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179 La dea Mertseger sul cofanetto porta-ushabti KS 1969 del Museo Civico Archeologico di Bologna Daniela Picchi La collezione egiziana del Museo Civico Archeologico di Bologna, così come molte collezioni europee formatesi tra il XVI e il XIX secolo, è costituita da oggetti provenienti soprattutto da aree sepolcrali. Uno dei funeralia bolognesi più ammirati e studiati nel tempo, a partire dalla sua comparsa sul mercato antiquario ottocentesco, è senza dubbio il cofanetto porta-ushabti KS 1969. Questo cofanetto ligneo, a triplice cappella itrt 1 rastremata verso l’alto, suscita da sempre interesse per l’eccellente fattura, per le grandi dimensioni (cm 43 in altezza × 44 in larghezza × 15 in profondità), e, in particolare, per il ricco appa- rato iconografico. L’intera superficie, infatti, è figurata a vivaci colori con scene che mostrano il defunto al cospetto di alcune divinità: Osiri, Thot e Horo su uno dei lati maggiori, Imentit e Mertseger sull’altro, Nefertum, Isi, Thot e Maat sui lati minori; numerose iscrizioni in caratteri geroglifici esplicano e completano la valenza magico-religiosa delle immagini nella prospettiva per il defunto di una vita eterna oltre la morte (Figg. 1-2). Pur nella raffinatezza complessiva dei soggetti, è la rara rappresentazione della dea Mertseger, che esce dalla montagna d’Occidente sotto sembianze vaccine, ad avere catalizzato l’attenzione degli stu- diosi e, anche in occasione di questo colloquio 2 , è la stessa immagine di serpente cobra disattesa a fornire lo spunto per una nuova riconsiderazione tipologica, iconografica e contestuale dell’oggetto. Ripercorrendone brevemente la storia degli studi, va ricordato che il cofanetto è descritto per la prima volta da Giuseppe Nizzoli, cancelliere presso il consolato d’Au- stria in Egitto 3 , nel Catalogo Dettagliato della Raccolta di Antichità Egizie riunite da Giuseppe Nizzoli Cancelliere del Cons. Gen. d’Austria in Egitto dopo quella del 1824 dal medesimo ceduta all’I. e R. Galleria di Firenze per la munificenza di S.A.I. e R. Leopoldo II Granduca di Toscana, Alessandria 1827, al n. 22 dell’Articolo II dedicato agli “Oggetti in Legno”. Nizzoli, interessato a promuovere il valore commerciale della sua terza raccolta di antichità egiziane 4 nell’auspicio di una fruttuosa vendita 1 Cfr. J. Cerny, “JEA” 23 (1937), 188, in particolare nota 1. 2 Desidero ringraziare il Prof. Sergio Pernigotti e il Dr. Marco Zecchi per avermi invitata al colloquio. 3 Giuseppe Nizzoli è cancelliere presso il consolato d’Austria in Egitto dal 1817 al 1828, anno del suo rientro in Italia. 4 Come è ben noto, Nizzoli aveva già venduto ad August Burghart nel 1821 una prima raccol-

La dea Mr.s-gr sul cofanetto porta-ushabti KS 1969 del Museo Archeologico di Bologna

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La dea Mertseger sul cofanetto porta-ushabti KS 1969del Museo Civico Archeologico di BolognaDaniela Picchi

La collezione egiziana del Museo Civico Archeologico di Bologna, così come molte collezioni europee formatesi tra il XVI e il XIX secolo, è costituita da oggetti provenienti soprattutto da aree sepolcrali. Uno dei funeralia bolognesi più ammirati e studiati nel tempo, a partire dalla sua comparsa sul mercato antiquario ottocentesco, è senza dubbio il cofanetto porta-ushabti KS 1969.

Questo cofanetto ligneo, a triplice cappella itrt1 rastremata verso l’alto, suscita da sempre interesse per l’eccellente fattura, per le grandi dimensioni (cm 43 in altezza × 44 in larghezza × 15 in profondità), e, in particolare, per il ricco appa-rato iconografi co. L’intera superfi cie, infatti, è fi gurata a vivaci colori con scene che mostrano il defunto al cospetto di alcune divinità: Osiri, Thot e Horo su uno dei lati maggiori, Imentit e Mertseger sull’altro, Nefertum, Isi, Thot e Maat sui lati minori; numerose iscrizioni in caratteri geroglifi ci esplicano e completano la valenza magico-religiosa delle immagini nella prospettiva per il defunto di una vita eterna oltre la morte (Figg. 1-2). Pur nella raffi natezza complessiva dei soggetti, è la rara rappresentazione della dea Mertseger, che esce dalla montagna d’Occidente sotto sembianze vaccine, ad avere catalizzato l’attenzione degli stu-diosi e, anche in occasione di questo colloquio2, è la stessa immagine di serpente cobra disattesa a fornire lo spunto per una nuova riconsiderazione tipologica, iconografi ca e contestuale dell’oggetto.

Ripercorrendone brevemente la storia degli studi, va ricordato che il cofanetto è descritto per la prima volta da Giuseppe Nizzoli, cancelliere presso il consolato d’Au-stria in Egitto3, nel Catalogo Dettagliato della Raccolta di Antichità Egizie riunite da Giuseppe Nizzoli Cancelliere del Cons. Gen. d’Austria in Egitto dopo quella del 1824 dal medesimo ceduta all’I. e R. Galleria di Firenze per la munifi cenza di S.A.I. e R. Leopoldo II Granduca di Toscana, Alessandria 1827, al n. 22 dell’Articolo II dedicato agli “Oggetti in Legno”. Nizzoli, interessato a promuovere il valore commerciale della sua terza raccolta di antichità egiziane4 nell’auspicio di una fruttuosa vendita

1 Cfr. J. Cerny, “JEA” 23 (1937), 188, in particolare nota 1.2 Desidero ringraziare il Prof. Sergio Pernigotti e il Dr. Marco Zecchi per avermi invitata al colloquio.3 Giuseppe Nizzoli è cancelliere presso il consolato d’Austria in Egitto dal 1817 al 1828, anno del suo rientro in Italia.4 Come è ben noto, Nizzoli aveva già venduto ad August Burghart nel 1821 una prima raccol-

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Figg. 1-2. Il cofanetto porta-ushabti MCAB, KS 1969 (foto M. Bertoni, 1994).

