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1 Partecipazione e voice nei sistemi locali di welfare: i casi studio di Napoli e Trieste Lorenzo De Vidovich Laureato Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, PhD applicant. 1. Introduzione «Le popolazioni cercano miglioramenti, non soluzioni ottimali», sostenne l’urbanista Giovanni Laino davanti al giornalista Alessandro Sortino, che cercava un parere esperto sulla rigenerazione delle periferie. Questo elaborato indaga sulle possibilità di generare quei miglioramenti che le popolazioni cercano, addentrandosi nella dimensione del welfare locale per attribuire un ruolo chiave al concetto di partecipazione, interpretato attraverso due chiavi analitiche – capability for voice (Sen, 1992) e territorializzazione (Bricocoli, 2007, Bifulco, 2015) – ed indagato in due fieldwork di ricerca qualitativa, svolti in due differenti sistemi (urbani) locali di welfare – i Quartieri Spagnoli a Napoli e i quartieri di edilizia popolare a Trieste – aree in cerca di miglioramenti, di campi per alimentare partecipazione e associazionismo, per fare società (Donzelot, 2008), attraverso progettazioni 1 di politiche sociali finalizzate al well-being e a quelle che Ota de Leonardis chiama scelte di giustizia. L’obiettivo di questo elaborato è di rafforzare la dimensione locale del welfare come campo ideale per politiche prosociali, facendo riferimento alle capacità (di voice) e al territorio, e sollevando alcuni interrogativi di ricerca. Anzitutto occorre chiedersi perché abbia senso evidenziare il concetto di partecipazione nelle progettazioni di politiche sociali, e perché la dimensione locale del welfare sia importante nel fare società. In quale modo, con quali progetti e quali dispositivi si possono innescare le forme del fare società in contesti locali fragili e vulnerabili? Puntando al coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche, quali sono gli effetti positivi sugli individui, sulla comunità e sulla qualità delle decisioni? Prima di illustrare i risultati dei due studi di caso, concettualizziamo analiticamente la ricerca. 1 L’elaborato fa riferimento all’idea di Pinson (2009) di progetto come strumento di azione pubblica urbana.

Partecipazione e voice nei sistemi locali di welfare: i casi studio di Napoli e Trieste

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Partecipazione e voice nei sistemi locali di welfare: i casi studio di Napoli e Trieste Lorenzo De Vidovich Laureato Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, PhD applicant.

1. Introduzione «Le popolazioni cercano miglioramenti, non soluzioni ottimali»,

sostenne l’urbanista Giovanni Laino davanti al giornalista Alessandro Sortino, che cercava un parere esperto sulla rigenerazione delle periferie. Questo elaborato indaga sulle possibilità di generare quei miglioramenti che le popolazioni cercano, addentrandosi nella dimensione del welfare locale per attribuire un ruolo chiave al concetto di partecipazione, interpretato attraverso due chiavi analitiche – capability for voice (Sen, 1992) e territorializzazione (Bricocoli, 2007, Bifulco, 2015) – ed indagato in due fieldwork di ricerca qualitativa, svolti in due differenti sistemi (urbani) locali di welfare – i Quartieri Spagnoli a Napoli e i quartieri di edilizia popolare a Trieste – aree in cerca di miglioramenti, di campi per alimentare partecipazione e associazionismo, per fare società (Donzelot, 2008), attraverso progettazioni1 di politiche sociali finalizzate al well-being e a quelle che Ota de Leonardis chiama scelte di giustizia.

L’obiettivo di questo elaborato è di rafforzare la dimensione locale del welfare come campo ideale per politiche prosociali, facendo riferimento alle capacità (di voice) e al territorio, e sollevando alcuni interrogativi di ricerca. Anzitutto occorre chiedersi perché abbia senso evidenziare il concetto di partecipazione nelle progettazioni di politiche sociali, e perché la dimensione locale del welfare sia importante nel fare società. In quale modo, con quali progetti e quali dispositivi si possono innescare le forme del fare società in contesti locali fragili e vulnerabili? Puntando al coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche, quali sono gli effetti positivi sugli individui, sulla comunità e sulla qualità delle decisioni? Prima di illustrare i risultati dei due studi di caso, concettualizziamo analiticamente la ricerca.

1L’elaborato fa riferimento all’idea di Pinson (2009) di progetto come strumento di azione pubblica urbana.

