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EDIZIONI QUASAR SCIENZE DELL’ ANTICHITà 17 *2011* SAPIENZA UNIVERSITà DI ROMA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITà estratto

L’Oasi di Farafra. Documentazione storica di eta faraonica e realtà archeologica. Studi preliminari e risultati della I missione archeologica

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edizioni quasar

Scienze dell’antichità

17 *2011*

sapienza università di romadipartimento di scienze dell’antichità

estratto

1. l’oaSI DI farafra: lo Stato Delle conoScenze

più nota per le ricerche riferibili all’occupazione preistorica, condotte nell’area della de‑pressione dalla metà degli anni ottanta dalla missione diretta da Barbara Barich1, l’oasi di Farafra, pur essendo menzionata, come si esaminerà più avanti, in numerosi documenti scritti di età faraonica, non ha finora restituito alcuna testimonianza ascrivibile a questo periodo. assai circoscritte appaiono anche le attestazioni archeologiche di età successiva che sembrano limitarsi ad oggi ad alcuni siti di età romana e bizantina, individuati “presso le sorgenti poste intorno a qasr el‑Farafra” dalle indagini svolte a più riprese da ahmed Fakhry, tra il 1938 e il 1968. tali indagini permisero di offrire una prima, sommaria indicazione delle emergenze ancora visibili, per lo più relative a tombe scavate nella roccia, pertinenti dunque ad aree di necropoli, e in alcuni casi a resti di strutture in mattoni crudi, di incerta funzione2.

le indicazioni offerte da Fakhry nella sua sintesi a carattere storico sui centri e sulle tra‑dizioni locali dell’oasi non furono seguite da indagini moderne che consentissero una migliore documentazione dei siti da lui menzionati e che puntassero all’eventuale individuazione di nuovi3. nel contempo, tuttavia, alcuni siti sono stati oggetto di scavi clandestini, in particolare di tombe, i cui risultati restano ovviamente a noi ignoti, ma che nondimeno testimoniano il sicuro interesse archeologico del territorio.

non vi è dubbio che questa limitata conoscenza archeologica riguardo ai periodi sto‑rici dell’oasi stia alla base della sostanziale “marginalità” alla quale questo territorio è stato costretto all’interno dei più recenti studi sul deserto occidentale egiziano di età faraonica e greco‑romana, quasi esclusivamente rivolti verso contesti archeologicamente più rilevan‑ti, come le oasi di dakhla e Kharga, che per questo motivo vantano oggi una più ricca e cospicua documentazione. È inoltre di questi ultimi anni l’avvio, da parte delle missioni

1 a riguardo vd. BarIch - haSSan 1984‑87 e i contributi sulla fase preistorica dell’oasi in questo vo‑lume.

2 fakhry 20032, pp. 163‑166. un discorso a sé me‑rita la fortezza di qasr el‑Farafra per la quale vd. infra.

3 di fatto dopo il Fakhry non vi sono state ul‑teriori significative ricerche. sulle evidenze archeolo‑giche di età storica dell’oasi di Farafra si veda, oltre al Fakhry, ValloggIa 2004, pp. 180‑182 e WIlleItner 2003, pp. 86‑88.

roBerto Buongarzone – Stefano De angelI

l’oasi di FaraFra. documentazione storica di età Faraonica e realtà archeoloGica

di età romana e Bizantina. studi preliminari e risultati della i missione archeoloGica

dell’università deGli studi della tuscia

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ceca e francese, di una serie di attività di ricerca in diversi punti dell’oasi di Bahariya, dove l’occupazione di età storica si manifesta ancora oggi tramite evidenze e resti archeologici di particolare rilievo. diversamente, l’oasi di Farafra, che non conosce presenze archeologiche di età storica altrettanto evidenti e significative, ha visto come unica iniziativa di un qualche rilievo la recente indagine (2008), ad opera di una missione dell’iFao guidata da victor Ghica, di una tomba ipogea di ayn Gillaw reimpiegata in età cristiana, con croci ed altre decorazioni dipinte alle pareti e sul soffitto, già nota dal Fakhry. i risultati di tale indagine sono stati per ora riassunti in una breve nota preliminare, nella quale si avanza una datazione al i‑ii sec. d.c. della tomba, sulla base della ceramica, e si assegna al v sec. d.c. la successiva occupazione cristiana. incerta resta ancora la sua funzione o quale ermitage (come avanzato dal Fakhry) o come mahatta (stazione) carovaniera, come sembra invece ipotizzare in alter‑nativa il Ghica4.

a questa “marginalità” del territorio di Farafra, frutto per le fasi storiche di un “vuoto” delle conoscenze più che di una reale inconsistenza dei dati a nostra disposizione, si è inte‑so contrapporre alcune iniziative di studio, volte a una migliore comprensione dell’eventuale frequentazione anche in epoca faraonica dell’oasi, successiva dunque all’occupazione di età preistorica, ben nota dalle ricerche della missione romana, e degli strumenti e delle dinamiche che ne hanno favorito una più intensa antropizzazione, in particolare in epoca romana. studi che, di fatto, hanno costituito, come si vedrà, la necessaria premessa alle iniziative più recenti di ricerca sul campo promosse dall’università degli studi della tuscia di viterbo nell’oasi di Farafra.

da un lato si è pertanto passato in rassegna con un’attenta analisi testuale i pochi, ma estesi nel tempo, documenti scritti di età faraonica che menzionano l’oasi di Farafra, per confermarne l’attendibilità e sottolinearne l’importanza quali testimonianze dell’occupazione e dello sfrut‑tamento nel tempo di questo territorio.

dall’altro, prendendo le mosse da una ricerca avviata a partire dal 2006 sull’origine e la diffusione nell’africa settentrionale antica delle gallerie drenanti sotterranee, note in lettera‑tura come qanat5, si è tentato di ricostruire, alla luce anche della forte relazione con i traffici commerciali trans‑sahariani, un quadro complessivo del processo di antropizzazione delle oasi del deserto occidentale egiziano tra età persiana ed epoca romana, sottolineando in particola‑re il ruolo fondamentale svolto dall’impiego e dalla diffusione dei qanat.

[s.de.a.]

4 vd. pantalaccI - DenoIx 2008, p. 470 (v. Ghica).

5 la ricerca, dal titolo Draining Water Channel (qanat) in Antiquity, è stata finanziata dal ministero dell’ambiente e dall’università degli studi della

tuscia, nel quadro di una convenzione finalizzata alla lotta alla desertificazione e alla valorizzazione del‑le conoscenze tradizionali per lo sfruttamento delle risorse idriche in ambienti aridi e desertici in africa settentrionale.

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2. I DocumentI ScrIttI DI età faraonIca

come si è detto, l’oasi di Farafra, pur essendo menzionata in numerosi documenti scritti di età faraonica, non ha finora restituito nessuna testimonianza ascrivibile a questo periodo. il nome che, già dal XiX secolo, la letteratura egittologica associa all’oasi di Farafra, Ta-ihu (¦A-jHw), “terra della vacca”, si applica con assoluta certezza a Farafra solo nella lista delle 7 oasi del tempio di edfu, di epoca tolemaica, mentre più incerta e discussa è la sua attribuzione nelle fonti delle epoche precedenti, rare ma estese nel tempo6.

se le identificazioni delle attestazioni più antiche (v dinastia, i periodo intermedio) del nome dell’oasi poggiano di fatto su indizi importanti ma controvertibili, è ormai da consi‑derarsi pressoché certo che le fonti del nuovo regno (la processione dei distretti minerari personificati nel tempio di luxor e l’iscrizione di merenptah dal tempio di Karnak) possano essere riferibili proprio all’oasi di Farafra, come emerge dalla breve discussione che segue sulle attestazioni del nome Ta-ihu in epoca dinastica e tolemaica.

Documento 1.la prima menzione del nome ¦A-jHw risale alla quinta dinastia (ca. 2494‑2345 a.c): su due

statue del Brooklin museum, che ritraggono un uomo chiamato Nekhetsas, è iscritto tra gli altri il titolo di jmj-rA ¦A-jHw. tradotto da edel come “vorsteher des rinderlands”, terra che lo studioso identificò con Farafra sulla base delle attestazioni successive del nome ¦A-jHw7, il titolo fu succes‑sivamente letto da Goedicke jmj-r mr jH(w), e tradotto “overseer of the cattle‑meadow”, sulla base di un presunto scambio tra i geroglifici (tA) e (mr) nel titolo (jmj-rA ¦A-jHw)8. Gli altri titoli di nekhetsas sarebbero indizio, secondo lo studioso, di una sua competenza nell’ammi‑nistrazione dei territori connessi al culto funerario reale; perciò un incarico di amministratore di Farafra mal si concilierebbe con la sua attività di amministratore funerario nelle vicinanze della capitale menfi. tra i titoli di nekhetsas che Goedicke ritiene più importanti per la sua argomen‑tazione, vi sono quelli di xrp jmyw-zA, di aD-mr grgt rsyt mHtt e di aD-mr Tnw; il primo può essere tradotto “direttore dei membri della phyle”, il secondo “commissario della bonifica del sud e del nord”, il terzo “commissario del territorio desertico”9. con il termine greco phyle si indica, nella letteratura egittologica, un gruppo organizzato di uomini che prestavano servizi part‑time nei templi o nelle opere di edilizia pubblica10. Gli altri due titoli appaiono perfettamente in armo‑nia con un incarico di “sovrintendente dell’oasi di Farafra”. la bonifica (grgt) poteva infatti ben essere, nell’antico egitto, l’equivalente della “land‑reclamation” di oggi, consistendo nell’irri‑gazione e messa a coltura di zone desertiche o semidesertiche11; dal canto suo, il termine aD-mr individua un amministratore responsabile della messa a coltura o bonifica dei terreni12.

6 per una storia della questione, si veda gIDDy 1987, pp. 47‑48, 165. cfr. hannIg 2006, p. 2983; fakhry 1977, pp. 113‑114.

7 eDel 1956.8 goeDIcke 1980.9 “landrat des Wustenrandgebietes”: hannIg

2003, pp. 297‑298.10 allam 1993, p. 354.11 certamente per “bonifica” si poteva intendere

anche la messa a coltura di zone verdi. 12 hannIg 1995, p. 165.

