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ALESSANDRA MUNARI La critica delle fonti 1 La critica delle fonti ALESSANDRA MUNARI

La duplice natura della "critica delle fonti": tra filologia e intertestualità [+ nota contro il plagio ed errata corrige nella sezione "Info" di Academia.edu]

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ALESSANDRA MUNARI – La critica delle fonti

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La critica delle fonti

ALESSANDRA MUNARI

ALESSANDRA MUNARI – La critica delle fonti

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Indice

Indice .................................................................................................................................................................. 2

La critica delle fonti ........................................................................................................................................... 3 Bibliografia e sitografia .................................................................................................................................... 18

Letteratura primaria: ..................................................................................................................................... 18 Letteratura secondaria: ................................................................................................................................. 19

ALESSANDRA MUNARI – La critica delle fonti

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La critica delle fonti

Se in origine era il Verbo, non sorprende che l’aspirazione del filologo sia lo “studio delle origini”.

Come davanti a un mistero divino, si è tentato per approssimazione di fissare questo «vecchio mito della critica storica»1 in mille formule, spesso interscambiabili: dalle ottocentesche ricerca delle origini, Quellenforschung, filologia delle fonti, indagine dei loci similes, alle novecentesche riflessioni sull’“intertestualità”, diramate in innumerevoli sottoteorie e problematiche2 (imitatio/aemulatio, canone, tradizione/invenzione, plagio, allusione/citazione/reminiscenza, ipertesto/ipotesto e transtestualità, sistema letterario, voci in dialogo, mappe della memoria, allusione integrativa/riflessiva…), al punto da provocare un’allarmante «confusione terminologica» (D’Ippolito)3.

Il tedesco, forte dei suoi pregnanti composti, offre la comoda espressione Quellenforschung, “ricerca delle fonti”, per circoscrivere questa disciplina critica così com’era intesa tra secondo Ottocento e primi del Novecento, dietro spinta dello storicismo positivista, indirizzata a identificare i modelli contenutistici e formali retrostanti ogni opera letteraria, quasi a misurare quanto un autore avesse ripreso dalla tradizione e quanto avesse innovato in una bilancia tra attivo e passivo4. Oggi si guarda a tale campo di indagine critica con occhi diversi, ripudiando l’approccio scientista –talvolta degenerato fino ad appiattire, quasi matematicamente, le opere letterarie a filiazioni più o meno dirette dei modelli—, a favore di una visione più dinamica dei rapporti tra testi, appunto l’intertestualità5. Il neologismo, comparso per la prima volta (1966) in un saggio di Julia Kristeva, era il risultato di un ragionamento che mirava ad una spazializzazione geometrica del testo, sui due assi cartesiani del “dialogo” tra autore e lettore e dell’“ambivalenza” tra testo e contesto6. Eppure, scavando nell’etimologia, già nel Quellen- (“fonti”) positivista si annusava un elemento vivo, che verticalizzava la prospettiva: infatti la radice indoeuropea *wel- (condivisa con l’inglese well, “pozzo”, e il volveo latino) indica un rivoltare, un pullulare di “fonti” non d’alta montagna, ma nascoste nelle viscere della terra, acque fermentanti, pronte a diramarsi nelle porosità del suolo. Se ogni opera letteraria è una ri-creazione non solo di altri testi ma, più in generale, di “discorsi” all’interno di un certo contesto storico-letterario, la filologia si configura allora come un esperimento di re-ricreazione, che percorrendo la corrente a ritroso, dalla superficie, più o meno limpida, alle sorgenti sotterranee, riesce a osservare il testo direttamente nel suo formarsi.

L’immagine della sorgente acquifera campeggia nel titolo del lavoro che più rispecchia lo spirito della filologia delle fonti così come concepita scuola storica7 di fine Ottocento, Le fonti dell’Orlando furioso (1876I, 1900II) di Pio Rajna, titolo in cui si profilano subito le due linee guida della ricerca: la prima, lo studio delle fonti, con ottica meramente contenutistica –poiché Rajna, come gli rimprovera Giovanni Alfredo Cesareo, identifica l’invenzione con la fantasia: le forme, a suo dire, non hanno parte al «concepimento»8—, e la seconda linea, focus su un’unica opera (assecondando la tendenza monografica della scuola storica). L’Orlando furioso viene analizzato minuziosamente in ogni passo, attraverso venti capitoli che spezzettano il poema nelle sue tematiche e immagini, seguendo l’ordine narrativo interno canto per canto; venti capitoli preceduti da un’introduzione di sguardo generale sul genere letterario, sulla tradizione preariostesca, e corredati, a partire dalla seconda edizione (notevolmente rimaneggiata), di indici per facilitare la 1 G. F. PASINI, , Dossier sulla critica delle fonti (1896-1909), Bologna, Patron, 1988, p. 7. 2 Cfr. A.BERNARDELLI, Il concetto di intertestualità, alla pagina web indicata nella sitografia finale. 3 G. D’IPPOLITO, Semiologia e Quellenforschung: Origine, sviluppo, applicazioni del concetto di intertestualità in Semiotic theory and practice. Proceedings of the Third International Congress of the IASS (Palermo 1984), Vol. 1, Hertzfeld & Melazzo ed., Walter de Gruyter, Berlin, New York, Amsterdam, 1988, p. 447. 4 Si pensi alle idee esposte dal Parodi nel saggio Nuove edizioni e vecchie fonti del Carducci, durante la polemica sulla disciplina ai primi del Novecento che coinvolse anche Thovez, Croce, Pistelli e Pascoli. 5 J. KRISTEVA, Word, Dialogue and Novel in Desire in Language. A semiotic approach to literature and Art, New York, Columbia University press, 1980 (speech 1966-67, publ. 19691), p. 66. 6 «The word’s status is thus defined horizontally (the word in the text belongs to both writing subject and addressee) as well as vertically (the word in the text is oriented toward an anterior or synchronic literary corpus). The addressee, however, is included within a book’s discursive universe only as discourse itself. […] Hence horizontal axis (subject-addressee) and vertical axis (text-contect) coincide», ibid. 7 Altri fedeli del metodo storico furono A. Graf, R. Renier, A. D’Ancona, il quale fu maestro, oltre che di Gentile e Barbi, dello stesso Novati e di Rajna. 8 P. RAJNA, Le fonti dell’Orlando furioso. Ristampa della seconda edizione 1900 accresciuta d’inediti, a cura e con presentazione di Francesco Mazzoni, Firenze, Sansoni, 1975, p. IX (sul concepimento); ivi, pp. 682-83 (lettera di Cesareo al Rajna). Cfr. anche i saggi polemici di Cesareo (risalenti al 1899,1900 e 1908) raccolti nel Dossier cit. di PASINI.

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consultazione dei “materiali”. Perché di materiali, di sostanza, si tratta infatti: nella prefazione alla seconda edizione, Rajna dichiara di aver ricevuto «in eredità un cumulo di materiali»9, per i quali si affretta a citare da quali “fonti” (commenti, studi, analisi precedenti) lui stesso abbia ricavato tali informazioni, quali siano i suoi predecessori: quasi a voler stornare da sé come critico l’accusa di plagiatore che in quegli anni stava macchiando la reputazione d’autore del D’Annunzio e che Rajna stesso rivolge implicitamente all’Ariosto. Compito del “ricercatore d’origini”10, come amava definirsi Rajna11, è sbrogliare questa matassa ereditata dagli studiosi del passato e restituire agli studiosi del suo tempo una riserva ordinata di oggetti di studio12.

Basti vedere come, al capitolo quinto, il Rajna liquidi l’apparizione di Astolfo sotto forma di pianta come una specie di addizione e sottrazione13 di ingredienti: per scoprire gli addendi dell’invenzione basta affiancare una dose massiccia del Pier delle Vigne dantesco, che ancora si trascina dietro un po’ della polvere di Virgilio, a un tocco del Filocolo, il quale parrebbe aggiunta originale, se solo non fosse che lo stesso Boccaccio si limita a riecheggiare Dante. Ovviamente Rajna dell’episodio guarda soltanto all’origine della «sostanza», che per la figura di Astolfo è assolutamente chiara, confessa con il tono sollevato dello scienziato non costretto a maneggiare e magari corrompere l’oggetto dell’analisi.

Nelle ricerche di fonti sembra un vero riposo il far ritorno alla parte narrativa, di tanto più trasparente. Così il mirto, che già fu Astolfo […] non ci tien certo sospesi, per ciò che spetta alla sostanza. Virgilio e Dante (inutile consumare spazio in confronti, mentre i testi stanno sotto gli occhi e nelle memorie di tutti) hanno manifestamente contribuito all’invenzione. Ma anche due imitazioni nel Filocolo del Boccaccio, la fonte di Fileno e il pino di Idalagos, che oltre al manifestarci convenienze minute, un pochino sospette in un’opera di questo genere, hanno comune col mirto d’Astolfo il metterci innanzi delle vittime d’amore, e la seconda tra esse propriamente della mobilità femminile, parrebbero esser state presenti all’Ariosto. Il quale tuttavia, non altrimenti che il Boccaccio ambedue le volte, si fece eco specialmente di Dante. Quanto a Virgilio, direttamente ha dato il nome dell’albero, e poco più.14

Rajna tiene anzitutto alla “trasparenza” scientifica del fatto testuale, che si deve manifestare evidente sotto gli occhi di tutti i lettori, un risultato verificabile e ripetibile; per maggior chiarezza, nelle note a piè pagina precisa minuti riscontri testuali con le fonti, e dichiara anzi la propria fonte, il critico che per primo osservò la somiglianza, il Lavenzuola. Pur ancora schiva di un’analisi formale, questa lettura attenta del testo sta costruendo le premesse per lo sviluppo della nuova filologia di Barbi: è la pulsione vitale della Quellensforschung, latente nella seconda metà della parola, forschung, “ricerca”, dal verbo forschen, discendente dalla radice indoeuropea *prek-, “porre domande”. Il metodo filologico, analitico, interrogando la superficie lineare, orizzontale, del testo, scova le fonti sottostanti ad ogni immagine e le ricuce in una summa posta al servizio di altri specialisti15 che in futuro vogliano proseguire il cammino della ricerca (e tali critici in effetti poi appariranno, come il Romizi de Le fonti latine dell’Orlando furioso, che allargherà lo sguardo anche alla forma, considerando insieme «espressioni, sentenze, pensieri ed immagini»16). Una summa “ragionata”, però —almeno nelle intenzioni di Rajna:

I rapporti miei cogli scrittori che si occuparono per l’addietro di fonti e di imitazioni ariostee, consistono in ciò, che da codesta schiera onorata ebbi in eredità un cumulo di materiali, tra buoni e cattivi. Erano in generale semplici indicazioni e notizie, senza legame di sorta. A me parve che si dovesse ora battere altra via; che non bastasse più l'affermare, ma convenisse ragionare sempre e discutere. 17

Tuttavia, la recensione di Canello alla prima edizione gli rimprovera una certa «eccessiva cautela»18 nel ragionare, l’incapacità di «spingersi a considerazioni superiori»19, oltre la ricerca dell’origine delle 9 Ibid. 10 Ivi, p. xii. Cfr. A. SCHIAFFINI, Pio Rajna e la ricerca delle origini, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, vol. II, Padova, Liviana, 1970, pp. 41-45. 11 RAJNA, op.cit., p. xii (dall’introduzione di F. Mazzoni). 12 G. VELLI, Petrarca e Boccaccio. Tradizione, memoria, scrittura, Padova, Antenore, 1979, p. VII. 13 Talvolta in Rajna ci sono vere e proprie metafore matematiche: un episodio ariostesco è una «risultante» dei modelli (ivi, p. 476); «tiriamo la somma delle conclusioni: zero più zero uguale zero» (ivi, p. 517). Cfr. C. SEGRE, Intertestuale/interdiscorsivo. Appunti per una fenomenologia delle fonti, in La parola ritrovata. Fonti e analisi letteraria, Palermo, Sellerio, 1982, p.21, in merito alle «basi quantitative» del metodo di Rajna. 14 RAJNA, op. cit., pp. 169-70. 15 «Il mio lavoro è di natura essenzialmente analitica. […] Potevo essere più breve: ho preferito rendermi più chiaro, e soprattutto fornire materiali di studio», ivi, p. X. 16 A. ROMIZI, Le fonti latine dell’Orlando furioso, Torino, Paravia, 1896, p. 2. 17 RAJNA, op. cit., p. IX (dalla prefazione alla seconda edizione). 18 U. A. CANELLO, Recensione a ‘Le fonti dell’Orlando furioso’, in “Zeitschrift für Romanische Philologie”, I (1878), p. 125.

