16. Sono grato all’esperto Luca Azzetta per le informazioni relative ad Andrea Lancia. Sulla com-plessa vicenda legata al volgarizzamento si veda anche Emiliano Bertin, ‘Puglia’ come ‘Tuscia’. Sull’interpretazione di Inferno xxviii 10 e il volgarizzamento di Eneide x nel Trecento, « Studi Dante-schi », a. lxxii, 2007, pp. 25-43 : 41-42 e n., con analisi della bibliografia precedente (nella quale spicca Giuliano Tanturli, Codici dei Benci e volgarizzamenti dell’Eneide compendiata, in Per Domenico De Robertis, a cura di Isabella Becherucci, Simone Giusti, Natascia Tonelli, Firenze, Le Lettere, 2000, pp. 431-457). Come che stia la questione attributiva, l’antichità della lezione che qui interessa sem-bra garantita dalla maggioranza degli studi.

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trascurabile. Se non altro, l’antichità del pezzo dovrebbe rivalutare la scelta di Petrocchi.

I tre esempi richiedono soluzioni diverse e – se ce ne fosse bisogno – conferma-no la necessità di una critica interna che si accosti alle risultanze della stemmatica. Su questa linea mi associo alle considerazioni di Marco Veglia. Credo insomma che la battaglia per il testo critico della Commedia vada combattuta ‘casa per casa’, o meglio ‘lezione per lezione’, come un’incruenta Stalingrado della filologia ita-liana. Con la speranza che il ritrovamento di nuovi testimoni e le nuove collazioni in corso possano fare felice, oltre al taglialegna, anche il filosofo.

composto in carattere dante monotype dallafabriz io serra editore, p i sa · roma.

stampato e r ilegato nellatipografia di agnano, agnano p i sano (p i sa) .

*Luglio 2011

(cz 2 · fg 3)