22
Silvia Beltramo L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna Il nord dell’Italia si caratterizza fin dal medioevo come terra di pellegrinaggi, tra monasteri, santuari e sacri monti. Il forte afflusso di pellegrini determina ben pre- sto una consistente e strutturata cultura dell’accoglienza che si manifesta attraverso la costruzione di spazi appositi destinati ad uso foresteria per gli ospiti. Nei prin- cipali complessi religiosi a partire dal XII secolo per i monasteri e dal XIV secolo per i santuari, le fonti attestano un significativo proliferare di hosterie e hospitali. Si riscontra quindi nei centri piemontesi e lombardi una vera e propria architettura dell’ospitalità con scelte che uniscono le indicazioni delle regole dei singoli ordini monastici ai necessari adattamenti al luogo e alle condizioni geomorfologiche. Le soluzioni adottate per accogliere i viandanti, che caratterizzano le architet- ture per il pellegrino dal medioevo all’età moderna a seguito del continuo incre- mento devozionale, subiscono nuove definizioni all’interno dei recinti sacri, con la costruzione di ricoveri per i pellegrini, osterie e botteghe. Le fonti documentarie e materiali inerenti i santuari indagati (Vicoforte e Oropa in Piemonte, Tirano in Lombardia, Loreto nelle Marche), permettono di analizzare la disposizione dei luoghi dedicati ai viaggiatori, nella loro componente architettonica progettata o adattata alle necessità contingenti. 1. Il santuario di Vicoforte: la Palazzata e i luoghi per l’accoglienza dei pellegrini In un contesto politico e religioso fortemente legato alle istanze della Con- troriforma prende forma la grande devozione popolare e ducale per la Madonna di Vico, nei pressi di Mondovì (in provincia di Cuneo). 1 La volontà di Carlo Ema- 1. L. Berra, Emanuele Filiberto e la Città di Mondovì, in Lo stato sabaudo ai tempi di Emanue- le Filiberto, Torino 1928 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 109), pp. 89-170, G. Vidari, La fondazione di collegi dei gesuiti negli Stati del duca Emanuele Filiberto, in Studi pubblicati dalla Regia Università nel IV Centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 128-138; Vita e cultura a Mondovì nell’età del vescovo Michele Ghislieri (S. Pio V), Torino 1967 (Deputa- zione Subalpina di Storia Patria); A. Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesima savoiardo e assolutismo ducale (1580-1630), Roma 1979, pp. 409-410; A. Catarinella, I. Salsotto, L’università e i collegi, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 523-567.

L'ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna

  • Upload
    polito

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Silvia Beltramo

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna

Il nord dell’Italia si caratterizza fin dal medioevo come terra di pellegrinaggi, tra monasteri, santuari e sacri monti. Il forte afflusso di pellegrini determina ben pre-sto una consistente e strutturata cultura dell’accoglienza che si manifesta attraverso la costruzione di spazi appositi destinati ad uso foresteria per gli ospiti. Nei prin-cipali complessi religiosi a partire dal XII secolo per i monasteri e dal XIV secolo per i santuari, le fonti attestano un significativo proliferare di hosterie e hospitali. Si riscontra quindi nei centri piemontesi e lombardi una vera e propria architettura dell’ospitalità con scelte che uniscono le indicazioni delle regole dei singoli ordini monastici ai necessari adattamenti al luogo e alle condizioni geomorfologiche.

Le soluzioni adottate per accogliere i viandanti, che caratterizzano le architet-ture per il pellegrino dal medioevo all’età moderna a seguito del continuo incre-mento devozionale, subiscono nuove definizioni all’interno dei recinti sacri, con la costruzione di ricoveri per i pellegrini, osterie e botteghe. Le fonti documentarie e materiali inerenti i santuari indagati (Vicoforte e Oropa in Piemonte, Tirano in Lombardia, Loreto nelle Marche), permettono di analizzare la disposizione dei luoghi dedicati ai viaggiatori, nella loro componente architettonica progettata o adattata alle necessità contingenti.

1. Il santuario di Vicoforte: la Palazzata e i luoghi per l’accoglienza dei pellegrini

In un contesto politico e religioso fortemente legato alle istanze della Con-troriforma prende forma la grande devozione popolare e ducale per la Madonna di Vico, nei pressi di Mondovì (in provincia di Cuneo).1 La volontà di Carlo Ema-

1. L. Berra, Emanuele Filiberto e la Città di Mondovì, in Lo stato sabaudo ai tempi di Emanue-le Filiberto, Torino 1928 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 109), pp. 89-170, G. Vidari, La fondazione di collegi dei gesuiti negli Stati del duca Emanuele Filiberto, in Studi pubblicati dalla Regia Università nel IV Centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 128-138; Vita e cultura a Mondovì nell’età del vescovo Michele Ghislieri (S. Pio V), Torino 1967 (Deputa-zione Subalpina di Storia Patria); A. Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesima savoiardo e assolutismo ducale (1580-1630), Roma 1979, pp. 409-410; A. Catarinella, I. Salsotto, L’università e i collegi, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 523-567.

Silvia Beltramo136

nuele I di costruire il tempio di Vico è legata ad un preciso progetto dinastico. Il testamento del duca, redatto nel 1598, è emblematico in tal senso: la decisione è di destinare la costruzione del santuario a pantheon, celebrando la dinastia sabauda2 (fig. 1). Nel documento si sottolinea come il cantiere non ancora terminato, pro-ceda sotto le direttive di Ascanio Vitozzi, in base ai progetti da lui concepiti tra il 1596-1597. La designazione funeraria era già stata decisa in precedenza: in effetti quando il marchese d’Este si recò in Spagna per definire i dettagli delle esequie di Caterina d’Asburgo, appena deceduta, dichiarò che in prima istanza la sepoltura avrebbe avuto luogo nel duomo di Torino e poi sarebbe stata traslata nella cappella di Vico, come da volontà della duchessa stessa, la quale molto legata alla chiesa, svolse spesso un ruolo di primo piano nelle decisioni inerenti il complesso.3

La vicenda del santuario di Vico, il cui iter progettuale è articolato, affonda le sue radici nella cultura di corte, nel matrimonio dell’Infanta e nelle esigenze dina-stiche legate alla creazione di un sepolcro monumentale.4 Un percorso che nasce come progetto di «portata locale di un semplice diacono», per essere poi assunto dal vescovo di Mondovì, e caratterizzarsi in seguito come progetto politico ducale, segno forte del potere di un territorio di recente acquisto e non sempre accondi-scendente verso la corte torinese.5 Il sito di Mondovì risulta vincente rispetto ad altri sepolcri ducali consolidati, primo fra tutti Hautecombe. Le sedi delle sepolture storiche erano fino ad allora, situate negli antichi territori del ducato: la costruzio-ne del santuario-pantheon di Vico si eleva a simbolo della conquista di Mondovì, rafforzando il nuovo primato di un territorio “al di qua delle Alpi”, rispetto a quello storico della Savoia, verso cui si investe sempre meno dal punto di vista politico.

La storiografia ufficiale del santuario di Vico insiste, fin dall’epoca di Carlo Emanuele I, sulla precisa volontà del duca di arricchire il cantiere del tempio del-le strutture di servizio necessarie al sostentamento dei numerosi pellegrini che da più parti si recavano sul luogo dell’apparizione della Madonna.6 Già nel maggio 1597 Carlo Emanuele I incaricò Vitozzi di studiare l’ordinata disposizione della

2. C. Rosso, L’«ordine disordinato»: Carlo Emanuele I e le ambiguità dello stato barocco, in Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele I: Torino, Parigi, Madrid, a cura di I. M. Masoero, S. Mamino C. Rosso, Firenze 1999, pp. 37-80.

3. Sull’Infanta il recente volume L’Infanta Caterina d’Austria, duchessa di Savoia (1567-1597), a cura di B. A. Raviola, F. Varallo, Roma 2013; in particolare il saggio di P. Cozzo,«Intus mirabile magis». L’orizzonte devozionale dell’infanta Caterina, pp. 213-232.

