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La fortuna dell’Ebe canoviana in scultura come personificazione della grazia giovanile e prototipo delle statue “aeree”, in Canova l’ideale classico tra scultura e pittura

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I caratteri emblematici dell’Ebe nel pantheonfigurativo canovianoNonostante alcuni precursori, come Johan To-bias Sergel, che tra il 1767 e il 1778 a Romaaveva creato una serie di invenzioni mitologicheispirate all’antichità, Canova fu il primo sculto-re a rivisitare sistematicamente l’iconografiadella tradizione classica realizzando un reperto-rio, eccezionalmente vasto, di statue ideali chesi ponevano in confronto programmatico con iprincipali capolavori greco-romani in tutti i ge-neri della scultura – ideale, di ritratto, funeraria–, secondo la più grande varietà di tipi e carat-teri e nelle sue diverse categorie formali, dallagrazia all’eroico. L’antichità poteva allora sem-brare improvvisamente riapparsa nell’opera delprotagonista del moderno “risorgimento dellebelle arti”, o meglio ricreata in questa serie distatue immediatamente ritenute esemplari edunque disponibili a divenire modelli degni diemulazione al pari dei più celebrati prototipiclassici.Pietro Giordani seppe restituire nel celebre Pane-girico ad Antonio Canova l’impressione provatadai contemporanei di fronte all’inesauribile ispi-razione creativa di Canova, “da una provvidenzapietosa di natura collocato sul doppio confinedella memoria e della immaginazione umana; acongiungere due spazi infiniti. Richiamando anoi i passati secoli; e de’ nostri tempi facendo ri-tratto agli avvenire”. Lo scultore, che dunquenella scultura monumentale e nel ritratto sapevaanche tramandare i propri tempi, aveva richiama-to l’intero retaggio poetico dell’antichità. “Entria-mo nell’officina ampissima di questo ingegno; edelle tante sue opere sparse nel mondo immagi-niamo quivi accolti gli esemplari. Quanto popolodi Numi, quanto di Eroi, tutto fatture del Cano-va”, esclamava Giordani che ne passava poi inrassegna le innumerevoli invenzioni mitologiche1.Grazie all’eccellenza di quei modelli e alla loro

lezione presso gli artisti del tempo, Canova ap-pariva ai contemporanei aver condizionato l’in-tero corso dell’arte europea e aver acquisito piùin generale alla scultura un primato che si eratradotto nell’operosità di decine di suoi emuli ein un nuovo favore dei mecenati per quest’arte.Il suo segretario e poi biografo Melchior Missiri-ni avrebbe ad esempio affermato, valutando ilsuo antico ruolo e la sua perdurante influenzadurante i decenni della Restaurazione: “tutti gliscultori della capitale, anzi dell’Europa, furonoallievi suoi, pei sublimi esempi dell’arte sua,che loro propose, e pel mostrare ad essi collestatue come si potea infondere al marmo la na-turalezza, l’idea, il moto, il palpito, la vita. Que’soli esempi, senza teorie, in tutto il mondo re-staurarono l’arte e la fecero salire a quella eccel-lenza in cui oggi si trova”2.La fama universale dei suoi capolavori, favoritadalla loro collocazione nelle più prestigiose sedieuropee, dalla diffusione dei calchi in gesso,promossa dallo stesso Canova che ne inviava adamici, mecenati e alle più importanti accademieeuropee, dalle traduzioni calcografiche e infinedall’esposizione della serie completa dei model-li originali nello studio romano, meta di tutti gliartisti e gli amatori europei, poté tradursi dun-que in una fortuna figurativa che si misura ec-cezionalmente ampia e prolungata, fino a dateavanzate dell’Ottocento; come si può verificareconsiderandone qualche esempio, senza ambi-zioni sistematiche, per le statue di Amorino(Wolff, Amore con le spoglie di Ercole; Gibson,Amore che tormenta l’anima; Finelli, Amore conla farfalla), Amore e Psiche stanti (i gruppi omo-nimi di Thorvaldsen, Finelli, Benzoni; le statueisolate di Psiche di Wolff, Wolf von Hoyer, Bis-sen, Theed, Bienaimé), Venere e Adone e Martee Venere (Acquisti, Venere e Marte; Kissling, Ve-nere, Marte e Amore; Tadolini, Giasone e Me-dea; De Fabris, Ettore e Andromaca; Gibson,

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La fortuna dell’Ebe canoviana in scultura comepersonificazione della grazia giovanilee prototipo delle statue “aeree”

Stefano Grandesso

1. Antonio Canova,Ebe, particolare,1816-1817, marmo.Forlì, Pinacoteca civica

Marte e Cupido), i Pugilatori (Göthe, Meleagro;Kessels, Discobolo; Alvarez, Nestore e Antiloco;Simart, Giocatore di ruzzica; Foyater, Spartaco;Bozzoni, Alcibiade), le Grazie (i gruppi di Thor-valdsen, Pradier, Gibson, Finelli), Maddalena(Tenerani, Psiche abbandonata; Bartolini, Fidu-cia in Dio), le Danzatrici (soggetto ripreso daGaetano Monti, Thorvaldsen, Tadolini, Finelli,Gott, Chelli, Gnaccarini, Benzoni), per non par-lare delle stele funerarie.Questa serie impressionante dimostra le inesau-ribili risorse del repertorio iconografico e forma-le classicista, continuamente rivisitate e riattua-lizzate nell’Ottocento a partire dai precedenticanoviani, presenti nell’immaginario visivo euro-peo. Indagini più rigorose su casi campione, co-me quello tentato da chi scrive per la PaolinaBorghese come Venere vincitrice (Roma, Galle-ria Borghese)3, sono in grado di illustrare, in rap-porto con il coevo dibattito artistico, le modalitàdi questa fortuna figurativa, tra emulazioni e va-riazioni, e di verificare in che termini sopravvi-vesse l’eredità figurativa del grande scultore an-che quando la sua autorità fu messa in discus-sione, prima dal classicismo thorvaldseniano ein seguito dal naturalismo purista e romantico,confermando comunque il lungo protrarsi dellastagione della scultura ideale4.Anche la statua di Ebe (cat. IV.18-19) fu un for-tunato capostipite di una lunga serie di scultu-re. I commentatori contemporanei avevano im-mediatamente descritto l’originalità e l’indipen-denza dai modelli antichi di questa statua, sen-za precedenti iconografici nemmeno nella scul-tura moderna e piuttosto legata alla diffusionedel soggetto nella pittura del tardo Settecento.Giuseppe Antonio Guattani, nel 1807, vi legge-va la personificazione della bellezza giovanile,nella sua veste divina e ideale:

Tutti vanta i pregi dell’amabilità la nostra Ebe, a co-minciare dalla sua gentil proporzione, quella cioè diuna ragazza, che non oltrepassa i tre lustri. Il suo no-me di fatto significa in Greco Giovinezza: i Latini lachiamarono Juventa, e fu sempre Nume tutelare del-la Gioventù. […] Il suo volto di un bello ideale e ce-leste, come fatto l’avrebbe Greco artefice, mentre pa-lesa tutto il fresco e brillante, che suole accompagna-re quell’epoca prima della vita, non lascia altresì dimostrare un certo contegno, indispensabile in unaDea di nascita, e generata niente meno, che da Gio-ve e Giunone.

