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L ESSICO I NTELLETTUALE E UROPEO DAVIDE POGGI LOST AND FOUND IN TRANSLATION ? LA GNOSEOLOGIA DELL’ ESSAY LOCKIANO NELLA TRADUZIONE FRANCESE DI PIERRE COSTE LEO S. OLSCHKI EDITORE 2012

Lost and Found in Translation? La gnoseologia dell'Essay lockiano nella traduzione francese di Pierre Coste

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LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO

DAVIDE POGGI

LOST AND FOUNDIN TRANSLATION ?

LA GNOSEOLOGIA DELL’ESSAY LOCKIANO NELLA TRADUZIONE FRANCESE

DI PIERRE COSTE

LEO S. OLSCHKI EDITORE2012

Volume stampato con il contributo del Centro per le Corrispondenze Letterarie, Scientifiche ed Erudite dal Rinascimento all’Età Moderna

2012 © Copyright Istituto per il Lessico Intellettuale Europeoe Storia delle Idee (CNR, Roma) e Leo S. Olschki Editore, Firenze

ISBN 978 88 222 6157 1

INDICE

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1

a) Le credenziali di Coste: cenni biografici e storia di un “for-tunato” incontro . . . . . . . . . . . . . » 9

b) L’Essai e la sua prima circolazione all’alba del XVIII se-colo . . . . . . . . . . . . . . . . . » 21

I. ENTENDEMENT, ESPRIT, IDÉE . . . . . . . . . . . » 29

a) Entendement, esprit, âme . . . . . . . . . . » 30

b) Ideas e idées . . . . . . . . . . . . . . » 65

II. CONSCIOUSNESS E SELF-CONSCIOUSNESS: LA CRUX DESPERATIONIS

DI COSTE . . . . . . . . . . . . . . . . . » 91

a) Significato e ruolo di consciousness e self-consciousness nell’ Essay lockiano . . . . . . . . . . . . » 92

b) Coste e il consciousness: convinzione interna, sentimen-to interno o sapere condiviso? . . . . . . . . . » 113

1. Conviction e persuasion: consciousness come convin-zione/persuasione interna . . . . . . . . . » 117

2. Sentiment intérieur: consciousness come sentimento/sentire interno . . . . . . . . . . . . . » 126

3. Con-science: consciousness come con-scienza . . . » 139

III. PERCEPTION, RÉFLEXION E ABSTRACTION: ANALISI DELLE FUNZIONI

COGNITIVE UMANE . . . . . . . . . . . . . . » 161

a) Intuitive knowledge: connoissance intuïtive e connois-sance de simple vue . . . . . . . . . . . . » 162

IndiceVIII

b) Perception . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 177

1. De-ontologizzazione del concetto di perception/idea come affezione . . . . . . . . . . . . . » 179

2. Perception-to perceive e (ap)perception-(s’)apperce-voir: l’evoluzione di una funzione cognitiva racchiusanella storia di un verbo . . . . . . . . . . » 189

c) Perception ed experience: l’origine dei contenuti psichici . » 205

1. Sensation e reflection: internal sense/sensation o in-ward perception? . . . . . . . . . . . . » 212

2. Reflection: unnoticed Vs. unreflected. L’importanza del discerning . . . . . . . . . . . . . » 224

3. Abstraction: Coste di fronte alla dis-individuazione e al sorting . . . . . . . . . . . . . . . » 230

CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . » 259

APPENDICI

I. Uneasiness e inquiétude. Ridefinizione psicologica di un concetto agostiniano . . . . . . . . . . . . » 263

II. Alcune censure e incomprensioni teologiche nell’ Essai . » 273 III. Un’inaspettata difesa del cartesianismo . . . . . . » 283

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . » 291

INDICE DEI NOMI . . . . . . . . . . . . . . . . » 313

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so) 161 e la critica alla spontanea tendenza esternocentrica della conoscenza degli uomini (base della filosofia naturale/sperimentale empiristica) in quanto causa dell’ignoranza in cui molti rimangono circa la conoscenza delle ope-razioni della propria mente:

Children, when they come first into it, are surrounded with a world of new things, which, by a constant solicitation of their senses, draw the mind constantly to them, forward to take notice of new, and apt to be delighted with the variety of changing Objects. Thus the first Years are usually imploy’d and diverted in looking abroad. Men’s Business in them is to acquaint themselves with what is to be found without; and so growing up in a constant attention to outward Sensations, seldom make any considerable Reflection on what passes within them [corsivo nostro], till they come to be of riper Years; and some scarce ever at all.162

1. Sensation e reflection: internal sense/sensation o inward perception?

Come è già in parte emerso nell’analisi del decoupling di perception e sensation, il richiamo all’esperienza come observation dell’immediato con-tenuto del mind non si traduce affatto, agli occhi di Locke, in un annulla-mento della distinzione in seno alle ideas in relazione alle loro fonti: la non perfetta equivalenza di percezione e sensazione lascia infatti scoperta un’area di conoscenza “altra”, quella della reflection.

Certo, gli indizi in merito alla natura della riflessione sono numericamen-te inferiori rispetto a quelli relativi al senso esterno e spesso ambigui: 163 tut-tavia ritengo che per capire il significato della reflection lockiana e la natura del processo percettivo-riflessivo non sia necessario violare il testo dell’Es-say, compiendo cioè un lavoro di comprensione-ricostruzione che debordi inevitabilmente dalle parole del filosofo mediante l’introduzione di partico-lari non sempre testualmente fondati.164

Si tratta innanzitutto di comprendere la distinzione (che il pensatore inglese non manca mai di ribadire) tra i dati offerti dalla sensation e quelli provenienti dalla reflection, distinzione che, in ultima analisi, verte sull’og-getto che viene conosciuto.165 Questa è la prima presentazione che se ne ha all’interno del Second Book dell’Essay:

161 LOCKE, Essay, cit., IV, 21, 2, p. 720.162 Ivi, II, 1, 8, pp. 107-108.163 Cfr. ivi, II, 1, 5, p. 106.164 Come pretenderebbe invece Scharp: cfr. SCHARP, Locke’s Theory of Reflection, cit., p. 44.165 Giacinta Spinosa sottolinea come per Locke «l’esperienza consiste […] non solo nella

sensazione, ma anche nella riflessione; consiste cioè sia nell’osservazione degli oggetti esterni dei sensi, sia nell’osservazione delle operazioni interne della mente. […] Questa è una facoltà intel-

III. Perception, réflexion e abstraction 213

The other Fountain, from which Experience furnisheth the Understanding with Ideas, is the Perception of the Operations of our own Minds within us, as it is employ’d about the Ideas it has got; which Operations, when the Soul comes to reflect on, and consider, do furnish the Understanding with another set of Ideas, which could not be had from things without [corsivo nostro]: and such are, Perception, Think-ing, Doubting, Believing, Reasoning, Knowing, Willing, and all the different actings of our own Minds; which we being conscious of, and observing in our selves, do from these receive into our Understandings, as distinct Ideas, as we do from Bod-ies affecting our Senses.166

Giustamente Scharp, richiamando l’attenzione sulla comune natura percet-tiva di sensazione e riflessione, osserva:

If reflection occurs when the mind “turns inward”, then reflection is the same ac-tivity as the mind “turned outward”, except that the object of the mind’s view is different in each case. […] Thus, sensation and reflection are two types of percep-tion, the activity that gives rise to perceptions. […] They are distinguished not by being different activities, but by the target of the activity. Sensation is the percep-tual process that creates ideas of external objects, while reflection is the perceptu-al process that creates ideas of mental operations.167

Ora, se l’affermazione dell’originalità e dell’originarietà dei contenuti forni-ti al mind dalla riflessione rispetto a quelli sensitivi non consente di inclu-dere il pensiero di Locke all’interno di un approccio sensistico definibile come immediato o ingenuo (secondo il quale la negazione dell’eterogenei-tà delle due funzioni cognitive è ottenuta mostrando la provenienza di tutti i dati di coscienza dai sensi esterni),168 non si può nemmeno scorgere nelle tesi dell’Essay la presenza di un sensismo mediato o maturo. Con quest’ulti-mo termine intendo una forma di riduzionismo che mira allo schiacciamen-to della riflessione sul piano della sensazione meno palesemente, mediante la concezione della riflessione come originale rispetto al senso esterno, ma

lettuale» (G. SPINOSA, ∫Empeiría/Experientia. Modelli di “prova”, in VENEZIANI (ed.), Experientia, cit., pp. 186-187 e, in generale, 185-188).

166 LOCKE, Essay, cit., II, 1, 4, p. 105.167 SCHARP, Locke’s Theory of Reflection, cit., pp. 33-34.168 La presentazione della filosofia di Locke fatta da Voltaire nelle Lettres philosophiques pare

andare in questa direzione: «Loke [sic] après avoir ruiné les idées innées, après avoir bien renoncé à la vanité de croire qu’on pense toujours, établit que toutes nos idées nous viennent par les sens [corsivo nostro], examine nos idées simples & celles qui sont composées, suit l’esprit de l’homme dans toutes ses opérations [corsivo nostro]» (VOLTAIRE, Lettres philosophiques, cit., I, Lettre XIII, pp. 169-170). Certo, nell’ultima proposizione si parla di opérations de l’esprit (come oggetto di esame da parte di Locke), ma la semplificazione compiuta da Voltaire circa l’origine sperimentale dei contenuti psichici (nos idées nous viennent par les sens) non rende certo giustizia alla distin-zione lockiana di sensation e reflection come fonti distinte di idee altrettanto eterogenee.

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non sui generis, ossia come una speciale tipologia di sensazione (diversa per oggetto, ma non per il proprio funzionamento).

Questa precisazione è tanto importante, quanto urgente, giacché Locke pone il lettore di fronte a un elemento caratterizzato da una certa ambigui-tà e, così facendo, pare esporsi a una tale interpretazione sensistica: si tratta dell’accostamento di sensazione e riflessione, della posizione di un’analogia tra le due fountains della conoscenza che porta Locke a utilizzare l’espres-sione internal sense. Questo è il passo incriminato:

This Source of Ideas, every Man has wholly in himself: And though it be not Sense, as having nothing to do with external Objects; yet it is very like it, and might prop-erly enough be call’d internal Sense [corsivo nostro]. But as I call the other Sensa-tion, so I call this REFLECTION, the Ideas it affords being such only, as the Mind gets by reflecting on its own Operations within it self.169

Benché Locke stesso includa nelle operations della mente anche pleasure o delight e pain o uneasiness, la riflessione non va confusa con una sorta di sentire interiore, assumendo tale interiorità nella sua accezione spaziale, os-sia riguardante ciò che non è esterno al corpo del soggetto (external come extra-corporeal), ma è interno ad esso (internal come intra-corporeal). Non si tratta cioè di un senso di carattere cenestesico: l’interiorità cui Locke fa rife-rimento va intesa nel senso di “intimità”, di intrinseca ed esclusiva apparte-nenza al mind.170 Come il filosofo inglese evidenzia, quando la mente «turns

169 LOCKE, Essay, cit., II, 1, 4, p. 105.170 Il fatto che l’aggettivo internal, tranne nelle poche occasioni in cui è associato a sense o

sensation (cfr. ivi, II, 1, 4, p. 105; II, 11, 17, p. 162; II, 20, 3, p. 230), sia nella quasi totalità dei casi riferito a termini come constitution, frame, essence, structure, substantial form e indichi l’inti-ma costituzione delle cose (“intima” in quanto profonda e intrinseca) è da considerarsi come una prova a favore della lettura da me avanzata circa il significato dell’aggettivo internal riferito a sen-se/sensation e operations. Come esempio di tale prassi lockiana, si consideri il seguente passo: «Es-sence may be taken for the very being of any thing, whereby it is, what it is. And thus the real internal, but generally in Substances, unknown Constitution of Things, whereon their discovera-ble Qualities depend, may be called their Essence. This is the proper original signification of the Word, as is evident from the formation of it; Essentia, in its primary notation signifying properly Being» (ivi, III, 3, 15, p. 417). La traduzione fornita da Coste è, a mio avviso, alquanto interessan-te: «L’Essence peut se prendre pour la propre existence de chaque chose. Et ainsi dans les Substan-ces en général, la constitution réelle, intérieure & inconnue des choses, d’où dépendent les qualités qu’on y peut découvrir, peut être appellée leur essence. C’est la propre & originaire signification de ce mot, comme il paroît par sa formation, le terme d’Essence signifiant proprement l’Etre, dans sa premiére dénotation» (ID., Essai, cit., III, 3, 15, p. 334). In nota a margine, legata a être, Coste precisa: «Ab esse Essentia». Quello che emerge dal confronto tra le due versioni è, per prima cosa, l’assenza della parte finale della prima proposizione, whereby it is, what it is (che Vienne, invece, giustamente traduce con «par laquelle il est ce qu’il est»: LOCKE, Essai, tr. par Vienne, cit., vol. III, p. 61). Secondariamente non può passare inosservato l’utilizzo che Coste fa di existence per tradur-re l’espressione lockiana the very being: proprio nell’assenza della precisazione lockiana (che fa ri-ferimento al nesso esse-essentia della formula scolastica, di matrice aristotelica, quod quid erat esse,

III. Perception, réflexion e abstraction 215

its view inward upon it self»,171 ha presente non solo i contenuti che costi-tuiscono delle zone di intersezione della dimensione fisica e mentale (come la coppia piacere-dolore quando essa è localizzata all’interno della superfi-cie del proprio corpo), ma anche le funzioni cognitive e volitive e ciò non potrebbe accadere se la riflessione fosse solo una percezione legata a orga-ni di senso interni al corpo del soggetto e alle loro condizioni (che poi la stessa concezione di piacere e dolore in Locke non sia legata alla sola cor-poreità e all’ambito della cenestesi è indicato dal fatto che il pensatore con-sidera tali contenuti essenzialmente come percezioni che possono accompa-gnare le sensations e i thoughts e sono “modi di essere” del mind ).

È quindi possibile affermare che, laddove Locke scrive che la reflection è very like sensation e la definisce in termini di internal sense, non inten-de porre un paragone stringente e usare una terminologia tecnica. Nel ven-tesimo capitolo del Second Book mostrerà, in proposito, una certa cautela nell’uso dell’espressione “sensazioni interne”, scrivendo:

Pleasure and Pain, and that which causes them, Good and Evil, are the hinges on which our Passions turn: and if we reflect on our selves, and observe how these, un-der various Considerations, operate in us; what Modifications or Tempers of Mind, what internal Sensations, (if I may so call them,) [corsivo nostro] they produce in us, we may thence form to our selves the Ideas of our Passions.172

Né la reflection potrebbe essere considerata un “senso”, perché il suo fun-zionamento non è affatto speculare a quello della sensation o outward per-ception e distinto da quest’ultima dalla sola presenza della volontà e dal to have nothing to do with external Objects. Se la riflessione fosse un sense pro-priamente detto, ossia un analogo del senso esterno, alla mediatezza inten-zionale di quest’ultimo dovrebbe corrispondere quella del senso interno.173

seppur in una rilettura fisica della real constitution of things), nella traduzione di Coste si perde la complessità ontologica del verbo être e il ricorso al sostantivo existence finisce addirittura per esse-re fuorviante, giacché pare annullare la distinzione tra la dimensione esistenziale e quella essenzia-le degli enti. Quanto alla nota a margine aggiunta da Coste, essa coglie invece le basi del discorso lockiano in merito alla derivazione etimologica di essentia da esse (che il pensatore inglese rende con being): il riferimento, lasciato implicito, è infatti al De Trinitate di Agostino: «Sicut […] ab eo quo est scire dicta est scientia, ita ab eo quo est esse dicta est essentia» (AUG. De Trin. V c. 2 n. 3: PL 42, 912). Cfr. in merito anche AUG. De Civ. Dei XII, 2: NBA V/2). Il corpus degli scritti agosti-niani è consultabile online sul sito www.augustinus.it/. L’espressione si trova anche in Quintiliano (Instit. 2, 14, 2), Seneca (Ep. 58, 6) e Tertulliano (Apol. 21; Adv. Prax. 2, 26).

171 Cfr. ivi, II, 6, 1, p. 127.172 Cfr. ivi, II, 20, 3, pp. 229-230. Circa le oscillazioni terminologiche in merito ai contenu-

ti di piacere e dolore, rimando alla prima Appendice del presente lavoro. 173 A tale esito pare invece giungere Scharp con la tesi delle mental impressions come me-

dium cognitivo-percettivo delle operations della mente: cfr. SCHARP, Locke’s Theory of Reflection, cit., pp. 40-42.

Lost and Found in Translation?216

Al contrario, cifra della reflection è la diretta intenzionalità, che non ap-partiene alla sensazione e alle idee sensitive (le quali sono signs degli other things without the subject). Ora, occorre comprendere in maniera adeguata tale diretta intenzionalità, poiché, in caso contrario, essa finirebbe per co-stituire una grave anomalia rispetto alla tesi per cui le idee sono l’unico og-getto immediato della nostra conoscenza: 174 come è stato messo in risalto da Gibson,175 Ayers 176 e, in tempi più recenti, da Martha Brandt Bolton,177 la conoscenza riflessiva che il mind ha di se stesso, rivolgendo l’attenzione alle proprie operazioni occasionate dalle sensazioni ed esercitate sulle idee provenienti da tali sensazioni, è di natura introspettiva. La mente ha cioè una conoscenza immediata delle proprie operations.

