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Museo di Bràila ~~~~~~~ ~"Ijm~ Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia L'Italia e l'Europa Centro-Orientale attraverso i secoli Miscellanea di studi di stona politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali a cura di I edited by CRISTIAN LUCA, GIANLUCA MASI e ANDREA PICCARDI Museo di Braila!{ Istros Editrice BRÀlLA- VENEZIA, 2004

LA TRANSILVANIA NELLA SECONDA METÀ DEL XVII SECOLO (FEBBRAIO-OTTOBRE 1661), FRA IMPERO ASBURGICO E IMPERO OTTOMANO, SECONDO LA TESTIMONIANZA INEDITA DEL CODICE MAGLIABECHIANO XXV,

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Museo di Bràila

~~~~~~~~"Ijm~

Istituto Romeno di Cultura e RicercaUmanistica di Venezia

L'Italia e l'Europa Centro-Orientaleattraverso i secoli

Miscellanea di studi di stona politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali

a cura di I edited by

CRISTIAN LUCA, GIANLUCA MASI e ANDREA PICCARDI

Museo di Braila!{ Istros EditriceBRÀlLA- VENEZIA, 2004

Copertina: CRISTIAN LUCACura tecnica ~ redazionale: ROZALIA PÌRLITU, CRISTIAN LUCARevisione linguistica delle traduzioni italiane:GIANLUCA MASI, CRISTIAN LUCA, ANDREA PrCCARDI

Descrierea Cf P a Bibliotecii Nationale a Romàniei:L'Italia e l'Europa Centro-Orientale attraverso i secoli: misceUanea di studi distoria politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali / trad:Cristian Luca;ed. ìngrij.: Gianluca Masi e Andrea Piccardi. Bràila: Muzeul Bràilei; Istros, 2004.ISBN: 973-9469-41-8

Descrizione CIP della Biblioteca Nazionale della Romania:Descrizione in formato Sutrs del SBN italiano:

I. Luca, Cristian (trad.)Il. Masi, Gianluca (ed.)m. Piccardi, Andrea (ed.)

94(498:450)

CRISTIAN LUCA, GIANLUCA MASI, ANDREA PICCARDI (a cura di),L'Italia e l'Europa Centro-Orientale attraverso i secoli. Miscellanea di studi distoria politico-diplomatica, economica e dei rapporti culturali; a cura di / edited byCristian Luca, Gianluca Masi e Andrea Piccardi; Bràila-Venezia: Istros Editrice delMuseo di Bràila, 2004.ISBN: 973-9469-41-8

I. Storian. Italia, rapporti internazionalim. Europa Centro-OrientaleIV. Principati Romeni .

Immagine di copertina: Europa recens descripta a Guilielmo Blaeuw (Amsterdam, 1633)

© 2004 Istros Editrice del Museo di Bràila

Museo di BràilaPiata Traian nr. 3R0-810153 BriiilaROMANIA

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Deodata al Monastero Corpus Domini di Venezia (1600)

ANDREIPWPIDI,Giovanni Giuliani, un domenicano italiano nella Moldavia delSeicento

EUGENZUlcA, Appunti suIIa missione del minore conventuale Gregorio da Barinei Principati Romeni della prima metà del xvn secolo

FLORINA CIURE, Il problema transilvano (1660-1699) nei dispacci deirappresentanti diplomatici e dei dragomanni veneti presso la Porta

GIANLUCAMASI, La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), fra Impero Asburgico e Impero Otto mano, secondo latestimonianza inedita del Codice Magliabechiano XXV, 740, della BibliotecaNazionale Centrale di Firenze

OVIDIU CRISTEA, Un 'viaggiatore' italiano nella Transilvania del Seicento: ilbolognese Giovanni Luigi Zani

ANDREAPICCARDI,Ragguagli, editi a Venezia, su importanti vicende dell'EstEuropa nel XVII secolo

DRAGOS UNGUREANU,Alcune notizie riguardanti i romeni in un libro, poconoto, del Seicento italiano

CRISTIANLUCA, L'importazioni di merci levantine nella Venezia del Seicento edel primo Settecento: la cera e i pellami provenienti dai Principati Romeni

IONELCANDEA, Libri ecclesiastici greci stampati a Venezia, e già appartenentialla Metropolia di Proilavia

TERESA FERRO, Gli inteIIettuaIi italiani e la lingua romena tra la fine delSettecento e i primi decenni dell'Ottocento

CONSTANTIN ARDELEANU, Alcune notizie riguardanti la navigazione e ilcommercio degli Stati italiani preunitari alla foce del Danubio (1829-1856)

NICOLAEBOCSAN~ION CARlA, La partecipazione del vescovato greco-cattolicoromeno al Concilio Ecumenico Vaticano I (1869-1870)

PAOLOTOMASELLA,Un protagonista dello stile Neoromànesc: Geniale Fabbro,maestro costruttore friulano

Elenco degli autori

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GIANLUCA MASI

LA TRANSILVANIA NELLA SECONDA METÀ DEL XVII SECOLO (FEBBRAIO-OTTOBRE 1661), FRA IMPERO ASBURGICO E IMPERO

OTTOMANO, SECONDO LA TESTIMONIANZA INEDITA DEL CODICE MAGLIABECHIANO XXV, 740, DELLA BIBLIOTECA NAZI ONALE

CENTRALE DI FIRENZE

Il codice Magliabechiano XXV, 740 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (un tempo appartenente al fondo Mediceo Palatino con la segnatura 767) conserva, insieme con i codici magliabechiani XXV, 742 e 743, una raccolta anonima di avvisi a stampa settimanali, che abbracciano un periodo di tempo compreso fra il 5 febbraio 1661 e il 16 gennaio 1666, e che esibiscono tutti come luogo di provenienza la città di Venezia, pur riportando notizie da molte altre località europee dell’Oriente e dell’Occidente. Tutto il gruppo di codici presenta identiche caratteristiche esteriori, compreso il medesimo carattere a stampa; e il formato in 4°, il Magliabechiano XXV, 740, in particolare, raccoglie gli avvisi relativi al periodo 5 febbraio-15 ottobre 16611.

Per quanto Rossana Saccardo2 ritenga che gli avvisi a stampa dei tre codici magliabechiani siano senz’altro pubblicati a Venezia, è lecito dubitare di questo giudizio, o almeno ritenere la tesi della pubblicazione veneziana una fra quelle sostenibili. Se infatti cerchiamo di comprendere perché tale raccolta si trovasse nel fondo Mediceo Palatino, e nel contempo poniamo mente al modo in cui cominciarono a diffondersi gli avvisi, fra XVI e XVII secolo, prima in forma manoscritta e poi a stampa, e quindi ai rapporti che legarono in questa diffusione le città di Venezia e Firenze, vediamo che diviene possibile formulare una diversa ipotesi. E cioè che proprio a Firenze giungessero da Venezia quegli avvisi, in forma manoscritta, che poi entrarono a far parte della nostra collezione e che, sempre a Firenze, questi avvisi fossero stampati in un secondo tempo, per qualche ragione particolare. Non è inutile, dunque, ripercorrere le tappe salienti della diffusione, soprattutto in Italia, e almeno nelle fasi iniziali, della stampa periodica, per

1 Questi tre codici fanno parte, a loro volta, di una più ampia raccolta di avvisi manoscritti, provenienti da città diverse, che include alcune decine di volumi delle classi dei codici magliabechiani XXIV e XXV, in cui ciascun avviso è composto da non più di due o tre carte non numerate ed è inaugurato dalla semplice data e luogo di provenienza. 2 Cfr. R. Saccardo, La stampa periodica veneziana fino alla caduta della Repubblica, Trieste 1982, che, alle pp. 5-8, fornisce una descrizione del gruppo di codici cui facciamo riferimento. Si veda anche, citato dalla Saccardo, F. Fattorello, Le origini del giornalismo moderno in Italia, IIa edizione, Udine 1933, pp. 87 e 147, che cita la raccolta di avvisi suddetti (la Ia edizione è la seguente: Idem, Le origini del giornalismo in Italia, Udine 1929).

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rendere ragione del nostro assunto e per soddisfare anche all’intento didascalico qui proposto.

Se già alla fine del Quattrocento possiamo far risalire le origini di quella pratica per cui da più lettere venivano selezionate notizie che avessero rilevanza politico-economica, o che anche in qualche modo stuzzicassero la curiosità umana, perché poi venissero assemblate col ricopiarle su un foglio a parte, è anche vero che, con lo sviluppo dei commerci, in generale nel tardo Medioevo, le informazioni di ogni tipo spedite per lettera erano appannaggio esclusivo degli ambienti mercantili e rispondevano ad esigenze vitali per il buon andamento dei commerci. Era infatti usuale, per chi si trovava all’estero per tali ragioni, inserire o allegare, alle lettere che spediva ai suoi corrispondenti in patria, relazioni, ragguagli o semplici notizie ritenute d’interesse economico e politico. Destinatari di queste lettere erano altri mercanti, agenzie commerciali, aristocratici, governi e loro rappresentanti, prelati e anche cittadini curiosi di „nove”. Così i viaggi, divenuti più frequenti in tutti i porti del Mediterraneo e dell’Europa, accrescevano il numero dei corrieri e intensificavano il flusso delle notizie poi distribuite, in base al luogo e alla data di raccolta, in diversi avvisi o riporti. Questi, con l’andar del tempo, non furono più firmati dall’autore, sia perché il prodotto finale era destinato ad un pubblico indifferenziato, sia perché l’autore, divenuto un vero professionista dell’informazione, si tutelava in questo modo da chi non gradiva per diverse ragioni il suo lavoro.

Si comprende dunque perché, a cavallo fra XV e XVI secolo, fu la città di Venezia a trovarsi, oltre che al centro dei commerci, anche alla confluenza di tale flusso di notizie, ponendosi come cerniera fra l’Europa Occidentale e l’Oriente. Lo dimostrano i Diari di Girolamo Priuli o quelli di Marin Sanudo, uomini versati nella pratica della mercatura o della politica in giorni in cui, dal Mediterraneo, l’asse della storia cominciava a spostarsi sempre più verso l’Atlantico, a causa della recente scoperta del Nuovo Mondo, oppure verso l’Estremo Oriente, ormai raggiungibile per mare doppiando il Capo di Buona Speranza. Diari che si basavano spesso sugli „avvisi dei mercadanti”, a Venezia detti anche broglietti3, la cui funzione rispondeva perfino alle esigenze dell’allora nascente diplomazia internazionale, che tuttavia, sempre al termine del XV secolo, iniziava a creare in tutta Europa una rete informativa autonoma. E Venezia, con la sua diplomazia e i suoi mercanti, godeva di un credito particolare, come testimonia una lettera riportata dai Diari del Sanudo, nella quale il bailo Bragadin scriveva da Costantinopoli: „il bassà crede le nove di Venetia e non di altri”4. 3 Il brolo era la piazza prospiciente il Palazzo Ducale, laddove più frequenti erano gli incontri per lo scambio delle notizie; Cfr. G. Gaeta, Storia del giornalismo, vol. I, Milano 1966, p. 56; Idem, Manuale di storia del giornalismo, IIa edizione, 2 voll., Trieste 1970, passim; U. Castronovo, G. Ricuperati, C. Capra, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, Roma–Bari 1980, p. 9; G. Farinelli, E. Paccagnini, G. Santambrogio, A. I. Villa, Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ai giorni nostri, Torino 1997, p. 4, ma più in generale le pp. 3-18. 4 Cfr. S. Bongi, Le prime gazzette in Italia, in „Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti”, XI, Firenze 1869, passim; U. Bellocchi, Storia del giornalismo italiano, 8 voll., Bologna 1974-1982; C. Barbieri, Il giornale dalle origini ai nostri giorni, Roma 1982; H. Gozzini, Storia del giornalismo, Milano 2000; M.

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Naturalmente la raccolta delle notizie doveva avvalersi di un servizio postale che, dai primi del Cinquecento, andava sempre più regolarizzando l’uso dei corrieri, il sistema dei tempi e la rete di smistamento della posta, per cui anche la compilazione dei fogli, foglietti o lettere di avviso dovette adeguarsi ai tempi del servizio postale, divenendo in genere settimanale o bisettimanale5. Pertanto alla metà del XVI secolo6 troviamo le prime testimonianze di una attività commerciale regolare dei cosiddetti menanti (soprattutto a Roma), reportisti (a Venezia), novellari (a Genova), e quindi avvisatori, fogliettanti, novellisti, gazzettieri o gazzettanti, i quali compilavano variamente foglietti, avvisi, gazzette, novelle a mano, dette in Francia nouvelles à la main, oppure in Germania geshriebene Zeitungen7. Questa attività si svolgeva soprattutto in città come

Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione (secoli XVI e XVII), Roma–Bari 2002, I cap. 5 In Germania l’uso di compilare avvisi contenenti notizie di vario interesse fu introdotta da Jakob Fugger il secondo (1459-1525), mercante e banchiere di Augusta, detto anche il Ricco, il quale, soggiornando per diversi anni nel fondaco dei Fugger a Venezia, dalla città lagunare inviava in patria vere e proprie lettere-giornale. E quando fu istituito un servizio postale regolare, nel 1509, che collegava le città di Bruxelles, Innsbruck e Vienna, e che da Innsbruck raggiungeva anche Milano e Roma, come corrispondente di fiducia da Milano fu scelto proprio l’agente dei Fugger. Questi ultimi, poi, divennero soci dei Thurn und Taxis, celebre famiglia che deteneva l’appalto del servizio postale nei territori dell’Impero, Cfr. G. Gaeta, Storia del giornalismo cit., vol. I, p. 46. 6 Una bolla del pontefice Pio V, del 1668, denomina l’arte dei menanti „arte nuova”. Del resto il più antico avviso manoscritto, a nostra conoscenza, si trova contenuto nel codice Cicogna 988 della Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia. Una grande raccolta composta da avvisi inviati ai Fugger, fra il 1554 e il 1571, e altri avvisi inviati alla cancelleria dei duchi di Urbino, e compresi fra il 1572 e il 1642, è conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana (codd. 1038-1112). Anche la Biblioteca Ambrosiana di Milano possiede una raccolta di avvisi compilati fra il 1588 e il 1605, mentre a Firenze esiste una collezione di avvisi veneziani datati a partire dal 1556 e conservati nell’Archivio Mediceo; Cfr. a questo proposito S. Bongi, op. cit., p. 315; G. Gaeta, Storia del giornalismo cit., vol. I, p. 54; R. Saccardo, op. cit., pp. 5-6. 7 Vi sono teorie diverse sull’origine etimologica di alcuni dei termini che qui abbiamo citato, soprattutto per quelli che al tempo erano più in voga, cioè gazzetta e menante. Per il secondo (Cfr. G. Gaeta, Storia del giornalismo cit., vol. I, pp. 45-46) vi sono tre possibili etimologie: 1. Dal verbo menare, per cui menante equivarrebbe ad amanuense; 2. Dal verbo latino minare, cioè „minacciare”, poiché i menanti avevano fama di diffamare le persone con le loro notizie; 3. Da minutante, per contrazione, dato che tali personaggi compilavano fogli volanti. Se poi il termine avviso sembra derivare da „lettera d’avviso”, per il termine gazzetta, e quindi gazzettante o gazzettiere, sussistono più etimologie accreditate e riportate variamente in tutti i manuali che abbiamo citato fino a questo punto. Pertanto la maggior parte degli studiosi, fin dal 1676 con Ottavio Ferrari e Gilles Ménage, fa derivare il termine gazzetta dalla moneta veneziana da due soldi, detta appunto gazzetta, gazetta o gazeta, fatta coniare per circa un secolo a partire dal 1539, e con la quale si acquistava un foglio di notizie. Questa etimologia è ripresa da tutti i principali dizionari europei fino a Voltaire che la registra nella voce Gazette dell’Encyclopédie. Altre etimologie, meno fondate, fanno derivare il termine dal latino medievale gazetum, per „archivio”, o da gazza, l’uccello ciarliero, oppure come S. Bongi, op. cit., p. 314, nota 1, da una corruzione del termine tedesco zeitungen. Inoltre i termini avviso e gazzetta, che si trattasse di fogli manoscritti o a stampa, non furono perfettamente sinonimi, almeno a partire dalla fine del XVI secolo. Il primo, ben attestato fin dal Quattrocento, andò via via specializzandosi, soprattutto agli inizi del Seicento, quando indicava un foglio con diffusione regolare, spesso un notiziario periodico circoscritto ad un ambito giuridico-economico. La gazzetta poi, a cavallo fra XVI e XVII secolo, non differiva ancora dall’avviso, consistendo in due o quattro pagine con una frequenza settimanale, ad una o due colonne, con in testa la data e la città di provenienza delle notizie, mentre ai primi

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Venezia (che abbiamo visto come fosse favorita, in questo rispetto ad altre) e a Roma, dove tuttavia alla stabilità politica veneziana corrispondevano successioni repentine di papi, per cui i menanti, sull’esempio di Pasquino, indulgevano più volentieri alla satira, e più facilmente determinavano l’inasprimento della censura8. Ma, ben presto, seguirono l’esempio di queste due città anche Firenze, Genova e Milano. Comunque, sebbene agli inizi del XVII secolo i fogli di notizie cominciassero ad essere stampati, tuttavia perdurò a lungo l’uso di compilare avvisi e gazzette a mano, anche a causa delle maglie della censura cui i menanti cercavano di sfuggire. Ma soprattutto la differenza che maggiormente fu sentita per molto tempo, fin quasi alla fine del secolo ed anche oltre, fu quella fra avvisi pubblici ed avvisi segreti, i secondi spesso manoscritti ed inviati a governanti e diplomatici, ossia a chi, per motivi politici in senso lato, sentiva l’esigenza di un’informazione più qualificata9. I primi fogli a stampa che, senza periodicità fissa, uscivano con lo scopo di ragguagliare in merito ad avvenimenti che destassero nel pubblico un interesse particolare, erano di piccolo formato (non più di 20x15 cm.), e non differivano nella sostanza dagli avvisi a mano, di cui ricalcavano le vicende editoriali e di diffusione. Le più antiche gazzette a stampa settimanali cominciarono a sorgere, soprattutto in Germania e in Olanda, durante il primo decennio del Seicento. Probabilmente il primo periodico a stampa iniziò le sue pubblicazioni verso il 1605, a Strasburgo, ma anche in Olanda si avevano i cosiddetti Corantos, Courantes, o Krant, che già nel titolo esibivano la loro dipendenza da fonti italiane, ad esempio il Courant d’Italie et d’Alemagne (anche in fiammingo, del 1618-1619). La prima gazzetta inglese sorse, a sua volta, come traduzione di uno di questi periodici olandesi e fu pubblicata ad Amsterdam, nel 1620, mentre l’anno dopo uscì a Londra il Corante, or newes from Italy, Germany, Hungarie, Spaine and France10. In Italia ogni cittadina ebbe una sua gazzetta a stampa, ma con qualche anno di ritardo rispetto al resto d’Europa. Questo fenomeno

del Seicento il termine gazzetta sembra ricoprire una sfera semantica più ampia e vagamente popolare, andando a sovrapporsi a quella che il termine avviso aveva avuto prima di specializzarsi; del resto la voce gazzetta non trova degna registrazione se non nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, uscito nel 1691. 8 Cfr. T. Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento, Roma 1967. 9 La distinzione fra avvisi pubblici e avvisi segreti corrispondeva, a partire da quelli manoscritti, all’uso delle cancellerie dei ministri, nelle quali si compilavano questi due tipi distinti di fogli di cui, naturalmente, gli avvisi segreti erano al centro, da un lato, di estreme cautele, e dall’altro della curiosità di chi ricercava notizie qualificate. Il menante era cosciente della differenza che sussisteva fra i due tipi di destinatari delle notizie, ossia il semplice curioso e chi aveva bisogno di notizie per esigenze di professione, e quindi badava a curare particolarmente la clientela esigente, la quale a sua volta si serviva di menanti che, per la loro fama e professionalità, potevano assicurare la diffusione di notizie politicamente favorevoli o che, al limite, non nuocessero a chi aveva responsabilità di governo. Si stringevano, così, rapporti sempre più stretti fra i compilatori di avvisi e le corti, per cui in un circolo vizioso i primi si servivano delle seconde per rifornirsi di notizie qualificate, e d’altro canto, negli ambienti di corte risultava agevole ricorrere ad un prodotto già confezionato come quello messo a disposizione da seri professionisti della notizia. 10 In Italia la gazzetta in lingua straniera che ebbe maggiore diffusione fu certamente la Gazette, pubblicata a Parigi, per la prima volta il 30 maggio 1631, dal medico Théophraste Renaudot; Cfr. anche, per quanto riguarda la diffusione della stampa periodica in Europa e in Italia, gli autori già in precedenza citati.