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sul mercato europeo e consapevole della rarità dell’oggetto5, delinea con dovizia di particolari le scene dipinte su ogni lato del cofanetto, incominciando proprio dalla raffi gurazione della dea Mertseger, che egli confonde con il dio Osiri sotto sembianze di bue Apis6.

Pochi anni dopo, tutti i reperti archeologici descritti da Nizzoli nel Catalogo Dettagliato sono acquistati in blocco dal pittore bolognese Pelagio Palagi7, allo-ra residente a Milano al numero 8 rosso di via Camperio presso casa Brioschi e l’adiacente chiesa sconsacrata di San Vincenzino. In questa sede Palagi sta allestendo dal 1815 un vero e proprio museo privato8, che non perde occasione di implementare con oggetti di ogni genere9. Le antichità nizzoliane vi arrivano entro la fi ne luglio

ta di antichità, che tuttora costituisce il nucleo principale della collezione egiziana conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, e una seconda a Leopoldo II Granduca di Toscana nel 1824, confl uita poi nella sezione egiziana del Museo Egizio di Firenze. Cfr. in merito alla prima raccolta: H. Satzinger, Der Werdergang der Ägyptisch-Orientalischen Sammlung des Kunsthistorischen Museums in Wien, in C. Morigi Govi-S. Curto-S. Pernigotti (a cura di), L’Egitto fuori dell’Egitto. Dalla riscoperta all’Egittologia, Bologna 1994, 367-382; Id., Das Kunsthistorische Museum in Wien. Die Ägyptisch-Orientalische Sammlung, Mainz 1994. Cfr. in merito alla seconda raccolta: P.R. Del Francia, I Lorena e la nascita del Museo Egizio fi o-rentino, in Morigi Govi-Curto-Pernigotti, op. cit., 159-190.5 Nizzoli, op. cit., 14, Articolo II, n. 22: “Altra cassetta emblematica di forma singolarissima ed egualmente interessante per le sue rappresentazioni. Questa si può dire veramente unica, perché non ne sono state fi nora vedute altre, che contenghino le allegorie che si osservano nelle medesime rappresentazioni, che vi si vedono dipinte a colori conservatissimi”.6 Ibid., 15: “Dietro l’albero poi si vede Osiride in fi gura di bove Apis con macchie sul corpo, collana e frusta sul dorso: sul capo, e fra le corna, vi è la mitria di Osiride, e d’Iside… Di sopra a detta bella rappresentazione si vede, in un angolo, l’occhio della provvidenza, indi una piccola linea verticale di bei geroglifi ci posta sopra il bove Apis ed altra simile sopra la Divinità che versa…”.7 Il 3 giugno 1831 Pelagio Palagi e Giuseppe Nizzoli fi rmano a Milano il contratto di com-pravendita della collezione descritta nel Catalogo Dettagliato alla presenza del notaio Luigi Clerici e di due testimoni, Carlo Zardetti e Angelo Lamperti; cfr. BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. a. A ogni contraente è allora consegnata una copia del Catalogo Dettagliato con note manoscritte; entrambe le copie sono ora conservate presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna e una loro ristampa è stata curata recentemente da Sergio Pernigotti in Aegyptiaca Bononiensia. I, “Monografi e di SEAP – Series Minor” 2 (1991), 46-79.8 Trasferitosi da Roma a Milano nel 1815, Palagi porta con sé gli oggetti che aveva iniziato a collezionare durante il soggiorno romano e dà così inizio all’allestimento del suo museo milanese. Lo aiutano in questo trasloco di antichità e altro i fratelli; cfr. BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 12bis, fasc. 1-83, passim e Cart. 13, fasc. 23-56, passim.9 Palagi continuerà ad arricchire il museo milanese anche dopo essersi trasferito a Torino su esplicita richiesta di Carlo Alberto di Savoia (1832), dove rimarrà fi no alla morte (1861); cfr. la lettera inviata in data 10 dicembre 1832 a Palagi dal conte Stefano Gallina, Primo Uffi ciale del Ministero delle Regie Finanze; BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 9, fasc. 13. In

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del 183110 e, sulla base delle informazioni fornite da un disegno inedito di recente individuazione11 (Fig. 3), queste sono poi ordinate per nuclei tipologico-tematici all’interno di un ampio magazzino a pianta rettangolare. Il cofanetto porta-ushabti, defi nito nel disegno “Cassettina Emblematica”12, è collocato assieme ad altri fune-ralia in “Prima linea in alto” lungo il “Lato dritto entrando dalla Porta del magaz-zino” (Fig. 4) ed è lì che Carlo Zardetti (1784-1849), amico e consulente di Palagi nell’acquisto di molte antichità, nonché assistente di Gaetano Cattaneo, Direttore del Gabinetto Numismatico di Brera13, nota l’oggetto. Lo afferma lui stesso nella premessa al saggio Lettera sopra due antichi monumenti egiziani posseduti dal Cav. Pittore ed Architetto Pelagio Palagi, pubblicata a Milano nel 1835, che egli indirizza all’“Amico Pregiatissimo”, motivandone l’origine come segue: “Quando Voi … avete acquistato la bella Raccolta di Antichità … e vi siete compiaciuto di invitarmi ad esaminarla, io notai a preferenza, come assai interessanti, due Monumenti, una cassetta funeraria cioè e un grande bassorilievo14. Mi avete Voi allora gentilmente mostrato il desiderio che io scrivessi qualche cosa intorno ai medesimi; ve lo promisi, ed eccovi fi nalmente ciò che vi so dire e dell’uno e dell’altro”15.