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quanto alla phyle (zA), gli studi più recenti relativi all’uso del termine nell’antico regno13 ne hanno escluso una funzione soltanto funeraria. Basandosi sull’indizio, che oggi appare su‑perato, per il quale “the title concerns funerary or funerarily oriented labor organization”, Goedicke arrivava a considerare i termini grgt e Tnw come sinonimi e relativi al “royal burial ground”, in un territorio che non poteva essere lontano dalla capitale.

lo studioso citava a ulteriore supporto un’iscrizione relativa a un certo Ka‑wdj‑ankh(i)14, che porta il titolo di aD-mr Tnw accanto a quello di jmj-rA jHw n mnjw Xnw, “sovrintendente del bestiame dei pastori della residenza”. È possibile che quest’ultimo incarico possa essere com‑patibile con quello di aD-mr Tnw: un “commissario della bonifica di un territorio desertico” po‑teva svolgere anche la funzione di “amministratore delle mandrie del dominio reale”; i terreni e gli allevamenti di proprietà reale non dovevano necessariamente essere vicini alla residenza, e questa a sua volta, trovandosi a menfi, non era certo lontana dal deserto.

infine la deduzione di Goedicke che i “capi dell’oasi” (HoA wHAt) di dakhla durante la sesta dinastia avessero legami assai tenui con il potere centrale, anche perché indigeni, e che perciò non sia ipotizzabile che un funzionario egiziano fosse stato nella dinastia precedente un amministratore della più remota Farafra, appare oggi in contrasto con quanto è emerso dagli scavi di ain asil, che hanno dimostrato che nell’antico regno il legame tra dakhla e il gover‑no centrale egiziano era consolidato e che la popolazione di quest’oasi era numerosa, al punto che vi sono stati censiti altri venti siti frequentati nell’antico regno15.

Documento 2.la seconda attestazione del toponimo ¦A-jHw ( ) si trova un testo assai noto,

datato al primo periodo intermedio: è il racconto dell’oasita eloquente16, il cui protagonista Khunanup, viaggiando dalla “valle del sale”, identificabile probabilmente con l’attuale Wadi natrun, verso Nnj-nsw eracleopoli, la capitale all’epoca della narrazione (dinastie iX‑X: ca. 2160‑2025 a.c.), situata in medio egitto, carica i suoi asini di molteplici beni, tra i quali le “verghe di Farafra” (awnwt nt ¦A-jHw)17. al di là della difficile interpretazione di quale fosse la funzione di tali verghe, se clave usate come armi, bastoni o verghe di legno, e di quale legno (mandorlo?), ciò che interessa qui è la menzione di ¦A-jHw in un contesto di produzione e commercio di beni materiali alla fine del iii millennio a.c. sebbene questo documento, a differenza del precedente, non presenti altri elementi di confronto che convalidino l’identi‑ficazione di ¦A-jHw, dal momento che le altre merci che l’oasita intende portare nella capitale vengono tutte dalla valle del sale – eccetto il legno di un toponimo ad oggi non identificabile (Tyw) –, tuttavia non c’è ragione di ritenere che il toponimo abbia un valore diverso rispetto al precedente documento: la “terra delle vacche” è, come la “valle del sale”, una regione del deserto occidentale.

13 roth 1991.14 Bm 1223: goeDIche 1980, p. 173 e n. 20.15 hope 1999, p. 220.

16 mus. Berlino, pap. 3023 e 3025, r13. cfr. sImpSon 2003, p. 26.

17 cfr. JanSSen 1975; gIDDy 1980, p. 122.

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Documento 3.due testimonianze del nuovo regno si integrano a vicenda e costituiscono la più antica

prova dell’identificazione di ¦A-jHw con una delle oasi occidentali.il primo documento è la lista della corte di ramses ii (ca. 1279‑1213 a.c.) del tempio

di luxor, raffigurante i distretti personificati che offrono preziosi minerali al faraone: ¦A-jHw ( ) vi compare tra Knmt e ©sDs, tradizionalmente identificate rispettivamente come Kharga + dakhla (l’Oasis Magna) e Bahariya. se per l’identificazione di ©sDs con Bahariya ad oggi non sussistono ragionevoli dubbi18, viceversa l’dentificazione di Knmt si basa essenzial‑mente sulla lista delle oasi del tempio di edfu (doc. 5) di epoca tolemaica, che situa ¦A-jHw “a nord‑ovest di Knmt”. la stessa lista pone ©sDs, identificata con l’“oasi del nord” (WHAt mHtt), “a nord‑est di ¦A-jHw”. È notevole che tanto la lista di luxor che quella di edfu, compilate a ol‑tre mille anni di distanza, pongano ¦A-jHw tra Bahariya e un’altra oasi più a sud, chiamata Knmt. la lista di edfu rende ancora più convincente l’identificazione di ¦A-jHw con Farafra, in quanto la situa più a ovest delle due oasi più vicine rispettivamente verso nord e verso sud: Bahariya e dakhla. ¦A-jHw si trova, secondo la lista, a “nord‑ovest di Knmt” e Bahariya a “nord‑est di ¦A-jHw”. recentemente sidney aufrère, in una nuova edizione e traduzione della lista delle sette oasi di edfu, ha identificato Knmt con la sola dakhla, mentre Kharga, la prima delle sette oasi, sarebbe citata in una lacuna che lo studioso restituisce così: “l’oasis qui se trouve au sud‑ouest du nome de ta‑our”, ovvero a sud‑ovest di abido nel nomo tinita19.

Documento 4.il secondo documento del nuovo regno è la Grande iscrizione di merenptah a Karnak,

di poco posteriore alla lista del tempio di luxor (ca. 1213‑1203 a.c.). si tratta di un testo di propaganda reale che rende conto della vittoria del faraone sui libici, alleati con i popoli del mare. merenptah raggiunge il confine nord‑occidentale del paese e si prepara alla battaglia con un discorso alla corte nel quale afferma che “i libici hanno raggiunto le alture dell’oasi e hanno tagliato fuori il distretto di ¦A-jHw ( ), come si dice dai tempi della regalità negli an‑nali di altri tempi”20.

quel che emerge dal brano – in accordo con quanto ha scritto in proposito lisa Giddy21 – è che ¦A-jHw si trovava “in the line of attack made by the enemies of egypt from the West”, e che con le “alture dell’oasi” (Dww wHAt) il testo dovesse riferirsi a una regione di confine che veniva considerata storicamente (“annali di altri tempi”) una sorta di barriera contro le inva‑sioni da occidente. dal testo non si evince che ¦A-jHw fosse “incorporata” nelle colline dell’oasi (è l’ipotesi di l. Giddy), ma piuttosto che si dovesse trovare a ovest di queste. i due eventi raccontati dall’iscrizione di merenptah, il raggiungimento delle alture dell’oasi da parte dei nemici e l’isolamento di ¦A-jHw (“hanno tagliato fuori”) dalle rotte verso la valle, sembrano infatti in rapporto di causa‑effetto: Farafra non era più raggiungibile dalla valle perché gli invasori avevano “tagliato” le sue vie d’accesso o da nord‑est, o da sud‑est o comunque da

18 gIDDy 1987, pp. 42‑44.19 aufrère 2000, p. 82, nota a.20 testo geroglifico in kItchen 1982; cfr. le tra‑

duzioni di BreaSteD 1962 e la recente edizione di manaSSa 2003.

21 gIDDy 1987, p. 93.

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est. per questo potrebbe avere un valido fondamento l’ipotesi di Breasted, secondo il quale “the hills of the oasis” costituiva “the usual designation of the oasis otherwise called by the egyptians the “northern oasis”, ovvero Bahariya22. si avrebbe così una corrispondenza tra le “alture dell’oasi” (Dww wHAt) dell’iscrizione di merenptah e l’”oasi del nord” (WHAt mHtt) – ©sDs – Bahariya, di cui si scrive, nella quasi contemporanea iscrizione di Karnak, che era si‑tuata a nord‑est di ¦A-jHw. È altresì vero che il termine WHAt veniva impiegato, fin dall’antico regno – si pensi ai “Governatori dell’oasi” le cui tombe sono state scoperte a qila al‑dabba – per designare l’intero distretto di Kharga e dakhla, che diventò in epoca greco‑romana l’Oasis megale23. in conclusione, i libici avrebbero potuto tagliare il collegamento con Farafra o da nord‑est (Bahariya) o da sud‑est (Kharga‑dakhla); le due ipotesi sono entrambe sostenibili con validi argomenti, nessuno dei quali però è decisivo.

Documento 5 (Fig. 1).la lista delle sette oasi del tempio di edfu24 risale al regno di tolomeo viii evergete ii e

di cleopatra iii (170‑116 a.c.). le oasi vi sono raffigurate come nili che conducono tolomeo e cleopatra davanti alla triade di edfu, e vi precedono la lista dei nomi dell’antico egitto, che si conclude con i distretti del Basso egitto. i testi di accompagnamento della scena delle sette oasi sono costituiti da commentari mitologici legati al ciclo osiriaco.

dopo Kharga, “[l’oasi che si trova a sud‑ovest del] nomo tinita”25, sulla lista il nome della seconda oasi è purtroppo cancellato. aufrère lo integra così: “[Knmt, che si trova a nord‑ovest dell’oasi del nomo tinita]”. l’integrazione si giustifica con il testo della terza oasi, di cui la lista afferma “che è a nord‑ovest di Knmt”26. l’identificazione della seconda oasi con la sola dakhla sarebbe provata, oltre che dall’identificazione della prima oasi con Kharga, da un’iscrizione della tomba di qitinos a Bashendi, che definisce il proprietario come “osiride in Kenmet”27.

la terza oasi della lista è ta‑ihu ( ):“il re viene a te, o horo di edfu, signore del cielo […]. egli ti conduce il paese della vacca

situato a nord‑ovest di Kenmet”. un ulteriore problema è costituito dall’identificazione della quarta oasi, sekhet‑imat, che

la lista afferma trovarsi “sul colle dell’oceano primordiale (Hr tA jAt n pA Nnw), il suo nome è il campo dell’albero ima (sxt-jmAt)”. un’altra iscrizione del tempio di edfu28 definisce i “campi degli alberi ima” “la regione degli oasiti che si trovano a ovest della contrada della terra del‑la vacca (¦A-jHt ), i quali vivono dell’acqua del nilo nella sua parte occidentale, dell’acqua di pozzo nella sua parte orientale”. questi passi hanno suscitato tra gli studiosi una serie di congetture, tra le quali, seguendo s. aufrère, appaiono da rigettare quelle che identifi‑cano sekhet‑imat con piccole oasi vicine a Farafra, come ayn al‑Wadi o ayn el‑dalla. si tratta di siti che non hanno restituito finora alcun reperto di epoca storica che sia databile a prima

22 BreaSteD 1962, p. 244 nota a.23 aufrère 2000, pp. 87‑88, nota a.24 testo geroglifico: DümIchen 1877, pl. iii‑iX.25 secondo la restituzione di oSIng 1985, p. 184,

ripresa e integrata da aufrère 2000, p. 82, nota a.

26 aufrère 2000, p. 86, nota a.27 Ibid.28 chaSSInat 1931, p. 197, 11‑198, 1.3; aufrère

2000, p. 99.

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dell’età romana29. si potrebbe obiettare che finora neanche Farafra lo ha fatto. tuttavia Farafra è una grande oasi con numerosi siti che ancora potrebbero restituire tracce di presenza faraoni‑ca. inoltre, appare assai convincente l’ipotesi di s. aufrère della continuità culturale tra l’egitto antico e quello arabo30: i geografi arabi definirono le cinque oasi del deserto occidentale certa‑mente sulla base dei precedenti classici. anche per questo, per identificare la quinta oasi della lista di edfu, non resta che pensare alla quinta delle oasi classiche, siwa, la cui abbondanza di acqua dolce e la cui distanza dalla valle del nilo poteva giustificare, in un contesto rituale come quello del tempio di edfu, la metafora dell’oasi situata sul colle del Nun, ovvero su una distesa di caos liquido o solido, acqua o deserto.