La straordinaria invenzione prevedeva il contrastotra il nudo e il raffinato panneggio, che contribui-sce all’artificio del moto e del volo simulati:

Nuda l’ha rappresentata dal mezzo in su l’avvedutoartefice, con che meglio si svela quella seducentebellezza, per cui non solo l’impiego ottenne di mini-stra degli Dei immortali, ma fu da suo Padre medesi-mo, come un regalo, data in isposa ad Ercole deifica-to. Dal mezzo in giù resta decentemente coperta dagentil veste allacciata alla vita. Ma che spinta violen-temente dal vento contro le cosce e le gambe, le cir-coscrive mirabilmente, facendo altresì nascere innan-zi delle pieghe eleganti, e all’indietro degli svolazzi[…]. Magistrale veramente è così bel momento dellanostra Ebe, per cui la nudi-peda librandosi dalle nu-vole in aria, sembra non solo leggera come l’aere stes-so, ma ora per i contorni del nudo, ora per il giuocodelle vesti, così eleganti e variate linee combina, cheda qualunque parte si osservi, un effetto, o per me-glio dire un punto di vista produce sempre nuovo ebrillante.

Quest’opera pienamente rappresentativa dello“stile bello”, nell’essere adorna di “grazia”, consi-derando anche la rarità delle rappresentazioni an-tiche del soggetto ricordate dalle fonti letterarie (lastatua crisoelefantina di Naucide d’Argo a Corinto)o sopravvissute, “che anzi quelle poche che ci re-stano de’ bassirilievi, sono appunto per mancanzadi simboli così incerte che appena dal contesto so-no riconoscibili”, poteva dunque andare a costitui-re un nuovo tipo per il simulacro della dea5.Anche Giordani ne ammirava l’autonomia. Lascultura classica aveva saputo rappresentare i ca-noni dei diversi caratteri, nelle forme convenientialla natura divina o a quella umana idealizzata:

avvenenza robustissima in Ercole, destrissima in Mer-curio, nobilissima in Apollo, tenerissima in Venere,gioiosa in Bacco, balda in Diana, elegante nelle Muse,maestosa in Giove, contegnosa in Giunone, severa inPallade, ruvida in Pluto e Nettuno. Anche di formosi-tà inferiore alla divina, ma assai pià nobile che il soli-to della natura mortale, ammiriamo la famiglia sacer-dotale di Laocoonte, e la regale di Niobe; alle quali ot-tiene riverenza la dignità del dolore e delle sventure.

Tuttavia, notava Giordani, il carattere della bel-lezza femminile giovanile non aveva trovato unasua forma nell’arte classica:

Ma una speziosità sopra le mortali perfettissima, sen-za toccare l’altezza del divino o dell’eroico; la qualesia delicatissima e semplicissima; stia sul confinedifficilissimo ad effigiare della fanciullezza e dellagioventù; appaia non conoscere sé stessa, e nientemeno rapisca ad amoroso stupore ogni uomo che laguarda, quale ce la fanno i poeti immaginare in Ebee Psiche; non l’abbiamo dai Greci posta in essere.

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Ciò avveniva invece nelle statue dedicate da Ca-nova a quelle due figure femminili, che gli appa-rivano colmare una lacuna, dell’iconografia anti-ca, per di più assecondando l’attitudine e la pre-dilezione per i soggetti graziosi dell’autore:

ond’è che ne’ soggetti delicati e graziosi, non vogliodir meglio, ma forse più volentieri egli si adoperi. Enon bastandogli aver fatto bel paragone a’ maestriAntichi in quelle bellezze delle quali ci diedero esem-pio; ha voluto ancora provarsi in queste delicatezze diche ci lasciarono desiderio. Come se dopo averli emu-lati gli piacesse anche indovinarli.6

Secondo queste testimonianze, dunque, nelnuovo pantheon creato da Canova gli scultori po-tevano guardare alla statua di Ebe per la novitàdel soggetto e come un canone della bellezzagiovanile e della grazia. Dell’invenzione poteva-no apprezzare il contrasto tra il nudo levigato el’elaboratissimo panneggio, di gusto neoatticoma risolto in chiave originalissima; oppure trar-ne l’ispirazione per nuove formule sul “generedelle aeree”, al quale spettava l’Ebe secondo leMemorie Enciclopediche Romane, che definiva-no efficacemente questa categoria quando unareplica al naturale in bronzo – non a caso postain pendant con la copia della più celebre dellestatue che potevano appartenervi, il Mercurio diGiambologna che doveva aver ispirato lo stessoCanova – venne realizzata dallo scultore e fondi-tore Giuseppe Boschi. Queste due nuove copie(altre erano già state consegnate al principe De-midov) rientravano “nel genere delle aeree, ca-pitalissime”, “figlie di ammirabili Archetipi; inquel genere d’impiegati celesti, le più belle, ed’accordo, che si conoscano, fatte da mano Ita-liana, dopo il risorgimento dell’Arte.” Il parago-ne, restituito qui in mostra attraverso gli origina-li, era impostato sull’analogia: “Troppo bello è ilvedere come combina in questi due oggetti lagrazia delle mosse, l’andar de’ panneggi, l’ugua-glianza di officio, la leggerezza, la prontezza, ilvibrato, l’aereo”7.Se il capitolo delle copie ottocentesche dall’Eberisulta ancora in gran parte da indagare – ma l’i-dentificazione di quelle di Cincinnato Baruzzi eAdamo Tadolini (cfr. cat. IV.2, VIII.5) documen-tano l’esecuzione di versioni molto qualificate,destinate a una committenza di elevato livellosociale e opera di artisti che si proponevano diproseguire e aggiornare la lezione del maestroveneto –, le derivazioni in statue originali sullostesso o altro soggetto appaiono, come accenna-to, essere avvenute secondo diverse modalità:dalla stretta derivazione all’emulazione in chia-

ve alternativa, contemplando anche il frequenta-to stadio intermedio della variazione sul tema,secondo le stesse modalità dell’imitazione dal-l’antico che prevedevano l’introduzione di stu-diate varianti. Secondo i contemporanei questaprassi era più difficile dell’originalità assoluta,come avvertiva Cicognara a proposito del gruppodi Canova di Amore e Psiche stanti:

Le stesse espressioni, le stesse età, gli stessi soggettiforzano l’arte a non dipartirsi da alcune invenzionipressoché convenute; ma l’occhio sagace del conosci-tore trova però in quelle aperto un adito a una folla divarietà, e di modificazioni che svelano la perizia più fi-na dell’arte; differenze sulle quali l’occhio del volgopassa materialmente e con troppa superficialità.8

In questa chiave interpretativa risulta costante,presso i numerosi scultori ottocenteschi legatialla tradizione classicista di scuola romana, laricerca di una propria originalità e di una pro-grammatica distinzione rispetto ai modelli an-che più autorevoli.Il primo tuttavia a trattare in scultura il soggettodi Ebe9 non era stato Canova, ma Flaxman, l’ar-tista che nell’ultimo decennio del Settecento erasembrato l’unico in grado di insidiarne il prima-to e che durante il soggiorno italiano, tra il 1787e il 1794, raggiunse una vasta fama europeanon solo per le illustrazioni dei poemi antichi edanteschi incise da Tommaso Piroli, ma ancheper tre ambiziosi gruppi eseguiti in gara con lastatuaria classica e per alcuni aspetti in rappor-to con Canova.L’Aurora che visita Cefalo sul monte Ida, scolpi-to tra 1789 e 1790 per Thomas Hope (Port Sun-light, Lady Lever Art Gallery), aveva trattato il te-ma della congiunzione tra due amanti come nelcoevo gruppo canoviano di Venere e Adone (Gi-nevra, Musée d’Art et d’Histoire). La figura fem-minile, giunta in volo e dal panneggio mosso dalvento, sul modello di una Nike classica che Flax-man aveva lungamente studiato in un taccuinodi disegni, poteva costituire un precedente perl’Ebe di Canova, come lo fu anche il gruppo suc-cessivo della Furia di Atamante (1790-1794,Ickworth House, Suffolk), variazione sulle figureantiche di Laocoonte e delle Niobidi, per Ercolee Lica (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moder-na)10. I rapporti tra i due artisti erano stretti: lacommissione del marmo era stata suggerita aLord Bristol da Canova, nello studio del qualeprobabilmente Flaxman realizzò il modello increta. Il terzo gruppo mitologico eseguito in Ita-lia – la serie si sarebbe quasi esaurita con il suoritorno in patria, dove ebbe commissioni soprat-