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probabilmente fu dovuto all’ampia diffusione e al capillare consumo degli avvisi, che rendeva superflua o anche difficile la riproduzione a stampa, la quale rallentava la trasmissione delle notizie, ma non è da escludere neppure il ruolo giocato, in città come Roma, dalla censura, cui più difficilmente sfuggiva il prodotto a stampa. Perciò città come Venezia e Roma, pur provviste di numerosi e valenti tipografi, giunsero più in ritardo di altre alla stampa di gazzette periodiche, oppure conservarono per lungo tempo l’abitudine al foglio manoscritto11. Generalmente, come prima gazzetta periodica stampata in Italia, viene indicata dagli studiosi quella di Firenze che iniziò ad uscire, nel 1636, ad opera degli stampatori Amadore Massi e Lorenzo Landi, i quali nient’altro facevano che pubblicare avvisi provenienti da Venezia. In seguito si aggiunsero Genova (1639), Milano (1640), Bologna, Napoli (1642) e Torino (1645)12. Queste gazzette non si differenziavano formalmente l’una dall’altra, né dagli avvisi manoscritti. Si presentavano infatti come un mezzo foglio a stampa di formato in 4º, con quattro pagine inaugurate dalla data e dal luogo che non indicava, necessariamente, il luogo di stampa, ma quello della raccolta delle notizie.

Anche i redattori di gazzette a stampa, così come i menanti di avvisi manoscritti, dovettero lottare contro la fama che li voleva superficiali, disattenti e spesso tendenziosi nella compilazione dei loro fogli. Tuttavia facciamo nostro il giudizio di Salvatore Bongi13, e riteniamo che le incongruenze occasionali, i refusi abbondantissimi, non debbano indurci a rigettare completamente questo tipo di fonte. Vi sono nelle gazzette, infatti, e soprattutto in quelle che giungevano ai governanti, alcune informazioni specifiche che difficilmente lo storico potrebbe trovare in altri tipi di documento, e che, se ben usate, possono arrecare gran profitto alla ricerca storica.

Non è inutile neppure, data almeno la probabile provenienza dei nostri avvisi dalla città di Venezia, una piccola rassegna dei gazzettieri e scrittori che, nella seconda metà

11 Ad esempio, per Venezia, Vincenzo Coronelli, Viaggi, Venezia 1697, vol. I, p. 31, scrive che „non era costume di stampare gli avvisi in questa città” e del resto gli avvisi manoscritti conservati nei codici Cicogna della Biblioteca del Civico Museo Correr datano fino al 1714. Vanno escluse dal novero delle vere e proprie gazzette a stampa le cosiddette „stolette”, stampate a Venezia già dal 1539 su esempio europeo, che erano limitate alle notizie riguardanti i prezzi delle merci e le quotazioni dei cambi. Così anche per il periodico pubblicato a Firenze, nel 1598, da Carlo Gigli. 12 Sono comunque discordanti i pareri degli studiosi, non solo per quanto riguarda la data di uscita della prima gazzetta italiana, ma anche per quanto riguarda una cronologia attendibile della fondazione delle gazzette nelle principali città italiane. Indicano, come prima gazzetta quella di Firenze, S. Bongi, op. cit., pp. 336-337; F. Fattorello, Il giornalismo italiano, vol. I, Udine 1941, p. 41, semplicemente come indicazione bibliografica, e così G. Farinelli, E. Paccagnini, G. Santambrogio, A. I. Villa, op. cit., p. 15. Indicano, invece, come prima gazzetta a stampa italiana quella di Genova del 1639, U. Castronovo, G. Ricuperati, C. Capra, op. cit., p. 20; e dubitativamente M. Infelise, op. cit., pp. 84-85. Ma, se l’Italia era in ritardo rispetto alla stampa delle gazzette, tuttavia nel 1612 erano usciti a Venezia i Ragguagli di Parnaso, in cui Traiano Boccalini svolgeva il ruolo di un menante che operava in una città immaginaria, ma al tempo stesso concreta, come poteva essere la stessa Venezia; per quest’opera e per il suo contributo alla cultura europea, Cfr. F. Yates, L’Illuminismo dei Rosa-Croce, Torino 1976, pp. 159-165 (tr. ital. di Idem, The Rosicrucian Enlightment). 13 S. Bongi, op. cit., p. 345.

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del XVII secolo, erano attivi nella città lagunare14. Tralasciando ovviamente, nella selva dei tanti amanuensi e copisti, le figure dei minori e occasionali che, a Venezia, approfittavano della mancanza di una corporazione per operare al di fuori di ogni controllo, iniziamo dal notaio Alessandro Pariglia. Questi aveva fatto del proprio studio un centro di raccolta di notizie il cui consumo era appannaggio di una clientela prestigiosa, composta da patrizi e ambasciatori, che ricorrevano ai suoi servigi più particolari di notaio, ma che non disdegnavano di apprendere, nel suo studio, le nuove soprattutto di natura politica.

Negli ultimi anni del XVII secolo e ai primi del XVIII, lavorarono a Venezia anche Pietro Donà e Antonio Minummi, probabilmente i principali compilatori di fogli a quell’epoca. Soprattutto gli avvisi e le gazzette di Pietro Donà circolavano in tutta Italia ed egli annoverava, fra i suoi clienti, principi e ambasciatori i quali ricevevano i suoi fogli a seguito del pagamento di un abbonamento annuale.

Ma soprattutto è degno di menzione Giovanni Quorli che fu a Venezia, fra il 1652 e il 1667, tra le fonti predilette dalle gazzette che a quel tempo erano stampate in tutta Italia. Il Quorli era originario dello Stato pontificio, forse della cittadina di Gubbio, ma era legato in qualche modo alla città di Firenze, in quanto aveva percorso i primi passi della sua carriera proprio in quella città, oltre che a Roma, e pare che per fiorentino amasse spacciarsi anche a Venezia. Il Quorli inoltre, con lettere segrete, riforniva di notizie l’ambasciatore di Francia ed altre personalità in vista servendosi, ad esempio, di agenti nelle città di Firenze, Modena, Roma, ed aveva contatti anche in Germania15 e in Ungheria, dove pare che inviasse fogli tendenziosi, contrari agli interessi della Repubblica veneziana. Circostanza tanto più grave in quanto le sue fonti annoveravano a Venezia personalità in vista del patriziato e del governo della città, e che gli costò, nel 1666, un ammonimento da parte degli Inquisitori di Stato, mentre, nel settembre del 1667, fu costretto a lasciare Venezia per Firenze.

Col Quorli fu probabilmente in rapporti, fin dalla gioventù, il fiorentino Benedetto Giuliani che operava a Venezia, vicino al ponte di San Moisé, fin dagli anni Sessanta. Il Giuliani, secondo le fonti, lavorava al soldo dell’ambasciatore francese, non solo in qualità di compilatore di fogli, ma anche come agente segreto, coinvolto in trattative che lo condussero in molte corti europee presso le quali passava per agente della casa fiorentina Rangoni. Per questa attività fu costretto anch’egli a lasciare definitivamente Venezia, dove lasciò un figlio che, probabilmente per ordine degli Inquisitori veneziani, rimase ucciso in un agguato.

Ma è interessante ricordare altresì che, fin dalla fine del Cinquecento e per tutto il secolo successivo, si diffuse in Italia l’abitudine di comporre raccolte di avvisi o di rapporti degli ambasciatori che in teoria avrebbero dovuto rimanere segreti, ma che spesso, per il loro interesse, finivano nelle botteghe dei menanti e da qui, manoscritti o a 14 E mi baserò essenzialmente su M. Infelise, op. cit., capp. II-IV. 15 Pare che avesse rapporti, fra gli altri nobili e mercanti tedeschi, col conte di Auersperg, ministro degli esteri di Leopoldo I, e con l’elettore e arcivescovo di Colonia, Enrico Massimiliano di Baviera, i quali pagavano trenta ducati l’anno per i suoi fogli.

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stampa, nelle mani dei governanti. A queste collezioni, poi, si affiancavano sintesi periodiche semestrali o annuali, di argomento politico-militare, di cui in Germania le Messrelationen erano un esempio. A queste probabilmente, al tempo della guerra dei Trent’anni, per l’accresciuta domanda di notizie, si ispiravano alcuni scrittori italiani più o meno vicini all’Accademia degli Incogniti e al patrizio veneziano Giovanni Francesco Loredan. Fra di essi, Maiolino Bisaccioni, Galeazzo Gualdo Priorato, Girolamo Brusoni (che scrisse una Historia d’Italia … dall’anno 1625), Antonio Santacroce (che s’interessò soprattutto alle guerre veneziane a Candia e nella Dalmazia), Ferrante Pallavicino (che, nel 1638, pubblicò i Successi del mondo dell’anno MDCXXXVI, una traduzione di un libro tedesco), Pietro Gazzotti ed infine Vittorio Siri e Gregorio Leti, forse i più famosi in tutta Europa.

A queste raccolte è possibile che si ispirasse anche l’anonimo compilatore della nostra collezione di avvisi, i quali, abbracciando un arco di tempo che va dai primi mesi del 1661 a tutto il 1665 (incluso il gennaio 1666), non si esclude che dovessero formare una raccolta di notizie riguardanti le potenze che, a quel tempo, si trovavano alla ribalta della politica europea. Citeremo ad esempio la data del marzo 1661, nella quale Luigi XIV, dopo la morte di Mazzarino, assunse su di sé ogni potere in Francia, la qual cosa non succedeva dai tempi di Enrico IV, e quella del settembre 1665 che vide, precisamente il 17, la morte di Filippo IV di Spagna, oppure la guerra che, appunto, gli Asburgo condussero in Transilvania negli anni 1661-1664. Ed anzi, se si pensa che, in quegli anni, furono soprattutto le guerre contro gli Ottomani a destare un interesse crescente nella pubblica opinione europea, e dunque a fornire materia particolarmente cospicua ai menanti, non è da escludere che proprio quello della guerra in Transilvania fosse il leit motiv dell’intera collezione costituita dai tre codici Magliabechiani XXV, 740, 742, 743, e che proprio queste vicende, per il loro interesse politico, inducessero i granduchi di Toscana a formare questa raccolta a stampa, forse facendo stampare a Firenze avvisi manoscritti procurati sulla piazza di Venezia, cui è probabile che giungessero fogli dalla stessa corte di Vienna o dai luoghi in cui si svolgevano le stesse attività belliche, e quindi dall’Ungheria e dalla Transilvania16. Del resto simili raccolte, per quanto fossero messe 16 Proprio Vienna, nella seconda metà del XVII secolo, divenne un centro di raccolta privilegiato delle notizie provenienti dai Balcani e dall’Impero Ottomano, soppiantando in questo ruolo la città di Venezia. E spesso a Vienna si stampavano avvisi, ossia Relationen o Zeitungen, anche in lingua italiana. Ma per la propulsione che le guerre contro i Turchi dettero all’attività degli avvisatori, Cfr. M. Infelise, op. cit., cap. 7; G. Gaeta, Storia del giornalismo, vol. I, pp. 79-80; e F. Fattorello, Il giornalismo italiano, vol. I, passim. È probabile che la collezione dei nostri tre codici magliabechiani debba la propria esistenza all’interesse generale che cominciò a diffondersi, già a partire dalla metà del Quattrocento, per le guerre contro gli Ottomani e per i singoli episodi militari, ma, più in particolare, è possibile che abbia giocato un ruolo determinante la diffusione sempre maggiore nella seconda metà del XVII secolo dei cosiddetti giornali militari, di cui la raccolta magliabechiana potrebbe costituire un primo imperfetto esempio. Questi giornali costituivano raccolte tematiche complessive che abbracciavano strettamente il periodo di svolgimento delle attività di guerra e quindi cessavano con i mesi invernali e col venir meno di quelle. Le fonti per la compilazione di tali giornali naturalmente erano, per lo più, a Vienna e qui operava, verso la fine del secolo, Johann van Ghelen. In Italia, soprattutto negli anni Ottanta del XVII secolo si assiste ad un’ampia proliferazione di simili compilazioni, ad esempio a Venezia con Girolamo Albrizzi che, nel 1686, fondò il

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insieme in seguito a specifiche commissioni, spesso circolavano fra gli interessati in forma manoscritta, ma finivano pure per essere stampate anonime. Il Brusoni, ad esempio, rivestiva regolarmente la funzione di informatore politico per i principi di numerose corti italiane, fra cui proprio il granduca di Toscana. Ma si presti particolare attenzione a ciò che scrive M. Infelise: „Lo stesso toponimo che figurava in testa alle gazzette non indicava necessariamente il luogo di stampa dei fogli, ma prevalentemente quello di raccolta delle informazioni, né più né meno come avveniva negli avvisi a mano. È indicativo il caso delle varie gazzette pubblicate a Firenze, che non riportavano mai l’indicazione della capitale medicea, ma sempre quello delle città da cui proveniva l’avviso utilizzato come matrice. Fu così che a Firenze uscirono anche contemporaneamente fogli con l’intestazione diversa […] sotto Venezia quanto perveniva con le gazzette manoscritte di Giovanni Quorli o di altri […]” 17, ed ancora, a Firenze, uscivano gazzette diverse con l’intestazione appunto di Venezia e di Genova, ma anche con quella della città tedesca di Colonia.

Giungiamo così alla questione che maggiormente interessa la nostra analisi, e cioè al contenuto degli avvisi raccolti nel codice Magliabechiano XXV, 740, per tutte quelle notizie che, nel periodo compreso fra i mesi di febbraio e ottobre 1661, interessano l’andamento della campagna condotta dagli eserciti dell’imperatore Leopoldo I contro gli Ottomani in Transilvania.

Quando Leopoldo I d’Asburgo18 salì al trono, nel 1658, si trovò di fronte al problema di contrastare l’opposizione crescente, soprattutto da parte ungherese, alla politica del Gesamstatt che tentava di unificare i domini di Casa d’Austria diffondendo il cattolicesimo e favorendo la germanizzazione. D’altronde l’intenzione di Leopoldo, almeno inizialmente, sembrava quella di approfittare della pace per continuare sulla linea che, inaugurata dai suoi predecessori, prediligeva la cura e il consolidamento dei domini occidentali. Questa strategia politica, com’è naturale, si era resa particolarmente manifesta dopo il 1648 e la fine della guerra dei Trent’anni, quando la monarchia d’Austria si era data tout court alla ricostruzione morale e materiale che aveva interessato in particolare l’Erblande o Erbstaate, cioè i possedimenti ereditari degli

Giornale dal campo cesareo di Buda, nel quale si trovavano informazioni dettagliate sull’andamento della guerra con particolari relativi agli spostamenti di truppe, alle battaglie e ai condottieri, che davano l’impressione vivida della redazione immediata, anche perché l’Albrizzi disponeva di veri e propri corrispondenti in loco. L’anno dopo, per il successo riscosso dal primo giornale, nacque anche il Giornale dell’armata veneta in Levante. Ma fra gli anni 1684 e 1685 era uscito il Diario de’ successi dell’armi cesaree nell’Ungheria, doppo la presa di Strigonia, pubblicato da Combi e La Nou, e nel 1685, pubblicato da Giovanni Cagnolini e Angiolo Orsetti, il Diario de’ successi dell’armi cesaree nell’Ungheria dopo la bloccata di Nayasel in questa campagna MDCLXXXV. Quindi, ancora nel 1686, Giacomo Monti a Bologna iniziò la pubblicazione di un Giornale del Campo Cesareo, ed altri sorsero contemporaneamente a Modena, a Lucca e a Milano. 17 Cfr. M. Infelise, op. cit., p. 83. 18 Leopoldo I aveva sempre dimostrato una propensione all’arte e alla contemplazione. Prima di salire al trono si era preparato per la vita ecclesiastica, e nei primi anni del suo governo si lasciò guidare essenzialmente dai suoi consiglieri, perseguendo una politica improntata fortemente alla prudenza.

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Asburgo, mentre la puszta ungherese era stata abbandonata ai turchi. E, in alcuni territori periferici, difficoltà di ogni tipo, che erano sorte con la guerra agli inizi del Seicento, si protrassero fino agli anni novanta del secolo, nonostante il processo di ricostruzione e di sviluppo inaugurato. È in questi anni dunque che l’Austria, conseguita l’unione con il Vorland tedesco sud-occidentale e con le corone d’Ungheria e Boemia, andò acquisendo un ruolo egemone sugli altri Stati dell’Impero, per quanto la pace di Westfalia avesse sancito per questi ultimi l’indipendenza di fatto, dando ai principi la facoltà di aderire ad alleanze diverse da quelle perseguite dalle autorità centrali. Già quattro mesi dopo l’elezione di Leopoldo, nell’agosto 1658, si era formata a Magonza la prima Lega renana: un chiaro segno della propensione di alcuni principi elettori dell’Impero ad emanciparsi dal centro, ricercando l’appoggio della Francia, che aderì alla Lega in qualità di garante della pace di Westfalia e che si faceva sempre più minacciosa soprattutto dopo che Mazzarino era riuscito a prevalere sulla Fronda19.

Ma, soprattutto dopo la pace di Oliva (1660), i conflitti continuati che interessarono in special modo le frontiere orientali dell’Impero, disattesero i propositi iniziali dell’imperatore, portando sempre più alla ribalta del contenzioso internazionale la situazione geopolitica dei Balcani in generale, e dei territori ungheresi in particolare, i quali quindi, d’ora in avanti, destarono sempre maggiori preoccupazioni nella Casa d’Austria. La Transilvania, in particolar modo, si trovava in una posizione intermedia fra gli Imperi Asburgico e Ottomano, e sul suo territorio si giocavano, da un lato, il ruolo sempre più determinante della monarchia austriaca in Europa e, dall’altro, le nuove mire espansionistiche turche. In questa regione, infatti, già in condizioni disagevoli a causa della guerra dei Trent’anni, riprese ad intermittenza l’impegno militare austriaco per contrastare l’aggressività dei turchi20.

Da parte ottomana questi anni, specialmente a partire dall’elezione a gran visir di Mehmed Köprülü (settembre 1656), videro un progressivo inasprimento della politica dell’Impero Ottomano nei confronti dei Principati Romeni. Inasprimento che si concretizzò sia in una limitazione della relativa autonomia politica di cui questi paesi avevano goduto nei decenni precedenti, sia in un maggior sfruttamento economico delle risorse di quei territori, raggiungendo livelli di grave oppressione specialmente in Moldavia e in Valacchia.

Ma se vogliamo intendere appieno la strategia politica del sultano Mehmed IV (1648-1687)21 e, soprattutto, del gran visir della famiglia dei Köprülü, dal sultano fortemente voluto, bisogna compiere un passo indietro, ponendo mente agli anni in cui Matteo 19 Cfr. E. Eickhoff, Venezia, Vienna e i Turchi. Bufera nel Sud-Est europeo, 1645-1700, Milano 1991 (tr. ital. di Idem, Venedig, Wien und die Osmanen. Umbruch in Südosteuropa, 1645-1700, Stoccarda 1988), in particolare le pp. 187-238. Portabandiera dell’indipendenza degli Stati dell’Impero erano l’elettore di Magonza, Johann Philipp von Schömborn, e l’arcivescovo Heinrich Maximilian Wittelsbach, elettore di Colonia. 20 Cfr. Il XVII secolo, 1620-1740. L’Europa dalla Controriforma ai Lumi, a cura di Y.–M. Bercé, A. Molinier, M. Péronnet, Milano 1995, cap. 20. 21 Il sultano si disinteressava degli impegni di governo, risiedendo per lo più a Adrianopoli (Edirne), dove si dedicava prevalentemente alla caccia e all’harem. Fu deposto in seguito ad una congiura di palazzo.

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Bassarab in Valacchia (1632-1654) e Basilio Lupu in Moldavia (1634-1653) avevano assicurato ai loro paesi un periodo di prosperità, stabilità e relativa autonomia dall’Impero Ottomano22. Tuttavia le guerre insorte fra Valacchia e Moldavia dovevano indebolire inesorabilmente i due paesi, mentre in Transilvania veniva sempre più consolidandosi il potere del principe, soprattutto sotto i due Rákóczi, Giorgio I (1630-1648) e Giorgio II (1648-1657). In questo periodo, e più in particolare alla metà degli anni cinquanta del XVII secolo, e quindi in concomitanza con l’elezione del Köprülü, veramente il principe di Transilvania si pose a capo di una alleanza fra Valacchia, Moldavia e Transilvania, che tuttavia non era sancita da alcun trattato ufficiale e che il principe transilvano sfruttava al fine di inserirsi ambiziosamente nella politica internazionale23. Di lì a poco, infatti, Giorgio II accarezzò l’idea di aderire ad una coalizione protestante insieme con la Svezia e il Brandenburgo ai danni della Polonia. Ma Giorgio II, da un lato, sopravvalutava le proprie forze e dall’altro, soprattutto, dimenticava la propria posizione di Stato vassallo della Porta, la quale non gradiva certo, da parte del principe transilvano, iniziative tanto importanti e in così grande autonomia nelle questioni di politica estera24. La Porta, dunque, ritenne deposti i principi dei tre Stati romeni, Giorgio II Rákóczi, in Transilvania, Costantino Şerban Bassarab, in Valacchia, e Giorgio Ştefan, in Moldavia, i quali risposero decidendo di avventurarsi in una guerra che, iniziata nel 1657, ebbe esiti nefasti nei cinque anni successivi25.