Il che trova riscontro testuale nel Fourth Book dell’Essay, laddove Locke, presentando la suddivisione delle scienze, osserva:

Since the Things, the Mind contemplates are none of them, besides it self, present to the Understanding, ’tis necessary that something else, as a Sign or Representa-tion of the thing it considers, should be present to it: And these are Ideas.178

La tesi della natura introspettiva della conoscenza riflessiva, lungi dall’esse-re in contraddizione con il pensiero lockiano, si mostra pienamente coeren-te con esso: è infatti da evidenziare, come fa Gibson, che, se non vi fosse intenzionalità diretta nella reflection, il soggetto non conoscerebbe intuiti-vamente la propria esistenza, bensì la deriverebbe come accade per la co-noscenza sensitiva.179

L’apparente contrasto con la tesi che Locke eredita da Arnauld e da Ma lebranche, tesi secondo cui l’unica realtà con cui la mente è in imme-diato rapporto è quella delle idee, si chiarisce considerando che queste ulti-me vanno intese come tutto ciò che si dà alla mente ed è ad essa manifesto, una definizione sotto la quale rientra anche la mente stessa con le proprie operations, giacché il soggetto è immancabilmente e necessariamente pre-sente a se stesso in ogni sua operazione (in quanto auto-trasparente) e può sia portare l’attenzione su se stesso (divenendo oggetto di percezione: è la riflessione), sia ri-tornare retrospettivamente e riflessivamente su ciò che è

174 Cfr. LOCKE, Essay, cit., II, 8, 8, p. 134.175 GIBSON, Locke’s Theory of Knowledge, cit., pp. 55-57.176 M. BRANDT BOLTON, The Taxonomy of Ideas in Locke’s Essay, in NEWMAN (ed.), The Cam-

bridge Companion to Locke’s “Essay concerning Human Understanding”, cit., pp. 85-86.177 AYERS, Locke. Volume II: Ontology, cit., pp. 260, 266-267.178 LOCKE, Essay, cit., IV, 21, 4, pp. 720-721.179 Cfr. GIBSON, Locke’s Theory of Knowledge, cit., p. 57. Cfr. LOCKE, Essay, cit., IV, 9, 3, pp.

618-619; IV, 11, 1-9, pp. 630-636.

III. Perception, réflexion e abstraction 217

stato compiuto e percepirlo in modo chiaro e distinto (come nel caso degli unnoticed judgments della “questione Molyneux”).

Del fatto che la reflection non sia considerata da Locke un senso al pari del senso esterno può inoltre costituire non certo una prova, bensì un in-dizio il passo dell’Essay in cui si parla delle difficoltà incontrate dal mind nell’atto del riflettere sulle proprie operations. Esso costituisce infatti, a mio avviso, una ripresa di un luogo dei Principia di Descartes in cui il pensato-re francese illustra una delle principali cause degli errori umani:

Praeterea mens nostra non sine aliquâ difficultate ac defatigatione potest ad ullas res attendere; omniumque difficillimè ad illa attendit, quae nec sensibus, nec qui-dem imaginationi praesentia sunt: sive quia talem, ex eo quòd corpori conjuncta sit, habet naturam; sive quia in primis annis, cùm tantùm circa sensus & imagi-nationes occuparetur, majorem de ipsis quàm de caeteris rebus cogitandi usum & facilitatem acquisivit. Hinc autem fit, ut jam multi nullam substantiam intelligant, nisi imaginabilem, & corpoream, & etiam sensibilem. […] Et quia revera nullam rem, qualis ipsa est, sensu solo percipimus […], hinc accidit, ut plerique in totâ vitâ nihil nisi confusè percipiant.180

Si noti il parallelismo tra quanto sostenuto da Descartes e ciò che scrive-rà Locke: entrambi propongono il ritratto di un uomo che, specialmente in età infantile, è catturato (dal punto di vista dell’interesse e dell’oggetto della propria attenzione) dai sensi esterni e dall’immaginazione e, per que-sto, rischia di rimanere incapace di concentrarsi su quanto è sovra-sensiti-vo. Ancora, come per Descartes ciò comporta il fatto che molti non creda-no all’esistenza di sostanze a-corporee, così anche Locke lascia intendere che colui che cresce senza mai svincolarsi dai sensi esterni, incapace cioè di ri-flessione, non giungerà mai a formarsi l’idea di mind, soul o spirit (essendo tali idee ricavate dai materiali forniti dall’inward perception).

Ciò posto è ragionevole concludere che, con l’espressione internal sen-se, Locke intende piuttosto evidenziare che, analogamente al senso esterno propriamente detto (ossia la sensazione o outward perception), la riflessio-ne è anch’essa perception, ossia un passivo “aver presente e manifesto” dei dati concreti e individuali (intepretazione empirica e non empiristica del senso interno), prendendo in tal modo le distanze da quella cartesiana sui ipsius contemplatio reflexa che era stata oggetto di trattazione già nelle Re-gulae ad Directionem Ingenii e vede la propria espressione più matura nel-le Meditationes.

Nelle Regulae, dopo aver individuato nell’experientia uno dei mezzi (ac-canto alla deductio o illatio) in possesso dell’uomo per giungere alla cono-

180 DESCARTES, Principia Philosophiae, cit., I, 73, p. 37.

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scenza della realtà (in senso lato), Descartes aveva immediatamente sotto-lineato l’eterogeneità delle fonti da cui l’intellectus/mens attinge i propri contenuti:

Experimur quidquid sensu percipimus, quidquid ex alijs audimus, & generaliter quaecumque ad intellectum nostrum, vel aliunde perveniunt, vel ex suî ipsius con-templatione reflexâ [corsivo nostro].181

Ora, se la ricerca di un criterio di certezza e verità porta a escludere l’espe-rienza sensitiva e quella fondata sulla storia o sull’opinione altrui, è proprio nell’immediato intuitus, puramente intellettivo, che si ottiene una conoscen-za certa e vera perché offre un’immediata vista dell’oggetto che la mens tro-va in sé senza ricorrere ai sensi (le naturae simplices). Due sono gli aspetti che convivono nell’intuitus cartesiano, ossia l’immediatezza cognitiva (che è ciò che Locke, nella concezione di intuitive knowledge, fa proprio del di-scorso di Descartes) e l’autarchia della mente rispetto a tutto ciò che è cor-poreo. Citando dalle Regulae:

Per intuitum intelligo […] mentis purae & attentae non dubium conceptum, qui à solâ rationis luce nascitur, & ipsâmet deductione certior est.182

Una concezione della sui ipsius contemplatio reflexa che, come preceden-temente anticipato, vede nel cogito delle Meditationes il proprio pieno svi-luppo: anche nelle Meditazioni è infatti nell’immediatezza introspettiva del-la mentis inspectio che vengono individuate quelle ideae innatae (esistenza dell’ego in quanto cogitans, idea di Dio, nozioni e principi di carattere logi-co-matematico) su cui si fonda ogni certezza circa la conoscenza del mon-do. All’interno della Sexta Meditatio Descartes osserva:

Mens, dum intelligit, se ad seipsam quodammodo convertat [corsivo nostro], respi-ciatque aliquam ex ideis quae illi ipsi insunt.183

Passaggio che, nella versione francese, diviene:

L’esprit en conceuant se tourne en quelque façon vers soy-mesme [corsivo nostro], & considere quelqu’vne des idées qu’il a en soy.184

Se Locke afferma espressamente che la riflessione non ha nulla a che fare con gli oggetti dei sensi esterni (analogamente all’intuitus che è puramente

181 DESCARTES, Regulae, cit., Regula XII, pp. 422-423.182 Ivi, Regula III, p. 368.183 DESCARTES, Meditationes, cit., p. 73.184 DESCARTES, Meditations, cit., p. 58.

III. Perception, réflexion e abstraction 219

sovra-sensitivo e anti-sensitivo), egli è tuttavia altrettanto risoluto nel nega-re che i contenuti da essa forniti vadano oltre le operations del mind, inclu-dendo qualcosa che si avvicini alle naturae simplices che Descartes definiva pure intellectuales (e in cui includeva proprio le operazioni della mens per-tinenti la cognitio, il dubium e l’ignorantia) e nel sostenere la pari dignità di ambedue le fonti della conoscenza.

Un rifiuto che si compie riprendendo in più occasioni dell’Essay, qua-si alla lettera, la terminologia cartesiana: l’espressione to turn inward 185 del mind è infatti l’esatto calco del se ad seipsum convertere/se tourner vers soy-mesme di Descartes, un gioco di citazioni e rimandi polemici che Coste ri-spetta solo in un’occasione (esprimendo persino una certa titubanza di fron-te all’espressione inglese) e mostra invece di prediligere il termine tecnico réfléchir sur soi-même per tradurre la perifrasi metaforica to turn inward. Laddove Locke parla della necessità di uno sforzo attenzionale affinché l’in-telletto, affascinato e assorbito dalla contemplazione del mondo esterno, ri-fletta sulle proprie operazioni psichiche, Coste scrive infatti:

Quoique ces opérations soient continuellement excitées dans l’ame, elles n’y pa-roissent que comme des visions flottantes, & n’y font pas d’assez fortes impres-sions pour en laisser dans l’ame des idées claires, distinctes & durables, jusqu’à ce que l’Entendement vienne à se replier, pour ainsi dire, sur soi-même [corsivo nos-tro; in inglese: the Understanding turns inwards upon it self; l’inciso pour ainsi dire è aggiunto da Coste], à réfléchir sur ses propres opérations [corsivo nostro; in in-glese: reflects on its own Operations], & à se proposer lui-même pour l’objet de ses propres contemplations [corsivo nostro; in inglese: and makes them the Object of its own Contemplation].186

Ora, nonostante l’intenzione di rispettare le tesi del pensatore inglese, pro-prio Coste stesso finisce per prestarsi, paradossalmente, alla perdita dell’au-tentico concetto della reflection lockiana: questo accade in due modi, uno diretto e l’altro indiretto (del quale parleremo più oltre).

Definisco la prima fonte di equivoco come diretta poiché essa ruota at-torno a una ben precisa inesattezza riscontrabile in particolar modo (e in maniera quasi esclusiva) nella prima edizione dell’Essai (1700). Sul finire del primo capitolo, laddove Locke si interroga sul momento in cui il sog-getto comincia ad avere delle idee e lo individua nell’inizio dell’esperienza sensibile (poiché è con le impressions o mouvements excités nel corpo che le idee o percezioni iniziano ad essere introdotte nell’entendement),187 il tra-

185 Cfr. LOCKE, Essay, cit., II, 1, 8, p. 107; II, 6, 1, p. 127; II, 19, 1, p. 226; II, 21, 30, p. 250.186 LOCKE, Essai, cit., II, 1, 8, p. 63.187 Cfr. ivi, II, 1, 23, p. 74.

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ducteur mostra infatti di non aver affatto compreso il significato di rifles-sione. Scrive infatti:

Voici donc, à mon avis, les deux sources de toutes nos connoissances, l’Impression que les Objets extérieurs font sur nos Sens, & les propres Opérations de l’Ame concernant ces impressions, sur lesquelles elle reflechit [corsivo nostro] comme sur les véritables Objets de ses Contemplations.188

Si noti l’equivocità di sur lesquelles: non è infatti chiaro se il pronome les-quelles si riferisca alle opérations oppure alle impressions. Che tale ambiguità non sia solo stilistica, ma vada invece ricondotta alla mancata comprensio-ne, da parte di Coste, della natura del processo riflessivo lockiano, si pale-serà non appena si esaminerà il prosieguo del passo citato:

Ainsi la prémiére capacité de l’Entendement Humain consiste en ce que l’Ame est propre à recevoir les impressions qui se font en elle, ou par les Objets extérieurs à la faveur des Sens, ou par ses propres Opérations lors qu’elle reflechit sur les idées qu’elle a par le moyen des Sens [corsivo nostro].189

Se si porta l’attenzione all’ultima proposizione, ci si accorgerà che Coste mette il lettore di fronte a una vera e propria contraddizione, generata da una confusione dell’oggetto della percezione dell’âme: come potrebbe mai sorgere l’idea delle proprie operazioni se il soggetto porta la propria atten-zione solo sulle idee ricevute attraverso i sensi? Viene infatti a perdersi la seconda fonte di conoscenza, l’attività dell’entendement e la sua originalità rispetto alle sensazioni, che forniscono l’occasione affinché tale attività in-tellettiva si mostri all’âme. Della reflection di Locke come origine delle idee

188 LOCKE, Essai (1700), cit., II, 1, 24, pp. 112-113. L’originale inglese di tale periodo vede delle interessanti variazioni dalle prime quattro edizioni dell’Essay alla quinta (postuma, del 1706). Nelle prime quattro si legge: «The Impressions then, that are made on our Senses by outward Ob-jects, that are extrinsical to the Mind, and its own Operations, about the [these 1-3] Impressions, reflected on by it [its 1-3] self, as proper Objects to be contemplated by it, are, I conceive, the Original of all Knowledge» (ID., Essay, cit., II, 1, 24, p. 118, sezione critica a piè di pagina). Nel-la quinta edizione il testo è invece assai più dettagliato: «These are the Impressions that are made on our Senses by outward Objects, that are extrinsical to the Mind; and its own Operations, pro-ceeding from Powers intrinsical and proper to it self, which when reflected on by it self, become also Objects of its contemplation, are, as I have said, the Original of all Knowledge» (ID., Essay, cit., II, 1, 24, p. 118).

189 ID., Essai (1700), cit., II, 1, 24, p. 113. Questo è l’originale inglese: «And the first Ca-pacity of Humane Intellect, is, That the mind is fitted to receive the Impressions made on it; ei-ther through the Senses by outward Objects; or by its own Operations, when it reflects on them» (ID., Essay, cit., II, 1, 24, p. 118). Come si può notare, il fraintendimento di Coste non trova al-cun fondamento nell’Essay: il testo lockiano, per la propria chiarezza, non lascia infatti dubbi in merito all’oggetto della reflection.

III. Perception, réflexion e abstraction 221

che riguardano il mind rimane solo, nella réflexion di Coste, il significato di “far attenzione” a un determinato contenuto.190

190 Yolton giustamente sottolinea come gli sviluppi della filosofia post-lockiana (inglese e francese) persero di vista tale duplicità dell’esperienza presentata nell’Essay: «Berkeley and Hume carried forward this stress on experience-based knowledge, as did Condillac in France. There was a tendency in writers after Locke to overlook his reflective experience as a source of ideas and knowledge; this was especially true with Condillac and later French historians of philosophy» (YOLTON, A Locke Dictionary, cit., p. 75, voce “Experience”). In effetti, esaminando le opere di Condillac si può notare uno slittamento di senso dalla réflexion intesa come revertere dell’atten-zione dell’esprit sull’esprit stesso e le sue operazioni, alla réflexion come concentrazione di atten-zione su un determinato contenuto (fornito dai sensi) che ne permette l’elaborazione (un concet-to di riflessione che, pur non essendo per sé sensazione, è funzione di quest’ultima e nettamente subordinato ad essa). Si considerino, in merito, i seguenti passi tratti dall’Essai sur l’origine des connoissances humaines: «Considérons un homme au premier moment de son existence: son âme éprouve d’abord différentes sensations, telles que la lumière, les couleurs, la douleur, le plaisir, le mouvement, le repos: voilà ses premières pensées. Suivons-le dans les momens où il commence à réfléchir sur ce que les sensations occasionnent en lui; et nous le verrons se former des idées des dif-férentes opérations de son âme [corsivo nostro], telles qu’apercevoir, imaginer; voilà ses secondes pensées. Ainsi, selon que les objets extérieurs agissent sur nous, nous recevons différentes idées par les sens; et, selon que nous réfléchissons sur les opérations que les sensations occasionnent dans no-tre âme, nous acquérons toutes les idées que nous n’aurions pu recevoir des choses extérieures. Les sensations et les opérations de l’âme sont donc les matériaux de toutes nos connaissances: maté-riaux que la réflexion met en oeuvre, en cherchant, par des combinaisons, les rapports qu’ils ren-ferment» (CONDILLAC, Essai sur l’origine des connaissances humaines, cit., I, 1, 1, pp. 12-13). Ora, alla terminologia usata da Condillac in piena sintonia con quella lockiana non corrisponde la con-divisione delle tesi del pensatore inglese. Già dall’ultima proposizione del passo citato si può com-prendere la svolta sensistica condillachiana, ossia la privazione di uno status di fonte di idee sui generis rispetto alla riflessione. La definizione della prima opération de l’âme è, a tal proposito, il-luminante (specie se confrontata con quella data da Locke in Essay, cit., II, 9, 1-2, p. 143): «La perception, ou l’impression occasionée dans l’âme par l’action des sens, est la première opération de l’entendement. L’idée en est telle [ossia, come per Locke, semplice] qu’on ne peut l’acquérir par aucun discours. La seule réfléxion sur ce que nous éprouvons quand nous sommes affectés de quelque sensation peut la fournir. Les objets agiraient inutilement sur les sens, et l’âme n’en prendrait jamais connaissance si elle n’en avait pas perception: ainsi le premier et le moindre de-gré de connaissance, c’est d’apercevoir» (CONDILLAC, Essai sur l’origine des connaissances humai-nes, cit., I, 2, 1-2, p. 27). Nel quinto capitolo dell’Essai, infine, la definizione di réflexion non la-scia dubbi in merito alla solo apparente analogia con il pensiero lockiano: «De la réflexion. § 47. Aussitôt que la mémoire est formée, et que l’exercice de l’imagination est à notre pouvoir, les si-gnes que celle-là rappelle, et les idées que celle-ci réveille, commencent à retirer l’âme de la dé-pendance où elle était de tous les objets qui agissaient sur elle. Maîtresse de se rappeler les cho-ses qu’elle a vues, elle y peut porter son attention, et la détourner de celles qu’elle voit. Elle peut ensuite la rendre à celles-ci, ou seulement à quelques-unes, et la donner alternativement aux unes et aux autres. A la vue d’un tableau, par exemple, nous nous rappelons les connaissances que nous avons de la nature, et des règles qui apprennent à l’imiter; et nous portons notre attention successivement de ce tableau à ces connaissances, et de ces connaissances à ce tableau, ou tour à tour à ses différentes parties. Mais il est évident que nous ne disposons ainsi de notre attention que par le secours que nous prête l’activité de l’imagination, produite par une grande mémoire. Sans cela, nous ne la réglerions pas nous-mêmes, mais elle obéirait uniquement à l’action des ob-jets. § 48. Cette manière d’appliquer de nous-mêmes notre attention tour à tour à divers objets, ou aux différentes parties d’un seul, c’est ce qu’on appelle réfléchir. Ainsi on voit sensiblement comment la réflexion naît de l’imagination et de la mémoire. […] § 51. C’est à la réflexion que nous commençons à entrevoir tout ce dont l’âme est capable. Tant qu’on ne dirige point soi-mê-