29 con ayn al‑Wadi l’aufrère intende verosi‑milmente riconoscere il sito antico del deserto Bianco meglio noto con il nome di ayn Khadra, per il quale

vd. infra. relativamente alle attestazioni di età romana del sito di ayn el‑dalla vd. fakhry 20032, pp. 165.

30 aufrère 2000, pp. 101‑102.

Fig. 1 – la personificazione di Farafra nella lista delle oasi di edfu (disegno da J. DümIchen, Die Oasen der liby-schen Wüste, strasbourg 1877.

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concludendo, se l’associazione di Ta-ihw con la depressione di Farafra diventa certa in modo assoluto solo a partire dalla lista delle sette oasi del tempio di edfu, di epoca tolemai‑ca, tuttavia non c’è ragione di ritenere che le attestazioni del toponimo in epoca faraonica si riferiscano a un territorio diverso da Farafra, nel momento in cui si esclude, come qui si ritie‑ne, un’identificazione con le piccole oasi prossime ad essa, come ayn al‑Wadi a nord o ayn el‑dallah a nord‑ovest. infatti, per le stesse ragioni di continuità geografica e culturale sopra descritte (cfr. documento 5), è difficile immaginare che gli autori ramessidi, come quelli di epoca tolemaica, potessero riferirsi con Ta-ihu ad un’oasi diversa da quella di Farafra, la quale, rispetto ad ayn el‑dalla e ad ayn al‑Wadi, appare anche oggi una macro‑regione costituita da una depressione molto vasta, ma al tempo stesso chiaramente definita dai plateau occidentali e orientali, punteggiata di piccole oasi, ma non più piccole delle singole oasi periferiche sopra citate.

ciò precisato, è possibile fare alcune considerazioni finali di carattere storico su questo insieme di testimonianze. nel documento 1, risalente alla v dinastia, nekhetsas non è un HoA dell’oasi, cosa che lo equiparerebbe ai governatori della vicina e ben più importante dakhla, ma un semplice jmj-rA di Farafra, ovvero un sovrintendente, un amministratore che aveva anche altri incarichi di bonifica del territorio desertico31. il documento costituisce il primo indizio di un’antropizzazione dell’oasi in epoca storica, poco dopo la metà del iii millennio a.c.: la presenza di un “amministratore” nominato dal potere centrale vi si giustifica con la necessità di bonificarne il territorio in vista di uno sfruttamento delle sue risorse. Gli altri incarichi di nekhetsas, “commissario della bonifica del sud e del nord” e “commissario del territorio desertico”, non lasciano dubbi in proposito. dal canto suo, il racconto dell’oasita eloquente (documento 2) testimonia che, a distanza di circa tre secoli dal primo documento di epoca storica, Farafra produceva un prodotto, le “verghe di Ta-ihw”, che veniva esportato nella valle del nilo da mercanti che si muovevano con una certa costanza lungo le vie carovaniere, e che potevano incappare in agguati di predoni. non c’è ragione di dubitare che Farafra commer‑ciasse già allora altri prodotti naturali tipici delle oasi occidentali. ma non abbiamo altre fonti a supporto di questa ipotesi.

a distanza di circa otto secoli, i documenti dell’epoca ramesside collocano Ta-ihw ad ovest dell’egitto, in un territorio storicamente esposto alle invasioni da parte di genti libiche, che si trovava a sud‑ovest di Bahariya. si trattava di un territorio strategicamente importante, tanto che la Grande iscrizione di merenptah (documento 4) individua nel suo isolamento da parte del nemico – che aveva raggiunto le “alture dell’oasi” – un grave pericolo. d’altro canto, la lista dei distretti di ramses ii (documento 3) include Farafra tra i territori sfruttati per le loro risorse minerarie, aggiungendo un dato interessante all’esportazione delle risorse naturali testimoniate dal documento 2. infine la lista delle sette oasi (documento 5), redatta mille anni dopo l’epoca ramesside, conferma in modo inequivocabile la posizione di Ta-ihu e quindi la sua identificazione con Farafra, la terza delle grandi oasi occidentali partendo da sud.

31 cfr. aufrère 2000, p. 91 nota a; lo studioso però attribuisce a nekhetsas il titolo di jmj-rA smjwt,

che elmar edel aveva citato solo come confronto.

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Farafra si trova all’incirca a metà strada tra le oasi di dakhla e l’oasi di Baharya. essa è sempre stata una sorta di terreno di incontro tra le altre oasi occidentali, sia per la sua posizione al centro del sistema di oasi del deserto occidentale, composto da Bahariya a nord e da dakhla e Kharga a sud, sia per la sua notevole distanza dalla valle del nilo (300 km da asyut), che ne faceva l’avamposto più occidentale della civiltà nilotica, insieme alla più settentrionale siwa. È assai probabile che dopo una prima antropizzazione durante l’antico regno, che si tradusse in una bonifica e messa a coltura del suo territorio, l’oasi fosse entrata a far parte, almeno a partire dal nuovo regno – ma l’espressione “come si dice dai tempi della regalità negli annali di altri tempi” dell’iscrizione di merenptah farebbe pensare a tempi più antichi – del sistema militare di protezione dalle invasioni di genti nomadiche da ovest (i “libici”), un sistema di cui costituiva l’avamposto più occidentale, escludendo siwa, che nel nuovo regno non veniva considerata ancora parte del territorio egizio. in età tolemaica l’oasi appare infine saldamen‑te collocata all’interno del sistema delle oasi occidentali, ormai completamente egizianizzate, siwa inclusa.

[r.B]

3. VIe caroVanIere, SIStemI IDrIcI a qanat e antropIzzazIone Delle oaSI Del DeSerto occIDentale tra età perSIana eD epoca romana

la particolare posizione dell’oasi di Farafra al centro del sistema delle oasi del deserto occidentale, oltre a farne l’avamposto più occidentale della civiltà nilotica e del suo sistema mi‑litare di protezione dalle invasioni di genti nomadiche da ovest, dovette senz’altro favorirne il ruolo di vero e proprio “crocevia” dei traffici del deserto che si muovevano in direzione nord‑sud, lungo percorsi interni paralleli e alternativi al nilo, ed est‑ovest, dal nilo verso la libia.

l’importanza delle oasi del deserto occidentale nell’ambito dei traffici commerciali tra egitto e africa sub‑sahariana ed egitto e altre regioni sahariane dell’africa settentrionale non è stata finora oggetto di una trattazione complessiva, anche se non mancano contributi, più o meno recenti, che offrono importanti informazioni e riflessioni su tale argomento. il più im‑portante è senz’altro quello di G. Wagner, che nel suo studio sulle oasi del deserto occidentale in epoca greca, romana e bizantina, attraverso i documenti in lingua greca (papiri, ostraka, iscrizioni e graffiti), ha tentato di ricostruire tragitto e caratteristiche delle vie carovaniere che in epoca greco‑romana garantivano il collegamento interno delle oasi e quello verso la valle del nilo e le città della costa mediterranea (alessandria, Paraetonium/marsa matrouh, cirene)32.

l’abbondanza delle fonti relative all’oasi di Kharga (la Grande oasi), di Bahariya (la piccola oasi) e di siwa (l’oasi di ammone)33 consentono di avere un quadro abbastanza arti‑colato delle vie carovaniere che le attraversavano. se per la piccola oasi e l’oasi di ammone,

32 Wagner 1987, pp. 140‑154.33 su queste oasi in generale vd. gIDDy 1987;

Wagner 1987; WIlleItner 2003; ValloggIa 2004; VIVIan 20076.

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il numero delle piste risulta limitato dalle dimensioni e dalla particolare situazione di queste depressioni, nel caso della Grande oasi, che per la sua estensione costituiva una vera e propria valle parallela alla valle del nilo, sono documentate numerose piste che da diversi punti con‑ducevano o a nord e a est, verso la valle del nilo o a sud, verso il darfour, o a ovest, verso l’oasi di dakhla e da qui, risalendo verso nord, alla piccola oasi, attraversando l’oasi di Farafra.

al contrario, mancano ad oggi fonti scritte sulle vie carovaniere che partivano o attra‑versavano le oasi di dakhla e Farafra, per le quali le uniche informazioni utili possono solo venire dallo studio delle vestigia archeologiche di siti antichi del deserto occidentale posti presso punti d’acqua (fonti naturali o pozzi), a scandire il percorso delle piste commerciali che collegavano queste oasi tra loro e alle altre o che provenivano dalla valle del nilo o ancora che procedevano ad ovest verso le oasi libiche.

le vie carovaniere del deserto occidentale egiziano si inserivano all’interno di un più ampio sistema di piste commerciali, sviluppatosi nel corso del i millennio a.c., che interessava l’intera cintura dell’africa sahariana centro‑orientale e connetteva le regioni sub‑sahariane con le città costiere del bacino del mediterraneo. in un recente articolo m. liverani ha sottolineato come la realtà di tale sistema emerga dalle forti relazioni esistenti tra territori separati da diver‑se centinaia di chilometri di deserto, risalenti forse già all’età del Ferro e di fatto pienamente accertate per l’età classica34.

in concomitanza con lo sviluppo di queste vie carovaniere e dei traffici ad esse connessi si sono affermate nel cuore del deserto del sahara nuove realtà insediative, in alcuni casi anche di ampie dimensioni, strettamente finalizzate al controllo degli scambi commerciali e caratte‑rizzate da una particolare capacità di superare le avversità dell’ambiente desertico. È il caso del regno dei Garamanti, sviluppatosi nel Fezzan libico nel corso del i millennio a.c., che svolse un importante ruolo inizialmente – secondo liverani – nello sviluppo, intorno alla metà del i millennio, dei traffici commerciali tra il regno del niger e l’egitto, e quindi dei traffici trans‑sahariani che lungo una direttrice nord‑sud collegavano i mercati sub‑sahariani e i loro prodot‑ti agli emporia, prima punici e greci e quindi, a partire dal i sec. d.c., romani della tripolitania e della cirenaica, come dimostrano infatti le grandi quantità di ceramica e manufatti romani provenienti da siti garamantici del i‑iv sec. d.c.35.

la necessità di dominare l’ambiente desertico e di riuscire a procurarsi le risorse idriche necessarie ad una più stabile e intensa occupazione di questi territori trova nel Fezzan libico un’efficace risposta nell’introduzione della tecnica delle gallerie drenanti, comunemente dette qanat36. si tratta di una particolare tecnica di sfruttamento delle risorse idriche delle regioni semiaride e desertiche, sviluppatasi già in età antica e il cui impiego è proseguito in diversi luo‑ghi fino in epoca recente37. tale sistema si basa sulla realizzazione di gallerie drenanti, provviste

34 lIVeranI 2000a; lIVeranI 2000b.35 per una completa rassegna delle ricerche condot‑

te dalla missione inglese nel Fezzan libico, vd. mattIngly et al. 2003 (con bibl. prec.) e mattIngly 2006.