Il gran visir, solo il primo di una dinastia di energici funzionari26, approfittando dunque del declino politico della Valacchia e della Moldavia, perseguiva una politica che, innanzitutto, giungesse a ristabilire l’autorità piena del sultano sui territori dell’Impero, compresi gli Stati vassalli –e per questo varò una riforma dell’esercito e delle finanze, e sedò nel sangue le rivolte scoppiate a Costantinopoli– e quindi frustrasse le ambizioni di autonomia della Transilvania. Con la dinastia dei Köprülü, più in generale si inaugurava un nuovo periodo di espansionismo ottomano in Europa27. Ragion per cui l’inasprimento della politica ottomana nei Paesi Romeni (con lo sfruttamento economico e con il ritorno a regni di breve durata, retti da voivoda nominati direttamente dalla Porta) e, in particolare, il rafforzamento del controllo sulla

22 Cfr. Şt. Andreescu, Restitutio Daciae, vol. II, Relaţiile politice dintre Ţara Românească, Moldova şi Transilvania în răstimpul 1601-1659, Bucarest 1989, pp. 135-188; N. Iorga, Istoria românilor, vol. VI, Monarhii, a cura di Şt. Andreescu, Bucarest 2000, passim; e A. Pippidi, Tradiţia politică bizantină în ţările române în secolele XVI-XVIII, 2a edizione, rivista e aggiornata, Bucarest 2001, pp. 293-306. 23 Cfr. V. Motogna, Epoca lui Matei Basarab şi Vasile Lupu, in „Cercetări istorice”, XII-XIV, no. 1-2, 1940, pp. 474-477, pp. 481-483, pp. 505-507; C. Göllner, Gheorghe Rákóczi II (1648-1660), Bucarest 1977, pp. 36-37, passim; N. Stoicescu, Matei Basarab, Bucarest 1988, pp. 138-145. 24 Ibidem, pp. 535-542. 25 Cfr. P. Frygies Sugar, Southeastern Europe under Ottoman Rule, London 1977, cap. 6; A History of Romania, a cura di K. W. Treptow (The Center for Romanian Studies. The Romanian Cultural Foundation), Iassi 1996, passim. 26 Morì nel 1661 e gli successe il figlio Ahmed I. 27 Cfr. C. W. Ingrao, The Habsburg Monarchy, Cambridge 1994, pp. 65-67.

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Transilvania erano funzionali a quel disegno generale28. Perciò il gran visir, già dall’agosto 1657, aveva convinto il sultano a deporre Giorgio II che, il 22 maggio del 1660, finì ucciso in Polonia per mano dei Tartari alleati della Porta, piombando così il suo paese in una situazione disperata, ben lungi da quella di pochi anni prima, quando cioè la Transilvania pareva dotata di una certa autorevolezza in campo internazionale. Ma, soprattutto, la tragica fine di Giorgio II apriva il problema della successione al trono del paese, problema reso ancor più grave dalla politica aggressiva dell’Impero Ottomano.

Per comprendere, dunque, il periodo preso in considerazione dagli avvisi a stampa qui presentati, dobbiamo tenere presente che, all’inizio degli anni Sessanta del XVII secolo, con l’indebolimento dell’autorità del principe nei Paesi Romeni, e con la grave situazione economica in territori nei quali le guerre continuavano da decenni, il potere politico ed economico si concentrava sempre più nelle mani della nobiltà locale, la quale tanto si snervava e si lacerava in lotte intestine da favorire certamente il progressivo consolidamento del controllo ottomano29. Pertanto si assisteva, in Valacchia, alla lotta fra la fazione dei Cantacuzeni, che coagulava le forze della nobiltà locale, e quella dei Băleni, di origine greca, mentre in Moldavia si formavano due partiti, uno che guardava alla Polonia contrapposto all’altro sul quale si appoggiavano le trame politiche della Porta30. In Transilvania, invece, la nobiltà era divisa fra Vienna e Costantinopoli31. E Leopoldo I, che non aveva mai abbandonato l’idea di ristabilire in quei territori un controllo della Casa d’Austria, già durante la guerra intrapresa da Giorgio II contro la Porta aveva appoggiato moralmente il principe transilvano, ma soprattutto dopo la morte del principe transilvano acconsentì, su consiglio del suo primo ministro, conte Johann Ferdinando Portia, Gran maggiordomo di Corte, a soddisfare le richieste della Dieta transilvana, entrando nelle questioni di successione al trono e sostenendo, pur con molta diffidenza, l’elezione di un candidato del partito antiottomano32. In questo clima si determinò, dunque, l’elezione del candidato cattolico Giovanni Kemény, non certamente gradito al Köprülü, il quale, per tutta risposta, ordinò al Pascià di Buda di mettere a ferro

28 Cfr. P. Frygies Sugar, op. cit., p. 122, da cui risulta che, a partire dagli anni Trenta e fino alla fine del secolo XVII, la Moldavia paga alla Porta un tributo che oscilla fra i 25.000 e i 26.000 ducati, mentre la Valacchia raggiunge uno standard invariato di circa 130.000 ducati. 29 Cfr. Storia del popolo romeno, a cura di A. Oţeţea, Roma 1981, pp. 202-203. 30 Cfr. Gh. Platon, Tra gli Imperi Ottomano, Austriaco e Turco (nei secoli XVI-XVIII), in Una storia dei Romeni. Studi critici, coordinatori: S. Fischer–Galaţi, D. C. Giurescu, I.–A. Pop, Cluj-Napoca 2003, pp. 206-207. 31 Il Principato di Transilvania, per quanto tributario della Porta, rispetto all’Ungheria ottomana, alla Moldavia e alla Valacchia godeva di uno statuto speciale. I principi, infatti, erano eletti dalla Dieta, quindi confermati dalla Porta, e in politica estera erano tenuti ad una assoluta fedeltà. Dal 1658 la Transilvania pagava agli Ottomani un tributo di 40.000 ducati, ma il suo territorio non era diviso in feudi, né dipendeva dal Pascià di Buda. 32 Cfr. J. Bérenger, A History of the Habsburg Empire (1273-1700), London 1994, pp. 318-322. Ma il Portia, benché l’Austria fosse oramai irrimediabilmente compromessa in Transilvania, non intravide neppure l’inevitabilità di uno scontro aperto con gli Ottomani, mentre il Köprülü, uomo assai più risoluto, ne era ben cosciente.

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e fuoco la Transilvania insieme con gli alleati Tartari. Leopoldo I, dunque, ritenendosi minacciato anche nei suoi stessi territori, ma nel contempo sentendosi più sicuro per l’apporto delle forze che, dopo la pace di Oliva, poteva smarcare dal conflitto con la Svezia, inviò nel principato un esercito comandato dal Maresciallo Raimondo Montecuccoli il quale, giovane ufficiale nelle truppe dello zio Ernesto, tanto si era distinto durante la guerra dei Trent’anni33.

Dai prodromi del conflitto suddetto, a partire dal febbraio 1661, inizia il reportage dei nostri avvisi veneziani che, quasi in diretta, fotografano una importante riunione avvenuta, a Vienna, nella casa del conte Portia, primo ministro di Leopoldo I (Cfr. Appendice, I, in data 5 febbraio 1661). Qui gli inviati ungheresi vengono ricevuti per ottenere risposta alle loro richieste, già presentate per iscritto, le quali riguardano innanzitutto un maggiore impegno dell’imperatore nella guerra contro gli Ottomani –guerra che deve divenire offensiva e non solo limitarsi a difendere le posizioni acquisite nell’Ungheria superiore– e quindi lo stato delle soldatesche nelle piazzeforti ungheresi, dove non sono inusuali rapine e saccheggi a scapito delle popolazioni locali. Si vuol prevenire, in questo modo, la strumentalizzazione del malcontento popolare da parte di quei nobili che fanno il gioco della fazione filo-ottomana e che sperano di fomentare rivolte contro le truppe imperiali. Tuttavia gli inviati non ottengono risposta soddisfacente per quanto riguarda la prima e più importante delle loro richieste, cioè l’inaugurazione di una fase offensiva nella guerra contro i turchi, in quanto l’imperatore fa rispondere che dovrà prima saggiare le intenzioni del papa, dei principi elettori e degli Stati dell’Impero. Veniamo anche a sapere (Cfr. Appendice, II, 12 febbraio 1661, e III, 19 febbraio 1661) che, con lettere del 3 febbraio, provenienti dalla Transilvania, viene confermata la notizia secondo la quale la Dieta, al posto di Acaţiu Barcsai, che ha rinunciato alla sua carica, il primo del mese ha nominato principe di Transilvania Giovanni Kemény, generale di Giorgio I Rákóczi, e devoto alla Casa d’Austria. Il Kemény, tuttavia, diversamente da quanto si possa pensare, non è ben visto dalla corte asburgica, poiché ha fama di personaggio incostante, e per il fatto di non essere gradito al gran visir per la sua amicizia con i due Rákóczi.

Pare evidente da questi primi avvisi che i problemi per le due controparti sono i medesimi e che la prudenza regna sovrana, sia nelle decisioni di Leopoldo, che scontenta gli inviati ungheresi con la sua politica attendista –ed infatti intuiamo, negli avvisi successivi, le trattative che intercorrono fra l’imperatore, il pontefice e i principi elettori che invocano una Dieta– sia nella strategia della Porta che, da un lato, rassicura la Casa d’Austria dichiarando, tramite un ambasciatore inviato a Vienna, di non voler minacciare direttamente i territori dell’Impero, mentre dall’altro intima ad Alì, comandante della piazza di Varadino (Oradea), di tenere a freno le truppe per non suscitare il malcontento delle popolazioni locali.

33 Cfr. T. Sandonnini, Il generale Raimondo Montecuccoli e la sua famiglia. Note storico-bibliografiche, Modena 1914, passim.

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È importante sottolineare altresì, pur con la dovuta prudenza, l’entità delle forze impiegate da una parte e dall’altra, assai più consistente, almeno negli avvisi veneziani, di quanto non venga riconosciuto di solito dalla storiografia. Si parla, infatti, (Cfr. Appendice, III, 19 febbraio 1661) di un esercito di circa 200 mila soldati da parte turca, i quali potrebbero essere impiegati sia sul fronte transilvano, sia su quello dalmata; mentre da parte austriaca vediamo impegnate, alla fine dell’estate dello stesso anno (Cfr. Appendice, XXVIII, 3 settembre 1661), truppe che, sia sotto il comando del Montecuccoli, sia di provenienza croata, ungherese e transilvana, ascendono al numero di 97.100 soldati, sia fanti che cavalieri.

Comunque (Cfr. Appendice, V, 5 marzo 1661), il pontefice Alessandro VII (Fabio Chigi, senese, 1655-1667) fa sapere a Leopoldo I che l’assisterà, con tutte le sue forze ma prima di tutto finanziariamente, nella guerra contro gli Ottomani, e per giunta invita tutti i principi cattolici a fare altrettanto e a formare una lega con a capo il papa stesso e l’imperatore. Mentre da parte turca (Cfr. Appendice, VI, 12 marzo 1661) la propaganda del gran visir, il quale fa grandi preparativi di guerra in Costantinopoli e in Transilvania si appoggia al partito filo-ottomano, prima attribuisce alle truppe austriache comandate dal generale de Souches la cacciata del Barcsai, non dando peso all’elezione del Kemény da parte della Dieta transilvana, quindi fa sapere all’imperatore che il punto dirimente della questione è proprio l’ingerenza dell’Austria nelle questioni di successione al trono transilvano.

Nell’avviso datato 19 marzo 1661 (Cfr. Appendice, VII), si esprime un sospetto da parte austriaca, che rende ancor più evidente la diffidenza di Leopoldo I nei confronti del Kemény. Basandosi sulla notizia non confermata dell’intercettamento di alcune lettere, nelle quali il Barcsai assicurerebbe ancora la sua devozione al sultano, si ritiene possibile che il Kemény abbia escogitato questo espediente per screditare il Barcsai, suo predecessore, agli occhi dell’imperatore Leopoldo I. Contemporaneamente si dubita del reale appoggio di tutto il paese al Kemény, e si sospetta che, in realtà, la sua elezione sia un pretesto architettato dai turchi per invadere la Transilvania, rea di essersi ribellata dandosi un principe non gradito.

Quale sia il gioco della Porta risulta evidente nell’avviso del 26 marzo 1661 (Cfr. Appendice, VIII), da cui veniamo a sapere che il sultano, tramite il generale Alì, probabilmente il pascià di Buda, ha fatto intimare al Kemény di recarsi a Costantinopoli per la conferma dell’investitura. Dal che si deduce l’inganno, anche troppo scoperto, ordito ai danni del Kemény per imprigionarlo, ma anche per procurarsi, in caso di rifiuto, il pretesto per l’invasione della Transilvania. Dal medesimo avviso, poi, risulta che Costantino Şerban Bassarab, principe di Valacchia dal 1654 al 1658, e voivoda di Moldavia fra il gennaio e il febbraio 1661, avrebbe cacciato Stefano Lupu (principe di Moldavia dal 1659) da quel principato, mentre quest’ultimo avrebbe l’appoggio degli Ottomani e dei Tartari34.

34 Per le lotte di successione al trono moldavo che si ebbero nel 1661, Cfr. C. I. Andreescu, C. A. Stoide, Ştefăniţă Lupu, domn al Moldovei (1659-1661), Bucarest 1938, pp. 57-64.

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Finalmente (Cfr. Appendice, IX, 2 aprile 1661 e X, 9 aprile 1661) si presentano alla Corte imperiale austriaca i rappresentanti del nuovo principe Giovanni Kemény, per informare l’imperatore circa lo stato in cui versano la Transilvania, la Moldavia e la Valacchia, e per presentare alcune richieste confermando la devozione e la lealtà del principe verso l’imperatore, ma soprattutto per ribadire l’interesse del Kemény ad impegnare decisamente l’Austria in una guerra contro la Porta. A questo proposito, da parte degli inviati vengono offerte all’esercito imperiale alcune piazzeforti in territorio transilvano, e quindi si saggia da parte austriaca la reale consistenza di questa offerta, facendola confermare tramite corriere dal Kemény stesso, poiché risulta che agli inviati non sono stati affidati pieni poteri in questa materia. L’occasione per reintegrare i territori transilvani nei confini dell’Impero pare a portata di mano, e il conte Portia, primo ministro di Leopoldo I, si adopera continuamente in riunioni al vertice per organizzare l’esercito e conferire i comandi. È in quest’occasione che viene conferito a Raimondo Montecuccoli il comando supremo delle forze imperiali, e al generale de Souches quello dell’artiglieria. Al tempo stesso si pensa, da parte degli elettori dell’Impero, di indire per tempo una Dieta così da far fronte alla guerra imminente, mentre si dà assicurazione all’imperatore dell’aiuto finanziario (Cfr. Appendice, XIV, 7 maggio 1661). E mentre i turchi (Cfr. Appendice, XI, 16 aprile 1661), per mezzo di un ambasciatore, vogliono indurre la Transilvania a giurare fedeltà al sultano, da parte austriaca si pensa che i preparativi di guerra, le alleanze fra gli Stati cristiani, e insomma la sola esibizione di forza, possano indurre i turchi a firmare un trattato di pace.

Ancora, dall’avviso del 23 aprile 1661 (Cfr. Appendice, XII), risulta chiara la diffidenza di Leopoldo I nei confronti del Kemény. Da costui, infatti, non giunge risposta circa l’offerta dei suoi inviati di ospitare l’esercito austriaco nelle piazzeforti transilvane, e, d’altro canto, giungono notizie di sue macchinazioni con l’ambasciatore turco. Mentre dunque si attendono per settimane notizie dal Kemény, e le condizioni avverse del tempo fanno ristagnare ogni attività militare sul campo (Cfr. Appendice, XV, 14 maggio 1661), giungono notizie da Costantinopoli del fallimento di una presunta trattativa fra il Köprülü e il Kemény, quella cui gli avvisi già avevano accennato, nella quale probabilmente la Porta fingeva di ratificare la nomina del Kemény per poi catturarlo a Costantinopoli. La pretesa irrinunciabile, da parte ottomana, è quella che in Transilvania si elegga un altro principe e che quel principato paghi il tributo dovuto alla Porta, pena l’invasione dell’esercito ottomano e degli alleati Tartari.

Finalmente, dopo l’avviso in cui si informa circa la marcia verso la Transilvania degli eserciti imperiali di Moravia, Slesia e Boemia (Cfr. Appendice, XVII, 28 maggio 1661), nell’avviso del 4 giungo 1661 (Cfr. Appendice, XVIII), fra le altre notizie riguardanti la sorte del Barcsai, minacciato di morte dal Kemény, e le ambascerie turca e tartara, spicca la notizia dell’arrivo di un ambasciatore da parte del Kemény. L’inviato reca il conferimento, tanto atteso dalla corte austriaca, dei pieni poteri a quegli inviati transilvani che, settimane prima, avevano offerto all’esercito imperiale alcune piazzeforti nel territorio del loro principato.

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Ormai la guerra è alle porte: il generale Montecuccoli si trattiene ancora presso la Corte imperiale per gli ultimi preparativi, mentre l’Agà turco non viene rispedito a Costantinopoli, ma trattenuto come ostaggio per prevenire ritorsioni nei confronti dell’ambasciatore austriaco a Costantinopoli. Questi (Cfr. Appendice, XX, 18 giugno 1661) viene convocato dal sultano ottomano perché riferisca all’imperatore il suo ultimatum, che cioè l’Austria cessi di sostenere il Kemény se vuole evitare la guerra.

Nell’avviso del 2 luglio 1661 (Cfr. Appendice, XXI, ma anche XXII, 9 luglio 1661) il Montecuccoli, con 16 mila uomini (mentre il generale Spaar, proveniente dalla Slesia con 22 mila, non si è congiunto col Montecuccoli), nonostante i fiumi in piena risulta in marcia verso il cuore dell’Ungheria, seguendo il corso del Danubio –a queste truppe bisogna aggiungere il contingente inviato nei pressi di Varadino (Oradea), per tenere sotto controllo quella piazza, le truppe di stanza in Transilvania e il numero grandissimo di volontari ungheresi–, mentre dal fronte opposto giungono notizie di ammassamenti di munizioni e di truppe a Belgrado, da cui si prepara l’invasione della Transilvania, comprese quelle di Temesvar (oggi Timişoara). Intanto il Kemény (Cfr. Appendice XXIV, 16 luglio 1661) pare deciso a fermare l’esercito ottomano, comandato dal generale Alì, portandosi al passo detto della Porta di Ferro per bloccare così l’accesso alla Transilvania.

Il sultano, quindi (Cfr. Appendice, XXV, 30 luglio 1661), coglie l’ultima opportunità per offrire la pace all’imperatore, aggiungendo però clausole che sa essere assolutamente inaccettabili. In dispacci provenienti da Costantinopoli, infatti, Mehmed IV ribadisce la propria contrarietà per l’elezione del Kemény, che è deciso a spodestare, e intima all’imperatore, se questi vuole conservare la pace, di non ostacolarlo recando aiuto all’usurpatore. Infine stabilisce che la Transilvania venga retta d’ora in poi da un pascià e che la Dieta perda il diritto di eleggere i principi. Leopoldo I, di contro, venuto a sapere degli ordini, giunti nel frattempo al generale Alì, di penetrare decisamente nel territorio transilvano per congiungersi con gli eserciti moldavo e valacco, ordina risolutamente ai suoi comandanti di correre in aiuto del Kemény al passo della Porta di Ferro, per bloccare la marcia dell’esercito ottomano. Ma il Kemény è stato preceduto. L’avanguardia turca infatti, forte di 18 mila uomini, è già penetrata in territorio transilvano attraverso il medesimo passo. Il Montecuccoli, quindi, dopo aver mandato il generale Sporch a saggiare con la cavalleria le forze del nemico, ripone tutte le sue speranze in una battaglia campale.

Ed ormai gli Ottomani dilagano su tutti i fronti (Cfr. Appendice, XXVI, 20 agosto 1661). Anche il fiume Tibisco (Tisza), nell’Ungheria nord-orientale, è stato attraversato nei pressi del fiume Szamos (in Transilvania, Someş) da truppe congiunte di Ottomani e Tartari, che si fermano a poca distanza da Zathmar (Satu Mare). E, pertanto, da parte austriaca si dà ordine al generale Starhemberg di attestarsi, insieme con le truppe ungheresi, presso l’odierna cittadina di Tokaj, situata sulle rive del medesimo fiume un poco più ad occidente. In questa regione, poco più a nord, lungo le rive del fiume Latorica (affluente del Tibisco-Tisza) e ai confini fra Ungheria, Slovacchia e Ucraina, si attesta il Kemény nella fortezza di Hust, in attesa del Montecuccoli che è in marcia da

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Komárno (presso Budapest) e che si deve congiungere con lo Starhemberg, fermo a Tokaj. Nel frattempo continuano le trattative diplomatiche, in cui le posizioni delle controparti restano le stesse già esposte in altri avvisi (Cfr. Appendice, XXVII, 27 agosto 1661), mentre gli eserciti ottomani compiono scorrerie sul territorio transilvano (Cfr. Appendice, XXVIII, 3 settembre 1661). Il Kemény, da parte sua, oltre ad arroccarsi nelle fortezze di Hust e Munkács, si trincera anche sul fronte diplomatico, adducendo una persuasiva argomentazione: fa sapere infatti che sarebbe disposto a ritirarsi a vita privata, qualora non fosse evidente che la sua cacciata è solo un pretesto da parte dei turchi per attaccare guerra.

Con avviso del giorno 3 settembre 1661 (Cfr. Appendice, XVIII), oltre che di alcune scaramucce, veniamo a sapere anche dell’arrivo del Montecuccoli a Tokaj, dove è avvenuto il congiungimento con le truppe del generale Starhemberg, per cui adesso l’esercito imperiale conta 26.700 uomini, e dove ci si accinge a passare il Tibisco (Tisza) alla volta della vicina Transilvania. Segue nel medesimo avviso un bilancio assai circostanziato dell’intero esercito che, a quella data, si trova teoricamente sotto il comando dell’imperatore Leopoldo I, e che abbiamo detto ascendere al numero di 97.100 uomini fra fanti e cavalieri: quelli rimasti presso Budapest col generale de Souches e quelli sotto il comando del Montecuccoli, compresi i croati (8 mila), gli ungheresi (25 mila nell’Ungheria superiore e 8 mila in quella inferiore) e le truppe del Kemény (11 mila).