Lost and Found in Translation?222

Un errore, questo, che verrà ripetuto poco dopo, quando Locke afferme-rà la passività (e, quindi la neutralità) dell’esprit nei confronti delle percezio-ni, siano esse sensibili che provenienti dalle operazioni dell’esprit stesso:

L’Esprit est […] purement passif […] car les idées particuliéres des Objets des Sens s’introduisent dans nôtre Ame, soit que nous veuillons ou que nous ne veuillons pas; et les Opérations de nôtre Entendement nous laissent pour le moins quelque notion obscure des Idées que les Sens excitent en nous [corsivo nostro], personne ne pouvant ignorer absolument ce qu’il fait lors qu’il pense.191

me son attention, nous avons vu que l’âme est assujettie à tout ce qui l’environne, et ne possède rien que par une vertu étrangère. Mais si, maître de son attention, on la guide selon se[s] désirs, l’âme alors dispose d’elle-même, en tire des idées qu’elle ne doit qu’à elle, et s’enrichit de son propre fonds» (ivi, I, 2, 5, pp. 64-67). Come per Pascal (o Locke) nei confronti di Descartes, an-che nel caso di Condillac, la presa di distanza da Locke avviene ri-definendo la sua terminologia. Il culmine di tale parricidio filosofico si ha laddove Condillac fornisce la definizione di entende-ment, poiché qui si ha la chiara presa di coscienza che le opérations de l’âme di cui tanto si è par-lato nei passi precedenti non sono affatto da intendersi in senso lockiano, ma sono da ricondur-re sul piano fondante delle sensations e delle loro liaisons naturelles (non più passivamente vissute, ma illuminate nei loro differenti aspetti): «On le regarde [leggi: l’entendement] comme une faculté différente de nos connaissances, et comme le lieu où elles viennent se réunir. Cepen-dant je crois que, pour parler avec plus de clarté, il faut dire que l’entendement n’est que la col-lection ou la combinaison des opérations de l’âme. Apercevoir ou avoir conscience, donner son attention, […] réfléchir, distinguer ses idées, les abstraire, les composer, les analiser, affirmer, nier, juger, raisonner, concevoir: voilà l’entendement. Je me suis attaché dans ces analises à faire voir la dépendance des opérations de l’âme, et comment elles s’engendrent toutes de la première. Nous commençons par éprouver des perceptions dont nous avons conscience. Nous formons-nous en-suite une conscience plus vive de quelques perceptions, cette conscience devient attention. Dès lors les idées se lient, nous reconnaissons en conséquence les perceptions que nous avons eues […]. L’âme réveille-t-elle ces perceptions, les conserve-t-elle, ou en rappelle-t-elle seulement les signes, c’est imagination, contemplation, mémoire; et si elle dispose elle-même de son attention, c’est réflexion. Enfin, de celle-ci naissent toutes les autres […] puisque ce ne sont là que différentes manières de conduire l’attention [corsivo nostro]. De-là se forment, par une suite naturelle, le ju-gement, le raisonnement, la conception; et résulte l’entendement» (ivi, I, 2, 8, pp. 85-86). Circa la natura delle «opérations qui consistent à distinguer, abstraire, comparer, composer et décom-poser nos idées», cfr. anche ivi, I, 2, 6, pp. 70-71. Tale slittamento condillachiano è forse parzial-mente imputabile anche a una certa ambiguità con cui sia nell’Essay che nell’Essai si utilizzano, rispettivamente, i termini reflection e réflexion per indicare due concetti tra loro diversi: d’accor-do con le osservazioni compiute da Yolton, nel testo lockiano è possibile riscontrare, accanto al significato più ricorrente di turning inward upon itself e taking notice (da parte del mind) of its own actions/operations, un’accezione minore di reflection secondo cui essa consisterebbe nel to contemplate, ossia nell’attento esame cui viene sottoposta un’idea trattenuta di fronte allo sguar-do della mente con un acuirsi dello sforzo attenzionale (o, come scrive Coste, mediante un’atten-tion particulière: cfr. LOCKE, Essai, cit., II, 1, 7, p. 63). Rimando inoltre alla nota 196 del presen-te capitolo per ulteriori spunti interpretativi circa la genesi del sensismo condillachiano dalla gnoseologia lockiana.

191 LOCKE, Essai (1700), II, 1, 25, p. 113. Nell’Essay si legge: «The Understanding is meerly passive […]. For the Objects of our Senses, do, many of them, obtrude their particular Ideas upon our minds, whether we will or not: And the Operations of our minds, will not let us be without, at least some obscure Notions of them. No Man, can be wholly ignorant of what he does, when he thinks» (ID., Essay, cit., II, 1, 25, p. 118).

III. Perception, réflexion e abstraction 223

Sarà a partire dalla seconda edizione dell’Essai che verranno apportate le opportune modifiche, senza che esse siano segnalate nella nota iniziale sulle Additions et Corrections 192 o siano in un qualche modo commentate: Coste le indicherà tuttavia a Leibniz nell’epistola del 25 agosto 1707 193 e le com-menterà ampiamente in un manoscritto che Luisa Simonutti ha pubblicato, evidenziando come esso sia stato erroneamente attribuito a Le Clerc. Qui possiamo leggere:

Pag 113 lig. 7 lorqu’elle (l’Ame) reflechit sur les Idées qu’elle a par le moyen des sens, il fallot dire, lorqu’elle reflechit sur ces operations. C’est ainsi qu’il y a dans l’Anglois. Mais j’ai dit tout autre chose, faute de faire attention à la doctrine de Mr. Locke que je ne possedois pas assez bien quand j’ay traduit cet endroit [corsivo nostro]. Il s’agit là de la source de nos Idées, qui est, selon Mr. Locke, la sensation et la Reflexion. Par la Sensation l’Ame reçoit des idées par les impressions que les objets corpo-rels font sur elle; et par la Reflexion elle prend connoissance des idées de ses propres operations qui deviennent par là les objets de la Reflexion [corsivo nostro], qui est la source de cette espéce d’Idées que les objets exterieurs ne sauroient fournir à l’Ame […]. Quoy que ces operations soient continuellement excitées dans l’Ame, comme dit ailleurs Mr. Locke, elles n’y font pas d’assez fortes impressions pour en laisser dans l’Ame des idées claires, distinctes et duràbles, jusqu’à ce que l’Enten-dement vienne à se replier, pour ainsi dire, sur soy-même, à reflechir sur ses pro-pres operations […]. Il est d’autant plus nécessaire de bien comprendre sa pensée sur cette origine qu’il donne à nos Idées, que cette supposition est repanduë dans tout son Livre, où il s’attache à en démontrer la verité.194

Osservazioni e correzioni che Coste afferma essere valide per il secondo pas-so dell’Essai citato (Essai, II, 1, 25) e, per le stesse ragioni, devono essere applicate anche a un altro luogo dell’Essai che, evidentemente, sfuggì alle revisioni del traducteur, andando così a costituire il fossile, ossia la testimo-nianza inalterata di un originario errore emendato in ogni altra sua manife-stazione dalle successive edizioni francesi dell’opera di Locke:

Que quelqu’un prenne seulement la peine d’examiner ses propres pensées, & de fouiller exactement dans son esprit pour considérer tout ce qui s’y passe; & qu’il me dise après cela, si toutes les Idées originales qui y sont, viennent d’ailleurs que des objets de ses Sens, ou des opérations de son ame, considérées comme des objets de la réflexion qu’elle fait sur les idées qui lui sont venues par les Sens [corsivo nostro].195

192 Cfr. LOCKE, Essai (1729), cit., Additions et Corrections, pp. XLII-XLV.193 Cfr. Coste an Leibniz (25 Août 1707), in LEIBNIZ, Die philosophischen Schriften, cit., III,

IV, p. 394.194 Ms.: Autogr. Clericus Joh., Oefeleana 63, II; Bayerische Staatsbibliothek, München, in SI-

MONUTTI, Considerazioni su power e liberty, cit., pp. 194-195.195 LOCKE, Essai, cit., II, 1, 5, p. 62. Dove in inglese, in corrispondenza del luogo da me ri-

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2. Reflection: unnoticed Vs. unreflected. L’importanza del discerning

Ora, tornando ai discorsi iniziali, nella presentazione francese della teo-ria lockiana della riflessione c’è un ulteriore elemento che può risultare ambiguo, un aspetto che, a differenza dell’errore di comprensione prece-dentemente analizzato, caratterizza tutte le edizioni dell’Essai e può essere definito indiretto poiché risulta essere una conseguenza delle scelte lessica-li di Coste in merito al consciousness e della polisemia del sostantivo senti-ment. Si tratta cioè della presenza di due espressioni che si richiamano da vicino, il sentiment intérieur (col verbo corrispondente sentir intérieurement) da una parte e il sens intérieur dall’altra, una somiglianza terminologica che rischia di ingenerare nel lettore l’equivoco dell’identità dei due concetti di consciousness e di reflection, quando invece quest’ultima presuppone il con-sciousness (specialmente come self-consciousness), essendone una particola-re e ben delimitata declinazione.

Il chiarimento della relazione tra i due concetti (un’operazione di de-coupling di ciò che è unnoticed e di ciò che è unreflected) consentirà inoltre di far luce intorno al rapporto tra la percezione delle operations della men-te e l’acquisizione delle ideas of sensation, un rapporto che Locke pare in più occasioni caratterizzare come sbilanciato (quanto meno temporalmen-te, se non gnoseologicamente) a favore della sensation.196

portato in italico, si legge: «Or of the Operations of his Mind, considered as Objects of his Re-flection» (ID., Essay, cit., II, 1, 5, p. 106).

196 Una caratterizzazione di cui si ha una traccia nell’uso libero del participio passato exci-tées (riferito a opérations) e dell’espressione mises en oeuvre (riferita a facultés) come traduzio-ne, rispettivamente, dei verbi inglesi to pass ed employed. Si confrontino i passi in questione. Nell’ottavo paragrafo del primo capitolo del Second Book, Locke scrive: «We see the Reason, why […] some have not any very clear, or perfect Ideas of the greatest part of them all their Lives. Because, though they pass there continually; yet like floating Visions, they make not deep Impres-sions enough, to leave in the Mind clear distinct lasting Ideas» (LOCKE, Essay, cit., II, 1, 8, p. 107). Coste traduce come segue: «Nous voyons pourquoi […] certaines personnes n’en connoissent ni fort clairement, ni fort parfaitement, la plus grande partie pendant tout le cours de leur vie. La raison de cela est, que quoique ces opérations soient continuellement excitées dans l’ame [corsivo nostro], elles n’y paroissent que comme des visions flottantes, & n’y font pas d’assez fortes im-pressions pour en laisser dans l’ame des idées claires, distinctes & durables» (ID., Essai, cit., II, 1, 8, p. 63). Come si può notare, mentre Locke parla solamente di operazioni che si verificano, si producono continuamente (si ricordi la definizione di consciousness come perception of what pas-ses in a man’s own mind, percezione degli accadimenti o “fenomeni” nel senso di fatti psichici), Coste usa un participio passato, excité che solitamente compare in riferimento alle sensations (cfr. ivi, II, 8, 21, p. 94; II, 10, 5, p. 104), ai sentiments (cfr. ivi, II, 9, 3, p. 98), alle idées (cfr. ivi, II, 9, 4, p. 98; II, 10, 2, p. 104; II, 11, 3, p. 109), al désir (ivi, II, 21, 71, p. 220), come sinonimo di produit, causé, déterminé. Che ciò induca a pensare che le operazioni siano eccitate o indotte ad agire dietro lo stimolo delle idee sensibili (e non cooperino, in realtà, alla percezione di queste stesse idee), non è a mio avviso solo un’impressione, ma è confermata anche dal passo successivo:

III. Perception, réflexion e abstraction 225

Per meglio comprendere questo discorso, occorre soffermarsi sulla fun-zione del discerning e, a tal proposito, sull’incipit del secondo capitolo del Second Book, in cui Locke presenta la distinzione delle idee in semplici e complesse:

Though the Qualities that affect our Senses, are, in the things themselves, so united and blended, that there is no separation, no distance between them; yet ’tis plain, the Ideas they produce in the Mind, enter by the Senses simple and unmixed. For though the Sight and Touch often take in from the same Object, at the same time, different Ideas; as a Man sees at once Motion and Colour; the Hand feels Softness and Warmth in the same piece of Wax: Yet the simple Ideas thus united in the same Subject, are as perfectly distinct, as those that come in by different Senses. The coldness and hardness, which a Man feels in a piece of Ice, being as distinct Ideas in the Mind, as the Smell and Whiteness of a Lily; or as the taste of Sugar, and smell of a Rose: And there is nothing can be plainer to a Man, than the clear and distinct Perception he has of those simple Ideas; which, being each in itself un-compounded, contains in it nothing but one uniform Appearance, or Conception in the mind, and is not distinguishable into different Ideas.197

Il ruolo della funzione psichica del discerning, intrinsecamente connesso con quello della perception, diviene palese proprio nella conclusione del passo citato: esso consiste nel coglimento dei contenuti così come e nella misu-ra in cui essi si presentano, con le caratteristiche in virtù delle quali essi sono se stessi e non altri da sé,198 pur presentandosi assieme (e non separa-tamente) nello stesso atto cognitivo-percettivo (il criterio della semplicità/complessità delle idee è infatti il raggiungimento dell’uniformità qualitati-va della percezione, per cui il soggetto non può più riscontrare, in seno ai

«Puis donc que la Perception est le premier degré vers la connoissance, & qu’elle sert d’introduc-tion à tout ce qui en fait le sujet, si un Homme […] n’a pas tous les sens dont un autre est enri-chi, si les impressions que les sens ont accoutumé de produire sont en plus petit nombre & plus foibles, & que les facultés que ces impressions mettent en oeuvre [corsivo nostro], soient moins vi-ves, plus cet Homme, & quelque autre Etre que ce soit, sont inférieurs par-là à d’autres Hom-mes» (ivi, II, 9, 15, p. 102). Nell’originale inglese, al passaggio da me scritto in italico corrispon-de «[Faculties] that are employed about them [leggi: about Impressions]» (ID., Essay, cit., II, 9, 15, p. 149), dove il verbo to be employed about non esprime un rapporto di passività delle facul-ties nei confronti delle impressions (come invece lascia intendere Coste), bensì un’operatività ori-ginaria del mind esercitata sulle impressioni (benché tale esercizio consista in una ricezione). Pro-prio da tale sbilanciamento Coste può essere stato indotto in errore in merito al significato della reflection lockiana. Lo stesso discorso vale anche per Condillac (cfr. la nota 190 del presente ca-pitolo), il cui sensismo non ha tratto ispirazione dai due fautes de compréhension di Coste (errori certamente gravi, ma in netta minoranza rispetto ai passi in cui la sua traduzione rispetta piena-mente il testo dell’Essay e le tesi in merito alla reflection in esso esposte), ma dall’accentuazione di un aspetto della filosofia lockiana stessa.

197 LOCKE, Essay, cit., II, 2, 1, p. 119.198 Cfr. ivi, II, 11, 1, pp. 155-156.

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contenuti psichici, elementi di cui l’uno non è “quidditativamente” o me-glio, “talitativamente” l’altro).

Proprio in tale capacità di discernimento del soggetto risiede la conditio materiale della reflection (ossia la funzione psichica attraverso cui si ha l’ef-fettivo esplicarsi dell’auto-coscienza).199 Si consideri il seguente passo:

It is for want of reflection, that we are apt to think, that our Senses shew us nothing but material things. Every act of sensation, when duly considered, gives us an equal view of both parts of nature, the Corporeal and Spiritual [corsivo nostro].200

Ciò è possibile poiché nell’unico atto cognitivo sono com-presenti due ele-menti distinti e perciò discernibili, ossia un polo “oggettivo” (il contenuto psichico fornito dai sensi che, portando alla conoscenza delle realtà fuori dal soggetto, costituisce l’outward perception) e un polo “soggettivo”, che comprende tutte le operations proprie della mente (tutto ciò che il soggetto has wholly in himself, che gli appartiene in maniera assoluta e non relativa e, in quanto tale, distinguibile da ciò che proviene dai sensi). L’inward per-ception con cui il soggetto conosce tali operazioni si configura quindi come un rivolgere l’attenzione sul polo soggettivo distintamente da quello ogget-tivo, un divenire oggetto di contemplation, da parte del mind, di ciò che del mind stesso fa intrinsecamente (quindi immancabilmente) parte dell’at-to cognitivo come unum.