Zardetti avvalora quanto affermato da Nizzoli in merito alla rarità del cofanetto sulla base di una puntuale indagine bibliografi co-scientifi ca16 e fornisce una descrizione

merito alla composizione del museo cfr. BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. g, n. 7 e fasc. 5, lett. a-c.10 Nizzoli vende a Palagi una seconda raccolta di antichità egiziane, descritta nel Catalogo di una raccoltina di Antichità Egiziane, s.d.: BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. c, n. 5, ripubblicato da Pernigotti in Aegyptiaca Bononiensia op. cit., 80-84. La vendita si verifi ca sicuramente tra il 25 luglio 1832, perché in tale data Nizzoli scrive a Palagi garantendogli la prelazione di acquisto su chiunque altro per quanto concerne la raccoltina (BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. d, n. 3, 11), e la fi ne di settembre dello stesso anno (BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. c, n. 5, 6-7; lett. d, n. 3, 12-13 e n. 6; lett. e, n. 3; lett. f, nn. 5-7).11 BCAB, Sez. Mss. e Rari, F.S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. g, n. 7. Il disegno riproduce, in pianta, l’allestimento espositivo delle antichità nizzoliane descritte nel Catalogo Dettagliato. Colgo l’occasione per ringraziare il Direttore della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Dr. Pierangelo Bellettini, e il personale della Sezione Manoscritti della stessa per l’aiuto for-nitomi con le consuete gentilezza e disponibilità.12 Nel disegno il termine “Cassettina Emblematica” è ripetuto due volte a breve distanza, perché la collezione nizzoliana annovera due esemplari di cofanetto porta-ushabti (MCAB, KS 1969 e KS 1971); rimane quindi un’incertezza in merito alla precisa identifi cazione del cofanetto in esame.13 Carlo Zardetti gli succede nella direzione del Gabinetto dal 1841 al 1849.14 Si tratta del rilievo parietale proveniente dalla tomba menfi ta di Horemheb con cavaliere (MCAB, KS 1889).15 Zardetti, op. cit., 5; una copia di questo testo, a tiratura limitata, è conservata presso l’Ar-chivio Storico del Museo Civico Archeologico di Bologna.16 Ibid., 6: “La cassetta funeraria da me distinta mi sembra non comune per la sua conserva-

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Fig. 3. Pianta espositiva della collezione egiziana di Pelagio Palagi a Milano (BCAB, Sez. Mss. e Rari, F. S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. g, n. 7).

Fig. 4. Particolare con indicazione della Cassettina Emblematica corrispondente al cofanetto KS 1969 (BCAB, Sez. Mss. e Rari, F. S. Palagi, Cart. 31, fasc. 2, lett. g, n. 7).

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e una interpretazione più precise dell’intero apparato iconografi co, avvalendosi del supporto di due splendide tavole a colori che riproducono i quattro lati dell’oggetto (Figg. 5-6). La descrizione del lato posteriore del cofanetto17, illustrato nella Tavola II, N. 1, contiene interessanti novità rispetto al testo nizzoliano, poiché la fi gura di vacca che emerge dalla montagna diventa “la mistica vacca della Dea Hathor, considerata qui come dominatrice dell’Occidente, cioè dell’Amenti, e come una delle nudrici delle anime”18. Zardetti non può spingersi oltre nell’interpretare l’immagine divina perché ignora il signifi cato dell’iscrizione in caratteri geroglifi ci sovrapposta, “anche col soccorso delle opere pubblicate dai signori Champollion e Rosellini e da altri dotti, trovandomi troppo digiuno delle cognizioni necessarie in siffatta materia”19.

La lettura del testo in questione è trascurata anche dall’egittologo Francesco Rossi20 che, dieci anni dopo la morte di Pelagio Palagi (1775-1861) e l’acquisto di tutte le sue collezioni da parte del Municipio di Bologna, redige il capitolo dedicato alle antichità egiziane del volume Cenni storici, relazioni e cataloghi del Museo Civico di Bologna per la inaugurazione fatta il 2 ottobre 1871 in occasione del V Congresso Internazionale di Antropologia e Archeologia Preistoriche, Bologna 1871. Il numero 1095 del catalo-go, pubblicato a corredo della prima esposizione in cinque stanze di Palazzo Galvani di alcuni materiali provenienti dalla collezione Palagi e dagli scavi allora condotti sul territorio bolognese21, corrisponde al cofanetto, che Rossi esamina da un punto di vista tipologico22 e iconografi co, senza fornire interpretazioni sostanzialmente difformi da quelle proposte da Zardetti in merito alla dea con sembianze di vacca23.

Inaugurato nel 1881 il Museo Civico Archeologico di Bologna ed esposto per in-

zione ed assai importante, se non m’inganno, per le sue pitture. È bensì vero, che varie se ne trovano nei diversi musei d’Europa: ma nessuna, come ho potuto rilevare dalle descrizioni fi nora pubblicate, nessuna può pel numero e l’interesse delle pitture, e fors’anche delle de-scrizioni geroglifi che, paragonarsi alla vostra”.17 Ibid., 12-16.18 Ibid., 13.19 Ibid., 5.20 Fino al 1892 Francesco Rossi è coadiutore di Ariodante Fabretti, Direttore del Museo Egi-zio di Torino dal 1871 al 1893.21 C. Morigi Govi, Il Museo Civico del 1871, in C. Morigi Govi-G. Sassatelli (a cura di), Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico, Bologna 1984, 259-268.22 F. Rossi, Cataloghi. Prima sala – Collezione Palagi, in E. Brizio (a cura di), Cenni storici, relazioni e cataloghi del Museo Civico di Bologna per la inaugurazione fatta il 2 ottobre 1871 in occasione del V Congresso Internazionale di Antropologia e Archeologia Preisto-riche, Bologna 1871, n. 1095: “Ricca e bella CASSETTA funeraria quadrangolare in legno, divisa in tre compartimenti con le pareti che vanno restringendosi alla cima, e con gli assi che la dividono sporgenti al di sopra dei coperchi”.23 Ibid.: “Dietro l’albero si vede da una montagna, che qui indica l’occidente, uscire la Dea Hathor, che in questa sua forma di vacca prende anche il nome di madre celeste, e simbo-leggia l’emisfero inferiore. In questa sua qualità si credeva dovesse ricevere i defunti al loro arrivo nell’occidente”.