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«singole invenzioni» (Schiaffini)20, insomma incapacità di produrre un giudizio critico complessivo sull’opera ariostesca: «egli [Rajna], preoccupato della questione delle ‘fonti’ […] non ha voluto cercare l’ultimo perché di queste tendenze più classiche della composizione ariostesca»; dove per tendenze classiche ci si riferisce all’abitudine —“furtiva”, secondo Rajna— di imitare i classici da parte dell’Ariosto. Queste critiche non smuovono molto la coscienza del ricercatore delle Fonti: la seconda edizione è sì fortemente rimaneggiata, nello sforzo di tenere conto delle nuove fonti scoperte da altri critici, di esporre tutti i materiali in maniera completa e limpida, rendersi chiaro al costo di perdere in snellezza21; però così l’impostazione di fondo resta la stessa, poiché Rajna continua a percepire il rapporto di un’opera col modello come filiazione, l’imitazione come un plagio (e quando Ariosto si allontana un po’ dalla fonte, ancora peggio, lo fa per camuffare il furto!) e il lavoro del filologo come quello dello scienziato, che quanti più dati oggettivi e verificabili presenta, tanto più suona credibile.

Autore e critico si dispongono così agli antipodi: la grandezza del primo si misura sull’asse dell’invenzione dal nulla, nel riempire un vuoto immaginativo ancora non sfruttato; la bravura del critico su quello dell’astensione da ogni forma di fantasia, nell’osservare i materiali così come sono senza alterarli durante l’analisi “scientifica”, evitando ogni trasformazione fantastica che possa conferire ai dati oggettivi una natura “fenomenica”, cioè di ingannevole parvenza agli occhi d un lettore parziale, soggettivo22. Infatti leggiamo:

Avevo avuto l'intenzione di distendermi maggiormente nelle considerazioni di ordine generale al termine dell'opera; ma poi finii per rinunziarci e per non trascendere neppur lì i limiti segnati in origine al lavoro attuale. […] Ciò mi farà probabilmente ribadire l’accusa che m'ebbi da un critico della prima edizione […] di aver ‘paura delle idee’. Delle idee, non ho paura; bensì, là dove si tratta di scienza, ho paura di ciò che senza essere idea se ne da l'aria; ho paura delle concezioni subiettive; ho paura di quel fenomeno per cui nelle nubi ci accade di veder draghi, giganti, eserciti, castelli, che, vissuti un momento nella nostra fantasia, bentosto si trasformano e si dissolvono.23

Con Rajna, ancora lontano dalla concezione d’intertestualità, si gettano nondimeno le fondamenta per un nuovo approccio verso la critica delle fonti, con il concentrarsi sulla rete dei modelli interni ad un testo e il ricorrere, nell’analizzarli, a un criterio storico “morfologico” labriolano24. In quegli anni il filosofo Antonio Labriola sosteneva infatti una disposizione “materialistica” verso lo studio della storia, dove per materialismo tuttavia si intendeva «il tentativo di rifare nella mente, con metodo, la genesi e la complicazione del vivere umano sviluppatosi attraverso i secoli»25, in vista del quale il metodo comparativo era considerato un potente alleato nella ricerca di tipi e leggi nella storia26, certo più fruttifero rispetto ad una visione strettamente cronologica. Anche il nostro «ricercatore d’origini» studia le forme della civiltà, con lo stesso proposito, a priori, di riscontrarvi leggi meccaniche ricorrenti, sia all’interno del testo letterario (come 19 Ivi, p. 127. 20 SCHIAFFINI, op.cit., p. 41. 21 Semplicemente sfogliando il volume, per esempio, balzano agli occhi lunghe serie di pagine in antico francese, citazioni integrali dalle fonti, senza traduzione: un fornire materiali agli specialisti, appunto. 22 Cfr. A. M. ZAFARGHANDI & S. HAQSHENAS & M. TAKKALU, Phenomenological Perspectives In Literary Criticism, alla pagina web citato nella sitografia finale. 23RAJNA, op. cit., pp. XIII-XIV. 24F. FINOTTI, Il metodo storico: scienza e letteratura, «Musica e storia», XIII/2 (2005), p. 237. 25 A. LABRIOLA, Del materialismo storico: dilucidazione preliminare (1899), alla pagina web indicato nella sitografia finale. Labriola scrive anche: «comprendere l’intreccio ed il complesso nella sua intima connessione e nelle sue manifestazioni esteriori; discendere dalla superficie al fondo, e poi rifare la superficie dal fondo; risolvere le passioni e i disegni nei moventi loro, dai più prossimi ai più remoti, e poi ricondurre i dati delle passioni, dei disegni e dei moventi loro ai più remoti elementi di una determinata situazione economica: ecco l’arte difficile, che deve esemplificare la concezione materialistica», ibid. 26 Riprendo le seguenti citazioni di Labriola (I problemi della filosofia della storia, 1889) da N. SICILIANI DE CUMIS, Il criterio del “morfologico” secondo Labriola, alla pagina web indicata nella sitografia finale, con riferimenti bibliografici precisi alle note [6] e [7]: «A cotesto presupposto dei sistemi, in cotale aspetto psicologico, si connette direttamente il concetto di legge. Non è infatti chi possa immaginare, o credere che il supposto di legge si debba ritrarlo dall’ordine ovvio della cronologia estrinseca degli avvenimenti, secondo che la storia è di solito narrata, e che vada poi applicato come mezzo probabile di previsione. Il significato di legge in questa particolare accettazione è analogo a quello della morfologia nelle scienze organiche; e consiste precisamente nel riconoscere le condizioni di corrispondenza, o d’azion reciproca, da cui nasce un dato tipo [6]. […] La qual cosa apparisce massimamente chiarita dai risultati meravigliosi del metodo comparativo in fatto di lingue, miti, di costumi e simili; il pregio della qual maniera di studii non istà principalmente nel cumulo delle infinite notizie, ma nel fatto che le omologie di tipo ci mettono in grado di completare una tradizione od istituto anche antichissimo. […] Per via di cotali ricostruzioni si giunge via via a tipi più generali, come son quelli che designamo coi nomi di ariano, di semitico e simili; nelle quali caratteristiche non è nulla d’intuibile e di esperimentabile alla prima, come quando si dica delle differenze di neri e di gialli [7]».

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nell’analisi dell’isola di Alcina: per creare un idilliaco giardino incantato, sostiene, nelle «fantasie settentrionali» bastano solo erba e uccelli, mentre al Chrétien francese occorre dipingere un «ben più ricco ‘vergier’»27) sia all’interno del contesto, per esempio nel considerare la diversa forma mentis dell’Ariosto e del Boiardo, vissuti in diverse epoche storiche (e antropologiche): il secondo ancora poeta fantasioso, puro, popolare; l’Ariosto ormai viziato dall’angoscia classicista dell’imitazione tipica del poeta cortigiano.

Quasi paradossalmente, all’interno di uno studio scientifico il “metro” della fantasia appare determinante per la valutazione critica dell’opera: pur riconoscendo che «i prodotti della fantasia non si sottraggono alle leggi universali della natura […] il nuovo, considerato da vicino, non è altro che la metamorfosi del vecchio», alla domanda «il molto che l'Ariosto ha preso d'altronde, sia imitando, sia rifacendo, diminuisce il suo merito?» Rajna risponde con falsa diplomazia che «sa di andar contro alle idee di molti non rispondendo con un no reciso»28. In conclusione al suo lavoro, lo presenta proprio come «uno studio minuzioso del meccanismo29 dell’invenzione»30: il critico cerca di entrare nell’officina dello scrittore, di immaginare il testo nel suo formarsi; la sua visione è però appannata dall’ansia di riscontrare leggi scientifiche, in una concezione quasi evoluzionistica31 delle fonti di un’opera letteraria, la cui invenzione, la cui «genesi è spiegata dalla solita legge di progresso»32, in una catena dove spesso l’imitatore viene imitato.

L’invenzione quindi è di per sé un criterio scientifico, in virtù del quale si decide il maggior o minor valore estetico di un autore –specie l’autore di un poema cavalleresco, opera di “fantasia” per eccellenza-, nominativamente il maggior valore del Boiardo, che «sa far miracoli; prende la materia classica e la trasforma completamente, in modo da renderla, per così dire, medievale. Col suo cervello egli compie le funzioni della fantasia e tradizione popolare»33, rispetto all’Ariosto, con cui «la letteratura nostra s’andava allontanando dal popolo, e si preparava a chiudersi troppo nelle sale accademiche»34 (emerge il fascino per l’elemento popolare-folklorico tipico dello storicismo ottocentesco); e questa condanna pur subito dopo aver ammesso che «dal plagio fino alla creazione più geniale non c’è soluzione di continuità»35.

Se la prima edizione delle Fonti era nata tranquillamente nel seno della scuola storica36, per

ispirazione del Carducci, quella del 1900 si inseriva in un clima arroventato dalle accuse proprio di plagio da parte di Enrico Thovez contro il D’Annunzio, scagliate in tre articoli pubblicati sulla “Gazzetta letteraria” nel 1896. Già nel 1894, in La critica letteraria. Questioni teoriche, il riuso di fonti nella produzione letteraria era stato un tema toccato da Croce, che avrebbe sempre negato l’utilità di una ricerca sulle stesse, proseguendo negli anni successivi la polemica contro Parodi, Pistelli, Pascoli37. Croce rivendicava l’originalità intrinseca dell’opera poetica in virtù della forma, che risulta metro di giudizio della “determinatezza” individuale, artistica; la “materia” (il contenuto) invece non può che essere una ripresa del già detto: non solo già detto per iscritto, ma del già detto pronunciato e del già fatto, insomma del contesto “totale” in cui si muove l’autore: tutta la vita sarebbe un plagio!38 Tanto meno è una colpa nella produzione artistica. La ricerca delle fonti, avrebbe ribadito Croce nel 1909 –l’anno delle discussioni più accese—, nella Prefazione a una miscellanea di ″fonti″ letterarie, è utile solo quando la si considera in funzione di un ulteriore studio volto a formulare un giudizio critico, cioè in quanto «raccolta di materiali da servire, eventualmente, all’interprete delle opere d’arte»39, altrimenti superflua, puro esibizionismo erudito: opinione che avrebbe mantenuto fino alla sua Notarella polemica, con cui si sarebbe chiusa l’epoca del dibattito sulla questione.