Non si tratta di un divenire consci di tali operazioni, poiché il conscious-ness (che è anche self-consciousness) è per definizione sempre connesso al pensiero in ogni suo modo, costituendo lo scenario in cui si ha e per cui

199 La traduzione italiana dell’Essay a cura di V. Cicero e M. G. D’Amico coglie il ruolo del discerning scrivendo: «Al momento è sufficiente osservare che questa [leggi: il discernimento] è una delle operazioni sulle quali la mente può riflettere e mediante le quali può scrutare se stes-sa [corsivo nostro]» (LOCKE, Saggio, cit., II, 11, 2, pp. 261-263). L’originale inglese del passo ci-tato è tuttavia diverso e non lascia intedere ciò che i traduttori scrivono, ma solo il fatto che il discerning è un’operazione che il mind conosce riflessivamente (senza che da ciò si possa desu-mere l’importanza del discernimento per la riflessione in sé e per sé): «It suffices to take noti-ce, that this is one of the Operations, that the Mind may reflect on, and observe in it self [cor-sivo nostro]» (ID., Essay, cit. II, 11, 2, p. 156). La traduzione di Coste si mostra più corretta, in quanto fedele al testo lockiano: «Il suffit de remarquer que cette Faculté est une des Opérations sur laquelle l’Ame peut réfléchir, & qu’elle peut observer en elle-même [corsivo nostro]» (ID., Es-sai, cit., II, 11, 2, p. 108).

200 LOCKE, Essay, cit., II, 23, 15, pp. 305-306. Questo passo, occorre sottolinearlo, è aggiunto da Locke a partire dalla quarta edizione e compare nella versione di Coste così tradotto: «C’est […] faute de réflexion que nous sommes portés à croire que nos Sens ne nous présentent que des choses matérielles. Chaque acte de sensation, à le considérer exactement, nous fait également envisager des choses corporelles, & des choses spirituelles. Car dans le tems que voyant ou en-tendant, &c. je connois qu’il y a quelque Etre corporel hors de moi qui est l’objet de cette sensa-tion, je sai d’une maniére encore plus certaine qu’il y a au dedans de moi quelque Etre spirituel qui voit & qui entend» (ID., Essai, cit., II, 23, 15, p. 239).

III. Perception, réflexion e abstraction 227

può prodursi la riflessione (senza l’auto-percezione del soggetto come uni-co centro della vita psichica, come potrebbe esserci una ri-flessione del sog-getto su se stesso?). In merito Locke si esprime chiaramente:

The Operations of our minds, will not let us be without, at least some obscure Notions of them. No Man, can be wholly ignorant of what he does, when he thinks.201

[It is] impossible for any one to perceive, without perceiving, that he does per-ceive. When we see, hear, smell, taste, feel, meditate, or will any thing, we know that we do so.202

La tesi stessa secondo cui la conoscenza che il soggetto ha della propria esi-stenza è di natura intuitiva vede il proprio fondamento non solo nella diretta intenzionalità delle idee di riflessione, ma proprio nel fatto che ogni singolo atto di pensiero è composto da due aspetti o poli, oggettivo e soggettivo:

Nothing can be more evident to us, than our own Existence. I think, I reason, I feel Pleasure and Pain; Can any of these be more evident to me, than my own Existence? If I doubt of all other Things, that very doubt makes me perceive my own Existence, and will not suffer me to doubt of that. For if I know I feel Pain, it is evident, I have as certain a Perception of my own Existence, as of the Existence of the Pain I feel: Or if I know I doubt, I have as certain a Perception of the Existence of the thing doubting, as of that Thought, which I call doubt. Experience then convinces us, that we have an intuitive Knowledge of our own Existence, and an internal in-fallible Perception that we are. In every Act of Sensation, Reasoning, or Thinking, we are conscious to our selves of our own Being.203

Nel vedere rosso o nel ragionare (riprendendo l’esempio del passo prece-dente) il polo soggettivo è costituito, rispettivamente, dal vedere o dal con-nettere due idee ricorrendo a idee intermedie ed è questo che poi verrà co-nosciuto chiaramente e distintamente mediante l’inward perception (dando origine alle idee di vedere e di ragionare): ciò che interessa a Locke non è però tanto il fatto che il soggetto conosca ciò che sta facendo (ossia abbia idee chiare e distinte delle operazioni che sta compiendo), quanto piuttosto la presenza, nei contenuti psichici in questione (il vedere rosso), di qualco-sa che faccia riferimento al soggetto (per cui esso possa dirsi esistente con assoluta certezza) e che sia avvertito dal soggetto in questi suoi caratteri di “soggettività” (e non tanto nella sua precisa natura di operazione di senti-re o ragionare).

201 Ivi, II, 1, 25, p. 118.202 Ivi, II, 27, 9, p. 335.203 Ivi, IV, 9, 3, pp. 618-619.

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Un discorso, questo compiuto da Locke in merito al senso interno, che costituisce a mio avviso una ripresa di quanto Arnauld osservava in un im-portante passo del Des Vrayes et des Fausses Idées (1683) dove, criticando la tesi malebranchiama secondo cui la conscience è una non-conoscenza di sé da parte del soggetto (per quanto essa sia vera), poneva la distinzione tra la coscienza che il soggetto ha di sé e dei propri fatti psichici (una per-ception di per sé chiara ed evidente) e la conoscenza posteriore a tale for-ma di (auto-)percezione, una réflexion expresse con cui il soggetto ha idee chiare e distinte di ciò che è oggetto di tale perception formelle (una reflec-tion lockiana ante litteram):

[La 4ème prévention de Malebranche est] qu’on ne connoist point par des idées clai-res ce qu’on connoist par conscience et par sentiment. Et c’est justement tout le contraire, au moins pour ce qui est de ce que nous connoissons pendant cette vie. Car rien ne nous est plus clair que ce que nous connoissons en cette maniere, com-me S. Augustin nous l’apprend dans le XIII. de la Trinité, chapitre I. où il dit que nous connoissons nostre propre soy: et il en est de même de nos autres pensées: cer-tissima scientia, et clamante conscientia: par une science trés certaine, et comme par un cri de nostre conscience. Or ce que nous connoissons par ce sentiment interieur ne nous peut estre si certain que le dit ce Saint, que parce qu’il est clair et évident [cor-sivo nostro]. Car, dans les connoissances naturelles, ce ne peut estre que la clarté et l’evidence qui fait la certitude. Or, quand on voudroit douter si la perception, que nous avons de nostre pensée, lorsque nous la connoissons comme par elle même sans reflexion expresse, est proprement une idée, on ne peut nier au moins qu’il ne nous soit facile de la connoistre par une idée; puisque nous n’avons pour cela qu’à faire une reflexion expresse sur nostre pensée. Car alors cette seconde pensée, ayant pour objet la premiere, elle en sera une perception formelle, et par consequent une idée. Or cet-te idée sera claire, puisqu’elle nous fera appercevoir trés évidemment ce dont elle est idée. Et par consequent il est indubitable que nous voyons par des idées claires ce que nous voyons par sentiment et par conscience: bien loin qu’on doive regarder comme opposées ces deux manieres de connoistre, ainsi que fait par tout l’Auteur de la Recherche de la Verité.204

Per Locke, come per Arnauld, la reflection non si identifica con la coscien-za e non oscura l’immediatezza del consciousness, ma va a perfezionare tale originaria ed immancabile percezione che il mind ha delle proprie opera-zioni psichiche (come di ogni altro dato in quanto tale), aggiungendo quel-la maggior distinzione cui il soggetto perviene vincendo l’interesse per la conoscenza del mondo esterno.

L’esempio dell’osservazione del landscape o dell’orologio proposto da Locke nel Second Book è a tal riguardo estremamente significativo:

204 ARNAULD, Des Vrayes et des Fausses Idées, cit., XXIV, pp. 225-226.

III. Perception, réflexion e abstraction 229

Men then come to be furnished with fewer or more simple Ideas from without, ac-cording as the Objects, they converse with, afford greater or less variety; and from the Operations of their Minds within, according as they more or less reflect on them. For, though he that contemplates the Operations of his Mind, cannot but have plain and clear Ideas of them; yet unless he turn his Thoughts that way, and considers them attentively, he will no more have clear and distinct Ideas of all the Operations of his Mind, and all that may be observed therein, than he will have all the particular Ideas of any Landscape, or of the Parts and Motions of a Clock, who will not turn his Eyes to it, and with attention heed all the Parts of it. The Picture, or Clock may be so placed, that they may come in his way every day; but yet he will have but a confused Idea of all the Parts they are made up of, till he applies himself with attention, to consider them each in particular.205

Né è a mio avviso improbabile che il richiamo all’attenzione che serve per acquisire idee chiare e distinte delle operazioni della mente affondi le radi-ci e vada compreso proprio nella presa di distanza dal concetto della sui ip-sius contemplatio reflexa cartesiana: la critica dell’innatismo non viene infat-ti condotta solo mediante la confutazione dell’esistenza di conoscenze (idee e principi, ossia, contenuti e verità) possedute non tanto a priori (la priori-tà gnoseologica non è negata da Locke), quanto a prescindere da ogni pos-sibile esperienza (priorità temporale e gnoseologica absoluta), ma anche nel portare il lettore alla consapevolezza che persino le operazioni che il sogget-to compie esercitando i propri natural powers sono sperimentate, trovate.

Per quanto, come giustamente sottolineano (muovendo tuttavia da pun-ti di vista opposti) sia Leibniz all’interno dei Nouveaux Essais,206 sia Con-dillac nel Traité des Sensations (1754),207 si possa giungere ad affermare che

205 LOCKE, Essay, cit., II, 1, 7, p. 107.206 «Peutestre que nostre habile Auteur ne s’eloignera pas entierement de mon sentiment.

Car apres avoir employé tout son premier livre à rejetter les lumieres innées, prises dans un cer-tain sens, il avoue pourtant au commencement du second et dans la suite que les idées qui n’ont point leur origine de la sensation, viennent de la reflexion. Or la reflexion n’est autre chose qu’une attention à ce qui est en nous, et les sens ne nous donnent point ce que nous portons deja avec nous. Cela estant, peut on nier qu’il y a beaucoup d’inné en nostre esprit, puisque nous sommes innés, pour ainsi dire, à nous mêmes?» (LEIBNIZ, Nouveaux Essais, cit., Préface, p. 45).

207 La critica che Condillac muove a Locke in quest’opera, a otto anni di distanza dall’Essai sur l’origine des connaissances humaines (1746), è assai più decisa ed esplicita: «Locke distingue deux sources de nos idées, les sens et la réflexion. Il serait plus exact de n’en reconnaître qu’une, soit parce que la réflexion n’est dans son principe que la sensation même, soit parce qu’elle est moins la source des idées, que le canal par lequel elle découlent des sens. Cette inexactitude, quelque légère qu’elle paraisse, répand beaucoup d’obscurité dans son système; car elle le met dans l’im-puissance d’en développer les principes. Aussi ce philosophe se contente-t-il de reconnaître que l’âme aperçoit, pense, doute, croit, raisonne, connaît, veut, réfléchit; que nous sommes convaincus de l’existence de ces opérations, parce que nous les trouvons en nous-mêmes, et qu’elles contri-buent aux progrès de nos connaissances: mais il n’a pas senti la nécessité d’en découvrir le prin-cipe et la génération, il n’a pas soupçonné qu’elles pourraient n’être que des habitudes acquises;

Lost and Found in Translation?230

per Locke il soggetto sia, in un certo senso, “innato a se stesso” (giacché il mind presenta funzioni, capacità e tendenze che non acquisisce, ma gli sono originarie), non deve tuttavia passare in secondo piano il fatto che, per il filosofo inglese, il soggetto si disvela a se stesso, fa esperienza delle opera-zioni, ossia di ciò che egli compie sui dati forniti dalla sensazione. Il rimar-care, da parte sua, la necessità di concentrare l’attenzione sulle operations per acquisirne le idee costituisce, in questo contesto, il migliore dei modi per affermare come le idee di riflessione non siano da sempre a portata del soggetto, ma abbiano exordium (non origo) cogliendo chiaramente e distin-tamente ciò che è sempre stato presente e in un certo modo manifesto al soggetto nelle altre occasioni della vita psichica.

3. Abstraction: Coste di fronte alla dis-individuazione e al sorting

La trattazione del discerning si inserisce all’interno di un discorso più ampio, ossia lo studio lockiano delle operazioni conoscitive, studio che pone degli interrogativi specifici circa l’esistenza di un’intelligenza nei bruti: Co-ste non manca di cogliere tale tematica e, di contro al ruolo marginale che essa aveva all’interno dell’Essay (nonché negli interessi di Locke), decide di portarla all’attenzione del lettore con una serie di note a piè di pagina ap-poste nella terza edizione (1735) e perfezionate nella quarta (1742), segno evidente che la questione dell’intelligenza animale godeva di notevole inte-resse nella Francia del XVIII secolo (in virtù dell’anticartesianismo e degli sviluppi del sensismo e del materialismo).208

Chiarito il senso di perception come prima funzione del mind circa le idee, ossia origine di ogni conoscenza o «inlet of all the Materials of it»,209 Locke osserva che la percezione appartiene anche agli animali e costituisce la cifra distintiva di questi ultimi rispetto agli inferior beings,210 la cui vita e il cui comportamento consistono, analogamente a quanto sostenevano i car-tesiani, in un bare mechanism.211

il paraît les avoir regardées comme quelque chose d’inné, et il dit seulement qu’elles se perfec-tionnent par l’exercice» (É. BONNOT DE CONDILLAC, Traité des Sensations, in ID., Œuvres Complè-tes, III, cit., Extrait raisonné, pp. 10-11).

208 Non si dimentichi a tal riguardo la voce “Bêtes” del Dictionnaire philosophique di Vol-taire (1764): VOLTAIRE, Dictionnaire philosophique, tome I (de II), in ID., Les Œuvres complètes de Voltaire, 35, sous la direction de Ch. Mervaud, éd. critique par A. Brown, M.-H. Cotoni, J. Hel-legouarc’h, U. Kölving, Ch. Mervaud, J. R. Monty, J.-M. Moureaux, B. E. Schwarzbach, J. Ver-cruysse, R. Virolle, Oxford, Voltaire Foundation, 1994, pp. 411-415.

209 LOCKE, Essay, cit., II, 9, 15, p. 149.210 Cfr. ivi, II, 9, 11, p. 147.211 Cfr. ivi, II, 9, 11, p. 147.

III. Perception, réflexion e abstraction 231

Né questa tesi di Locke costituisce un’originaria assunzione posta come criterio di indagine in merito alla psicologia animale: essa è al contrario una ragionevole ipotesi elaborata a partire dallo studio empirico della struttura anatomo-fisiologica degli organismi animali 212 e si inscrive in una concezio-ne dell’universo come continua progressione infinitesimale 213 assai vicina alla tassonomia degli enti retta da quella loy de la continuité 214 che Leibniz ave-va proposto sin dal Discours de Metaphysique (1686) 215 e Lovejoy, nell’omo-nima opera capitale, indica con l’espressione great chain of Being.216 Così, se i bruti hanno una qualche forma di percezione, ciò vale, in virtù di un analogo studio del comportamento animale, anche per le altre funzioni im-mediatamente connesse con essa, memory, comparing, possedute dai bruti, seppur in maniera alquanto limitata e inscindibile da «some sensible Cir-cumstances annexed to the Objects themselves» 217 (ossia dalla concretezza e dalla particolarità dell’esperienza sensibile).

212 Ivi, II, 9, 12-13, p. 148.213 «That there should be more Species of intelligent Creatures above us, than there are of

sensible and material below us, is probable to me from hence; That in all the visible corporeal World, we see no Chasms, or Gaps. All quite down from us, the descent is by easy steps, and a continued series of Things, that in each remove, differ very little one from the other. There are Fishes that have Wings, and are not Strangers to the airy Region: and there are some Birds, that are Inhabitants of the Water; whose Blood is cold as Fishes, and their Flesh so like in taste, that the scrupulous are allow’d them on Fish-days. There are Animals so near of kin both to Birds and Beasts, that they are in the middle between both: Amphibious Animals link the Terrestrial and Aquatique together; Seals live at Land and at Sea, and Porpoises have the warm Blood and En-trails of a Hog, not to mention what is confidently reported of Mermaids, or Sea-men. There are some Brutes, that seem to have as much Knowledge and Reason, as some that are called Men: and the Animal and Vegetable Kingdoms, are so nearly join’d, that if you will take the lowest of one, and the highest of the other, there will scarce be perceived any great difference between them; and so on till we come to the lowest and the most inorganical parts of Matter, we shall find eve-ry-where, that the several Species are linked together, and differ but in almost insensible degrees. And when we consider the infinite Power and Wisdom of the Maker, we have reason to think, that it is suitable to the magnificent Harmony of the Universe, and the great Design and infinite Goodness of the Architect, that the Species of Creatures should also, by gentle degrees, ascend upward from us toward his infinite Perfection, as we see they gradually descend from us down-wards» (ivi, III, 6, 12, pp. 446-447).

214 LEIBNIZ, Nouveaux Essais, cit., III, 6, 12, p. 286.215 Cfr. LEIBNIZ, Discours de Metaphysique, cit., § 9, p. 433; ID., Lettre de M. L. sur un prin-

cipe général utile à l’explication des lois de la nature par la consideration de la sagesse divine, pour servir de replique à la reponse du R.P.D. Malebranche (1687), in ID., Die philosophischen Schriften, III, cit., p. 52; ID., Animadversiones in partem generalem Principiorum Cartesianorum (1692), cit., ad Partem II, ad Art. 45, pp. 375-376.