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Fig. 6. Tav. II, NN. 1-2, due lati del cofanetto porta-ushabti KS 1969 (da C. Zardetti, Lettera sopra due antichi monumenti egiziani, Milano 1835).

Fig. 5. Tav. I, NN. 1-2, due lati del cofanetto porta-ushabti KS 1969.

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tero il nucleo di antichità egiziane di Palagi in quattro sale al primo piano di Palazzo Galvani, il direttore del Museo Giovanni Brizio affi da a Giovanni Kminek-Szedlo, do-cente di Egittologia presso la Regia Università di Bologna e primo ispettore egittologo del museo24, il compito di stilare il catalogo di questa sezione espositiva. Il Catalogo di Antichità Egizie descritte dal Prof. Cav. Giovanni Kminek-Szedlo è stampato a Torino nel 1895 e l’autore vi inserisce il cofanetto porta-ushabti al numero 1969, che tuttora identifi ca il reperto da un punto di vista inventariale. Kminek-Szedlo ne indica per primo le dimensioni e, dato ancora più signifi cativo, integra la descrizione dell’appa-rato iconografi co, ripresa in maniera quasi pedissequa da Rossi25, con la trascrizione e la traduzione parziali del testo in caratteri geroglifi ci, rendendo fi nalmente noti il titolo e il nome del proprietario dell’oggetto: “superiore dei guardiani dei libri nel tesoro di Tebe Nifu-en-hui”26.

La corretta lettura della vacca sacra che esce dalla montagna d’Occidente quale in-solita immagine della dea Mertseger, una prima attribuzione cronologica del cofanetto alla XX dinastia, una motivata indicazione di provenienza dell’oggetto dall’area tebana e una ipotetica individuazione del nucleo familiare di origine del suo proprietario, invece, si debbono alle pubblicazioni successive di Bernard Bruyère27 e di Giuseppe Botti28. Quest’ultimo, esaminato il reperto in maniera esaustiva e contestualizzata, propone anche una nuova lettura del titolo e del nome del proprietario, che, secondo la sua traduzione, corrisponderebbero a “capo dei custodi dei registri del tesoro della casa di Ammone, Thauenhuy”.

Negli anni successivi lo studio di Botti, il cofanetto porta-ushabti KS 1969 continua a essere pubblicato, sia perché esposto in occasione di alcune mostre bolognesi29 e inserito nelle guide del Museo Archeologico30, sia perché correlato a funeralia at-

24 Cfr. S. Curto, A ricordo di due egittologi dimenticati: Giuseppe Acerbi e Giovanni Kminek-Sze-dlo, in La Lombardia e l’Oriente, Milano 1963, 89-128; S. Pernigotti-P. Piacentini (a cura di), Atti del colloquio su Giovanni Kminek-Szedlo. Bologna, 7 maggio 1987, “SEAP” 2 (1987).25 Nonostante la traduzione quasi integrale del testo, Kminek-Szedlo non associa la vacca sa-cra che esce dalla montagna alla dea Mertseger della quale si legge il nome immediatamente sopra l’immagine.26 Kminek-Szedlo, op. cit., n. 1969 e, in particolare, 231-232.27 B. Bruyère, Mert Seger à Deir el Médineh, Le Caire 1930, in particolare 275, nota 2 e fi g. 142.28 G. Botti, Il cofano N. 1969 del Museo Civico di Bologna, in Studies Presented to F.Ll. Grif-fi th, London 1932, 263-266, tavv. 27-28; questo testo, per il quadro d’insieme approfondito, risulta ancora oggi imprescindibile per lo studio del cofanetto.29 Cfr. S. Curto, L’Egitto antico nelle collezioni dell’Italia settentrionale, Bologna 1961, n. 142, tav. 53; Pelagio Palagi artista e collezionista, Bologna 1976, n. 526; Il senso dell’arte nell’antico Egitto, Milano 1990, n. 165.30 Cfr. P. Ducati, Guida del Museo Civico di Bologna, Bologna 1923, 52; Il Museo Civico Archeologico di Bologna. Realtà regionale Musei. Guide 2, Bologna 1988, 140-141; G. Mo-rigi-S. Pernigotti (a cura di), Museo Civico Archeologico di Bologna. La collezione egiziana, Milano 1994, 83.

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tribuibili al medesimo proprietario, rintracciati un poco per volta nelle collezioni di prestigiosi musei europei31. Le difformità interpretative emerse al confronto di que-sti saggi e la mancanza di un repertorio complessivo degli oggetti appartenenti allo stesso corredo funerario, inducono a qualche nuova considerazione, utile nel defi nire l’origine di una immagine tanto particolare e tuttora unica quale la fi gura vaccina della dea Mertseger di Bologna.

In primo luogo merita una rifl essione il nome del proprietario, , tradotto in alcuni casi Nifu-en-hui e varianti, secondo l’interpretazione proposta da Kminek-Szedlo32, in altri Thauenhuy e varianti, lettura preferita da Botti33. Tale alternanza trova un forte avallo nella traslitterazione del geroglifi co % avanzata da Herman Ranke nel 193534. L’autore, infatti, propone una doppia interpretazione del segno della vela (Gardiner P 5), vale a dire Nfw(-n-6j) in PN I, 193, 19 e T3w(-n-6j) in PN II, 111, creando un’ambivalenza che sarà superata solo molti anni dopo grazie allo studio prosopografi co dedicato all’area tebana da Herman De Meulenaere35 e alla revisione del PN curata da Michelle Thirion36. Da allora in poi, le traslitterazioni più comuni del nome diventano T3w-n-6y / T3w-n-6j e T3w-n-6wj / T3w-n-6wy, alle quali ritengo opportuno uniformarmi soprattutto allo scopo di facilitare ogni eventuale ampliamento del dossier a nome del medesimo personaggio.