36 sull’impiego dei qanat nel Fezzan libico vd. mattIngly et al. 2003; mattIngly - WIlSon 2003;

Drake et al. 2004; WIlSon 2006, 2009.37 sul sistema dei qanat e sul loro funzionamen‑

to si veda in generale goBlot 1979, gaSt 1997 e da ultimo Boucharlat 2001, pp. 158‑159, con una de‑scrizione degli elementi che distinguono un qanat da altri simili sistemi idrici.

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17, 2011 l’oasi di Farafra 71

secondo la teoria diffusionistica di h. Goblot, oggi ampiamente attestata in letteratura, il si‑stema dei qanat nasce e si sviluppa in persia, forse nel tardo periodo assiro38 o, più probabilmen‑te, in età achemenide, tra vi e v sec. a.c.39, diffondendosi velocemente nel bacino del vicino e medio oriente e quindi in africa settentrionale40. una più recente ipotesi suggerisce al contrario un’origine di questa tecnica nell’oman, tra la fine del ii e l’inizio del i millennio a.c.41. si tratta di due teorie ampiamente discusse e ancora da verificare, la cui debolezza risiede principalmente nell’eterogeneità tecnica dei sistemi comunemente noti come qanat attestati nel vicino oriente e sulla mancanza per questi ultimi di dati archeologici attendibili, specialmente in iran42.

di pozzi verticali, in grado di captare le acque di una falda freatica. la galleria sotterranea è col‑legata alla superficie attraverso dei pozzi di areazione verticali ed è costituita da una parte attiva drenante a monte, quella che penetra cioè nei livelli idrogeologici, e da una parte normalmente più lunga con funzione adduttrice che giunge fino al punto di distribuzione delle acque, nelle aree agricole o abitate più a valle (Fig. 2).

38 si veda da ultimo Dalley 2001-02.39 così SalVInI 2001, che sottolinea l’assenza di

qualsiasi documento archeologico ed epigrafico rela‑tivo ai qanat in urartu tra iX e vii sec. a.c.

40 goBlot 1979.41 vd. cleuzIou 1997. per una discussione di

questa ipotesi si veda da ultimo Boucharlat 2001.42 cosi Boucharlat 2001, che sottolinea come

in oman le testimonianze di gallerie drenanti risalenti

già alla fine del ii‑inizi del i millennio a.c. non siano di fatto pertinenti a veri e propri qanat (a riguardo vd. nota sotto), mentre è assai probabile che che testimo‑nianze di veri qanat risalgano a non prima dell’inizio dell’era cristiana, analogamente all’iran, dove veri e propri qanat sono attestati solo a partire dal i millen‑nio d.c., anche se è difficile dire se siano databili già all’età pre‑araba.

Fig. 2 – modello schematico di un qanat.

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72 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

al contrario, la possibilità di disporre di dati archeologici più certi, associati ad una chiara omogeneità da un punto di vista tecnico dei sistemi e ad un loro impiego in contesti idroge‑ologici simili, ha certamente facilitato la comprensione della presenza e diffusione dei qanat nell’africa settentrionale antica43. di recente, alcuni studi hanno tentato di offrire un più ac‑curato e attendibile quadro dei tempi e delle modalità di questa diffusione, sulla base dei dati provenienti dalle ricerche archeologiche condotte nell’oasi di Kharga e nel già citato Fezzan libico e da quelle in corso in alcuni siti dell’oasi di Bahariya. sebbene con accenti differenti que‑sti studi concordano essenzialmente sul ruolo “pionieristico” svolto in epoca antica dall’egitto nella diffusione in africa settentrionale della tecnica dei qanat44.

le ricognizioni e gli scavi condotti dalla missione francese nella regione di douch, nella parte meridionale dell’oasi di Kharga, ed in particolare nel sito di ayn manawir, hanno pie‑namente accertato l’introduzione di tali sistemi idrici a partire dalla dominazione persiana, ed in particolare dalla metà del v sec. a.c., nonché un loro impiego continuato in età tolomaica e soprattutto in epoca romana, in particolare durante il i e ii sec. d.c.45.

secondo i risultati delle ricerche francesi, in età persiana l’intera regione di douch fu inte‑ressata da una forte antropizzazione, resa possibile proprio dall’introduzione della tecnologia dei qanat. si è trattato di fatto di una vera e propria nuova occupazione dell’area, che in prece‑denza aveva conosciuto una fase di frequentazione umana nel corso della tarda età paleolitica, proseguita forse fino all’antico regno, e a cui fece seguito un lungo iato fino appunto al v sec. a.c.46. una occupazione che, grazie all’impiego continuato di questa innovativa tecnica di sfruttamento delle risorse idriche, garantì il nascere e lo sviluppo nell’area di diversi insedia‑menti stabili e di una agricoltura su più ampia scala, almeno fino alla tarda antichità (iv‑v sec. d.c.), come le ricerche francesi hanno chiaramente evidenziato nel sito di ayn manawir e in generale in altri contesti antichi della regione di douch47, È probabile che l’occupazione della regione rispondesse ad una precisa iniziativa del potere centrale persiano e che l’introduzione della tecnica dei qanat sia stata decisa e favorita da quest’ultimo, sotto il controllo dei satrapi egiziani e della loro amministrazione48. la motivazione principale di questa occupazione sta‑

43 i sistemi idrici attestati in egitto e libia in epoca antica e che saranno menzionati nella rassegna che segue sono tutti chiaramente riconducibili per le caratteristiche tecniche che li contraddistinguono dal‑la tipologia di galleria drenante che sfrutta le risorse idriche di acquiferi nascosti, così come descritta sopra e come definita in letteratura, a riguardo si veda da ultimo, Boucharlat 2001, p. 158.

44 vd. WIlSon 2006; WIlSon 2009 e De angelI - fInocchI 2006; De angelI - fInocchI 2008; De angelI 2011. mentre il Wilson insiste sul “‘pivotal’ role” svolto dal Fezzan nella diffusione in età antica dei sistemi a qanat attraverso il sahara, includendo anche il sahara algerino (Gourara, touat, tidikelt), i secondi enfatiz‑zano maggiormente la precoce introduzione e l’ampia diffusione dell’uso dei qanat nelle oasi del deserto occidentale egiziano tra l’età persiana e l’epoca romana

e quindi la progressiva diffusione di questa tecnica, du‑rante questo periodo, dall’egitto verso il nord africa centrale, prima nel Fezzan libico e quindi nella tunisia ed algeria romana (montagne degli aurès).

45 sul sito e il sistema idrico a qanat di ayn manawir si veda in particolare Wuttmann et. al. 2000; Wuttmann 2001.

46 vd. Wuttmann et. al. 2000, pp. 4‑8; Wuttmann 2001, pp. 113‑116, 124‑135.

47 in particolare sullo sviluppo di una agricoltura estensiva nell’area di douch a seguito dell’introduzio‑ne dei qanat, vd. BouSquet - reDDé 1995; BouSquet 1996, 1999; BouSquet - roBIn 1999.

48 vd. Wuttmann et al. 2000, pp. 4‑5; Wuttmann 2001, pp. 134‑135 e BouSquet 2001, p. 189. “[les qanats] furent d’abord moyens à l’apui d’une terre d’empire, …”.

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17, 2011 l’oasi di Farafra 73

bile della regione, che sembra trovare un confronto in analoghe dinamiche insediative in altre parti dell’oasi (si veda il sito di hibys), è forse da mettere in relazione, oltre che con la neces‑sità di garantire il presidio di un ampio territorio posto ai margini dell’impero, che costituiva una vera e propria porta di ingresso da sud, con la volontà da parte dei persiani di esercitare un pieno controllo delle piste carovaniere che attraversavano l’oasi, non solo quelle che la collegavano con la valle del nilo, ma in particolare anche il darb el arbain, la carovaniera che veicolava i traffici commerciali provenienti dal darfur49. si tratta solo di un’ipotesi, ma è indicativo osservare come a partire da questo periodo si assista al graduale strutturarsi del regno meroitico, corrispondente alla parte nord dell’attuale sudan, che con le sue due capitali napata e (dal iii sec. a.c.) meroe, poste in posizioni strategiche all’incrocio di carovaniere che attraversavano il deserto, controllava l’intero flusso dei traffici commerciali provenienti dal corno d’africa e dal darfur e diretti verso l’egitto50. l'uso di queste carovaniere, in alternativa al percorso fluviale, trovava una giustificazione nel fatto che il nilo, nel territorio merotitico, era navigabile solo a tratti, a causa della presenza delle cataratte, che potevano estendersi anche per diversi chilometri51.

mancano a oggi ulteriori attestazioni di qanat di età persiana in altre oasi del deserto oc‑cidentale egiziano, sebbene non sia improbabile che tale tecnica abbia potuto trovare in questo periodo, o immediatamente dopo, una sua diffusione anche al di fuori dell’oasi di Kharga52. del resto, l’introduzione della tecnologia dei qanat nel Fezzan libico, negli ultimi secoli del i millennio a.c. e dunque prima del contatto dei Garamanti con roma, è stata giustamente attribuita dal Wilson al tramite delle vie commerciali che univano l’egitto alla libia, ricono‑scendo quindi una relazione molto stretta tra la diffusione della tecnica dei qanat in africa settentrionale e le strade del commercio antico trans‑sahariano53. il rapporto qanat‑traffici commerciali si comprende ulteriormente se si pensa, come sostiene il Wilson, che l’introdu‑zione di questa tecnologia è strettamente connessa al sorgere e al consolidarsi dello stato dei Garamanti, di cui i qanat costituiscono di fatto il fondamento idrologico. sono questi infatti, come si è osservato anche nell’oasi di Kharga, che garantirono lo sviluppo in questo contesto desertico di una agricoltura di più ampia scala, rispondente alle necessità di una popolazione in continua crescita, a seguito del sempre maggiore intensificarsi dei traffici commerciali. in tal senso, secondo il Wilson, è verosimile ritenere che la diffusione di tale tecnologia sia av‑venuta sotto il diretto controllo dello stato, non troppo diversamente dunque da quanto si osserva nell’oasi di Kharga, dove l’amministrazione persiana dovette giocare verosimilmente un ruolo analogo54.

49 su questa via carovaniera e sul suo impiego già in epoca antica vd. in particolare morkot 1996.

50 a riguardo si veda da ultimo VIncentellI 2003, che menziona la scoperta frequente in siti meroitici di contenitori per olio e vino importati dall’egitto, ma anche da più lontano come nel caso di un anfora pro‑veniente dalla mauritania trovata a meroe. il ruolo dei meroiti in questa parte dell’africa è paragonabile a quello svolto dai Garamanti nel Fezzan libico, vd.

infra. 51 VIncentellI 2003, p. 79.52 si veda l’incerta datazione della rete di qanat

individuata a qasr allam nell’oasi di Bahariya, per la quale non si può escludere una datazione all’età per‑siana o tolemaica, vd. infra.

53 vd. WIlSon 2006, pp. 209‑211; WIlSon 2009, pp. 22‑30.

54 vd. supra e nota 45.

