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« Madurs consells » o « males suggestions » ? Forme di patrocinio, consulenza e consiglio nelle cause tra mercanti a Barcellona (secc. XIV-XV) Elisa SOLDANI Docteur en Histoire IMF-CSIC « (...) nonn è poca guerra a’ mercanti la disputa de’ iuristi, li quali in tucte le cose sono i nimici a tucte le borse loro, et anche perché le cose mercantili hanno bisogno di brevità et spedition presta, la quale cosa è contraria a’ iuristi. » « Al mercante è prohibito l’essere procuratore ad lites et litigare overo comperare piati: se per lo suo bisogno è detto non litighi, che dobiamo dire per li altrui?» Benedetto Cotrugli, Il libro dell’arte di mercatura A Barcellona il legame tra famiglie mercantili, istituzioni cittadine e monarchia si consolidò notevolmente nel corso del Trecento 1 . Proprio grazie al peso crescente raggiunto dalle professioni legate al mare nell’economia della Corona e sempre in un costante rapporto di negoziazione con le istituzioni, come pure avvenne in altri contesti mediterranei, i mercanti manifestarono la necessità che le liti che scaturivano quotidianamente dall’esercizio della loro professione fossero risolte rapidamente, sulla base di un accordo o di considerazioni fattuali piuttosto che dottrinarie. La pratica mercantile era ormai considerata un bene comune per la res publica e quindi il fallimento di un mercante e l’impoverimento che gli sarebbe derivato dal dilungarsi di una causa doveva essere considerato un danno per tutta la comunità. In ambito Questo lavoro s’inserisce nell’ambito della ricerca realizzata per la mia tesi di dottorato Uomini d’affari e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento pubblicata negli Anejos del Anuario de Estudios Medievales e del progetto di ricerca dal titolo La Corona de Aragón en el Mediterráneo bajomedieval. Interculturalidad, mediación, integración y transferencias culturales diretto da R. Salicrú i Lluch, approvato e finanziato dal MICINN (HAR2010-16361). 1 Stephen P. BENSCH, « Poder, dinero y control del comercio en la formación del régimen municipal de Barcelona », Barcelona Quaderns d’Historia, 4, 2001, p. 49-58.

«Madurs consells» o «males suggestions»? Forme di patrocinio, consulenza e consiglio nelle cause tra mercanti a Barcellona (secc. XIV-XV)

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« Madurs consells » o « males suggestions » ?

Forme di patrocinio, consulenza e consiglio

nelle cause tra mercanti a Barcellona (secc. XIV-XV)∗

Elisa SOLDANIDocteur en Histoire

IMF-CSIC

« (...) nonn è poca guerra a’ mercanti la disputa de’ iuristi,li quali in tucte le cose sono i nimici a tucte le borse loro, etanche perché le cose mercantili hanno bisogno di brevità etspedition presta, la quale cosa è contraria a’ iuristi. »

« Al mercante è prohibito l’essere procuratore ad lites etlitigare overo comperare piati: se per lo suo bisogno è detto nonlitighi, che dobiamo dire per li altrui?»

Benedetto Cotrugli, Il libro dell’arte di mercatura

A Barcellona il legame tra famiglie mercantili, istituzioni cittadine e monarchia siconsolidò notevolmente nel corso del Trecento1. Proprio grazie al peso crescenteraggiunto dalle professioni legate al mare nell’economia della Corona e sempre in uncostante rapporto di negoziazione con le istituzioni, come pure avvenne in altricontesti mediterranei, i mercanti manifestarono la necessità che le liti che scaturivanoquotidianamente dall’esercizio della loro professione fossero risolte rapidamente, sullabase di un accordo o di considerazioni fattuali piuttosto che dottrinarie. La praticamercantile era ormai considerata un bene comune per la res publica e quindi ilfallimento di un mercante e l’impoverimento che gli sarebbe derivato dal dilungarsi diuna causa doveva essere considerato un danno per tutta la comunità. In ambito ∗ Questo lavoro s’inserisce nell’ambito della ricerca realizzata per la mia tesi di dottorato Uomini d’affari

e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento pubblicata negli Anejos del Anuario de EstudiosMedievales e del progetto di ricerca dal titolo La Corona de Aragón en el Mediterráneo bajomedieval.Interculturalidad, mediación, integración y transferencias culturales diretto da R. Salicrú i Lluch,approvato e finanziato dal MICINN (HAR2010-16361).

1 Stephen P. BENSCH, « Poder, dinero y control del comercio en la formación del régimen municipal deBarcelona », Barcelona Quaderns d’Historia, 4, 2001, p. 49-58.

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catalano-aragonese fra Tre e Quattrocento questo discorso sul rapporto tra ‘benecomune’ e pratica mercantile, ampliamente formulato dai consiglieri francescani cheaffiancarono i monarchi, ebbe un riflesso importante tanto sulla prassi giuridica elegislativa quanto sull’andamento degli equilibri politici tra re e stamento cittadino, ilpiù rappresentativo della componente mercantile2. Nel contesto di quel sistema pattistacaratteristico del funzionamento istituzionale della monarchia catalano-aragonese, peril Consolato del Mare di Barcellona come per quelli delle maggiori città del regnopreservare questa procedura, e quindi il controllo sulle controversie che nascevano tramercanti e patroni, era un modo di salvaguardare un privilegio di tipo giurisdizionale erivendicare la propria rilevanza politica3.

A condizionare le procedure di risoluzione dei conflitti mercantili furono quindi leesigenze imposte dalla professione, dal funzionamento dei rapporti tra mercanti e dalriconoscimento dell’attività mercantile come fondamentale per il bene della comunità.Sia si trattasse di cause strettamente legate alla pratica degli affari sia riguardassero lagestione di un’eredità o la difesa di figli non ancora emancipati ponevano il problemadell’analisi delle transazioni economiche, delle circostanze specifiche in cui si eranoverificati gli eventi e di prove tecniche, ovvero di aspetti che per essere decodificatirichiedevano il possedimento di requisiti specifici o almeno una previa esperienzanegli affari. I mercanti dovevano poi dirimere le liti che scaturivano a livelloprofessionale, potendo però continuare in seguito a mantenere quelle relazioni basatesulla fiducia e sulla reputazione; allo stesso modo dovevano pacificare i conflitti che sicreavano tra affini, ad esempio nella gestione dei patrimoni, senza per questo minaredel tutto i rapporti familiari. Sebbene il passaggio attraverso i fori ordinari garantissein modo più risoluto una conclusione definitiva della questione, a questa si preferiva lacomposizione amichevole poiché consentiva di rimarginare la frattura sociale. Lastessa procedura consolare adottata sia nei Consolati del Mare sia nei consolatiultramarini rispettava queste esigenze ed era di fatto associabile a quella del giudizioarbitrale.

In tal senso è chiara l’importanza dei dispensatori di consigli e pareri tecnici, ossiadi quanti affiancavano chi era incaricato di formulare un giudizio e/o dirimere una lite.In ambito mercantile, i primi dispensatori di consigli furono quegli arbitratores elettidai mercanti in modo concorde per ottenere una composizione amichevole o affini eparenti al giudizio dei quali si ricorreva per pacificare faccende interne al nucleo

2 Paolo EVANGELISTI, I Francescani e la costruzione di uno Stato. Linguaggi politici, valori identitari,

progetti di governo in area catalano-aragonese, EFR (Fonti e Ricerche, 20), Padova, 2006.3 Questo diversamente rispetto ai tribunali toscani in cui si è recentemente messa in dubbio la peculiarità

della procedura dei tribunali della Mercanzia e si è constatata una similarità di procedure con gli altritribunali cittadini. Mario ASCHERI, « Giustizia ordinaria, giustizia di mercanti e la Mercanzia di Sienanel Tre-Quattrocento », in ID., Tribunali, giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Il Mulino,Bologna, 1989 e Vincenzo COLLI, « Acta civilia in curia potestatis: Firenze 1344. Aspetti proceduralinel quadro di giurisdizioni concorrenti », in F. J. Arlinghaus, I. Baumgärtner, V. Colli, S. Lepsius,T. Westzstein (ed.), Praxis der Gerichtsbarkeit in europäischen Stäten des Spätmittelalters, VittorioKlostermann, Frankfurt am Main, 2006, p. 271-307.

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familiare. Altri dispensatori di consigli erano i prohoms – probi viri – cheintervenivano nei giudizi consolari, i consulenti tecnici o periti, e quindi in senso latoanche i testimoni, oltre alle figure legate al patrocinio tecnico, come causidici e giuristinella loro triplice veste di avvocati, giudici o consiglieri del titolare della giurisdizione.Infine, tra i dispensatori di consigli deve essere annoverato lo stesso monarca che,come sommo garante di giustizia, una volta sollecitato per via di supplica potevasuggerire alle parti una via di composizione o al giurista a cui affidava la causa i critericon cui avrebbe dovuto trattarla.

Muovendo dalla prassi, e avvalendomi del supporto di studi specifici, in questosaggio prenderò in esame un aspetto rilevante della risoluzione dei conflitti, quellorappresentato dal ruolo dei consulenti o per meglio dire dei dispensatori di consigli epareri che assistevano tanto i giudici quanto le parti nel momento di dover deliberaresu una controversia. Facendo di volta in volta qualche necessaria premessa sul quadroistituzionale e riferimenti a realtà comparabili prenderò in esame i requisiti diformazione, gli strumenti e le caratteristiche deontologiche – quindi quel complesso didoveri e norme etico-sociali che regolavano l’esercizio di queste attività – richiesti aiprofessionisti che si dedicavano ad assistere le parti e il giudice presso i diversi fori diBarcellona allo scopo di rispondere ai seguenti quesiti: quali furono le principalidifferenze che caratterizzarono i tribunali nell’elaborazione della sentenza? Vi fudavvero una differenza di procedura, colta e non, fra curie mercantili e tribunaliordinari? Su che tipo di prove, di pareri tecnici e di testimonianze si basavano i giudicidi quelle corti per raggiungere la sentenza? Chi richiedeva i pareri? In quali aspettidifferivano e su quali basi erano formulati? Erano o no coercitivi? Esistevano dellepenalizzazioni per chi aveva dispensato cattivi consigli o per quei consulenti cheavevano agito in modo fraudolento? Infine, vi fu coscienza da parte dei soggetticoinvolti nelle liti delle differenze procedurali e dei vantaggi che poteva presupporre ilricorrere a un tribunale piuttosto che a un altro?