Christine Seeber, che adotta la traslitterazione T3w-n-6wj ancora prima di De Meulenaere e di Thirion, integra in maniera sostanziale la documentazione in calce

31 Cfr. C. Seeber, Untersuchungen zur Darstellung des Totengerichts im Alten Ägypten, Mün-chen–Berlin 1976, 213, n. 29; H. De Meulenaere, “CdE” 53 (1978), 228-229; D.A. Aston, “OMRO” 74 (1994), 26-27; J.-L. Chappaz, Les coffres à chaouabtis, in J.-L. Bovot (a cura di), Chaouabtis. Des travailleurs pharaoniques pour l’éternité, Paris 2003, 40-44 e, in par-ticolare, 43.32 Cfr. supra nota 26. Cfr. anche P. Pierret, Recueil d’inscriptions inédites du Musée Egyptien du Louvre, Paris 1874, 111-112 (Nifu en hui); M.G. Maspero, Catalogue du Musée Égyptien de Marseille, Paris 1889, n. 222 (Nifounhoui); Bruyère, op. cit., in particolare 275, nota 2 (Nifou en houi); Curto, L’Egitto antico op. cit., n. 142 (Nefuienhui); Pelagio Palagi op. cit., n. 526 (Nefuenhi); Il senso dell’arte op. cit., n. 165, e Morigi Govi-Pernigotti, op. cit., 83 (Nefuenhuy).33 Botti, op. cit., 264 e passim, ma anche il catalogo mostra Loin du sable. Collections égyp-tiennes du Musée des Beaux-Arts et d’Archeologie de Besançon augmentées de quelques objets déposés par le Musée d’Art et d’Histoire de Belfort, le Musée du Château de Mont-béliard, le Musée Georges-Garret de Vesoul, Besançon 1990, n. 42 (Tchaouenhouy); Aston, op. cit., 26-27 (Tjaenhwy); Chappaz, op. cit., 40-44 e, in particolare, 43 (Tjaou-en-houy).34 H. Ranke, Die Ägyptische Personennamen, Glückstadt 1935.35 De Meulenaere, op. cit., 228-229, data il nome T3w-n-6y tra la XX dinastia e la fi ne dell’età ramesside o, al massimo, la XXI dinastia.36 M. Thirion, “RdE” 36 (1985), 128 (T3w-n-6y); Id., “RdE” 39 (1988), 133, data il nome all’età ramesside.

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alle succitate voci onomastiche del PN37, individuando il nucleo originario del dos-sier38. L’autrice correla il cofanetto KS 1969 a un secondo contenitore porta-ushabti, appartenuto a un omonimo 6ry s3wt„ ssw n pr-6d n pr ´Imn39 (Louvre N. 4124). Questo contenitore è assolutamente identico all’esemplare bolognese per le grandi dimensioni (cm 43,5 in altezza × 44 in larghezza × 16 in profondità), la tipologia a triplice cappella itrt rastremata verso l’alto, la raffi natezza di esecuzione e il ricco apparato iconografi co, che integra le scene funerarie dipinte sul cofanetto KS 1969, riproducendo due momenti signifi cativi del Libro dei Morti: la pesatura del cuore e il conseguente giudizio del defunto da parte del dio Osiri40. Secondo Seeber, e poi De Meulenaere41, il titolo e il nome dello stesso proprietario comparirebbero anche su un papiro di Zagabria42 iscritto con il Libro dei Morti, il cui testo in geroglifi co corsivo è purtroppo lacunoso proprio in corrispondenza del nome del defunto43. Nonostante la lacuna, il titolo di 6ry s3wt„ ssw n pr-6d n pr ´Imn, perfettamente leggibile, e la parte iniziale del nome, T3w, non sembrano lasciare dubbi sulla provenienza del pa-piro funerario dal medesimo contesto sepolcrale44, con ogni probabilità individuato e spoliato ai primi dell’Ottocento, visto che i tre reperti individuati da Seeber arrivano sul mercato antiquario europeo poco tempo dopo45.

A tali oggetti, già emblematici nel rivelarci la ricchezza del corredo funerario di Thauenhuy, ne vanno associati alcuni altri, ugualmente signifi cativi: un terzo cofanetto porta-ushabti a triplice cappella itrt rastremata verso l’alto e dalle stesse dimensioni

37 L’unico reperto menzionato da Ranke attribuibile al proprietario del cofanetto KS 1969 è la statuetta ushabti n. 222 di Marsiglia: PN I, 193, 8; Maspero, op. cit., n. 222; Thirion, “RdE” 39 (1988), 133.38 Seeber, op. cit., 213, n. 29.39 In merito a questo titolo, cfr. G. Lefebvre, Histoire des Grans Prêtres d’Amon de Karnak jusqu’a la XXIe dynastie, Paris 1929, 54; Wb III, 418, 7-11; D. Meeks, Annee Lexicographi-que. Egypte Ancienne. Tome 2 (1978), Paris 1981, 78.3275; Id., ibid. Tome 3 (1979), Paris 1982, 79.2394; KRI II, 101,12 e la corrispettiva traduzione in K.A. Kitchen, Ramesside In-scriptions Translated & Annotated. Translations. II. Ramesses II, Royal Inscriptions, Cam-bridge, Massachusetts 1996, 14, 101.1, con riferimento alla quale il titolo può essere tradotto “capo archivista del tesoro della dimora di Amon”; LÄ I, 422-424.40 Cfr. Chappaz, op. cit., 40-44 e, in particolare, 82, n. 20.41 De Meulenaere, op. cit., 228.42 Cfr. J. Monnet Saleh, Les antiquités égyptiennes de Zagreb. Catalogue raisonné des an-tiquiteés égyptiennes conservées au Musée Archéologique de Zagreb en Yougoslavie, Paris 1970, n. 885.43 Si legge solo .44 Di opinione contraria è invece Susanne Vanek, “GM” 74 (1984), 15-20, che propone di integrare T3w-n-Ty. Cfr. anche Ead., “BSEG” 11 (1987), 119-132.45 Il papiro di Zagabria appartiene alla collezione del feldmaresciallo austriaco Franz Koller, costituita dalla sua famiglia nella prima metà dell’Ottocento e conservata a Praga fi no al 1868, anno della sua acquisizione da parte del Museo Nazionale di Zagabria.