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74 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

come si è detto, gli scavi del sito di ayn manawir, nella parte meridionale dell’oasi di Kharga, hanno messo in evidenza, dopo la sua introduzione in epoca persiana, una continuità di impiego della tecnica dei qanat in età tolomaica e soprattutto in epoca romana, in particolare durante il i e ii sec. d.c.55. il dato si accorda con l’ancor più marcata antropizzazione della re‑gione, un vero e proprio nuovo slancio colonizzatore, che si registra all’inizio dell’epoca roma‑na e che qui, come nel resto dell’oasi, trova un’evidenzia concreta nella presenza di numerosi forti romani posti a controllo del territorio56.

l’impiego della tecnica dei qanat in epoca romana è testimoniata anche in altri settori dell’oasi di Kharga ed anche in altri contesti del deserto occidentale, ed in particolare nell’oasi di Bahariya. nella parte più settentrionale della depressione di Kharga, le ricerche promosse dall’università di cambridge e dall’università americana del cairo (the north Kharga oasis survey)57, hanno consentito di individuare presso tre diversi siti (ayn umm dabadib, qasr el‑labekha e qasr Gib/qasr sumera) la presenza di numerosi qanat. tutti e tre i siti sono prossimi a importanti piste carovaniere e a forti di età romana. ayn umm dabadib e qasr el‑labekha sono dislocati lungo la strada che, procedendo verso ovest, portava dal settore più settentrionale della depressione all’oasi di dakhla58, mentre il sito di qasr Gib/qasr sumeira con i suoi due forti era posto all’estremo limite settentrionale del territorio dell’oasi di Kharga, sulla strada verso asyut e la valle del nilo59. qui, in particolare, è stata individuata un’arti‑colata rete di qanat che serviva le aree coltivate di uno o più insediamenti rurali60. di contro alla datazione persiana dei più antichi qanat di ayn manawir, nei siti in questione la ceramica rinvenuta durante le ricognizioni risale ad un periodo compreso tra il ii ed il iv sec. d.c. il loro innegabile legame con i vicini forti ed i relativi abitati rende ancor più convincente la datazione di età romana, avanzata dai ricercatori americani61.

l’importanza dell’oasi di Bahariya, testimoniata dalla ricchezza di siti e di evidenze archeo‑logiche, risiede nella sua posizione strategica, tra le migliori del deserto occidentale egiziano, che è alla base della sua continua frequentazione dall’antico regno fino all’epoca romana62. a

55 ciò portò nel tempo, come hanno rivelato gli scavi francesi di ayn manawir, alla realizzazione di un complesso “palinsesto” di canali e, a causa del pro‑gressivo abbassamento della falda acquifera, anche alla combinazione, in alcuni casi, di differenti tecniche di raccolta dell’acqua. su queste “varianti” alla tipologia originaria del qanat vd. da ultimo Wuttmann et. al. 2000, p. 5‑6, Wuttmann 2001, pp. 118‑119.

56 sui forti dell’oasi di Kargha vd. morkot 1996, pp. 84-87, 94 e reDDé 1999.

57 le ricerche, iniziate nel 2001 sono tuttora in corso; limitatamente al tema dei qanat vd. Schacht 2003.

58 su questi forti vd. reDDé 1999, pp. 380‑381.59 i piccoli forti (o torri di controllo) di sumeira

ed el‑Gib erano a guardia del Darb el-Arbain, che dopo aver attraversato tutta l’oasi si dirigeva a nord verso asyut. essi presentano entrambi una pianta ap‑

prossimativamente quadrata di simile grandezza, con ingresso a sud e torri angolari circolari (attualmente crollate), vd. morkot 1996, p. 86 e reDDé 1999, pp. 378‑379. per analoghi forti situati lungo le rotte prin‑cipali del deserto orientale ed il loro rapporto con le legioni romane si veda maxfIelD 1996.

60 vd. Schacht 2003.61 vd. Schacht 2003, p. 420. va precisato che, in

assenza di uno scavo, non sempre in grado di restitui‑re materiali stratigraficamente significativi per la data‑zione, l’inquadramento cronologico di un qanat è di fatto ottenuto attraverso l’associazione evidente con un sito archeologico datato, posto più a valle, compo‑sto da un abitato e da terreni irrigui in prossimità; vd. a riguardo Boucharlat 2001, p. 179.

62 sull’oasi in generale vd. fakhry 20032; gIDDy 1987; Wagner 1987; WIlleItner 2003; ValloggIa 2004.

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17, 2011 l’oasi di Farafra 75

differenza della regione di dush, l’antropizzazione dell’oasi, almeno nella sua parte principale, corrispondente al moderno abitato di el‑Bawiti, non sembra direttamente legata alla presenza di qanat. verosimilmente la possibilità di sfruttare fonti naturali o pozzi artesiani dovette garan‑tire l’occupazione stabile dell’oasi nel tempo. nondimeno questa conosce ugualmente l’impiego di qanat in relazione ad una fase di maggiore prosperità dell’oasi, che portò ad una più marcata necessità di sfruttamento delle risorse idriche del luogo.

Già il Fakhry segnalava la presenza di numerosi qanat nell’area di el‑Bawiti, dove era po‑sta verosimilmente “psobthis”, l’antica capitale di Bahariya63. a tal riguardo, recenti ricerche francesi condotte immediatamente a occidente di el‑Bawiti, nel sito di qasr allam, appaiono di estremo interesse. in particolare, esse hanno interessato quello che il Fakhry aveva interpre‑tato come un forte di età romana64 e che una tradizione locale attribuiva invece all’epoca araba, ed hanno permesso di riconoscere in questa struttura una probabile “tenuta religiosa”, databile dalla XXv agli inizi della XXvi dinastia (metà vii‑vi sec. a.c.), forse l’unità logistica di un santuario, che drenava verosimilmente una parte dei prodotti delle attività agricole della grande oasi posta a nord‑est65.

a est di questa struttura è stata individuata una rete di qanat, che oltre a marcare forte‑mente il paesaggio circostante, sfruttava su una superfice di circa 90 ettari le riserve di acqua freatica contenute nei substrati rocciosi dell’area66. un’analoga rete di qanat sembra documen‑tabile anche ad ovest del complesso di qasr allam, correlata verosimilmente con quella posta più ad est67. senza precisarne il momento, i ricercatori francesi fanno risalire genericamente a dopo l’abbandono dell’area fabbricata l’avvio di un lungo periodo di sfruttamento intensivo delle risorse idriche della zona, attraverso lo scavo di questo articolato palinsesto di qanat, alcuni dei quali hanno continuato a funzionare fino all’epoca araba68.

un’ulteriore rete di qanat è stata quindi individuata presso il forte romano di qaret el‑toub, posto a nord‑est di qasr allam. il sistema idrico era forse connesso con la sorgente di ayn el‑mouftella, situata 400 metri più a nord, la quale alimentava verosimilmente il palmeto che si estendeva verso settentrione ad un livello inferiore del plateau di arenaria dell’oasi69.

63 fakhry 20032, pp. 34‑35. egli ricorda in par‑ticolare la presenza di un qanat nell’area di el‑Bawiti che sarebbe stato ‘tagliato’ per la realizzazione di una sepoltura della XXvi dinastia (672‑525 a.c.), un dato che verrebbe quindi a costituire un significativo, quan‑to eccezionale precedente rispetto alle attestazioni di età persiana di ayn manawir. in mancanza di dati stra‑tigrafici dettagliati e di riferimenti planimetrici o di al‑tre informazioni in grado di avvalorare tale tesi, questa resta allo stato attuale, di fatto, poco attendibile.

64 fakhry 20032, p. 98.65 per le attività di scavo si veda: mathIeu 2004,

pp. 623‑630, in particolare 626‑627 e da ultimo pantalaccI -DenoIx 2007, pp. 315‑317. la quasi tota‑lità dei reperti rinvenuti, ed in particolare gli ostraka, sono databili all’inizio della XXvi dinastia (672‑525

a.c.). le rare testimonianze risalenti all’età tolemaica antica, o all’epoca ellenistica, oppure ancora più tardi al ii sec. d.c., o sono pertinenti a strati di distruzione di settori del complesso o sono da mettere in relazione ad accampamenti temporanei impiantati sulle rovine, motivati verosimilmente da episodi di spoliazione delle strutture di età saitica. ciò lascia supporre una fase di abbandono dell’intero complesso che potrebbe essersi avviata nel corso dell’età saitica (fine vii sec. a.c.) o, al più tardi, agli inizi della dominazione per‑siana, fine vi sec. a.c.

66 pantalaccI - DenoIx 2007, pp. 314‑315.67 Ibid., p. 317.68 Ibid., pp. 314‑315. 69 pantalaccI - DenoIx 2006, pp. 408‑409;

pantalaccI - DenoIx 2007, p. 315.

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76 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

secondo i ricercatori francesi, la presenza di questa rete di qanat contribuisce a chiarire le motivazioni della scelta degli ingegneri romani di realizzare un forte nel tardo iii sec. d.c. proprio in questo punto, dove infatti era possibile sfruttare un sistema idrico preesistente, che verosimilmente si affiancava a quello individuato più a sud presso qasr allam70.

in un’altra area dell’oasi di Bahariya, posta a est del centro moderno di el‑Bawiti, in prossi‑mità del sito antico di qaseir muharib71, l’analisi delle immagini satellitari ha consentito di docu‑mentare due fitte reti di qanat, che con un andamento a raggiera sembrano servire altrettante aree di oasi72. l’apparente connessione di questo articolato sistema idrico con l’ampio insediamento romano‑bizantino di qaseir muharib73 necessita senz’altro di una conferma sul campo, ma il contesto che sembra emergere appare assai simile a quello del distretto di qaret el toub/qasr allam (Psobthis): una o più reti di qanat, un antico insediamento con vicino un forte romano e aree di oasi con tracce di coltivazioni estensive. un contesto che, come si è visto, trova un con‑fronto anche nei siti di età romana dell’oasi di Kharga, sia nella regione meridionale di dush, che a nord nei siti di ayn umm dabadib, qasr el labekha e soprattuto di qasr Gib/qasr sumera. nondimeno anche i siti con qanat dell’oasi di Bahariya appaiono strettamente correlati, come quelli di Kharga, con i percorsi carovanieri che attraversavano la depressione: l’abitato di Psobthis controllava i traffici che provenivano da sud (Farafra) e da ovest (siwa), mentre qaseir muharib quelli provenienti invece da est (ossirinco) e da nord‑est (Fayum)74.

si è detto come l’impiego dei qanat stia verosimilmente in relazione ad una fase di mag‑giore prosperità dell’oasi, che portò ad una più marcata necessità di sfruttamento delle risorse idriche del luogo. È di fatto in epoca romana che l’oasi conosce il suo picco di prosperità, con un’intensificazione della sua produzione agricola (vino e grano soprattutto) e l’affermar‑si verosimilmente anche di una ricca classe di mercanti, a seguito dell’incremento dei traffici commerciali75. la possibilità di disporre della tecnica dei qanat, forse già introdotta in epoca persiana o tolemaica o al contrario impiegata nell’oasi solo a partire dagli inizi dell’età romana

70 pantalaccI - DenoIx 2006, p. 408. i ricercatori francesi non offrono indicazioni riguardo alla rela‑zione esistente tra queste due reti di qanat. al dato cronologico dell’abbandono del complesso di qasr allam dopo il vii sec. a.c. si affianca, almeno per ora, il possibile termine ante quem relativo alla costruzio‑ne nel tardo iii sec. d.c. del forte romano di qaret el‑toub. resta quindi l’incertezza riguardo al momento in cui si avviò la costruzione delle due reti di qanat. se da un lato non si può escludere un avvio della costru‑zione del sistema idrico già in epoca persiana o al più tardi tolemaica, con forse un successivo sviluppo in epoca romana, nondimeno dall’altro si può ipotizzare un’introduzione della tecnica dei qanat solo a partire dall’età romana, nel quadro verosimilmente di un am‑pio progetto di costruzione di più reti di qanat fina‑lizzate a servire più aree di oasi.