Per meglio cogliere la molteplicità dei suddetti aspetti, nelle pagine a seguires’incroceranno due piani diversi. In primo luogo quello dell’elaborazione e dellarivendicazione di un diritto e di una prassi mercantili “altri” rispetto a quelli coltimessa in atto dai mercanti catalani e favorita a Barcellona dal consolidamento in sensocorporativo della comunità degli uomini di mare. Nondimeno la caratteristica mobilitàdi gruppi socio-professionali come quelli mercantili, insieme al fatto che questisoggetti operavano all’estero in contesti distinti da quelli d’origine e in contatto conmercanti provenienti da diverse realtà culturali, istituzionali e religiose, aveva posto lanecessità di mettere in atto, diffondere e uniformare a livello mediterraneo praticheche favorissero il rispetto dei contratti e la salvaguardia dei diritti di proprietà. L’altropiano sarà quindi quello del rapporto tra mercanti stranieri e giustizia/e. Tali questionisaranno infatti studiate a partire dall’analisi di conflitti che ebbero come scenarioprincipale la città di Barcellona, importante centro commerciale e finanziario, e checoinvolsero uomini d’affari stranieri – fiorentini, pisani e lucchesi – presenti nella cittàcomitale e apparentemente privi di propri ufficiali con compiti di giustizia.

Nelle maggiori città commerciali europee e mediterranee le questioni di giustiziafra mercanti della stessa origine furono solitamente competenza di un console o di un

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ufficiale della natio, rappresentante della comunità in terra straniera. Ciò nonostante,nei secoli XIV e XV, a Barcellona non vi fu un’organizzazione istituzionalizzata per lapresenza straniera come un consolato o un fondaco in cui si difendessero gli interessidelle famiglie provenienti da Firenze, Lucca e Pisa ed è sporadica l’attestazione di unrappresentante incaricato delle questioni di giustizia che coinvolgevano questi gruppi.Questi soggetti potevano poi godere di un distinto status, dal momento che alcuniavevano acquisito la cittadinanza barcellonese mentre altri godevano di quei privilegi,quali le carte di familiarità, che gli consentivano di accedere direttamente alla giustiziadel re4. Per risolvere le controversie professionali utilizzavano vie di composizioneextragiudiziale, come gli arbitrati, o facevano riferimento, come i catalani, alConsolato del Mare; nel caso in cui il conflitto avesse coinvolto altre materie esoggetti potevano ricorrere al vicario, fino a supplicare l’intervento dell’audienciaregia. Ancora potevano essere convocati, come imputati o in veste di testimoni, difronte al tribunale della bailia per delitti commessi contro il patrimonio regio. Purrispondendo ciascuna di queste curie a determinati criteri concernenti soggetti ematerie trattate, come spesso accadde nel Medioevo, la mancanza di una nettadefinizione dei confini giurisdizionali creava nella pratica della giustizia unaccavallamento delle competenze, complicando il quadro di un già intricato panoramaistituzionale.

Vie di composizione extragiudiziale : dall’elezione di arbitri all’intervento diamici e parenti

I mercanti per quelle liti che si generavano con frequenza in relazione ai contratti,non si rivolgevano alla corte del Consolato del Mare e tanto meno ai tribunali ordinario alla giustizia del re. Le questioni riguardanti le transazioni commerciali o le liti trafamiliari e affini dovevano essere risolte rapidamente, senza creare fratture. Nei casi incui si fosse cercata una rapida e pacifica risoluzione della controversia, i mercanti siavvalevano dell’elezione di arbitri ovvero di persone esperte in materia che agivano investe di pacificatori, cercando un accordo ragionevole per entrambe le parti.

L’arbitrato aveva dunque la funzione di ripristinare la concordia e di ristabilire unlegame sociale duraturo5. Le parti potevano rivolgersi a un arbiter, un giurista o unavvocato associabile al giudice che fosse a conoscenza del diritto e, pur elettoliberamente, si appoggiasse a una procedura giudiziaria imitativa indirizzandosi allasoddisfazione dei soggetti coinvolti. Più spesso ricorrevano ad arbitratores: colleghi

4 Johannes VINCKE, « Los familiares de la Corona Aragonesa alrededor del año 1300 », Anuario de

Estudios Medievales, 1, 1964, p. 333-351 e Jaume RIERA, El cavaller i l’alcavota. Un procés medieval,Barcelona, Club Editor, 1973, p. 73.

5 Thomas KUEHN, Law, Family and Women. Toward a Legal Anthropology of Renaissance Italy,Chicago & London, University of Chicago Press, 1991, p. 19-74 ; Massimo VALLERANI, « Liti private esoluzioni legali. Note sl libro di T. Kuehn e sui sistemi di composizione dei conflitti nella societàtardomedievale », Quaderni Storici, 89, 1995, p. 546-557.

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mercanti che agivano in buona fede sulla base dell’esperienza professionale6. Di fattol’arbitrator in origine si limitava alla lettura dell’accordo raggiunto dalle parti,ricoprendo prevalentemente un ruolo di mediazione. Secondo il formulario presentenei documenti di nomina le parti si obbligavano reciprocamente e volontariamente,affidandosi a due arbitros et arbitratores laudatores et amicabiles compositores anobis dictis partibus communiter electos.

In occasione della nomina erano stabiliti una pena in caso d’inadempienza dellasentenza, che costituiva un elemento fondamentale per la validazione delcompromesso, un tempo limite di formulazione della stessa e s’impegnavano dei benia garanzia del rispetto degli accordi che sarebbero stati proposti dagli arbitri.L’elaborazione di questo tipo di responsi prevedeva l’uso di prove tecniche, quali icontratti, la corrispondenza e i libri di conto. Accadeva spesso che, quando le partierano entrambe di origine toscana, gli arbitri fossero scelti tra i mercanti catalani,come ad esempio nelle liti di materia commerciale tra i fiorentini Filippo Strozzi eFrancesco Tosinghi, che elessero i mercanti di Barcellona Joan Llobera e Eimeric de laVia o tra i pisani Giovanni della Seta e Francesco Buzzaccherini, che nominarono JoanBarqueres e Bernat Bret7. Questa procedura doveva forse garantire una minoreparzialità degli arbitri e una composizione che evitasse di creare ulteriori tensioni traconnazionali. D’altronde per garantire l’equilibrio nella lite tra un mercante di originestraniera e un catalano o per favorire l’analisi delle prove scritte, uno dei due arbitripoteva essere scelto fra i membri della medesima nazione del primo. Diversamenterispetto a quando avveniva a Barcellona, nella Pisa coeva nei contratti di elezionedegli arbitri si specificava chiaramente come uno fosse eletto da una parte e il secondodall’altra.

Gli arbitri dovevano emettere la decisione udite le parti e in base ai documentiprodotti dalle stesse, tenendo in considerazione il complesso delle relazioni e i lorocontesti piuttosto che un gruppo di leggi. Nel documento contenente la sentenzaarbitrale si premetteva che gli incaricati avessero preso atto del compromissum econsultato le parti rispetto alla documentazione prodotta; gli arbitri dichiaravano diesprimersi sulle questioni che erano state rese loro note, non dando affatto per scontatoche fosse venuta fuori tutta la materia di lite, né che fossero state presentate tutte leprove. Giacché l’arbitrato non si atteneva a una procedura formale e l’omissione dielementi rilevanti avrebbe potuto portare alla formulazione di una sentenza parziale, siribadiva che erano le parti stesse a stabilire la materia del giudizio che quindi avrebbepotuto essere emendato:

E quant les dites coses saben a condempnació, les dites parts condempnam, e en quantsabem a absolució, absolem. E sobre qualsevol altres differències que sien entre les dites

6 Luciano MARTONE, Arbiter-Arbitrator. Forme di giustizia privata nell’età del diritto comune, Napoli,

Jovene, 1984. Su questo anche Claude CARRÈRE, Barcelona 1380-1462. Un centre econòmic en èpocade crisi, 2 vol., Curial, Barcelona, 1977, vol. I, p. 45-48.

7 Archivo Histórico de Protocolos de Barcelona (AHPB) 166/6, c. 51v (18 settembre 1443) ; AHPB166/4, c. 46v (24 luglio 1436) ; AHPB 166/6, c. 83r (5 novembre 1443). Per un esempio simile ancheAHPB 166/47 (11 agosto 1436).

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parts per rahó de les coses demunt dites, imposam a cascuna part scilenci perpetual. [...]Rettenim nós, emperò, plen poder de interpretar, corregir e esmenar si en la nostra presentsentència haurà algunes coses scures o dubioses dignes de interpretació8.

In questa formula si sostanziava la possibilità di correggere la sentenza in presenzadi elementi dubbi e ancora meritevoli di essere interpretati. Prima di emettere i capitolidell’accordo, i due arbitratores ponevano di fronte ai propri occhi i quattro Vangeliaffinché il loro giudizio procedesse dal volto di Dio e i loro ‘occhi’ potessero ‘vedere’con equità, ponendo l’accento ancora sulla speranza di potere, con quell’intervento,ripristinare la concordia. Come nelle sentenze emanate dai tribunali ordinari il giudiziodoveva attingere alla legge divina ed esserne conforme. Infine si passavaall’attribuzione del salario degli arbitri e alla definizione del compenso per laredazione dei documenti notarili da dividere tra le due parti, a cui seguival’accettazione dell’accordo.

L’arbitrato si muoveva dunque su un duplice binario: da una parte nell’intento direstaurare la pace, dall’altra nella necessità di fare giustizia. La sentenza dell’arbiterera teoricamente inappellabile, mentre la proposta di accordo dell’arbitratorconosceva forme di appellabilità. Questa poteva costituire soltanto il punto di partenzadi lunghi percorsi giudiziari che si sarebbero conclusi soltanto al cospetto dellagiustizia regia. All’arbitrato si poteva arrivare anche su suggerimento delle autorità edopo essere ricorsi ai tribunali ordinari. Poteva essere lo stesso vicario o il giudice deltribunale vescovile a spingere le parti a cercare una risoluzione pacifica di aspetticoncreti del conflitto nell’arbitrato, che quindi non era considerato antitetico allalegge, ma che si andava integrando al processo9. Si poteva pure presentare lasituazione opposta, ovvero che si ricorresse all’arbitrato dopo essere passati da un altrogiudizio: nel compromissum tra Jacopo Accettanti e Joan Desquer si facevariferimento a una sentenza emanata da un giudice ordinario della corte del re a cui ilDesquer si sarebbe in seguito appellato mediante l’arbitrato10. In questo caso però lalite era affidata a uomini di legge piuttosto che a esperti di materie mercantili. Inquella sede si dichiarava che trattandosi dell’appello alla sentenza di un giudiceordinario non si poteva ricorrere ad arbitrium boni viri, ma ci si affidava a due dottoriin legge11.