27 RAIJNA, op. cit., p. 166-7 (cap. V). 28 Ivi, p. 609 (tutti i passi citati nella frase). 29 Corsivo di chi scrive. 30 Ivi, p. 613. 31 PASINI, Dossier cit., p. 76. 32 Ivi, p. 415. 33 Ivi, p. 24. 34 Ivi, p. 37. 35 Ivi, p. 609. 36 Tranquillamente, seppur riscuotendo critiche più o meno velate: cfr. CANELLO, Recensione cit. (cui Rajna fa riferimento nella prefazione alla seconda edizione, ricordando l’accusa di aver «paura delle idee», p. 125), e A. GASPARY, Storia della letteratura italiana di Adolfo Gaspary: tradotta dal tedesco da Vittorio Rossi, vol. II, Torino, Loescher, 1887-91, pp. 286 (nota a Vol. I, p. 88). 37 PASINI, op. cit.: cfr. in particolare l’introduzione di Pasini. 38 B. CROCE, Il plagio e la letteratura in ID., Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari, Laterza, 1940, pp. 67-70. 39 ID., La ricerca delle fonti, in Id., Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari, Laterza, 1940, pp. 492-93.

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Come recita il titolo di uno studio scritto da Anna Lia Pedrelli, “tra Carducci e Croce” 40 si pone la figura di Renato Serra, neanche tanto segretamente più favorevole al Carducci. Giovanissimo, nel 1904 Serra stende un saggio sul canto tredicesimo dell’Inferno: a prima vista, nell’intento (trovare il modello della caccia degli scialacquatori) e, per certi versi, nel modo (elenco di fonti erudite, interesse folklorico), pare rispondere ai dettami positivistici. Serra però, indagando l’«evidenza del fatto» (fatto testuale), cerca non tanto di individuare la fonte della scena, quanto di spiegare come Dante sia riuscito a riutilizzarla con peculiare realismo: la «figurazione» dantesca è il frutto della combinazione tra materia tradita –le leggende sulla caccia selvaggia impastate con il mito ovidiano di Atteone, ricostruendo perfino come verosimilmente Dante potesse essere giunto a conoscere una certa versione della leggenda popolare, che, sentenzia Serra con il tono del chimico esperto, ha tutta l’aria di essere una contaminazione di due diverse versioni—, combinazione tra materia tradita e «arte divina»41, ingegno del poeta capace di “colorare” e “riprodurre” in maniera originale il quadro della caccia selvaggia.

Serra insiste sulla facoltà ri-creatrice di Dante poeta, che rivendica anche per sé in quanto studioso: come Dante ha rifatto a modo proprio il materiale leggendario, così Serra, pur utilizzando le fonti critiche del passato –dai primi commentatori al Pascoli—, giunge a risultati critici inaspettati, scardinanti la teoria della discendenza di Lano e Iacopo da Atteone, appunto grazie alla capacità “fantastica” di vedere il nuovo nascosto nel vecchio, la poesia nell’erudizione. Questa competenza visiva-visionaria, fusione di erudizione e immaginazione, è la chiave che permette al critico (e di riflesso ai lettori, resi “competenti” dalla sua esposizione) di schiudere il processo creativo dell’autore, entrare nella sua mente. Come Dante…

Non sente il lettore mille piccoli aculei che gli chiudono ogni altra via, e lo piegano a quella che mena a concluder con me? Ricordiamo […] la somiglianza compiutissima tra la pena dei dissipatori e la caccia selvaggia, la esistenza della leggenda in Ravenna. Non ne balza irrefrenabile la conclusione[…]? Ed ecco come io mi figuro lo svolgimento del pensiero di Dante. Io credo che a Dante, quando pensò al peccato dei dissipatori, occorresse alla memoria il mito di Atteone, il quale gli doveva parer che raffigurasse la punizione dello stesso peccato. Ma ecco che il quadro di un prodigo inseguito dai cani gli richiamò nella fantasia42 la scena della caccia selvaggia, che gli si impose subito più accesa di colore, e di più bello e calcato disegno. E ad essa sola fissò il suo occhio d’artista, mentre veniva delineando e figurando la pena dei dissipatori. […] E poi ha fatto il suo lavoro, senz’altro intendimento che quel d’un poeta: e la selva è proprio una selva, la caccia è caccia, le cagne son cagne. […] La pena dei dissipatori non è altro che la popolare leggenda della caccia selvaggia, riprodotta da Dante, e rifatta, con arte divina.43

…così Serra: […] i commentatori che sopra ho citati; antichi, è ben vero: ma nell’antico agevolmente si può conoscere il nuovo; e per questo tanto mi fermo su loro […] seppero trasformare la figurazione dantesca in un ingegnosissimo, come dire, mosaico, di cui ogni pietruzza sta da sé, con un suo proprio significato allegorico. […] Una cosa hanno scordato quei buoni commentatori, una cosa da nulla, sia pure, ma alla quale alcuno ha la malinconia di voler dare qualche peso. Io voglio dire della poesia, dell’arte. […] D’astrazioni non si fa poesia. So che i luoghi dove Dante fa del filosofo e dell’allegorista son ben diversi dagli altri, in cui fa del poeta […] L’allegoria potrà bene aver dato a volta a volta lo spunto alle immaginazioni del poeta; ma non più, chè egli poi dove' lavorare la sua materia liberamente, senz'altra norma o freno, che quello dell'arte.44

40 A. L. PEDRELLI, Renato Serra fra Carducci e Croce, Faenza, Fratelli Lega, 1969. 41 Un avvicinamento a Croce? Le prime righe del saggio paiono scritte apposta a prevenire una tale assunzione: «Di una pena dantesca in diversi modi si può dire: e specialmente se si guardi al suo significato e alla sua funzione etica, o al valore estetico della sua figurazione. Nulla di questo però mi propongo con le seguenti ricerche. Prendere invece la rappresentazione dantesca come un disegno già compiuto, trovare per che ispirazione, con che modello, a che fine l’abbia il poeta così, com’ella è, disegnata e colorita: ecco quanto vorrei fare. Certo, prima di imaginare la pena, il poeta bene avrà ragionato su la natura morale del peccato, sul luogo che nella sua etica partizione più gli si convenisse. L’opera del filosofo però è, o mi pare, ben distinta da quella dell’artista. Il che se meglio si ricordasse, alcuna difficoltà, credo, più pianamente si potrebbe sciogliere», R. SERRA Su la pena dei dissipatori (Inferno, canto XIII, vv.109-129), alla pagina web indicata nella sitografia finale, primo paragrafo (corrispondente alla p. 278* dalla fonte originale: ″Giornale Storico della letteratura italiana″, XLIII, Torino, Loescher, pp.278-98). *D’ora in poi per Su la pena cit. rimanderemo alla pagina corrispondente del ″Giornale storico″ segnalata dalla pagina web. 42 Richiamò e fantasia: corsivo di chi scrive. 43 SERRA, op. cit., pp. 297-98. 44 Ivi, pp. 282-83.

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La novità dei risultati di Serra è dovuta alla novità del metodo filologico, scientificamente valido proprio perché è basato non tanto sul ragionamento erudito, distaccato, quasi matematico, ma sulla lettura attenta dei versi danteschi, unici “fatti” certi, senza costruire sopra al testo stesso mille edifici allegorici o allusivi45:

Davanti alla evidenza del fatto, tutti gli sforzi del Pascoli si risolvono, sto per dire, in una bolla di sapone. La ginnastica, quasi dicevo l’acrobatismo intellettuale, che, su le tracce di Servio, fa il Pascoli, per giungere a stabilire l’equazione: Arpie-Furie; Furie-Cagne; ergo Arpie-Cagne, non conclude, troppo. Perché, se non erro, altro è che le Furie sian chiamate talora dai poeti classici cagne, altro è che abbiano mai il corpo e la natura di vere e proprie cagne, quali Dante le descrive.46

In anni più tardi Serra sarebbe entrato nella cerchia della “Voce”, vicino soprattutto alla fase bianca sotto l’ala del De Robertis, che incoraggiava un «saper leggere» (anche stilisticamente) il testo in modo tale da «rifare il cammino dall’espressione ultima creativa verso la ragione prima che la determinò: il fondo detto germinale»47: una critica talmente «aderente» all’opera poetica da partecipare della sua natura letteraria48. Facile prevedere l’accostarsi del De Robertis maturo –nutrito dei contatti con la scuola filologica fiorentina, dove Barbi (allievo del Rajna e del D’Ancona) sosteneva «l’assioma del primato del testo»49, cioè comprendere il testo in ogni sua parte, inserendolo all’interno di un certo contesto storico-letterario che il critico deve ricostruire attraverso ampie letture—, l’accostarsi del De Robertis maturo alla poi continiana critica delle “varianti” o degli “scartafacci”: espressione spregiativa, quest’ultima, del Croce, fermo sulla teoria dell’intuizione poetica, ostile quindi all’idea di una genesi progressiva delle opere letterarie50. Continuava anche il filone dello studio sulle origini, con gli “Studi Medievali” diretti da Renier e Novati, autore quest’ultimo anche del libro Le origini51. In Europa intanto, dopo il rogo futurista della tradizione, si sviluppavano movimenti letterari che ponevano in primo piano la lettura del testo nella sua nudità, il Formalismo Russo e le basi del New Criticism52, quest’ultimo destinato a diffondersi nei decenni successivi; verso metà Novecento sarebbe esploso l’approccio strutturalista, intento a cogliere nelle interrelazioni dei fenomeni, linguistici e non, una struttura organizzata.