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tutto di ritratti e opere funerarie – fu quello diErcole ed Ebe, concepito per la parte maschilecome un completamento del celebre Torso delBelvedere, secondo l’ipotesi dell’amico archeo-logo d’Hancarville, e contemporaneamente co-me una sintesi dei generi delle sculture precen-denti, cioè quello “bello” o grazioso nella figuradi Ebe e quello eroico in Ercole. Tuttavia l’ope-ra, modellata nel 1792, non fu mai tradotta inmarmo e restò allo stadio di gesso (Londra, Uni-versity College), probabilmente perché conside-rata insoddisfacente dallo stesso artefice11 e per-ciò fu scarsamente conosciuta.Ben altra fama ebbe invece l’Ebe canoviana, cheattraverso le vicissitudini collezionistiche dellequattro redazioni in marmo, spesso appartenutea sovrani, fu conosciuta a Venezia, in Prussia, inFrancia, dove fu esposta nel 1808 al Salon, inRussia, in Inghilterra, presentata anche alla Ro-yal Academy nel 1816, e a Forlì. Modelli in ges-so della statua, che ebbe anche una notevoleeco critica e fu più volte tradotta in incisione12,furono inviati dallo stesso Canova a Bossi a Mi-lano (Galleria d’arte moderna) e al conte Ales-sandro Papafava a Padova13, e più tardi dal fra-tellastro abate Sartori ad Angelo Maria Ricci aRieti (Rieti, Museo Civico)14, ma molti altri nefurono ricavati per tutto l’Ottocento.

A confronto con l’Ebe di Thorvaldsen,modello di grazia austera e contemplativaNon vi è dubbio che Thorvaldsen, il nuovo emu-lo e rivale di Canova, si misurasse con la sua Ebeper la propria versione del soggetto. Com’è noto,fin dall’esordio con il Giasone colossale nel1803, opera che ebbe immediata fama in Euro-pa, Thorvaldsen aveva perseguito lo scopo di farrivivere nella scultura moderna l’idea più puradell’arte classica, concepita come essenzialitàdi disegno, maestosità e grandiosità nel genereeroico, nobiltà e compostezza in quello grazioso.In seguito, rielaborando anche a distanza ditempo i soggetti già trattati da Canova, sembròsottoporli a una revisione più aderente all’anticoe che escludesse aspetti come il movimento o losviluppo tridimensionale nello spazio, che ai de-trattori di Canova sembrarono un retaggio deldetestato barocco.Il critico tedesco Carl Ludwig Fernow, che pro-prio sull’implicito termine di paragone costituitodalle opere fino ad allora compiute da Thorvald-sen argomentò nel 1806 il suo serrato e talvoltasevero esame dell’opera di Canova, apprezzò l’E-be come rappresentazione della bellezza giova-nile: “è raffigurata in quell’età in cui germogliail fiore della leggiadria virginale: dal suo corpo

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esile, dalle dolci colline dei seni acerbi, dalleguance piene e rotonde, dal viso serenamenteinnocente emana il fascino fresco e fiorente del-la gioventù”. Salvo poi criticarla per il panneg-gio, che “non è lavorato secondo il buon gustoné davanti, dove accarezza il corpo, né dietro,dove è agitato dal vento”, formando “dei veri epropri grovigli bizzarri di linee”, che gli appari-vano lontani dallo stile degli antichi. Anche il so-stegno, la “nuvola deforme in marmo”, potevarammentare l’illusionismo della plastica baroccae andava sostituito con una forma solida15.Le critiche riservate al sostegno delle prime dueversioni di Ebe indussero Canova a sostituirlonel nuovo modello del 1808 con il convenziona-le tronco d’albero all’antica. Lo stesso Cicogna-ra doveva rievocare la questione nella Storia del-la Scultura. Secondo lui la terza versione, perLord Cawdor, si era rivelata la più perfetta peraver rinunciato a “trattare collo scarpello i sot-toposti vapori”, poiché “nell’arte della sculturanon vuolsi che realtà; e soltanto al pittore è con-cesso di fondare il suo artificio sull’illusione”16.Anche per lui Canova sembrava aver oltrepassa-to in questo caso i limiti stabiliti dal decoroclassico.Thorvaldsen concepiva decisamente entro queiconfini la propria versione del soggetto. Nel1806, l’anno della pubblicazione di Fernow,modellava Ebe (fig. 2) come pendant della pri-ma versione del Ganimede del 1804, soggettoquest’ultimo che Canova non aveva trattato17. Lafigura era dunque come quella statica, dall’ince-dere in avanti appena accennato, e sobriamentepanneggiata. La linea chiusa del contorno era al-ternativa all’apertura generata nella versione ca-noviana dalla rapidità del moto in avanti e dalbraccio sollevato nell’atto di mescere. L’attitudi-ne della figura, la disposizione delle braccia el’andamento verticale del panneggio derivavanodall’antico, essendo analoghi in un rilievo votivoattico conservato dalla fine del Settecento pres-so il Museo Pio Clementino (ora al Museo Grego-riano Profano) e ritenuto la rappresentazione diAsclepio in trono davanti a Igea oppure di Zeuscon Ercole ed Ebe18. Infine la sua privilegiatafrontalità volutamente rigettava la molteplicitàdei possibili punti di vista elogiata per l’altra daGuattani.La composizione sottolineava lo stato d’animopensoso e riflessivo della giovinetta, concentra-ta sul grave ufficio di coppiera degli dei nel qua-le era destinata però a fallire, rovesciando il pre-zioso nettare e consentendo così a Giove di so-stituirla con Ganimede. Canova aveva atteggiatola propria a un superiore e consapevole distacco,

al quale si può adattare la chiarificatrice analisidi Guattani del contegno della stessa dea dipin-ta da Camuccini nel 1807:

è da osservarsi, come il saggio Artista in vece di unaria estremamente piacevole, nemica di verecondia,quale ha Venere, o ad una seguace sua potea compe-tere, ha impresso alla sua Ebe un volto fra vago e di-gnitoso, così che in mezzo della sua bellezza serba ilcarattere maestoso e severo di Giunone sua Madre, ri-chiamandosi, mediante ciò alla memoria dello spet-tatore la genealogia della Dea, e la convenienza delsuo carattere.19