4. Sulle vicende del cantiere architettonico e sulle figure dei progettisti: N. Carboneri, Ascanio Vitozzi. Un architetto tra Manierismo e Barocco, Roma 1966; A. Scotti, Ascanio Vitozzi ingegnere ducale a Torino, Firenze 1969; A. Griseri, Il Santuario di Vicoforte Mondovì da Vitozzi a Gallo a Schellino, in «Bollettino della Società degli Studi Storici, Artistici ed Archeologici della Provincia di Cuneo», 88 (1983), pp. 35-42; C. Castiglioni, Vicoforte. Santuario della Santissima Vergine di Mondovì, in Francesco Gallo (1672-1750). Un architetto ingegnere tra stato e provincia, a cura di V. Comoli, L. Palmucci, Torino 2000, pp. 264-267; L. Mamino, Geometrie spaziali al di là del Barocco nei cantieri di Vicoforte e di Mondovì Piazza, ivi, pp. 57-78.

5. P. Cozzo, “Regina Montis Regalis”. Il Santuario di Mondovì da devozione locale a tempio sabaudo con edizione delle «Memorie intorno alla SS. Vergine di Vico», 1595-1601, Roma 2002, pp. 51-77.

6. G. Vacchetta, Nuova storia artistica del Santuario della Madonna di Mondovì a Vico, Cu-neo 1984.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 137

fabbrica da collocarsi di fronte al santuario, progettandola come una costruzione «bella e regolare», dotata di porticati, che «circondasse una grande piazza» de-stinandola ad osteria ed ospedale.7 Dal 1595 fu evidente la volontà di costruire un ospizio per i pellegrini, ma solo con i tre progetti di Vitozzi, si iniziò a con-cepire una forma architettonica per il complesso8 (fig. 2). Nel progetto definitivo la piazza intorno alla chiesa assume una forma di ottagono allungato, in parte in conflitto con l’orografia del sito nel punto in cui verrà costruito il monastero. Un ulteriore disegno di Vitozzi definisce meglio gli spazi interni della Palazzata di fronte alla chiesa; tutto il prospetto appare porticato con l’apertura di luoghi com-merciali al piano terreno, con un’interruzione in corrispondenza dell’ingresso alla chiesa, dove il progetto prevedeva la realizzazione di due maniche chiuse al piano terreno, aperte in un grande passaggio che costituisce l’accesso al complesso del santuario. Il cantiere che porterà a compimento la piazza antistante sarà lungo e difficoltoso e si concluderà solo nel XIX secolo, con la costruzione dell’ultima manica a ponente.

La Palazzata laterizia, quinta architettonica di fronte alla facciata della chie-sa, venne eretta in semplici forme, su portici a pilastri lapidei, a partire dal 1597, dall’estremità di levante, su di un terreno donato dal comune di Mondovì.9 Il pri-mo blocco fu destinato ad osteria, a cui faranno seguito la costruzione dell’ospi-zio e della Penitenzieria. Dal 1601 iniziò il cantiere per la realizzazione del corpo centrale della Palazzata, un settore di tre arcate destinate ad ospitare il duca e la sua corte.10 L’intento del duca fu di pianificare tutto lo spazio intorno alla chie-sa con precise indicazioni testimoniate nei documenti ufficiali: si ordinò di non costruire case, «ne capanne di muraglia», non conformi ai disegni, fuori dal pe-rimetro della piazza.

Gli spazi commerciali previsti da Vitozzi e ancora oggi utilizzati verranno definiti seguendo i tempi del lunghissimo cantiere. La documentazione rinvenuta nell’archivio del santuario testimonia le articolate fasi di realizzazione, in par-ticolar modo dell’ospizio per i pellegrini e dell’osteria. Dal 1599 al 1603 attra-verso diversi atti è possibile seguire il cantiere per la costruzione dell’osteria dei pellegrini: nel 1599 l’edificio risulta completato fino al primo piano fuori terra, mentre nel 1601 si procede con la costruzione delle scale, dei solai e delle volte. Nel 1602 erano conclusi gli spazi di servizio, le scuderie e le stalle. In un atto del 28 febbraio 1604 vengono ricordati gli ambienti che organizzavano l’osteria:

7. P. Cornaglia, Un mausoleo per Carlo Emanuele I: la Madonna del Mondovì a Vico, in Asca-nio Vitozzi, ingegnere militare, urbanista, architetto, a cura di M. Viglino, Torino 2004, pp.173 ss.

8. Biblioteca Nazionale di Torino, Manoscritti e rari, raccolta Tesauro, RIS 59.24, f. 28-29, 30-32r, 32v-33.

9. S. Beltramo, Le botteghe dei pellegrini nel Piemonte sabaudo tra XVI e XVII secolo: i santuari di Vicoforte e di Oropa, in Il mercante patrizio: palazzi e botteghe nell’Europa del Rina-scimento, a cura di D. Calabi, S. Beltramo, Milano 2008, pp. 257-282

10. Archivio di Stato di Torino (ASTo), Luoghi pii di qua dai monti, mazzo 24, Memoria di quello che si è ordinato alli deputati dilla Fabbrica della Madonna di Mondovì da mandar al Sig. Conte Francesco Martininga, sd.

Silvia Beltramo138

l’anno passato furono fatti miglioramenti all’Hosteria colla fabbrica, secondo il di-segno del Vitozzi da Mastro Alberto Vignola capo delle fabbriche, della cucina col fornello di preda, stalla, scala separata dall’hospedale, forno e botteghe.11

Nel maggio del 1599 il duca concesse l’esenzione all’osteria e un successivo documento ordinò ai privati di aprire osterie e botteghe al di fuori del recinto della piazza pagando un corrispettivo da utilizzarsi per la fabbrica del complesso.12

Nello stesso periodo, tra XVI e XVII secolo, a fianco dell’osteria, proseguiva il cantiere dell’ospedale del Santissimo Sudario, su progetto di Vitozzi, con la su-pervisione dello stesso Vignola che, nel 1599, affermava di aver completato l’edi-ficio fino al primo piano fuori terra, mentre nel 1601 si procedeva alla costruzione delle coperture e delle volte. A fianco dell’«hospedale», tra il 1601 e il 1603, fu realizzato il Pio Istituto d’Orfani per volere del marchese Alberto di Ceva, mentre nei primi decenni del XVII secolo si proseguì la costruzione della Penitenzieria (o Casa Cordero) per una lunghezza di quattro arcate. La Casa Cordero, terminata nel 1751, e quella del duca erano divise dal rio Ermena che scorreva nel mezzo delle due costruzioni, che distavano fra loro la larghezza di due arcate di portico. Il 6 aprile del 1603 la fabbrica del palazzo del duca avanzava con l’edificazione dei «pilastri e archi e ponte e drizzato il rivo per farvi di sotto le botteghe e diso-pra un corridore o come meglio sarà gusto di S.A.».13

La volontà di definire uno spazio per l’accoglienza dei pellegrini e di orga-nizzarlo in modo da avere il controllo su tutte le attività contemplate, emerge dal Memoriale per servicio della fabrica della chiesa, Monastero et hospitale alla Madonna di Vico dove, oltre all’indicazione della costruzione dell’osteria a fian-co dell’Hospedale per i pellegrini, si sottolinea che, per la realizzazione di altre botteghe e osterie, è obbligatorio utilizzare gli spazi intorno al santuario lascian-do libera la piazza antistante.14

La testimonianza della determinazione di Carlo Emanuele I nel continuare l’edificazione degli spazi della Palazzata emerge da diverse disposizioni, tra le quali, di particolare interesse, è quella del 22 aprile 1601 nella quale si ordinava

fra le altre cose il convento, una penitenzieria, un palazzo per logiamento nostro e de Ser.mi Principi et un hospitale per servitio dei poveri et hostaria franca per comodità di concorrenti; […] così si concede alle stesse di far botteghe di speciaro cerogico, hosti e di cose mangiatorie, vittovaglie, corone, medaglie, immagini et simili.15

11. Archivio Santuario di Mondovì (ASM), Nota dei patti intercorsi tra Mastro Alberto Vi-gnola ed il senatore Guidetto per la fabbrica dell’Osteria e Ospedale, C/23 e Attestazione di Mastro Alberto Vignola capomastro circa il lavoro compiuto per l’ospizio dei pellegrini e l’osteria, O/20, 28 febbraio 1604.