Facciamo però un breve passo indietro, verso la fine della prima metà del Novecento, per

concentrarci su due momenti di svolta. Il primo, la teoria dell’allusività formulata dall’italiano Giorgio Pasquali. Nel 1942 riesumò l’argomento delle fonti, evidenziando l’importanza della collaborazione tra scrittore e lettore nella produzione del significato del testo (idea poi ripresa dalle teorie letterarie degli anni Sessanta): «la parola è come acqua di rivo che riunisce in sé i sapori della roccia dalla quale sgorga e dei terreni per i quali è passata. […] Le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imitazioni, il poeta può desiderare che sfuggano al pubblico; le allusioni non producono l’effetto voluto se non su un lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono»53. Un’ulteriore, centrale precisazione sarebbe stata aggiunta da Gian Biagio Conte una trentina d’anni dopo, osservando che il gioco allusivo può (ma non necessariamente deve) lanciare una sfida emulativa nei confronti dell’originale: «l’allusività può non esaurirsi in se stessa ma servire a mediare un rapporto emulativo nei riguardi della tradizione così rammentata. In tal caso, della tradizione essa mira a circoscrivere uno spazio limitato, prescelto per il confronto. […] Pasquali non si cura di segnare questa distinzione tra arte allusiva e emulazione […] : [l’emulazione] (almeno nella sua forma più viva) non può darsi in assenza della seconda, mentre la seconda [l’allusività] non è affatto legata alla prima. Catullo allude ad Omero. […] Diversamente è per il verso di Virgilio»54. 45 Anche Rajna (op.cit., p.174) aveva già criticato l’abuso dell’interpretazione allegorica, proprio in riferimento all’episodio di Alcina da cui abbiamo ripreso l’esempio di Astolfo trasformato in pianta. 46 Ivi, p. 287. 47 G. BARONI (a cura di), Storia della Critica Letteraria in Italia, Torino, Utet, 1997, p. 470. Baroni cita dall’articolo di De Robertis pubblicato sulla “Voce” il 30 marzo 1915. 48 Ibid. 49 V. BRANCA, Michele Barbi e la nuova filologia, presentazione a M. BARBI, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori. Da Dante a Manzoni, Firenze, Le Lettere, 1994, p. 19. 50 BARONI, op.cit., pp. 512 e sgg. 51 Cfr. G. ZACCARIA & M. GUGLIELMINETTI , La critica letteraria dallo storicismo alla semiologia, Brescia, La scuola, 1980. 52 Per il New Criticism un protomanifesto fu, nel 1919, Tradition and the Individual Talent di Eliot (T.S. ELIOT, Tradition and the Individual Talent, alla pagina web indicato nella sitografia finale, all’ultimo paragrafo). 53 G. PASQUALI, Arte allusiva (19421) in Pagine stravaganti di un filologo, vol II, Firenze, Le lettere, 1994, p. 275. 54 G. B. CONTE, Memoria dei poeti e sistema letterario: Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano, con prefazione di Cesare Segre, Palermo, Sellerio, 2012, pp. 31-34.

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La seconda svolta fu invece lo studio Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter (1948) del tedesco Ernst Robert Curtius. La sua opera è animata da uno spirito ben distante da quello delle Fonti di Rajna: come afferma lui stesso nella prefazione alla traduzione inglese55, la prospettiva si impernia sui due fuochi indicati nel titolo, la latinità e l’europeità, proiettati sullo sfondo della letteratura medievale. Scelti, questi fuochi, per recuperare un senso di unità culturale europea dopo il disastro della seconda guerra mondiale: all’interno del libro si parla di «letteratura in quanto letteratura», ma lo scopo del libro è proiettato al di fuori della letteratura stessa, con un intento socio-culturale ricostruttivo di più ampia portata, non rivolgendosi perciò solo al pubblico di specialisti –come nelle intenzioni delle Fonti—, ma di amanti della letteratura:

When the German catastrophe came, I decided to serve the idea of a medievalistic Humanism by studying the Latin literature of the Middle Ages. […] My book is not the product of purely scholarly interests, that it grew out of a concern for the preservation of Western culture. It seeks to serve an understanding of the Western cultural tradition in so far as it is manifested in literature. It attempts to illuminate the unity of that tradition in space and time by the application of new methods. In the intellectual chaos of the present it has become necessary, and happily not impossible, to demonstrate that unity. But the demonstration can only be made from a universal standpoint. Such a standpoint is afforded by Latinity. […] The Latin Middle Ages is one focus of the ellipse here under consideration. The other focus is European literature.[…] My book, however, is not addressed to scholars, but to lovers of literature, that is, to those who are interested in literature as literature. 56

Un lavoro di ricomposizione, sintesi culturale attraverso il metodo filologico, di natura analitica, unico garante della validità scientifica quando si lavora con un’ottica storica su testi letterari. Ottica storica, badiamo bene, non tanto in senso cronologico, quanto –come in Rajna— morfologico: la sensazione di ritorni e variazioni nell’atmosfera socio-culturale, antropologica, del periodo, riflessa in quella letteraria.

My book, as I said, is not the product of purely scholarly interests. It grew out of vital urges and under the pressure of a concrete historical situation. But in order to convince, I had to use the scientific technique which is the foundation of all historical investigation: philology. For the intellectual sciences it has the same significance as mathematics has for the natural sciences. […] Geometry demonstrates with figures, philology with texts. But philology too ought to give results which are verifiable. But if the subject of this book is approached through philological technique, it is nevertheless clear, I hope, that philology is not an end in itself. What we are dealing with is literature—that is, the great intellectual and spiritual tradition of Western culture as given form in language.57

La natura letteraria dei testi rimbalza sullo studio critico, che pur nella sua scientificità filologica deve rispondere ad una norma estetica che tenga conto delle necessità del lettore, reso man mano competente dall’esposizione erudita e intelligentemente organizzata del critico, quindi lui pure “filologo”, «lover of literature»58:

A scientific presentation cannot avoid "strict demonstration." Hence, regarded as literary composition, it is a problem which has only an approximate solution […]. In the historical sciences demonstration must rest upon witnesses, in philology upon texts. Fresh dilemma! If the writer gives too many examples, his book becomes unreadable; if he gives too few, he weakens its demonstrative force. […] In practice, the dilemma reduces itself to a question of proportion, hence to an aesthetic norm. […]The arrangement of the presentation and the succession of the chapters are such as to result in a step-by-step progress and a spiral ascent. The first chapters present facts whose significance is illuminated later. A first acquaintance with the medieval school auctores (pp. 48 ff.) prepares for an understanding of the medieval canon (pp. 260 ff.); the section on sentences and exempla (pp. 57 ff.) is a presupposition for the discussions of exemplary figures in Bernard

55 Preleviamo i passi dalla traduzione inglese e non italiana perché quest’ultima è relativamente recente (1992), pubblicata ben dopo la morte dell’autore (1956), che fece in tempo invece a scrivere una prefazione alla traduzione inglese (19531). Mantenere le citazioni in una lingua straniera serve a ricordare che, a differenza della maggior parte dei critici qui presi in considerazione, non si tratta di una figura d’origine italiana, sebbene il suo lavoro si concentri spesso proprio su un italiano, Dante, preso a simbolo, negli ultimi paragrafi, della “conservatività innovatrice” della tradizione. 56 E. R. CURTIUS, European literature and the Latin Middle Ages, translated from the German by Willard R. Trask, Princeton, Princeton University press, Bollingen series XXXVI, 1973 (Bern, 19481), p. viii. 57 Ivi, p. x. 58 Corsivo di chi scrive.

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Silvestris (pp. 108 ff.), Alan (pp. 1 17 ff.), Dante (pp. 362 ff.), etc. The structure is determined not by logical order but by thematic continuity. The interweaving of threads, the reappearance of persons and motifs in different designs, reflects their concatenated historical relations. This concatenation first emerged dimly—a possibility intimated but not demonstrable. In the course of years and decades its outlines became clear, its content articulated.59

Non più monografia su una singola opera, ma uno sguardo panoramico60 su un’intera civiltà –proseguendo in un certo senso l’interesse della scuola storica di fine Ottocento per le tradizioni popolari, il fascino per l’immaginario collettivo, allargato da Curtius a dimensioni europee—, proprio attraverso l’ingrandire nel dettaglio alcune “tematiche” letterarie fondamentali, secondo le quali si articolano i vari capitoli: tematiche contenutistiche (per esempio, il rapporto della letteratura con l’istruzione, la filosofia, la teologia) e formali (le figure della retorica, soffermandosi in particolare sulle metafore e elencando quelle più frequenti, legate alle immagini del libro, della Natura, del paesaggio…). La disposizione dei capitoli non segue l’ordine di ricerca e stesura –che era stata una rincorsa nel seguire un filo intrecciato all’altro appena sbrogliato-, ma una decisione precisa del critico per guidare i lettori, non del settore. Rajna riproduceva l’ordine di apparizione delle varie immagini nel poema, seguendo man mano gli episodi della storia letteraria predisposta dall’autore e eseguita dal narratore, anche a costo di replicarne la frammentarietà tematica, causata dalla dispersione dei fili narrativi nell’Ariosto (una delle poche note formali osservate nella Fonti); insomma, l’ordine tematico dentro l’ordine storico. Curtius invece si immagina e anticipa i bisogni del pubblico, in un itinerario che va dal generale al particolare, accompagnando per mano anche il lettore meno competente; nei capitoletti all’interno di ogni capitolo si segue invece l’ordine più immediato e semplice, quello storico, con una visione davvero panoramica, non solo sulle fonti anteriori e sincroniche, ma anche (ricorrendo ad una formulazione di Maria Corti61) quelle “posteriori”, cioè dipingendo come tali immagini e forme vengano riprese dalle tradizioni successive e con quali differenze, dovute a scarti antropologici nel succedersi storico delle civiltà (per esempio, il ricorso di Shakespeare alla metafora del libro della memoria assume un valore completamente diverso da quello dantesco, dovuto al passaggio storico-culturale dalla civiltà del manoscritto alla civiltà della stampa).

A connettere autori della tradizione letteraria, critico e lettori interviene un concetto fondamentale, la memoria, in continuo movimento: nell’invenzione dell’autore, naturalmente; nella mente del critico, quando si trova a condurre la propria ricerca, privilegiando certe piste a scapito di altre62; nella coscienza del pubblico, destinatario che lo studio prevede e presuppone per ottenere il proprio scopo socio-culturale iniziatico nella storia contemporanea, di morte in vista di una rinascita.

Culture as initiatory memory... […] In the present situation of the mind, there is nothing more pressing than to restore "memory." Educational and re-educational programs of all sorts are perhaps less important than the task of seeing the function of continuity in culture and impressing it. […] If we resume our historical consideration, we find that forgetting is just as necessary as remembering. […] That is the relative truth of the tabula rasa. Its opposite concept, the "treasury" (thesaurus) has likewise altered. […] Obedience to the rules and imitation of model authors no longer bestows any right to a good grade. Only the creative minds count. The concept of tradition is not abandoned in consequence, it is transformed. A community of the great authors throughout the centuries must be maintained if a kingdom of the mind is to exist at all. But it can only be the community of creative minds. This is a new kind of selection —a canon if you like, but bound only

59 Ivi, pp. 380-81. 60 «Contemporary archaeology has made surprising discoveries by means of aerial photography at great altitudes. Through this technique it has succeeded, for example, in recognizing for the first time the late Roman system of defense works in North Africa. A person standing on the ground before a heap of ruins cannot see the whole that the aerial photograph reveals. But the next step is to enlarge the aerial photograph and compare it with a detailed map. There is a certain analogy to this procedure in the technique of literary investigation here employed. If we attempt to embrace two or two and a half millenniums of Western literature in one view, we can make discoveries which are impossible from a church steeple», ivi, p. ix. 61 Cfr. M. CORTI, Il binomio intertestualità e fonti: funzioni della storia nel sistema letterario, in A. A. ROSA (a cura di), La scrittura e la storia. Problemi di storiografia letteraria, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 115-130. Ricorda la formulazione dell’“intertesto” presente alla memoria del lettore secondo M. Riffaterre. Cfr. M. RIFFATERRE, L’intertextu inconnu, in “Littérature”, 41 (1981), pp. 4-7. 62 «The studies out of which this book grew began with definitely circumscribed individual problems which I picked up in the course of my reading. The topos "aged youth," for example, I found in Gregory, applied to St. Benedict. It was striking, but it had struck no one. It could be traced back to Silius Italicus and the younger Pliny and forward to G6ngora. Was it unique? Or might other topoi of like durability be tracked down? The task of a historical topics (p. 82) was thus prescribed. This led to antique rhetoric (Chapter 4)», CURTIUS, op. cit., p. 381.