216 A. O. LOVEJOY, The Great Chain of Being. A study of the History of an Idea (19361), Cam-bridge (Massachussetts)-London (England), Harvard University Press, 200122, p. 184. Giustamente Leibniz e Locke sono associati da Lovejoy come sostenitori del “principio di continuità”.

217 LOCKE, Essay, cit., II, 11, 5, p. 158. È a questo punto che Coste interviene, nella terza edizione (1735), con una corposa nota a piè di pagina (cfr. ID., Essai, cit., II, 11, 5, pp. 110-111) atta a portare ulteriore conferma alle tesi di Locke in merito all’incapacità di spiegare le funzio-

Lost and Found in Translation?232

Quanto al compounding, benché Locke nutra dei dubbi circa la capaci-tà animale di comporre le idee,218 egli non ha invece alcuna esitazione nel

ni psichiche animali in maniera puramente meccanica, una nota evidentemente indirizzate a quel pubblico di savants che non condividevano le tesi cartesiane in merito agli esseri viventi non uma-ni (una serie di circoli intellettuali di cui Justel e Thoynard, amici e corrispondenti di Locke, era-no importanti esponenti: cfr. BONNO, Les Relations intellectuelles de Locke avec la France, cit., pp. 102, 106-137). In tale nota, guardando agli Essais di Montaigne e all’Historia Naturalis di Plinio, Coste si spinge addirittura ben oltre l’ipotesi lockiana per cui gli animali rimarrebbero vincola-ti a particolari occasioni sensibili: seguendo la passione per les collections de cas singuliers tipica dei secoli XVI e XVII (passione che, come emerge dalle frequenti citazioni dai racconti di viaggi riportate nell’Essay, Locke condivideva pienamente), egli riporta infatti alcuni passi dalla cosid-detta Apologie de Raymond Sebond degli Essais di Montaigne (dodicesimo capitolo del secondo libro: cfr. MONTAIGNE, Essais, cit., I, II, 12, p. 465; le indicazioni bibliografiche di Coste fanno ri-ferimento all’edizione de la Haye del 1727 [tome II, livre II, ch. XII, p. 270]) in cui il pensatore francese, a sua volta suffragato dai racconti di Plutarco, instaura un paragone tra le facoltà uma-ne e quelle animali e parla di elefanti che, per evitare di essere picchiati dai maestri, si esercitava-no (da soli, indipendentemente dalla ricezione dei comandi) nell’esecuzione di complesse cadenze (racconto, questo, confermato anche da Plinio: PLIN. Hist. Nat., VIII, c. 3). Al che Coste commen-ta: «Dira-t-on que ces Animaux ne comparoient les idées qu’ils se formoient de tous ces différens mouvemens que par rapport à quelques circonstances sensibles, comme au son de la voix […]? Nullement» (LOCKE, Essai, cit., II, 11, 5, p. 110, nota a piè di pagina). Coste nota cioè come negli animali sia presente una capacità di paragonare le idee, di apprendere determinati comportamen-ti (perfezionandone progressivamente l’esecuzione) che va oltre la concreta ed effettiva presenza di uno stimolo. Al contrario, nella quarta edizione, nonostante egli aggiunga come non sia diffi-cile trovare molti altri esempi a favore dei precedenti discorsi (anche all’interno dell’Essai lockia-no), esempi che porterebbero a indurre (d’accordo con Montaigne) «de pareils effets, pareilles fa-cultés» (nell’edizione del 1727degli Essais di Montaigne consultata da Coste: tome III, livre II, ch. XII, p. 55) egli pare attenuare la portata delle proprie affermazioni, sottolineando come sarebbe più saggio adottare una posizione di «docte ignorance» (LOCKE, Essai, cit., II, 11, 5, p. 111, nota a piè di pagina) in merito alle facoltà conoscitive animali, giacché anche i più sottili ragionamenti metafisici non sono riusciti a svelare «le moindre secret de la Nature» (ibid.). Un recoulement ver-so posizioni scettiche che, in questo caso, trova le proprie ragioni non tanto in una critica contro l’arroganza e il dogmatisme di chi ha osato fissare i limiti delle capacità cognitive dei bruti, quan-to piuttosto in un certo risentimento nutrito dal traducteur nei confronti di Locke, a causa di una sua piccata risposta: quest’ultimo infatti, ricorda Coste, gli rivelò come l’Essai non si propones-se «de fixer, de déterminer les causes & les limites des facultés des Bêtes» (ibid.) rispondendogli brusquement: «Je n’ai pas écrit mon Livre pour expliquer les actions des Bêtes» (ibid.).

218 Poiché, come è stato giustamente evidenziato da Gibson, Locke riconosce la necessità di una capacità cognitiva che vada oltre la semplice com-presenza di più idee fornite dai sensi, ossia una considerazione (intellettiva) del molteplice come unità (la dozzina, ad esempio, non è solo la presenza di dodici unità, ma implica una percezione “sintetica”, ossia la considerazione delle uni-tà elementari con la consapevolezza che si tratta degli elementi di un unicum): cfr. LOCKE, Essay, cit., II, 11, 7, p. 158; GIBSON, Locke’s Theory of Knowledge, cit., pp. 62-63. Anche in quest’occa-sione Coste interviene con un’ampia nota a piè di pagina e, analogamente a quanto era accaduto in merito alla comparaison, anche la nota dedicata all’esame della capacità di composer les idées posseduta dagli animali può essere bipartita, in corrispondenza della terza e della quarta edizione dell’Essai: di contro a quanto sostenuto da Locke, ossia che gli animali non sembrano essere in grado di tenere il conto dei propri cuccioli (se non assai limitatamente), Coste (nella terza edizio-ne dell’Essai) riporta da Plinio l’esempio della tigre che, privata di alcuni suoi figli, non cessa di cercarli in preda a forte agitazione e, se colui che glieli ha rubati ne rilascia uno alla volta, lei li recupera uno dopo l’altro, rifacendo ogni giorno lo stesso percorso (cfr. LOCKE, Essai, cit., II, 11, 7, p. 112, nota a piè di pagina; il passo di Plinio citato da Coste è Hist. Nat., VIII, c. 18). Dalla

III. Perception, réflexion e abstraction 233

negare agli animali la funzione astrattiva (e quella ad essa intrinsecamente connessa, il naming).219 Ne è indizio il fatto che, mentre il titolo del para-grafo dedicato al compounding è «Brutes compound but little», quello dei due paragrafi in cui il pensatore inglese si interroga sulla presenza dell’astra-zione negli animali non lascia adito ad alcuna incertezza: «Brutes abstract not». Anche ciò cui il lettore si trova di fronte in tali paragrafi è un giudi-zio tranchant:

I think, I may be positive in, That the power of Abstracting is not at all in them; and that the having of general Ideas, is that which puts a perfect distinction betwixt Man and Brutes; and is an Excellency which the Faculties of Brutes do by no means

qual cosa, conclude Coste nella terza edizione, «à juger sincérement & sans prévention de la Ti-gresse par tout ce qu’elle fait en cette occasion, il me semble qu’il est très probable qu’elle s’ap-perçoit que le nombre de ses petits a été diminué» (ibid.). Né egli manca di ricordare simili casi attestati da Plutarco (ricevuti attraverso la mediazione degli Essais di Montaigne: cfr. MONTAIGNE, Essais, cit., I, II, 12, p. 464; Coste utilizza in questo caso l’edizione del 1739 [tome III, livre II, ch. XII, p. 67]), da Eliano, etc.: non volendo tuttavia entrare nel merito della definizione di cosa sia l’instinct naturel che guida gli animali nel loro comportamento scandito da tempi regolari (ri-cerca che sconfinerebbe vanamente nell’ambito metafisico), il traducteur (nella quarta edizione) ammette che occorre riconoscere che come i bruti sono in grado di s’appercevoir della differenza tra due durate temporali, così all’uomo non è lecito capire come ciò avvenga. «Notre affaire est de connoître, de perfectionner [les facultés] […] que Dieu nous a données à nous avec plus de profusion qu’aux autres Habitans de la Terre, & d’en faire un bon usage», conclude Coste (ivi, II, 11, 7, p. 113, nota a piè di pagina).

219 Si tratta dell’assegnazione di verbal signs alle idee possedute, così da comunicare i pro-pri pensieri agli altri uomini (cfr. LOCKE, Essay, cit., II, 11, 8, pp. 158-159), che Coste traduce in maniera perifrastica con «Donner des noms aux Idées» (cfr. ID., Essai, cit., II, 11, 8, p. 113). Tale faculty è essenziale per l’uomo, essendo quest’ultimo, come Locke afferma espressamente nell’in-cipit del Third Book, essenzialmente caratterizzato dalla socievolezza (in linea più con la tradizio-ne aristotelica che hobbesiana), dal fatto cioè che egli è una creature che non ha solo l’inclination (che nella versione di Coste diviene il désir), ma anche la necessity di vivere in società (tale è il senso dell’aggettivo sociable). A tal fine l’uomo possiede il language (in Coste, la faculté de parler: cfr. ID., Essai, cit., III, 1, 1, p. 322), che non potrebbe certo adempiere al proprio ruolo di col-lante della società se fosse una semplice successione di suoni articolati: il linguaggio deve essere, primariamente, sign, ossia rimando (intenzionale) ai things as really they are (non i Dinge an sich kantiani, bensì il piano dell’effettiva esperienza distinta dalla sfera delle bare imaginations sogget-tive, specialmente se si tratta di idee complesse di sostanza: cfr. ID., Essay, cit., III, 2, 5, p. 407), sia espressione e mezzo comunicativo delle internal conceptions (in senso lato, ossia come sinonime di ideas, specialmente quelle semplici e dei modi) alle quali è legato da una voluntary connexion (in francese si trova institution arbitraire: cfr. ID., Essai, cit., III, 2, 1, p. 325) che ha finito per im-porsi a livello sovra-individuale divenendo una convenzione linguistica simile per forza a una vera e propria natural connexion (cfr. ID., Essay, cit., III, 2, 1, p. 405; Coste traduce con liaison natu-relle: cfr. ID., Essai, cit., III, 2, 1, p. 324). Né ciò è sufficiente: lo strettissimo nesso tra il naming e l’abstraction emerge dalla considerazione del fatto che, se le idee del soggetto fossero tutte indi-viduali e così anche i termini con cui esprimerle, si finirebbe inevitabilmente con l’avere un’infi-nità di parole, il che sarebbe contemporaneamente impossibile, inutile e dannoso (cfr. ID., Essay, cit., III, 3, 1-4, pp. 409-410). Il linguaggio deve quindi farsi generale (mantenendo proper names per le cose particolari quando necessario) e l’astrazione, intesa però come “astrazione generaliz-zante”, viene fatta intervenire da Locke proprio a tal fine.

Lost and Found in Translation?234

attain to. […] And therefore I think we may suppose, That ’tis in this, that the Spe-cies of Brutes are discriminated from Man; and ’tis that proper difference wherein they are wholly separated, and which at last widens to so vast a distance.220

Il discerning è proprio la prima delle dramatis personae agenti in tale frattu-ra in seno alla catena degli esseri (un vero e proprio salto qualitativo, giac-ché Locke afferma espressamente che, anche elevando a potenza ennesima le capacità animali, non si giungerebbe mai all’abstraction umana).221 Si trat-ta quindi di comprendere in che cosa consista e come avvenga tale opera-tion. In merito, si può immediatamente compiere un’osservazione generale: nell’Essay non ci si trova di fronte né a una trattazione lineare e continuati-va dell’astrazione, né a una terminologia precisa, il che non impedisce affat-to di cogliere il senso dell’abstraction e le modalità in cui avviene tale pro-cesso psichico. Seguiamo l’ordine espositivo proposto nell’Essay.

Una prima definizione di abstraction viene fornita nell’undicesimo ca-pitolo del Second Book:

The Mind makes the particular Ideas, received from particular Objects to become general; which is done by considering them as they are in the Mind such Appearances, separate from all other Existences, and the circumstances of real Existence, as Time, Place, or any other concomitant Ideas [corsivo nostro]. This is called ABSTRAC-TION, whereby Ideas taken from particular Beings, become general Representa-tives of all of the same kind; and their Names general Names, applicable to what-ever exists conformable to such abstract Ideas. Such precise, naked Appearances in the Mind, without considering , how, whence, or with what others they came there [corsivo nostro], the Understanding lays up […] as the Standards to rank real Ex-istences into sorts, as they agree with these Patterns, and to denominate them ac-cordingly. Thus the same Colour being observed to day in Chalk or Snow, which the Mind yesterday received from Milk, it considers that Appearance alone, makes it a representative of all of that kind [corsivo nostro]; and having given it the name

220 LOCKE, Essay, cit., II, 11, 10-11, pp. 159-160. Coste, sempre nella terza edizione dell’Essai, esprime i propri dubbi in merito a tale esclusione in due brevi note a piè di pagina (cfr. LOCKE, Essai, cit., II, 11, 10, p. 114; II, 11, 11, p. 115), chiedendosi se un cane che rincorre un cervo e rifiuta di seguire la pista di un altro cervo, così facendo, non compia forse una specie di astra-zione. Gli stessi animaux savants, ricorda il traducteur, pongono coloro che compiono affermazio-ni troppo categoriche in merito alle capacità cognitive dei bruti di fronte alla consapevolezza de-gli angusti limiti della conoscenza umana. Ancora una volta Coste richiama così i Philosophes alla cautela, che, in fin dei conti, riconosce anche in Locke, evidenziando nel testo del filosofo ingle-se (mediante l’espediente tipografico dell’italico) un je crois che nella prima edizione dell’Essai era passato in secondo piano.

221 Circa il dibattito sorto in merito all’esistenza di un’intelligenza animale (in cui Locke pare prendere le distanze dalla posizione dei cartesiani, senza divenire al contempo un sostenito-re delle tesi di Gassendi), cfr. il saggio: S. GENSINI, Bruti o comunicatori? Modelli della mente e del linguaggio animale fra Cinque e Seicento, in CANONE (ed.), Per una storia del concetto di men-te, cit., vol. 2, pp. 193-221.

III. Perception, réflexion e abstraction 235

Whiteness, it by that sound signifies the same quality wheresoever to be imagin’d or met with; and thus Universals, whether Ideas or Terms, are made.222

Nel primo paragrafo del capitolo successivo, il dodicesimo, si fa poi un ra-pido accenno all’astrazione, presentando le tre tipologie di acts del mind sul-le simple ideas mediante i quali si ottengono le complex ideas:

As the Mind is wholly Passive in the reception of all its simple Ideas, so it exerts several acts of its own, whereby out of its simple Ideas, as the Materials and Foun-dations of the rest, the others are framed. The Acts of the Mind wherein it exerts its Power over its simple Ideas are chiefly these three, 1. Combining several simple Ideas into one compound one, and thus all Complex Ideas are made. 2. The 2d. is bringing two Ideas, whether simple or complex, together; and setting them by one another, so as to take a view of them at once, without uniting them into one; by which way it gets all its Ideas of Relations. 3. The 3d. is separating them from all other Ideas that accompany them in their real existence; this is called Abstraction: And thus all its General Ideas are made [corsivo nostro].223

Successivamente, all’interno del Third Book, dopo un fugace accenno nel primo capitolo in relazione al passaggio dai particular terms ai general terms (mediante una non precisata difference of the ideas di cui le parole sono segni),224 Locke, nel terzo capitolo, si concentra sulle modalità in cui avvie-ne il processo astrattivo, in relazione alla trasformazione dei termini da par-ticolari in generali. Il passo è di una certa lunghezza (poiché si compone di una parte in cui è formulata la natura del processo astrattivo e di un’altra in cui se ne dà illustrazione mediante un esempio), ma merita di essere ri-portato interamente:

Ideas become general, by separating from them the circumstances of Time, and Place, and any other Ideas, that may determine them to this or that particular Existence. By this way of abstraction they are made capable of representing more Individuals than one [corsivo nostro]; each of which, having in it a conformity to that abstract Idea, is (as we call it) of that sort. […] There is nothing more evident, than that the Ide-as of the Persons Children converse with, (to instance in them alone) are like the Persons themselves, only particular. The Ideas of the Nurse, and the Mother, are well framed in their Minds; and, like Pictures of them there, represent only those Individuals. […] Afterwards, when time and a larger Acquaintance has made them observe, that there are a great many other Things in the World, that in some com-mon agreements of Shape, and several other Qualities, resemble their Father and Mother, and those Persons they have been used to, they frame an Idea, which they

222 Ivi, II, 11, 9, p. 159.223 Ivi, II, 12, 1, p. 163.224 Cfr. ivi, III, 1, 3, p. 402.

Lost and Found in Translation?236

find those many Particulars do partake in; and to that they give, with others, the name Man, for Example. And thus they come to have a general Name, and a gen-eral Idea. Wherein they make nothing new, but only leave out of the complex Idea they had of Peter and James, Mary and Jane, that which is peculiar to each, and re-tain only what is common to them all [corsivo nostro]. By the same way, that they come by the general Name and Idea of Man, they easily advance to more general Names and Notions. For observing, that several Things that differ from their Idea of Man, and cannot therefore be comprehended under that Name, have yet certain Qualities, wherein they agree with Man, by retaining only those Qualities, and unit-ing them into one Idea, they have again another and a more general Idea; to which having given a Name, they make a term of a more comprehensive extension [corsivo nostro]: Which new Idea is made, not by any new addition, but only, as before, by leaving out the shape, and some other Properties signified by the name Man, and retaining only a Body, with Life, Sense, and spontaneous Motion, comprehended under the Name Animal.225