Mentre il Montecuccoli marcia assai lentamente verso la Transilvania (Cfr. Appendice, XXIX, 10 settembre 1661), anche a causa dell’artiglieria, si ribadiscono le posizioni diplomatiche fra le controparti, e l’imperatore fa sapere a Costantinopoli che ritirerà le sue truppe se il sultano farà altrettanto e lascerà la Transilvania priva di controllo. Si avanza così una richiesta inaccettabile per il nemico, che riconferma la pretestuosità di tali tentativi da ambedue le parti. Ed intanto, nell’inclemenza della stagione avanzata, continuano i movimenti di truppe e le scaramucce dall’esito assai sanguinoso. Finché non giunge notizia che i due eserciti nemici hanno preso contatto: da un lato il Montecuccoli, congiuntosi con gli ungheresi e con l’esercito del Kemény, dall’altro il generale Alì a capo degli Ottomani e dei Tartari. Il Montecuccoli richiede insistentemente all’imperatore di attaccare senz’altro battaglia, mentre da Vienna giungono soldi per le truppe e ordini per il Montecuccoli e per il de Souches, mentre lo Starhemberg (Cfr. Appendice, XXX, 1 ottobre 1661) risulta passato a miglior vita.

Ricevuti dunque gli ordini da Vienna, la quale evidentemente raccomanda prudenza, il Montecuccoli si riunisce per tre giorni con il suo Stato maggiore, ed infine la risoluzione pare quella di mandare in avanscoperta il Kemény che, con 9 mila cavalieri, si dirige verso Klausemburg (Cluj-Napoca), per saggiare in quel luogo le linee del nemico che si stanno ritirando. Intanto il generale de Souches blocca il nemico sulla linea che da Esztergom giunge a Székesfehérvár, ad occidente di Budapest, compiendo scorrerie oltre Budapest, nel territorio occupato dai turchi. Appreso dunque il buon esito di quelle azioni, il generale Montecuccoli pare deciso ad assediare Varadino (Oradea),

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poiché l’esercito ottomano si sta ritirando dalle posizioni acquisite in Transilvania. L’amaro consuntivo di questi iniziali tafferugli è di 6 mila morti solo fra turchi e Tartari.

Da parte ottomana, dunque (Cfr. Appendice, XXXI, 8 ottobre 1661), vista l’apparente vitalità dell’esercito imperiale che penetra in Transilvania, mentre le truppe turche si ritirano verso il passo della Porta di Ferro, dove sperano di congiungersi con le forze moldave e valacche, Mehmed IV è indeciso fra la guerra aperta all’imperatore e la dissimulazione, poiché già lo preoccupa l’andamento del conflitto sul fronte veneto e l’eventualità della guerra universale contro una lega di eserciti cristiani. Si delinea anche la tattica seguita dal Montecuccoli che penetra sì in Transilvania, ma senza arrischiarsi in campo aperto; che si dà a presidiare le fortezze e gli obiettivi strategici, lasciando al Kemény il compito di tenere a distanza il nemico sul campo. La prudenza della Corte e dell’imperatore va attribuita, fra l’altro, al fatto che gli elettori dell’Impero non sostengono la guerra come si vorrebbe, e pertanto Leopoldo I si decide a riunire la Dieta per il mese di ottobre.

La prudente tattica messa in atto dal Montecuccoli sembra giustificata anche dalle notizie che giungono da Adrianopoli (Cfr. Appendice, XXXII, 15 ottobre 1661), dove si registrano movimenti considerevoli di truppe, e dalla Transilvania, dove il generale Alì ha avuto ordine di resistere, e pertanto ha inviato alla volta di Klausemburg (Cluj-Napoca) un contingente di 25 mila uomini per bloccare l’avanzata del Montecuccoli. Qui l’esercito imperiale e le truppe del Kemény, avendo attaccato il contingente ottomano in arrivo, riportano una schiacciante vittoria che lascia sul campo 6 mila Tartari. Ma la prevista penetrazione delle armi imperiali presso Budapest non ha gli effetti sperati. Il Montecuccoli comunque ritiene ancora di dover assediare il presidio ottomano di Varadino (Oradea) in grave difficoltà a causa della peste, per quanto si tratti di una piazzaforte davvero formidabile, mentre dal canto suo il generale Alì fa sapere che il sultano concederà il suo perdono qualora la Dieta transilvana elegga un altro principe.

Infine, l’esito imprevisto della campagna del 1661 è la ritirata dell’esercito del Montecuccoli dalla Transilvania35, e il disimpegno del de Souches sul fronte ungherese, tattica dovuta non tanto alla possibilità di raggiungere accordi insperati con la Porta (una delle ipotesi contenute nell’avviso), quanto, probabilmente, all’inclemenza della stagione avanzata –ci troviamo infatti alla fine di ottobre (Cfr. Appendice, XXXIII, 22 ottobre 1661)– e alla penuria dei viveri. Impedimenti, questi, che avrebbero messo in grave difficoltà il grosso dell’esercito imperiale, già di molto penetrato in profondità nei territori transilvani anche per la ritirata strategica dell’esercito ottomano. Quella che sembrava dunque un’avanzata fin troppo facile poteva trasformarsi in una disfatta gravissima, per cui, fiutata la trappola, si decide da parte di Leopoldo I di ritirare l’armata, pur lasciando presidiate le piazze più importanti e raggiungendo, così, 35 Si trattò di una ritirata disastrosa, dal momento che le truppe imperiali non furono sostenute dal Kemény, né trovarono di che approvvigionarsi lungo il percorso, a causa delle devastazioni della guerra e per l’ostilità della popolazione locale. Infine il Montecuccoli, con un esercito stremato dalle malattie, fu costretto dagli Stände ungheresi a svernare a Komárno, Cfr. E. Eickhoff, op. cit., pp. 215-216.

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l’obiettivo principale dell’intera campagna. A queste considerazioni si deve aggiungere il fatto che l’imperatore non si fida fino in fondo degli ungheresi, ma neppure può contare sull’aiuto di altri eserciti cristiani, oppure su quello degli elettori dell’Impero, i quali attendono ancora che si riunisca la Dieta. Di fronte alla ritirata dell’esercito asburgico, il sultano naturalmente dà ordine alle sue truppe di non ostacolarla attaccando le retroguardie, quindi fa congedare i Tartari e acquartierare per l’inverno l’armata del generale Alì. Sfrutta inoltre la situazione sul fronte diplomatico, mostrandosi incline ad ogni intesa con la Corte di Vienna, ma nominando, da parte sua, un nuovo principe nella persona di Michele Apaffi I.

Qui termina la testimonianza offerta dagli avvisi a stampa del codice Magliabechiano XXV, 740, con il consuntivo della campagna del 1661, in cui l’imperatore ha perduto circa 2 mila uomini in battaglia e altrettanti per le malattie, mentre la situazione in Transilvania rimane assolutamente incerta, sia per il fatto che vi si trattiene un esercito ottomano composto da circa 40 mila uomini, sia perché non è possibile prevedere a chi, se al Kemény o all’Apaffi, saranno fedeli i transilvani.

Il quadro fin qui delineato permette, fra le altre, due considerazioni. Innanzitutto, mentre da ambedue le parti si prende a pretesto l’elezione del Kemény per estendere la propria influenza sulla Transilvania, oppure per rafforzarla, emerge l’estrema prudenza di cui i contendenti si avvalgono nel condurre la campagna del 1661. Da parte austriaca si teme la reazione dell’esercito ottomano, in un teatro di guerra irto di pericoli e inconvenienti di ogni genere, non ultimi quelli logistici, e nel contempo si diffida sia dell’alleato ungherese che del Kemény stesso; ma altresì si è coscienti della difficoltà di coinvolgere in una guerra aperta almeno gli elettori dell’Impero, se non qualche altro alleato in campo cristiano. Il sultano, d’altronde, pur potendo contare in Transilvania su di un forte partito filo-ottomano, e avendo tutto da guadagnare di fronte ad un possibile „ravvedimento” della nobiltà transilvana, condivide con Leopoldo I la preoccupazione per i pericoli di massima insiti in una guerra aperta, ma in particolare teme la saldatura fra gli interessi degli Asburgo e quelli del Papa o di altri eventuali alleati cristiani, tenendo di conto anche del conflitto che ha in atto con Venezia. Timori non certo infondati, dal momento che, quindici anni dopo la guerra di Candia, il 24 maggio 1684, la Serenissima sottoscriverà con l’imperatore e la Polonia la Sacra Lega contro gli Ottomani, patrocinata dal pontefice Innocenzo XI.

In secondo luogo, nonostante il fatto che la nostra fonte confermi la prudenza e, diremo, la scarsità dei risultati raggiunti in questa campagna, soprattutto per le armi asburgiche, si registra sul teatro di guerra l’impiego di notevoli mezzi e forze, impegnate anche a saggiare la reale consistenza militare del nemico, da parte austriaca, oppure ad attirarlo in una trappola, come nel caso della ritirata strategica dell’esercito ottomano. E si nota altresì un impiego di queste forze in piccole scaramucce, scorrerie, essenzialmente azioni dimostrative che, però, a fronte degli scarsi risultati ottenuti,

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esibiscono un costo in vite umane assai alto36. A questo proposito, bisogna pur tenere di conto del genere di fonte che stiamo analizzando, per cui rimandiamo al giudizio che abbiamo dato nelle pagine precedenti.

Resta da ricapitolare, così come è delineato nella nostra fonte, il percorso compiuto dall’esercito imperiale nella sua marcia verso i territori dell’Ungheria prima, e della Transilvania poi37. Lasciata Vienna, il 2 luglio 1661 il generale Montecuccoli si trova con un esercito di circa 16 mila uomini nei pressi di Neuhäusel (oggi in Slovacchia), quindi si dirige verso la città di Komárno (in territorio ungherese, poco a occidente di Budapest), raggiungendo così il confine con i territori occupati dagli Ottomani. A Komárno il Montecuccoli risulta giunto il 16 luglio, e qui si riunisce con le truppe del Vescovo di Münster, senza però essersi congiunto con i 22 mila uomini che, sotto il comando del generale Spaar, provengono dalla Slesia. A Komárno il generale Montecuccoli attraversa il Danubio, fermandosi però su un’ampia isola che offre ricovero alle truppe, e manda in avanscoperta il colonnello Tasso con 1.800 fanti per prevenire la presa di Zathmar (il distretto di Satu Mare in Romania, Szabolcs-Szatmár in Ungheria) da parte delle soldatesche ottomane di Varadino (Oradea). Alla fine del mese gli Ottomani varcano il passo della Porta di Ferro e penetrano nella Transilvania da sud-ovest, prevenendo il Kemény e lo stesso Montecuccoli. Questi invia il generale Sporch e la cavalleria a saggiare le avanguardie ottomane, mentre egli stesso, costeggiando il confine con i territori della Porta, si avvia verso la cittadina di Tokaj, posta sulle rive del fiume Tibisco (Tisza) nella regione nord-occidentale dell’Ungheria, al fine di congiungersi con lo Starhemberg e col Kemény, e lascia a capo della piazza di Komárno il generale de Souches. Il 3 di settembre il Montecuccoli giunge a Tokaj, da dove pensa di marciare verso sud sulla vicina Transilvania, quindi il 10 dello stesso mese risulta congiunto col Kemény e con le truppe ungheresi. Il 1 di ottobre, finalmente, il Montecuccoli giunge in vista dell’esercito ottomano, comandato dal generale Alì, a poca distanza da Varadino (Oradea), e pensa di spostarsi a Komor, ma i turchi si ritirano verso il passo della Porta di Ferro, ed il 15 di ottobre l’armata del Montecuccoli si porta fino a Koloszvár (Klausemburg, Cluj-Napoca). Infine, alla data del 22 ottobre, le armate imperiali risultano in fase di ritirata dalla Transilvania, in cui il Montecuccoli lascia presidiate per l’inverno le maggiori piazzeforti38.

36 Cfr. C. W. Ingrao, op. cit., p. 66, in cui l’autore parla di soli 15.000 uomini al comando del Montecuccoli, impiegati in semplici azioni dimostrative; mentre J. Berénger, op. cit., p. 321, ritiene disastrosa la campagna del 1661, per il fatto che le truppe imperiali furono decimate dalla dissenteria e quindi furono in pochi a raggiungere le piazzeforti transilvane. 37 Il Montecuccoli, partendo da Komárno, avrebbe voluto procedere in direzione di Budapest, fin nel cuore dell’Ungheria e quindi, probabilmente, puntare sulla Transilvania, ma da Vienna gli giunse l’ordine di compiere la lunga marcia che è descritta nei nostri avvisi, arrivando in Transilvania solo dopo che Alì, pascià di Buda, aveva messo a ferro e fuoco il Maramureş e la regione di Munkács, Cfr. E. Eickhoff, op. cit., p. 215. 38 Cioè Kolozsvár (romeno: Cluj-Napoca), Székelyhid, Szamos-Ujvár e Kövár; Cfr. E. Eickhoff, op. cit., p. 215.

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APPENDICE

[avvisi a stampa estratti dal Cod. Magliabechiano XXV, 740 (Med. Palat. 767), della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze]

I

Venezia, li 5 di febbraio 1661

[p. 1v] Vienna. Giovedì mattina. Tennero li SS. Unghari una lunga conferenza con questi Primi Ministri Cesarei in casa del Signor Conte di Porzia39, nella quale ebbero per risposta alla loro lunga scrittura, che Sua Maestà averebbe in benigna considerazione tutto quello che in essa avevano rappresentato circa il far la guerra offensiva al Turco, o starsene su la difensiva per dar poi l’ultima risoluzione, quando averà sentito quello si possi prometter dal Papa, dalli SS. Elettori, Principi, e Stati dell’Imperio. Che intanto aveva stimato bene di portar qualche sollievo alli Comitati dell’Ungheria superiore col far una miglior ripartita di quella soldatesca riducendola tutta nelle Piazze più principali con ordini rigorosissimi di non lasciarli uscir con alcuna sorte d’armi, e ciò per ovviare alle rapine, e danni, che da’ medesimi venivano causati a’ Paesani, con che sperano d’acquistar quella Nobiltà, e farla soportar quelle Milizie fin ad altra risoluzione.

Fu spedito alli passati verso quella parte il Colonnello Riffer, Commissario Generale dell’Armata, con 100 mila fiorini contanti, 8 mila abiti, stivali, et altro per quella soldatesca, avendo avuto ordine di visitar la maggior parte di quelle Piazze, nelle quali dovrà esser ripartita quella gente.

Con tutte queste cose si sono dichiarati la maggior parte di questi SS. Unghari di partir poco soddisfatti, e detto giorno se ne partì verso il suo Governo di Croazia il Conte d’Isdrino40, e verso Possonia41 Monsignor Arcivescovo di Strigonia42 con altri SS., e domani farà l’istesso il Signor Palatino con tutti l’altri, dicendosi che in Possonia dovranno di nuovo convocarsi per parteciparsi li Stati di ciò che hanno riportato di qua.

II

Venezia, li 12 di febbraio 1661

[p. 5] S’è in questi giorni confermato con lettere di Transilvania de’ 3 l’avviso, ch’ebbero li SS. Ungari prima della loro partenza di qua, e che pubblicorno, ma non se gli voleva credere, che gli

39 Il conte Johann Ferdinand Portia. Fu il Portia, uomo insicuro e non all’altezza del suo compito, ad essere insignito della funzione di Gran Maggiordomo di Corte, ossia di primo consigliere dell’imperatore Leopoldo I, che lo preferì al principe Auersperg. Fra gli altri consiglieri di Leopoldo, dopo la morte del vicecancelliere conte Ferdinando Kurtz, vi erano oltre all’Auersperg i conti Maximilian Lamberg, Johann Adolf von Schwarzenberg e il principe Venceslao Wenzer Eusebio von Lobkowitz. 40 Miklós Zrinyi, signore della contea di Sdrin (1620-1664), in Croazia. 41 Bratislava (ungherese: Pozsony; tedesco: Pressburgh), odierna capitale della Slovacchia. 42 Gran.

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Stati di Transilvania nell’ultimo giorno della loro convocazione, veduto che il Berciaj43 diceva da dovero di voler rinunziare il Principato per ritirarsi a vita privata, avessero eletto per lor nuovo Principe Iona Chiminy44, quello che fu General del Ragozzi45; egli medesimo n’ha dato parte al Signor Palatino promettendogli ogni buona, e sincera corrispondenza; promette inoltre di volere in breve inviar un suo Ministro all’Imperatore per assicurarlo della sua umilissima divozione, e fedeltà, con tutto questo non pare che la Corte resti molto soddisfatta, perché lo stima d’umor altiero e vago di novità, e perché crede anco affermativamente che non sia per esser approvato dalla Porta sapendo bene ch’egli et il figliuol46 del Ragozzi sono prescritti irreconciliabili del Primo Visir47.

Le truppe alemanne che sono a quartiere nell’Ungheria superiore stavano con ansietà grandissima attendendo il Riffer con li accennati 100 mila fiorini, abiti e stivali, poiché non avevano con che sostentarsi, essendo trattati malissimo dalli Ungari [...].

III

Venezia, li 19 di febbraio 1661

[p. 7] Dall’Ungheria superiore abbiamo la confermazione, che il Berciaj si sia ritirato a vita privata, e che il primo del caduto mese fusse eletto per [p. 7v] nuovo Principe Ionas Chiminy, quale avesse già destinato due Nobili di quella Nazione per venir in questa Corte ad assicurar Sua Maestà Cesarea della sua divozione, e fede, e ricercare valide assistenze contro il Turco, mentre non volesse approvare la sua elezione [...]. [p. 8] Per via di Ragusi aviamo lettere, che confermano l’elezione fatta dalla Porta del Chiaus Mamet Chialì per spedirlo a Vienna all’Imperatore a rappresentargli, e sincerarlo, che non è stata già mai mente del Gran Turco48 l’invadere con le sue armi li Stati di Sua Maestà Cesarea, anzi assicurarla della continuata sua buona amicizia, portando seco bellissimi regali di Aironi, Sorbetti, et altre galanterie da presentare a Sua Maestà, et a’ suoi Ministri. Teneva il suddetto Chiaus ordini segreti, e sigillati per consegnarli in mano propria d’Aly49 Comandante a Varadino50, ove detto Chiaus dovea prima passare, che a Vienna; e penetravasi, che li suddetti ordini fussero esprèssivi per tener le Milizie Turchesche ne’ dovuti termini, affine di non travagliar li Paesani dell’Ongaria Imperiale.

Pubblicava al solito in Costantinopoli, che il Gran Turco averà nella prossima Campagna in Mare circa 200 Vele pronte, et in terra forze considerabili ascendenti a circa 200 mila soldati, 50 mila de’ quali destinati contro la Dalmazia, altri 50 mila per proseguir le vittorie in Transilvania, e 100 mila altri ad un’impresa non penetrata.

Non si spaventano però questi SS., anzi col loro solito accorgimento vanno provedendo il necessario per una valida difesa, e render vano ogni barbaro disegno del Nemico [...]. 43 Acaţiu Barcsai, principe di Transilvania (1658-1660) 44 Giovanni Kemény, principe di Transilvania (1661-1662). 45 Giorgio Rákóczi I, principe di Transilvania (1630-1648). 46 Giorgio Rákóczi II, principe di Transilvania (1648-1657). 47 Ahmed Köprǔlü, gran visir della Porta ottomana. 48 Il sultano Mehmed IV (1648-1687). 49 Köse Aly Pascià, governatore di Warad. Ma l’Alì nominato d’ora in avanti nei nostri avvisi è, probabilmente, il Pascià di Buda che aveva il comando supremo nelle operazioni di guerra. 50 L’odierna città romena di Oradea (ungherese: Nagyvarad; turco: Warad; tedesco: Grosswardein).

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IV

Venezia, li 26 di febbraio 1661

[p. 10] Vienna. È giunto qui da Possonia il Signor Palatino per sollecitare le risoluzioni di Sua Maestà intorno alla Guerra contro il Turco tutto, che pubblichi egli d’esser venuto per suoi particolari affari.

È certo però che resterà sospesa ogni deliberazione, sin’a tanto che come si disse, si sappia quello, che averà negoziato il Signor Marchese Mattei col Pontefice sopra li aiuti ricercati, e ciò che si possa compromettere dalli Elettori, e Principi dell’Imperio.

Questi desiderarebbero una Dieta, ma non si sa in che forma possino restar consolati mentre viene stimata troppo necessaria la vicinanza all’Ungharia della persona di Sua Maestà in queste congiunture. [p. 10v] Da diverse parti d’Ungharia si ha la confermazione, che a Belgrado siano arrivati con il Generale Aly Bassà per cominciare a disporre le cose per la futura Campagna, e che per ordine de’ medesimi avessero li Villani di quei Confini bloccato il forte Castello di Rechellid ne’ 2 Comitati situati tra Varadino e Zachmar51 [...].

V

Venezia, li 5 di marzo 1661

[p. 13] Vienna. Lunedì notte comparve a questo Monsignor Nunzio di Roma Corriero con dispacci del Papa52 per l’Imperatore, con li quali si dichiara voler con tutte le forze possibili assisterlo nella guerra contro il Turco invitando tutti li Principi Cattolici a far l’istesso, e collegarsi con Sua Maestà e seco esibendosi Capo della Lega.