12. Vacchetta, Nuova storia artistica, p. 322.13. ASM, Attestazione di Mastro Alberto Vignola..14. ASTo, Luoghi pii di qua dai monti, mazzo 24, Memoriale per servicio della fabrica della

chiesa, Monastero et hospitale alla Madonna di Vico, 1599 (a matita).15. ASTo, Luoghi pii di qua dai monti, mazzo 24, Essentione per l’Hospidale e Hostaria di

esso alla Madonna Santissima di Vico, 1610 (a matita).

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 139

Il duca incentivava nuovi insediamenti di luoghi per il commercio attraverso l’abolizione delle tasse. Le attività di mercato previste si disponevano intorno allo spazio sacro: suppellettili religiose, argenterie sacre e gioielli, immagini de-vozionali e il sostentamento morale e fisico dei pellegrini costituivano un lucroso affare per i mercanti e per il santuario stesso che incassava le offerte relative alla disposizione dei banchi. L’attività di somministrazione del cibo ai pellegrini era particolarmente florida in occasione delle festività annuali, quando non era suf-ficiente la sola osteria aperta nella Palazzata. Nel 1628 infatti venne realizzata un’altra osteria definita come «ordinaria».16 I giubilei, la festa della Natività di Maria Vergine e della Madonna di Vico, erano gli eventi che facevano accorrere numerosi pellegrini. I monaci, a seguito di molteplici discussioni con gli abitanti di Vico, pretesero dal Duca che durante tali feste fosse proibito impiantare barac-che di ristoro o «piccole hosterie straordinarie» nell’area del santuario e che nelle osterie non si giocasse e non venissero ospitati «persone sospette di mala vita». Non era inoltre possibile vendere «qual si voglia sorte di robba» davanti alla porta maggiore della chiesa e portare animali all’interno del recinto.17 Nel 1752 Cordero di Pamparato, procuratore generale della Congregazione della Fabrica, si rivolse al re per ottenere di far eleggere una persona incaricata, in occasione delle ricorrenze principali, di stabilire i posti dei mercanti e dei loro baracconi e i prezzi da far rispettare anche alle osterie.

2. La Fabrica de’ Disciplini e gli edifici per i pellegrini nel santuario di Oropa

Nell’ambito della politica religiosa di Carlo Emanuele I di Savoia l’atten-zione alle forme di culto locale è sempre stata preminente. Nei casi di Graglia e Oropa, i più celebri santuari delle montagne biellesi, questo interesse assumerà forme e dinamiche differenti rispetto a Vicoforte.18 Il processo di formazione e di sviluppo è analogo a quello della Madonna di Vico, anche se in questo caso la componente locale continuerà ad avere un peso rilevante affiancando quella ducale. L’importante connotazione di luogo di pellegrinaggio svolto da Oropa dal tardo medioevo, subì un notevole impulso nel periodo della Controriforma, gra-zie all’intervento svolto dalla comunità civile e religiosa della vicina Biella (fig. 3). Durante la pestilenza del 1599, la popolazione di Biella decise di rivolgersi alla Madonna di Oropa, con un voto alla statua della Vergine Nera con il Bambi-no. Il vescovo di Vercelli Giovanni Stefano Ferrero, vicino a Federico Borromeo, convinse la comunità di legare il voto all’erezione di un nuovo edificio di culto

16. ASM, Rescritti civili per il santuario, B/23.17. G. Comino, Fede e devozione popolare al santuario di Mondovì secondo i documenti del

suo archivio. Spunti e prospettive di ricerca, in «Bollettino della Società per gli Studi Storici, Ar-cheologici ed Artistici della provincia di Cuneo», 88 (1 semestre 1983), pp. 49-74.

18. G. Dell’Oro, Il Sacro Monte di Oropa. Aspetti istituzionali e devozionali di un luogo di culto nel Piemonte dei secoli XVII e XVIII, in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», XCII (1994), pp. 81-143; M. Trompetto, Storia del Santuario di Oropa, Biella 1983, rist. ed. 1974.

Silvia Beltramo140

da dedicare alla Madonna. Alla ricostruzione della chiesa si affiancarono ben pre-sto i cantieri per le cappelle del sacro monte, gli edifici dell’osteria, la casa dei Disciplini nel recinto.

L’incremento di pellegrini ad Oropa registrato tra la fine del XV secolo e per tutto il secolo successivo, incise in maniera significativa sulla decisione di ampliare il nucleo religioso medievale. L’accoglienza dei viatores provenienti dalle vicine diocesi di Vercelli, Ivrea, Novara, Milano e Aosta, fu la missione principale fin dall’inizio della storia del santuario.

La disponibilità di camere in numero significativo si rivela, quindi, come una necessità contingente per il complesso. Alla fine del XV secolo la possibilità di dare alloggio ai pellegrini ad Oropa era ridotta alla «domus sancte Marie et eius porticus», ma già nel 1507 Sebastiano Ferrero, membro di una delle famiglie più prestigiose di Biella, si era fatto promotore della costruzione di una casa, a due piani con la cucina a piano terreno, per ospitare i viaggiatori.19 Oltre alla casa Fer-rero, i visitatori potevano usufruire di altri piccoli spazi voluti da famiglie nobili biellesi che, quando non utilizzavano loro stessi queste abitazioni, le lasciavano in uso ad altri ospiti del santuario. Le camere erano molto semplici e formate da pochi ambienti: quella di messer Maffiotto era composta da un

logo di sotto per tener del vino et legna, con il fornello, sterno, celar, ussio, finestre et logo de servitio et coperta abitabile et soliata,

con l’immagine di san Francesco dipinta sulla porta, per distinguerla dalle altre.20 Tra il 1580 e il 1585 venne terminato il nuovo fabbricato per i pellegrini, artico-lato nei locali per l’ospitalità, l’abitazione per il massaro e la stalla, una caminata ed una bottega.21

Nel 1621 Bassiano Gatti descrisse il complesso di Oropa, con le sue nuove costruzioni, così come doveva apparire ai numerosi credenti che si recarono ad Oropa in occasione della prima Incoronazione della Madonna del 1620:

Intorno alla predetta piazza vi si mirano alcune commode habitationi fabbricate da Signori particolari di Biella che servono oltre l’uso loro per alloggiare Personaggi di qualità, oltre di cio li Disciplinanti di Biella vi hanno fatto un capace Hospitio, dove eglino vi si possono ritirare per riposarsi et ristorarsi, che serve somigliante per ricovero de forestieri.22

A partire dal XVI secolo sono registrate ad Oropa le processioni di alcune con-fraternite di Biella che divennero, con il passare del tempo, più regolari e ripetute

19. D. Lebole, Storia della Chiesa biellese. Il santuario di Oropa, Gaglianico 1998, II, pp. 411-418.

20. Acta Reginae Montis Oropae (ARMO), Tomo III, Biella 1999, II, doc. 35, col. 197; In cochina subtus dictam Cameram, in Acta Reginae Montis Oropae (ARMO), II, doc. 49, col. 244.

21. ARMO, II, doc. 49, col. 242, col. 244, doc. 69, coll. 313-15, doc. 91, col. 404, doc. 101, col. 434, doc. 131, col. 550.