Un processo, questo, che viene riproposto alcuni paragrafi dopo, laddove si osserva che general e universal sono inventions and creatures of the un-derstanding, ossia non sono entità reali perché la dimensione della real exi-stence è propria di ciò che è particular :

Ideas, are general, when they are set up, as the Representatives of many particu-lar Things: but universality belongs not to things themselves, which are all of them particular in their Existence, even those Words, and Ideas, which in their signifi-cation, are general. When therefore we quit Particulars, the Generals that rest, are only Creatures of our own making, their general Nature being nothing but the Ca-pacity they are put into by the Understanding, of signifying or representing many par-ticulars [corsivo nostro].226

L’ultima presentazione dell’abstraction, ancora una volta concisa ma estre-mamente significativa, si trova nel nono capitolo del Fourth Book:

We have only considered the Essences of Things, which being only abstract Ideas, and thereby removed in our Thoughts from particular Existence, (that being the prop-er Operation of the Mind, in Abstraction, to consider an Idea under no other Exist-ence, but what it has in the Understanding), [corsivo nostro] gives us no Knowl-edge of real Existence at all.227

Dall’esame comparato dei passi precedentemente proposti emergono imme-diatamente due oscillazioni terminologiche e concettuali, corrispondenti a

225 Ivi, III, 3, 6-8, pp. 411-412.226 Ivi, III, 3, 11, p. 414.227 Ivi, IV, 9, 1, p. 618.

III. Perception, réflexion e abstraction 237

due teorie in merito all’astrazione non sempre tra loro conciliabili. La pri-ma di queste oscillazioni riguarda l’oggetto dell’attività del discerning che, vale la pena di ricordarlo, consiste nell’individuazione, in seno al concre-to contenuto sperimentale, di elementi caratterizzati da una specificità che non viene annullata dalla com-presenza casuale o dalla necessaria coesisten-za nell’unicità del dato psichico e permette di riconoscere come l’uno sia se stesso e non l’altro. Come osserva Locke a proposito della distinzione dell’idea di space e di quella di solidity:

I appeal to every Man’s own Thoughts, whether the Idea of Space be not as dis-tinct from that of Solidity, as it is from the Idea of Scarlet-Colour? ’Tis true, Solidity cannot exist without Extension, neither can Scarlet-Colour exist without Extension; but this hinders not, but that they are distinct Ideas. Many Ideas require others as necessary to their Existence or Conception, which yet are very distinct Ideas.228

Quali sono tali elementi oggetto di discernimento? Per rispondere a questa domanda occorre portare l’attenzione al ventisettesimo capitolo del Second Book, dove il pensatore inglese espone la propria concezione del cosiddet-to principium individuationis:

The principium Individuationis […] is Existence it self; which determines a Being of any sort to a particular time and place [corsivo nostro] incommunicable to two Beings of the same kind.229

Ora, stando a quanto Locke afferma in Essay, II, 11, 9 e nella prima parte di Essay, III, 1, 3 (in maniera più oscura anche in Essay, IV, 9, 1), pare che il pensatore inglese faccia riferimento proprio a tale principio individuan-te (l’existence e le circumstances of real existence quali time e place) 230 come

228 Ivi, II, 13, 11, pp. 171-172.229 Ivi, II, 27, 3, p. 330.230 A tal proposito, quello di cui Locke può essere rimproverato è di essere stato piuttosto

ambiguo circa il tipo di esistenza che è implicata nell’astrazione come principio di individuazio-ne. Egli pare infatti considerare tale existence ora in senso gnoseologico (l’esserci cui va ricondot-to analiticamente il rapporto di presenza al mind e, a dirigere l’interpretazione in questa direzio-ne, vi è l’esempio del colore bianco di Essay, II, 11, 9, ossia il colore visto in più occasioni e poi considerato in sé a prescindere da qualsiasi attualizzazione esso riceva, anche come mero conte-nuto psichico, senza riferimento alcuno all’esistenza di “cose” indipendenti dal soggetto); ora in accezione ontologica, come sussistenza. Luoghi come l’incipit del nono capitolo del Fourth Book portano a ipotizzare che Locke assuma la real existence in accezione ontologica, giacché qui si af-fronta il tema dell’esistenza di “cose” che vadano oltre la dimensione del mentale, ossia dei con-tenuti psichici del soggetto (per cui sarebbe un’astrazione la considerazione della sola esisten-za delle idee nella mente del soggetto, a prescindere dall’effettiva esistenza di ciò che può essere detto real thing). Cfr. anche ivi, IV, 3, 31; IV, 4, 8; IV, 5, 8; IV, 11, 13-14; IV, 12, 7. Il che è pure in accordo con quanto Locke osserva nel cosiddetto Draft C dell’Essay (manoscritto risalente al 1685 che andrò ad analizzare nelle pagine successive del presente lavoro), poiché egli parla di real

Lost and Found in Translation?238

a uno degli elementi còlti dal discerning, assieme a ciò che si mostra allo sguardo del mind, ossia ciò che l’idea fa, etimologicamente, vedere (i suoi caratteri strutturali, per cui essa è quello che è): in tal modo l’abstract idea si ottiene dis-individuando l’appearance, spogliandola dell’elemento esisten-ziale-individuante (tale idea astratta viene appunto indicata da Locke con l’espressione naked appearance e l’aggettivo precise sta a significare che tale astrazione non mira a produrre “generi”, ma lascia intatta la particolarità delle idee, ossia le loro caratteristiche peculiari).

L’oscillazione di cui si parlava precedentemente consiste nel fatto che da una parte sembra che sia in virtù di tale processo di dis-individuazione (lasciamo momentaneamente da parte le modalità in cui avviene la spolia-zione dell’appearance indicata dal prefisso privativo dis) che le idee «taken from particular Beings» divengano «general Representatives of all of the same kind» 231 o «capable of representing more Individuals than one; each of which, having in it a conformity to that abstract Idea» 232 (si noti la ri-presa, quasi testuale di quel «Beings of the same kind» che si incontra nella definizione del principium individuationis, a riprova del fatto che l’elemento esistenziale riveste un ruolo cruciale in relazione alla capacità multi-rappre-sentativa dell’idea astratta). Dall’altra parte, Locke propone invece (come in Essay, III, 3, 7-8 e ivi, III, 3, 11) una seconda tipologia di astrazione, quel-la illustrata con l’esempio del passaggio, nella psiche del bambino, dall’idea complessa particolare di nurse o mother a quella di man e, successivamen-te, di animal.

In tal caso, nell’idea complessa (di sostanza) posseduta dal soggetto, il discerning si applica alle properties o qualities delle cose, distinguendo i ca-ratteri peculiar (che conferiscono la particolarità ai things) e quelli common. Benché tali qualità non rientrino nella definizione ufficiale di principium in-dividuationis, è ad esse che viene conferito il ruolo di rendere individuali le idee complesse di sostanze e per questo motivo non è illecito considerare il processo con cui il mind acquisisce «more general Names and Notions»,233

existence tanto in riferimento ai cosiddetti enti, quanto a contenuti psichici semplici. Vero è che Locke riconosce l’idea semplice di esistenza come derivante dalla considerazione sia delle idee considerate in sé, sia delle cose (enti): «When Ideas are in our Minds, we consider them as be-ing actually there, as well as we consider things to be actually without us; which is, that they ex-ist, or have Existence» (LOCKE, Essay, cit., II, 7, 7, p. 131). Altrettanto vero è che l’esistenza ap-partenente agli enti non è un’idea data, ma è ricavata dall’analisi dei contenuti immediati della coscienza (si vedano in merito le tesi in merito alla sensation esposte nel Fourth Book): il che as-segna all’esistenza gnoseologica la priorità rispetto a quella ontologica e ciò può valere, a mio av-viso, anche in relazione all’astrazione.

231 LOCKE, Essay, cit., II, 11, 9, p. 159.232 Ivi, III, 3, 6, p. 411.233 Ivi, III, 3, 8, p. 411.

III. Perception, réflexion e abstraction 239

ossia idee «of a more comprehensive extension»,234 una dis-individuazione (anche se, a rigore, si dovrebbe parlare di “astrazione generalizzante”, non essendo tali caratteristiche, per definizione di Locke, l’elemento individuan-te in senso stretto).235

Né pare si possa affermare che Locke affronti apertamente il rapporto sussistente tra le due tipologie di astrazione: si ottengono infatti, agli occhi del filosofo inglese, idee abstract o general (o universal) con ambedue i pro-cessi e non c’è una vera e propria priorità dell’uno rispetto all’altro. I due tipi di astrazione sono addirittura presentati come non pienamente distin-guibili, poiché, laddove si parla di “separazione” da tutto ciò che può con-notare un’idea con una particolare esistenza, il filosofo complica poi (e for-se rende oscuro) il discorso dell’estensione della “comprensione” delle idee complesse mediante la distinzione tra qualità più o meno definite o comu-ni. Inoltre, se ben si osserva, la maggior parte delle formulazioni dell’ab-straction racchiudono in sé ambedue le tipologie di processo astrattivo: ac-canto all’esistenza nel qui e ora si trovano infatti indicate, come elementi su cui operare l’astrazione, «any other concomitant Ideas» (Essay, II, 11, 9), «how, whence, or with what others [leggi: altre determinazioni oltre a how e whence] they came there» (Essay, II, 11, 9), «all other Ideas that accom-pany them in their real existence» (Essay, II, 12, 1) e «any other Ideas, that may determine them to this or that particular Existence» (Essay, III, 3, 6).

Il concetto stesso di sort e di conformità a tale sort implica una distin-zione tra i caratteri di un contenuto e il riconoscimento di qualità analoghe oltre quelle peculiari, distinzione che non può essere considerata equivalente alla distinzione dell’appearance come elemento strutturale dalla sua esisten-za effettiva e dalle coordinate spazio-temporali di quest’ultima.

George Moyal, curatore della recente riedizione Champion dell’edizione del 1742 dell’Essai lockiano, evidenzia come il filosofo inglese ponga sullo stesso piano, quasi come un unico processo (o due processi che pervengano ai medesimi risultati), due diverse tipologie di astrazione poco conciliabili tra loro, mettendo il lettore di fronte a una discrasia che rimane irrisolta:

Le processus d’abstraction que Locke décrit ici est différent de celui dont il est question dans la section précédente [ossia il primo tipo di astrazione esposto nel § 6 del terzo capitolo, libro terzo]. Certes, on peut penser a priori que les deux pro-cessus aboutissent, dans chaque cas, au même résultat. Locke se doit cependant de

234 Ibid.235 Alquanto interessante è, a mio avviso, l’analisi compiuta nel 1927 da Giuseppe Zambo-

ni in merito alla duplicità della concezione lockiana del processo astrattivo: G. ZAMBONI, Corso di gnoseologia pura elementare, I.2, Idee e giudizi, a cura di F. L. Marcolungo, Milano, IPL, 1990, pp. 15-19.

Lost and Found in Translation?240

démontrer – mais ne le fait nulle part – pourquoi on est en droit de s’y attendre, c’est-à-dire, de démontrer que ce qui reste après qu’on a ôté d’une idée les circons-tances de temps et de lieu qui la “déterminent” à telle ou telle existence particu-lière, il ne doit y demeurer que les traits communs à toutes les idées représentant les individus membres d’une même espèce.236

Una possibilità di trovare un accordo tra i due processi che Moyal aveva già giudicato remota quando, in una nota a piè di pagina apposta alla pri-ma definizione di astrazione data da Locke nel libro secondo, giustamente riscontrava nella concezione dell’abstraction come funzione psichica legata alla distinzione dell’appearance e dell’esistenza (con le relative coordinate spazio-temporali) una ripresa di certe istanze platoniche (più che platoni-che, suggerirei scolastiche): 237 La conception de l’abstraction que présente ici Locke, s’apparente à celle des For-mes platoniciennes dans la mesure où l’idée abstraite, épurée comme elle l’est des coordonnées de temps et de lieu qui en feraient une idée particulière, transcen-de ainsi temps et espace et assure par là son immutabilité. Cette transcendance lui permettra de participer à la formation des vérités éternelles. […] Cette façon de concevoir l’abstraction soulève nombre de difficultés. […] L’un de ces problèmes

236 LOCKE, Essai, éd. par Moyal, cit., II, 11, 9, p. 576, nota 18 a piè di pagina.237 Assai datata e, soprattutto, inadeguata è l’analisi del pensiero lockiano in materia di astra-

zione compiuta da Krakowski, in quanto essa mira a dimostrare che l’impostazione del pensato-re inglese è nominalistica (accentuando la contrapposizione tra l’individualità e l’irripetibilità di ciò che esiste e la natura prettamente mentale dell’astratto e dell’universale) e arriva a dichiara-re «avec certitude» che Locke aveva letto le opere di Guglielmo di Ockham e del suo seguace tedesco Gabriel Biel (ipotizzando anche la conoscenza delle tesi di Guillaume Durand de Saint-Pourçain). Cfr. E. KRAKOWSKI, Les Sources médiévales de la philosophie de Locke, thèse pour le Doctorat, Pa ris, Jouve & Cie éditeurs, 1915, pp. 115-139. Egli non fornisce tuttavia alcuna eviden-za testuale, ma si limita a riscontrare delle analogie, a mio avviso estrinseche, tra le tesi di Locke e quelle di Ockham (a ciò si aggiunga il fatto che nel catalogo della biblioteca del filosofo ingle-se non figura nessuno degli autori citati da Krakowski). Analogie con la posizione concettualistica sono invece rilevate da Gibson: cfr. GIBSON, Locke’s Theory of Knowledge, cit., p. 202. Assai ac-curato è l’articolo di Milton, The Scholastic Background to Locke’s Thought, che va a colmare al-cune lacune e inesattezze dell’interessante tesi di dottorato di Henry Kenney (cfr. H. W. KENNEY, John Locke and the Oxford Training in Logic and Metaphysics, Ph.D. thesis, St. Louis, St. Louis University, 1959): Milton evidenzia come la conoscenza che Locke aveva della scolastica fosse li-mitata ai più recenti pensatori di tale corrente di pensiero (in primis, Philippe Du Trieu e Ro-bert Sanderson, dei quali possedeva, rispettivamente la Manuductio ad Logicam [esemplare edito a Colonia nel 1657] e il Logicae Artis Compendium [versione stampata a Oxford nel 1615]) ed era al corrente del pensiero dell’Aquinate solo mediatamente. Né ci sono evidenze testuali che por-tino a pensare a una lettura lockiana di Suarez. Cfr. J. R. MILTON, The Scholastic Background to Locke’s Thought, «The Locke Newsletter», 15 (1984), pp. 25-34. D’accordo con Milton, se nella concezione lockiana dell’astrazione vi è una qualche eredità scolastica (e il fatto che il processo astrattivo sia incentrato sul principium individuationis è un importante indizio in merito), è ipo-tizzabile che essa sia stata acquisita indirettamente, ossia attraverso la mediazione della Logique di Arnauld (che analizzerò nelle pagine successive del presente lavoro). La questione delle fonti scolastiche di Locke resta in tal modo aperta.

III. Perception, réflexion e abstraction 241

est que, étant donné le programme empiriste lockien, il est difficile d’identifier, dans les idées des choses particulières, les idées de temps et de lieu qui en déter-minent autrement la particularité: ces coordonnées ne sont que des relations exter-nes entre l’être particulier en question et ce qui l’entoure, et ne font pas partie de l’idée que l’on en a. […] A ce compte, séparer l’idée du lieu (et de même celle du temps) qu’une chose occupe de celle de la chose elle-même, conserve à cette der-nière toutes ses particularités.238

Quanto alla seconda oscillazione, essa verte invece sulle specifiche modali-tà di intervento sui due elementi così distinti all’interno del contenuto-idea particolare: l’astrazione è cioè una loro “separazione” o una “parziale con-siderazione”? Dove il verbo to separe ha un ben preciso significato per il filosofo inglese, come emerge dalla trattazione dell’idea di spazio compiu-ta nei capitoli quarto e tredicesimo del Second Book: dopo aver individua-to nell’idea di solidity la caratteristica «most intimately connected with, and essential to Body» 239 (grazie alla quale quest’ultimo è in grado di to fill spa-ce 240 escludendo da esso ogni altra sostanza), egli nega categoricamente che il concetto di solidità possa essere identificato con quello di pure space 241 (giacché il movimento di un corpo da una posizione a un’altra implica uno spazio lasciato vuoto, nel senso di «pure Space without Solidity»).242 Al-trettanto netta è la distinzione tra l’extension of body e l’extension of space (che Locke preferisce chiamare, a scanso di equivoci, expansion): 243 mentre la prima è infatti «the cohesion or continuity of solid, separable, moveable Parts»,244 la seconda è «the continuity of unsolid, inseparable, and immo-veable Parts».245 Seguiamo i ragionamenti di Locke così come sono espos-ti nel tredicesimo capitolo:

The Parts of pure Space are inseparable one from the other; so that the Continu-ity cannot be separated, neither really, nor mentally. For I demand of any one, to

238 Ivi, II, 11, 9, pp. 248-249, nota 61 a piè di pagina.239 LOCKE, Essay, cit., II, 4, 1, p. 123. L’idea semplice di solidità non è solo uno dei caratteri

facenti parte immancabilmente dell’idea complessa di sostanza materiale, ma costituisce una del-le original or primary qualities of body (cfr. ivi, II, 8, 8-10, pp. 134-135).

240 Ivi, II, 4, 2, p. 123.241 In francese, espace pur. È da segnalare come nella quinta edizione dell’opera sia presen-

te l’errore ortografico espace dur al posto del corretto espace pur (presente nella prima edizio-ne dell’opera). Si confrontino i passaggi in questione: ID., Essai (1700), cit., II, 4, 3, p. 120; ivi (1755), II, 4, 3, p. 80.