Thorvaldsen invece risolveva nell’austerità e nel-la connotazione psicologica intimista la sua rap-presentazione della grazia giovanile femminile,rievocando in qualche modo l’attitudine dellaPsiche stante di Canova, non a caso l’opera piùapprezzata da Fernow, ma aprendo anche all’e-spressione sentimentale poi approfondita da ar-tisti della sua cerchia, come la Fanciulla che le-ga il sandalo di Ridolfo Schadow (Monaco, NeuePinakothek) o la Psiche abbandonata di PietroTenerani (Firenze, Galleria d’arte moderna).Proprio la testimonianza di Guattani consente diprecisare la data della prima realizzazione inmarmo dell’Ebe, fino ad ora assegnata agli annitra il 1819 e il 1823. Nel 1808 infatti egli latrovava già condotta, insieme a un’altra di Bac-co, “in candido Carrarino”, ricavandone l’opinio-ne che Thorvaldsen sapeva affrontare con suc-cesso i due generi sublime e grazioso: “dall’eroi-ca e sublime maniera del Giasone, e del Marte,sa felicemente discendere a quello stile oppostoch’esige nudi delicati, molli espressioni, e cosìnelle carni che nel piegare, morbidezza e gra-zia”20. Il dato del formato “alquanto minore delvero” fa ipotizzare che si potesse trattare di unaversione diversa rispetto a quella di Copenaghen(Museo Thorvaldsen, fig. 2), scolpita più tardi.In un secondo modello eseguito nel 1816 conun peplo più castigato (Copenaghen, MuseoThorvaldsen, fig. 3) il danese corresse quelloche all’amico archeologo George Zoega potè ap-parire come un errore filologico, cioè l’indebitacommistione tra il lungo peplo, che abitualmen-te in antico era fissato a entrambe le spalle, e ilpiù corto chitone, che poteva anche lasciare sco-perta una parte del seno come prima21.Thorvaldsen rappresentò anche un altro momen-to del mito, nel rilievo di Ercole che riceve daEbe la bevanda dell’immortalità eseguito tra il1807 e il 1810. Originariamente era stato pen-sato per una serie di quattro coppie mitologicheallusive alle virtù del sovrano e ordinate per il

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2. Bertel Thorvaldsen,Ebe, 1806-1823,marmo. Copenaghen,Thorvaldsen Museum

3. Bertel Thorvaldsen,Ebe, 1816-1822,marmo. Copenaghen,Thorvaldsden Museum

Palazzo Reale di Christiansborg a Copenaghen,come allegoria della forza; fu poi eseguito in piùredazioni (Milano, Pinacoteca Ambrosiana, fig.4)22. Alle le fonti iconografiche antiche, un sar-cofago di villa Albani con l’Apoteosi di Ercole euna gemma della collezione Poniatowski, di cuiera pubblicata una parafrasi eseguita da Giro-metti nel 181623, Thorvaldsen aggiungeva inquesto caso un più puntuale riferimento all’in-venzione canoviana, con la figura di Ebe in mo-vimento e ripetendo il gesto canonico del brac-cio levato sopra il capo, poi introdotto anche nel-la seconda versione del Ganimede del 1816(cat. IV.20).Questa variante del soggetto, con Ebe che divi-nizza Ercole, fu rappresentata in altorilievo an-che dallo scultore siciliano, ma toscano di ado-zione, Salvatore Bongiovanni per la Galleria del-le Statue approntata da Nottolini nel PalazzoPubblico di Lucca a partire dal 1820, dove, al-ternate alle copie dall’antico, venivano sistema-te una copia dalla Venere Italica di Canova e unadall’Ebe di Thorvaldsen realizzate, in dimensio-ni maggiori dei prototipi, da atelier carraresi24.Appare più chiaramente ispirato al rilievo diThorvaldsen il gruppo di Ercole ed Ebe del dane-se Jens Adolph Jerichau, che era stato accoltonello studio romano del connazionale nel 1838.L’opera fu modellata a tutto tondo nel 1845 conla variante delle figure accostate anziché affron-tate (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek)25.Di Thorvaldsen fu però soprattutto la statua iso-lata di Ebe, come l’omologa canoviana riprodot-ta per tutto l’Ottocento e oltre in innumerevolicopie di vario formato e materiale, a godere diprolungata influenza. Si trova infatti evocata perla solida ponderazione, l’attitudine serena, l’e-spressione riflessiva, e talvolta i dettagli del pan-

neggio in una serie di figure femminili realizzatea Roma da artisti della sua cerchia o più tardi se-guaci, come la Flora di Hermann Wilhelm Bissen(1828-1831, Copenaghen, Ny Carlsberg Glipto-thek)26, l’omonima di John Gibson (1830, Liver-pool, Walker Art Gallery), la sua Pandora (1856-1860, Port Sunlight, Lady Lever Art Gallery), laRebecca (1841, Berna, Kunstmuseum), l’Ebecon amore di Heinrich Max Himhof, del 1846circa, nota da una fotografia d’epoca27. Altre sta-tue sono ancora più strette derivazioni, come l’E-be di Johan Nyklas Byström (1826, Gripsholm,parco)28, variata però con il braccio alzato a imi-tazione del Canova; quella simile di Bengt Er-land Fogelberg (1830, Stoccolma, Nationalmu-seum)29, la Flora dell’allievo bresciano di Thor-valdsen Giovanni Franceschetti, che ne ripren-deva integralmente il motivo, con il seno scoper-to, sostituendone gli attributi (1845, Brescia,Musei Civici)30, il gruppo di Ebe e Ganimede del-l’americano Thomas Crawford (1842-1851, Bo-ston, Museum of Fine Arts), variante di entram-be le statue dei coppieri degli dei31, l’Ebe di Gib-son (1860, Londra, Burligton House, fig. 10),contemplativa come l’Antigone di William HenryRinehart (1867-1870, New York, MetropolitanMuseum of Art), rappresentata in atto di versareuna libagione sul cadavere del fratello Polinice,dove il solido andamento verticale del panneggiodi Ebe è combinato al motivo del braccio alzatodel secondo modello del Ganimede32.

La lunga fortuna del generedelle statue ‘aeree’Diversamente dall’esempio thorvaldseniano, al-tri autori avevano imitato da Canova il motivo delmovimento, della statua in volo o si erano di-chiaratamente messi in gara con lui sul temadella statua ‘aerea’, come era avvenuto con l’o-pera più ambiziosa dello scultore belga di forma-zione francese Henry-Joseph Ruxtiel, il gruppodi Zefiro che rapisce Psiche (Parigi, Louvre),ideato a Roma nel 1810 durante il suo prix deRome e fatto tradurre in marmo a Carrara primadi essere presentato al Salon del 1813. L’opera,ispirata probabilmente anche da fonti pittorichefrancesi33, indubbiamente per l’audacia di un’in-venzione che prevede il calcolo di una comples-sa ponderazione per sostenere l’impetuoso slan-cio di Zefiro in avanti, risaliva a quello che erastato il modello anche di Canova, cioè il Mercu-rio di Giambologna (cat. IV.17).Tadolini fu l’artista che più di ogni altro collabo-rava alla realizzazione delle opere di Canova du-rante l’ultima fase della sua attività. Cooptatonello studio dopo l’arrivo a Roma, nel 1814, co-