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by the idea of beauty, concerning which we know that its forms change and are renewed. That is why the House Beautiful is never finished and closed. It continues to be built, it remains open.63

Memoria sempre oscillante fra preservazione e distruzione, fra thesaurus e tabula rasa, anche nella tradizione letteraria, eternamente scossa dalla querelle tra conservatori e innovatori. Tradizione letteraria la cui continuità, la cui natura aperta e “non finita” è garantita proprio dall’uso di forme fisse, retoriche, caselle rigide ma vuote che il poeta può riempire a proprio piacimento, sicuro che resisteranno nel tempo. Tra gli autori, allora, ecco che emerge l’italiano Dante –cui è dedicato un capitolo intero, unico a tema “autoriale”-, rappresentante più impregnato della cultura medievale, e proprio per questo debordante al di fuori, oltre di essa, collegando passato e futuro con la propria individualità fortissima, alchimista insuperabile nel fondere le antiche risorse formali, la retorica –schemata64 perduranti che veicolano i contenuti culturali, garanzia quindi della loro conservazione—, con motivi e temi tradizionali trasformati dal di dentro in maniera imprevedibile; autore davvero capace di rendere la memoria creativa65:

Goethe said to Eckermann: "Dante appears great to us, but he had a culture of centuries behind him." Carlyle heard in Dante the voice of "ten silent centuries"[66]. What Goethe and Carlyle saw, we can designate precisely in historical terms: It is the cultural cosmos of the Latin Middle Ages, and of Antiquity seen through the eyes of the Middle Ages. […] Theologico-political prophecy is a feature which constantly occurs in the twelfth- and thirteenth-century picture. But in Dante it is given an intellectual substructure, and the power of his poetic vision […] raises it to a fortissimo. It is a leaven which Dante casts into the tradition of the medieval West. The leaven penetrates the coagulated mass to its most remote regions and organizes it into a realm of new forms. It is the projection of Dante's personality on "the book and school of the ages" (George)—on the total literary tradition. Dante's mind and soul, his architectonic thinking […] conjured "ten silent centuries" into form. […] Its medium is terza rima: a metrical form which combines the principle of continuous progressive concatenation with ineluctable discipline.67

Agli occhi di Dante stesso la memoria letteraria è un dovere quasi religioso, un “libro” sacro quanto le Scritture, e allo stesso tempo una tappa da superare per creare un nuovo testo all’interno di quella stessa tradizione, per il quale i lettori a loro volta dovranno riservare la medesima venerazione tributata ai modelli classici: il canone esiste, ma è elastico, in perenne espansione. Tale immagine della memoria è ricondotta da Curtius alla concezione tipicamente medievale del libro, in formato manoscritto, strumento insieme di lettura (ricezione) e scrittura (creazione).

In Dante's youthful lyrics we already find the book of memory. […] It has been sought to derive the expression from a passage in Pier della Vigna: "In tenaci memoriae libra perlegimus." But to accept such a derivation is to misunderstand the historical situation in which Dante's artistic style developed.[…] The entire book imagery of the Middle Ages is brought together, intensified, broadened, and renewed by the boldest imagination in Dante's work.[…] For the Middle Ages, all discovery of truth was first reception of traditional authorities.[…] A comprehension of the world was not regarded as a creative function but as an assimilation and retracing of given facts […] reading. The goal and the accomplishment of the thinker is to connect all these facts together in the form of the "summa." Dante's cosmic poem is such a summa too.[…] Dante expressly recommends that the Divina Commedia be read and studied.[…] Had Dante remembered the episode of Polydorus in the Aeneid (III, 22 ff.) in time, he would have been saved from hurting the soul of Pier della Vigna in its tree prison. But Dante would seem not to have believed that passage in the "alta tragedia." So at least Virgil says (Inf., XIII, 46 ff.):

S' egli avesse potuto creder prima,

63 Ivi, pp. 396-97. 64 «Without a configurational schema (Platonically: éidos) hovering before him, the poet cannot compose. The literary genres, the metrical and stanzaic forms, are such schemata. They are an element of endurance», ivi, p.391. 65 «Relationship to the literary tradition is bounded by two ideal concepts: the treasury (thesaurus) and the tabula rasa. To collect, preserve, and enjoy the transmitted store is a cultural function. […] Only in words does mind speak its own language. […] It is safeguarded, but it is also emptied and externalized by the transmissional techniques of grammar, rhetoric, the "liberal arts," the schools. These techniques are not an end in themselves, nor is continuity. They are aids to memory. Upon memory rests the individual's consciousness of his identity above all change. The literary tradition is the medium by which the European mind preserves its identity through the millenniums. […] Mind needs forms in order to crystallize. But the crystalline is incorruptible. Mindpervaded form, on the contrary, can become empty, an untenanted room», ivi, pp. 394-95. 66 Si legga in Rajna: «Il vero si è che a creare un'opera immortale non bastano mai le forze di un sol uomo. Tutta un' età, tutto un popolo, e a volte perfino più età e più popoli lavorano in silenzio, finché i tempi siano maturi, e giunga un ingegno atto a trarre partito dalla lunga e lenta preparazione», RAJNA, op.cit., p. 610. 67 CURTIUS, op.cit., pp. 400-401.

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—Rispose il savio mio—anima lesa, Cid c' ha veduto pur con la mia rima,

Non averebbe in te la man distesa. Ignorance of a text and faulty reading can, then, be the causes of evil deeds. 68

Dalle citazioni sarà apparsa evidente la ricorrenza del lessico “dimostrativo”: nel libro ben quarantuno sono le ricorrenze di termini con radice “fenomenica”, contro le tre di Rajna (fra le quali una sola rilevante: proprio quella nella prefazione, riferita all’erroneo fantasticare dello sguardo critico, pericolosamente incline a alterare il dato sperimentale). Curtius stesso concepisce il suo lavoro come una «fenomenologia» della «biologia letteraria» (e l’aggettivo risulta altrettanto importante del sostantivo), cioè analisi scientifica di come i testi letterari si “manifestino” all’osservatore, di come interagiscano con lui in quanto portatore di una sua specifica memoria storico-culturale e letteraria; la penetrazione tra le pieghe del testo risulterà tanto più profonda quanto più sarà stato ampio il bacino di letture di cui è stata irrorata tale memoria. Se il metodo è scientifico, l’oggetto rimane storico-letterario, animato da un alito «spirituale», per Curtius; e tale spirito si riflette sullo studio critico. Scienza sì, come in Rajna, ma non dominata da leggi rigorose: semmai una scienza della vita in continua trasformazione, biologia; una fenomenologia, non Literatur-wissenschaft. In quest’ottica, l’ignoranza o l’incomprensione dei testi –e del contesto in cui questi ricorrono— costituisce da parte del critico, se non una colpa morale come per Dante, certo una grave debolezza.

The recurrent or constant phenomena of literary biology are investigated; the opposition between "ancients" and "moderns"[…] All these and other questions are prolegomena to what I should like to call a phenomenology of literature. This appears to me something different from […] Literatur-wissenschaft.[…] One of the tasks of the philologist is observation (observatio in the methodologic vocabulary of classical philology). To that end one must, of course, read a great deal (Principle 3) and sharpen one's eye for "significant facts" (Bergson). One encounters a phenomenon which appears to mean little or nothing. If it recurs constantly, it has a definite function.69

Se la tradizione letteraria rimane aperta, così non può che essere anche la critica che si svolge su di essa. Lo studioso deve sapersi fermare quando, pur con la coscienza che ancora molto resta da esplorare, si rende conto di aver raggiunto un risultato “organicamente” coerente, capace di “reggersi in piedi”. Ancora una volta, le leggi della «biologia letteraria» valgono anche per il corpo critico:

We call a halt. The investigations into the Middle Ages here presented form an organic sequence which can stand by itself. But both methodologically and thematically, our viewpoint reaches beyond the Middle Ages. This I hope to show in future studies "in questa tanto picciola vigilia de' nostri sensi ch' è del rimanente".70

Durante la seconda metà del Novecento il punto di vista si protende davvero ben oltre l’orizzonte scelto da Curtius: si passa dallo “studio delle fonti”71 alla discussione sull’intertestualità, che esploderà dagli anni Sessanta in poi, trascinandosi per i vari decenni successivi. Il neologismo, destinato ad un enorme successo (e riutilizzo), fu inventato da Julia Kristeva in Word, dialogue and novel (1966), la cui riflessione si rifà al dialogismo, all’interdiscorsività di Bachtin (formulata in un saggio su Dostojevskij del 1963II, 1929I)72. Quindi “intertestualità” «si tratta di un termine anch’esso intertestuale, essendo stato proposto entro un’interpretazione delle teorie linguistiche di Bachtin, ma con inevitabili apporti della semanalisi di Julia Kristeva» (Segre)73. Bachtin riconosce in uno stesso discorso o testo un implicito dialogo tra due diverse “parole”, portatrici di distinte posizioni ideologiche soggettive, in una sorta di polifonia, di plurivocità; la Kristeva allarga il concetto di dialogo tra posizioni ideologiche a quello tra fonti testuali, già in nuce nello stesso Bachtin74. Al predecessore la Kristeva riconosce il merito di avere evidenziato il dinamismo dei testi nel relazionarsi fra loro75, dovuto al fatto che ogni scrittore è prima di tutto un lettore, nella cui memoria 68 Ivi, pp. 326-28. 69 Ivi, p. 9. 70 Ivi, p. 401. 71 Ancora nel 1956, con A proposito di una vecchia questione: lo studio delle ‘fonti’ di Mario Fubini , nel quale tale approccio è considerato utile ma non strettamente necessario all’analisi critica, se non in casi di arte allusiva. 72 Cfr. D’IPPOLITO, Semiologia e Quellenforschung cit. 73 SEGRE, Intertestuale/interdiscorsivo.cit.,15. 74 A.BERNARDELLI, Il concetto di intertestualità cit., p.12. 75 «Bakhtin [sic] was one of the first to replace the static hewing out of texts with a model where literary structure does not simply exist but is generated in relation to another structure. What allows a dynamic dimension to structuralism is his conception of the "literary word" as an intersection of textual surfaces rather than a point (a fixed meaning), as a dialogue