242 LOCKE, Essay, cit., II, 4, 3, p. 124.243 Cfr. ivi, II, 13, 26, p. 180.244 Cfr. ivi, II, 4, 5, p. 126.245 Ibid. Definizione, questa, che susciterà la perplessità di Coste, il quale sentirà il bisogno,

nella terza edizione, di riportare il testo inglese originale e di commentare che, stando alle tesi del

Lost and Found in Translation?242

remove any part of it from another, with which it is continued, even so much as in Thought. To divide and separate actually, is, as I think, by removing the parts one from another, to make two Superficies, where before there was a Continuity: And to divide mentally is, to make in the Mind two Superficies, where before there was a Continuity, and consider them as removed one from the other [corsivo nostro]; which can only be done in things considered by the Mind, as capable of being separat-ed; and by separation, of acquiring new distinct Superficies, which they then have not, but are capable of: But neither of these ways of Separation, whether real or mental, is, as I think, compatible to pure Space. ’Tis true, a Man may consider so much of such a Space, as is answerable or commensurate to a Foot, without consid-ering the rest; which is indeed a partial Consideration, but not so much as mental

Filosofo, il lettore si trova di fronte a una petizione di principio, giacché «il paroît que Mr. Locke donne des parties à l’Espace, parties non solides, inséparables & incapables d’être mises en mouve-ment. De savoir s’il est possible de concevoir sans l’idée de partie, ce qui ne peut être conçu com-me séparable de quelque autre chose à qui l’on donne le nom de partie dans le même sens, c’est ce qui me passe, & dont je laisse la détermination à des Esprits plus subtils & plus pénétrans» (ID., Essai, cit., II, 4, 5, p. 82, nota a piè di pagina). Un rimprovero, questo, che muove dal pre-supposto che il concetto di parte implichi quello di divisione, senza considerare la differenza tra quest’ultimo concetto e quello di distinzione (che nell’Essai verrà esposta ivi, II, 13, 13, p. 125). Né l’obiezione di Coste fu l’unica ad essere mossa in merito: Barbeyrac, che fu introdotto alle tesi dell’Essay grazie alla mediazione del proposant di Uzès, attese con impazienza la seconda edizione della traduzione di Coste e contribuì egli stesso (indirettamente) all’apparato critico. Ne è prova la lettera che egli inviò a Coste contenente una petite objection circa lo spazio, lettera che fu sot-toposta all’attenzione di Locke stesso. Il traducteur, in una nota a piè di pagina inserita nell’edi-zione del 1729, espone brevemente l’obiezione di Barbeyrac: «Si l’Espace est composé de parties […] il ne sauroit le mettre au nombre des idées simples, ou bien […] il doit renoncer à ce qu’il dit ailleurs, qu’une des propriétés des idées simples, c’est d’être exemptes de toute composition, & de ne produire dans l’ame qu’une conception entiérement uniforme, qui ne puisse être distinguée en différentes idées [cfr. ivi, II, 2, 1, p. 75]. A quoi on ajoûte […] qu’on est surpris que Mr. Locke n’ait pas donné dans le Chapitre II du II Livre, où il commence à parler des Idées simples, une définition exacte de ce qu’il entend par Idées simples» (ivi, II, 15, 9, p. 151). Interamente ripor-tata è invece la risposta di Locke (dettata personalmente a Coste e inserita nell’edizione postuma dell’Essay, del 1706: cfr. ID., Essay, cit., II, 15, 9, pp. 201-202): il filosofo inglese, dopo aver am-messo che nulla è più estraneo all’Essay di un ordine espositivo parfaitement scholastique (giacché l’interesse di Locke è quello di chiarire il più possibile i termini di volta in volta utilizzati), afferma che tale difficoltà non gli era sfuggita e aveva cercato di far chiarezza in merito nel nono paragra-fo del quindicesimo capitolo (pp. 151-153 dell’edizione francese consultata, pp. 201-203 dell’edi-zione Nidditch dell’Essay). Ora, come accordare la tesi per cui l’idea di espace è semplice, con il riconoscimento del fatto che in essa vi è sempre «quelque sorte de composition» (ID., Essai, cit., II, 15, 9, p. 151)? Assieme all’idea di power, quella di space mette in crisi il modello composizio-nale che Locke pare seguire. Benché il soggetto non riesca a rappresentarsi l’idea di space without parts, queste sono tutte dello stesso tipo e per questo è lecito dire che lo spazio è un’idea sem-plice: la semplicità dell’idea di spazio deriva quindi dal fatto che, più che per composizione, essa pare essere un’unità e totalità infinitamente distinguibile in elementi tra essi omogenei. È tuttavia possibile individuare un minimum sperimentale spaziale di cui si ha una conoscenza chiara e di-stinta, il sensible point (che rappresenta per lo spazio ciò che il moment costituisce in relazione alla durata): «The least Particle of Matter or Space we can discern» (ID., Essay, cit., II, 15, 9, p. 203). Questo minimum, agli occhi di Locke, costituisce ciò che vi è di più adatto, tra i contenuti forni-ti dall’esperienza sensibile, ad essere definito idée simple d’espace. Da tale nucleo sperimentale è possibile ottenere ogni modo dello spazio, applicando (e riabilitando) il modello composizionale.

III. Perception, réflexion e abstraction 243

Separation, or Division [corsivo nostro]; since a Man can no more mentally divide, without considering two Superficies, separate one from the other, than he can ac-tually divide, without making two Superficies disjoin’d one from the other: But a partial consideration is not separating. A Man may consider Light in the Sun, without its Heat; or Mobility in Body without its Extension, without thinking of their sepa-ration. One is only a partial Consideration, terminating in one alone; and the other is a Consideration of both, as existing separately [corsivo nostro].246

Mentre la separation o division è un processo che ha come esito la formazio-ne di due nuove idee da un’unico contenuto originario (sia really mediante prassi, sia mentally con un esperimento di disgiunzione mentale), la partial consideration è una semplice operazione di discernimento di elementi strut-turalmente diversi e irriducibili che tuttavia non possono costituire entità (in senso lato) esistenti indipendentemente, operazione terminating in one alone giacché non si traduce in nulla che non sia una direzione dell’atten-zione su uno degli elementi così distinti (ragione per cui John Mackie par-la di selective attention).247

Una definizione di partial consideration (in contrapposizione alla separa-tion) che, osserva Walmsley, affonda le proprie radici nelle riflessioni com-piute da Locke sin dal 1671 (come emerge dall’analisi dei Drafts A, B e C, nonché da una nota del Journal del pensatore datata Jun. 20, 1676 dedica-ta all’esame dell’idea di spazio).248 Particolarmente interessante è la defini-zione di abstraction data da Locke nel Draft C (1685) dell’Essay, una defini-zione alternativa a quella del già citato Essay, II, 11, 9 (con alcune varianti poi espunte dalla versione finale dell’opera data alle stampe):

Abstraction […] is nothing else but the Considering any Idea barely & precisely in it self strip[’]d of all Externall Existence & circumstances [corsivo nostro]. By

246 LOCKE, Essay, cit., II, 13, 13, pp. 172-173.247 Cfr. J. L. MACKIE, Problems from Locke, Oxford, Oxford University Press, 1976, pp.

109-112.248 Una dettagliata analisi dei Drafts si trova in: J. WALMSLEY, voce “Abstraction, Universals

and Species”, in SAVONIUS-WROTH - SCHUURMAN - WALMSLEY (eds.), The Continuum Companion to Locke, cit., pp. 122-123. I rimandi bibliografici compiuti da Walmsley sono a J. LOCKE, Drafts for the Essay concerning Human Understanding and Other Philosophical Writings, vol. 1 (of 3), ed. by P. H. Nidditch and G. A. J. Rogers, Oxford, Clarendon Press, 1990, Draft A, pp. 1-83; Draft B, pp. 85-270 (Drafts precedentemente editi come: LOCKE, An early Draft of Locke’s Essay [Draft A], cit. e J. LOCKE, An Essay concerning the Understanding, Knowledge, Opinion, and Assent [Draft B], ed. by B. Rand, Cambridge, Harvard University Press, 1931). Circa il Draft C del 1685, cfr. J. LOCKE, An Essay concerning Humane Understanding in Fower Books 1685, Pierpont Morgan Li-brary, New York, MA 998 (manoscritto consultabile come microfilm presso la Bodleian Library: MS. Film 57). Per un commento a tale Draft, corredato di citazioni, cfr. AARON, John Locke, cit., Notes 1 and 2, pp. 50-73. Quanto alla nota del Journal, cfr. LOCKE, An early Draft of Locke’s Es-say, cit., Sat. 20 Jun. 1676, pp. 77-80.

Lost and Found in Translation?244

this way of considering them [corsivo nostro] Ideas taken from particular things become universal being reflected on as nakedly such appearances as in the minde without considering how or whence or with what others they came there [corsivo nostro].249

Ciò posto, non sembra che nell’Essay si possa riscontrare una chiara pre-sa di posizione, da parte di Locke, a favore della separation/division di contro alla partial consideration (come vorrebbe invece Walmsley): 250 d’ac-cordo con Michael Ayers,251 in entrambe le tipologie di astrazione (come disindividuazione e come astrazione generalizzante) prevale invece la tesi per cui le idee possedute, pur rimanendo in sé particolari e determina-te, acquisiscono la capacità di rappresentare qualsiasi esistenza corrisponda a ciò che è considerato o fatto oggetto esclusivo di attezione prescinden-do da ciò che è considerato principio di individuazione e incomunicabi-lità. Come si diceva, l’oscillazione tra i due concetti esiste e spesso ci si trova di fronte a passi caratterizzati da una pericolosa ambiguità come il se-guente:

The Mind, to make general Ideas, comprehending several particulars, leaves out those of Time, and Place, and such other, that make them incommunicable to more than one Individual, so to make other yet more general Ideas, that may comprehend different sorts, it leaves out those Qualities that distinguish them, and puts into its new Collection, only such Ideas, as are common to several sorts.252

Espressioni come to separe, to leave out, to make other yet more general Ideas vanno quindi comprese strappandole dal contesto specifico e ponen-do mente alle espressioni e ai concetti usati da Locke per illustrare il senso dell’abstraction all’interno dell’Essay nella sua totalità, ossia al fatto che, se-condo il pensatore inglese, mediante il processo astrattivo non viene posta una nuova idea, diversa e indipendente rispetto all’originaria idea concre-ta, ma è sempre questa stessa ad acquisire un’ulteriore capacità e a svolge-re una nuova funzione di natura intellettiva, perché còlta in ciò che la ren-

249 LOCKE, An Essay concerning Humane Understanding in Fower Books 1685, cit., MA 998 II, 13, 6. Per l’interpretazione di tale variante, rimando il lettore alla nota 230 a piè di pagina del presente capitolo.

250 WALMSLEY, voce “Abstraction, Universals and Species”, in The Continuum Companion to Locke, cit., p. 123.

251 Cfr. M. AYERS, Locke’s Account of Abstract Ideas - Again, in HUTTON - SCHUURMAN (eds.), Studies on Locke. Sources, Contemporaries, and Legacy, cit., pp. 59-73. Quanto alle tesi di Walm-sley cui fa riferimento Ayers, cfr. J. WALMSLEY, Locke on Abstraction. A Response to M. R. Ayers, «British Journal for the History of Philosophy», 7 (1999), pp. 123-134; ID., The Development of Lockean Abstraction, «British Journal for the History of Philosophy», 8 (2000), pp. 395-418.

252 LOCKE, Essay, cit., III, 6, 32, p. 459.

III. Perception, réflexion e abstraction 245

de astratta e comunicabile (analogamente a quanto sostenuto da Tomida 253 e di contro sia alle critiche di Berkeley,254 sia all’imagist theory di Ayers).255

È a questo punto possibile esaminare il testo francese e il suo rapporto con l’originale inglese. Giunto al primo dei passi sopraccitati (che riporto nuovamente per comodità del lettore), passo in cui Locke scrive che l’abstrac-tion «is done by considering them as they are in the Mind such Appearan-ces, separate from all other Existences, and the circumstances of real Exis-tence, as Time, Place, or any other concomitant Ideas»,256 Coste traduce:

[L’esprit compie l’astrazione] en considérant ces idées comme des apparences sé-parées de toute autre chose, & de toutes les circonstances qui font qu’elles repré-sentent des Etres particuliers actuellement existans, comme sont le tems, le lieu, & autres idées concomitantes.257

Se ben si osserva, le due versioni non sono perfettamente corrispondenti e non si tratta solo di una questione linguistica: ciò che passa in secondo pia-no è il fatto che per Locke l’astrazione (la dis-individuazione in senso stret-to) riguarda l’idea in relazione alla sua particolare esistenza e a ogni altra esistenza che essa può avere. Questo slittamento dalla concezione dell’astra-zione come processo primariamente operante sul piano esistenziale a quella di mero ampliamento di un processo rappresentativo si ha in virtù del fat-to che Coste evita di tradurre il sostantivo inglese existence, in entrambi i casi in cui esso appare, sostituendolo da una parte con la generica perifrasi toute autre chose, dall’altra con êtres particuliers actuellement existans (quan-do, in questo secondo caso, Locke parla di real existence e non di particular beings). Coste pare così oscurare quello che è il primo tipo d’astrazione.

Maggior precisione e, di conseguenza, fedeltà è invece riscontrabile nel passo del terzo capitolo del Troisiéme Livre, in cui Coste scrive:

Les idées deviennent générales lorsqu’on en sépare les circonstances du tems, du lieu & de toute autre idée qui peut les déterminer à telle ou telle existence particu-liére. Par cette sorte d’abstraction elles sont rendues capables de représenter égale-

253 Cfr. Y. TOMIDA, Inquiries into Locke’s Theory of Ideas, Hildesheim-Zürich-New York, Olms, 2001, pp. 5-43.

254 Cfr. G. BERKELEY, A Treatise concerning the Principles of Human Knowledge. Part I [17101], in ID., The Works of George Berkeley, Bishop of Cloyne, vol. II, ed. by A. A. Luce and T. E. Jes-sop, London, Thomas Nelson, 1949, Introduction, §§ 6-17. Circa il contesto cartesiano delle cri-tiche di Berkeley in merito all’astrazione, cfr. W. R. OTT, The Cartesian Context of Berkeley’s At-tack on Abstraction, «Pacific Philosophical Quarterly», 85 (2004), pp. 407-424.

255 Cfr. AYERS, Locke. Volume I: Epistemology, cit., pp. 44-51.256 LOCKE, Essay, cit., II, 11, 9, p. 159.257 ID., Essai, cit., II, 11, 9, p. 113.

Lost and Found in Translation?246

ment plusieurs choses individuelles, dont chacune […] [est] en elle-même confor-me à cette idée abstraite.258

Le difficoltà incontrate da Coste sono tuttavia comprensibili, giacché Locke viene a presentare una concezione di astrazione sotto vari aspetti insoli-ta rispetto al panorama filosofico francese del XVII secolo, una concezio-ne che non pare esser stata sviluppata né da Descartes nei Principes de la Philosophie,259 né da Arnauld nella Logique ou l’Art de penser 260 e nemme-no da Mariotte nel suo Essai de Logique 261 (tutti testi che Locke possede-va e ben conosceva).

Si pensi alla Logique ou l’Art de penser, in cui, dopo aver definito l’abs-traction d’esprit come la considerazione di un elemento distinto da un al-tro (qualsiasi essi siano), si presentano tre modalità di astrazione in analo-gia con le tipologie cartesiane di distinction:

258 Ivi, III, 3, 6, p. 329.259 Si prenda in considerazione quanto scrive Descartes nei Principes in merito alla natura

dei concetti di numero e degli universaux: «[Les Universaux] se font de cela seul que nous nous seruons d’vne mesme idée pour penser à plusieurs choses particulieres qui ont entr’elles vn cer-tain raport. Et lors que nous comprenons sous vn mesme nom les choses qui sont representées par cette idée, ce nom aussi est vniuersel. Par exemple, quand nous voyons deux pierres, & que, sans penser autrement à ce qui est de leur nature, nous remarquons seulement qu’il y en a deux, nous formons en nous l’idée d’vn certain nombre que nous nommons le nombre de deux. Si, voyant ensuite deux oyseaux ou deux arbres, nous remarquons, sans penser aussi à ce qui est de leur nature, qu’il y en a deux, nous reprenons par ce moyen la mesme idée que nous auions aupa-rauant formée, & la rendons vniuerselle, & le nombre aussi que nous nommons d’vn nom vniuer-sel, le nombre de deux. De mesme, lors que nous considerons vne figure de trois costez, nous formons vne certaine idée, que nous nommons l’idée du triangle, & nous en seruons en suite … à nous representer generalement toutes les figures qui n’ont que trois costez. Mais quand nous remarquons plus particulierement que, des figures de trois costez, les vnes ont vn angle droit & que les autres n’en ont point, nous formons en nous vne idée vniuerselle du triangle rectangle, qui, estant rapportée à la precedente qui est generale & plus vniuerselle, peut estre nommée es-pece» (DESCARTES, Principes de la Philosophie, cit., I, 59, p. 50; per l’originale latino, cfr. ID., Prin-cipia Philosophiae, I, 59, pp. 27-28). Ora, l’origine di tali concetti è da ricondurre, secondo il filo-sofo francese, alle tre distinzioni, réelle, modale e faite par la pensée (in latino: distinctio rationis), le quali riguardano tutte l’essenza e la possibilità di concepire più o meno chiaramente e distinta-mente un qualsiasi contenuto senza l’altro (siano essi sostanze, modi o attributi di sostanze): cfr. ivi, I, 60-62, pp. 51-53.