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4. Bertel Thorvaldsen,Ercole ed Ebe,1807-1810.Milano, PinacotecaAmbrosiana

me pensionato dell’accademia bolognese, Tado-lini assimilava lo stile del maestro e la formuladella sua grazia che interpretò in opere origina-li, candidandosi a suo successore e continuato-re. Egli si dedicò anche all’esecuzione di copieda Canova, lui vivente e anche negli anni suc-cessivi fino alla metà del secolo. Oltre alle tredall’Ebe (cat. IV.2), di cui rimane ancora un ges-so nello studio Tadolini34, ne eseguì numerosedel gruppo di Amore e Psiche giacenti dal gessooriginale regalatogli da Canova (New York, Me-tropolitan Museum of Art), che non era più in-tenzionato a ricavarne nuovi esemplari in mar-mo, mentre all’allievo ciò fu concesso. La com-mittenza internazionale sempre di grande presti-gio che le richiese, da Metternich a Sommariva,testimoniava ancora una volta, fino a date avan-zate, la fortuna di Canova.L’invenzione di Ebe era mutuata da Tadolini indue statue, ideate per gli apparati effimeri alle-stiti a Roma in piazza Venezia nel 1819 per ce-lebrare la visita dell’imperatore d’Austria. L’arti-sta, molto abile in questi lavori e perciò notato asuo tempo da Canova, realizzò sotto la direzionedell’architetto Raffaello Stern due statue da re-plicare ciascuna quaranta volte e destinate asorreggere dei lumi, in modo da poter creare conla loro disposizione seriale una sorta di galleriain piazza Venezia35. Di entrambe le sculture,molto simili, sopravvivono, mutili, i modelli ingesso (Roma, Studio Tadolini). La Flora (fig. 5)portava alla testa una ghirlanda, mentre la Giar-diniera col braccio in avanti offriva un canestrodi fiori. Come l’Ebe di Canova sono in aereo mo-vimento, con un piede sollevato e l’altro che ap-pena tocca il suolo. Il leggero peplo, allacciatoalla spalla sinistra, è mosso dal vento contrario,in modo da aderire sul corpo di cui lascia intra-vedere le graziose forme giovanili, disegnandoinvece all’indietro eleganti volute.Canova non aveva rappresentato Ganimede; l’al-lievo invece ne diede due versioni, una giacentee una con il giovane rapito in volo dall’aquila diGiove (San Pietroburgo, Ermitage)36, dove sem-brava ribaltare la prassi di Thorvaldsen nei con-fronti delle invenzioni canoviane, tentando luiquesta volta di variare le statue del danese se-condo formule di matrice canoviana nell’espres-sione della grazia maschile e della comunicazio-ne sentimentale. In particolare lo straordinariogruppo con la figura in volo secondo lo spuntoiconografico del celebre prototipo antico del Ga-nimede rapito dall’aquila (Venezia, Palazzo Gri-mani) andava a costituire un ideale pendant, co-me figura ‘aerea’, dell’Ebe di Canova, sovverten-do la stasi delle opere del rivale.

Dalle Memorie autobiografiche e dai modelliconservati nella sua Gipsoteca non risulta inve-ce che Tadolini realizzasse una statua originalesul soggetto di Ebe. Un marmo con la figurastante accanto all’aquila e firmato “Adamo Ta-dolini 1838” si trovava pubblicato nel 2003 sulsito on-line di una galleria antiquaria americana(New York, Antique Room), ma sulla base unica-mente di quella riproduzione fotografica nonsembra possibile per ora confermarne o menol’autografia.Lo trattò invece in una straordinaria composizio-ne Pompeo Marchesi. L’artista, che aveva cono-sciuto Canova giungendo a Roma nel 1804, do-veva conservarne il culto anche dopo il ritorno inpatria, collocando nel proprio celebre e sceno-grafico studio milanese, colmo di modelli e diopere di pittura, il calco in gesso della sua Mad-dalena accanto alle forme dell’Apollo del Belve-dere e del Cristo di Michelangelo37, come altret-tanti capisaldi di quelle che allora erano ritenu-te le tre principali epoche della scultura, antica,

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5. Adamo Tadolini, Flora,1819, gesso. Roma,Atelier Canova-Tadolini

rinascimentale e del suo ‘risorgimento’ moder-no. Fu inoltre proprietario del citato modello ori-ginale dell’Ebe che Canova aveva inviato nel1805 all’amico Bossi. Marchesi dotò la propriaversione del soggetto – conosciuta attraverso undisegno del Civico Gabinetto dei Disegni di Mi-lano (fig. 7), che la ritrae in due vedute lateralie in quella frontale, l’incisione ad acquatinta deiFratelli Bramati con la Veduta prospettica delprivatissimo Studio di Pompeo Marchesi e unafotografia moderna della statua, di cui si ignoraperò la collocazione, citata da Amerigo Sassi38 –di uno spiccato carattere aereo e la presentò al-l’esposizione di Brera del 1833. La figura, in at-to di planare leggiadramente, con i panni so-spinti all’indietro secondo un architettato giro

che dal braccio giunge a terra, accentua laproiezione in avanti grazie a una diversa ponde-razione rispetto a Canova e poté apparire a De-fendente Scacchi, con una forzatura, piuttostouna moderna Danzatrice, titolo che la statuaconservò anche nella collezione del banchieremilanese Ambrogio Uboldo39. Anche la sua scul-tura è sostenuta dalla nuvola, e dotata di quegliinserti metallici in bronzo dorato che avevanosuscitato delle perplessità quando la statua diCanova esposta a Parigi nel 1808, venendo poidifesi da Cicognara e da Quatremère de Quincyche avevano invocato l’autorità degli antichi sul-la possibilità di usare contemporaneamente ma-teriali diversi nella statuaria.Anche Finelli aveva eseguito una statua di Ebeche versa il nettare nella coppa, ispirata dall’in-venzione canoviana. L’opera era stata commis-sionata dal banchiere inglese Alexander Baring,poi Lord Ashburton, che durante il viaggio in Ita-lia del 1822 aveva acquistato il San Giovannino,l’erma di Beatrice e una testa di Musa da Cano-va, l’Ebe e il Mercurio di Thorvaldsen, la Psicheabbandonata e più tardi il Fauno di Tenerani. Ri-sulta tuttora dispersa ma è documentata da undisegno, appartenente a un taccuino che racco-glie schizzi di sue statue inviati a Carrara perl’acquisto dei marmi a misura (Carrara, collezio-ne privata, fig. 6)40. Il foglio ne documenta lacomposizione, con l’ampio panneggio annodatoin vita e sospinto all’indietro dal vento, il bustonudo, il braccio levato e la testa inclinata da unlato. Della seconda invenzione realizzata forse inpiù esemplari, uno commissionato dall’ingleseMr. Holltz nel 1834, è nota invece una redazio-ne in marmo appartenuta alla raccolta Camucci-ni (cat. IV.23)41. L’opera con Ebe “quando pog-

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6. Carlo Finelli, Ebe,1822 circa, matitasu carta. Carrara,collezione privata