8 AHPB 181/16 (24 febbraio 1467).9 Anche nell’ambito dei comuni italiani il processo e l’arbitrato si andavano integrando : cfr. T. KUEHN,

Law, Family and Women…, p.19-74 e M. VALLERANI, « Procedura e giustizia nelle città italiane delbasso medioevo (XII-XIV secolo) » in J. Chiffoleau, C. Gauvard e A. Zorzi (ed.), Pratiques sociales etpolitiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge (École Française de Rome,385), Roma, 2007 – distribuito in formato digitale da “ Reti Medievali ”, p. 1-34.Disponibile in : http://fermi.univr.it/RM/biblioteca/SCAFFALE/v.htm#Massimo%20Vallerani[Consultazione: 15/11/09] p. 1-34, in part. p. 5. Si veda anche M. VALLERANI, La giustizia pubblicamedievale, Il Mulino, Bologna, in part. il cap. « Come pensano le procedure: i fatti e il processo », p.75-111.

10 AHPB 113/69 cc. 72v-73r.11 « Et quitquid diximus id ratum habemus et non recurremus ad arbitrium boni viri etc. », AHPB 113/69,

cc. 72v-73r.

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I giuristi italiani, nell’ambito della risoluzione delle liti interne ai gruppi familiari,avevano decretato l’opportunità che i conflitti fossero risolti per mezzo degli arbitrati.Questi avrebbero permesso di ritrovare un accordo tra le parti e di ripristinare laconcordia per evitare il perdurare dei dissidi e il loro espandersi, fino al consumarsi divendette. Anche per i gruppi di mercanti toscani che si trasferirono a Barcellona nelQuattrocento la prima strada per la composizione delle liti interne alla famiglia fuquella che passava per l’elezione concorde di arbitri. Non sempre, però, consentiva digiungere a una pacifica risoluzione del contenzioso che, invece, nelle peggioricircostanze si propagava nel tempo creando una serie di divisioni non soltantoall’interno del medesimo gruppo di parentela, ma andando a lacerare in modo piùgenerale le relazioni con altri connazionali.

Nella documentazione che si riferisce ai conflitti interni ai gruppi di parentela sifaceva riferimento a consiliarii che assistevano il pater familias, la vedova o altrimembri della famiglia nel prendere le decisioni. I loro consigli erano giudicatipositivamente se erano efficaci e consentivano la risoluzione della controversia o incaso contrario erano tacciati di essere males suggestions, suggerimenti che spingevanola parte a protrarre la situazione di discordia da un giudizio all’altro. Questo tipod’intervento poteva quindi avere un valore positivo e integrarsi al processo quandoconsentiva di giungere a un accordo. In attesa della sentenza del vescovo, Joan Boffil ela pisana Giovanna della Seta avrebbero dovuto giungere agli accordi relativi al lorodivorzio anche grazie alle trattative e all’intervento di alcuni consanguinei e amici– tractantibus et intervenientibus quibusdam consanguineis et amicis –. Non è rarotrovare l’intervento degli affini in questo tipo di cause, ad esempio quelle diseparazione di fronte al tribunale vescovile, visto che queste interessavano tutto ilgruppo familiare che aveva investito nelle doti o nell’alleanza sociale che ilmatrimonio presupponeva12.

Prohoms, calculadors e testimoni

Nel corso del Trecento le principali città del Mediterraneo crearono istituzioni peril controllo delle questioni commerciali, in particolare una legislazione ad hoc etribunali che in prima istanza si occupassero esclusivamente di diritto mercantile.Inizialmente sotto la giurisdizione di questi tribunali ricaddero le questioni concernentirappresaglie e fallimenti, poi in maniera più ampia tutte le materie di naturacommerciale e mercantile13. Un privilegio concesso dai predecessori e ratificato daMartino I il 15 gennaio 1401 accordò al Consolato del Mare la giurisdizione su tutte lacause civili, relative ad azioni o contratti mercantili di qualsiasi specie, tanto di marecome di terra sulle persone di qualsivoglia legis, status, gradus, preheminencie

12 Stanley CHOJNACKI, « Il divorzio di Cateruzza: rappresentazione femminile ed esito processuale

(Venezia 1465) », in S. Seidel Menchi e D. Quaglioni (eds.), Coniugi nemici. La separazione in Italiadal XII al XVIII secolo, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 371-416, in part. p. 372.

13 Nel 1283 fu fondato il Consolato di Valenza, seguito nel 1343 da Maiorca, Barcellona nel 1348 ePerpignano nel 1388.

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presenti nella città di Barcellona14. Anche nei comuni italiani si andò sviluppando,parallelamente all’amministrazione pianificata degli affari, una cultura giuridicaspecifica in materia di diritto mercantile. Questa non soltanto portò al perfezionamentodelle norme negli statuti, ma anche alla nascita di tribunali specializzati quali adesempio la Mercanzia di Siena e di Firenze15.

Il diritto mercantile germinò lontano da un rapporto diretto con la dottrina: lefigure contrattuali, gli assestamenti organizzativi e la pratica di risoluzione delle litinascevano prima di tutto sul piano della prassi e nella misura in cui si presentavano iproblemi16. Dal momento che lo ius mercatorum avrebbe dovuto garantire il rispettodei contratti anche tra soggetti di diversa origine, si rendeva necessaria unanormalizzazione delle regole in modo che potessero essere applicate uniformementenelle differenti piazze commerciali del Mediterraneo pur facenti capo a istituzionidiverse ed evitare, ad esempio, il ricorso a misure estreme quali le rappresaglie. Unforte contributo in questo senso fu dato in Italia dai consilia dei giuristi, mentre neidomini della Corona d’Aragona venne ordinata una compilazione di diritto mercantilechiamata Llibre del Consolat de Mar17. Questa rispondeva all’esigenza di tradurre intesto scritto questi costumi e probabilmente anche a quella di sopperire alle necessitàpratiche che venivano dall’applicazione delle norme all’interno dei consolati stessi.Secondo la prassi del Consolato del Mare barcellonese, infatti, i giudici si sarebberodovuti attenere prima di tutto a questa compilazione che conteneva le disposizioniprincipali sulle relazioni tra soggetti e sulle questioni che potevano scaturire dai negozimercantili.

Una caratteristica che aveva accomunato la nascita dei tribunali mercantili nelMediterraneo era stata la loro necessità di fondarsi sulla prassi mercantile e non su unaprocedura colta, facendo per questo riferimento ad alcuni criteri comuni: la rapiditànella risoluzione dei conflitti – in cui si tendevano a evitare ritardi o dilazioni –,l’accettazione di un limitato numero di prove – libri mercantili, corrispondenza

14 Doc. pubbl. in Antonio de CAPMANY MONTPALAU, Memorias históricas sobre la marina, comercio y

artes de la antigua ciudad de Barcelona, (Barcelona, 1742), ed. de Carmen Batlle, 2 vol., Barcelona,Cámara Oficial de Comercio y Navegación, 1961-63, vol II/1, p. 394-396. La giurisdizione delConsolato del Mare fu successivamente ampliata con altri privilegi, Ibid., p. 431-433 e p. 495-497.

15 Mario ASCHERI, « Istituzioni politiche, mercanti e mercanzie: qualche considerazione dal caso di Siena(secoli XIV-XV) », in C. Mozzarelli (ed.), Economia e corporazioni: il governo degli interessi nellastoria d'Italia dal Medioevo all'eta contemporanea, Milano, Giuffrè, 1988, p. 41-55 ; MonicaCHIANTINI, La Mercanzia di Siena nel Rinascimento. La normativa dei secoli XIV-XVI, Siena,Cantagalli, 1996 ; Antonella ASTORRI, La Mercanzia a Firenze nella prima metà del Trecento. Il poteredei grandi mercanti, Firenze, Olschki, 1998.

16 Mario ASCHERI, I diritti nel Medioevo italiano, Roma, Carocci, 2000, p. 183-197.17 Llibre del Consolat de Mar, ed. di Germà Colon e Arcadi García, 4 vol., Fundació Noguera, Barcelona,

1981-1987. Sulla ricezione di questo complesso normativo in ambito italiano si veda M. ASCHERI, Idiritti..., p. 237-8. Su questi temi rimando anche al Col·loqui, in El dret comú i Catalunya. Actes del VIIsimposi internacional (Barcelona, 23-24 de maig de 1997), Barcelona, Fundació Noguera, 1998,p. 153-163. In merito alla compilazione del Llibre del Consolat de Mar di vedano gli studi di AquilinoIGLESIA FERREIRÓS, Costums de mar, in El dret comú i Catalunya, V Simposio internazionale(Barcellona, 26-27, maggio 1995), Barcellona, 1996, p. 243-602 e Id., « La formación de los libros deConsulado de Mar », Initium, 2, 1997, p. 1-372.

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commerciale, registri degli scrivani di bordo –, l’esclusione di difensori tecnici –avvocati, causidici e procuratori –, lo sviluppo delle procedure fallimentari, la rapidaesecuzione delle sentenze e, almeno in linea teorica, la loro inappellabilità18. Bartoloaveva ricordato con un ammonimento : « nota quod in curia mercatorum debet iudicaride bono et aequo, omissis iuris solemnitatibus »19.

Nel tribunale mercantile si doveva giudicare mediante processo sommario –summarie, de plano, sine strepitu et figura iudicii – secondo i criteri del buon senso edell’equità, per giungere alla veritas negotii con una rapida sentenza, facendo valere leobbligazioni presenti nei contratti, piuttosto che alle solenni formalità del diritto. Difatto il riferimento all’equità è qui da intendersi come un’indicazione a prescindere daldiritto dotto per privilegiare le circostanze di fatto20. I Consolati del Mare presentinelle principali città commerciali della Corona furono fondati attraverso privilegiconcessi dai monarchi alle singole città o alle universitates di mercanti. Si trattava dilicenze con cui si stimolava la costruzione di un edificio, di una loggia, dove i consolipotessero abitare e svolgere il proprio ufficio21. In un contesto in cui si scoraggiòl’intervento dei giuristi educati nel diritto comune, che invece facevano parte dellecorti ordinarie, che requisiti dovevano possedere i consoli del mare e i giudicid’appello? Chi era incaricato di nominarli?