260 Cfr. ARNAULD - NICOLE, La Logique ou l’Art de penser, cit., I, 2, pp. 37-39; I, 4-5, pp. 45-52.

261 «L’abstraction ou separation, c’est […] l’action par laquelle nous separons quelque qua-lité d’une idée totale, sans penser aux autres qualités, ny à la substance mesme qui a cette qua-lité, comme, quand nous pensons à la rougeur, sans penser aux roses, aux pavots et aux autres substances où nous avons remarqué de la rougeur; que nous pensons à l’étenduë, sans penser à la matiere; que nous pensons aux nombres, sans penser aux choses nombrées» (MARIOTTE, Essai de Logique, cit., II, 4, p. 159). Si noti come Mariotte usi il verbo séparer col preciso significato di penser (à une chose), sans penser (à un’autre chose). Il che è più vicino al concetto di “considera-zione parziale” che non a quello di “separazione”.

III. Perception, réflexion e abstraction 247

La troisiéme maniere de concevoir les choses par abstraction [dopo la considerazione di parti realmente distinte e quella dei modi], est quand vne mesme chose ayant di-vers attributs on pense à l’vn sans penser à l’autre, quoy qu’il n’y ait entr’eux qu’vne distinction de raison [corsivo nostro]. Et voicy comme cela se fait. Si ie fais par exemple reflexion que je pense; & que par consequent ie suis moy qui pense, dans l’idée que i’ay de moy qui pense, je puis m’appliquer à la consideration d’vne cho-se qui pense, sans faire attention que c’est moy, quoy qu’en moy, moy & celuy qui pense ne soit que la méme chose. Et ainsi l’idée que je concevray d’vne personne qui pense, pourra representer non seulement moy, mais toutes les autres person-nes qui pensent. De mesme ayant figuré sur vn papier vn triangle equilatere, si ie m’attache à le considerer au lieu où il est avec tous les accidens qui le determinent [corsivo nostro], je n’auray l’idée que d’vn seul triangle. Mais si je détourne mon esprit de la consideration de toutes ces circonstances particulieres, & que je ne l’ap-plique qu’à penser que c’est vne figure bornée par trois lignes égales, l’idée que ie m’en formeray me representera d’vne part plus nettement cette égalité des lignes, & de l’autre sera capable de me representer tous les triangles equilateres […]. En-fin il est visible que par ces sortes d’abstractions les idées de singulieres deviennent communes, & de communes plus communes [corsivo nostro].262

Sapendo che l’opera di Arnauld costituì un importante punto di riferimento per le riflessioni esposte da Locke nel Third Book dell’Essay (la critica alla definizione aristotelico-tomistica di motion è infatti ripresa dalla Logique),263 è ragionevole vedere nel passo precedentemente citato una delle fonti delle tesi lockiane in merito all’astrazione: troviamo infatti esposta la concezione dello spazio come una delle circostanze determinanti un contenuto assieme alle altre sue qualità peculiari concomitanti (ampiezza degli angoli, lunghez-za dei lati, spessore delle linee dei lati, colore, etc.).264

262 ARNAULD - NICOLE, La Logique ou l’Art de penser, cit., I, 4, pp. 47-49.263 Cfr. LOCKE, Essay, cit., III, 4, 8, pp. 422-423; ARNAULD - NICOLE, La Logique ou l’Art de

penser, cit., II, 12, p. 157. La definizione di moto (come anche quella di luce, sottoposta ad ana-loga critica) è tratta da THOM. AQ. Commentarium in libros Physicorum, III, Lect. 2, consultabile online sul sito www.corpusthomisticum.org/.

264 Né è da escludere, tra i probabili punti di riferimento di Locke in merito all’astrazione, le tesi esposte da Hobbes nel Leviathan: «6. Of names, some are proper, and singular to one only thing; as Peter, John, this man, this tree: and some are common to many things; as man, horse, tree; every of which though but one name, is nevertheless the name of diverse particular things; in respect of all which together, it is called a universal, there being nothing in the world univer-sal but names; for the things named are every one of them individual and singular. 7. One uni-versal name is imposed on many things, for their similitude in some quality, or other accident: and whereas a proper name bringeth to mind one thing only; universals recall any one of those many. […] 9. By this imposition of names, some of larger, some of stricter signification, we turn the reckoning of the consequences of things imagined in the mind, into a reckoning of the con-sequences of appellations. For example, a man that hath no use of speech at all, (such, as is born and remains perfectly deaf and dumb,) if he set before his eyes a triangle, and by it two right an-gles, (such as are the corners of a square figure,) he may by meditation compare and find, that

Lost and Found in Translation?248

L’originalità di Locke consiste nell’aver fatto preciso riferimento all’esi-stenza come elemento individuante e nell’aver assunto tempo e luogo come circostanze che determinano l’esistenza del contenuto e non il contenuto in generale (al pari di tutte le altre caratteristiche da esso possedute). Se non si presenta con precisione tale particolarità dell’astrazione lockiana,265 non potrà mai emergere in maniera adeguata lo scarto che sussiste tra Locke e la logica porto-realista.

Questo pare essere appunto l’esito dell’imprecisione di Coste nel soprac-citato luogo del Second Livre, il che si traduce in un sensibile avvicinamento dell’astrazione lockiana a quella della Logique di Arnauld. Affinché ciò emer-ga, riporto di seguito i passi, rispettivamente, dell’Essai e della Logique: L’esprit rend générales les idées particuliéres qu’il a reçues par l’entremise des Ob-jets particuliers […] en considérant ces idées comme des apparences séparées de toute autre chose, & de toutes les circonstances qui font qu’elles représentent des Etres particuliers actuellement existans, comme sont le tems, le lieu, & autres idées concomitantes.266

Si ie m’attache à le considerer au lieu où il est avec tous les accidens qui le deter-minent, je n’auray l’idée que d’vn seul triangle. Mais si je détourne mon esprit de

the three angles of that triangle, are equal to those two right angles that stand by it. But if an-other triangle be shown him different in shape from the former, he cannot know without a new labour, whether the three angles of that also be equal to the same. But he that hath the use of words, when he observes, that such equality was consequent, not to the length of the sides, nor to any other particular thing in his triangle; but only to this, that the sides were straight, and the angles three; and that that was all, for which he named it a triangle; will boldly conclude univer-sally, that such equality of angles is in all triangles whatsoever, and register his invention in these general terms, every triangle hath its three angles equal to two right angles. And thus the conse-quence found in one particular, comes to be registered and remembered, as a universal rule; and discharges our mental reckoning, of time and place; and delivers us from all labour of the mind, sav-ing the first; and makes that which was found true here, and now, to be true in all times and places [corsivo nostro]» (HOBBES, Leviathan, cit., I, 4, 6-9, pp. 13-14). Con la differenza che la posizio-ne di Hobbes in merito ai contenuti psichici astratti è marcatamente nominalista (non concettua-lista come quella lockiana) ed è resa oscura da quell’assunto sensistico della gnoseologia hobbesia-na quale è l’imagism (tanto che è lecito sostenere che a essere oggetto dei rimproveri di Berkeley sono le tesi proposte da Hobbes e non tanto quelle dell’Essay di Locke). Anche il riferimento al reckoning of time and place, che a un primo sguardo può avvicinare notevolmente le tesi dei due pensatori, ha più un valore pratico che non gnoseologico: Hobbes sembra essere infatti più in-teressato alla semplificazione del lavoro mentale (il non far più riferimento a un tempo e a uno spazio precisi), ottenuta del soggetto mediante l’astrazione, che non all’astrazione come proces-so che si compie non considerando l’esistenza e le sue determinazioni spazio-temporali (ma solo l’elemento strutturale del dato psichico).

265 Mancata valorizzazione delle differenze in materia di astrazione che, purtroppo, è il filo-sofo inglese stesso a compiere per primo in altri passi dell’Essay, non affermando in maniera ri-soluta e sistematica che lo spazio e il tempo determinano l’esistenza del contenuto, collocando-si su un piano diverso da quello degli altri caratteri specificanti. Cfr. in merito LOCKE, Essay, cit., III, 6, 32, p. 459.

266 LOCKE, Essai, cit., II, 11, 9, p. 113.

III. Perception, réflexion e abstraction 249

la consideration de toutes ces circonstances particulieres […] l’idée que ie m’en for-meray […] sera capable de me representer tous les triangles equilateres.267

Del resto, Locke stesso non fu, lui per primo, attento custode dell’originali-tà delle proprie tesi, tanto che il seguente passo dell’Essay (che riporto, ben-ché già citato, per comodità del lettore) richiama da vicino le espressioni di Arnauld (la versione di Coste ne rende ancora più visibili le analogie):

The Mind, to make general Ideas, comprehending several particulars, leaves out those of Time, and Place, and such other, that make them incommunicable to more than one Individual, so to make other yet more general Ideas, that may comprehend different sorts, it leaves out those Qualities that distinguish them, and puts into its new Collection, only such Ideas, as are common to several sorts.268

Comme l’Esprit pour former des idées générales qui puissent comprendre divers Etres particuliers, en exclut le tems, le lieu, & les autres circonstances qui ne peu-vent être communes à plusieurs Individus; ainsi pour former des idées encore plus générales, & qui comprennent différentes espéces, l’Esprit en exclut les qualités qui distinguent ces Espéces les unes des autres, & ne renferme dans cette nouvelle com-binaison d’idées que celles qui sont communes à différentes espéces.269

Una concezione di astrazione, quella di Locke, che non troverà sèguito nem-meno nella riflessione psicologica francese e inglese del XVIII secolo. Già Leibniz, nei Nouveaux Essais, si concentrerà sull’abstraction intesa come consideration di certi caratteri separés dagli altri particolari (una capacità che egli nega in maniera categorica ai bruti, compiacendosi di scoprirsi du même sentiment di Locke): [Les bêtes] connoissent apparemment la blancheur, et la remarquent dans la craye conne dans la neige; mais ce n’est pas encor abstraction, car elle demande une consi-deration du commun, séparée du particulier, et par consequent il y entre la connois-sance des verités universelles, qui n’est point donnée aux bestes.270

L’assenza di ogni riferimento al processo astrattivo dis-individuante (la par-ziale considerazione dell’apparence prescindendo dall’existence e dalle cir-costanze di tempo e luogo che determinano quest’ultima) non è affatto ca-suale. Come emerge dal terzo capitolo del Troisiéme Livre dei Nouveaux Essais, Leibniz ha ben presente tale concezione lockiana dell’astrazione im-perniata sul concetto di principium individuationis; tuttavia, giudicando im-possibile per le capacità cognitive umane la conoscenza e la determinazio-

267 ARNAULD - NICOLE, La Logique ou l’Art de penser, cit., I, 4, p. 48.268 LOCKE, Essay, cit., III, 6, 32, p. 459.269 ID., Essai, cit., III, 6, 32, p. 370.270 LEIBNIZ, Nouveaux Essais, cit., II, 11, 10, pp. 129-130.

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ne di un tale principio (giacché l’«individualité enveloppe l’infini»),271 delle due tipologie di astrazione proposte da Locke, egli accetta solo quella per cui «l’enfant va […] de l’observation de l’idée de l’homme à celle de l’idée de l’animal».272 Analogamente (ma partendo da principi teoretici toto coelo diversi da quelli del filosofo tedesco, ossia dall’ascrizione di tutta la cono-scenza all’ambito della sola sensibilità), nell’Essai sur l’origine des connais-sances humaines, Condillac così definisce il processo astrattivo: En distinguant ses idées, on considère quelquefois comme entièrement séparées de leur sujet les qualités qui lui sont le plus essentielles; c’est ce qu’on appelle plus particulièrement abstraire. Les idées qui en résultent se nomment générales, parce qu’elles représentent les qualités qui conviennent à plusieurs choses différentes. Si, par exemple, ne faisant aucune attention à ce qui distingue l’homme de la bête, je réfléchis uniquement sur ce qu’il y a de commun entre l’un et l’autre, je fais une abstraction qui me donne l’idée générale d’animal.273

Né la ragione della progressiva perdita della complessità della concezione lockiana del processo astrattivo è da ricondurre a quell’incertezza di Coste precedentemente segnalata, giacché, se tanto Leibniz quanto Condillac si ba-sarono sulla traduzione francese del proposant, questi riesce comunque a vei-colare le tesi di Locke circa l’astrazione come dis-individuazione.274 D’altra parte, anche Hume, in ambito anglosassone, concepisce l’astrazione esclusi-vamente come distinzione in seno ai caratteri posseduti da un contenuto.275

271 Ivi, III, 3, 6, p. 268.272 Ivi, III, 3, 8, p. 269. 273 CONDILLAC, Essai sur l’origine des connaissances humaines, cit., I, 3, 6, p. 72.274 È inoltre da segnalare che Coste cerca il più possibile di evitare l’insorgere di equivoci nel

lettore laddove Locke presenta dei passi poco chiari o equivoci. Si porti l’attenzione al seguente passo dell’Essay: «Universality belongs not to things themselves, which are all of them particular in their Existence, even those Words, and Ideas, which in their signification, are general. When therefore we quit Particulars, the Generals that rest, are only Creatures of our own making [corsi-vo nostro], their general Nature being nothing but the Capacity they are put into by the Under-standing, of signifying or representing many particulars. For the signification they have, is noth-ing but a relation, that by the mind of Man is added to them» (LOCKE, Essay, cit., III, 3, 11, p. 414). Coste, scorgendo a mio avviso in particulars e generals dei termini eccessivamente generici, cerca di precisarne il contenuto: a tal fine egli aggiunge una nota a margine del testo in cui scrive: «Mots, idées ou choses» (LOCKE, Essai, cit., III, 3, 11, p. 332, nota a margine). In questo modo il passo dell’Essai («Lors donc que nous laissons à part les particuliers, les généraux qui restent, ne sont que de simples productions de notre esprit»: ibid.) viene a costituire sia una ripresa del-le tesi lockiane in merito all’astrazione generalizzante (il rivolgere l’attenzione a ciò che è comu-ne separatamente dal particolare), sia una considerazione di più ampio respiro in merito al fatto che, se tra tutti i contenuti psichici in possesso del soggetto (come suggerisce Coste, mots, idées e choses), si prescinde da quelli particolari, i restanti generali non sono che dei prodotti della fun-zione astrattiva della mente (di contro a una visione realistica degli universali).

275 In An Enquiry Concerning Human Understanding (17481), Hume osserva infatti: «It seems to me not impossible to avoid these absurdities and contradictions, if it be admitted, that there

III. Perception, réflexion e abstraction 251

Tale ragione va a mio avviso ricercata nella combinazione di più fattori, il che la rende difficilmente determinabile: si tratta innanzitutto della for-za della tradizione filosofica in materia di astrazione, una tradizione dalla quale Locke in primis si dimostra incapace di affrancarsi (poiché, proposte le due tipologie di abstraction, finisce per concentrarsi sulla generalizzazio-ne, come se fosse più feconda della dis-individuazione ai fini dell’advance-ment of knowledge) e, oltre a tutto ciò (benché questa sia la ragione cui vanno ricondotte tutte le altre), il generale prevalere (sull’atteggiamento cri-tico sperimentale del way of ideas) dell’impostazione empiristica nello stu-dio della conoscenza del mondo (un approccio dominato dal presupposto gnoseologico secondo il quale il soggetto si trova in un mondo di enti, in senso ontologicamente forte, la cui reiterata esperienza comporta l’elisione dei caratteri peculiari che li rendono individuali, con schiacciamento della dis-individuazione sul piano della generalizzazione).276

C’è un ultimo aspetto, in materia di astrazione, su cui è interessante por-tare l’attenzione. Laddove, nel terzo capitolo («General Terms») del Third Book, Locke affronta il tema dei pericoli insiti nel far uso di sole idee par-ticolari, designati da vocaboli altrettanto particolari, egli scrive:

[Knowledge] though founded in particular Things, enlarges it self by general Views; to which, Things reduced into sorts under general Names [corsivo nostro], are prop-erly subservient.277

Coste così traduce tale passo:

[Nos connaissances], bien-que fondées sur des choses particuliéres, s’étendent par des vues générales qu’on ne peut former qu’en réduisant les choses à certaines es-péces sous des noms généraux [corsivo nostro].278

is no such thing as abstract or general ideas, properly speaking; but that all general ideas are, in reality, particular ones, attached to a general term, which recalls, upon occasion, other particular ones, that resemble, in certain circumstances, the idea, present to the mind. Thus when the term Horse is pronounced, we immediately figure to ourselves the idea of a black or a white animal, of a particular size or figure: But as that term is also usually applied to animals of other colours, figures and sizes, these ideas, though not actually present to the imagination, are easily recalled; and our reasoning and conclusion proceed in the same way, as if they were actually present» (D. HUME, An Enquiry Concerning Human Understanding, in ID., The Philosophical Works, vol. 4, ed. by Th. H. Green & Th. H. Grose, Aalen, Scientia Verlag, 1992, p. 129, nota 1 a piè di pagina).

276 Anche in Wolff l’astrazione è concepita come generalizzazione (ossia porta alla formazio-ne di genera et species mediante reflexio, intendendo con questo termine la distinzione di carat-teri determinanti/indeterminati in seno al contenuto concreto): cfr. WOLFF, Psychologia Empirica, cit., § 268, p. 194; § 282, pp. 200-201.

277 LOCKE, Essay, cit., III, 3, 4, p. 410.278 ID., Essai, cit., III, 3, 4, p. 329.