7. Pompeo Marchesi,Ebe, 1833 circa, pennae acquerello su carta.Milano, Civico Gabinettodei Disegni

8. Antonio Canova,Ebe, particolare,1816-1817, marmo.Forlì, Pinacoteca civica

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giasi alla pelle del leone superbo trofeo di Erco-le”42, rivelava nello stile e nei dettagli figurativiquella piena autonomia dai modelli dei protago-nisti della scuola romana, Canova e Thorvald-sen, che Finelli aveva perseguito in opere emble-matiche come le Ore danzanti (cat. VI.23): unasua tipica morfologia per il volto, connotato sen-timentalmente grazie all’attitudine reclinatadella testa, la tipologia ideale dell’anatomia ar-ricchita però da sottolineature naturalistiche,l’originalità di elementi come l’elaborata accon-ciatura, qui legata alla ritrattistica romana, e ilpanneggio impreziosito dal dettaglio della mano,che lo trattiene al fianco.La sua Ebe era dunque quasi contemporanea al-la Flora di Tenerani, anch’essa qui esposta (cat.VI.8)43. Il maestro carrarese, che era stato ilprincipale collaboratore di Thorvaldsen fino allametà del terzo decennio, in una serie iniziale diopere mitologiche aveva saputo interpretare lemorfologie e i tipi derivati dalla scultura delmaestro in opere originali, che rispetto a quelliprivilegiavano l’analisi psicologica e sentimenta-le come nella Psiche abbandonata o nel gruppodi Venere e Amore, e in seguito indagare sul ve-ro una nuova visione naturalistica del nudo chesuperava le convenzioni del ‘bello ideale’ neo-classico. In alcuni casi le sue invenzioni aveva-no contemplato il tema del confronto program-matico con l’opera canoviana, come era avvenu-

to emblematicamente con la Psiche svenuta,originariamente destinata da Sommariva a pen-dant della Maddalena di Canova, legata al mo-dello dallo spunto della posa giacente e dal paririlievo dato all’intensità dell’espressione, ma ri-solta attraverso l’adozione di una nuova formulanell’imitazione del bello scelto dalla natura, di-stante sia da Canova che da Thorvaldsen e piut-tosto paragonabile, soprattutto con il Fauno chesuona la tibia, al ‘bello naturale’ bartoliniano. Lesuggestioni morali e sentimentali della Psicheabbandonata, insieme all’abilità di Tenerani nel-la rifinitura del marmo, avevano convinto Gior-dani a indicare nel giovane carrarese il vero ere-de di Canova, in un celebre scritto pubblicatonel 1826 sull’“Antologia” fiorentina che contri-buiva al dibattito allora in atto sul significato ar-tistico dell’eredità canoviana, soprattutto nelconfronto con l’opera di Thorvaldsen, ma anchecivile in chiave nazionale italiana. Durante glianni decisivi per la sua adesione al Purismo, dicui divenne il caposcuola in scultura – attraver-so l’elezione della semplicità delle forme e del-l’ispirazione religiosa dei cosiddetti ‘primitivi’,all’interno di una raffinata perfezione accademi-ca –, Tenerani realizzava il modello della Flora:una delle sue ultime invenzioni nel campo dellascultura mitologica che progressivamente stavaabbandonando. La statua, modellata entro il1835, si poneva nuovamente in dialogo con l’o-pera di Canova: il paragone con l’Ebe vertevasulla rappresentazione della categoria della gra-zia indagata nella figura giovanile femminile, sulmotivo del moto in avanti, sull’identica partizio-ne tra nudo e panneggio, che consente un inte-ressante contrasto cromatico tra le ampie super-fici del busto e quelle fittamente chiaroscuratedella veste, infine sulla piacevolezza di questaserena e leggiadra rappresentazione che si tra-dusse anche in questo caso in fortuna collezio-nistica (Tenerani infatti ne eseguì cinque versio-ni in marmo). Il disegno del panneggio però, co-me nel caso della Danzatrice di Thorvaldsen, erapiù rigorosamente legato ai modelli classici44, ela composizione più frontale permetteva minoriproiezioni tridimensionali alla statua. Proprio laveduta di fronte evidenzia il disegno generaledella figura a piramide, dettata dall’ampio svi-luppo inferiore del panneggio, una qualità moltoammirata nel 1841 da Nikolaj Gogol’ che “par-lava con entusiasmo del contorno mirabile cheessa offre da tutti i punti di vista, e soprattuttoda dietro. Il segreto della bellezza della linea –aggiungeva – ora si è perduto in Francia, Inghil-terra e Germania e si conserva solo in Italia”45.Aderente a uno spirito simile di rigore classicista

9. John Gibson, Aurora,1842-1846, marmo.Cardiff, NationalMuseum

10. John Gibson, Ebe,1860, marmo. Londra,Burligton House

rispetto al geniale e più autonomo capolavorocanoviano e allo stesso tempo strettamente di-pendente da quel prototipo è anche l’Aurora oEos dell’inglese romanizzato Gibson (Cardiff,National Museum of Wales)46. Proprio Canovaaveva auitato il giovane durante i primi anni ro-mani, accogliendolo nello studio dove gli permi-se di copiare il Creugante (cfr. cat. I.4), seguen-dolo insieme agli altri giovani durante le sedutedi disegno del nudo dell’Accademia di palazzoVenezia, attiva fino al 1820, e incoraggiandoloinfine a intraprendere un’opera originale come ilPastorello dormiente. Le opere successive, ilgruppo di Marte e Cupido, il rilievo di Ero eLeandro, la Psiche sollevata dagli Zefiri, furonoeseguite sotto la supervisione di Canova e com-missionate in marmo grazie alle sue sollecitazio-ni. Erano tutte in rapporto con i modelli canovia-ni, l’ultima anche un sorprendente gruppo aereoche poteva ricordare il Ganimede in volo di Ta-dolini. Contemporaneamente la figura di Psichepoteva essere ispirata per l’ideale di casta puri-tà e l’espressione dei sentimenti di smarrimentoe modestia alla Psiche abbandonata di Tenerani,per il quale Gibson doveva sempre conservare lamassima ammirazione, definendolo più tardi“the first sculptor now in Europe”47 .Dunque piùin generale l’opera dimostrava come Gibson fos-se in grado di attingere senza rigide scelte dicampo a diversificate prove degli artisti coevi.Alla morte di Canova infatti per continuare lasua istruzione si rivolse a Thorvaldsen, il cui stu-dio giudicava una scuola per perseguire il subli-me in scultura. La sua vicenda successiva avreb-be documentato questa pluralità di riferimentiall’interno di una fiducia sempre confermata erinnovata, attraverso l’adozione della policromiacome estremo omaggio filologico all’antico, nelprimato della tradizione classica intesa comeelevatezza di stile e di contenuti, che unicamen-te la scuola di Roma sapeva ancora interpretarenel campo della scultura internazionale. I con-temporanei gli riconobbero la prerogativa di aversaputo riunire nella sua operosa attività di scul-tore mitologico il magistero dei due protagonistidella scultura neoclassica48 e la sua influenza fuprofonda sugli scultori della colonia anglo-roma-na, da Joseph Gott, a John Campbell, a Lawren-ce McDonald, a John Hogan, e all’americanaHarriet Hosmer.In una lettera del 1842 Gibson affermava cheThorvaldsen sulla base del bozzetto lo aveva in-coraggiato a eseguire la statua di Aurora in gran-de (fig. 9)49. La derivazione dall’Ebe è evidente,in particolare dal secondo modello come mostrail sostegno a forma di tronco, ma Gibson ne variò