Ha spedito a tale effetto Corrieri da per tutto, pregando le teste Coronate, e Principi a mandare a Roma i loro Plenipotenziarij per trattarla, e concluderla con la maggiore celerità possibile. Promette inoltre a Sua Maestà di provederla quanto prima d’una buona somma di contante per suplire a queste prime, volendo cavare il danaro dall’entrate de’ soli Ecclesiastici d’Italia. [p. 13v] Con queste esibizioni Monsignor Nunzio si portò da Sua Maestà che l’aggradì molto, e ne ringraziò la Santità Sua anco con lettere. Adesso se ne starà attendendo gl’effetti, e che risoluzione doveranno pigliare questi SS. Ministri già che s’avanza la stagione.

Li Turchi si rinforzano alla gagliarda verso Belgrado dando voce di voler formar tre Corpi d’Eserciti senza lasciarsi però intendere per dove, ma gl’Ungari asseriscono, che hanno da servire per impossessarsi totalmente della Transilvania, e che ben presto gli riuscirà se il Chimin Janos nuovo Principe non sarà assistito.

Tre giorni sono publicò, che il Castello di Zecheld fusse stato preso da quei Villani, che d’ordine del Turco lo bloccavano, ma pare non ve ne sia certezza, anzi che per le continue pioggie s’erano rese quelle Campagne così impraticabili che avessero dovuto detti Villani di solo sloggiare. Si parla similmente, che alcune Campagnie [sic] d’Ali Bassà abbi occupato una Piazza

51 L’odierna provincia romena di Satu Mare (ungherese: Szabolcs-Szatmár), detta negli avvisi anche Zatmar. 52 Alessandro VII (il senese Fabio Chigi, 1655-1667).

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di qualche considerazione a’ confini di Transilvania verso Polonia, ma non se ne può dir con certezza.

Ha risoluto Sua Maestà di reclutare tutti li suoi Reggimenti, riducendo quelli d’Infanteria a 3 mila effettivi, e di Cavalleria a mille, che compiti averà da mettere in Campagna 40 mila combattenti [...].

Venezia. Cominciando li Turchi a prevedere una potente guerra contro di loro nell’Ungaria andavano pensando alla propria difesa, e per non essere soprafatti da fiere invasioni attendevano ad ingrossarsi dalla parte di Belgrado, come luogo opportuno a fare l’ammasso di tutte le sue forze, con le quali però pubblicano di voler danneggiar la Dalmazia, tutto che si sappia che nudrischino li loro disegni sopra la Transilvania hora massime, che hanno la maggior parte de’ Contadini alla sua devozione, che all’incontro ricusano per Principe il nuovo Chimin Janos col pretesto d’esser troppo angariati, e per segno del loro malanimo facevano prigioni molti nobili Unghari e Transilvani, e poscia per cavar danaro li vendevano al Turco, quale promettendo alli predetti assai larghe condizioni, veniva a stabilirsi maggiormente nel suo partito, sì che a poco a poco si va dilatando, e con l’acquisto di Varadino aveva guadagnato 4 mila Villaggi con più di 200 mila abitanti senza minima resistenza, e difesa.

VI

Venezia, li 12 di marzo 1661

[p. 15v] Mentre qui venivano desiderate le lettere di Costantinopoli, e che cominciava a parer strano a questi Ministri di non veder ritornare di colà il Corriero, che vi fu spedito li 10 Dicembre; comparve finalmente questo martedì mattina con dispacci di quel Residente Cesario del 28 passato, con le quali ragguaglia l’Imperatore d’esser stato molto ben visto dal Primo Visir quando la [sic] fatto constar la falsità della voce sparsasi da’ Transilvani, che il General Susa53 avesse fatto invasione in quel Pase [sic] per istallarvi Ionas Chiminy, e scacciare il Berciay; che dal medesimo supremo Visir li fusse stato ratificato, che mentre Sua Maestà non s’ingerisca nell’interessi di quella Provincia averebbe il Gran Signore conservato religiosamente la Pace con Sua Maestà, non protendendo [sic] la Porta d’avvantaggio.

Sono però grandi li preparamenti, che si fanno Militari in Constantinopoli, e perché non si parlava della restituzione di Varadino, né di Ionas Chiminy, non mostrando li Turchi saper cosa alcuna, che li Stati di Transilvania l’avessero eletto per loro Principe, dà la cosa molto da pensare a questi SS. dubitando, che il Primo Visir inganni al solito. [p. 16] Si seguiteranno perciò ancor qua li preparamenti Militari, e li negoziati col Papa, e con li SS. Elettori, e Principi dell’Imperio per non esser colti all’improvviso, essendosi spedito giovedì Corriere a Roma con le partecipazioni a Sua Beatitudine del contenuto di questi dispacci a Constantinopoli.

53 Probabilmente Ludwig Ratuit de Souches.

Gianluca Masi 254

VII

Venezia, li 19 di marzo 1661

[p. 20] Con li 2 personaggi, che Ionas Chiminy, nuovo Principe di Transilvania, ha inviato all’Imperatore per darli parte della sua elezione, e dimandare assistenza da potersi mantener con tutti quei Stati fedeli a Sua Maestà, dicono vi sia anco un Padre Francescano mandato dalli Circoli per esprimer l’istesso, et assicurar Sua Maestà che mediante li suoi potenti soccorsi libereràsi dalla necessità di darsi totalmente al voler delli Ottomani; si trovano in Possonia, e saranno qui mercordì, mentre la Sua Maestà gli lo permette, e viene anco con loro il Signor Palatino. Hanno li medesimi scritto tener avviso dal loro Principe, che siano state intercette [sic] lettere del Berciay al Gran Signore attinenti la sua continua divozione verso al Porta, e che vi sono in quella Provincia 2 persone osservanti, e bene affette agl’interessi della medesima; può anco esser che siano invenzioni del Chiminy per render qui odioso quel nome. Quanto più si considera il tenore dell’ultime lettere di Constantinopoli, più si dubita d’inganno non essendo verisimile, che per tutti li Stati della Transilvania avessero fatto del nuovo Principe li 30 dicembre, ma che lo dissimulasse per tirare avanti sin che la stagione sii migliore per uscir in Campagna, e poi col pretesto di voler castigar la temerità del Chiminy, e di quei Popoli, che l’hanno eletto, e metter colà un Armata considerabile, e fare come l’anno passato.

A tutti questi SS. Colonnelli, che hanno li loro Reggimenti, si è dato danaro per reclutarli conforme lo stabilito, e di giorno in giorno partiranno per li loro quartieri a metter ciò in esecuzione, si daranno anco patenti per far levate di 3 Reggimenti d’Infanteria ciascheduno di 3 mila huomini, ma perché si vuole, che si obblighino d’averli composti per tutto il mese di maggio, non si trova, chi voglia accettar la carica di leva con questa condizione per dubbio di non poterla adempire.

Per supplire a tante necessarie spese, si va pensando a nuove imposizioni, si metterà una tassa personale, si scemerà la libbra di carne dandone 2 lotti al Principe, et il braccio d’ogni sorte di robe di lino, lana, e seta, se gli darà il sedicesimo, si come per la macinatura di un muto [sic] di grano, e segalla, e pagherà un ducato d’oro.

VIII

Venezia, li 26 di marzo 1661

[p. 23v] Vienna. Sabbato passato comparve qui Corriero di Costantinopoli con li dispacci del 20 febbraio di quel Signor Residente, ch’avvisa con quanto sdegno avesse la Porta sentito l’elezione del Chiminy per Principe di Transilvania all’esclusione del Berciay, e che sdegnato il Gran Signore et il Primo Visir avessero risoluto di far venir il detto nuovo Principe a Belgrado, ordinando al Generale Alì di darli l’Investitura, e Stendardo, ogni volta che pagherà il decorso tributo, e li 500 mila fiorini per le spese della Guerra, credendo, che il Chiminy non dovesse intender il gergo, e la trappola, che li tendeva per averlo nelle mani, mutò nondimeno il Gran Signore questa risoluzione, facendo comandare al detto Alì d’intimar al Chiminy di dover andar col Figlio del Ragozzi a Costantinopoli per ricever dal Gran Signore la confermazione, e quando non avesse ubbidito si sarebbe fatto provar a lui, et a quei Popoli a che segno fusse giunta l’indignazione del Gran Signore contro di loro.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 255

Verso l’Imperatore poi continuavano nelle preteste [sic], solo che mentre non s’ingerisca nelli affari di quella Provincia averebbe inviolabile la pace.

Era comparso a Costantinopoli l’avviso, che Costantino54 già Vaivoda [sic] di Moldavia fusse rientrato in quella Provincia scacciatone il Lupolo55 regnante; ma che li Turchi stimassero ciò fuoco di paglia, per gli ordini ch’avevano dati alli Tartari, et Alì Bassà di Silistria [sic] d’opprimerlo, e sostener il Lupolo [...].

Sopra questi avvisi si son tenute da questi SS. Ministri diverse conferenze, si come l’istanze delli Stati, e Principe di Transilvania avendo chiamato d’Ungheria il Signor Palatino, e communicato il tutto a quei Stati per sentire il parer loro.

Stima che l’istesso si farà con li Principi dell’Imperio, da’ quali vien proposto per Generale di quell’Armata, che metteranno insieme il Principe Hanalt56; per implorare a dunque in quest’importantissima risoluzione la Divina assistenza si è ordinato in 3 di queste Chiese parrocchiali l’esposizione del Santissimo, et in pochi giorni si sentirà quello averà da esser, perché non si possono questi SS. fidare del Turco, e la stagione s’avanza, e si può quasi dir, che siamo alla nuova Campagna.

IX

Venezia, li 2 di aprile 1661

[p. 26] Vienna. Comparvero finalmente martedì passato a questa Corte gl’inviati dalli Stati della Transilvania, e dal nuovo Principe Chimin Janos, quali il giorno seguente ebbero dall’Imperatore benigna audienza, in cui rappresentarono non solo lo stato presente di quella Proaincia [sic], ma anche della Moldavia, e Valacchia, domandorono protezione con promessa di voler vivere sempre fedeli alla Maestà Sua, alla quale presentarono di più una scrittura contenente alquanti punti, ricercando esser benignamente esauditi, e di riceverne quanto prima una categorica risposta.

Dopo l’arrivo de’ predetti SS. inviati, hanno scritto da Cassovia57, che quei Villani, li quali alle settimane passate per comandamento d’Alì Bassà, assediarono il forte Castello di Rechellid, e per l’inondazione dell’acque furono necessitati di passar in Campagna, et occupato improvvisamente un posto vicino al sopradetto, ma non facendo menzione del nome, bisogna credere che sia menzogna degli Ungheri, che sanno inventare delle nuove per indurre questa parte alla guerra contro il Turco la qual pare, che non si possi più evitare, sapendosi che gl’Ottomani cominciano ad’ammassarsi in molti luoghi de’ confini, nonostante che dalla Porta vengono reiterati avvisi, come voglia il Gran Signore coll’Imperatore conservar la pace, ma qui non fidandosi si continuavano li preparamenti militari, essendo a SS. Offiziali stato sborsato il contante per reclutar li loro Reggimenti, e di giorno in giorno si attende, che si cominci a batter la cassa per le nuove levate.

54 Costantino Şerban Bassarab, già principe di Valacchia (1654-1658), conquistò per breve tempo il trono di Moldavia (gennaio-febbraio 1661). 55 Stefano Lupu, principe di Moldavia (1659-1661), figlio di Basilio Lupu, già principe moldavo (1634-1653). 56 Johann Georg II, principe di Anhalt-Dessau. 57 L’odierna città slovacca di Košice (tedesco: Kaschau; ungherese: Koszyce; romeno: Caşovia).

Gianluca Masi 256

X

Venezia, li 9 di aprile 1661

[p. 28] Vienna. Con la scrittura, che li Ablegati delli Stati di Transilvania presentarno a Sua Maestà, supplicandola a dichiararsegli benignissimo Protettore, per non avere a sentire l’ultima lor perdizione, offersero d’assicurar la Maestà Sua della lor fede nella miglior forma, che le fusse piaciuto, etiandio di ricever presidio Cesareo in alcune di quelle Piazze principali. E perché non pare a questi SS. Ministri di dover [p. 28v] senza questa sicurezza venire ad alcuna risoluzione, hanno ricercato alli Ablegati, che mostrar devino con che fondamento faccino questa offerta, e trovato, che non hanno in ciò, ch’una semplice instruzione, sul principio della decorsa spedirono Corriero al lor Principe, et alli Stati per far venire un’ampla plenipotenza di poter concluder il trattato, partecipando alli medesimi Stati, et al Principe la buona disposizione, che hanno incontrato in Sua Maestà in volerli proteggere, mentre possa esser bene assicurata della lor costanza; e se compariranno le risposte in conformità viene stimato da tutti, subito si spediranno ordini a parte di quelle truppe, che sono a quartiere ne’ Comitati si faranno passar nelle Piazze di Transilvania, e l’Armata acquartierata in questi Stati avanzarsi in Ungheria, mettendosi in una, e buona sicura difesa.

Sì come l’affare è importantissimo, e vi si ricercano moltissime circostanze, tanto nel mantenimento d’Armata così potente, come de’ supremi Offiziali, che comandar colà devono, si tengono giornalmente conferenze appresso il Signor Principe di Portia riferendosi a Sua Maestà quel tanto in esse si va maturando, essendosi comandato a tutti li Colonnelli, e Offiziali di andarsene a’ loro Reggimenti per star pronti alla marchia ogni volta, che li sia comandato; ma stimarsi non possi seguir, che dopo Pasqua, e che presentendo il Turco le forze che averà usare a quei confini non abbi a procurar la rottura. Giunse qua giovedì Monsignor Arcivescovo di Strigonia, et oggi si attendono altri Primati di quel Regno, per sentir in questa grave risoluzione il parer loro.

Al Signor Conte Montecuccoli58 si è conferito il comando di questo esercito in qualità di Marescialle del Campo Generale, et il Susa Generale del cannone.

Non recedono li Principi, et Elettori dell’Imperio dell’istanze, che la Maestà Sua debbi intimar il tempo per una Dieta, ben che si debba andar avanti un anno, e non si sa quello si sia per risolvere. [p. 29] Viene confermata dall’Ungheria la presa fatta da’ Turchi del Castello di S. Giob [sic]; ma non già Rechelire [sic], mentre il Principe di Transilvania Chiminy li mandò incontro 17 insegne delle sue genti, e li fece ritirare dalla marchia intrapresa con li scritti 13 cannoni, ma l’avvantaggio loro è l’aver tanti Contadini ribelli, che per goder privilegi aderiscono totalmente al Turco, e sono così contrarj al suddetto Principe, che in occasione d’aver sorpreso alcune sue truppe, e fatti diversi

58 Raimondo Montecuccoli (Frignano, Modena 1609–Linz 1680), discendente di una nobile famiglia di origini ferraresi, entrò giovanissimo come semplice soldato nell’esercito degli Asburgo distinguendosi, sotto la bandiera dello zio Ernesto, nella guerra dei Trent’anni. Uomo coltissimo ed abile politico, durante i tre anni di prigionia in Svezia studiò a fondo i segreti dell’arte militare, e fu assai legato alla regina Cristina di Svezia, quindi divenne comandante generale dell’armata imperiale durante le successive campagne contro gli Ottomani, nelle quali amava paragonarsi a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore. Fu principe del Sacro Romano Impero Germanico, Presidente del Consiglio di guerra palatino e Cavaliere del Vello d’Oro.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 257

prigioni, gli trattarono con indicibili barbarie, facendone alcuni abbruciare, altri impalare, ed altri impiccare.

XI

Venezia, li 16 di aprile 1661

[p. 31v] Non essendo fin ora ritornato di Transilvania quel Corriero, che vi fu spedito da questi Ablegati per ottener un’ampla plenipotenza sopra la conclusione di quanto trattano con Sua Maestà Cesarea non esce per ancora alla luce alcuna categorica risoluzione; benché si dichi essersi la Maestà Sua contentata di proteger quella Provincia, e la libera elezione del Principe, mentre in alcune di quelle Piazze sia ricevuto il suo presidio.

Mentre adunque s’attendono queste risposte si tengono spesse conferenze appresso il Signor Conte di Porzia, per dispor tutte le cose necessarie con maturo consiglio, continuandosi la provvisione di gran quantità di formenti, e di monizioni da guerra, oltre quello che promettono di contribuire li SS. Ungari, la maggior parte de’ quali si mostrano contentissimi delle presenti deliberazioni.

A tutti li Reggimenti s’è comandato a tenersi pronti per marchiare quando li sarà comandato; e dato ordine di levar per questi Stati circa mille huomini, riservando a batter la cassa a maggiori bisogni.

Col ritorno del Corriere di Transilvania si sentirà quello abbino risoluto li Stati nella loro Dieta, e come abbino spedito quel Chiaus Turco, ch’era colà comparso per far giurar fedeltà da’ medesimi Stati al Gran Signore.

La comune opinione di questi SS. della Corte è, che sentendo il Turco le leghe, che si trattano tra li Principi Cristiani, e l’armi, che si spingeranno a quelle frontiere, e l’offerta de’ Transilvani, devino pensar bene a’ casi loro, e procurare di proseguir la pace per mezzo di qualche trattato.

XII

Venezia, li 23 di aprile 1661

[p. 35v] Il Costantino, già Vaivoda di Moldavia, che coll’assistenza d’alquanti 1.000 Cosacchi ritornò in quella Provincia per scacciare il regnante, era stato dal Bassà di Silistria59 rotto, e fugato fino a’ confini di Polonia, et egli si era ritirato nella Fortezza di Cominietz60 non senza pericolo, che il Turco col pretetso di voler un suo ribello tenti colà qualche cosa [...].

Con quanta celerità si fece spedir da questi Ablegati di Transilvania quel Corriero al Chiminy ricercando da lui, e dalli Stati una Plenipotenza per poter terminare con Sua Maestà Cesarea li loro negoziati ridotti a buonissimo termine, con altretanta fredezza si scorge in coloro l’animo d’esequirlo, mentre fin’hora non è tornato detto Corriero, né per la posta ordinaria hanno inviato quello se gli ricercava.

59 La città bulgara di Silistra, sulla riva meridionale del Danubio, sede di un distretto amministrativo e militare ottomano capeggiato da un pascià. 60 La fortezza polacca di Kamenec (romeno: Cameniţa).

Gianluca Masi 258

Accusano la ricevuta delle lettere di questi Ablegati, e mostrano di non intender quello, che sii una Plenipotenza Generale, volendo saper più precisamente quello abbi da servir detta Plenipotenza.

Con dette lettere si tiene avviso, che il Chiminy avesse rispedito il Chiaus Turco, e seco inviato ad Aly Bassà uno de’ suoi Ministri con ordine di passar fin’a Constantinopoli bisognando, e perché ancor si sa, che detto Chiaus è partito ben regalato, e molto contento, si sospetta di qualche machinazione, sapendosi quanto poco si possi fidare la Corte di questa Nazione.

Fu anco spedito verso Minster61 il Sargente Generale di Battaglia Spich [sic], per condur in qua la maggior parte di quella gente, e forse dovrà far appresso una levata di 2 mila huomini, et il Palatino d’Ungheria doveva assoldar un Reggimento de’ Crovati.

In tanto si alleggeriranno questi Stati ereditarii da’ quartierii di queste Soldatesche mandandole in Ungheria per tutto il mese di maggio, e quelle, che caleranno dall’Imperio con le nuove levate saranno ripartite in Boemia, Silesia62, e Moravia finché il bisogno ricerchi d’averle più appresso all’Ungheria come corpo di riserva.

Il Conte di Serino63, che non sortisce in Campagna, che non riporti notabili vantaggi contro Turchi, ha ultimamente disfatto una grossa partita, che si era approssimata a’ suoi luoghi, et oltre l’averne tagliati a pezzi da 200 altretanti ne ha fatti schiavi, dopo di che si eran tagliati a pezzi, di che si era inoltrato ne’ loro Paesi, et abbruciatovi 7 gran Villaggi, e condotti via più di 3 mila capi d’Animali.

XIII

Venezia, li 30 di aprile 1661

[p. 38] Fin’adesso non è ritornata la persona, che si spedì in diligenza in Transilvania per ragguagliar il Principe Chiminy, e quei Stati delle rosoluzioni [sic] presesi in questa Corte per sostenerle contro le minacce ottomane, mentre che vogliono assicurare nella maniera già accennata Sua Maestà Cesarea.

Non si sa quello siano per risponder mentre par raffreddata ogni loro istanza, come se il Turco non pensasse a farvi alcun male, è vero che non opera prontamente niente in Campagna, resta ne’ Quartieri, ma chi assicura quei Popoli, che dopo S. Giorgio non facci come l’anno passato, e che col baleno segua immediate il colpo? Restano fin’ora questi SS. Ministri in decretis di spinger nel mese prossimo tutti questi Reggimenti in Ungharia, formandone 2 Corpi, uno resterà ne’ Comitati, et attorno Cassovia, e l’altro verso Comora64. Le soldatesche, che calar devono dell’Imperio in questi Stati ereditarij si metteranno in tanto ne’ Quartieri, e bisognando far nuove levate non mancheranno i mezzi, né gente, tanto più che resta aggiustato l’affare del Vescovo di Minster con quella Città.