22. B. Gatti, La breve relazione di Oropa, Biella 1970, p. 61, in A.S. Bessone, Introduzione, in ARMO, Tomo III, Biella 1999, p. XXXIX.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 141

secondo un preciso calendario. La partecipazione numerosa di confratelli portò alla decisione di procedere con la costruzione di un fabbricato per la loro accoglienza, a fianco della chiesa, definendo la prima manica del grande chiostro. L’identificazione dell’ala con quella articolata nel doppio portico, a sinistra della chiesa, è certa grazie ad un documento del 1628, inerente la demolizione del Roc, che ricorda come l’edi-ficio religioso e la manica dei disciplinati siano stati costruiti al di sopra di esso.23

Nel maggio del 1609 nel complesso dei Disciplini era funzionante anche un’osteria, gestita da Giacomo Mestiatis, in attesa della costruzione di un edificio apposito, iniziato nel 1619 e terminato nel 1623. Nel 1618 il porticato a doppio ordine era concluso, come dimostra il testamento di Nicola Viono, redatto ad Oropa, nella Galleria detta de disciplinanti.24

Il costante aumento dei pellegrini, verificato durante l’Incoronazione del 1620, rese necessario l’apertura di una nuova osteria all’interno del recinto, che nel XVII secolo venne affidata a laici esterni al santuario. In maniera analoga al caso di Vicoforte, il 7 luglio 1607 venne chiesto al duca di Savoia, Carlo Ema-nuele I, di promulgare l’esenzione della gabella per l’osteria di Oropa.25 Nella supplica emergono chiaramente la situazione dell’accoglienza dei pellegrini e l’organizzazione prevista: vi si legge, infatti, che

ivi vi sono qualche camera et alloggiamenti fatti da diverse persone per allogiar li pellegrini, ma perché tutti non possono farsi portar da vivere ivi per esser lontano da Biella circa sette miglia, è di necessità che vi sij uno che facci hosteria per soccorso de poveretti.26

Il 26 marzo 1607 il consiglio comunale di Biella decise di esonerare l’osteria di Oropa dal pagamento del dazio.27

Superati i problemi legati alla gestione rimaneva la necessità di ampliare gli spazi utilizzati per la ristorazione. Si decise quindi di procedere alla costruzione di nuovi ambienti attigui alla «fabrica dei disciplini». Il cantiere venne affidato alle maestranze luganesi presenti per la realizzazione della chiesa, in particolare a Giovanni Troni e a Pietro Somazzi, mentre per gli ornati lapidei delle porte e delle finestre l’incarico venne concluso con i mastri Francesco Aprile e Alberto Solaris. Tra il 1621 e il 1622 sono attestati approvvigionamenti di materiale per la costruzione dell’osteria, della stalla e di altri luoghi secondo il disegno preparato.28 Il cantiere si concluse nel 1623 e il locale fu affidato a Pietro Cuzza per tre anni.29

La manica dell’osteria, costruita nel blocco perpendicolare alla chiesa, di fron-te all’attuale ingresso del santuario, si distingue nelle vedute del XVI secolo: nei

23. Archivio Santuario Oropa (ASO), Libro degli Ordinati, 17 giugno 1628.24. Archivio Storico Comune di Biella (ASCB), Insinuazione Biella, vol. 14, ff. 34v-38r, in

ARMO, III, doc. 181, col. 591.25. ARMO, III, doc. 71, col. 226.26. ASCB, Insinuazione Biella, vol. 14, ff. 34v-38r, in ARMO, III, doc. 181, col. 591.27. ASCB, Ordinati comunali, 6 maggio 1609, doc. 86, col. 255 e Insinuazione Biella, vol. 14,

ff. 34v-38r, in ARMO, III, doc. 181, col. 591.28. ASO, Libro degli Ordinati del santuario (1614-1629), 10 novembre 1621.29. ASO, Libro degli Ordinati del santuario (1665-1669), 26 gennaio 1667.

Silvia Beltramo142

due quadri votivi delle processioni delle comunità di Perloz e Lilliane del 1685 e di Fontainemore del 1684, la struttura presenta un prospetto analogo a quello attuale30 (fig. 4). Il porticato del primo livello è suddiviso da nicchie tra i setti murari che sorreggono gli archi. Il piano superiore, di altezza inferiore, è scandito da una serie continua di arcate poggianti su pilastrini. La sistemazione dello spazio antistante risulta differente: oggi un terrapieno permette di superare il consistente dislivello tra il centro del recinto, il sagrato della chiesa, e la quota del piano della galleria dell’osteria (fig. 5). Nella sistemazione originaria, una scalinata, posta in corrispon-denza delle prime arcate verso nord, consentiva di raggiungere il piano, oltre ad una rampa prossima al passaggio ancora esistente. Le dimensioni considerevoli della manica emergono anche dalle descrizioni storiche: nel 1621 Bassiano Gatti ebbe l’occasione di vedere il cantiere in corso e lo descrisse come «commoda hosteria, nella quale potranno alloggiare centinaia di persone».

A partire dal XVII secolo l’amministrazione del santuario attraverso i capi-toli definì l’attività degli osti ad Oropa.31 Le regole si susseguirono pressoché in-variate nel corso degli anni e riguardavano anche il comportamento che l’oste era tenuto ad osservare verso i pellegrini e far rispettare a questi durante il soggiorno presso la sua locanda.

3. Tirano e il palazzo di San Michele

Il santuario montano di Tirano in Valtellina rappresenta un caso significativo per l’importanza raggiunta come luogo religioso che coniuga e accoglie nei suoi spazi un insieme di strutture legate all’accoglienza dei pellegrini.32 La sua posi-zione strategica, al centro dell’arco alpino, in una zona facilmente raggiungibile dai Grigioni attraverso il Bernina, dal Milanese e dalla Lombardia, dal Trentino e dal Tirolo, ne fece fin dalle origini un luogo di traffico commerciale, tanto che fin dal 1514 si svolgeva la fiera di San Michele in concomitanza con i giorni di festa del santo (fig. 6). La popolarità legata ai miracoli che si attribuivano alla Madon-na di Tirano ne fecero un centro di importante richiamo nelle Alpi.

Il 14 maggio 1528 il vescovo di Como, Cesare Trivulzio, giunto a Tirano in occasione di una visita pastorale, consacrò l’oratorio di Santa Maria de Nive, dedicando l’altare maggiore alla Vergine delle Grazie, concedendo l’indulgenza a quanti si fossero recati in visita alla chiesa.33 Dopo il primo riconoscimento da

30. In montibus sanctis. Il paesaggio della processione da Fontainemore a Oropa, a cura di T. Galliano, Ponzano Monferrato 2003.

31. Gatti, La breve relazione, p. 45.32. Ubi steterunt pedes Mariae. L’apparizione mariana e il santuario di Tirano 1504-2004, a

cura di S. Xeres, Sondrio 2005; E. Canobbio, Pro eadem universi tate, seu eius nomine. L’oratorio della Beata Vergine e la comunità di Tirano (1504-1528), in ivi, pp. 47-73; G. Cracco, Per una storia delle apparizioni: la Madonna di Tirano, in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 42 (2006), pp. 25-63; P. Cozzo, La Madonna di Tirano nella geografia mariana di età moderna: speci-ficità e analogie, in «Bollettino della società storica valtellinese», 58 (2005), pp. 61-72.

33. F. Bormetti, R. Casciaro, Il santuario della Madonna di Tirano nella Valtellina del Cin-quecento, Cinisello Balsamo 1996.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 143

parte della curia vescovile nel 1504, il tempio andava stimolando al di fuori della valle intense pratiche di devozione, sollecitando la liberalità dei fedeli e ottenen-do il riconoscimento dei vertici della cristianità. La costruzione dell’oratorium della Beata Vergine di Tirano, avviata nella primavera del 1505, coincise con una fase di notevole espansione delle strutture insediative ed economiche di Tirano. A seguito della forte attrazione esercitata a partire dal XIII secolo sulle popolazioni locali e sulle regioni alpine limitrofe, il borgo costituiva il centro più popolato della media-alta valle; la posizione geografica, oltre a consolidare la posizione come snodo di transito di merci e di uomini, era il perno del sistema difensivo progettato dagli Sforza contro i Grigioni34 (fig. 7).