Nel Quattrocento erano le autorità municipali barcellonesi a nominare i consoli delmare di Barcellona, così come d’altronde quelli dei consolati ultramarini. L’elezioneaveva luogo nella loggia dei mercanti, sede del Consolato, il 25 aprile di ogni anno,giorno di San Marco. Si procedeva nominando una commissione di dodici prohomsappartenenti al Consiglio dei Cento composta, almeno dal 1436, dai rappresentati deiquattro stamenti – quattro cittadini onorati, quattro mercanti, due artisti e due artigiani– che a loro volta avrebbero eletto i due consoli, un cittadino onorato e un mercante, eil giudice d’appello, sempre un mercante22. Le caratteristiche richieste per ricoprirequesti uffici costituiscono una premessa fondamentale, in quanto sono chiavi per lacomprensione dei criteri con i quali i futuri giudici avrebbero dovuto procedereall’emanazione delle sentenze mercantili. Erano tre le caratteristiche richieste perquesta elezione: prima di tutto dovevano essere elette persone notabili dotate diprohomenia – ovvero di una speciale considerazione e rispettabilità –, di un bon saberche si doveva certo riferire alla conoscenza pratica generale delle principali questioniconnesse al commercio e alla navigazione e infine era necessario che possedessero bo

18 Yves RENOUARD, Les marchands italiens au Moyen Âge, Parigi, A. Colin, 1949, in part. p. 7-9 ; Vito

PIERGIOVANNI, « Statuti, diritto comune e processo mercantile », in El dret comú a Catalunya…, p.137-151.

19 Cit. in V. PIERGIOVANNI, « Statuti, diritto comune… », p.139.20 M. ASCHERI, « Giustizia ordinaria… », p. 32.21 Sui consolati si veda A. CAPMANY, Memorias históricas..., vol.I, p. 365-383 ; Maria Teresa FERRER i

MALLOL, El Consolat de Mar i els Consolats de Ultramar, instrument i manifestació de l’expansió delcomerç català, in M. T. Ferrer i Mallol e D. Coulon (eds.) L’Expansió Catalana a la Mediterrània a laBaixa Edat Mitjana, Barcelona, 1999, p. 53-79.

22 Archivo Histórico de la Ciudad de Barcelona, Consell de Cent, II.7, 36r-v (25 aprile 1451). Sul ruolodei prohoms già nel XIII secolo come mediatori nei giudizi e come garanti di un ordine sanzionato dallasocietà si veda S. P. BENSCH, Barcelona i els seus dirigents 1096-1291, Barcelona, 2000, p. 164-165.

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e ret zel nei confronti della giustizia affinché, si diceva, potessero reggere gli ufficinell’interesse generale, a lode di Dio, a servizio del re e a vantaggio della cosapubblica. Erano quindi questi tre elementi ad essere considerati discriminanti, in altreparole la rispettabilità pubblica, la buona fama, la conoscenza di tematiche mercantili einfine un’integerrima volontà di fare giustizia. Non di rado si aggiungeva ilriferimento anche a un quarto elemento pure fondamentale della giustizia mercantile,quello appunto dell’equitat.

Dal momento in cui la parte attrice si presentava di fronte al Consolato del Mare ilgiudizio poteva essere affrontato secondo due procedimenti scelti dalla stessa parte nelmomento in cui presentava la propria richiesta di giustizia: una modalità orale e unascritta. Il procedimento orale era il più rapido e consentiva di risolvere la questione difronte ai consoli assistiti dai prohoms , un collegio di uomini rispettabili e diriconosciuto prestigio, solitamente convocati in numero dispari e chiamati a dare lapropria opinione. La sentenza era ottenuta a seguito dell’esposizione della lite edurante la medesima riunione, a meno che uno dei due consoli non fosse stato assentee una delle parti non avesse richiesto di consultarlo23.

Un tipo di procedimento simile si riscontrava anche nei consolati catalaniultramarini, così come in altre universitates di mercanti all’estero. E’ interessantesoffermarsi su questi procedimenti in modo comparativo laddove ce ne restatestimonianza, per vedere come queste pratiche fossero uniformemente estese eassimilate in diversi centri del Mediterraneo tra distinti collettivi. Per non risultaredispersivi ci concentreremo ancora su catalani e toscani.

Presso il consolato di Pisa, quando ormai era soggetta al dominio fiorentino,quando si presentava una controversia da risolvere, si riunivano presso la loggia deicatalani il luogotenente del console dei catalani a Pisa e Firenze, i due ufficiali dellanatio – chiamati sobreposats –, alla presenza di ‘molti mercanti catalani’ riuniticollegialiter i quali operavano come consiliarii. Non erano soltanto il luogotenente delconsole, i sobreposats e i mercanti catalani presenti a decidere della controversia mavisi et auditi i fatti e esaminate le questioni era richiesto un maturo consilio anche amercanti pisani, fiorentini, genovesi e a sensali pro bono pacis et concordie24. Tornanoqui due motivi sostanziali: la buona fama dei consiglieri e la necessità che la decisionefosse presa collegialmente, anche con l’intervento di mercanti stranieri, perrimarginare la frattura creatasi all’interno dell’universitas mercatorum. In questo casoil sostantivo ‘consiglio’ veniva contrassegnato dall’aggettivo ‘maturo’ che nesottolineava tanto il suo essere stato meditato quanto soprattutto, al contrario dellamala suggestió, la sua capacità di dare risultati positivi mettendo fine al conflitto eripristinando la concordia.

Un simile procedimento si riscontra anche nell’ambito di un’altra universitasmercantile presente a Pisa, quella dei mercanti fiorentini. Alla fine del Trecento, nellaloggia dei fiorentini si riunivano un notaio come sindicus e tre consiglieri, cittadini e

23 C. CARRÉRE, Barcelona 1380-1462..., vol. I, p. 35-38.24 Archivio di Stato di Pisa, Opera del Duomo, reg. 1304, cc. 567r-568v.

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mercanti di Firenze, con lo scopo di dirimere le liti scaturite da questioni mercantili25.La procedura aveva inizio con la la raccolta dei documenti presentati dalla parte attricee con lo stabilirsi di un termine entro il quale la convenuta, fatta chiamare dal pregonedell’universi tas , avrebbe potuto presentarsi per produrre altra eventualedocumentazione. Anche in questo caso la decisione sarebbe stata presa dal suddettocollegio dopo aver avuto sollicita et matura delliberatione et sollicito consilio ettractatu cum pluribus et pluribus mercatoribus fidedignis et huiusmodi bene expertiset bene sagacibus, a cui seguiva una votazione che si effettuava, invocato il nome diCristo, in nome del bene della verità e del diritto. I consiglieri e il sindaco avrebberoquindi deliberato visis, auditis, intellectis e consideratis testimoni e testimonianze,insieme ai documenti, prodotti, giurati, esaminati e pubblicati.

Nell’ambito dei processi mercantili in cui le questioni erano giudicate non secondodiritto, ma in base alle norme consuetudinarie e all’esperienza degli uomini di mare, sicapisce quanto fosse importante l’utilizzazione di prove tecniche, non soltanto icontratti notarili, ma anche le lettere private e la contabilità. Presso il Consolato delMare di Barcellona quando la parte attrice dava il via al procedimento in forma scrittaquesta modalità prevedeva l’analisi delle prove tecniche, che potevano essere validateattraverso una perizia. I giudici ricorrevano alla nomina, per propria iniziativa o susollecitazione di una delle parti, di periti ovvero di persone ‘intelligenti e esperte’ che‘esaminassero’ i conti allo scopo di ‘vedere’ la verità. L’analisi di queste proverichiedeva una precisa preparazione tecnica e linguistica, giacché non di rado isoggetti coinvolti nelle liti erano stranieri che, come gli italiani, tenevano la contabilitànella propria lingua. La consulenza che questi soggetti, definiti anche calculadors,offrivano al giudice era basata su conoscenze preesistenti che gli permettevano nonsoltanto di esaminare le prove constatando dati di fatto ma anche di desumere, dioffrire una valutazione su aspetti non espliciti, non fisicamente presenti. Come per iconsoli, il giudice d’appello e la commissione che assisteva, una delle caratteristicheindispensabili del perito era la sua buona fama.

La nomina di questo tipo di consulenti non fu una prerogativa soltanto dei consolidel mare e a loro ricorsero anche il vicario e i commissari, di solito giurisperiti, dinomina regia. Il vicario non soltanto richiedeva loro il parere tecnico nell’analisi delleprove, ma poteva avvalersene incaricandoli dell’amministrazione dell’eredita di pupillio chiamarli a dare un parere sull’opportunità di porre sotto sequestro i patrimoni deisoggetti coinvolti nei processi e depositati presso la Tavola di Cambio cittadina.D’altra parte nell’ambito delle inchieste regie indispensabile ricorrere all’analisi discritture di mercanti e artigiani: in questo caso quando i documenti erano redatti inun’altra lingua, il monarca poteva richiedere al suo consigliere di far tradurre incatalano le scritture, mediante una persona ‘capace e fidata’ che portasse a terminel’operazione senza sospetto di manipolazione26.

Gli atti processuali relativi alla gestione del patrimonio regio, che quindi trattanoprincipalmente questioni fiscali di competenza del baiulo, offrono un interessante

25 Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, 18794, cc. 182v-185r.26 Per un esempio di questo Archivo de la Corona de Aragón (ACA), Cancelleria (C), reg. 3209, c. 21r.

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esempio di un altro tipo di assistente del giudice che non di rado è difficile distingueredal perito: il testimone. Nei processi inquisitori istruiti dal baiulo generale diCatalogna sulla base di un’informazione ricevuta l’inquisitor provvedeva a interrogarei testimoni, emanando poi una sentenza tanto sulla base di questa inchiesta quanto suquella della documentazione prodotta, ovvero sugli alligata et probata27. I verbalidegli interrogatori consentono di rilevare i criteri di selezione dei testimoni e la logicaalla base delle domande che venivano poste. Le testimonianze permettono diricostruire i caratteri e gli elementi propri del mondo mercantile, i rapporti cheintercorrevano fra i soggetti, la relazione tra uomini di mare e ufficiali regi, così comela dialettica spesso conflittuale fra la gestione dei negozi e il mantenimento dellenorme.

Che funzione avevano i testimoni? In linea teorica è definito come testimone chi haassistito direttamente o può attestare un evento avendone una conoscenza diretta peraver visto o udito qualcosa. Il testimone dovrebbe essere quindi in grado di diresoltanto quanto ha visto, prestando la propria deposizione sulla base diquell’esperienza; viceversa contraddistingue il consulente tecnico il fatto di formulareun parere fondato su un sapere specifico preesistente, che gli consente di parlare anchedi ciò di cui non ha avuto esperienza diretta. Tuttavia questi limiti concettuali sirivelano nella pratica abbastanza labili. Nei processi inquisitori riguardanti questionimercantili il giudice selezionava un certo tipo di testimoni reperiti in luoghi specificidella città cui poteva richiede di dare un’opinione sui fatti, un’interpretazione di alcunieventi sulla base della propria esperienza o piuttosto di riferire le voci che circolavanonei loro ambienti professionali e familiari, facendo quindi riferimento a unaconoscenza acquisita per ‘pubblica fama’ e socialmente considerata degna di fede28.