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dei due precedenti (Louvre N. 4122)46, sei statuette ushabti (Louvre N. 2684) e una cista con i rispettivi quattro canopi-sarcofago confi gurati a genio funerario (Louvre N. 4094 e N. 2719). Un ushabti donato dal Louvre al Musée Égyptien di Marsiglia (N. 222)47 e un’altra statuetta simile, in deposito permanente al Musée des Beaux-Arts et Archéologie di Besançon dal 1890 (D. 890.1.3) per concessione della Réunion des Musées Nationaux francesi48, completano il repertorio.

Uno studio tipologico comparato dei funeralia costituenti l’oramai corposo dossier a nome di Thauenhuy diventa il passo successivo per defi nire il periodo di vita del loro proprietario e, in contemporanea, per restringere l’ampio arco cronologico all’interno del quale sono ora distribuiti gli oggetti del corredo: il cofanetto di Bologna è datato tra la XVIII e la XX dinastia, o in modo più generico al Nuovo Regno49; i reperti del Louvre sono considerati di XX-XXI dinastia, mentre l’ushabti di Besançon è attribuito alla sola XX dinastia50. Considerato che le sette statuette funerarie possono risalire alla tarda XIX dinastia oppure alla XX dinastia sulla base dello schema cronologico elaborato da Hans D. Schneider51 e che i tre cofanetti porta-ushabti a triplice cappella itrt rastremata verso l’alto appartengono al Tipo IV della classifi cazione di David A. Aston52, una produzione tebana diffusasi tra la fi ne della XIX e gli inizi della XXI dinastia, è plausibile datare il corredo alla tarda XIX-XX dinastia53.

Il luogo di rinvenimento di queste suppellettili funerarie è tuttora sconosciuto, ma le ricerche della sepoltura appartenuta all’6ry s3wt„ ssw n pr-6d n pr ́ Imn T3w-n-6wy devono certo concentrarsi in area tebana, visto che alcuni manufatti sono tipici della zona54 e il titolo e il nome Thauenhuy vi sono documentati dalla XVIII dinastia sino

46 Cfr. Pierret, op. cit., 111-112 con trascrizione e traduzione del testo iscritto sul cofanetto Louvre N. 4122 a nome di Thauenhuy, detto anche Pakawa‘a (?). Cfr. anche PM I2, 1, 837 e supra nota 35. De Meulenaere attribuisce alla Seeber l’associazione di questo terzo cofanetto porta-ushabti agli altri due, ma il contenitore non è esplicitamente menzionato in Untersu-chungen zur Darstellung op. cit., 213, n. 29.47 Maspero, op. cit., n. 222 corrispondente al N. 2684 del Louvre.48 Cfr. Loin du sable op. cit., n. 42.49 Cfr. supra note 28-30.50 Cfr. supra nota 48.51 H.D. Schneider, Shabtis. An Introduction to the History of Ancient Egyptian Funerary Sta-tuettes. II, Leiden 1977, 44: ushabti n. 3.1.1.28-32 e 34 (fi ne XIX-XX dinastia).52 Aston, op. cit., 21-54 e, in particolare, 25-27. L’autore ritiene che i tre cofanetti porta-ushabti a nome di Thauenhuy rappresentino l’eccellenza nella produzione tebana di questo genere. Secondo Aston i tre cofanetti possono essere più precisamente datati alla fi ne della XX dinastia.53 Cfr. anche F. Tiradritti (a cura di), Il cammino di Harwa. L’uomo di fronte al mistero: l’Egitto, Milano 1999, n. 105, in merito a due geni funerari in terracotta dipinta, conservati al Museo Egizio di Torino (C 3683 e 3684, Vecchio Fondo), stilisticamente riconducibili ai quattro cano-pi-sarcofago a genio funerario di Thauenhuy e datati da Matilde Borla alla XX dinastia.54 Cfr. ibid.

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all’età ramesside55. A quest’ultimo periodo, tra l’altro, risalgono le uniche iscrizioni tombali che menzionano personaggi omonimi al proprietario del corredo in esame. Un primo Thauenhuy è citato alle pareti della TT 138 di ‘Abd el-Qurna, appartenuta al di lui padre Nedjemger e databile al regno di Ramesse II56; il nome di un secondo è trascritto in più punti della TT 4 di Deir el-Medineh, appartenuta allo scultore Qen e anch’essa risalente al regno di Ramesse II57. Quest’ultimo Thauenhuy, defi nito in-teressante già da Botti, è noto grazie a un numero maggiore di documenti; oltre alle iscrizioni nella sepoltura paterna, lo ricordano due stele, conservate al Museo Egizio di Torino (N. 1635)58 e al Musée d’Aquitaine di Bordeaux (N. 8635)59, e, forse, un frammento parietale esposto al Musée Royal di Mariemont60. Le informazioni traman-date da tali fonti al suo riguardo sono comunque poche: Thauenhuy sembra essere un fi glio minore di Qen e, in considerazione della notorietà e del prestigio paterni quale scultore della “Sede della Verità” probabilmente coinvolto nei lavori della tomba di Ramesse II, potrebbe aver fatto carriera al di fuori di Deir el-Medineh, dove non esiste una tomba a suo nome. La stele di Bordeaux, messa a confronto con una terza stele di Qen conservata al British Museum (N. 8493)61, fornisce un ulteriore elemento di valutazione, e cioè il forte legame dell’intera famiglia dello scultore per Mertseger, anche in associazione ad altre dee cobra; su uno dei suoi lati, infatti, Thauenhuy è genufl esso assieme ai fratelli al cospetto della dea Renenutet-Mertseger. Una relazione tra il personaggio di nome Thauenhuy della TT 4, devoto alla dea Mertseger, e l’omo-nimo proprietario del cofanetto bolognese con un’immagine tanto particolare della stessa dea non è ovviamente dimostrabile a partire da questi pochi elementi; rimane solo la suggestione di una corrispondenza tra i due, confortata dalla datazione degli oggetti del corredo funerario alla tarda XIX-XX dinastia e dai risultati dell’indagine iconografi co-tipologica condotta sulla vaccina Mertseger del cofanetto bolognese.