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vivono sincronicamente testi letterari maturati in epoche storico-culturali diverse: allora «any text is constructed as a mosaic of quotations; any text is the absorption and transformation of another. The notion of intertextuality replaces that of intersubjectivity, and poetic language is read as at least double»76. Pochi anni dopo, nel 1974, in Memoria dei poeti e sistema letterario, Gian Biagio Conte ritorna sul concetto di duplicità del testo in maniera innovativa –portando avanti il discorso di Curtius sulla forma retorica, specialmente metaforica, della memoria letteraria—, al punto da far coincidere il procedimento dell’allusione con quello, appunto, della metafora (allusione integrativa) e di similitudine (allusione riflessiva): «non ci vorrà molto ad assimilare la memoria poetica alla funzione retorica […] in particolare la metafora […] Si ha infatti una sola presenza visibile (quella imposta dall’enunciato concreto) che per azione del trasferimento (del tropo) si sovrappone al verbum proprium coprendolo: e con la propria concretezza invadente lo rimuove per dare origine ad un nuovo significato», e più in generale «[le forme del discorso poetico] come forme ‘improprie’ dell’espressione […] vivono nella duplicità del discorso che propongono, agiscono chiudendo nella loro tensione lo iato che si apre tra l’enunciato nella sua immediatezza diretta e l’immagine indirettamente evocata»77. Rubando le parole a Raimondi, che collega Curtius e Conte in nome del loro interesse per la metafora in funzione della memoria letteraria:

Per Curtius la memoria poetica passava attraverso i popoli, cioè tra le grandi metafore che si ripetono nel tempo. Conte dice che ci sono due forme possibili e indica la sua possibile fenomenologia della memoria:

‘Nel primo caso (la memoria omerica in Catullo - e per certi aspetti anche il rapporto fra Omero e Virgilio, in cui più che l'emulatività competitiva si è appunto sottolineata l'esigenza di appropriazione stilistica) le due voci che s'incontrano nella parola tendono alla fusione armonica, a creare un'unica parola, arricchita da una risonanza interna: una designazione, cioè, che comporta una connotazione orientata’

Risalta un nuovo termine: il concetto di appropriazione. […] è proprio una frase ricavata da Seneca, che Conte mette in testa al suo libro; è l’immagine delle api, quando sui fiori ricavano il polline e lo trasformano. C’è una specie di trasformazione organica. Anche lo scrittore è come un’ape […].78

Riconosciuto nell’apporto di Pasquali un turning point della critica delle fonti tra Quellenforschung positivistica e intertestualità usata a scopo filologico79, Conte fa un passo in avanti: pone il metodo della ricostruzione di mappe intertestuali al servizio della filologia, nella ricomposizione della genesi, dell’“origine” del testo. Un’opera è sempre collocata all’interno di un sistema letterario, poiché la sua letterarietà stessa dipende dal fatto di porsi in dialogo con una tradizione –intesa come norma, cioè forme vuote e disponibili, cultura in potenza (alla Curtius), e come canone di autori e testi, cioè “cultura attualizzata”- rispetto alla quale l’autore si è posto da lettore:

Di fatto non si colgono il senso e la struttura di un'opera se non in rapporto a dei modelli, essi stessi ricavati da lunghe serie di testi di cui sono in qualche modo l’invariante. Rispetto a questi modelli di fondo, il testo letterario entra sempre in un rapporto di realizzazione, di trasformazione o di trasgressione. Fuori di questo sistema l’opera poetica è impensabile: la sua percezione presuppone una ‘competenza’ nella decifrazione del linguaggio letterario, che ha come condizione la pratica di una molteplicità di testi. […] Il rivendicare insomma all’intertestualità uno statuto non diverso da quello che possiede la figura retorica, fornisce al filologo la possibilità fortunata di cogliere in atto

among several writings: that of the writer, the addressee (or the character), and the contemporary or earlier cultural context. By introducing the status of the word as a minimal structural unit, Bakhtin situates the text within history and society, which are then seen as texts read by the writer, and into which he inserts himself by rewriting them. Diachrony is transformed into synchrony, and in light of this transformation, linear history appears as abstraction. The only way a writer can participate in history is by transgressing this abstraction ,through a process of reading-writing», KRISTEVA, op. cit., pp. 64-65. 76 Ivi, p. 66. 77 CONTE, op. cit., pp. 54 e 58-59. 78 E. RAIMONDI, Intertestualità e storia letteraria. Da Dante a Montale. Appunti dalle lezioni del corso monografico 1990/91 del professore Ezio Raimondi, Bologna, CUSL, 1991, p. 219. 79 «La pratica della Quellenforschung era sostenuta da un’ideologia critica che nella letteratura cercava fenomeni classificati tra gli ‘influssi’ o, se apparivano più consistenti, tra le ‘fonti. […] Pasquali […] allontana l’arte allusiva dalla Quellenfoschung per avvicinarla in qualche modo alla creatività poetica […] un riscatto nei confronti di un gretto positivismo. […] La via per cui progressivamente si è usciti da questi dilemmi estetici è quella tradizione critico-filologica (specificamente italiana, anche se nutrita di fermenti esteri) che è fatta di esperienze quali la critica stilistica, la variantistica, la linguistica applicata ai testi letterari. […] Il destinatario che si avvicina al testo […] è già lui stesso una pluralità di altri testi», CONTE, op. cit., p. 169.

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il processo di produzione del testo letterario, e permette quasi di ‘simularne’ il meccanismo80 di formazione, in quanto permette di confrontare la singola realtà testuale e il modello che le sta dietro.81

Di riflesso, il lettore-critico dovrà a sua volta pensarsi autore, immedesimarsi nel processo ri-creativo, percorrendolo all’incontrario rispetto allo scrittore, risalendo dalla superficie al fondo, alla sorgente pullulante nella cavità sotterranee: le Quellen, ora reinserite però nel “terreno” in cui scorrono, nel contesto, non più considerati rivoli a sé stanti.

La cultura che tende ad insediarsi in un dato contesto poetico viene 'riorganizzata' da quel testo particolare, piccolo o grande che sia, in funzione di se stesso. Il filologo, nel suo approccio al testo, può anche scomporlo, può sezionarlo in verticale o almeno sondarlo nello spazio che sta sotto la superficie compatta e tenace: visto 'dal di sotto' […] pullula nella sua profondità di radicazioni filamentose che distendono, entro il fluido della cultura storica, una rete di richiami. […] Questi reticoli del senso sono la cultura attuata, funzionalizzata: e perché essa trovi motivazione poetica, occorre appunto che si manifesti come orientata, vale a dire coerentemente dotata di significato dallo stesso organismo che essa alimenta e in cui si articola, cioè dal sistema letterario in cui si attua. Ogni operazione di seria critica filologica consiste in fondo nel ricostruire la mappa delle connessioni di senso, nel rintracciare, intenzionandola al contesto, la carta orografica delle connotazioni molteplici, strette tutte in una solidarietà implicita ed obbligata verso il contesto.82

Circa otto anni più tardi, Genette avrebbe riproposto l’idea dell’intertestualità come studio della duplicità del testo in un lessico tipicamente filologico, un palinsesto: la fonte, ipotesto, si nasconde “sotto” il testo di superficie, ipertesto, che intrattiene con la prima un rapporto «manifestamente» trasformativo83.

Si era sviluppata intanto una foltissima letteratura critica di pratica e insieme di riflessione teorica in tema di intertestualità. Per dare un’istantanea delle dimensioni, geografiche e non solo, del dibattito, si ricordino solo alcuni nomi: tra gli studiosi italiani, Giovanni Nencioni, autore di un saggio (Agnizioni di lettura, in “Strumenti critici”, I (2), 1967), in seguito usato come spunto da Conte; Marco de Marinis, che partendo dall’intertestualità teatrale si allarga a un discorso generale; i semiotici D’Ippolito, Umberto Eco e Cesare Segre (di quest’ultimo un titolo in particolare, Intertestuale/interdiscorsivo. Appunti per una fenomenologia delle fonti, calamita la nostra attenzione sull’idea di critica come fenomenologia e di fonte come contatto “dimostrabile”, ancora portatore del marchio di fabbrica del riutilizzo precedente della pluralità linguistica da parte di un altro autore84); Alessandro Barchiesi, che parla di uso del modello omerico in Virgilio secondo una «strategia comunicativa» pensata ad hoc per il nuovo contesto, il pubblico romano-augusteo85; Mortara Garavelli, che distingue tra citazione lecita e occulta, cui Maria Corti aggiunge una terza via a metà strada, che per funzionare prevede la collaborazione del lettore; la Corti inoltre sottolinea il legame tra ricerca delle fonti e un’“intertestualità” di tipo diacronico, e la validità di tale approccio per porre 80 Corsivo di chi scrive: si ricordi il «meccanismo dell’invenzione» in Rajna. 81 CONTE, op. cit., p. 177. 82 Ivi, pp. 51-52. Si confronti con SEGRE in Intertestuale/interdiscorsivo cit., pp.17-18: «la fonte è dunque una specie di condensatore, che dopo aver realizzato una prima sistemazione (personale) della pluralità linguistica, offre il suo prodotto al nuovo autore, che potrà a sua volta utilizzarlo, ma conservando in tutto o in parte i segni del precedente riuso»; si veda anche ID., Semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Torino, Einaudi, 1979, p. 12. Segre, caldeggiando un rapporto di assistenza reciproca tra filologia e semiotica, formula idee che suonano assai simili a quelle di Conte (non per niente è Segre stesso a scrivere l’introduzione alla nostra edizione di Conte): 1) l’idea di tradizione letteraria come sistema fondato su modelli, inteso sia come norme (langue) sia come insieme di testi (paroles); natura letteraria di un testo determinata non tanto dal suo contesto, quanto semmai impostata: (2a) dalla sua connotazione, ossia dalla finalizzazione unidirezionale di tutti i suoi segni in modo tale da creare una struttura coerente ad un certa ″motivazione″, (2b) dal suo tratto di ripetibilità o, in Conte, di riuso (Lasberg), da cui emerge l’importanza della memoria letteraria, (2c) dalla presenza di figure, che in Conte rendevano il testo poetico opaco, e quindi visibile nelle sue impalcature formali, costringendo i lettori a fermarsi su queste e quindi sul testo stesso che le ospita, e a ricordarselo più facilmente; 3) ricorso al presupposto di coerenza strutturale a vantaggio dell’indagine filologica; 4) autore e lettore (copista, critico, pubblico) cooperanti nella produzione diasistemica dell’opera; 5) duplicità dell’opera, tra testo e immagini del testo, specie nella sua trasmissione. 83 «(Le) quatrième type de transtextualité… hypertextualité… J’entends par là toute relation unissant un texte B (que j’appellerai hypertexte) à un texte antérieur A (que j’appellerai, bien sûr, hypotexte) sur lequel il se greffe d’une manière qui n’est pas celle du commentaire. Comme on le voit à la métaphore se greffe at à la détermination négative, cette définition est toute provisoire […]. B ne parle nullement de A, mais ne pourrait cependant exister tel quel sans A, dont il résulte au terme d’une opération […] de transformation, et qu’en conséquence il évoque plus ou moins manifestement, sans nécessairement parler de lui et le citer», G. GENETTE, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, éditions du Seuil, 1982, p. 11-12. 84 Parafrasando SEGRE, Intertestuale/interdiscorsivo cit., pp. 18 e sgg. 85 A. BARCHIESI, Le molte voci di Omero. Intertestualità e trasformazione del modello epico nel decimo dell’Eneide, in “Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici”, 4, p. 56.

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domande al testo e illuminare questioni irrisolte, entrando nel cantiere dell’autore86. Ci sono poi critici stranieri: in una rapida carrellata, Barthes87, Arrivé, Verón, Popovič, Dällenbach, Laurent Jenny, Compagnon, Michel Riffaterre88, Genette89.