Nel 1442 fu avviato un processo inquisitorio su una saettia di mercanti fiorentiniche, sopraggiunta per cattivo tempo nel porto di Salou, era stata catturata dalla galea diun patrono catalano, perché ritenuta appartenente ai provenzali nemici del red’Aragona29. Due dei testimoni interrogati in quell’occasione, un calafato portoghese eun patrono castigliano avevano riportato, più che la propria esperienza diretta, il gossipraccolto negli spazi della sociabilità mercantile. Il primo testimoniava ciò che avevaappreso stando davanti alla porta della loggia, dove alcuni mercanti fiorentini‘ragionavano’ della saettia e del suo patrono ; l’altro riportava voci udite all’interno

27 M. VALLERANI, Procedura…, p. 4. Rispetto alla questione relativa alla motivazione della sentenza si

veda F. MANCUSO, Exprimere causam in sententia, Milano, 1999, in particolare p. 217-229.28 Sul rapporto tra testimonianze, gruppi e, nelle parole dell’autore, il gossip rimando a Chris WICKHAM,

« Gossip and Resistance among the Medieval Peasantry », Past & Present, 160, 1998, p. 3-24.Sull’utilizzo di quanto noto per pubblica fama come prova nei processi giudiziari in Francia J. THÉRY,«Fama: l’opinion publique comme preuve judiciaire. Aperçu sur la révolution médiévale del’inquisitoire (XIIe-XIVe siècle)», in La Preuve en justice de l’Antiquité à nos jours, Rennes, 2003,p. 119-147.

29 ACA, Real Patrimonio (RP), Bailia Generale di Catalogna (BGC), Processi, 1H (1442), cit. in JosefinaMUTGÉ VIVES, « Contribució a l’estudi de les relacions politíques i comercials a la Mediterràniaoccidental: anàlisi d’un procés de l’any 1442, conservat a l’Arxiu de la Corona d’Aragó de Barcelona »,in La Corona d’Aragona ai tempi di Alfonso il Magnanimo, Atti del XVI CHCA (Napoli-Caserta-Ischia,18-24 settembre 1997), Napoli, Paparo, 2000, vol. 2, p. 1147-1160.

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della famiglia e nel porto di Palamós da alcuni barcaioli. Nelle testimonianze siraccoglievano e mescolavano quindi le informazioni recepite attraverso vari canali:quelle derivate dall’aver partecipato di persona agli eventi, ma anche le indiscrezioniudite presso la loggia dei mercanti e sulle spiagge, per colloquio diretto con colleghi,personale dei porti, amici e parenti riportando conversazioni di terzi. Questo tipo ditestimoni non soltanto poteva decodificare simboli, come i segni mercantili appostisulle merci, ma anche portare come prova in giudizio lettere mercantili contenentiinformazioni ricevute attraverso canali propri che indirettamente interessavano lamateria del processo ma che erano considerate degne di fede30. Le prove scritte,costituite da libri di conto, lettere e certificazioni, si andavano mescolando a questotipo di deposizioni orali, ottenute da personaggi ritenuti plausibilmente a conoscenzadegli avvenimenti o capaci di interpretarli, in grado di riferire quale fosse la pubblicafama sugli eventi.

I causidici

Un’altra figura di consulenza nell’ambito della rappresentanza e del patrocinioprocessuale delle parti era quella del causidico. Il causidico era un esperto della prassidegli organi giurisdizionali presso cui esercitava, che si occupava di trovare soluzionifavorevoli ai propri assistiti nel contesto delle prove di fatto – tanto sotto il profilosostanziale quanto della legittimità –. Si incaricava poi della redazione degli atti.Inizialmente non vi era limitazione per l’ammissibilità della sua rappresentanza pressoil Consolato del Mare e un privilegio valenzano del 21 ottobre 1336 ammettevaesplicitamente la gestione processuale per mezzo di procuratori. Le limitazioni piùantiche sono invece riscontrabili presso il Consolato del Mare di Maiorca a partire dal1373 e fino almeno al 1439 quando su richiesta di mercanti e patroni furono emanatedal re, dal governatore e dai giurati di Maiorca in successivi momenti proibizioni inmerito alla presenza presso quel foro di giuristi, notai e causidici in veste dirappresentanti dei litiganti. La ragione di quelle disposizioni, reiteratamente ricordata,era la necessità di favorire la celerità del processo consolare di cui si consideravanonemici i professionisti31.

Un’altra ragione che fu addotta per proibire a giuristi, procuratori e causidicil’intervento nel Consolato del Mare erano le spese eccessive: una provvisione regiadell’11 novembre del 1402 relativa al Consolato del Mare di Perpignano, consentiva,come sola eccezione a questa regola, la loro presenza nei litigi in cui erano coinvoltipupilli, vedove, malati e assenti. Secondo questo documento a Barcellona, in virtù di

30 Ad esempio rimando alla testimonianza dei mercanti Rafael Oller e Pere Viner nel processo a Leonardo

Gualandi ACA, RP, BGC, Processi 1 C (1449).31 Per la definizione delle competenze attribuite al causidico a Venezia rimando a Silvia GASPARINI, Tra

fatto e diritto. Per la normativa barcellonese qui causidici e per i riferimenti documentali allelegislazioni dei Consolati del Mare si vedano rispettivamente Víctor MATA I VENTURA, « El cos delsprocuradors de plets de les corts del veguer i batlle de Barcelona en el segle XIV », Barcelona,quaderns d’història, 4, 2001, p. 213-223 e Llibre del Consolat de Mar, ed. a cura di G. COLON,G. ARCADI, 4 voll., Barcellona, 1981-1987, vol. III/1, p. 130-139.

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un privilegio reale, la consuetudine era la medesima. Lungaggini nei tempi processualie eccesso nelle spese erano dunque le ragioni per inibire dai processi mercantili iprofessionisti che, percependo un salario dalla parte difesa, avrebbero potuto protrarreinutilmente le liti per interesse personale.

Nelle circostanze in cui era consentita la loro presenza, quali furono allora le formedi penalizzazione dei causidici che operavano in modo fraudolento ? Un esempio inquesto senso risale al 1435 quando il vicario di Barcellona, dopo essersi consultato conalcuni consiglieri veridice informati, inibì dalla corte del Consolato del Mare icausidici Andreu Savila e Pere Joan accusati di prolungare eccessivamente le liti in cuiprendevano parte: «per eorum intricaciones faciunt durare et per longa tempora ducerelittigia que in curia dictorum consulum ducuntur, in quibus ipsi interveniunt», contro iprivilegi della città, i capitoli del Consolato e gli usi dei mercanti dampnificando etvexando. Spinti dal desiderio di preservare la mercatura e, si diceva, per il bene dellares publica e della mercanzia i consiglieri avevano richiesto l’intervento del vicario. Ilcomportamento fraudolento dei causidici era punito con l’inibizione dalla cortemercantile32.

A Barcellona l’attività dei causidici fu regolamentata dai consiglieri della città nel1394. La prima parte di queste ordinanze faceva riferimento ai requisiti che avrebberodovuto avere gli aspiranti, alla composizione della commissione esaminatrice, alledisposizioni rivolte a coloro che non erano ammessi e al giuramento che avrebberodovuto prestare sulla legislazione vigente a Barcellona. Insieme ai requisiti tecnicierano richiesti pure quelli morali, concernenti la buona fama e la condotta: si stabilivala necessità di verificare che i candidati possedessero suficiència, fama e bonaconversació. Le tre caratteristiche riconosciute come discriminanti per lo svolgimentodi questa attività erano dunque un insieme di conoscenze o di esperienze adatte aportare a termine la professione, una buona reputazione e insieme una bonaconversació, che deve qui intendersi come un retto modo di comportarsi e di vivere.La seconda parte dell’ordinamento era dedicata all’esercizio della professione e aisalari, mentre la terza e ultima agli aspetti formali, quali il giuramento e lapubblicazione delle ordinanze.

Per esercitare la professione i causidici avrebbero dovuto essere esaminati da unacommissione composta dal vicario, insieme ad almeno due consiglieri, due giuristi edue notai: si dovevano valutare requisiti di sciencia ovvero di grammatica, scrittura,retorica, di conoscenza del latino, a cui si aggiungevano le caratteristiche morali di cuisopra. I candidati che passavano l’esame avrebbero dovuto giurare ogni anno suiquattro Vangeli di rispettare gli usi e i costumi di Catalogna. Coloro i quali nonpassavano l’esame erano segnalati in liste affisse presso la corte del vicario affinchéfosse nota la loro incapacità di praticare quell’ufficio ; una multa di 500 soldi eraprevista per i contravventori. A questa normativa sulla selezione dei professionisti neseguiva un’altra sui salari, in cui si specificava che ai causidici non era permessoriscuotere in specie né accordarsi in merito con giuristi, notai o scrivani. Tra le normedeontologiche da rispettare vi era quella di non indurre i giudici a violare le regole

32 Llibre del Consolat de Mar..., vol. III/2, p. 70-71.

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sulla nomina di notai e scrivani assecondando le proprie preferenze e di non prendereaccordi con la parte avversa, una violazione quest’ultima che avrebbe comportatol’accusa d’infamia e la conseguente privazione dell’ufficio. Si stabiliva poi che ilrappresentato, e non il causidico, provvedesse al pagamento giudici, avvocati escrivani.

Juristes, advocats, jutges, assessors o consellers

Il progressivo inserimento del diritto romano in ambito catalano-aragonesepresuppose l’intervento dei giuristi non soltanto nella sua corretta interpretazione, maanche nella creazione e nell’applicazione di un diritto dotto che doveva essere di voltain volta coniugato con quello consuetudinario. Questa concorrenza tra culturegiuridiche si rispecchiava nell’importanza data alla presenza nei giudizi dei prohoms edei giuristi chiamati ad assistere i giudici presso le curie cittadine: i primi in quantoconoscitori del diritto consuetudinario e proprio di Barcellona e della Catalogna, isecondi come tecnici del diritto comune33. Già le corti di Montsó del 1289 avevanostabilito che per intervenire nelle curie come avvocati, giudici, inquisitores o perattuare come giudici delegati dal titolare della giurisdizione i tecnici del dirittodovessero prima essere esaminati da un’apposita commissione composta da giuristi eda prohoms che garantisse quindi non soltanto la conoscenza del diritto comune maanche di quello consuetudinario. Qualche anno più tardi il monarca stabilì che in casodi appello a una sentenza, il vicario o il giudice ordinario richiedesse il parere diavvocati o giuristi da conservarsi per iscritto presso la curia affinché le parti potesserorichiedere copia.