55 Cfr. A. Fabretti, F. Rossi e R.V. Lanzone, Regio Museo di Torino, Torino 1882, n. 2671, corrispondente a una statuetta ushabti in legno e dalle sembianze di vivente, appartenuta a un personaggio il cui nome è letto con grande incertezza dagli autori Nifu-en-tum.i (?); G. Legrain, Statues et statuettes de rois et de particuliers. 1: Nr. 42001-42138, Le Caire 1906, n. 42131.56 Cfr. PM I2, 1, 251-252, n. 138.57 Cfr. PM I2, 1, pp. 11-12, n. 4; B. Bruyère, Fouilles de Deir El Médineh (1924-1925), Le Caire 1926, 179-182; Id., Rapport sur les fouilles de Deir el Médineh (1927), Le Caire 1928, 13-14 e 135.58 Cfr. PM I2, 2, 723; M. Tosi-A. Roccati, Catalogo del Museo Egizio di Torino. Serie Seconda – Collezioni. Volume I. Stele e altre epigrafi di deir El Medina: n. 50001 – n. 50262, Torino 1972, n. 50074.59 Cfr. J.J. Clère, “RdE” 27 (1975), 71-77; G. Andreu-A.M. Donadoni Roveri (a cura di), Deir el-Medina e le Valli dei Re e delle Regine. Gli artisti del Faraone, Milano 2003, n. 158.60 Cfr. C. Derriks, Choix d’Œuvres 50 Egypte, Mariemont 1990, 14. Il testo, purtroppo lacu-noso, non esclude tale ipotesi.61 Cfr. PM I2, 2, 723.

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La dea Mertseger sul cofanetto porta-ushabti KS 1969

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La scena dipinta sul contenitore porta-ushabti KS 1969, piuttosto comune nello schema compositivo e nel soggetto generale, mostra il defunto Thauenhuy genufl esso verso sinistra dietro una ricca tavola di offerte e affi ancato dal suo b3; entrambi sono nutriti e dissetati da una dea che si sporge dai rami di un albero di sicomoro; imme-diatamente dietro di lei, una vacca sacra con gli attributi hathorici esce dalla montagna d’Occidente nella quale è visibile l’ingresso di una tomba tebana. L’iscrizione in caratteri geroglifi ci posta sopra le immagini, tralasciando la parte dedicata al defunto, identifi ca la dea dell’albero sacro quale Imntt Hft-6r-nb.s62, “l’Occidente, Colei che sta davanti al suo signore”, seguita da Mrt-sgr, “Colei che ama il silenzio”. La vacca, anziché essere defi nita 7wt-7r 6ry tp W3st Imntt, “Hathor che presiede a Tebe Ovest”, è più insolitamente chiamata “Colei che ama il silenzio”. Pur essendo ben note le implicazioni funerarie che possono avere determinato l’associazione o, addirittura, l’assimilazione delle dee Mertseger e Hathor all’interno del più vasto concetto di Occidente funerario tebano, vale la pena ripercorrere le tappe attraverso le quali una tipica iconografi a hathorica si è trasformata di fatto nel determinativo del nome Mrt-sgr, evidenziando così il ruolo emergente di questa dea cobra in età ramesside.

La dea Mertseger (Mrt-sgr / Mr.s-gr)63, che ha nel villaggio degli operai di Deir el-Medineh il proprio luogo di culto privilegiato e di irradiazione cultuale, è sostanzial-mente identifi cabile con “la Cima” d’Occidente, t3 Dhnt64, che svetta sulle numerose necropoli tebane65. Anche gli altri epiteti che la qualifi cano, “grande cima dell’Occi-dente”, “signora dell’Occidente / del bell’Occidente / del distretto occidentale”, “Colei che sta davanti al suo signore”, etc., le attribuiscono un importante ruolo funerario, ponendola in relazione a tutte o a parte delle aree sepolcrali tebane, così come ad alcune altre divinità femminili, connotate dagli stessi epiteti e dallo stesso legame con Tebe Ovest. Tra queste occupa un posto di assoluto rilievo la dea Hathor66 che incarna la Montagna Tebana quando assume le sembianze di vacca sacra emergente dal suo profi lo, vale a dire di 7wt-7r 6ry tp W3st Imntt. Ne consegue che le dee Mertseger e Hathor si compenetrano, sono associabili o, meglio ancora, assimilabili perché parti integranti di uno stesso concetto geografi co-funerario: l’accoglienza e la tutela del

62 Cfr. E. Otto, Topographie des Thebanischen Gaues, Berlin 1952, 48-49; LÄ I, 223 e 914; C. Leitz, Lexikon der Ägyptischen Götter und Götterbezeichnungen, I, Leuven–Paris–Dudley, Ma (2002), 362-366 e, in particolare, 365.63 Cfr. Bruyère, op. cit., 1930; LÄ IV, 79-80; Leitz, op. cit., III, 343-344.64 Cfr. LÄ V, 257-263; Leitz, op. cit., VII, 566.65 La dea è particolarmente attestata nella Valle dei Re e delle Regine a partire dal regno di Ramesse II. Le tombe regali tebane nelle quali è presente sono le seguenti: KV 6 (Ramesse IX); KV 9 (Ramesse V e Ramesse VI); KV 14 (Tauseret e Setnakht); KV 18 (Ramesse X); KV 19 (Mentuherkhepeshef).66 Cfr. C.J. Bleeker, Hathor and Thoth. Two Key Figures of the Ancient Egyptian Religion, Leiden 1973, pp. 22-106; LÄ II, 1023-1033; Leitz, Lexikon der Ägyptischen op. cit., V, 2002, 75-86; A. Roberts, Hathor Rising: the Serpent Power of Ancient Egypt, Northgate 1995.