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2. Il welfare locale tra capabilities e territorializzazione

L’obiettivo di dare forza alla dimensione locale si è imposto nei sistemi di welfare quasi come un diktat, spinto da processi di rescaling, cioè di ridefinizioni della scala dei poteri pubblici (Bifulco, 2015), e dal riconoscimento di un rapporto d’interdipendenza fra i problemi di natura sociale: assistenza, lavoro, tutela della salute, abitazione. La dimensione locale si è trasformata nel punto di osservazione privilegiato delle dinamiche trasformative che interessano le politiche sociali e il loro statuto pubblico (Bifulco, 200). Questo paradigma ha riservato un ruolo cruciale al territorio, inteso come luogo d’elezione dei sistemi urbani integrati nella nuova articolazione delle politiche sociali (Bricocoli e Centemeri, 2005; Bricocoli, 2007), dove «cogliere al meglio i bisogni specifici […], le caratteristiche del contesto […] e le risorse attivabili in una logica di empowerment» (Arlotti, 2013: 222). Moltiplicando gli attori coinvolti nel decision e policy-making, si sono sviluppate politiche attive che «non trattano primariamente risorse economiche ma opportunità di partecipazione» (Van Berkel, 2002: 219), concentrandosi su «un trattamento in generalità2 di risorse e destinatari» (Bricocoli e Centemeri, 2005: 142).

Un percorso di ristrutturazione suddiviso in tre fasi3, e sviluppato tra decentramento amministrativo, integrazione fra ambiti di policy e ampiamento della governance, ha fatto emergere a macchia di leopardo4 progettazioni focalizzate sulle questioni locali e periferiche, sviluppate grazie alla capacità dell’ente locale di cogliere le innovazioni normative5 e di costruire policy orientate alla partecipazione e attivazione dei cittadini, in cui la capabilities for voice (Sen, 1992; Bifulco e Mozzana, 2011), e la territorializzazione delle politiche sociali (Bricocoli, 2007; Bifulco, Bricocoli, Monteleone, 2008) rappresentano due chiavi analitiche.

2 Con Risalita in generalità (Boltanski e Thévenot, 1991) s’intende il ricorso a forme di qualificazione di oggetti e persone a categorie dotate di riconoscibilità pubblica e fondate su un criterio di giustizia. 3 Tre passaggi-chiave nel welfare italiano: da fine anni Settanta ai primi Novanta; seconda metà degli anni Novanta; primi anni Duemila. Cfr. Benassi (1994), Sabatinelli (2009), Kazepov (2009, 2013), Mirabile (2005), 4 Il welfare italiano è tradizionalmente frammentato. Per un approfondimento cfr. Gough, 1997; Mirabile, 2005; Saraceno, 2005; Kazepov, 2009; Bifulco, 2015. 5 D.P.R. 616/1977, Leggi Bassanini e Bassanini-bis (59-127/1997), soprattutto la Legge quadro 328/2000 e l’affermazione del principio di sussidiarietà.

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2.1 Capability for voice L’approccio delle capacità (AC) di Amartya Sen (1992) intende il well-

being come la libertà positiva (Salais, 2008) di vivere la vita «che si ha motivo di apprezzare», legato all’ampiezza delle scelte possibili, compatibili con un modello di welfare orientato a favorire l’empowerment di un cittadino. L’AC crea una connessione tra la capacità dei cittadini di fare società nei contesti in cui vivono, e il grado di uguaglianza e orizzontalità con cui si formano le pratiche d’associazionismo6. Per Sen le capacità enfatizzano il bisogno di includere le – altrimenti deboli – questioni pubbliche nel framework concettuale delle politiche sociali, e al contempo rispecchiano la libertà di acquisire funzionamenti, caratteristica primaria del well-being, mediante il coinvolgimento dei cittadini nel dibattito pubblico in una posizione di centralità (Bifulco, 2015), agendo su determinati fattori di conversione, ovvero caratteristiche per convertire le risorse e beni – ovvero funzionamenti – in possibilità effettive di raggiungere i propri obiettivi (Sen, 1999), in un approccio inter-istituzionale, inclusivo per gli individui (Bonvin, Favarque, 2007; Bifulco, Mozzana, 2011).

Il welfare locale fa da cornice politica per l’AC attraverso il campo applicativo delle politiche pubbliche; in particolar modo le social policies rappresentano un ambito di sviluppo di capacità e di agency dei cittadini-destinatari. Tale agency si attiva esprimendo voice, elemento che fornisce ai cittadini potere di scelta e di partecipazione. Con il termine capability for voice s’intende la capacità che ognuno ha di esprimere la propria opinione e il proprio pensiero, e di farli ascoltare in una discussione pubblica che riguarda il loro well-being (Bonvin, Thelen, 2003; Bonvin, Farvaque, 2006; de Leonardis, Negrelli, 2012). Si attiva attraverso particolari dispositivi chiamati basi informative, elementi generatori di conoscenza sulle questioni che riguardano i cittadini (de Leonardis, 2009; Salais, 2009, 2011), determinanti per fare società e per l’empowerment dei cittadini. Nel policy-making, costruire politiche capability-friendly implica tre linee d’intervento (Valkenburg, 2007; Bonvin, Rosenstein, 2012): adeguati benefit entitlements, programmi d’attivazione tailor-made, e sufficienti, valide opportunità per l’integrazione sociale e professionale. Servizi garantiti da quelle che Bonvin e Rosenstein (2012) chiamano local agencies, portali d’ascolto in cui far emergere la voice del quartiere e dei suoi cittadini.