In questo sfaccettato orizzonte giurisdizionale i giuristi agivano alternativamente investe di avvocati, giudici, assessori o consiglieri: come avvocati erano chiamati aintervenire come difensori di una delle parti, come giudici a esercitare la potestàdichiarativa, come consiglieri ad affiancare i titolari della giurisdizione, fossero stati ilbaiulo, il vicario o lo stesso re nel suo consiglio influendo con i loro suggerimenti e laloro interpretazione del diritto. Il vicario era un funzionario territoriale legato aldistretto giurisdizionale della vicaria assegnatagli, che si dedicava al mantenimentodell’ordine pubblico, alla comunicazione delle ordinanze a mezzo di grida, allequestioni amministrative quali ad esempio l’emanazione di salvacondotti individuali eal diritto legato alle persone, intendendosi problemi di ordine successorio o laviolazione delle paci. La sua giurisdizione era di natura tanto civile quanto criminale erimanevano fuori dalla sua competenza le cause di abuso da parte del vicario, quelleriguardanti poveri, orfani e vedove avocate dall’audiencia regia e le cause fiscali checoinvolgendo il patrimonio regio ricadevano sotto la giurisdizione del baiulo34.

Tomàs de Montagut ha efficacemente sintetizzato il quadro delle regolamentazionisull’attività dei giuristi succedutesi a Barcellona tra 1243 e 1399. Queste disposizioni

33 Tomás de MONTAGUT ESTRAGUÉS, « El regim jurídic dels juristes de Barcelona (1243-1399) », in

Barcelona, quaderns d’història, 4, 2001, p. 193-212.34 J. LALINDE ABADÍA, La jurisdicción..., p. 93-152.

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consentono di evincere l’importanza attribuita all’intervento tecnico dei giuristi nellediverse funzioni che potevano ricoprire35. Gli avvocati avrebbero dovuto prestaregiuramento impegnandosi a operare fedelmente e legalmente, informando le parti chesi trovavano di volta in volta a difendere in funzione del rispetto della verità, a nonaccettare cause che, in buona fede, considerassero fraudolente, a non agire con malizianelle cause che patrocinavano. Le disposizioni oltre a valutare il loro lavoro dal puntodi vista tecnico ponevano, anche in questo caso, la necessità del requisito morale.

L’importanza che gli avvocati andarono acquisendo portò, come nel caso deicausidici, al verificarsi di abusi e in particolare al costume di esigere salari smodati,dilazionare immotivatamente le cause e difenderne di fraudolente. Per queste ragioniAlfonso il Benigno, nel 1333, sottopose la loro attività alla disciplina di un collegio.Così a partire dal quel momento il priore del collegio avrebbe potuto imporre lorocastighi e pene, il più severo dei quali era la loro esclusione dalla professione. Altrenorme regolarono poi materie come il salario, gli appelli, l’accumulo delle cause,l’obbligo di emettere la sentenza entro certi termini e sancirono la richiesta di ulterioriprove della loro preparazione reiterando il divieto di intervenire nelle cause contrariealla giustizia. Nel 1399 il collegio di avvocati si trasformò in collegio di giuristi,rappresentati dal priore e dai suoi consiglieri. Il priore avrebbe convocato un capitolo ascadenza mensile in cui sarebbero state presentate le lamentele contro la condotta deigiuristi, concernenti temi come l’abuso d’ufficio o l’eccesso nei salari.

Il capitolo poteva anche essere chiamato a emettere consilia per risolvere i dubbiche si fossero presentati ai giuristi nell’esercizio del loro ufficio di giudici. Insieme adue consiglieri il priore avrebbe eletto a cadenza settimanale e, per evitare le frodi, inmodo segreto, i giuristi che dovevano assistere il baiulo, nel numero di due, e ilvicario, quattro, che per questo erano chiamati setmaners. Proprio a uno di questigiudici che assessoravano il vicario fu affidata la causa relativa all’esecuzionedell’eredità di Filippo Strozzi, mercante appartenente ad un’importante casatafiorentina. Quando nel 1449 lo Strozzi morì a Barcellona, per ratificare la nomina diGiovanni di Benedetto degli Strozzi a gestore dell’eredità fu istruito un processo dalvicario di Barcellona. Si doveva verificare la validità di quel codicillo contenente lesue ultime volontà, con cui Filippo concedeva a Giovanni l’amministrazione di tutti isuoi beni fino a una nuova decisione dei fratelli Niccolò e Jacopo36. In quest’occasioneil vicario si avvalse del parere giuridico del dottore in legge Pere Lledó in assidentesive consiliarium et quatenus opus fuerit in iudicem assignavit (…) de cuius consilioobtulit in predictis facere iusticie complementum37. Il Lledó, operando quindi in vestedi iudex, presa visione della documentazione prodotta emise una sentenza che a suavolta il vicario confermava, imponeva per iter et decretum e diffondeva a mezzo digrida pubblica. Il ‘consiglio’ sarebbe stato letto dal Lledó che sedeva more solitoiudicis iudicantis sive consulentis intus studium eius habitacionis. 35 Per i riferimenti documentali e per le distinte regolamentazioni rimando a T. de MONTAGUT

ESTRAGUÉS, « El regim jurídic dels juristes… », p. 193-212.36 AHCB, Archivio del Vicario, XXXVI.25 (18-21 luglio 1449). Il registro AHPB 166/33 del notaio

Saconamina contiene un documento molto danneggiato che certifica la sentenza del vicario.37 AHPB 166/33 (12 luglio 1449) e (16 luglio 1449).

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Quando in prima istanza le liti erano passate da uno di questi tribunali potevanoessere appellate all’audiencia regia. Il giudizio era piena espressione del potere edell’obbligo del monarca di essere garante della giustizia e della pace tanto per i suoisudditi quanto per i forestieri38. In questa veste il re s’incaricava anche di garantire ilimiti giurisdizionali di ogni foro qualora si fossero presentati conflitti tra i suoiufficiali. Nell’ambito dell’audiencia regia la soluzione di una causa era affidata a ungiurista appartenente a un collegio di dottori che operavano affiancando il monarca e isuoi luogotenenti. Il giurista studiava il caso, poi si procedeva con la riunione delconsiglio, la relazione dell’incaricato, la discussione e la conclusione. Questoprocedimento è descritto nella serie dei registri di conclusioni civili che si conservanoa partire dal XV secolo, nei quali sono annotate le riunioni del consiglio, elencati igiuristi che partecipavano alla discussione, indicati coloro che presentavano i casi edescritte brevemente le risoluzioni39. D’altra parte il documento di cancelleriacontenente la sentenza iniziava solitamente con la presentazione delle parti e l’elencodegli elementi che il giudice prendeva in considerazione per formulare il proprioresponso – con il rispettivo elenco dei visa – e i merita – con i quali si spiegava ciòche era stabilito dalla legge e se l’intenzione dell’attore era provata o meno – ,concludendosi con il consueto riferimento a una decisione presa sotto lo sguardo diDio e dinanzi ai quattro Vangeli40.

Invocato per via di supplica poteva poi essere lo stesso monarca a suggerire a ungiurista della propria corte o al giurista della curia in cui si stava discutendo una causai criteri con cui formulare la sentenza, criteri resi necessari dal coinvolgimento deimercanti o dall’emanazione di precedenti responsi. Il 24 giugno 1407 re Martino inviòuna comunicazione a Bernat Bosc, in legibus licenciato, come commissario delgovernatore di Catalogna assegnato nella causa d’appello fra i mercanti Joan Bertran eJacopo Accettanti. L’Accettanti aveva rivolto una supplica al monarca affermandoche, per malizia della parte avversa, il procedimento era stato dilatato nelle proceduree nelle spese. Per risolvere la questione rapidamente Martino I aveva affidato il caso alBosc, ricordandogli però che, per privilegio concesso alla città di Barcellona, le causemercantili e marittime erano di competenza dei consoli del mare e quindi, una voltaemanata la sentenza, l’eventuale appello sarebbe spettato esclusivamente al giudicepreposto di quella curia41. Nel rispetto di quei privilegi gli chiedeva di considerare lacausa già giudicata e di entrare il meno possibile nel merito, rimettendosi il piùpossibile ai verdetti precedenti. Suggeriva al Bosc di risolvere la questione attraversoil ristabilimento della verità ‘brevemente e semplicemente’, tenendo in considerazione

38 Suppliques et requêtes. Le gouvernement par la grâce en Occident (XIIème-XVème siècle), H. Millet

(ed.), Roma, École Française de Rome, 2003 ; Suppliche e «gravamina». Politica, amministrazione,giustizia in Europa (secoli XIV-XVIII), C. Nubola e A. Würgler (eds.), Bologna, Il Mulino, 2002.

39 ACA, Audiencia Regia, Libri di Conclusioni Civili. Rimando a Victor FERRO, El dret públic català. Lesinstitucions a Catalunya fins al decret de Nova Planta, Vic, Eumo, 1987, p. 58-61.

40 La documentazione dell’ACA permette di seguire le vicissitudini delle vicende presentate all’attenzionedel monarca: i registri di cancelleria comune si trovano i primi ricorsi dei sudditi al re e quindi isentenciarum testimoniano la fase finale e risolutiva del conflitto.

41 ACA, C., reg. 2153 cc. 2r-v (25 giugno 1407)

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i privilegi del Consolato del Mare, la forma della sentenza d’appello e ascoltate leparti.

Un caso esemplare di accavallamento di giudizi, sentenze e pareri: le liti perl’eredità di Piero Aitanti

Un aspetto sostanziale del successo di chi iniziava la causa era quindi costituitodall’abilità nel sapersi muovere tra giustizie e giurisdizioni concorrenti. I mercanti,consapevoli delle caratteristiche procedurali delle distinte curie, erano consci che uncerto tipo di procedimento e di assistenza processuale avrebbe potuto favorirli o alcontrario penalizzarli.