71 la zona è pertinente sempre al campo d’in‑dagine della missione francese, ma non ancora stata

oggetto di indagini sistematiche.72 a riguardo vd. De angelI 2011, pp. 10‑12;

De angelI cds. un’analoga analisi tramite immagini satellitari è stata condotta anche per l’oasi di Farafra (vd. infra). i risultati preliminari di tali analisi hanno trovato una prima parziale verifica in alcune brevi ri‑cognizioni condotte da chi scrive a Bahariya e soprat‑tutto a Farafra, nel novembre del 2007.

73 sul sito vd. da ultimo mathIeu 2000, pp. 484‑485. Fakhry segnalava la presenza di un villaggio di età romana, di strutture murarie in mattoni crudi pertinenti a un forte e di un tempio in pietra: fakhry 20032, p. 106.

74 sulle piste carovaniere della piccola oasi, vd. Wagner 1987, pp. 146‑150.

75 l’esistenza di una ricca classe di mercanti è testimoniata dai preziosi ritrovamenti della famo‑sa necropoli delle mummie dorate, per la quale vd. haWaSS 2000.

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dovette favorire, grazie all’incremento delle risorse idriche a disposizione, l’aumento dei terre‑ni coltivabili e la conseguente crescita delle attività agricole76.

di estremo interesse a tal riguardo sono anche le ricerche condotte tra il 2003 e il 2005 dall’università di praga nell’oasi di el‑hayez, nella parte più meridionale della depressione di Bahariya. le indagini finalizzate ad una ricognizione delle presenze archeologiche della zona hanno prodotto una prima mappatura di più reti di qanat, databile all’età romana77. È infatti du‑rante questo periodo che il territorio raggiunse l’apice della densità demografica78, testimoniata dallo sviluppo urbano e territoriale di siti quali ayn el‑Khabata, Bir el‑showish ed el‑riz, nel‑le cui immediate vicinanze sono state individuate le reti di qanat. la loro costruzione dovette richiedere un sistematico ed ampio impiego di forza lavoro, visto anche il grado di estensione a cui queste potevano arrivare79. l’analisi della ceramica proveniente dalle ricognizioni nei vari siti dell’oasi di el‑hayez ha evidenziato la presenza di diverse forme ceramiche di età romana e sembra suggerire una più intensa occupazione dell’area tra il iii e il iv sec. d.c.80.

È superfluo sottolineare come l’oasi di el‑hayez costituisca, per la sua particolare po‑sizione geografica, un punto obbligato di transito della pista carovaniera che univa l’oasi di Bahariya con quella di Farafra. la sua particolare importanza in età romana è tra l’altro sot‑tolineata dalla presenza presso el‑riz, l’insediamento senz’altro più esteso dell’oasi, di una fortezza romana di dimensioni tutt’altro che secondarie, in totale analogia, ancora una volta, con quanto osservato nei contesti precedentemente presi in esame81.

le testimonianze raccolte evidenziano dunque una particolare diffusione della tecnica dei qanat nelle oasi del deserto occidentale, in un arco cronologico assai ampio, che va appunto dall’età persiana a quella romana. non meno importante, ed è questo l’aspetto che più interessa la nostra ricerca, è inoltre la funzione svolta da questa tecnica di sfruttamento delle risorse idri‑che nelle dinamiche di antropizzazione delle oasi del deserto occidentale, o perlomeno di parte di queste. soprattutto le ben note testimonianze della regione di dush, nella parte meridionale dell’oasi di Kharga, mostrano una stretta correlazione, tra l’altro ampiamente documentata an‑che nel Fezzan libico dalle ricerche di david mattingly e andrew Wilson, tra l’impiego dei qa-nat e lo sviluppo di un’agricoltura di larga scala, correlata all’insediamento di comunità stabili

76 sotto questo aspetto l’ipotesi che l’introduzio‑ne nell’oasi della tecnica dei qanat sia avvenuta solo in epoca romana, in virtù della particolare prosperità di cui godette l’oasi, che non trova finora confronto né in età persiana, né in età tolemaica, acquista di fatto una maggiore attendibilità.

77 si vedano in proposito: Bárta et al. 2003, pp. 11‑14; Bárta et al. 2004, pp. 23‑28.

78 Bárta et al. 2003, p. 13. le ricerche condotte dall’università di praga documentano un’antropizza‑zione di quest’area già in età preistorica, una assenza di tracce significative di età faraonica e un più marcato po‑polamento dell’area in età romana. le indagini di super‑ficie già eseguite dall’iFao presso il sito di el‑Khabata durante la campagna 2001 evidenziavano una datazione pienamente romana del sito (sec. i‑iii d.c.), mentre un

primo esame del settore della necropoli che sovrasta l’abitato presentava due fasi dominanti, rappresentate da ceramica della Xiii dinastia e della Xviii dinastia; a riguardo si veda mathIeu 2001, p. 512.

79 vd. Bárta et al. 2003, pp. 12‑13, per un calcolo dell’estensione delle reti di qanat di alcuni siti antichi dell’oasi.

80 questi perlomeno sono i dati presentati dalla missione ceca in occasione di un Workshop sull’oasi di Bahariya, tenutosi a praga nel dicembre del 2008, i cui atti sono in corso di stampa.

81 sulla fortezza vd. fakhry 20032, p. 112‑113. un altro piccolo forte in mattoni crudi (18 x 18 m) è documentato a qasr mas’ouda, vd. Bárta et al. 2003, p. 13. anche in questo caso il forte controlla un abita‑to a cui è correlata una rete di qanat.

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78 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

tra l’età persiana e l’età romana. un’analoga correlazione è documentabile anche per gli altri contesti di età romana presi in esame nelle oasi di Kharga e Bahariya. a solo titolo di esempio si vedano i dati relativi ai siti di Bir el‑showish ed el‑riz, nell’oasi di el‑hayez, che presentano un’estensione dell’insediamento tra piccoli nuclei abitati e aree coltivate, rispettivamente di 8 e 10 ettari, con una rete di canali sotterranei correlata che arrivava nel caso di Bir el‑showish ad una lunghezza complessiva di circa 20 km, raccogliendo acqua da un’area di circa 700 ettari82.

riguardo alla fase romana, di particolare interesse è inoltre la relazione qanat‑fortezze, che sembra emergere dai dati raccolti e presi in esame; una relazione che chiama in causa la funzione ancora incerta di queste strutture militari all’interno delle oasi del deserto occidentale: difesa da attacchi esterni, protezione delle vie carovaniere o necessità di assicurare la sicurezza interna delle oasi83. qualunque fosse la funzione, non vi è dubbio che la loro presenza costituisca un indicatore dell’importanza che le oasi rivestivano per le autorità romane, alle quali è forse possibile ricondurre la particolare diffusione della tecnica dei qanat, osservabile nelle oasi del deserto occidentale in epoca romana, in connessione con il maggiore sviluppo delle rotte carovaniere ed il conseguente incremento dei traffici commerciali. senza giungere a pensare ad una diretta pianificazione da parte delle autorità statali, è tuttavia possibile ipotizzare che queste possano aver favorito in qualche ma‑niera l’impiego di questa tecnica tradizionale di sfruttamento delle risorse idriche.

un confronto in tal senso può essere forse offerto dagli esempi di qanat e acquedotti‑tipo qanat, associati a insediamenti di età romana, presenti in parte della tunisia e dell’algeria poste sotto il controllo romano. alcune recenti ricerche hanno infatti ipotizzato che queste siano il risultato della diffusione della tecnologia dei qanat dal Fezzan libico dei Garamanti al sud della tunisia e alla vicina regione degli aurès in algeria, avvenuta per il tramite delle rotte commerciali che attraversavano il limes tripolitanus84. la tecnologia non fu dunque introdotta dai romani, o, come ipotizzato, da soldati romani orientali, ma deve essere considerata, come sembrano confermare anche una serie di leggende berbere85, il patrimonio di conoscenze tradi‑zionali delle popolazioni locali, acquisite verosimilmente tramite il contatto con i Garamanti. ciò nondimeno, l’ampio impiego di questa tecnologia di sfruttamento delle risorse idriche lascia suppore che i romani dovettero favorirne la diffusione, non senza in alcuni casi anche delle vere e proprie “contaminazioni” tecniche, nel quadro di una politica di sfruttamento ru‑rale e di controllo territoriale di queste aree basato su una piena integrazione delle popolazioni locali86. inoltre la necessità di favorire una più ampia antropizzazione delle oasi egiziane, in vista di un loro sfruttamento rurale e di un loro controllo territoriale, legato anche ai traffici commerciali sempre più intensi, può aver spinto a promuovere nel corso dell’epoca romana la diffusione e l’impiego in questi territori della tecnica dei qanat, che costituiva già da tempo, almeno nell’oasi di Kharga, un importante patrimonio delle conoscenze tradizionali delle po‑polazioni del deserto occidentale egiziano.