In una serie di lezioni, poi pubblicate per iscritto col titolo dell’insegnamento, Intertestualità e storia letteraria, Ezio Raimondi rende tale storia dell’intertestualità oggetto di studio; ricorda altri critici ancora, italiani quali Contini e Mazzoni, e non italiani quali Harold Bloom, Stierle, Greene, Miller… Raimondi espone così una critica intertestuale che potremmo chiamare “di primo e secondo grado”, cioè sia riconosce percorsi intertestuali tra opere diverse, sia riflette sul concetto di intertestualità e sulla sua storia nella critica letteraria.

L’idea di trasformazione dinamica, intrinseca nella concezione stessa di tradizione come memoria e (ri)produzione letteraria, in virtù della quale, abbiamo visto, sono collegati Curtius e Conte…

Le immagini dell’arte sono le metafore della letteratura. […] Le immagini vivono nella memoria, si conservano e si trasformano [dopo aver definito il concetto di storia dell’arte per lo studioso Aby Warburg -destinatario dell’opera di Curtius- “un grande sistema di immagini” ]90

…si unisce all’idea di storia, di mappa genealogica, che si anima dell’individualità della memoria, selettiva verso le fonti e quindi sin dall’inizio interpretatrice, e poi trasformatrice, dei modelli:

[si tratta di] filiazione culturale, dunque l’intertestualità ha certamente una funzione genetico-genealogica, perché un testo, in questo modo, segue la propria genealogia, quella che gli fa comodo […] Si comincia già a capire il senso del titolo, dato al corso, “intertestualità e storia letteraria”. Infatti il rapporto tra i testi è un problema di storia letteraria.91

Alla storia macroscopica dei tópoi nell’immaginario collettivo si associa quindi la storia microscopica, la memoria individuale. L’autore deve sempre confrontarsi con la tradizione a lui precedente, spesso in una prospettiva emulativa tesa, che porta ad «un’aspra metamorfosi» delle fonti92, poiché «l’originalità, è una battaglia di Giacobbe con l’angelo e il suo fantasma, per cui il rapporto con i testi non è mai pacifico» e «diventa una sorta non solo di dramma domestico, ma di dramma storico»93. Tale conflittualità viene indagata sin dalle prime lezioni del corso di Raimondi attraverso l’analisi di un’opera che seppur “storia”, narrativa, appare intrinsecamente metaletteraria nel suo riflettere sui rapporti dell’autore (anzi, di un Autore, Virgilio) con i modelli: La morte di Virgilio (1945) di Hermann Broch. Da qui Raimondi ricorda, anche in altri studi, un passo particolare, dove si dà corpo alla sensazione che «nella voce di un testo parlino anche altre voci, come aveva intuito con il tremore di una esistenza che finisce Hermann Broch, il narratore marmoreo, febbrile, allucinato della Morte di Virgilio: ‘Oh, ciascuno è circondato da una foresta di voci, ciascuno vi cammina smarrito tutta la vita, cammina cammina’…»94. Per dipingere un Virgilio tormentato dall’idea di aver “copiato” Omero, Broch riecheggia Dante (che a sua volta aveva considerato Virgilio una delle sue più importanti “fonti”!), spogliandolo ovviamente dei riferimenti al contesto teologico medievale:

Cammina [e] cammina, e tuttavia è immobile sull’impenetrabilità della selva delle voci, impigliato fra i germogli della notte e le radici della selva, che allignano al di là d’ogni tempo e al di là d’ogni spazio, oh, ciascuno è minacciato dalle indomabili voci e dalle loro braccia in agguato, dalle fronde delle voci, dai nomi delle voci, che

86 Parafrasando un suo saggio, Per una tipologia dell’intertestualità dantesca, in M. CORTI, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale. Percorsi dell’invenzione e altri saggi, Torino, Einaudi, 2003, pp. 83-94. Il saggio in cui ricorda la Mortara Garavelli invece è Il binomio intertestualità e fonti cit. 8787 Barthes raccoglie molte idee della Kristeva (spazializzazione, pluralità almeno duplice del testo). La “morte dell’autore” (titolo di un suo famoso saggio del 1968: cfr. R. BARTHES, The Death of the Author, in ID., Image Music Text. Essays selected and translated by Stephen Heath, London, Fontana press, 1977, pp. 142-48, che raccoglie anche From Work to Text, in ivi, pp. 155-64), la morte dell’autore d’altronde sancisce la nudità del testo: questo emerge allora nella sua autonomia rispetto all’autore e nella sua natura di tessuto formato da più fili intertestuali, che spetta al lettore districare; il testo è un «process of demonostration» (p. 157), di “manifestazione” agli occhi del lettore. In particolare Barthes distingue la filologia delle fonti, applicabile al work (materiale, oggetto di filiazione), e lo studio della rete di citazioni intertestuali, riservata al text. 88 M. RIFFATERRE, L’intertextu inconnu cit., p.6. 89 Cfr. la bibliografia elencata al termine del saggio di D’IPPOLITO, Semiologia e Quellenforschung cit. 90 RAIMONDI, op. cit., p. 106. 91 Ivi, p. 244. 92 Ivi, p.306. 93 Ivi, p. 306-307. 94 E. RAIMONDI, I sentieri del lettore (3 voll.), Vol. III, a cura di Andrea Battistini, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 124.

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avvinghiandosi lo avvincono, che crescendo si separano e dritti si slanciano in alto per ritorcersi ancora l’uno sull’altro, demoniaci nella loro indipendenza e nella loro solitudine, voci dei minuti, degli anni, degli evi infiniti, che si sviluppano nell’intreccio dei mondi, nell’intreccio dei tempi.

[…] È come se la selva fosse una realtà che pullula, qualche cosa che fermenta, germogli, radici, i germogli della notte sono come le radici della selva[…]. Ancora una volta viene irresistibile il richiamo a una fantasia come quella di Dante, cioè a ciò che accade nella selva dei suicidi con Pier delle Vigne. Come dire che dentro l’immaginario medievale Dante sta costruendo una grande allegoria universale dell’esistere che può valere persino al di là della sua teologia, perché Broch non condivide la teologia medievale e forse nemmeno la fede di Dante. Tuttavia la parola torna di nuovo a certe origini, a certe possibilità. […]

Madide di dolorosi gemiti e secche della gioia selvaggia d’un mondo intero. Anche qui sarebbe facilissimo tirar fuori Dante.[…] Ciò dimostra la straordinaria possibilità di forza espressiva di Dante che riesce dal suo Medioevo lontano ad aprirci la strada fino a scritture di questo genere. È la dimostrazione di come leggendo i moderni si può riprendere meglio gli autori antichi, si dimostra la vitalità degli antichi, i loro germogli.95

Compito del critico è quindi tracciare i “sentieri del lettore” nella “selva” del contesto storico-letterario in cui si inserisce una certa opera. Quel “pullula” fa tornare alla memoria le acque fermentanti dell’ottocentesca ricerca delle Quellen96, ma ormai la prospettiva è radicalmente mutata, la derivazione da una fonte non appare più un semplice rapporto di filiazione “meccanica” di un testo da un altro testo: si è articolata in un incrociarsi continuo di scambi a vari livelli di “discorso”, non solo strettamente letterari.

L’immagine della mappa, già abbozzata da Curtius e Conte, torna anche in Velli, altro critico di rapporti intertestuali. In una raccolta di suoi saggi su “tradizione, memoria, scrittura” (dal sottotitolo) in Petrarca e Boccaccio, Velli nella prefazione confessa:

Nei saggi qui raccolti […] si vuol giungere a una visione non astratta del fatto letterario: il rapporto dialettico che stringe linguaggio individuale e ‘linguaggio della tradizione’. […] Bisogna dire che le implicazioni di ordine teorico andavano forse in questa sede più direttamente affrontate. Ma io ritengo che la precisa ricognizione filologica, la stesura – o tentativi di stesura—di articolate mappe della memoria letteraria di singoli scrittori costituiscano momento non secondario nella definizione o comprensione del problema stesso. Quando, s’intende, i materiali presentati non restino a livello inerte e grezzo dell’inventario positivo.97

Come Raimondi, Velli pone la necessità di una riflessione dell’intertestualità su se stessa, sulla storia della propria evoluzione teorica; ritiene però di assolvere già al suo dovere di studioso nel disegnare «mappe della memoria» ponendosi in maniera dinamica rispetto al testo, analizzato nei contenuti come nelle forme98. 95 RAIMONDI, Intertestualità cit., pp. 73-74. 96 I concetti di fonte e rapporto intertestuale non sono del tutto sovrapponibili: «“i significati dei due termini, ‘fonti’ e ‘intertestualità’, non si sovrappongono esattamente, come non tutta l’’intertestualità si può esaurire nelle ‘fonti’. Dalla sovrapposizione dei due campi semantici rimane fuori, dalla parte delle ‘fonti’, quel tanto di statico, di meccanico, che c’è nell’idea di un modello, formale o contenutistico, derivato da un testo antecedente e utilizzato, in qualche maniera, da un testo successivo, in cui esso è riconoscibile. Dalla parte dell’’intertestualità, resta fuori l’elemento dinamico di un procedimento per cui tutti i testi vivono in una condizione di scambio, da quelli antecedenti a quelli posteriori, e poi di nuovo da quelli posteriori a quelli antecedenti, alternando echi, riflessi, allusioni e imitazioni, in un processo incessante di cui non si può vedere una conclusione”» (PASINI, op. cit., p. 29, dove si cita da I. DE GENNARO, L’approccio intertestuale alla poesia. Sondaggi da Vergilio e dalla poesia cristiana greca di Gregorio e di Sinesio, Quaderni dell’Istituto di Filologia Greca dell’Università di Palermo n.14, Palermo 1985, p. 20). Per Maria Corti invece la ricerca delle fonti è assimilabile a un’intertestualità svolta con prospettiva “diacronica”, pur facendo attenzione che «l'intertestualità ha tratti distintivi rispetto all'operazione delle fonti. […] Si ha a volte l'impressione che si dica qualcosa di meno chiaro, di meno rigoroso che non cercando semplicemente delle fonti. Ma la letteratura, almeno in quanto fenomeno sociale, è fatta anche di rapporti mobili, a prima vista sfuggenti. […] L’idea di una registrazione precisa dell’avvenimento artistico nella sua verità interna e nelle sue relazioni esterne è decorosamente illusoria», CORTI, Il binomio intertestualità e fonti cit., p. 130. 97 VELLI, op. cit., p. VII. 98 A dispetto delle vecchie convinzioni di Rajna, l’analisi delle forme rientra a pieno diritto negli studi di memoria letteraria. Per esempio, secondo Velli (ivi), la memoria «dichiaratamente attiva» (p. 15) di Petrarca è un processo di «contaminatio, di ambigua pluralità di allusioni» (p. 23), cioè fonde all’interno di un unico verso diversi modelli in maniera originale: «la genesi di questo [caso, cioè verso] […] è letteralmente ambigua : i due aspetti, il metrico-fonico e il semantico (che a una lettura unidimensionale, diciamo pure regolare, risultano perfettamente fusi), si rivelano in realtà partecipi, alla spettroscopia filologica, di due diversi modelli: la Ciris e Claudiano. Il verso rivela cioè un’interna tensione.[…] Lasciando che la sua parola resti sospesa tra due o più aree gravitazionali, il poeta produce il drammatico effetto d’immettere per così dire il lettore dotto (per le plurime sollecitazioni della sua memoria) nel processo vivo della creazione, oltre l'orizzonte del testo ormai bloccato nell'inerzia del factum, l'area del libero, e problematico, gioco inventivo» (p. 24). Considerazioni simili già in Contini

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Il metodo filologico supplisce allora a tale potenziale carenza di teorizzazione, diventa applicazione pratica della teoria letteraria, così come i testi letterari sono cultura attualizzata, modelli (o codici, per usare un termine della semiotica) posti in atto. Viceversa, una prospettiva intertestuale permette di raggiungere preziosi risultati filologici e, più in generale, critici99, come quando Velli rileva che notare la presenza virgiliana nell’incipit dell’Africa svela che questo è stato composto in un solo momento, con «unità di concezione», non in fasi successive, o che la scia di allusioni classiche disseminate dal Boccaccio nel Teseida risponde alla volontà di dare una tinta storicizzante alla narrazione100. Lo strumento intertestuale diventa mezzo critico insostituibile, con un piede nella critica filologico-storica, l’altro in quella poetica, retorica (M.-R. Logan)101.