Negli anni Trenta e Quaranta del XV secolo si consumò una lunga lite fra Antonia,vedova del mercante pisano Piero Aitanti, e alcuni suoi affini. Il primo segnale didissenso risale al 1437. Per la prima volta fu revocata la procura accordata dallavedova in favore del fratello Giovanni della Seta, che dal momento della morte delcognato aveva amministrato il patrimonio per conto dei discendenti tenendone lacontabilità dal 1436 al 143842. Piero Aitanti aveva designato erede universale il figlionon ancora emancipato Jaumet che, insieme agli altri fratelli, era posto sotto la tuteladella madre Antonia e del connazionale Michele delle Vecchie43. Nel settembre del1437, la vedova e il delle Vecchie nominarono un causidico, il barcellonese Pere Joan,affinché agisse a loro nome in alcune cause di giustizia44. La lite, provocata dalsospetto di una possibile frode a livello contabile, avrebbe generato una serie diproblemi: in prima istanza la necessità di sostituire Giovanni con un altro o altriamministratori fidati ; in seguito, avrebbe alimentato una conflittualità generale fra imembri della famiglia che portò a un susseguirsi di denunce. Infine, la situazione diconflitto si sarebbe allargata a macchia d’olio ai membri di quella famiglia idealeraccolta sotto lo stesso tetto, come anche ad altri mercanti catalani con cui l’Aitanti erastato in affari. Questo contesto anomalo che si venne a creare sin dalla morte di Pieropermette di valutare quali fossero le capacità della vedova, usufruttuaria dell’ereditàdel marito, di muoversi fra i diversi fori ed evocare, con pretesti di natura diversa,l’intervento della Corona45. Le analogie riscontrabili nella conduzione delle causecontro i due principali amministratori del patrimonio, Giovanni della Seta prima eLeonardo Gualandi poi, evidenziano come Antonia avesse fatto ricorso agli stessiespedienti per ottenere una sentenza che le fosse favorevole46. 42 AHPB 113/44 (13 novembre 1437).43 Dell’Aitanti non è stato possibile reperire il testamento, ma queste informazioni si evincono da un

documento di procura contenuto nel Primus liber negociorum venerabili Jacobi Ytanti, mercatoris, civisBarchinone redatto dal notaio Antoni Vinyes il 21 aprile 1450, AHPB 154/138. La tutela di Antonia eMichele delle Vecchie appare in diversi contratti notarili, così come in ACA, C, reg. 3131, c. 116v (25settembre 1437).

44 AHPB 113/44 (23 settembre 1437).45 AHPB 113/49 Bossa.46 Sulla capacità delle vedove di gestire gli affari della famiglia e tutelarli attraverso il ricorso alla

giustizia, Marjorie K. MCINTOSH, « Women, Credit, and Family Relationships in England, 1300-1620 », Journal of Family History, 30, 2005, p. 143-163, in part. p. 146.

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Già nell’estate del 1436 il della Seta come procuratore per la sorella e gli eredi dauna parte e uno dei collaboratori di Piero Aitanti, Antonio del Pattiere, dall’altraavevano dovuto ricorrere a un arbitrato per risolvere una questione relativa a unaquantità di denaro affidata in commenda per il Levante da Piero ad Antonio47. Il 28luglio 1438 Antonia di Piero Aitanti, tutrice del figlio Jaumet, riconobbe di averricevuto dal fratello Giovanni della Seta i libri contabili relativi all’amministrazionedel patrimonio gestito in nome dell’erede dopo la morte del cognato: una contabilitàsuddivisa in un libro mastro e in libri analitici, tenuta da diversi collaboratori involgare pisano48. La trasmissione dei registri avrebbe permesso di accertare la gestionedegli affari da parte del della Seta costituendo una prova tecnica fondamentale. AdAntonia per conto dell’erede era riservato il diritto di reclamare eventuali difformità.

Nel giugno del 1440 il notaio Bernat Pi notificò una lettera a Jacopo della Seta, investe di procuratore del fratello Giovanni49. Il mercante barcellonese Pere Rovira,agendo in nome della Aitanti, aveva richiesto a Giovanni il pagamento di £ 300,insieme ai frutti e agli interessi maturati, che sosteneva fossero ancora dovuti comeparte dell’eredità. Jacopo della Seta replicava con un documento di risposta nel qualeaffermava che il fratello, con ammirevole dedizione, era stato procuratore e attore per isuoi principali, ma che questi ‘agitati come canne al vento’ si erano affannati adilapidare il patrimonio dei pupilli con vane petizioni giudiziarie50. Visto che sullabase della contabilità non era del tutto chiaro che fosse davvero debitore di quellasomma, si rimetteva la decisione alla regina e ad altre persone notabili. Prima, però,Antonia avrebbe dovuto smettere di opporsi all’elezione di due mercanti in grado diesaminare i libri di conto e d’altronde si affermava che il suo comportamento fossemotivato soltanto dall’intenzione di calunniare il fratello e dilapidare la fortuna deglieredi. Per questo motivo il della Seta attendeva sia di essere convocato di fronte a Joand’Alçamora, commissario assegnato alla causa dalla regina, sia la nomina deicalculadors nelle persone di Joan de Barqueres e Giovanni d’Andrea, mercanti ecittadini di Barcellona.

Per trovare una conclusione a questo conflitto il vicario di Barcellona, il 29 ottobre1440, autorizzò le parti alla nomina di arbitri51. Nello specifico Antonia Aitanti eMichele delle Vecchie da una parte e Giovanni della Seta dall’altra elessero Joan deBarqueres e Filippo Aldighieri. Due mesi più tardi questi furono sostituiti da FerrerBertran e Agabito dell’Agnello, ancora una volta da un barcellonese e da un pisanovicino alla famiglia52. Si precisava che i due arbitri erano nominati a causa di re dubia 47 AHPB 166/47 (11 agosto 1436).48 Sulla contabilità mercantile Federigo MELIS, Storia della ragioneria. Contributo alla conoscenza e

interpretazione delle fonti più significative della storia economica, Bologna, Zuffi, 1950 ; Id., Aspettidella vita economica medievale. Studi nell’Archivio Datini di Prato, Siena, Monte dei Paschi di Siena,1962.

49 AHPB 113/47, Bossa (7 giugno 1440).50 AHPB 113/47, Bossa (8 giugno 1440).51 AHPB 133/49 (29 ottobre 1440).52 AHPB 133/49 (29 dicembre 1440). Con una nota si riportava l’autorizzazione del vicario: «Die lune XII

die novembris anno predicto honorabilis Bernardus Margarit, miles vicarius Barchinone etcetera,decrevit et auctoritzavit predictum compromissum per prefatos».

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et lite incerta per evitare che si danneggiassero i beni degli eredi con ulteriori speseprocessuali.

All’inizio di febbraio del 1441 i due fratelli Giovanni della Seta e Antoniacontinuavano a scambiarsi reciprocamente l’accusa di voler dilapidare la fortuna deglieredi Aitanti. Il sette di quel mese il della Seta giunse a richiedere, per via di supplica,l’intervento dei consiglieri della città per impedire il matrimonio fra la nipoteEufrosina e il figlio di Michele delle Vecchie. Si trattava, secondo lui, di una nuovamacchinazione della sorella e del tutore per mettere le mani sulla fortuna lasciata dalmercante pisano53. I consiglieri, accogliendo la richiesta di Giovanni della Seta,interpellarono uno dei giuristi della corte della regina Maria, Francesc Castelló. Lomisero al corrente della loro perplessità sulla validità di quel matrimonio che glisembrava sic exorbitant a dret. Lo zio affermava infatti che l’atto non fosse statorealizzato con la retta intenzione del matrimonio e che nascondesse ben altri propositi.Bloccati mentre vedova e tutore erano in fuga con la fanciulla e i suoi beni, gli venivanotificato un ordine della regina di presentarsi al suo cospetto. I consiglieri,intermediari per il della Seta, si raccomandavano al giurista affinché provvedesse alripristino della giustizia sulla base delle norme di diritto. Indirettamente sappiamo cheGiovanni, almeno in questa occasione, riuscì ad avere la meglio. Eufrosina si sposòpochi anni dopo con il fiorentino Riccardo Davanzati.

Il primo tentativo di far sposare Eufrosina con Bartolomeo di Michele delleVecchie risaliva al 1440. Antonia era riuscita ad ottenere una procura da Jacopo di SerGuidone di Jacopo del Pattiere, tanquam proximiore et coniuncta persona, cheabilitava la madre a contrattare il matrimonio54. Il 9 ottobre dello stesso anno lavedova si era presentata di fronte al notaio Bernat Pi insieme a Michele delle Vecchie,tutore con lei degli eredi di Piero Aitanti, per stringere il fidanzamento e far redigere icapitoli matrimoniali55. Visto che entrambi i ragazzi non avevano raggiunto ancoral’età per poter stipulare un giuramento de paraulas de present, i genitori siimpegnavano a farli sposare non appena avessero raggiunto l’età consentita e avigilare che non stipulassero accordi matrimoniali con altri. Enfrosina avrebbe portatoin dote la somma attribuitale dal padre nel proprio testamento, soggetta alle clausoleche vi erano specificate. Si decretava che qualora il figlio di Piero Aitanti fosse mortosenza eredi la madre Antonia si sarebbe potuta riservare il diritto alla legittima. Daparte sua Michele delle Vecchie s’impegnava a non sollevare alcuna questione digiustizia alla vedova riguardo all’amministrazione dei beni di quell’eredità e di fattotali accordi erano vincolati alla condizione che i contraenti riuscissero ad ottenere ladispensa papale.

Nella primavera del 1441 il mercante pisano Agabito dell’Agnello, che vivevaallora con Antonia Aitanti, protestò a nome della vedova contro il vicario per unordine che aveva emanato, si precisava, su consiglio di Bonanat Pere e Antoni

53 AHCB, Consell de Cent, VI.7, c. 167r (7 febbraio 1441).54 AHPB 113/47 (13 agosto 1440).55 AHPB 113/48 (9 ottobre 1440).

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Bonell56. Con tale disposizione il vicario aveva stabilito che la vedova non potessedisporre di alcuna quantità di denaro già depositata, o che lo sarebbe stata, presso laTavola di Cambio per conto degli eredi dell’Aitanti o della tutrice, senza espressaautorizzazione del mercante barcellonese Joan de Barqueres. Il dell’Agnello lamentavache il provvedimento ingiusto andasse contro le norme generali di diritto comune perdiversi ordini di ragioni: innanzitutto perché Antonia non era stata nemmenoconvocata e consultata come di procedura negli atti pregiudiziali nei confronti di unsoggetto secondo il diritto comune e le costituzioni di Catalogna. Alla vedova,usufruttuaria dei beni del marito, il coniuge aveva rimesso la possibilità di usufruiredell’ausilio di un ‘buon uomo’ che le garantisse il godimento dei frutti dell’eredità – lacosì detta clausola de utendo et fruendo arbitrio boni viri –, dandole la piena e totaleamministrazione delle ricchezze. Si dichiarava quindi che il provvedimento del vicariola privasse proprio di quei diritti concessi dal marito nel testamento di cui peraltro eraanche esecutrice, contravvenendo alle ultime volontà del defunto. Infine si contestavaproprio la liceità di quel parere formulato dal Pere e dal Bonell. Per queste ragioni ildell’Agnello, a nome della sua titolare, chiedeva la revoca del provvedimentoaffermando che era stata commessa un’ingiustizia nei confronti di Antonia. Le perditesi stimavano già a f. 2000 che lei aveva dovuto sborsare di propria tasca. La rispostadell’ufficiale fu notificata dal notaio Pere Vallmanya presso la scrivania di Bernat Pi e,anche se non è noto il contenuto del documento, possiamo dedurre dall’intestazioneche le proteste fossero state respinte: denegades les protestacions.