[s.de.a]

82 Bárta et al. 2003, p. 12.83 morkot 1996, p. 94.84 De angelI - fInocchI 2006, pp. 170-174;

WIlSon 2006, pp. 212‑213; De angelI - fInocchI 2008;

WIlSon 2009, pp. 32‑39.85 WIlSon 2009, pp. 36‑39.86 De angelI - fInocchI 2006, p. 2193.

estratto

17, 2011 l’oasi di Farafra 79

4. le rIcerche Sul campo Dell’unIVerSItà Della tuScIa nell’oaSI DI farafra

Le attività di ricognizione: qanat e insediamenti antichi.partendo da questo quadro conoscitivo sull’impiego dei qanat in alcune importanti oasi

del deserto occidentale e sul ruolo svolto all’interno delle dinamiche insediative di tali aree, si è ritenuto opportuno rivolgere la nostra attenzione anche all’oasi di Farafra, dove la presenza di tali sistemi idrici è ampiamente documentabile87, analogamente del resto all’oasi di dakhla, nella quale l’esistenza di qanat trova riscontro nelle notizie fornite da viaggiatori ottocenteschi88.

l’intento principale della nostra indagine è stato in pratica quello di verificare se anche nel caso di Farafra esistesse in qualche maniera, come nelle restanti oasi, una relazione tra la presenza dei qanat e i contesti insediativi di epoca romana. a tal riguardo, nel novembre del 2007 una prima ricognizione del tutto preliminare, condotta dallo scrivente, aveva portato nel corso della ricognizione di alcuni qanat, all’individuazione nei pressi in particolare del sito di ayn Kifrin di frammenti di ceramica di superfice, chiaramente riconducibili ad un orizzonte antico, ed in particolare romano.

muovendo quindi da questa ipotesi di lavoro si è avviata nel corso del 2008 un’attenta ana‑lisi delle immagini satellitari del sito, la quale ha consentito di confermare la diffusa presenza di qanat, individuabili attraverso la sequenza dei pozzi di areazione ancora ben visibili in molti casi. tra questi, alcuni risultavano essere prossimi a siti antichi già individuati dal Fakhry89, come ayn Beshwy, ayn Gillaw e ayn el harra, il che ci ha spinti a programmare una prima campagna di survey, volta a verificare sul campo il possibile rapporto di simili sistemi idrici con contesti insediativi di epoca romana.

l’indagine, svolta nel dicembre 2009 in un’ampia parte del territorio circostante qasr Farafra, il moderno abitato dell’oasi, ha dunque previsto una serie di prime ricognizioni “di contatto”, con raccolta di materiali in aree campioni, nei luoghi in cui è stata documentata tramite le immagini satellitari la presenza di qanat, che servono ancora o che dovevano servire altrettante oasi di dimensioni non superiori ad alcuni ettari, presso le quali spesso si osservano anche tracce associabili a probabili aree di abitato90.

le indagini hanno confermato la presenza di apprestamenti idraulici (in alcuni casi straor‑dinariamente conservati e non oggetto di manomissioni recenti) in connessione in diversi casi con siti antichi (parzialmente noti o del tutto sconosciuti dal punto di vista archeologico), che si distribuiscono a raggiera attorno all’abitato di qasr el‑Farafra con una maggiore concen‑trazione nella parte meridionale del territorio (Fig. 3). si tratta sempre di siti riconoscibili sul terreno per la presenza di un’ampia e omogenea presenza di frammenti fittili di superficie, dai limiti netti e ben distinguibili, che sono stati messi in relazione ad aree di abitato, e settori con tracce fossili di aree coltivate (divisioni particellari in muretti di argilla).

87 si veda già De angelI 2011; De angelI cds.88 caIllIauD 1822-27; caIllIauD 1871; BeaDnell

1909. 89 fakhry 20032, p. 163.90 per una simile caratteristica dei qanat presenti

nell’oasi di Farafra, vd. già De angelI, cds. per una relazione preliminare delle attività svolte nel corso della missione del 2009 vd. Buongarzone et al. 2010, pp. 66‑71.

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80 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

nella fattispecie, alcuni di questi siti non erano noti archeologicamente da precedenti ricerche, come nel caso di ayn shemendu (F_12), ayn el‑hagar (F_01) e ayn Kifrin (F_06), in altri casi invece le aree indagate e i siti riconosciuti hanno coinciso con siti già noti dalle ri‑cerche di a. Fakhry, come nel caso di ayn Beshwy (F_10), ayn Gillaw (F_09) e ayn el‑harra (F_05).

non sempre le ricerche hanno potuto indagare in modo adeguato le aree individuate dall’analisi delle immagini satellitari, poiché queste sono risultate sconvolte da lavori agricoli recenti (realizzati posteriormente alle riprese satellitari) che hanno condizionato la lettura oltre che dell’area anche del sistema idrico ad essa associato, come nel caso dell’area F_15 e di ayn el‑harra (F_5)91. in altre aree oggetto di ricognizione le ricerche effettuate non hanno portato al riconoscimento sul terreno di materiali archeologici significativi (F_2, F_3, F_4, F_7, F_08; F_11; F_13, F_14).

i risultati di queste prime di ricognizioni, che come si è visto hanno portato all’individua‑zione di ben tre nuovi siti, sembrerebbero in qualche maniera confermare l’ipotesi di lavoro

91 nel caso di ayn el‑harra i lavori agricoli non hanno comunque impedito di riconoscere le tracce del qanat ed un’area con una ricca presenza di frammenti

fittili, nella quale si è provveduto ad un campiona‑mento dei materiali.

Fig. 3 – carta dei siti antichi dell’oasi di Farafra ricogniti nel corso della missione.

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17, 2011 l’oasi di Farafra 81

relativa ad una connessione tra qanat e insediamenti antichi.

in particolare il sito di ayn el‑ha‑gar (F_01) appare particolarmente signi‑ficativo in tal senso (Fig. 4). il sistema idrico è costituito da due canali sotter‑ranei, in ottimo stato di conservazione e senza tracce di manomissioni recenti, che a partire dal pozzo madre, colloca‑to su un piccolo rilievo a sud dell’area, si dirigono verso nord in due diverse direzioni. quello più orientale (a), di una lunghezza di circa 150 m, termina in prossimità di una cisterna o vasca, re‑alizzata in mattoni crudi (circa 20 x 10 m), funzionale verosimilmente a servire la vicina area di abitato. a partire dalla cisterna, infatti, si osserva, immediata‑mente ad est di quest’ultima, una ampia area di frammenti fittili (estensione mas‑sima di circa 100 x 100 m) nella quale la presenza di ceramica di uso domestico,

da mensa e da conservazione fa ipotizzare la presenza di strutture abitative stabili. il secondo braccio (b), più occidentale, si sviluppa invece per una lunghezza di circa 500

m in direzione nord e raggiunge quella che verosimilmente doveva costituire l’area coltivata dell’insediamento, ancora oggi occupata da un’oasi.

anche nel sito di ayn Beshwy (F_10) la presenza del qanat appare strettamente legata all’insediamento antico. in questo caso dal pozzo madre, collocato su di un piccolo rilievo a sud‑ovest dell’area, si diparte un qanat della lunghezza di circa 300 m che, a differenza del braccio b del qanat di ayn el‑hagar e analogamente alla parte terminale del braccio a, risulta essere, almeno nella parte più a valle, parzialmente costruito, ovvero scavato nel banco di roc‑cia e poi dotato di una foderatura delle pareti e copertura a spioventi realizzata in mattoni crudi (Fig. 5). il qanat raggiunge anche in questo sito un’ampia area di frammenti fittili di circa 200 x 100 m. sull’altura che chiude a occidente il sito di ayn Beshwy è collocata un’area di necropoli, nella quale sono visibili almeno quattro tombe ipogee.

nel sito di ayn shemendu (F_12) il qanat, parzialmente manomesso in epoca recente, si sviluppa in direzione nord‑est per una lunghezza di circa 500 m e raggiunge un’ampia area (circa 150 x 150 m) interessata sia da piccole aree di frammenti fittili che da tracce fossili di coltivazioni. non si è in grado in questo caso di proporre una chiara distinzione tra settori destinati a insediamento e aree agricole.

nel caso di ayn Kifrin (F_06) in particolare, i pesanti lavori agricoli hanno parzialmente ostacolato la lettura del sito e del sistema idrico di riferimento, che appare completamente ma‑

Fig. 4 – ayn el hagar ‑ pianta del sito con ricostruzione del qanat, area di frammenti fittili (abitato) e area di oasi.

estratto

82 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

nomesso. tuttavia, nelle immediate adiacenze del qanat, subito a nord e sud del canale, sono state riconosciute alcune piccole aree di fram‑menti fittili che hanno restituito materiale da cucina e da trasporto.

la campagna del 2009 non ha previsto ricognizioni presso l’insediamento centrale di qasr Farafra, sito la cui antichità è già stata sottolineata dal Fakhry92. solo un breve sopral‑luogo ha interessato l’area della fortezza, che, ancora intatta agli inizi del novecento, è an‑data invece distrutta nel corso degli anni ’5093. mentre il Fahkry proponeva una datazione all’età medievale, l’harding King pensava inve‑ce ad una possibile erezione di un primo nucleo della fortezza in epoca romana94. in assenza di indagini sistematiche sulle strutture superstiti è impossibile allo stato attuale definire un più sicuro orizzonte cronologico della fortezza. ciononostante nel corso del sopraluogo sono stati recuperati alcuni frammenti ceramici sicu‑ramente antichi ed è stato possibile osservare alcuni tratti murari al centro della struttura, i cui mattoni crudi presentano un modulo apparentemente simile a quello di altre strutture antiche osservabili nell’oasi e di fatto del tutto discordante da quello dei tratti murari superstiti attri‑buibili sicuramente alla fase araba della fortezza. nella prossima campagna si procederà ad una ricognizione più attenta delle strutture superstiti nella speranza di potere accertare con mag‑giore attendibilità e precisione l’eventuale datazione all’età romana di parte di queste ultime e confermare quindi l’esistenza di un nucleo antico della fortezza, successivamente rimaneggiato in età araba.

la campagna del 2009 ha anche interessato, seppure in maniera sporadica e del tutto pre‑liminare, tramite una breve ricognizione, alcuni siti posti a nord dell’oasi lungo la principale via carovaniera che univa Farafra con l’oasi di Bahariya. il primo e più importante sito è quello di ayn Khadra, un ampio abitato, già noto archeologicamente, sviluppatosi preso una fonte naturale e la sua vicina oasi, nelle cui immediate vicinanze è documentabile anche la presenza di un’area di necropoli con tombe scavate nella collina calcarea95. la ricognizione, oltre alla georeferenziazione del sito, si è limitata alla raccolta sporadica di alcuni significativi fram‑menti ceramici, nel quadro di un confronto con il materiale ceramico raccolto nei siti indagati nel corso della missione presso qasr Farafra. non diversamente si è operato nel caso di ayn

92 fakhry 20032, p. 163.93 sulla fortezza vd. fahkry 20032, pp. 165, 174‑

176.94 harDIng kIng 1925, pp. 10‑20; così anche

VIVIan 20076, p. 155.95 VIVIan 20076, p. 168 che parla di rinvenimenti

di materiali ceramici di età romana e copta.

Fig. 5 – ayn Beshwy – canale in mattoni crudi di un qanat.

estratto

17, 2011 l’oasi di Farafra 83

maqfi, un sito posto leggermente più a nord di ayn Khadra in prossimità di un’oasi naturale, sempre lungo la pista carovaniera che si dirigeva verso l’oasi di Bahariya. si tratta di un sito non noto finora da un punto di vista archeologico e contraddistinto da una piccola collina calcarea, che presenta evidenti tracce di una frequentazione antica, con resti anche di strutture murarie e frammenti di intonaci dipinti e tutto intorno una forte concentrazione di materiale ceramico di superfice. più spostato ad est, forse sul percorso di una carovaniera che si dirigeva verso nord‑est per raggiungere verosimilmente la valle del nilo, è posto invece il sito di ayn el‑serw, connesso anch’esso ad un’oasi naturale. le evidenze antiche del sito, mai documentate in precedenza, sono relative ad alcune tombe, già manomesse, scavate nella collina calcarea posta all’incirca 400 metri più sud dell’oasi. anche in questo caso si è proceduto alla raccolta di alcuni frammenti ceramici. non sono emerse nel corso della breve ricognizione tracce di un abitato; sarà compito della prossima missione eseguire una più attenta ricognizione dell’area circostante l’oasi per verificarne l’eventuale esistenza.