l’iconografia scegliendo un diverso e raro sogget-to, desunto da un vaso antico pubblicato da Ja-mes Millingen50. La figura alata è rappresentatamentre “sta uscendo dalle acque, con un piedepoggiato sulle onde e l’altro sulla sabbia, ma co-stì leggiadramente da sembrare sul punto di le-varsi in volo dalla terra, portata dalle grandi aliche spuntano dalle spalle. La fronte è cinta da unnastro, simbolo dato in tutte le statue greche aifigli di Zeus; i capelli formano una specie di co-rona di riccioli, sui quali posa la Stella del Matti-no; il drappeggio sembra agitato da una brezzagiocosa e leggera, che incontra la figura […] ef-fetto simile a quello nell’Ebe di Canova, ma piùgrazioso nella statua di Gibson, pensiamo. Portadue urne per spargere le gocce di rugiada sullaterra, secondo la teoria dei filosofi antichi per cuila rugiada si generava dal mare”. Così il “RomanAdvertiser”51, che ammoniva: “un’espressione diquieta gioia appartiene a colei che porta la lucee la contentezza alla terra, ma perfettamentealiena dalle passioni”. Dunque il controllo forma-le, la dignità e l’assorta austerità confermavanola vena rigorosamente classicista di Gibson, co-me d’altronde le medesime qualità della più tar-da statua di Ebe (fig. 10), già citata per la com-postezza classica di matrice thorvaldseniana,rappresentata anche nel rilievo di Psiche che ri-ceve il nettare da Ebe alla presenza dell’AmoreCelestiale (Wentworth Hall)52.Dal filone inaugurato da Canova dipendevano ul-teriori statue, che portavano all’estremo il vir-tuosismo plastico nella rappresentazione di lievipanneggi increspati dall’aria e l’artificio nel sug-gerire l’impressione del volo attraverso studiateponderazioni. La ricerca di questi effetti potevacoincidere con una rinnovata lettura dell’operacanoviana coniugata alla riscoperta di Berniniche lo scultore Giovanni Maria Benzoni propone-va esplicitamente intorno alla metà del secolo53.Thomas Crawford era stato tra i pionieri degliscultori americani in Italia, il primo a trasferirsidefinitivamente a Roma dal 1835, quando fuaccolto nello studio di Thorvaldsen di cui sareb-be rimasto uno dei più fedeli seguaci nei decen-ni seguenti. Da Roma inviò in patria colossaliopere pubbliche, come il grandioso Monumentoa Washington modellato tra il 1850 e il 1857,fuso in bronzo a Monaco di Baviera ed eretto aRichmond in Virginia, e le figure per uno deifronti del Campidoglio di Washington, dove ebbel’occasione di sperimentale la nuova iconografiaamericana delle figure di indiani anch’esse im-maginate entro le più rigorose forme della tradi-zione classicista. Ma fu anche un fortunato au-tore di ritratti e di una serie di opere ideali. La

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Flora del 1853 (Newark Museum, fig. 11)54, sta-tua che l’autore riteneva una delle sue opere piùimportanti inviandola al Crystal Palace a Londranel 1855, dimostrava una straordinaria maestrianella lavorazione delle diverse varietà di fiori odel panneggio fluttuante, con il dettaglio delbraccio velato come nella Polimnia di Canova.Ancora forse più dinamica fu poi l’invenzione diun altro scultore americano della generazionesuccessiva. Randolph Rogers aveva dimorato aFirenze, attratto dalla fama dei compatrioti Gree-nough e Powers e da Bartolini, di cui fu allievo,prima di giungere a Roma nel 1851 dove si sta-biliva definitivamente. Anch’egli fu impegnato inimportanti commissioni pubbliche per la patria,come le Columbus Doors del Campidoglio diWashington, e nella scultura di genere ideale.The Lost Pleiad (fig. 12) ebbe una vasta popola-

rità, almeno quanto la sua celebre Nidia, venen-do realizzata in circa 100 repliche in marmo55:un dato che dimostra come gli studi di sculturaromani, tuttora attivissimi per il pubblico inter-nazionale, si fossero trasformati in officine dal-l’organizzazione quasi industriale. Eseguita tra il1874 e l’anno seguente, rappresentava un mitoinedito per la scultura, ispirato dai Fasti di Ovi-dio (IV, 175), cioè la vicenda tragica di Merope,la settima stella della costellazione delle Pleiadi,quasi invisibile perché costretta dal pentimentoper aver sposato il mortale Sisifo – mentre le so-relle avevano mariti divini – a nascondersi il vol-to56. Rogers la poneva in volo, sollevata da nuvo-le di ascendenza barocca, alla ricerca della suafamiglia mitologica sollecitando ancora lo spet-tatore, a date avanzate, attraverso l’allusività al-legorica e morale dei soggetti antichi.

11. Thomas Crawford,Flora, 1853, marmo.New Jersey, NewarkMuseum, gift of FranklinMurphy Jr.

12. Randolph Rogers,The lost Pleiad,1874-1875, marmo.Art Institute of Chicago

1 P. Giordani, Panegirico ad Antonio Canova, edizione critica ecommentata a cura di G. Dadati, Piacenza 2008, p. 57.2 M. Missirini, De’ lavori in iscultura del signor Bienaimè (Luigi).Relazione intitolata al nobil uomo sig. Carlo Guzzoni degli Anca-rani studente nella Sapienza romana, in “Giornale Arcadico”, T.LXXII, 1837, pp. 349-355: p. 349.3 S. Grandesso, La fortuna figurativa della Venere vincitrice nellascultura ottocentesca, in Canova e la Venere vincitrice, catalogodella mostra (Roma, Villa Borghese), a cura di A. Coliva, F. Maz-zocca, Milano 2007, pp. 90-120.4 Su questi temi cfr. anche S. Grandesso, La scultura ideale a Ro-ma e la sua fortuna collezionistica, in Canova alla corte degli Zar.Capolavori dall’Ermitage di San Pietroburgo, catalogo della mo-stra (Milano, Palazzo Reale), a cura di S. Androsov, F. Mazzocca,Milano 2008, pp. 50-57.5 G.A. Guattani, Memorie Enciclopediche Romane sulle Belle Arti,Antichità, etc., voll. I-VI, Roma 1806-1819, t. II (1807), pp. 2-3.6 Giordani, Panegirico..., cit., pp. 63-64.7 Guattani, Memorie Enciclopediche..., cit., t. III (1808), pp. 5-6; per l’Ebe di Boschi cfr. A. González-Palacios, Il Gusto dei prin-cipi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, 2 voll., Milano1993, p. 318 n. 2, fig. 548.8 L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italiafino al secolo di Canova per servire di continuazione all’opere diWinckelmann e di D’Agincourt, II ed., 7 voll., Prato 1824, ed.anastatica a cura di F. Leone, B. Steindl, G. Venturi, Bassano delGrappa 2007, vol. VII, pp. 117-118.9 Eccettuata, in altro contesto, la statua di Jacques-François-Jo-seph Saly, esposta nel 1853 al Salon (Londra, Victoria & AlbertMuseum), cfr. J.B. Hartmann, K. Parlasca, Antike Motive beiThorvaldsen. Studien zur Antikenrezeption des Klassizismus, Tü-bingen 1979, p. 19, tav. 3.2.10 D. Irwin, John Flaxman 1755-1826 Sculptor Illustrator Desi-gner, London 1979, pp. 54-58.11 Ivi, p. 59.12 Canova e l’incisione, catalogo della mostra (Roma, Istituto Na-zionale per la Grafica, Calcografia; Bassano del Grappa, MuseoBiblioteca Archivio), a cura di G. Pezzini Bernini e F. Fiorani, Bas-sano del Grappa 1993, pp. 125-128, XXIII.13 Per l’invio a Bossi si veda S. Grandesso, in La Galleria d’ArteModerna e la Villa Reale di Milano, a cura di F. Mazzocca, Cini-sello Balsamo 2007, p. 52, cat. 1; per l’invio al conte Papafavasi veda G. Pavanello, Collezione di gessi canoviani in età neoclas-sica: Padova, in “Arte in Friuli, Arte a Trieste”, 12-13, 1993, p.177, fig. 17.14 M.F. Apolloni, Un poeta mecenate di se stesso: Angelo MariaRicci e gli affreschi di Pietro Paoletti in Palazzo Ricci a Rieti, in“Ricerche di storia dell’arte”, 46, 1992, pp. 35-48: p. 36, fig. 6.15 C.L. Fernow, Über den Bildhauer Canova und dessen Werke,Zürich 1806 (ed. anastatica a cura di A. Auf der Heyde, 2 voll.,Bassano del Grappa 2006), pp. 132-133.16 Cicognara, Storia della scultura..., cit., vol. VII, p. 12217 S. Gohr, in Bertel Thorvaldsen. Skulpturen, Modelle, Bozzetti,Handzeichnungen, catalogo della mostra (Colonia, Wallraf-Richartz-Museum in der Kunsthalle Köln), a cura di G. Bott, Köln1977, p. 164, n. 43; B. Jornaes, in Bertel Thorvaldsen 1770-1844 Scultore danese a Roma, catalogo della mostra (Roma, Gal-leria Nazionale d’Arte Moderna), a cura di E. di Majo, B. Jørnaes,S. Susinno, Roma 1989, p. 140, n. 6.18 Hartmann, Parlasca, Antike Motive..., cit., tav. 77, 1. Sul rilie-vo cfr. G. Spinola, Il Museo Pio Clementino. 2, Città del Vaticano1999, p. 168 n. 40.19 Guattani, Memorie Enciclopediche..., cit., t. II (1807), p. 10.20 Guattani, Memorie Enciclopediche..., cit., t. III (1808), p.144.21 Jørnaes, in Bertel Thorvaldsen 1770-1844 Scultore danese...,cit., p. 140.22 E. di Majo, S. Susinno, in Bertel Thorvaldsen 1770-1844 Scul-tore danese..., cit., pp. 143-144, n. 8.23 Hartmann, Parlasca, Antike Motive..., cit., pp. 128-130, tavv.74-75; G. Tassinari, Un bassorilievo di Thorvaldsen: Minerva ePrometeo; la sua presenza nella glittica dell’Ottocento e la colle-zione Poniatowski, in “Analecta Romana Instituti Danici”, 23,1996, pp. 147-176, 157 sgg.24 M. Paoli, Le sculture del Palazzo ducale, in Il Palazzo Pubbli-co di Lucca, a cura di I. Belli Barsali, riedito a cura di A.M. Giu-sti, Lucca 2000, pp. 122-123.