Nel giugno 1441 toccava a Leonardo Gualandi essere eletto procuratore generaledegli eredi di Piero Aitanti57. Il 19 ottobre successivo la lite non era ancora terminata.Il causidico Jaume de Sant Joan, agendo a nome di Antonia Aitanti, presentava unnuovo documento al vicario di Barcellona58. All’ufficiale si contestava di aver proibitoe interdetto la vedova dall’amministrazione, senza una ragione plausibile e senzaaverla consultata. Lo si accusava di aver emesso il provvedimento influenzato dallesuggestioni di alcune persone malevole a cui lei non aveva permesso di gestirel’eredità dei figli: e aço haiats fet a suggestió de algunes males persones portant a ellamala voluntat. Posto che la vedova non avrebbe potuto essere forzata ad essereaffiancata da alcun mercante, si ricordava come lei avesse già richiesto il supporto diun mercante competente nella persona del barcellonese Bernat Vidal, con ‘fama’ diessere buon amministratore e possedere le capacità per reggere i conti. Nonostante lepressioni il Vidal aveva rifiutato l’incarico e l’amministrazione dei beni era rimastadestituita di un responsabile. Qualora non ci fosse stato nessun impedimento, Antoniain persona avrebbe potuto gestire i beni depositati nella tavola della città in virtùdell’usufrutto. Nel documento si sottolineava come aggravante il fatto che la vedovafosse caduta in povertà tanto da non poter provvedere alle necessità dei propri cari.Antonia desiderava potersi avvalere dell’aiuto di una persona competente, segnalandoper questo incarico il pisano Filippo Aldighieri e domandava che ne fossero prese

56 AHPB 113/49 (13 maggio 1441).57 AHPB 113/49 (28 giugno 1441).58 AHPB 113/49 (19 ottobre 1441).

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informazioni per constatarne l’idoneità. Nuovamente richiedeva che le venisse tolto ilblocco sui beni.

L’intervento del della Seta per impedire quel matrimonio contrattato dalla vedova edal tutore degli eredi dovette acuire non poco i dissidi all’interno della famiglia.Alcuni anni più tardi, la lite tra Antonia e il fratello non solo non si era risolta, maaveva assunto caratteri più violenti. La vedova Aitanti era rimasta a Barcellona, doverisiedeva in una casa con i propri figli. Nel 1443 si dichiarava esasperata dal conflitto:a causa della discordia col fratello che perdurava incessantemente – si diceva – istigatadal demonio, la regina aveva emanato un provvedimento con cui Giovanni della Setaera diffidato dall’entrare in casa della sorella e dei nipoti. Con questa misura si cercavadi evitare che il mercante recasse danno, ingiuria o offesa agli eredi dell’Aitanti che loavevano più volte denunciato presso varie corti per le frodi contabili perpetrate a lorodanno negli anni successivi alla morte del padre59.

Tra i registri del notaio catalano Antoni Vinyes è contenuto un Primus libernegociorum venerabili Jacobi Ytanti, mercatoris, civis Barchinone60. I documenti diriferiscono ad affari del 1449 della compagnia intestata a Jacopo Aitanti, figlio ederede di Piero, ed è probabile che, in quel periodo di pieno conflitto perl’amministrazione dell’eredità Aitanti i consoli del mare, il vicario o il commissario dinomina regia avessero deciso di far registrare le transazioni di quella compagnia da unnotaio della città.

Il 23 maggio 1450 la regina Maria fece recapitare al pisano un invito a comparire,comunicandogli che era stata accettata la supplica di Antonia di trasferire presso il suoconcistoro il contenzioso cum pretextu viduitatis dicte Anthonie et pupillaritatis dictiIacobi61. Trattandosi di un problema legato agli affari, questo era stato più voltepresentato al Consolato del Mare, poi al vicario poiché coinvolgeva aspetti di dirittosuccessorio, passando attraverso diversi arbitrati su aspetti concreti della lite, finché lavedova non si era appellata all’audiència della regina Maria. E’ quanto emerge da undocumento fatto redigere dal Gualandi stesso, in cui si protestava contro l’ingiustiziache lo aveva travolto in procedure lunghe e costose62. Anche in questo caso, comenella disputa che aveva coinvolto il fratello, la vedova accusava il suo amministratoredi dovere una somma all’erede63. In questa testimonianza si affermava che da circadue anni Antonia e il figlio avevano fatto richiedere diverse volte, sia a voce sia periscritto, che fossero esaminati i conti dell’amministrazione che Leonardo aveva tenutoper l’erede di Piero. Mossa da un’oscura intenzione – continuava il testo – Antoniaaveva invitato il Gualandi a comparire davanti ai consoli del mare, salvo poi nonpresentarsi lei stessa. Non contenta di questa prima ‘vessazione’, lo aveva denunciatoancora ai consoli accusandolo di non voler render conto dell’amministrazione dei beni

59 AHPB 113/51 (2 aprile 1443).60 Si tratta del registro AHPB 154/138.61 Ibid.62 AHPB 178/12, c.s.63 ACA, C, reg. 3081, cc. 70v-71r (23 maggio 1450). Il 27 di quello stesso mese, la regina ancora su

richiesta di Antonia inviò un altro ordine a presentarsi al genero di lei, Riccardo Davanzati: ACA, C,reg. 3081, c. 73v (27 maggio 1450).

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del figlio, mentre invece il Gualandi aveva richiesto l’elezione di professionisti ingrado di esaminare i libri contabili. Nonostante questa nomina, Antonia non aveva maimesso i libri a loro disposizione, ma anzi, con una scusa o con l’altra, aveva fatto inmodo di rimandarne la consegna. In questo modo – asseriva Leonardo – ‘la veritàdelle cose’, domandata in prima istanza proprio da lei, non era stata precisata. Forseresasi conto della solerzia del pisano nel richiedere il parere dei revisori dei conti, lavedova aveva poi fatto cancellare la domanda di giudizio e aveva supplicato la regina‘con maniere squisite’ di avocare la causa col pretesto che la materia coinvolgesse unfanciullo: sots color de pupillaritat. Leonardo continuava affermando che ciascunapersona ragionevole – de sana pensa – avrebbe potuto intuire che la richiesta diavocazione era stata formulata per vessarlo ancor di più e nella speranza che, in untribunale non specializzato in questioni mercantili, la sentenza venisse emanatatralasciando l’esame della contabilità. Allo scopo di individuare la verità il pisanoauspicava che invece i registri fossero revisionati da persone ‘intelligenti e esperte intali affari’.

Non era inusuale che il monarca si facesse carico di ristabilire la giustizia in unamateria che coinvolgeva fanciulli impuberi e vedove. Indubbiamente, però, la vedovaAitanti mostrò una peculiare abilità nel muoversi da un tribunale all’altro, utilizzandogli stessi metodi in entrambe le vicende. Il timore di Leonardo era lo stesso diGiovanni della Seta e cioè che i giuristi di corte potessero formulare una sentenza sullabase delle norme di diritto piuttosto che sull’esperienza mercantile, senza prendere inconsiderazione la prova che avrebbe permesso loro di essere scagionati: i libri dellacontabilità. Le modalità e i tempi di risoluzione dei conflitti, le spese, l’analisi dideterminate prove e la tipologia di consulenza delle parti e del giudice potevanoincidere significativamente non soltanto sul successo di chi iniziava la causa, maanche sull’attività professionale e sulla reputazione dei soggetti coinvolti. Il protrarsidelle liti avrebbe danneggiato l’affidabilità dei singoli, le loro risorse economiche eforse allagato conflitti e inimicizie, privando i mercanti della loro caratteristica piùimportante: quella buona fama che era motore dei circuiti informali.

In conclusione

La tipologia di giudizio, di giudice e quindi di assistenza delle parti o del giudiceinsieme alla modalità con cui era richiesta, accolta e sanzionata dipese dalle necessitàe dalle caratteristiche procedurali delle curie barcellonesi e influì a sua volta sullaformulazione della sentenza. L’accresciuta importanza dei dispensatori di consigli epareri tecnici in ambito processuale spinse le autorità a formulare provvedimentimirati a penalizzare il comportamento fraudolento dei consulenti e a specificare icriteri della loro selezione che avveniva non soltanto sulla base di requisiti di sciencia,ma anche di indispensabili e riconosciute caratteristiche morali che garantivanol’affidabilità dei soggetti a livello pubblico64. Quando i consulenti erano mercanti

64 Sull’importanza della fama nella società medievale e nell’ambito della giustizia rimando ai contributi

contenuti in La fiducia secondo i linguaggi del potere, Paolo PRODI (ed.), Bologna, Il Mulino, 2007.

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l’attendibilità era assicurata dal loro comportamento a livello commerciale efinanziario ; la notizia di un’eventuale condotta non consona sarebbe corsa sui filidelle reti mercantili minando la buona fama del soggetto e quindi impedendogli losvolgimento della propria attività professionale.

Un elemento comune alle forme di patrocinio, consulenza e consiglio analizzate apartire dalle cause riguardanti gli stranieri a Barcellona nel basso Medioevo fu quindila necessità di possedere un accertato requisito morale. Per arbitri, probiviri, periti,testimoni, causidici o giuristi questa caratteristica poteva diversamente esserericonosciuta per fama pubblica o esaminata da organi competenti, poteva chiamare incausa l’affidabilità mercantile o criteri deontologici legati alla professione, ma era unacaratteristica ritenuta indispensabile. Distinta era invece la questione del sapere, dallasua tipologia fino alle modalità di accertamento: da una parte si trattava di un saperepratico del diritto mercantile, delle tipologie contrattuali e delle tecniche che doveva,attraverso un semplice accordo tra le parti o mediante un processo sommario dinanzial tribunale mercantile, portare alla conoscenza della veritas negotii e a privilegiare ilristabilimento della concordia ; dall’altra consisteva in una conoscenza colta del dirittocomune e di quello consuetudinario che doveva essere confermata da un esame e dalpossedimento di determinati strumenti.