61 Münster. 62 Slesia. 63 La contea di Sdrin in Croazia. 64 Komárno (Komarom), posta sul Danubio, nelle vicinanze di Budapest. In seguito è detta, negli avvisi: Camora, Camorra, Comorra; da non confondere con Komor in Transilvania (Cfr. XXX, 1 ottobre 1661, detta Comar).

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 259

XIV

Venezia, li 7 di maggio 1661

[p. 40v ] Vienna. Da tutte le lettere comparse in questi giorni dall’Ungheria superiore, e dalla parte di Zachmar, si sente aver li Turchi in diversi luoghi di questi confini radunato gran numero di Cavalleria, et Infanteria con 40 in [sic] 50 pezzi di cannone tra grossi e piccoli, e se sin adesso non avevano tentato l’impresa di qualche Piazza si dev’attribuir alle continue pioggie, che rendevano quella Campagna bassa, e paludosa impraticabile; e perché non era l’erba per anco così grande, come il bisogno richiedeva.

Che per causa delle medesime pioggie non s’era potuto continuar le fortificazioni di Zachmar, per le quali si sono di nuovo provisti colà alcuni 1000. fiorini, e comandato, che senza intervallo si riduchino a perfezione.

Soggiungono queste lettere, che al Principe di Chiminy fusse comparso altro inviato dalla Porta, con la quale trattasse alla gagliarda per il suo aggiustamento, e bisogna, che sia così; perché fin’ora non ha egli risposto alle lettere, che se gli scrissero per il Corriero, ne ha mandato a’ suoi Deputati la Plenipotenza, ma poco si potrà star a sentir l’arrivo colà di uno de’ medesimi Deputati, essendo 16 giorni, che partì da Vienna, questo promesse d’esser di ritorno in 3 settimane, se non sarà trattenuto artificiosamente lo potrà effettuare.

Questa sera si attende qua l’arrivo di un Chiaus Turco mandato dal Bassà di Buda65, non si sa con che commissione, ma credesi per dar semplicemente parte della sua comparsa in quel governo, per buscar qualche presente, e per spiar quanto potrà come qui si stia provisti per la nuova Campagna [...].

Restano per anco sospesi li ordini della marchia per questi Reggimenti verso l’Ungaria, tutti però si tengono pronti ne’ loro Quartieri avendo la maggior parte terminato le reclute, e ridottili al numero prefisso. Per la metà del venturo, o poco più si stima d’aver in Boemia da circa 7 mila huomini, ch’eran sotto Minster, già che quel Vescovo ha terminato in maniera le sue cose, che si può dir Padrone della Città, e non vi è più il bisogno di quella gente.

Hanno ancora tutti gli Elettori, e Principi dell’Imperio promesso a Sua Maestà Cesarea grandissima contribuzione per questa guerra contro il Turco, con assicurare d’avvantaggio Sua Maestà d’indurvi parimente li renitenti. Di già l’Elettor di Colonia66 ha promesso 150 mila fiorini, quello di Treveri 100 mila, quello di Baviera67 700 mila, e di più ancora tutte le milizie, ch’ei potrà raccorre da’ suoi Stati, per lo cui effetto già fa batter pubblicamente la cassa; quello di Sassonia68 150 mila fiorini, e quello di Brandeburgo69 6 mila soldati; l’Arcivescovo di Salzburgh70 600 mila

65 Città situata sulla riva destra del Danubio, già capitale del Regno d’Ungheria nel Medioevo, fu conquistata dagli Ottomani nel 1540, quindi divenne capoluogo dell’omonimo pasciallato. Sull’Ungheria governavano quattro Pascià, quello di Buda, e quelli di Temesvár (Timişoara), Eger e Kanizsa. Ma quello di Buda era Pascià delle Tre Code di cavallo e Visir della Cupola, per cui in guerra aveva il comando supremo col titolo di Serasco. L’Ungheria asburgica iniziava, nei territori nord-orientali, dall’alto Tibisco e continuava sulla direttrice est-ovest, soprattutto nell’odierna Slovacchia, quindi piegando verso sud passava da Komárno. 66 L’arcivescovo Heinrich Maximilian Wittelsbach. 67 Maximilian II Emanuel Wittelsbach, duca di Baviera. 68 Giovanni Giorgio II, principe elettore di Sassonia (1656-1680). 69 Duca di Prussia della casata degli Hohenzollern. 70 Salisburgo.

Gianluca Masi 260

fiorini, e le Città franche col Corpo dell’Imperio 5 milioni di fiorini. A sollecitar li cui sborsi Sua Maestà Cesarea ha spedito Corrieri per potersi metter in Campagna per tutto questo mese.

XV

Venezia, li 14 di maggio 1661

[p. 41v] Vienna. Un Corriero di Costantinopoli, che comparve qui la passata, portò dispacci di questo Residente Cesario delli 30 passato con avviso, che il Gran Signore non voleva in modo alcuno sentir parlar della persona del Chiminy, né della sua elezione per Principe di Transilvania, col pretesto, che egli abbi portato poco rispetto alla Porta, mentre vi si è introdotto senza partecipazione, che il Primo Visir ha mostrato voler fra [sic] trattare con lui qualche cosa non sia seguito, perché avessero animo di confermarlo, ma per adormentarlo e ridurlo nella rete, et al tempo di poter far uscire l’Armata in Campagna. Mostra detto Visir, che il Gran Signore si contentarebbe, che questi Stati elegiessero un’altro Principe, purché si mostrasse ubbidienza, e pagasse il tributo con parte del danaro promesso per le spese della guerra passata, dichiarandosi, che mentre non faccino subitamente questo hann’ordine tutte le Armi Ottomane, et il Kam de’ Tartari in persona d’entrar da più parti in quella Provincia, e di metter tutto in rovina.

Per il principio di giugno era destinata la partenza del Gran Signore, e del Divano per Andrinopoli71, con resoluzione di starvi un’anno intiero per esser più vicino all’Armata, et anco si mormorava, che il medesimo Primo Visir sia per venire fin’a Belgrado.

Il detto Visir aveva comandato a tutti li mercanti Francesi di scrivere al loro Re, che si dichiari amico o nemico, perché sapendo l’aiuto mandato in Candia, a favor della Repubblica, non volevano più dissimular. Non avevano dato questa commissione all’Ambasciatore, perché stava poco bene di salute.

Il Bassà di Varadino aveva scritto alla Porta, che tutti li Caiducci72 s’erano messi sotto la protezione del Gran Signore, con avergli consegnato un Castello, che era di Ferenz Redai, chiamato Sunich.

Sopra dette nuove hanno fatto questi SS. Ministri gran riflessione, e tenute diverse Conferenze, ma fin’a tanto, che non ritorni qui l’Ablegato di Transilvania, che si spedì al Chiminy, et alli Stati, o che scriva, par che non si possi prender una finale risoluzione, ma si attende di momento per far marchiar l’Armata in Ungaria.

Il Chiaus di Buda non ci ha portato, che complimenti, e parole generali, sarà rispedito questo giorno.

XVI

Venezia, li 21 di maggio 1661

[p. 45] Vienna. Sul fine della passata fu spedito di qua il Chiaus Turco con li soliti presenti, e con risposte generali per il complimento verso il Bassà di Buda, et a pena partito s’intese esser comparso a Giavarino un’altro Turco con 12 persone, inviato a questo Consiglio di guerra da Alì

71 Adrianopoli di Tracia (turco: Edirne). 72 Aiducci o aiducchi (Haiduchi), soldati dei reparti irregolari che partecipavano alle attività di guerra per il frutto che ricavavano dai saccheggi.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 261

Bassà, Generale dell’Armata Ottomana, quale capitò ieri sera qui incontrato da un’Interprete, perché porta titolo d’Agà, et è persona molto civile, e per anco non si sa quello si estendino le sue commissioni.

L’Ambasciator Tartaro non ha per anco avuta audienza, può esser che la conseguisca lunedì, e che per questo la Maestà dell’Imperatore si trasferisca dalla Villa di Luneburgo alla Città.

A tutti questi Reggimenti d’Infanteria, e cavalleria s’è comandato d’esser pronti per marchiar verso la fine del corrente per Ungheria, ove si formarono forse 2 corpi per la difesa del Regno, et in tanto li Signori Ungari assolderanno 4 reggimenti di Croati, per i quali hanno già ricevuto parte del danaro.

Di Transilvania non s’è inteso niente di più di quello si disse la passata, né da Zachmar, la qual piazza si riduce sempre più in miglior fortificazione.

XVII

Venezia, li 28 di maggio 1661

[p. 47v] Vienna. Martedì mattina ebbe dalla Maestà dell’Imperatore audienza l’Ambasciatore Tartaro a nome del Kam suo Signore, riverì la Maestà Sua e confermò la buona corrispondenza, dichiarandosi amico delli amici della Maestà Sua e nemico de’ suoi nemici con farli presente di un cavallo assai stracco, e mal condotto. Ieri poi ebbe anco audienza dal Principe di Locovitz [sic], al quale pure presentò un cavallo, et una lettera del Visir, ch’aveva la mansione latina, et il concetto di nazione Polacca.

Di Transilvania poi non s’intende alcuna cosa, perché non è ritornato quell’Ablegato, ma poco però potrà stare. In tanto marchiano verso Ungharia tutti li Reggimenti, ch’erano alloggiati in Moravia, Silesia e Boemia, dovendo fare alli 8 del futuro il Rendoviz [sic] a Zarnachia [sic], et accudire alla sicurezza del Regno.

Il Conte di Serino ha nuovamente fatto invasione nello stato Ottomano verso Canisa73, e condotto via molt’animali, e molti Carri di mercanzie, che venivano dalla fiera di Nessel.

XVIII

Venezia, li 4 di giugno 1661

[p. 51] Vienna. Con lettere di Zachmar de’ 6 corrente s’intende come Aly Bassà avesse avuto ordine d’invader la Transilvania con tutte le sue forze, e che il Comandante di Varadino disegnasse d’impadronirsi di Zecchelid [sic] avendovi spinto qualche numero de’ suoi per bloccar quella piazza, già che l’acque avevano cominciato a calare.

Dicevasi in Zachmar per cosa sicura, che il Chiminy avesse fatto arrestare il Berciaj a causa d’aver saputo che corrispondeva con li Turchi, e trattava di condennarlo a perder la testa74. Il medesimo Chiminy, e li Stati hanno finalmente terminato la loro convocazione, e risoluto di vivere, e morir fedelissimi a Sua Maestà Cesarea, dalla quale implorano aiuti e protezione.

73 Kanizsa, località in Ungheria. 74 Il Barcsai fu infatti imprigionato e di lì a poco ucciso.

Gianluca Masi 262

Non resta ancora rispedito l’Ambasciatore Tartaro, né tampoco l’Agà Turco. Marchiano in diligenza questi Reggimenti in Ungheria, per dove martedì partirà anco il General Montecuccoli [...]. [p. 51v] Giunse questa mattina l’Ambasciatore del Chiminy, che di qua partì poche settimane sono, e porta egli le plenipotenze desiderate da questa Corte, con le maggiori sodisfazioni all’Imperatore per conseguire le promesse assistenze.

Scrivono di Giavarino, che il Bassà di Buda avesse fatto passar il Danubio alle sue genti a Pest e stesi li suoi padiglioni in quelle Campagne, et ordinati tutti li carri a’ Confinanti per il bagaglio, per trovarsi in breve pronti di far le sue mosse.

XIX

Venezia, li 11 di giugno 1661

[p. 52v] Vienna. Non potendo esser all’ordine l’apparecchio de’ viveri, et altro che sarà necessario per il rendevous [sic] dell’Armata Cesarea, ha la Camera dell’Ungaria fatto instanza di dilazione alla Corte, e questa per prorogarglielo 15 giorni più del scritto, ha ordinato a’ Colonnelli, che più lentamente vadino alla marchia.

Il Marescial Montecuccoli si trattiene ancora a Lucemburgo75, dove tuttavia si ritrova la Corte, volendo Sua Maestà Cesarea che assisti alle consulte, che giornalmente si fanno sopra gli affari di Transilvania, l’inviato della quale è di qui passato alla Corte.

L’Agà Turco dimora qui, né la Corte vuole spedirlo così presto, forse per vedere prima, che piega l’Armi Ottomane piglieranno, anzi venendosi a rottura si dice, che sarà trattenuto, acciocché essendo fatti oltraggi al Residente Cesareo76 in Gostantinopoli [sic], si possi con l’istesse forme camminare col medesimo Agà.

Offerisce il Tartaro un grosso numero di gente in assistenza dell’Armi di Sua Maestà Cesarea ma con condizione, che non venghi impiegata contro il Turco, il che però è pretesto per dimostrare, ch’egli vuol conservarsi amico del Gran Signore, se bene poi ricevendo l’Imperatore il soccorso potrà servirsene contro chi li parerà.

XX

Venezia, li 18 di giugno 1661

[p. 56] Venezia. È giunta qui nel principio della corrente settimana la Galera Magna [...]. Viene detta galera spedita dal Generale di Dalmazia, per ricevere danaro da sodisfare le milizie, con ordine di fare, con tutta celerità ritorno a quella volta, di dove alcuna novità non depone, avendo solo le parti fatto scorrerie reciproche, onde con queste anco credesi, che consumeranno la campagna, mentre li Turchi applicano con tutte le forze alla parte di Transilvania [...].

75 Probabilmente il villaggio di Laxemburg, a sud-ovest di Vienna, celebre per il suo immenso parco. Vi sorgono tre castelli: il Blauerhof, in cui si svolsero alcune sedute del Congresso di Vienna, e che fu residenza dell’ultimo imperatore; il trecentesco Altes Schloss, restaurato sotto Leopoldo I; e il Franzenburg, costruito a cavallo fra XVIII e il XIX secolo. 76 Simon Reningen von Reningen.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 263

Di Costantinopoli si sente, che il Gran Signore, non ostante la sua intenzione alla Maestà dell’Imperatore, che non era per romper seco la pace, sempre che non avesse assistito alla Transilvania, e vedendo, che tuttavia Sua Maestà si andava disponendo a ricevere in protezione quel Principe, aveva perciò fatto chiamare il Residente Cesareo e significatogli che dovesse avvisare il suo Signore, come non averebbe potuto soffrire la Porta di vedere assistito quel Principe dall’Armi Cesaree, e però non ritirandosi la Maestà Sua dalla presa risoluzione di soccorrerlo gli averebbe mosso una cruda guerra.

XXI

Venezia, li 2 di luglio 1661

[p. 60v] Vienna. Ritornò Mercordì da Lucemburgo l’Imperatore con tutta la Corte, dopo aver l’Arciduca Leopoldo77 il giorno avanti fatto recitar nel bosco di detta Villa la famosissima tragicommedia del Pastor fido78, per solennizar la nascita di Sua Maestà Cesarea con sì superbe scene, e vaghissime lontananze, che non sapeasi discernere, con gran maraviglia de’ riguardanti, il finto dal vero, avendo Sua Altezza per aggiustare una lunga prospettiva fatto tagliare da circa 300 alberi. V’intervenne anche l’Imperatore con gran numero di Dame, Ministri de’ Principi, e Cavalieri principali, e nel fine dell’Opera, che durò circa 7 hore, si vidde sovra il Teatro una comparsa superbissima di cinquanta giovini Cavalieri, che accompagnarono l’Arciduca Carlo79, quale con un bizzarrissimo ballo coronò tutta la festa.

Da Zechelid era uscito il Presidio delli Ussari, e v’erano entrati 600 Alemanni, facendo intanto il medesimo dell’altre Piazze di Transilvania; il che inteso da Aly Bassà ne aveva spedito espresso Corriero alla Porta, et in tanto faceva alto con l’Esercito, che già marchiava per invader di nuovo quella Provincia.

Il General Montecuccoli si trova con l’Armata Cesarea a Neucaste80, e Schintari [sic], né era altrimenti seguito a Ternashia [sic] il rendevos [sic], perché non v’era gionto il Generale Spaar con le sue truppe, che vengano [sic] da Slesia, nel mentre detto Montecuccoli tirava avanti la marchia verso Comora, alla qual parte s’incamminavano le genti Cesaree state sotto Minster, con quelle di quel Vescovo [...]. [p. 61] Dicono, che a Belgrado andasse di continuo capitando monizioni, e genti per potersi ad Aly Bassà formar un Corpo d’Esercito da facilitare li disegni, e l’imprese contro la Transilvania, e di breve vi sarebbe comparso d’Andrinopoli un Corpo di Cavalli scielti, con grosso numero di Giannizzeri, e per maggiormente disseminar timore, spargono li nimici voce, che il Gran Signore medesimo abbi scritto di voler personalmente rendersi a Belgrado per tanto più accalorire colla vicinanza le sue Armi, il che però non viene creduto tutto che in corroborazione di quanto vanno pubblicando, asseriscono ch’ormai parte del bagaglio si trovi in marchia; È ben vero ch’aveva

77 L’arciduca Leopold Wilhelm. 78 Il Pastor fido, favola pastorale (con un prologo e cinque atti), composta da Battista Guarini (Ferrara, 1538–Venezia, 1612) fra il 1580 e il 1583, e pubblicata nel 1590. L’opera, ambientata in Arcadia, ebbe fin da subito grandissimo successo, come testimoniano le molteplici riedizioni, traduzioni e allestimenti. Voltaire riferisce che il Pastor fido era recitato a memoria nei salotti aristocratici del suo tempo. 79 Carlo II, degli Asburgo di Spagna. 80 Neuhäusel nell’odierna Slovacchia.

Gianluca Masi 264

intimato a tutte le Soldatesche radunate nelle vicinanze d’Andrinopoli, et altrove di mettersi in marchia per l’istessa volta in tutta sollecitudine.

XXII

Venezia, li 9 di luglio 1661

[p. 64] Vienna. Essendosi ingrossati li Fiumi per la caduta di molte acque, restava il proseguimento della marchia verso Camora alle genti del Generale Montecuccoli, et a quelle del General Spaar; onde consequentemente rimaneva sospreso [sic] il rendevos [sic] dell’Armata intimato come si disse nella suddetta Piazza. Si fa conto, che il primo abbia seco 16 mila combattenti, et il secondo 22 mila, oltre quelli mandati vicino a Varadino ad ispiar le azioni di quel Presidio, non contandosi [p. 64v] meno gl’inviati per presidiare le Piazze della Transilvania, ma quel che importa gli Ungari si trovano in numero grandissimo, e volontarij della guerra, dal cui desiderio si potrà argomentare ogni buon profitto, nascendo la rottura come non si dubita, vedendosi disposte le cose a partorirla.

Dall’altro Campo attendeva Alì Bassà d’ingrossarsi con l’Esercito spedito [sic] alla Porta, al cui arrivo si sentirà la decisione di questa causa, mentre dovrà portar l’ordine d’infrangere la Pace, o commissioni di maneggiar l’aggiustamento. Si sono con l’istesso Alì Bassà congiunte le genti di Timisvar81 con quali se [sic] reso il suo partito più vigoroso.

Dopo avuto l’Ambasciatore Tartaro audienza da Sua Maestà se n’è licenziato, e partito di ritorno al suo Signore.

XXIII

Venezia, li 16 di luglio 1661

[p. 66v] per quelle [p. 67] mani [sic] investendogli, li ruppero, e ne condussero prigioni in Feluch [sic] sopra 150.

Dopo questo fatto s’era ben mosso il sopradetto Aly con la sua Armata, risoluto di voler invader la Transilvania, e d’assediar qualche piazza, come ne haveva fatta correr la voce; il che si dubiterebbe fusse ordine del Gran Signore, quando il tempo dopo la spedizione dell’inviato da lui alla Porta servisse per lo ritorno con le risposte, ma si va compassando [sic], che non può ancora esser ritornato. Ciò però inteso dal Chimin Janos aveva risoluto portarsi con tutte le forze verso la Porta di Ferro82, passo principale, e molto stretto, e per dove bisogna che transiti se vuole entrare in quella Provincia. E perché si dice che li Tartari non si possono così presto unire col medesimo Aly, spera però detto Principe poterli resistere, tanto più, che Sua Maestà Cesarea gl’invia giornalmente gran numero di fanteria.

All’incontro il General Montecuccoli si ferma col grosso nelli accennati posti tra Comora e Focis, abbondantissimo di tutte le provvisioni, e quel che importa più mantien l’Esercito in tanta disciplina, che gli Ungari molto di lui si lodano.

81 L’odierna città romena di Timişoara (ungherese e tedesco: Temesvar). 82 Il passo detto Porţile de Fier ale Transilvaniei („Le Porte di ferro della Transilvania”) che consentiva l’accesso al principato transilvano attraverso la catena montuosa dei Carpazi meridionali, a poca distanza da Sarmizegetusa, antica capitale dei Daci.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 265

S’attende però con grande ansietà d’intendere con lettere del Dottor Menscher [sic] inviato a Costantinopoli l’intenzione della Porta sopra questo proposito, per poi risolver secondo richiederà l’urgenza, ed il bisogno.