25 H. Tesan, Thorvaldsen und seine Bildhauerschule in Rom,Köln-Wimar-Wien 1998, tav. 1.26 H. Rostrup, H.W. Bissen, 2 voll., København 1945, p. 85.27K. Iten, Heinrich Max Himhof 1795-1869. Ein Urner Bildhauerin Rom, Altdorf 1995, pp. 48, 70.28 T. Nyman, Johan Niklas Byström, Uppsala 1939, p. 110, fig.40.29 Nationalmuseum Stockholm. Illustrerad katalog över äldresvensk och utländsk skulptur, Västervik 1999, p. 77.30Hartmann, Parlasca, Antike Motive..., cit., p. 74, tav. 86, 2.31 L. Dimmick, Mythic Proportion: Bertel Thorvaldsen’s Influencein America, in Thorvaldsen l’ambiente l’influsso il mito, a cura diP. Kragelund e M. Nykjær, in “Analecta Romana Instituti Dani-ci”, Supplementum XVIII, Roma 1991, pp. 169-191: p. 181,fig. 9.32 Ivi, p. 185, fig. 21.33 I. Leroy-Jay Lemaistre, in Maestà di Roma da Napoleone all’U-nità d’Italia. Da Ingres a Degas. Artisti francesi a Roma, catalo-go della mostra (Roma, Villa Medici), commissario generale O.Bonfait, Milano 2003, pp. 551-552, n. 22.34 T.F. Hufschmidt, Tadolini Adamo Scipione Giulio Enrico. Quat-tro generazioni di scultori a Roma nei secoli XIX e XX, Roma1996, p. 149.35 Ivi, pp. 146-151.36 S. Androsov, S. Grandesso, in Maestà di Roma..., cit., p. 232.37 A. Sassi, Pompeo Marchesi scultore, Gavirate 2001, p. 22.38 Pubblicata sul frontespizio di “Ad Anteprima”, n. 107, aprile1990, cfr. Sassi, Pompeo Marchesi..., cit., p. 97.39D. Sacchi, Esposizione, in “Gazzetta Privilegiata di Milano”, 13settembre 1834, cit. in O. Cuccinello, La fortuna critica di Pom-peo Marchesi nell’Ottocento, Università degli Studi di Milano,a.a. 2006-2007, pp. 186-187.40B. Musetti, Carlo Finelli (1782-1853), con una introduzione diF. Mazzocca, Cinisello Balsamo 2002, p. 180, n. 4.41 F. Mazzocca, in Due dipinti di Pompeo Batoni e una scultura diCarlo Finelli, testi di F. Corberi e F. Mazzocca, Galleria Carlo Or-si, Milano 2001, pp. 16-20; Musetti, Carlo Finelli..., cit., p.134, n. 15.42G. Checchetelli, Carlo Finelli e le sue scultura, Roma 1854, p.16.43S. Grandesso, Pietro Tenerani (1789-1869), con una presenta-zione di M.E. Tittoni, Cinisello Balsamo 2003, pp. 136-8; S. An-drosov, S. Grandesso, in Canova alla corte degli zar..., cit., pp.112-116, n. 16.44E. di Majo, S. Susinno, in Bertel Thorvaldsen 1770-1844 Scul-tore danese..., cit., pp. 322-323.45 Cit. in R. Giuliani, La “meravigliosa” Roma di Gogol’. La città,gli artisti, la vita culturale nella prima metà dell’Ottocento, Ro-ma 2002, p. 93.46Sull’artista cfr. M. Greenwood, Gibson, John (ad vocem), in Ox-ford Dictionary of National Biography, Oxford 2004; S. Manin-chedda, Lo studio di John Gibson, in Il primato della scultura:fortuna dell’antico, fortuna di Canova, atti della II Settimana diStudi Canoviani, a cura di M. Pastore Stocchi, Bassano del Grap-pa 2004, pp. 257-267.47 T. Matthews, The biography of John Gibson R.A. Sculptor, Ro-me 1911, p. 149.48 Murray’s Hand Book, 1860, cit. in J.B. Hartmann, Canova,Thorvaldsen and Gibson, in “English Miscellany”, 6, Roma1955, pp. 205-235: p. 221.49 Ivi, p. 219.50 Lady Eastlake, Life of John Gibson, London 1870, p. 85.51Artisti a Roma. Gibson, in “The Roman Advertiser”, 7 novem-bre 1846, n. 3; la traduzione in italiano è tratta da L. Panarese,“The Roman Advertiser”: gli atelier romani di pittura e sculturatra 1846 e 1849, tesi di laurea, Università degli Studi Roma Tre,a.a. 2002-2003, pp. 56-57.52Matthews, The biography..., cit., p. 94, tav.53 S. Grandesso, in La Galleria d’Arte Moderna..., cit., p. 68.54 R.L. Gale, Thomas Crawford. American Sculptor, Pittsburgh1964, p. 98; S.E. Crane,White Silence. Greenough, Powers, andCrawford. American Sculptors in Nineteenth Century Italy, Mia-mi 1972, p. 353.55 R. Soria, Dictionary of Nineteenth-Century American Artists inItaly. 1760-1914, London-Toronto 1982, p. 262.56M.F. Rogers Jr., Randolph Rogers. American Sculptor in Rome,Amherst 1971, pp. 140-141.

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