Se in Curtius la natura, letteraria, dell’oggetto in analisi si rifletteva sullo studio critico col determinarne l’“inconclusibilità”, negli studi di Raimondi, Velli e contemporanei il tratto “non finito” si manifesta in un approccio empirico ai testi: non più opere panoramiche, organicamente unitarie, quasi enciclopediche, ma raccolte di saggi, trascrizioni da lezioni (indicate per date, senza nemmeno un titolo vero e proprio per ogni capitolo!), analisi di «singoli scrittori». Davvero una casistica fenomenologica, che il critico esamina e riordina, sintetizza, in modo tale da guidare il lettore lungo una strada percorribile in maniera ininterrotta perché disseminata in tappe, ma che nasconde una mobilità interna, che dall’origine, la stesura, ancora si riflette sul prodotto finito, la raccolta:

L’ordine in cui i saggi sono disposti non è quello cronologico di composizione […] Almeno in un punto (cfr. i capitoli Sull’elegia di Costanza e L’‘Elegia di costanza’ e l’”ars combinatoria” del Boccaccio”) è rappresentato da un notevole mutamento nel mio modo di vedere e giudicare il problema: ma ho preferito, di proposito, non procedere alla radicale espunzione della prima tappa […] un segno di provvisorietà che francamente non mi dispiace.102

Così suonano le ultime righe della prefazione posta all’inizio del Petrarca e Boccaccio di Velli: cogliamo l’occasione per concludere anche questo scritto, con un segno non tanto di provvisorietà quanto di cominciamento della ricerca che speriamo non dispiaccia ai lettori, dopo averli guidati per tappe davvero ″forzate″ —ben distanti tra loro, ma strategicamente obbligate— lungo i rivoli carsici delle fonti letterarie.

nel 1965, sulla memoria di Dante, che «non è puramente verbale, per eccitazioni provenienti da oggetti affini, ma si organizza in figure ritmiche», parlando della memoria interna di Dante, delle sue autocitazioni (G. CONTINI, Un'interpretazione di Dante [1965], in ID., Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, p. 381); qualche pagina dopo (ivi, p. 385) similmente si legge sul Petrarca: «una rammemorazione ritmico-timbrica della Commedia ha luogo in un’eccezione ben illustre, nel Petrarca». 99 Specie per l’ambito medievale, caratterizzato dalla mouvance dei testi: infatti un saggio, fondamentale, di Riffaterre (L’intertextu inconnu cit.) appare in un numero della rivista “Littérature” appositamente dedicato alle Intertextualités mediévales, dove figurano altri interventi importanti, tra cui ricordiamo quelli di Paul Zumthor (proprio intitolato Intertextualité et mouvance, pp. 8-16), di P. Dembowski (L’intertextualité et critique des textes, pp. 17-29), di Marie-Rose Logan (L’intertextualité au carrefour de la philologie et de la poétique, pp. 47-50). 100 VELLI, op. cit.,p. 150. 101 Cfr. LOGAN, op.cit. 102 Ivi, p. VIII.

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Bibliografia e sitografia103

Letteratura primaria:

- Bibliografia:

CURTIUS, Ernst Robert, European literature and the Latin Middle Ages, translated from the German by Willard R. Trask, Princeton, Princeton University press, Bollingen series XXXVI, 1973 (Bern, 19481)

RAIMONDI, Ezio, I sentieri del lettore (3 voll.), a cura di Andrea Battistini, Bologna, Il Mulino, 1994

ID., Intertestualità e storia letteraria. Da Dante a Montale. Appunti dalle lezioni del corso monografico 1990/91 del professore Ezio Raimondi, Bologna, CUSL, 1991

RAJNA, Pio, Le fonti dell’Orlando furioso. Ristampa della seconda edizione 1900 accresciuta d’inediti, a cura e con presentazione di Francesco Mazzoni, Firenze, Sansoni, 1975 (18761)

VELLI, Giuseppe, Petrarca e Boccaccio. Tradizione, memoria, scrittura, Padova, Antenore, 1979

- Sitografia:

SERRA, Renato, Su la pena dei dissipatori (Inferno, canto XIII, vv.109-129), alla pagina web del sito Wikipedia: <http://it.wikisource.org/wiki/Discussione:Su_la_pena_dei_dissipatori_(Inferno,_canto_XIII,_vv.109-129)>, aggiornata al 17 agosto 2012 (fonte citata: archive.org, che riprende da: ″Giornale Storico della letteratura italiana″, XLIII, Torino, Loescher, pp. 278-98)

Ulteriore letteratura primaria di approfondimento e confronto:

- Bibliografia:

BARCHIESI, Alessandro, Le molte voci di Omero. Intertestualità e trasformazione del modello epico nel decimo dell’Eneide, in “Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici”, 4, pp. 9-58 BARTHES, Roland, The Death of the Author, in ID., Image Music Text. Essays selected and translated by Stephen Heath, London, Fontana press, 1977, pp. 142-48 ID, From Work to Text, in ivi, pp. 155-64

CANELLO, Ugo Angelo, Recensione a ‘Le fonti dell’Orlando furioso’, in “Zeitschrift für Romanische Philologie”, I (1878), pp. 125-130

CONTE, Gian Biagio, Memoria dei poeti e sistema letterario: Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano, con prefazione di Cesare Segre, Palermo, Sellerio, 2012 (19741, eccetto il postscritto, 2012)

CONTINI, Gianfranco, Un'interpretazione di Dante, in ID., Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 369-405

CORTI, Maria, Per una tipologia dell’intertestualità dantesca, in ID., Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale. Percorsi dell’invenzione e altri saggi, Torino, Einaudi, 2003, pp. 83-94 ID., Il binomio intertestualità e fonti: funzioni della storia nel sistema letterario, in A. A. ROSA (a cura di), La scrittura e la storia. Problemi di storiografia letteraria, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 115-130

CROCE, Benedetto, Il plagio e la letteratura in ID., Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari, Laterza, 1940, pp. 67-70

ID., La ricerca delle fonti, in Problemi di estetica cit., pp. 487-502

GASPARY, Alfredo, Storia della letteratura italiana di Adolfo Gaspary: tradotta dal tedesco da Vittorio Rossi, vol. II, Torino, Loescher, 1887-91, pp. 286 (nota a Vol. I, p. 88)

GENETTE, Gerard, Palimpsestes. La littérature au second degré, Paris, éditions du Seuil, 1982 (specie la prima parte, pp. 7-63)

KRISTEVA, Julia, Word, Dialogue and Novel in Desire in Language. A semiotic approach to literature and Art, New York, Columbia University press, 1980 (speech 1966-67, publ. 19691), pp. 64-91

103 Ultima consultazione in data 15 novembre 2013.

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19

PASQUALI, Giorgio, Arte allusiva (19421) in Pagine stravaganti di un filologo, vol II, Firenze, Le lettere, 1994

RIFFATERRE, Michael, L’intertextu inconnu, pp. 4-7; ZUMTHOR, PAUL Intertextualité et mouvance, pp. 8-16; DEMBOWSKI, Peter, L’intertextualité et critique des textes, pp. 17-29; LOGAN, Marie-Rose, L’intertextualité au carrefour de la philologie et de la poétique, pp. 47-50, in “Littérature”, 41 (1981) [Intertextualités mediévales]

ROMIZI, Alfredo, Le fonti latine dell’Orlando furioso, Torino, Paravia, 1896

SEGRE, Cesare, Semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Torino, Einaudi, 1979

ID., Intertestuale/interdiscorsivo. Appunti per una fenomenologia delle fonti, in C.DI GIROLAMO & I. PACCAGNELLA (a cura di), La parola ritrovata. Fonti e analisi letteraria, Palermo, Sellerio, 1982, pp. 15-28

- Sitografia:

ELIOT, Thomas Sterne, Tradition and the Individual Talent, alla pagina web del sito della Faculdade de Letras da Universidade Federal de Minas Gerais, <http://www.letras.ufmg.br/profs/sergioalcides/dados/arquivos/Eliotal.pdf>, (″The Egoist″, vol. VI, no. 4-5, Sept.-Dec. 19191)

LABRIOLA, Antonio, Del materialismo storico: dilucidazione preliminare (1899), alla pagina web del sito www.FILOSOFICO.net (Università San Raffaele di Milano): <http://www.filosofico.net/lab02.htm>

Letteratura secondaria:

- Bibliografia:

BARONI, Giorgio (a cura di), Storia della Critica Letteraria in Italia, Torrteino, Utet, 1997

BRANCA, Vittore, Michele Barbi e la nuova filologia, presentazione a M. BARBI, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori. Da Dante a Manzoni, Firenze, Le Lettere, 1994, pp. 5-19

D’IPPOLITO, Gennaro, Semiologia e Quellenforschung: Origine, sviluppo, applicazioni del concetto di intertestualità in A.A.V.V., Semiotic theory and practice. Proceedings of the Third International Congress of the IASS (Palermo 1984), Vol. 1, Hertzfeld & Melazzo ed., Walter de Gruyter, Berlin, New York, Amsterdam, 1988, pp. 441-454

FINOTTI, Fabio, Il metodo storico: scienza e letteratura, «Musica e storia», XIII/2 (2005), pp. 231-249

PASINI, Gian Franco, Dossier sulla critica delle fonti (1896-1909), Bologna, Patron, 1988

PEDRELLI, Anna Lia, Renato Serra fra Carducci e Croce, Faenza, Fratelli Lega, 1969.

SCHIAFFINI, Alfredo, Pio Rajna e la ricerca delle origini, in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, vol. II, Padova, Liviana, 1970, pp. 41-45

ZACCARIA, Giuseppe & GUGLIELMINETTI, Marziano, La critica letteraria dallo storicismo alla semiologia, Brescia, La scuola, 1980

- Sitografia:

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