XXIV

Venezia, li 16 di luglio 1661

[p. 70] Vienna. Il Marescial Montecuccoli con l’Esercito Cesareo s’era condotto ad accamparsi tra Foster e Cumar, et essendo calate l’acque, con questo comodo era giunto alle ripe del Danubio, e quivi fabbricato un ponte, faceva marchiar l’Esercito con un’ordinanza impareggiabile. Erano ivi arrivate le genti di Munster, che davano un buon rinforzo, sendo tutta gente agguerrita. Si fermava in tanto il Montecuccoli suddetto in una spaziosa Isoletta83, ove avrebbe goduto comodità di buonissime acque, che in Ungheria erano il maggior preservativo della milizia.

Intanto il medesimo Montecuccoli in attendendo gli ordini di Sua Maestà Cesarea aveva spedito il Colonnello Tasso84 con 1.800 fanti, e molti Uffiziali riformati, affine di reprimer i Turchi, i quali uniti tra Varadino, e Temisvar avevano spinto un nervo di gente considerabile per l’espugnazione di Zachmar, il di cui presidio resistendo bravamente all’oppugnazione nemica, diede campo agli Ungari, ed a’ Transilvani di giunger tosto al soccorso, il che penetrato dagli Ottomani, abbandonata l’impresa, fecero tosto ritorno al lor Campo, il cui Bassà inteso il seguito si 83 Fra Bratislava (Pressburg) e Komárno-Komorn-Komáron il Danubio forma due isole che, in tedesco, hanno nome ambedue Schütt. L’isola più grande, detta infatti Grosse Schütt (in slovacco Ostrov e in ungherese Csallókoz), è quella dove il Montecuccoli acquartierò l’esercito, ed è situata fra il Danubio e il suo braccio settentrionale (piccolo Danubio); l’altra, la Kleine Schütt (in slovacco Malý Zitný Ostrov e in ungherese Szigetköz), si trova fra il Danubio e il suo braccio meridionale (Cfr. E. Eickhoff, op. cit., p. 222, nota *). 84 Della famiglia Tasso (o Taxis) originaria della Val Brembana, nel bergamasco, emigrata in Austria e in Germania col nome di Thurn und Taxis, dove con Eugenio ottenne, nel 1695, il titolo principesco. Nel 1608 un Leonardo era stato creato barone e maestro generale delle poste imperiali. Da un ramo di questa famiglia discendono Torquato Tasso (Sorrento, 1544–Roma, 1595) e il padre Bernardo, ambedue celebri poeti. Nella città di Venezia, a Santa Maria Formosa, dov’era situato il palazzo del barone Taxis che, come abbiamo detto, era maestro generale delle poste imperiali, si radunava una folla enorme fino a tarda notte per apprendere le notizie che provenivano da Vienna e che riguardavano l’andamento delle guerre contro il turco, Cfr. M. Infelise, op. cit., p. 148. Circa l’uscita del Montecuccoli col grosso dell’esercito, cui si allude alla fine dell’avviso, è lecito dubitare, in quanto l’esercito imperiale, trovandosi presso Budapest, a Komárno, non poteva giungere in così breve tempo fra Oradea e Timişoara per sostenere, col nemico, uno scontro dall’esito tanto sanguinoso, ma su cui d’altronde non si torna negli avvisi successivi; è quindi possibile che, in questo punto, l’anonimo avvisatore abbia ceduto alla tentazione di inserire un episodio di cui, forse, aveva notizie incerte e non confermate, e che poteva suscitare nel lettore assai curiosità. Inoltre è interessante che, fra i protagonisti dell’episodio, vi sia anche il colonnello Tasso, membro della famiglia che aveva l’appalto delle poste nell’Impero, di cui è certo che l’anonimo avvisatore si servisse regolarmente. Avrà avuto un qualche ruolo nella trasmissione delle notizie dal campo il colonnello appartenente alla suddetta famiglia? In ogni caso si nota che, fra gli avvisi del 16 e del 30 di luglio, manca l’avviso relativo alla settimana del 23, proprio quello nel quale si doveva rendere conto dell’episodio, e che forse è stato omesso, o per il suo scarso interesse, o per altre ragioni a noi sconosciute. Ma non si esclude neppure il caso di un errore di stampa, dal momento che la data del 16 luglio compare due volte negli avvisi (Cfr. XXIII e XXIV). È vero comunque che il secondo avviso datato 16 luglio è di un formato più piccolo rispetto a tutti gli altri compressi nella raccolta, e forse ha un’origine diversa.

Gianluca Masi 266

spinse tosto con tutto l’Esercito, ad alla volta di Zachmar inviossi, per farsene assolutamente padrone. Intanto ricevuto la piazza il desiderato soccorso, e presentito il disegno nemico, ne diedero subito parte al Montecuccoli, il quale non mettendo tempo in mezzo spinse tutto il grosso ad incontrar l’inimico, così sforzato dagli Ungari, che si mostrorno singolarmente bramosi di così fiero cimento; l’esito del quale, per esser stato sanguinosissimo, non se ne può se non con quest’altro ordinario dare distinta relazione.

XXV

Venezia, li 30 di luglio 1661

[p. 72] Vienna. Resosi irreconciliabile il Principe di Transilvania Chiminy appresso il Gran Signore per essersi insinuato in quel posto senza haver prima fatto ricorso a lui, erano finalmente comparsi dispacci da Costantinopoli del tenore seguente.

Che il Gran Signore restasse tuttavia nella buona disposizione verso l’Imperatore di non romper seco, mentre non assista al Chiminy. Che era risolutissimo di debellare questo Principe, per le cause sopradette. E che la Transilvania non più possa eleggere altri Principi, ma sotto il Governo d’un Bassà totalmente da lui dependa, e per sovrano lo riconosca.

Esaminatesi queste lettere, e riscontrate con quelle del Residente Cesareo, che scrive come dal Gran Signore fussero stati inviati ordini assoluti al Generale Aly d’entrare in Transilvania con tutto il grosso, ed unire a se i Moldavi, e Valacchi, promettendogli in oltre dalla Porta continui soccorsi, non fu lenta Sua Maestà Cesarea a spedir subito gli ordini opportuni a’ suoi Generali, affine che s’avanzassero come seguì, al soccorso del Principe Transilvano; il quale postosi in campagna con le sue forze per andare a prender posto all’accennata Porta di Ferro, aveva per viaggio avuto avviso d’esser stato prevenuto da’ Turchi, entrati già per detto luogo in numero di 18 mila, e che l’istesso Aly teneva la medesima strada con tutto l’Esercito; onde ritiratosi indietro, avea di ciò dato parte al Montecuccoli, ed al Sporch [sic], i quali spintisi subito, secondo l’ordine di Sua Maestà al suo soccorso, e prima giunto il Generale Sporch con la Cavalleria, si spinse tosto a riconoscer i posti, ed il Campo Turchesco, il quale mossosi subito, seguì qualche scaramuccia, attendendo però ambedue le parti il grosso per venir poi a qualche fatto d’arme, non v’essendo più speranza d’aggiustamento, ma ben sì d’apertissima guerra.

Gli Ungheri lieti di quest’accidente, come quelli, che bramavano questa guerra, non lasciano d’allestire tutto il necessario, che può occorrere in simili occasioni, facendo constare a Sua Maestà Cesarea quanto gli hanno sempre promesso […].

XXVI

Venezia, li 20 di agosto 1661

[p. 74v] Vienna. Sono in questi giorni comparsi diversi Corrieri dall’Ungheria Superiore con lettere del Signor Palatino, e Signor Hummanay, e de’ SS. Generali Starembergh et Heyster, con avviso, come i Turchi sendosi congiunti co’ Tartari avessero alla per fine passato il Tebisco85 intorno il

85 Il fiume Tibisco (Tisza), che attraversa tutta l’Ungheria orientale, nasce in Ucraina e sulle sue rive, nel tratto nord-orientale dell’Ungheria, è situata la cittadina di Tokaj.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 267

Samos86, depredando il tutto, con fare schiavi tutti que’ poveri abitanti che non possono con la fuga sottrarsi alla loro barbarie, con abbruciar que’ Villaggi, che non sono abili ad esser presidiati. La mattina de’ 28 fermarono poi il loro Campo a Maytenery, due piccole leghe da Zachmar, piazza per altro forte, e munita di tutto il necessario per la difesa, come quella che si temeva fusse la prima ad esser dalle loro armi assediata. Avevano nell’istesso giorno, dopo fermato il Campo, fatto molte scorrerie per il paese, avendo incenerito Mandoch, e Nagysolos87, piccioli Villaggi, già abbandonati dagli abitanti che non son lenti a ritirarsi de’ luoghi forti, per evitar i pericoli della misera schiavitù.

Il Signor Palatino in tanto messo insieme quel numero maggiore di milizia Unghera, che avea possuto, s’era da Cassovia portato verso Szenzeravia, et il General Hummanay alla volta di Toccay, e perché il Signor Palatino vorrebbe esequire l’assicurazione di questo Castello tanto importante, avea spedito perciò il Generale Starimbergh88, pregandolo che con 5 mila Alemanni in diligenza se ne passi di là dal Tebisco.

In tanto il Chimin Janos veduto non aver forze bastanti, se non si congiunge con tutto l’Esercito di Cesare, a far testa a tanto numero di nemici, s’era ritirato con la sua gente in Hust, ed aveva inviato la moglie e’ figli in altra piazza più forte, in attendendo a quella volta il Signor Generale Montecuccoli, ma non si dubita possa arrivarvi prima, che verso la fine del mese, non sendo partito da Camorra [sic], che alli 30 del caduto.

Al comando delle truppe restate in detta piazza di Camorra è andato il Signor Generale Susa, che con quelle inviate da’ SS. Elettori del Reno faranno un numero di 10 mila Soldati almeno. Il Signor Principe Ruberto Palatino desidera d’andare ancor lì all’Armata, già che il suo Reggimento è marchiato col Montecuccoli, ma vorrebbe spuntare il posto di Generale della Cavalleria, che non si sa se gli riuscirà.

Il Marchese di Poden appresso il medesimo Montecuccoli eserciterà quella di Generale del cannone, già che il Signor Susa comanda il suo Corpo di Comorra.

XXVII

Venezia, li 27 di agosto 1661

[p. 77] Vienna. Se Aly Bassà, Generale degli Ottomani, rimandò il Fischer con una succinta risposta, dalla quale non si può far giudizio alcuni de’ pensieri della Porta, perché alle buone parole di quei Ministri non corrispondono i fatti, poco di più si può ricavare dalla risposta, che il Primo Visire ha dato al Dottor Mezker [sic], partito da Costantinopoli alli 19 del passato, e ritornato qua la sera delli sei. Questo ha portato una lettera del Primo Visir responsiva a quella, che li scrisse questo Signor Principe di Lobcovitz [sic], che col referto anco a viva voce tutto si ristringe, che il Gran Signore non intende d’alterare la Pace, e la buona corrispondenza con Sua Maestà Cesarea, e che le sue Armi portino alcun pregiudizio alli Stati della Maestà Sua purché non s’ingerisca nelli affari della Transilvania, né protegga il Chimin Janos suo ribelle, promettendo lasciare, che quelli Stati faccino elezione d’un’altro Principe, e di confermarlo, purché sia riverente al Gran Signore e paghi quello, che deve. Soggiunge il detto Mezker, che alli 9 di questo era risoluta la partenza del

86 Il fiume Szamos, affluente del Tibisco in Ungheria, nasce in Romania dove è detto Someş; sulle sue rive si trova Satu Mare. 87 Forse l’odierna cittadina ungherese di Nagyhalasz. 88 Della famiglia Starhemberg.

Gianluca Masi 268

Gran Signore, del Primo Visir, e di tutto il Divano per Andrinopoli, facendo il viaggio dalla parte del Mare per i Dardanelli. Che in quei giorni fusse stata portata la testa di Hamet Bassà, che fu fatto ammazzare da Aly, e vi fusse stato strangolato d’ordine del Supremo Harichì Mehemet Bassà, che già ebbe il Governo del Cairo, e di Aleppo, e che aveva per moglie la sorella del Gran Signore [...]. [p. 77v] Per li 20 del passato doveva partire di colà l’Ambasciatore di Francia con un semplice passaporto, non avendo potuto ottenere audienza, né lettere con sua gran mortificazione. Con questo Dottore è venuto un Chiaus, che è quello che l’accompagnò a Costantinopoli, e che quando furono svaligiati dalli Ungheri lì ammazzarono due Turchi, et otto ne fecero schiavi. Adesso è tornato per riscattarli, e pretende che Sua Maestà castighi i delinquenti, altrimenti protesta, che quelli, che in avvenire saranno mandati dalla Maestà Sua a Costantinopoli, non troveranno chi li convogli. Così egli espose ieri nell’Udienza, che ebbe dal Signor Marchese Gonzaga89 come Vice Presidente di guerra, trovandosi il Signor Principe di Lobcovitz90 indisposto.

Più Corrieri dall’Ungheria superiore sono qui comparsi questa settimana, e l’ultimo ha portato lettere delli 5 con avviso, che il Chimin Janos si sia ritirato con 5 mila Cavalli tra Hust91 e Monkac92 lungo il fiume Latoriza93 per attendere quivi i soccorsi della Maestà Sua.

Che il Signor Palatino avesse intimato l’insurrezione di tutta la Nobiltà dell’Ungheria superiore per li 14 e che si volesse fare un Ponte sul Tebisco, per facilitare il passo dell’Armata. Che il Tenente Colonnello Tasso con mille fanti fusse entrato in Zachmar per rinforzo di quella guarnigione, ma con qualche pericolo per la Cavalleria Tartara, che con i Turchi scorreva quella Campagna, abbruciando e depredando tutto il paese, perché fin a quel giorno non avevano chi gli facesse ostacolo. Aly Bassà col suo Esercito, e con molti cannoni se ne stava tra Varadino, e Sechelid94, minacciando l’attacco in questo luogo.

Il General Starembergh era alloggiato nei contorni di Tockay [sic] da questa parte del Tebisco, per attendervi il Signor Generale Montecuccoli, che continua la sua marchia felicemente, et ha 18 in 20 mila combattenti effettivi per essersi seco anco le truppe di Colonia e Baviera congiunte.

XXVIII

Venezia, li 3 di settembre 1661

[p. 80v] Vienna. L’ultime lettere del Montecuccoli sono state de’ 12 da Filesch [sic], con avviso, che fusse quivi felicemente capitato con tutta l’Armata, e seguitasse la marchia verso Toccay [sic] per unirsi col Sargente Generale Starembergh, che si fa conto possi esser colà questo giorno

89 Del ramo cadetto dei Gonzaga, marchesi di Castiglione. Il ramo dei Gonzaga duchi di Guastalla aveva allora, con Carlo III Ferdinando (1665-1708), il possesso del ducato di Mantova. 90 Lobkowitz (o Zlobkovič), famiglia dell’aristocrazia boema che raggiunse la dignità principesca nel XV secolo. Venceslao Eusebio (1609-1677), figlio di Zdenko, fu Gran Maresciallo di campo nella guerra dei Trent’anni quindi, ottenuto il titolo di Duca nel 1646, fu nel 1652 Presidente del Consiglio bellico e poi Presidente del Consiglio segreto. 91 Fortezza in Transcarpazia, parte dell’odierna Ucraina. 92 Fortezza di Munkács, situata nella stessa regione dell’Ucraina. 93 Latorica, affluente del Tibisco in Ungheria. 94 Székelyhid, località situata fra Oradea e Satu Mare, chiamata variamente negli avvisi Zecheld e Zecchelid, da identificare forse anche con quella detta Rechelire o Rechellid.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 269

almeno con la Cavalleria, e che il Marchese di Poden l’averebbe seguitato con più comodità con l’Infanteria.

Alli passati Monsignor Arcivescovo di Strigonia scrisse una lunga lettera a questo Cancellier d’Ungheria, che subito la fece anche sentire all’Imperatore, e Ministri, che giudicavano al solito fossero la maggior parte nuove inventate dalli Ungheri, e che anco detto Arcivescovo potesse esser ingannato; ma ricevutesi poi lettere del General Starembergh, et Haisder da Zacmar [sic] si confermano molte cose, et in particolare, che Aly Bassà sia col suo Corpo nelli due Comitati, e Calò95, facendo grandissimi danni, oltre quelli, che commettono li Tartari, e che nel primo Comitato abbi occupato la Città di Banya sul fiume Zanzard, e pensasse fortificarla, minacciando ora quella di Zechelid; ma come che è un luogo forte, e che vi si trova un Comandante risoluto, alunno del defunto Principe Piccolomini96, così pare che abbi mutato risoluzione.

Intanto anche Ismael Bassà scorreva la Transilvania, ma senza fare gran danno; e perché Aly aveva intimato alla Nobiltà di doversi radunare per eleggere un’altro Principe, si sta attendendo ciò che sarà per seguire.

In questo proposito si discorre pubblicamente, che il Chimin Janos abbia scritto più volte al Signor Palatino d’Ungheria, che se per beneficio della Fede Cristiana, e della sua Patria fosse giudicato, che egli dovesse ritirarsi da quel Principato, e ritornare a viver con vita privata, che molto volentieri era pronto a farlo; ma che il Turco aveva più alti pensieri che solo sia pretesto il perseguitare la sua persona. Si ferma però egli tuttavia nel posto avvisato tra li Castelli di Hust, e Monchach [sic] con 3000 Cavalli attendendo la comparsa del General Montecuccoli.

Ha scritto il Generale Haister, che avendo li 6 fatto sortire dalla Piazza 60 Cavalli per prender lingua delli andamenti de’ Turchi, avesse incontrato una partita di 200 Tartari, con la quale azzuffatisi alcuni di essi, seguì piccola scaramuccia; ritirandosi ambe le parti, riferiscono, come li medesimi Tartari avendo fatti schiavi molti di que’ Villani de’ confini, che pagano le contribuzioni ad ambe le parti, e legati sopra carri, mentre venivano mandati verso Belgrado fossero stati fermati da’ Turchi, liberati e mandati alle Case loro, con dirgli, che se rimarranno fedeli alla Porta non riceverebbero alcuna molestia. L’opinione di alcuni è, che Aly vogli procurare d’impedire all’Armi Cesaree il passo del Tebisco per quanto li sarà possibile, a fine di ridurre le cose di Transilvania ad uno stato misero, et a fare ciò che vorrà la Porta.

Si conferma che ‘l Sig. Palatino abbia comandato a tutta la Nobiltà dell’Ungheria superiore di dover portarsi il 14 nel luogo prefissoli personalmente, non accettando né anco li Religiosi. Con questa Nobiltà, che sarà tutta Cavalleria leggiera, può essere che faccino qualche diversione, e che in quel mentre abbia comodo l’Esercito del Montecuccoli di passare il Tebisco se vi averà l’ordine. È giunto Corriero da Roma con la rimessa a Sua Maestà Cesarea di 30 mila tallari [...]. [p. 81] Per ordine della Maestà Sua si è esposto il Santissimo in questa Cattedrale, e l’istesso si farà nell’altre Parrocchie per pregar S. D. M. di secondar le buone intenzioni di Sua Maestà.

Sono stati qui condotti da Camps 4 di que’ Principali per aver fatte monete false, e se li sono trovati 14 mila Ungari, ne’ quali guadagnavano due terzi per ciascuno.

Ricevesi poi in questo punto altre lettere del Montecuccoli, con le quali dà parte a Sua Maestà d’esser felicemente giunto in Toccay, e congiunto col Sargente Generale Starembergh, per quindi passar con esso a Zachmar, distante 12 miglia, e poi marciar volea con tutto il grosso, consistente

95 La fortezza di Kalló. 96 Probabilmente Ottavio Piccolomini (Pisa, 1600–Vienna, 1656), che combatté nella guerra dei Trent’anni, ottenendo dall’imperatore grandi onorificenze. Fu plenipotenziario al Congresso di Norimberga (1649) e fu creato principe dell’Impero nel 1654.

Gianluca Masi 270

in 26.700 soldati a piedi et a cavallo, verso la Transilvania, che per esservi 9 leghe da Toccay, si calcola vi sarà il dì 14.

È per render maggiormente chiara la curiosità di sapere tutte le milizie, che in oggi si trovano in piedi per servizio di Sua Maestà Cesarea sotto vari Capi di guerra, che ascendano calculate a 97.100. soldati, si pone la seguente nota. Nell’esercito, che conduce il Montecuccoli sono i seguenti:

A Cavallo: Signor Generale Montecuccoli con 1.000. Principe Roberto 1.000. Reggimento del Generale

Sporch 1.000. Colonnello Schneidan 1.000. Conte Caprara97 1.000. Colonnello Faber 1.000. Colonnello Buch, per il Duca di Baviera, 300. Colonnello Post per il Vescovo di Minster 800. Colonnello Pissare tragon 1.000. Colonnello Goutchenitz Croati 1.000. Reggimento dell’Elettore di Colonia 300. Generale Heister 1.000. Colonnello Speier 1.000.

A piede: Signor Marchese di Bada Generale dell’Infanteria con 3.000. Reggimento del Signor Conte

Strozzi98 3.000. Signor Elettore di Colonia 1.500. Signor Elettore di Baviera 1.500. Colonnello Capp 1.800. Colonnello Uvalis 1.500. Reggimento del Vescovo di Bamberga99 2.500. Comandati dal Susa 500. Quelli che son rimasti col medesimo General Susa ne’ contorni di Comorra [sic], et Iavarino sono:

A Cavallo: Signor Generale Goz con 1.000. Colonnello Schaff 1.000. Reggimento del Tenente

Piccolomini 1.000. Colonnello Uvalster 1.000. Colonnello Passebe 1.000. Dell’Elettore di Magonza100 300. Del Sargente Generale Lacron di Boemia 1.500.