La piazza intorno al santuario divenne ben presto il luogo prescelto per le attività commerciali e per l’accoglienza dei numerosi pellegrini da tutto l’arco alpino. Sullo spazio antistante si iniziò a costruire, in contemporanea con il can-tiere della chiesa, il palazzo detto di San Michele, in origine «hostaria granda» luogo di sosta per mercanti, viaggiatori e pellegrini che transitavano lungo quel tratto alpino (fig. 8). L’edificio era in fase avanzata di costruzione già nel primo decennio del Cinquecento: nel 1513 furono collocate in sito le colonne a delimi-tazione del porticato e successivamente i lavori furono accelerati anche a seguito della concessione per svolgere la fiera sul piazzale della chiesa. La quantità di beni impiegati nell’osteria e forniti agli avventori divennero presto significativi costituendo una fonte di entrata rilevante.35

Tirano risultava già essere luogo di accoglienza per i viaggiatori durante il medioevo prima della costruzione del santuario; erano infatti presenti gli «xenodo-chii» di San Remigio e Santa Perpetua e «l’ospitale» di Santa Maria per i poveri.36

La piazza del santuario venne progressivamente conclusa con la realizza-zione delle ali di botteghe, funzionali all’afflusso di persone durante le fiere e a seguito dei pellegrinaggi. In un primo periodo si portarono a compimento quelle lungo il lato sud, a partire dalla casa del rettore estendendo progressivamente le maniche sui lati est e nord e solo parzialmente verso quello ovest. Nello spazio oltre al corso del fiume erano montati, in occasione delle fiere, casotti provvisori in legno. All’inizio del XVIII secolo si contavano ventidue botteghe lungo il cor-so maggiore, tredici verso est, sette casotti verso nord e 10 a sud. Dall’esame dei registri di affitto emerge una continuità nel tempo delle famiglie che gestiscono i locali commerciali di prevalente provenienza locale con alcune presenze tede-sche, francesi e veneziane.37

34. G. Scaramellini, Le fortificazioni sforzesche in Valtellina e Valchiavenna, Chiavenna 2000.

35. D. Zoia, L’“hosteria grande” di Tirano. Approvvigionamenti, arredi e servizi di un alber-go nel secolo XVII, in «Bollettino della Società storica valtellinese», 49 (1996), pp. 143-174.

36. E. Pedrotti, Gli xenodochio di San Remigio e Santa Perpetua, Milano 1957, S. Masa, L’ospedale dei poveri di Tirano fra Medioevo ed Età moderna, in «Bollettino della Società storica valtellinese», 49 (1996), pp. 87-114.

37. Canobbio, Pro eadem universitate, pp. 67-73.

Silvia Beltramo144

4. Locande, hosterie e hospitalia nel santuario di Loreto

La Santa Casa di Loreto costituisce uno dei casi più significativi per lo studio dei temi legati all’ospitalità dei pellegrini vista l’importanza raggiunta dal santuario come centro di pellegrinaggio tra nord e sud Europa nell’età moderna.38 Inoltre la notevole ricchezza di fonti documentarie conservate nell’archivio del santuario rap-presenta ancora oggi una significativa possibilità di studio e di conoscenza.

Le prime notizie sulla chiesa di Santa Maria de Laureto si hanno in un do-cumento del 1315 che testimonia il ragguardevole livello di devozione raggiunto e l’assiduità della frequentazione da parte di un pubblico ampio, fatto anche di persone non sempre animate dai migliori propositi. Il documento infatti riporta il processo di alcuni «tirannes loci» accusati di avere rubato le elemosine, i ceri, le lampade, i doni e le immagini votive che adornavano l’icona della Vergine con il bambino.39 L’attestazione di un primitivo insediamento urbano nato intorno alla chiesa risale al 1336 quando si ricorda la «villa Laureti» e poi dal 1361 «villa Sancte Marie de Laureto».40 Ben presto la chiesa diviene il centro mariano votivo della diocesi e della comunità di Recanati, come sembrano attestare le visite del vescovo e delle autorità religiose del 1369 e, pochi mesi dopo, quelle dei podestà e dei priori della città.41 Nella seconda metà del Trecento soprattutto a seguito della concessione dell’indulgenza da parte di Gregorio XI e di Urbano VI nel 1389, la provenienza dei fedeli tende a superare i confini locali della Marca.42 Il culto lauretano riceve un particolare impulso negli ultimi anni del secolo, quando anche l’Italia centrale venne investita dalle processioni penitenziali dei Bianchi, che fanno della chiesa di Santa Maria il principale santuario «contra pestem» dell’area medio-adriatica.43 Da quel momento cresce la fama del potere tauma-turgico della Vergine lauretana; ad essa si rivolgono sia i singoli fedeli sia intere

38. Sul tema del pellegrinaggio lauretano esiste un’ampia bibliografia. Si ricordano: L. da Monterado, Storia del culto e del pellegrinaggio a Loreto (secc. XIV-XV), Loreto 1979; M. Sensi, Il pellegrinaggio votivo laureano, in «Studia Picena», LIX (1994), pp. 205-237; Loreto crocevia religioso tra Italia, Europa, Oriente, a cura di F. Citterio, L. Vaccaro, Brescia 1997; F. Grimaldi, Pellegrini e pellegrinaggi a Loreto nei secoli XIV-XVIII, in «Bollettino Storico Città di Foligno», Loreto 2001; E. Renzulli, Tales of Flying Shrines and Paved Roads: Loreto, an Early Modern Town of Pilgrimage, in Tales of the City:Outsiders’ Descrptions of Cities in the Early Modern Period, a cura di F. Bardati, F. Nevola, E. Renzulli, «Città e Storia», VII, 1 (2012), pp. 27-43.

39. J. A. Vogel, De ecclesiis Recanatensi et Lauretana earumque episcopis commentarius historicus, Recanati 1859, II, pp. 68-75; M. Moroni, Pellegrini ed elemosine a Loreto tra XV e XIX secolo, in «Società e Storia», 146 (2013), pp. 319-341.

40. Archivio Storico della Casa Loreto (ASCL), Miscellanea Vogel, X, c. 9; VII, c. 72; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis Sancte Sedis, Romae 1862, p. 340.

41. M. Leopardi, Annali di Recanati con le leggi e i costumi degli antichi recanatesi e memo-rie di Loreto, Varese 1945, I, p. 264; Grimaldi, Pellegrini e pellegrinaggi p. 29.

42. C. Benedettucci, La prima concessione pontificia di sacre indulgenze al santuario di Lo-reto, Recanati 1916.

43. M. Sensi, Santuari politici “contra pestem”. L’esempio di Fermo, in Miscellanea di studi marchigiani in onore di Febo Allevi, a cura di G. Paci, Agugliano 1987, pp. 650-652, M. Sensi, Santuari, culti e riti “ad repellendam pestem” tra medioevo ed età modena, in Luoghi sacri e spazi della santità, Torino 1990, pp. 140-142.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 145

comunità, addirittura numerose città italiane, nel corso del Quattrocento, si pon-gono sotto la sua protezione nella speranza di essere preservate dalla peste.44

La crescita del flusso devozionale determina la nascita nel nucleo della villa di varie strutture edilizie a servizio della chiesa e dei pellegrini. Alcune logge a ridosso della chiesa e delle abitazioni dei presbiteri erano utilizzate dai pellegrini e dai «merciarii» a partire dalla seconda metà del Trecento. All’inizio del secolo seguente venne edificato un primo «hospitale», cioè un ospizio per i pellegrini indigenti, mentre un secondo fu completato nel 1468; nel 1485 la confraterni-ta di San Giacomo provvide alla costruzione del grande ospizio.45 La necessità di nuovi sistemi per l’adduzione dell’acqua determina la realizzazione di nuovi pozzi e cisterne i cui lavori sono documentati all’inizio del Quattrocento.46 Anche i privati contribuiscono con la costruzione di edilizia dedicata al commercio e all’accoglienza che veniva poi affittata a «merciarii» e «hospitatores».47 Le nuove case risultano edificate ai bordi della strada che correndo sul crinale della collina di Monte Prodo, conduce al centro cultuale. Sulla base delle esigenze del flusso devozionale viene modellato lo stesso impianto urbano: case e botteghe, alberghi e locande sono disposti a schiera e allineati lungo l’antica strada che conduce alla basilica; dietro questa strada, fin dal Quattrocento detta «via dei coronari», si apre una seconda direttrice destinata essenzialmente a strutture di servizio.48 Quando negli ultimi decenni del Cinquecento le dimensioni dell’abitato si rivelano troppo modeste per sostenere la massa dei pellegrini e una popolazione in rapida cresci-ta, Sisto V provvede a fare ampliare i confini della villa in direzione sud-occiden-tale, verso il colle di Monte Reale, imponendo a tutte le comunità marchigiane di costruire un proprio edificio nell’area detta “addizione sistina”.49