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defunto nelle necropoli della capitale dell’Alto Egitto. La montagna sacra, luogo di sepoltura per eccelenza, ne è la perfetta materializzazione, visto che nelle profondità del suo ventre accoglie il riposo eterno del defunto, a partire in primo luogo da quello di ogni sovrano d’Egitto. Le raffi gurazioni di Hathor-Mertseger sotto sembianze di vacca sacra gradiente dalla montagna d’Occidente rinvenute in alcune tombe tebane, ad esempio le TT 3 e 177 di Khôkha67, confermano il legame esistente tra le due dee, prevalentemente in età ramesside. Ciò che risulta insolito nella scena dipinta sul co-fanetto bolognese, quindi, non è tanto l’associazione della tipica immagine hathorica della vacca sacra che esce dalla montagna al nome della dea Mertseger, ma piuttosto la scomparsa di Hathor, quasi a suggerire un’inversione d’importanza tra le due di-vinità o, più semplicemente, la maggiore incidenza del culto in onore di Mertseger in un momento di forte solarizzazione della religione egiziana, che esalta la portata simbolica del serpente cobra e delle dee cobra, e di crescita in prestigio sociale della comunità di Deir el-Medineh.

L’uso dell’epiteto t3 Dhnt in associazione alla dea Hathor è uno degli elementi attraverso i quali seguire questa parabola ascendente della dea Mertseger. Già dalla fi ne XVIII - inizi XIX dinastia 7wt-7r 6ry tp W3st Imntt, “Hathor che presiede a Tebe Ovest”, viene defi nita Hft-6r-nb.s Dhnt wrt, “Colei che sta davanti al suo signore, la grande Cima”, nel testo 6 dell’autobiografi a incisa alle pareti della TT 166 della necropoli di Dra Abu el-Naga nord, appartenuta a un importante funzionario di nome Ramose68. Un documento di poco successivo segnala un ulteriore passaggio; si tratta di una stele databile al regno di Ramesse II, la N. 12 di Neuchatel a nome di Hui69, sulla quale Hathor con sembianze antropomorfe è seguita dalla vacca sacra che esce dalla montagna, defi nita t3 Dhnt Imntt nell’iscrizione in caratteri geroglifi ci sovrapposta (Fig. 7)70. Dal momento che la dea Mertseger è per eccellenza t3 Dhnt, la vacca con attributi hathorici gradiente dalla montagna d’Occidente può essere defi nita anche e solo Mrt-sgr, come accade sul cofanetto KS 1969, che sembra chiudere la parabola e, di conseguenza, potrebbe datarsi in una ragionevole progressione temporale alla tarda XIX - XX dinastia.

La rarità della scena bolognese non permette di escludere in assoluto un errore dell’artigiano che eseguì il cofanetto porta-ushabti, ma la qualità d’esecuzione del manufatto e lo spazio ancora a disposizione per prolungare il testo, lo rendono piuttosto improbabile. Tra l’altro, la scena si contestualizza bene nell’ambito di quel fenomeno di irradiazione cultuale della dea Mertseger che raggiunge il suo culmine in età ra-

67 Cfr. PM I2, 1, 455: TT 3 a nome di Hauf (Età Saitica?) e Ibid., 282-283: TT 177 a nome di Amenemopet (XIX dinastia: regno di Ramesse II?).68 Cfr. Otto, op. cit., 47; E. Hofmann-K.J. Seyfried, “MDAIK” 51 (1995), 23-56, tavv. 10-17; in particolare 32-33 e 47.69 Cfr. Bruyère, op. cit., 208, nota 2 e fi g. 108.70 Cfr. R. Ventura, Living in a City of the Dead. A Selection of Topographical and Administra-tive Terms in the Documents of the Theban Necropolis, Göttingen 1986, 47-48.

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La dea Mertseger sul cofanetto porta-ushabti KS 1969

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Fig. 7. Centina della stele N. 12 di Neuchatel (da B. Bruyère, Mert Seger à Deir el Médineh, Le Caire 1930, fi g. 108).

messide seguendo le sorti della comunità degli artigiani di Deir el-Medineh. Alcuni dei loro fi gli si emancipano dal lavoro nelle necropoli regali, per intraprendere una carriera diversa alle dipendenze dello stato, che li porta spesso a ricoprire importanti incarichi e, di conseguenza, a commissionare i manufatti migliori della produzione tebana per la propria sepoltura. Grazie anche a queste nuove generazioni la devozione nei confronti della dea cobra, perfettamente inserita in quel processo di solarizzazione vissuto dalla religione egiziana del tempo, che sul cofanetto bolognese è segnalata dall’occhio wd3t sovrapposto alla vacca sacra, raggiunge il suo culmine; ne sono una prova evidente le numerose attestazioni della dea all’interno delle sepolture regali nella Valle dei Re e delle Regine. La vacca sacra gradiente dalla montagna d’Occidente dipinta sul cofanetto KS 1969, quindi, rappresenta un insolito caso di assimilazione tra Mertseger e Hathor all’interno del quale si privilegia la dea cobra.

Confrontando i risultati di questa indagine iconografi co-religiosa con lo studio tipologico degli oggetti, le attestazioni del nome Thauenhuy e del titolo 6ry s3wt„ ssw n pr-6d n pr ´Imn T3w-n-6wy, si riconferma per il corredo funerario la datazione di tarda XIX-XX dinastia, con una possibile anticipazione alla prima metà della XX dinastia. In merito al suo proprietario, non è possibile identifi carlo a nessuno dei personaggi di nome Thauenhuy attestati nella Tebaide, neppure allo Thauenhuy della TT 4 di Deir el-Medineh, benché il committente del cofanetto porta-ushabti parrebbe corrispondergli per origine, formazione culturale e sensibilità religiosa.

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