A piede: Signor General Susa con 2.500. Colonnello Stalberg 800. Conte di Bucheim, Comandante in

Camorra, e questo era il Reggimento del Lamboy 1.000. Colonnello de Meers 1.600. Colonnello Randstorf 600. Colonnello Stal, mandato dal Vescovo di Minster, 1.600. Reggimento dell’Elettore di Magonza 800. Del Vescovo d’Erbiboli 800.

Hanno i due Signore Generali Hummanaj [sic], e Sarmi nell’Ungheria inferiore soldati 8 mila come sotto il comando del Generale Lesle, Governatore della Croazia ne sono 8 mila.

Nell’Ungheria superiore sendesi per fatto il rendevous [sic] appresso Toccai della milizia del Paese s’è trovata in numero di 25 mila soldati, i quali congiunti con quei del Chimin Janos, che

97 Enea Silvio, conte di Caprara (Bologna, 1631–Vienna, 1701), partecipò come ufficiale, nell’esercito del Montecuccoli, alle campagne militari degli Asburgo in Germania, Ungheria e Italia. 98 Probabilmente il conte Carlo Strozzi, che aveva anche funzioni di ambasciatore. Questi riuscì ad ottenere dalla Francia l’invio di un contingente che, sotto il comando del conte di Coligny-Saligny, formalmente doveva risultare come contributo alla guerra fornito degli Stati che avevano aderito alla Lega renana. La Francia si risolse a questo compromesso col quale rispondeva di fatto all’appello del pontefice Alessandro VII, ma non si dimostrava apertamente ostile nei confronti della Porta. Inoltre l’invio di un contingente francese in accordo con la Lega renana presentava le due potenze come autonome all’interno dei territori dell’Impero. 99 Città nella Baviera. 100 Johann Philipp von Schömborn, principe elettore di Magonza.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 271

sono 11 mila vengono in tutto ad esser 97.100 tutta gente agguerrita, e comandata da Capi d’inestimabil valore.

XXIX

Venezia, li 10 di settembre 1661

[p. 83] Vienna. Il passo lento del Generale Montecuccoli nel marchiare verso la Transilvania, trattiene quelle novità, che dal suo arrivo si vanno persuadendo di sentire, né si spera così presto di averne, mentre la Fanteria sotto il Comando del Marchese di Bader non l’ha per anco seguitato, dovendo consumare più giornate per causa anche della condotta del cannone.

In tanto di questa risoluzione presasi di fare avanzare la detta Armata a quella parte, si è spedito Corriero in Costantinopoli a darne parte al Residente a fine solo di riparare quell’innovazioni, che potessero produr rottura, e quando il Gran Signor vogli continuare la Pace come ha sempre espresso, si farà da questa parte ritirar l’Armi, e si verrà ad ogn’altra dimostrazione conveniente per la pubblica quiete, purché egli ancora faccia l’istesso, lasciando libera quella Provincia da ogni invasione senz’altra pretenzione.

S’è spedito anco al Montecuccoli il Signor Fischer, ritornato ultimamente da Aly Bassà, perché lo informi di quanto ha operato, e dicesi, che sarà poi dal medesimo Montecuccoli mandato al detto Aly con la sopradetta dichiarazione, così sentire l’animo, et i disegni del Turco dove pendi, e se si renderà a qualche composizione per quello, che attiene alla Transilvania, et all’elezione d’un nuovo Principe.

Capitate lettere di Zachmar, si è saputo che Aly Bassà avesse con grosse truppe passato il Tebisco, col pretesto di perseguitare il Chimin Janos, che con 5 mila Cavalli s’avanzava da Monchach verso Toccay per unirsi col Starembergh, ma questo si scusava, dicendo di non poter trattar seco sin all’arrivo del Montecuccoli, quale si calcula a quest’ora pervenuto, sì che si starà attendendo ciò che averanno risoluto di fare [...]. [p. 83v] Lunedì sono passati per qua 1.400 fanti dell’Elettore di Magonza tutta gente fresca, e ben fornita d’Armi, ma poco di abiti, e dopo essersi mostrato a Sua Maestà Cesarea seguiteranno il viaggio per l’Ungheria superiore.

Il Conte di Sdrino ha mandato qui il disegno del Forte, che ha fatto fabbricare a vista di Canissa, quale anche è molto piaciuto, onde sarà di certo sostenuto, et in quella parte pure si formerà un buon Corpo di Soldatesca Alemanna.

Avendo il Conte Balasso Unghero radunato la settimana antecedente 700 Cavalli, con essi entrò nel paese del Turco verso Buda, ma sortiti gli Ottomanni gli diedero talmente un carico, che ne tagliarono a pezzi più di 400 essendosi a pena salvato il Conte col Tenente, il quale avviso è molto cattivo nelle presenti congiunture.

Sono 14 giorni, che di continuo vanno cadendo pioggie a segno, che questo fiume ha inundato tutte queste Campagne, et i Ungheria incomodato assai l’Armata del Susa, la quale fu obbligata mutar posto, e passare dall’altra parte del Danubio, dove prova più carestia de’ viveri, e d’acqua buona, che da questa parte.

Sendo arrivato in Corte un Chiaus, e ricercato alcuni Schiavi, dopo averli ottenuti, se ne partì regalato di alcuni donativi a nome di Sua Maestà Cesarea [...]. [p. 84V] Altre lettere di Vienna capitateci dopo le prime danno le seguenti notizie. Che era giunto in Vienna un espresso mandato dal General Montecuccoli, con avvisi a Sua Maestà Cesarea com’egli si fusse congiunto con tutti gli Ungari, e col Principe Chimin Janos, avendo preso posto

Gianluca Masi 272

non molto lungi dal Campo del Generale Aly, col quale il suddetto Montecuccoli, insieme con tutti li Capi, e Soldati, ha grandissimo desiderio di venire a qualche cimento considerabile; supplica perciò con quest’espresso Sua Maestà Cesarea a volerli conceder la licenza, mentre spera con l’aiuto di Dio d’aver ogni vantaggio sopra l’inimico, riconoscendo i suoi Soldati intrepidi, e bramosi di cimentarsi.

Sopra queste lettere fu subito spedito da Sua Maestà Cesarea un Commissario con alcune some [sic] di danari per distribuire alla Soldatesca, e con ordini espressi di tutto quello che averà a operare il Signor Montecuccoli; onde si può star poco a sentir qualche successo notabile, il che piaccia a S. D. M. succeda bene.

S’è anche spedito ordine al Signor Generale Susa, che dimora tuttavia a Comorra con 15 mila combattenti di star lesto a marchiar con tutti i suoi verso Strigonia, per assediar quella piazza, sendosegli a questo fine inviate tutte le milizie, che erano ancora ne’ Stati Patrimoniali.

XXX

Venezia, li 1 di ottobre 1661

[p. 87] Di Vienna. Dalla Villa d’Ebestorff [sic] si intende che colà siano cessate le pioggie, godendo la Maestà dell’Imperatatore col beneficio della stagione il diporto delle caccie in questo luogo, dove giunse martedì mattina un Corriero dell’Armata con lettere del 5 del caduto, che dicono trovarsi queste ad Orsal [sic] due leghe distante da Zeulit [sic], e cinque da Varadino, ed’ivi il Signor Marescial Montecuccoli si fusse unito col Principe Chimin Janos, avendoli dato, e ricevuto da esso pubblica visita, e che poi volessero passarsene insieme verso Comar101 in Transilvania, di dove il nemico s’andava sempre più ritirando.

Il medesimo Corriero recò avviso, che il Signor Marescial di Campo Conte di Starembergh sia da questa passato all’altra vita, il che è stato inteso dalla Corte con sentimento universale, essendosi perso un buono, e valoroso soldato.

Mercordì fece partenza da Vienna il Signor Marchese della Fuentes per traferirsi alla sua straordinaria Ambasciata di Francia. Le lettere poi di Zatmar de’ 6 caduto ragguagliano come la nostra Armata s’era trattenuta in que’ contorni tre giorni, affine di tener conferenze col Principe Chimin Janos, e tutti i Capi di guerra, dopo di che marchiò il detto Chimin Janos con [p. 87v] 9 mila Cavalli verso Clausemburg102, per dove si ritirò l’inimico, che sono 10 leghe dreto Varadino; e se l’inimico si fermerà quivi, si tien per certo di sentire un gran fatto d’armi, mentre che i nostri altro non ambiscono, che di cimentarsi con esso lui.

È anche arrivato qui il Signor Stefano Zichi Presidente della Camera del Regno d’Ungheria, e supremo Commissario dell’Armata del Montecuccoli, il quale riferisce, che il Generale Susa entrato con 32 mila huomini in Turchia fra Strigonia e Buda, s’impadronissi [sic] del forte Castello, e passo di Zamberch, e Uvarde [sic], resosi il primo subito, ma il secondo mostratosi renitente fu preso per assalto, e furono ammazzati quivi 500 Turchi, e 300 fatti prigioni; dopo di che la Cavalleria Tedesca, et Un gara, entro 20 leghe per entro il paese Ottomano, ove abbruciano, e tagliano a pezzi tutto che trovano; ed in tanto con l’Infanteria il Signor Generale Susa tiene bloccate le piazze di Strigonia103, Buda, ed Albaregia104.

101 Komor. 102 L’odierna città romena di Cluj-Napoca (ungherese: Koloszvár, tedesco: Klausemburg). 103 Esztergom, cittadina sul Danubio a nord di Budapest.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 273

È anche dopoi [sic] arrivato su le poste il Signor Sargente General Spihol [sic] dell’Armata del Montecuccoli, il quale passa in Stiria per comandare a quella banda la gente ivi ammassata da quelle Provincie, questo riferisce, e porta lettere del Campo del General Susa de’ 15 caduto, che il Signor Conte di Serin inoltratosi con la sua gente 14 leghe dietro Buda si fusse impadronito del forte passo di Ensozihydì [sic] a viva forza, con grandissima uccisione della guarnigione Turca, e morte di passa 300 de’ suoi soldati, e d’un Capitano a cavallo; dopo di che inanimiti i suoi si spinse sotto Endroes [sic], e Erschkny [sic], luoghi dove tenevano i Giannizeri le loro provvisioni, se ne fusse parimente impadronito con poca perdita.

Veduto dunque il Signor General Montecuccoli che l’inimico sempre più si ritira dalla Transilvania, e sfugge il cimento della battaglia, e saputo i progressi accennati delle nostre Armi, avea risoluto col parere degli altri Capi di guerra d’assediare Varadino con tutte le forze, e fin’hora si calcula dalla data di queste lettere, che possa esser seguito.

In tutte le passate scaramuccie fin’ora seguite non hanno i nostri ricevuto altro vantaggio, che l’aver fin’ora ucciso da 6 mila tra Turchi, e Tartari.

XXXI

Venezia, li 8 di ottobre 1661

[p. 90] Motivano poi di Ragusi, che il Gran Signore abbia avuto gran senso, che l’Armi di Cesare siano penetrate col fuoco, e con la spada, nella Transilvania a’ danni de’ suoi Eserciti, incominciando a far progressi, da’ quali vedendo mutar la faccia, stava con l’animo irresoluto tra l’aperta rottura con Cesare, e la dissimulazione: argomentando [p. 90v] che le forze Imperiali si sentino [sic] vigorose più di quello, che sono in apparenza, e che questa possa esser un’occasione di poner sul tavoliere tutto il suo Impero al giuoco d’una guerra universale con la Cristianità, e già pareva che inclinasse alla dissimulazione, mentre che tutti li Consiglieri, et in particolare il Muftì ve lo persuadeva, essendo insolito di quell’Armi il far due guerre ad un tratto, che sarebbe la Veneta, e la Cesarea, che assiste il Transilvano [...].

Vienna. Le lettere di Zachmar di quest’ordinario ragguagliano, come il nemico s’andava ora sempre ritirando verso Porta Ferrea, con disegno che li Valacchi e Moldavi debbano seco unirsi; ma non li riuscirà così facilmente, mentre quelli sentiranno esser giunte l’Armi Imperiali in soccorso del Chimin Janos, che volendo ora chiamare li Siculi e Sassoni, si metterà anche in posto di far guerra offensiva. In questa Campagna però non credesi, che alcuna delle parti possa far rimarcabile impresa, et il Montecuccoli averà solo cura d’acquartierarsi in quel Principato, con tener ben presidiate le piazze, e lasciare, che il Chimin Janos campeggi [sic] per tener lontano il nemico. Il Reggimento di fanteria, che aveva il defunto Tenente Maresciale [sic] di Campo Conte di Starembergh, viene preteso da molti, ma interessandosi Monsignor Nunzio con espresso ordine del Pontefice a favore del Marchese D. Giberto Pio105, si suppone che debba essere preferito ad ogni altro, stante che l’Imperatore brama nelle presenti congiunture d’incontrare ogni soddisfazione della Santità Sua, ancorché si facci perciò qualche torto al Tenente Colonnello del defunto Starembergh [...].

104 L’odierna città ungherese di Székesfehérvár, già capitale nel Medioevo del Regno d’Ungheria. 105 Un probabile discendente del ramo Gibertino della famiglia Pio di Carpi.

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[p. 91] I nostri nel marchiare s’impadronirno [sic] per strada del forte luogo di Samko [sic], dove erano 140 Turchi di presidio, con una grandissima quantità di frumento, e grano, che doveva andare a Varadino, il quale fu trasportato da’ nostri, insieme co’ Turchi prigioni, in Zachmar [...].

Vedendo Sua Maestà che li Stati e Principi dell’Impero non volevano piegarsi ad assisterla nelli presenti bisogni, come si deve, mentre questa non prefigesse [sic] termine per la Dieta; si è finalmente la Maestà Sua contentata di prometterla per il futuro mese d’ottobre [...].

L’Ablegato Turco, che venne qua con lettera del Suo Signore per escluder dalla successione al Regno il figliolo del Ragozzi, doppo ante [sic] le sue audienze partì di ritorno in Costantinopoli con molta soddisfazione, e con dar lodi a questa Maestà de’ doni, e delle cortesi accoglienze, che li sono state fatte.

XXXII

Venezia, li 15 di ottobre 1661

[p. 93v] Vascello da Ragusi capitato a Livorno ha dato avviso, che colà correva voce, come li Turchi andassero comparendo in Andrinopoli a truppe grandissime da ogni parte, in virtù delle supreme intimazioni, parendo che tutte debbano essere respinte in rinforzo d’Alì Bassà contro la Transilvania, il che confronta con l’avviso avuto da Vienna, ch’egli abbia ricevuto ordine dal Gran Signore di non abbandonare li suoi porti, ma trattenersi in quel Principato [...]. [p. 94] Vienna. Le lettere qui capitate in questa settimana e di Zachmar, e di Cassovia, portano le seguenti notizie. Che pervenuto ad Aly Bassà ordine espresso dal Gran Signore di non uscire in modo alcuno dal Principato di Transilvania, non ostante gli sforzi di Cesare, avesse quello subito inviato alla volta di Colosvar (luogo dove era già arrivato il General Montecuccoli con la sua vanguardia, seguitato da tutto il restante dell’Esercito, e dall’Heister, che teneva la Retroguardia) un Comandante Turco, ed un Tartaro con 25 mila combattenti tra cavalli, e fanti, con commissione d’attaccare i nostri in caso volessero proseguire il cammino. In tanto presentito dal Montecuccoli l’incamminamento delle truppe nemiche alla sua volta, spedì al General Heister ordine, acciò s’avanzasse a gran passi con la sua Retroguardia verso Hussanay [sic], mentr’egli dalla parte di Colosvar avrebbe incontrato l’inimico, che da quella banda se ne veniva. In tanto il Principe Chimin Janos con la sua Cavalleria uscito da’ quartieri investì l’inimico, mentre il Montecuccoli, e l’Heister, dall’altra parte attaccatolo, gli riuscì in breve di fugarlo, e romperlo, con aver lasciati morti sul Campo più di 6 mila Tartari, e conquistato tutto il bagaglio, e molti Cavalli.

Di queste lettere se n’attendono più distinti ragguagli, come ancora dell’avviso ricevutosi, che il medesimo Montecuccoli, dopo d’aver fugati i nemici, e veduto che sempre più si ritiravano dalla Transilvania, aveva risoluto col parere degli altri Capi di guerra di por l’assedio a Varadino, nella cui Piazza si faceva sentire gagliardamente la peste, e sapendo anco, che quel gran Presidio penuriava grandemente de’ viveri, tuttavia la Piazza era in stato di non temere qualsiasi tentativo.

Il Principe Chimin Janos andava sempre più crescendo le sue milizie, e trattava con li Colonnelli Cesarei, come se fussero superiori suoi, promettendo ad ogni uno reali106, e buoni quartieri.

Alì Bassà faceva sparger voce tra li Principali di Transilvania, che il Sultano concederebbe loro un clementissimo perdono, et ogni agevolezza nel tributo, purché si risolvessero di elegger un altro Principe, e raconciliarsi con la Porta.

106 Moneta spagnola d’argento, molto usata durante il XVII secolo nei Principati Romeni.

La Transilvania nella seconda metà del XVII secolo (febbraio-ottobre 1661), secondo il Cod. Magl. 275

La Corte non è stata pienamente soddisfatta della già scritta scorreria del Generale Souches [sic], perché avendo avuto seco cannone, e considerabil corpo di gente, non doveva contenersi nello svaligio di 5 disabitate Palanche: ma inoltrarsi nelli stessi borghi di Buda, a fine che il nemico fusse pienamente contraccambiato della scorreria, che fece in Ungheria superiore sopra li Contadi di Sua Maestà stante che con tale intenzione appunto diede la Corte ordine al detto Generale Souuches d’inoltrarsi nel paese nemico.

XXXIII

Venezia li 22 di ottobre 1661

[p. 96v] Vienna. Si ritirano finalmente le nostre Armi dalla Transilvania, dopo aver lasciato il Montecuccoli presidiate benissimo tutte le piazze più importanti di quella; vogliono che questa ritirata sia stata d’ordine della Corte, quale nutrendo speranze d’aggiustamento, per le già scritte lettere di Costantinopoli, non vuol che la sua Armata d’avvantaggio s’impegni in quella guerra. Alcuni però asseriscono esser derivata la causa di tal ritiramento dalla gran penuria di viveri, che si sopporta in Transilvania, e per questo il Montecuccoli non si sia voluto esporre ad un manifesto pericolo di far languir di fame il suo numeroso Esercito.

Questa marchia è costata all’Imperatore circa 2 mila combattenti periti nell’accennate battaglie, ed altrettanti ne sono ammalati; onde se li Ungari non si risolvano di assisterli potriano anch’essi miseramente perire. Li Turchi rimasti in Transilvania sono circa 40 mila e vorrebbero soggiogare quella Provincia con la strattagemma. Hanno eletto Principe, come si scrisse, un tal Abbaffi107 figliuolo del Borgomastro d’una di quelle Città Sassone.; ma qui per anco non sappiamo la forma, né se li popoli prestino a questo o al Chiminy obbedienza.

Si spedì sul fine della passata un Corriere a Costantinopoli, e dubitò la Corte, che li Turchi, stante le scorrerie fatte dal General Susa, non lo lasciassero passar Buda, ma si riceve avviso, che con ogni cortesia gli abbino dato passaporto.

Si deve tener per cosa sicura, che tal missione sia con fine di procurar l’aggiustamento [p. 97] perché vedendo l’Imperatore, che deboli sono le speranze de’ validi soccorsi de’ Principi Cristiani; poco disposti gli Ungari a mantenere in qualche parte l’armata, ed ostinato l’Impero nel voler prontamente la Dieta, abbraccerà certo un ragionevole, ancor che scarso partito, per assicurar Sua Maestà li propri Stati.

Stanno assai quieti li Turchi a Canisia [sic], et il Conte di Serino era di parere che per questo anno non possino li Turchi attaccar il Forte da lui fabbricato, stante che principiando le pioggie, non permette il sito paludoso d’accostarvisi.

Arrivò iersera un Corriero d’Andrinopoli, ma per non essersi ancora diziferate [sic] le lettere, si dirà il contenuto con quest’altro ordinario [...]. [p. 97v] Si hanno poi da Belgrado, per la solita via di Ragusi, che il Gran Signore avea spedito Corriero con comandi ad Aly Bassà in Transilvania, che dovesse aver cura che le sue genti non attaccassero gl’Imperiali, essendo tra Cesare e lui vicino a farsi l’accomodamento, avendo intanto rispedito alla Corte Imperiale il Corriero mandatoli, con risposta di voler esser amico, e terminare ogni cosa con soddisfazione, al qual fine avea nominato Prencipe di Transilvania l’Abbaffi, sperando che a Sua Maestà non sarebbe dispiaciuto il soggetto, con fiducia tale, che avea Sua Altezza fatto fermare le milizie asiatiche, alle quali avea dato ordine che fussero dati quartieri, et ad

107 Michele Apaffi I, principe di Transilvania (1661-1690).

Gianluca Masi 276

Aly comandato, che conoscendo non essere a proposito di tener questo inverno i Tartari in Transilvania, li dovesse licenziare, e pagarli, e donarli due paghe di vantaggio, acciò che possino esser pronti per altra occasione delli suoi comandi [...].