Nel 1586 il papa Sisto V insignisce Loreto del titolo di civitas, eleggendo la chiesa a cattedrale e rendendola indipendente da Recanati.50 La città-santuario di Loreto tende a sovrapporsi alla Santa Casa vivendo strettamente correlata alla storia e all’economia del centro religioso.51 A queste nuove trasformazioni del

44. F. Grimaldi, Santa Maria porta del paradiso, liberatrice della pestilenza, Loreto 1987.45. Archivio Comune Recanati (ACR), Annali, vol. 39, c. 36, 25 aprile 1465 e vol. 59, cc. 35-

36, 26 aprile 1485.46. ACR, Annali, vol. 3, c. 98, 18 maggio 1423; ASCL, Miscellanea Vogel, X, c. 18, 11 aprile

1450; F. Grimaldi, K. Sordi, La villa di Santa Maria di Loreto. Strutture socio-religiose sviluppo edilizio nei secoli XIV-XV, Ancona 1990, pp. 124-127.

47. F. Grimaldi, La chiesa di Santa Maria di Loreto nei documenti dei secoli XII-XV, Ancona 1984, pp. 114-116.

48. La città murata di Loreto, Recanati 1979.49. Una ricostruzione dei cantieri tra XV e XVI secolo è fornita da A. Bruschi, Loreto: città

santuario e cantiere artistico, in Loreto crocevia religioso, pp. 441-470, e F. Grimaldi, Maestranze a Loreto nella prima metà del ‘500, in Loreto crocevia, pp. 471-490.

50. Sui difficili rapporti tra la chiesa di Recanati e Loreto, M. Sensi, Vescovi di Recanati e rettori della Santa Casa. Conflitti giurisdizionali per un santuario polivalente, in Loreto crocevia pp. 211-244, mentre sul potere papale nel territorio marchigiano, G. Zenobi, Le “ben regolate cit-tà”. Modelli politici nel governo delle periferie pontificie in età moderna, Roma 1994 e G.L. Ma-setti Zannini, I papi e Loreto, in Loreto crocevia, pp. 245-262.

51. E. Duprè Theseider, Loreto e il problema della “città santuario”, in «Studia Picena», XXIX (1959), pp. 3-12. Francesco Paolo Fiore definisce Loreto “città felice”, cfr. F.P. Fiore, La

Silvia Beltramo146

XVI secolo si legò un continuo incremento demografico che vide il suo apice proprio nel corso del Seicento.

Poco dopo la metà del Quattrocento l’aumento insistente del flusso devozio-nale spinse il vescovo di Recanati, Nicolò Delle Aste, a progettare l’edificazione di un grande tempio, incentivata da Paolo II che decise di investire attribuendosi la costruzione della nuova chiesa. È proprio in concomitanza con la nuova ere-zione della chiesa che la leggenda di fondazione della Santa Casa prende corpo. Il papa invita i fedeli a collaborare generosamente con la prosecuzione dell’opera, in quanto la cappella è definita come miracolose fundata, riferendosi alla fondazio-ne in un solo giorno a seguito dell’intervento dell’intera comunità. Riprendendo la tradizione dell’iconografia lauretana, nella quale la Vergine è sempre affiancata da angeli, il papa aggiunse che l’immagine della Madonna era stata collocata a Loreto grazie ad un volo angelico.52 Il primo documento che riporta l’indicazione della chiesa di Santa Maria come casa abitata dalla Madonna a Nazareth (mira-colosamente trasportata dagli angeli sul colle lauretano) è la relazione di Pietro di Giorgio Tolomei, detto il Teramano, scritta negli stessi anni in cui iniziarono i lavori per l’edificazione del santuario intorno al 1470.53

Le più antiche strutture del santuario a supporto dei pellegrini note dai do-cumenti d’archivio risalgono all’ultimo trentennio del Trecento. Il testo di una sentenza processuale, emessa il 20 dicembre 1372, contro Antonio di Coraduccio da Montesanto, permette di individuare vicino o in adiacenza alla chiesa alcu-ne logge poste a ridosso dei muri esterni della chiesa stessa o nelle immediate vicinanze. Successive testimonianze, soprattutto desunte dalle «riformanze» del comune di Recanati, consentono di seguire l’evolversi delle costruzioni sorte at-torno alla chiesa di Santa Maria e l’erezione di nuove logge e «transanne» per soddisfare le accresciute esigenze dei pellegrini.

Nel 1426 Andrea di Giacomo di Atri, governatore della Santa Casa, richie-deva al comune di Recanati il trasporto gratuito di coppi e mattoni acquistati per la costruzione e una partizione di terreno sul quale erigere la loggia. Nel 1439 la loggia fu estesa fino all’«ospitale».54 La costruzione di questi spazi diede luogo ad un recinto chiuso confinante con la chiesa e con la piazza.55 Pochi anni dopo, nel 1445, nell’intento di offrire ai pellegrini una migliore ospitalità, il governatore chiese al comune un’altra licenza per fabbricare una nuova loggia che mettesse in comunicazione le stalle della chiesa con il palazzo del comune. Il consiglio nell’accordare il permesso si riservava la proprietà del manufatto ed esigeva che nella loggia non fossero mai aperte botteghe o altri esercizi commerciali da parte

“città felice” di Loreto, in «Ricerche di Storia dell’Arte», 4 (1977), pp. 35-55. Sugli aspetti econo-mici del santuario Moroni, L’economia.

52. Grimaldi, La chiesa di Santa Maria di Loreto, pp. 132-133.53. Numerose sono le versioni edite del racconto di fondazione scritto da Teramano, pub-

blicate in Grimaldi, La chiesa di Santa Maria di Loreto, pp. 155-189; G. Cracco, Alle origini dei santuari mariani: il caso di Loreto, in Loreto crocevia religioso, pp. 120-157.

54. Grimaldi, La chiesa di Santa Maria di Loreto.55. ACR, 18, Annales, cc. 2-3 (12 novembre 1441).

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 147

dei privati o delle stesse autorità ecclesiastiche.56 Gli scavi archeologici hanno fatto emergere alcuni muri di fondazioni profondi circa 60-70 centimetri, orienta-ti verso l’antica strada che conduceva alla cappella. Nei due quasi paralleli lunghi 16 e 19 metri sembrano ravvisarsi le strutture delle logge costruite nel corso del XV secolo. Un recinto chiuso forse adibito a stalla si sviluppava verso mezzo-giorno.57

A partire dalla metà del XV secolo le confraternite di Santa Lucia (1467) e di San Giacomo e successivamente quella degli Schiavoni costruirono ospizi per i pellegrini.58 Spinti da motivazioni economiche anche i privati cominciarono ben presto a fabbricare locande e osterie a vantaggio dei pellegrini e dei viaggiatori che potevano provvedere di persona al proprio alloggio e ristoro.