[s.de.a]

Le attività di ricognizione: Ayn Besay.sebbene dal lavoro svolto preliminarmente sulle immagini satellitari non risultassero vi‑

sibili sistemi a qanat, nondimeno si è proceduto alla ricognizione anche del sito di ayn Besay, che già il Fakhry considerava l’insediamento più importante dell’oasi di Farafra96.

le ricognizioni eseguite hanno senza dubbio confermato l’importanza del sito e hanno evidenziato una complessa distribuzione spaziale dell’insediamento, evidenziata da un’este‑sa area di frammenti ceramici nella parte meridionale, forse associabile ad un area abitativa, un’ampia area di necropoli con numerose tombe ipogee su di una collina posta più a nord ed infine una possibile area destinata alle coltivazioni, connessa ad un qanat, ora quasi completa‑mente distrutto, all’estremità settentrionale dell’area.

la maggior parte delle tombe ipogee, probabilmente le più antiche del sito, si trova sui bordi della collina calcarea, sulla quale sono ben visibili anche importanti strutture in mattoni crudi, sconvolte, come del resto le tombe stesse, dagli scavi clandestini. complessivamente si tratta di sei tombe ipogee a camera scolpita nella roccia calcarea e ingresso oggi in vista verso nord/nord‑est, all’interno delle quali non sono state trovate né iscrizioni né resti, e quindi di tre tombe a pozzo scavate direttamente nella falesia calcarea, a est delle strutture in mattoni crudi affioranti sul bordo occidentale della falesia. l’assenza, ad una prima ricognizione, di graffiti copti all’interno delle tombe sembrerebbe escludere che queste siano state riutilizzate da eremiti cristiani, come invece è attestato altrove in Farafra (si veda il caso della tomba di ayn Gillaw, già nota al Fakhry e recentemente oggetto di indagine dell’iFao).

in una delle sue ricognizioni al sito di ayn Besay, ahmed Fakhry97 documentò, circa 150 m a nord‑est delle tombe ipogee, i resti di una piccola cappella anepigrafa e in rovina. la nostra ricognizione ha potuto solo verificare la presenza ancora di alcuni blocchi calcarei, ve‑rosimilmente pertinenti alla struttura vista dal Fakhry, sparsi incoerentemente sul terreno. solo

96 fakhry 20032, p. 163. 97 fakhry 1938, pp. 431-432.

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84 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

un’attività di scavo sarà in grado di appurare la presenza in situ di eventuali fondazioni, che potrebbero consentire una migliore comprensione dell’edificio in questione.

all’estremità nord‑est dell’area, in alcuni pozzi quadrangolari scavati nella roccia calcarea, interpretati dai locali come delle tombe, sono invece da riconoscere i pozzi di un qanat, che ve‑rosimilmente doveva servire un’area coltivata posta più a nord e il cui pozzo madre, che oggi si presenta completamente sventrato dai “cercatori d’acqua”, si trovava sulla collina a sud‑ovest della necropoli (vd. pianta).

nelle strutture in mattone crudi poste sul fianco ovest della collina della necropoli (Fig. 6), relative secondo il Fakhry a due edifici, sarebbero da riconoscere, secondo J. Willeitner98, delle tombe di epoca romana. l’esplorazione di superficie sembrerebbe suggerire, tuttavia, un’inter‑pretazione più articolata delle strutture. l’enorme quantità e varietà tipologica di ceramica pre‑sente (tra cui anche contenitori da trasporto) e i resti di una fornace in mattoni crudi a pianta circolare, che si trova poco distante, inducono ad ipotizzare, per lo meno a partire dal iv sec. d.c., una funzione non funeraria, e verosimilmente abitativa, di tali strutture.

a sud‑est della necropoli, in una seconda collina calcarea, è stata individuata una tom‑ba sconvolta da scavi clandestini. i saccheggiatori si sono serviti di ruspe, come purtroppo si osserva di frequente a Farafra, per arrivare direttamente alla sepoltura e depredarla. il tell è stato scassato in altri 4 punti senza risultato. ciò che è rimasto dopo il saccheggio è la se‑zione settentrionale della tomba, che era costruita in mattoni crudi, interamente o forse solo parzialmente, all’interno della falesia. nell’anticamera est si accedeva da nord attraverso uno stretto corridoio di accesso scavato nella roccia e rivestito di mattoni. nell’angolo nord‑ovest dell’anticamera abbiamo trovato, in uno strato di crollo antico, una ciotola di ceramica intatta, non decorata, e frammenti di bende rosa, che rivelano che la tomba era già stata violata in pre‑cedenza, forse già in antico.

98 WIlleItner 2003, p. 88.

Fig. 6 – ayn Besai – struttu‑re in mattoni crudi di incer‑ta interpretazione sul fianco ovest della collina della ne‑cropoli.

estratto

17, 2011 l’oasi di Farafra 85

la kline della camera funeraria era costituita da una sagoma scavata nel terriccio in basso sulla parete nord, con la mummia adagiata su un graticcio di canne in direzione est‑ovest. la camera funeraria era coperta a volta e intonacata, così come l’anticamera. nonostante la kline fosse sagomata, la mummia vi era stata deposta all’interno di un sarcofago di legno intonacato, di cui abbiamo trovato diversi frammenti. tra le bende rinvenute ovunque nel terreno e tra i detriti, è stato riconosciuto un “face bundle”, un piccolo fagotto costituito da strati di tessuto ripiegati e inclusi in una protuberanza conica di stoffa, che veniva posto sulla testa del corpo bendato per motivi non ancora del tutto chiariti99. in tutto l’egitto questa pratica, che raramen‑te veniva applicata a corpi realmente mummificati, data la sepoltura all’epoca cristiana, tra iv e v secolo d.c.

dal canto suo, il tipo di costruzione ipogea con rivestimento in mattoni crudi sembra es‑sere un’eccezione nel panorama delle sepolture cristiane nelle oasi100, che in genere preferisco‑no il pozzo sovrastato da piccola mastaba in mattoni, oppure la tomba completamente esterna alla roccia con pareti e volte in mattoni intonacati, o ancora il semplice ipogeo roccioso privo di murature interne.

[r.B.]

concluSIonI

l’orizzonte cronologico che emerge dalla tomba presa in esame non sembra di fatto con‑trastare con l’analisi preliminare del materiale ceramico raccolto sul sito di ayn Besay ed in particolare presso le strutture di mattoni crudi della collina settentrionale pertinente alla necro‑poli, che rimanda infatti ad un arco cronologico che va dal iv al vii secolo d.c., e dunque dalla tarda età romana alla tarda età bizantina. la casualità della raccolta dei materiali ceramici non impedisce ovviamente che il sito possa avere avuto una frequentazione ancora più antica, come ad esempio sembra emergere dall’analisi dei materiali ceramici raccolti negli altri siti dell’oasi, ed in particolare ayn shemendu, ayn Beshwy ed ayn el‑hagar, dove l’orizzonte cronologico dei materiali più antichi rimanda al i‑iii d.c. e dunque alla piena età imperiale101.

da questi dati, se ulteriormente confermati dal seguito delle nostre indagini, emergerebbe pertanto la chiara evidenza di un processo di più intensa antropizzazione dell’oasi, a partire perlomeno dalla piena età imperiale, in un’area gravitante intorno all’insediamento centrale di qasr Farafra, sito che le nostre indagini hanno per ora tralasciato, ma la cui antichità, come si è detto, è già stata sottolineata dal Fakhry102. un’antropizzazione che appare molto proba‑bilmente connessa all’introduzione dei sistemi idrici a qanat, i quali, oltre ad aver favorito lo sviluppo di nuove aree di oasi e di campi coltivati, devono aver marcato significativamente il paesaggio desertico circostante i vari insediamenti, grazie alla visibile e diffusa presenza dei loro caratteristici pozzi di areazione.

99 vd. South et al. 2009.100 vd. BoWen 2003.101 per un’analisi dei materiali ceramici raccolti

nel corso della missione si veda in questo volume il

contributo di s. Finocchi e s. medaglia.102 vd. sopra nota 92. per un breve sopralluogo

all’area della fortezza vd. supra.

estratto

86 r. Buongarzone – s. de angeli Sc. Ant.

l’oasi di Farafra, per la sua posizione a metà strada tra dakhla e Bahariya e per la sua note‑vole distanza dalla valle del nilo (300 km da asyut), che ne faceva l’avamposto più occidentale della civiltà nilotica, se si eccettua la più settentrionale siwa, dovette senz’altro essere una sorta di terreno di incontro, un vero e proprio “crocevia” dei traffici del deserto che si muovevano in direzione nord‑sud ed est‑ovest. È verosimile ritenere che la forte antropizzazione dell’oasi a partire dall’età romana abbia coinciso con un rafforzamento di tali traffici ed in particolare di quelli che correvano lungo l’asse carovaniero che univa le coste del mediterraneo alle aree più interne dell’africa.

a quattro giorni di cammino dall’oasi di dakhla e altrettanti da quella di Bahariya, Farafra sembra dunque caratterizzata, a partire dall’età romana, da un sistema articolato di insedia‑menti, più o meno grandi, che rendeva conveniente il suo attraversamento alle carovane. la maggior parte di questi insediamenti si trovava sulla direttrice nord/est‑sud/ovest, che pas‑sando per qasr Farafra ed altri importanti siti dell’area, correva lungo il limite occidentale dell’intera depressione e costituiva il suo naturale sistema di attraversamento.

roberto Buongarzone ‑ stefano de angeliUniversità degli Studi della Tuscia

[email protected]@unitus.it

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Summary

the archaeological mission in Farafra oasis was launched in december 2009 by the department of the ancient World, university of tuscia ‑ viterbo. the large diffusion of qanats in the egyptian West desert between the persian and roman period and the “marginality” of the oasis of Farafra in the recent archaeological research about the egyptian Western desert in the pharaonic and Greek‑roman times, were the main reasons that led to the presence of tuscia university mission in Farafra. Before starting field surveys, preliminary studies were performed aimed, on one side, to analyze the written documents of the pharaonic age, which mention Farafra among western oases, in order to confirm the reliability of such evidence and to highlight their importance for understanding the human presence and the ex‑ploitation of this territory in pharaonic times, on the other hand, in order to reconstruct, in the light of the increasing role played in the trans‑saharan trade, an overview of the process of increasing human settlement in the egyptian Western desert oases from the persian age to the roman times. in this pro‑cess we regarded in particular the crucial role played by the use and dissemination of qanat technology. a preliminary analysis of satellite maps and a first visit in 2008 have prepared our 2009 survey around the modern town of qasr Farafra. the survey consisted of a series of “first contact” explorations (topo‑graphical survey) in sample areas, where ancient settlements and cemeteries were identifiable near qanat water systems, as well as small cultivated areas and oases, in many cases now being depleted and aban‑doned. Both topographical survey and pottery fragments collected confirmed the process of increasing of human settlement of the oasis during the roman period in a large territory gravitating around the an‑cient settlement of qasr Farafra and the close relationship between this process and the use of qanats.

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