A questi si aggiungevano gli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche e delle elite italiane ed europee che causarono non pochi problemi nella gestione del loro soggiorno. Le autorità pubbliche dovevano farsi garanti e sostenere le spese di alloggio di vescovi, cardinali e principi. Per risolvere le numerose richieste si fece costruire, tra il 1437 e il 1441 un palazzetto comunale che, oltre a servire alla comunità come luogo d’incontro e di residenza del sindaco e del capitano, potesse anche accogliere ospiti illustri in visita alla Santa Cappella.59

Un servizio di ospitalità di natura privata e religiosa doveva già essere ap-prontata nei primi decenni del XV secolo vista la presenza di personalità con numeroso seguito che si recavano in pellegrinaggio a Loreto. Il 6 gennaio 1424 Gentile Pandolfo da Varano visita la Santa Casa con una comitiva di 60 persone, mentre nel 1432 sono gli «officiales» della comunità di Macerata con le rispettive mogli.60 Nell’aprile del 1437 Alessandro Sforza, signore di Pesaro, Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini e Nicola III d’Este si trovavano a Loreto con un seguito di 400 cavalli.61 Il 10 dicembre 1442 si recarono a Loreto Sigi-smondo Malatesta e la moglie Polissena Sforza con 160 cavalieri.62 Nel maggio del 1443 risultano attestati al santuario, il re di Aragona, Alfonso V il Magnanimo e il suo vicerè, Ramòn de Cardona, a conclusione della rapida impresa di libera-zione della Marca di Ancona da Francesco Sforza.63 Nel giugno e nel settembre 1449 ad accompagnare Niccolò V a Santa Maria di Loreto è un nutrito seguito di prelati e di inservienti.64 In occasione della sua incoronazione ad imperatore,

56. Grimaldi, Sordi, La villa di Santa Maria di Loreto, pp. 115-116.57. F. Grimaldi, La basilica della Santa Casa di Loreto. Indagini archeologiche geognostiche

e statistiche, Ancona 1986.58. Grimaldi, Sordi, La villa di Santa Maria di Loreto, pp. 43-46, 116-118.59. Ibidem, p.120.60. ASCL, Miscellanea Vogel, vol. X, c. 15; Leopardi, Annali di Recanati, I, p.155.61. ACR, 18, Annales, c.11; Leopardi, Annali di Recanati, I, p. 208.62. ASCL, Miscellanea Vogel, vol. X, c. 18; Leopardi, Annali di Recanati, I, p. 233.63. ASCL, Miscellanea Vogel, vol. X, c. 18; ACR, 18, Annales, c. 11; Leopardi, Annali di

Recanati, I, p. 233.64. Cronache malatestiane dei secoli 14. e 15., aa. 1295-1385 e 1416-1452, a cura di A. F.

Massera; Rerum italicarum scriptores: raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecin-quecento, ordinata da L. A. Muratori, 15.2, 1900, pp. 130-131. ASCL, Miscellanea Vogel, vol. X, c. 19; ACR, 18, Annales, c.7 5; Leopardi, Annali di Recanati, I, p. 294.

Silvia Beltramo148

avvenuta a Roma, Federico III sosta a Loreto il 20 maggio 1452 con il numeroso seguito costituitosi per l’evento.65

Verso la fine del XV secolo Girolamo Basso Della Rovere, vescovo di Re-canati, decise di costruire una nuova canonica, detta successivamente Palazzo Maggiore e in seguito anche Palazzo Apostolico66 (fig. 9). L’apertura del cantiere per il nuovo edificio religioso della chiesa nella seconda metà del secolo aveva comportato la distruzione delle vecchie logge che i pellegrini erano soliti usare anche per la loro sosta in attesa di andare a venerare la Vergine; era necessario procedere alla definizione di nuovi ambiti adatti al rinnovato spazio e al mutato linguaggio architettonico. L’aumento dei laici che prestavano la loro attività nella complessa organizzazione della casa e dei religiosi, tra chierici diocesani e frati presenti nel santuario, determinò un’impellente necessità di rivedere gli spazi dell’accoglienza in maniera radicale.

Giulio II inviò Bramante a Loreto con l’incarico di «far ivi cose magne» per onorare la Vergine Maria; l’architetto si occupò anche dell’impianto generale del Palazzo Maggiore progettando un edificio che potesse assolvere alla funzione di santuario, fortezza, ospizio e abitazione.67 Non appena alcune stanze del nuovo Palazzo Maggiore furono pronte i governatori della Santa Casa iniziarono ad ospitare gratuitamente cardinali e vescovi tanto che nel 1514 Leone X si sentì in dovere di intervenire per limitarne l’abitudine.68 Il palazzo comprendeva anche alloggi di servizio, una grande cantina, i granai, una serie di botteghe.69

La visita apostolica di Marcello Pignatelli del 162070 definì le regole dell’ospi-talità all’interno del borgo del santuario, sia nel Palazzo Apostolico sia nelle comuni locande, rivedendo alcune delle consuetudini più diffuse: si stabilisce l’alloggiamen-to a titolo gratuito per i cardinali, con opportune differenziazioni tra un cardinale principe e uno ordinario, i principi, i nunzi apostolici, i governatori della provincia della Marca, gli ambasciatori e i cavalieri di rango. Alcuni di questi ringraziavano dell’ospitalità nel Palazzo lasciando considerevoli somme in elemosina. Il governa-

65. L. Gianfranceschi, Storia della devozione e dei pellegrinaggi a Loreto, secc. XIV-XV, Bahia 1954, p. 110.

66. Sul Palazzo Apostolico S. Borsi, Loreto, in F. Borsi, Bramante, Milano 1989, pp. 316-321; E. Renzulli, Il Palazzo Apostolico e la definizione della piazza di Loreto tra Quattro e Cin-quecento, in Patrimoni e trasformazioni urbane, II congresso AISU (Roma, 24-26 giugno 2004), www.storiaurbana.it, e F. Grimaldi, Loreto. Palazzo Apostolico, Bologna 1977.

67. Bruschi, Loreto: città santuario e cantiere artistico, pp. 441-470. Sul progetto della chiesa di Loreto, F. P. Fiore, Introduzione, in F. P. Fiore, Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento, Milano, 1998, pp. 27-28.

68. ASCL, Bollario Lauretano, c. 72. L. Serra, Sopravvivenze gotiche nell’architettura del Quattrocento: la basilica di Loreto, in «Rassegna Marchigiana», XI (1933), pp. 405-410. F. Quin-terio, Dal santuario alla fortezza: il completamento della Santa Casa di Loreto, in Giuliano e la Bottega dei Maiano, Firenze 1994, pp. 28-44. Ancora sui cantieri della prima età moderna E. Ren-zulli, La crociera e la facciata di Santa Maria di Loreto: problemi di ridefinizione, in «Annali di Architettura», 15 (2003), pp. 89-106, con relativa bibliografia.

69. E. Renzulli, Pellegrini, pellegrinaggi e santuari cristiani, in Il Rinascimento italiano e l’Europa. Luoghi, spazi, architetture, a cura di D. Calabi, E. Svalduz, Vicenza 2010, pp. 696-700.

70. ASCL, Relazione della Santa Casa, 1620.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 149

tore della Santa Casa riceveva gli ospiti nell’appartamento dei principi, detto anche foresteria, nell’angolo nord-ovest del palazzo, composto da varie stanze poste nelle ali dell’edificio al piano nobile o del mezzanino del fabbricato (fig. 10).

Nel borgo di Loreto fin dalla prima metà del XV si aprirono locande e osterie da parte di privati per far fronte al numero crescente di richieste di alloggio e di ristoro da parte dei pellegrini e dei viaggiatori. Il comune di Recanati nello stesso periodo fece fronte all’esigenza di regimentare queste attività emanando regola-menti affinché gli ospiti non venissero defraudati e stabilì nuovi dazi e gabelle come introito per le casse comunali. Per le esigenze dei più poveri l’accoglienza era garantita dalle strutture delle confraternite di Santa Lucia e di San Giacomo e da un’osteria aperta da parte dello stesso rettore del santuario, che avrebbe voluto amministrarla senza pagare le dovute imposte per non gravare sui pellegrini più umili. I priori di Recanati ricorsero al cardinale Girolamo Basso Della Rovere per far sospendere l’attività e chiudere l’osteria.71

A partire dalla seconda metà del XV secolo, gli atti notarili registrano i nomi degli osti e dei gestori delle locande; le provenienze erano varie, dall’Italia come dalla sponda orientale dell’Adriatico. Il primo oste ad essere documentato nel set-tembre 1448 è Giovanni del Regno.72 Gli inventari documentano anche gli arredi interni delle locande; il locale di Alessio Borella era costituito da una unica stanza con diversi letti usati anche da più persone in contemporanea.73 Il suo albergo prevedeva 29 letti con coperte, lenzuola e cuscini; nelle occasioni di particolare affluenza gli ospiti erano sistemati su pagliericci posti direttamente sopra al pavi-mento. Per i clienti che potevano permettersi di pagare di più la sistemazione pre-vista era migliore, in camere con pavimenti ricoperti di tappeti, con mobili come il «bando da scrivere», varie credenze e scansie per la biancheria, o in camere con i letti con il «sopracielo» e la spalliera ornata dall’arme del proprietario, materassi più soffici e coperte lussuose. Il pasto doveva essere offerto agli ospiti accomoda-ti sopra «banchetti da sedere» in cucina, dove veniva predisposto il cibo in piatti, taglieri e scodelle sopra ad un «tavolone per apparecchiare».74

L’ordine e la pulizia dei locali sembra essere il maggiore dei problemi riscon-trati dagli avventori nel corso del XVI secolo. Michel Eyquem de Montaigne nel 1581 sottolineava:

Non ci sono quasi altri abitanti che quelli necessari ai vari servizi di questo luogo di pellegrinaggio, come parecchi osti, però le locande sono parecchio cattive e molti mercanti, per esempio venditori di cera, d’immagini, di rosari, d’Agnus Dei, di Re-dentori e simili, con numerose belle botteghe riccamente fornite.75

71. Grimaldi, Sordi, La villa di Santa Maria di Loreto, p. 60.72. Grimaldi, Pellegrini e pellegrinaggi, p. 167.73. M. Moroni, Il primo catasto recanatese dell’età moderna, in «Il Casanostra», 112-113

(1979-1980), pp.133-139.74. Inventario dei beni di Alessio Borella, bergamasco e ospitatore nel castello di Loreto,

presi in consegna dalla moglie Costanza, tutrice dei figli Nicodemo, Berto, Marta e Daria. ASCL, Confraternita Sacramento, Pergamene, 1542 agosto 28. Edito da Grimaldi, Sordi, La villa di Santa Maria di Loreto, pp. 382-386.

75. M. Eyquem de Montaigne, Viaggio in Italia, Bari 1972, p. 228.

Silvia Beltramo150

Varie disposizioni papali e numerosi bandi hanno regolato nel tempo le lo-cande e le osterie oltre al rifornimento necessario per il sostentamento dei pel-legrini. A partire da Giulio II i pellegrini e i gestori delle attività legate alla loro accoglienza potevano raggiungere Loreto senza pagare dazi o gabelle per il vino, il pane o per altro necessario per la loro permanenza a Loreto, intervenendo in maniera drastica sulle comunità che non rispettavano queste disposizioni.76 Le locande e le osterie dovevano essere tenute ben ordinate e pulite, imbiancate di frequente al fine di togliere scritte o disegni lasciati dagli avventori sulle pareti. Non potevano avere come insegna una immagine sacra. I locandieri dovevano segnalare i letti di cui disponevano e ogni sera consegnare la lista degli ospiti per l’identificazione degli sconosciuti per controllare eventuali persone sospette o non gradite. Prima di accoglierli i locandieri erano tenuti a richiedere loro la ««fede» rilasciata dal luogo di partenza del pellegrinaggio e nei periodi di peste, anche il «bollettino di sanità». Nella relazione di monsignor Pignatelli si stabili-sce anche il divieto di dare ospitalità alle cortigiane nelle locande e di giocare a carte o dadi nelle camere e nelle osterie.77 I pellegrini dovevano essere ben trat-tati, non defraudati, nel pagamento del conto preparato secondo i prezzi indicati nelle tavolette esposte alla pubblica vista. Il prezziario veniva fissato di frequente fin nei dettagli sia per mangiare «a conto», su ordinazione, sia «a pasto» secon-do la lista delle vivande giornaliere. Veniva regolamentato anche il trasporto dei forestieri da un luogo a un altro. Agli osti e ai coronari era vietato andare per la strada a prendere i forestieri per la cappa e i vestiti, o infastidirli tirando le briglie dei cavalli o chiamarli ad alta voce per la strada al fine di condurli nella propria bottega. Per maggiore sicurezza e quiete, gli osti e gli albergatori dovevano subito prendere in consegna i bagagli dei loro ospiti per evitare furti.78

Nonostante i decreti emanati il problema della pulizia e in generale della buona accoglienza degli avventori sembra caratterizzare tutti i secoli dell’età mo-derna; sono numerosi i resoconti di viaggio nei quali gli ospiti si lamentano del trattamento ricevuto nelle osterie e locande di Loreto. La poetessa inglese Anna Riggs Miller, in occasione del suo viaggio a Loreto nel 1771 scrive:

la locanda in cui siamo scesi è ordinaria e sporca. Ci hanno servito sui più sudici piatti di peltro che abbia mai visto e ci hanno dato posate unte di grasso. La cena consisteva in pesce stantio imbevuto di sugo e aglio, con contorno di cavolo. Era talmente stomachevole che ci siamo rifatti con un po’ di pane e cacio.79

Maggiormente fortunato fu Johann Caspar Goethe che in visita a Loreto nel 1740 scrisse a proposito della locanda nella quale fu ospitato:

76. ASCL, Istromenti 3, 1511-1538, c. 154; cc. 173-175; Pergamene 119; 129; 130; 135.77. ASCL, Relazione della Santa Casa, 1620, c. 3.78. Il governatore della Santa Casa e città di Loreto, Ottavio Orsini, nel 1618 emanò precise

e dettagliate norme in merito all’accoglienza dei pellegrini. ASCL, Relazione della Santa Casa, 1620, cc. 157-158.

79. A. Brilli, Loreto e l’Europa. La città «felice» negli itinerari dei viaggiatori stranieri, Loreto 1996, p. 86.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 151

fui in casa di Bartol Cleri, mercante di corone, all’insegna del Corallo, con camere ben apparecchiate per alloggiare. Perdei qui il disgusto per i cibi preparati con olio, mentre ne mangiai alcuni pesci, senza accorgermene. E si può argomentare fra l’al-tro del pasto magnifico e della politezza delle camere e locande, che Loreto è uno dei principali e più frequentabili luoghi della Cristianità cattolica.80

80. Ivi, p.79. M. Moroni, Dal pellegrinaggio al turismo religioso. Loreto tra XV e XX secolo, in P. Battilani, D. Strangio, Il turismo e le città tra XVIII e XXI secolo. Italia e Spagna a confronto, Milano 2007.

Silvia Beltramo152

1. Vicoforte. Santuario di Regina Montis Regalis.

2. Vicoforte. Progetti di Ascanio Vitozzi [1596-97], Biblioteca Nazionale di Torino, Manoscritti e rari, raccolta Tesauro, RIS 59.24, ff. 32v-33, in Beltramo, Le botteghe, p. 263.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 153

3. Oropa. Il Sacro Monte e il santuario di Oropa alla metà del XVII secolo, in Historia della Madonna Santissima d’Oropa ne’ monti della città di Biella nel Piemonte dedicata a S.A.R. Anna Bourbon d’Orleans duchessa di Savoia, Biella 1684.

4. Oropa. Gli edifici dell’osteria e dei Disciplini rappresentati durante la processione delle comunità di Perlo e Lilliane nel 1685. Quadro votivo, Museo del Santuario di Oropa.

Silvia Beltramo154

5. Tirano. Antonio Caimi, La fiera di Tirano, olio su tela, 1860, Milano, collezione Luigi Caccia Dominioni, in Ubi steterunt pedes Mariae, p. 193.

L’ospitalità religiosa nei santuari italiani tra medioevo ed età moderna 155

6. Tirano. Tirano murata con il castello di Santa Maria, XVII secolo, disegno su carta, Milano, Biblioteca Trivulziana, fondo Belgioioso, in Ubi steterunt pedes Mariae, p. 48.

7. Loreto. Francisco de Hollanda, Veduta di Loreto nel 1539, particolare con la facciata del Palazzo Apostolico non finito e della basilica. Madrid, Patrimonio Nacional, Antigualhas, f. 15, in Orsi, Bramante, p. 321.

Silvia Beltramo156

8. Loreto. Anonimo francese, Église de Notre Dame a Lorette, et Maison des Pelerins, inizio sec. XVII, in Renzulli, Pellegrini, pellegrinaggi, p. 820.