6 Sull’orizzontalità dell’associazionismo, cfr. Skocpol (2005), Diminshed Democracy. From membership to management in American civic life

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2.2 Territorializzazione Se la capability for voice si concentra sugli individui, la

territorializzazione delle politiche sociali è invece lo strumento concettuale che riguarda più da vicino la rigenerazione urbana, applicando un approccio maggiormente orientato alle questioni sociali della riqualificazione, cercando quindi di intrecciare le questioni sociali, delle persone, con quella urbana, del territorio, due aree affrontate per lungo tempo in modo disgiunto (Bifulco, de Leonardis, 2006; Donzelot, 2008). Con la territorializzazione si affrontano in maniera integrata problemi che toccano sia i luoghi sia le persone, predisponendo un intervento congiunto su place e people, ridefinendo il territorio non più come uno spazio statico su cui calare politiche dall’alto, ma come un contesto dinamico e attivo (Governa, Salona, 2004), all’interno di una cornice di interazione stringente fra diretti interessati e istituzioni pubbliche per la progettazione di un cambiamento (Bricocoli, de Leonardis, 2014), in quella logica di attivazione dei destinatari che accompagna l’intero elaborato. La riqualificazione urbana diventa quindi promozione dello sviluppo locale in un contesto multisettoriale d’integrazione (Laino, 2002).

L’unità territoriale su cui dispiegare questi rinnovati interventi è il quartiere, punto d’ingresso per politiche territorializzate in grado di rinvigorire le condizioni della cittadinanza sociale. I quartieri vulnerabili che richiedono un intervento integrato sono i cosiddetti ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), progettati come piattaforme per l’inclusione ma cresciuti come trappole per l’esclusione sociale 7 soggette ad una concentrazione cumulativa di condizioni di marginalità e deprivazione. Con un approccio a base areale il quartiere diventa territorio di programmi urbani integrati ospitale per la voice degli abitanti. Con la territorializzazione la rigenerazione diventa una questione anzitutto sociale finalizzata all’empowerment dei cittadini in un contesto di partnership orizzontale inter-istituzionale focalizzato anzitutto slla dimensione comunitaria rendendo pubblici bisogni prima confinati nella sfera privata dei destinatari, facendoli risalire in generalità. L’intervento integrato su place e people passa attraverso tre indicazioni: l’interpretazione del territorio come setting dei servizi, una cura dei luoghi una lettura del territorio come fattore di riflessività istituzionale come strategie per il well-being e per l’attivazione.

7 Cfr. Cremaschi, 2001; Bricocoli, Centemeri, 2005; Bricocoli, 2007. Inoltre, per descrivere l’evoluzione dei quartieri ERP è particolarmente significativa una frase di Watzlawick (1974): «ciò che era soluzione è divenuto problema».

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3. I casi studio: esperienze locali nei Quartieri Spagnoli e Microaree nei quartieri ERP di Trieste

L’esposizione dei risultati delle ricerche empiriche ha l’obiettivo di

rafforzare la configurazione teorica esposta, verificando come la prospettiva del welfare locale possa sviluppare politiche sociali tra voice, partecipazione e territorializzazione. Le due ricerche hanno studiato in maniera approfondita le progettazioni a carattere sociale volte a valorizzare una pratica urbanistica che prenda cura dei luoghi e delle persone, per valorizzare e mobilitare risorse propriamente locali, fertilizzando lo sviluppo e la coesione sociale con l’obiettivo di fare società (Donzelot, 2008) senza una struttura rigida bensì processuale. Con lo strumento progetto, l’azione pubblica su scala urbana diventa un’azione nella quale «ciò che è fattibile tende ad avere la meglio su ciò che è auspicabile» (Pinson, 2009: 116), dove il sapere esperto non è standardizzato ma è frutto di conoscenze personali ed acquisite (Boltanski, Chiapello, 2011) in un rapporto dialogico tra experience ed expertise. Come anticipato [cfr. supra cap. 1] l’analisi delle buone pratiche è stata svolta con strumenti tipici dell’analisi qualitativa: intervista discorsiva e osservazione partecipante dei contesti urbani in cui hanno preso vita i progetti. Il primo dei due casi studio illustra la realtà dei Quartieri Spagnoli, con particolare riferimento a due progettazioni: l’analisi di Enzimi-Trespassing e la ricostruzione del PIC URBAN.

3.1 Esperienze locali nei Quartieri Spagnoli: Trespassing e URBAN I Quartieri Spagnoli (QS) sono una maglia di strade ortogonali nel

centro storico di Napoli, tradizionalmente noti come luogo di degrado sebbene negli ultimi anni abbiano subito un’importante opera di resilienza (priva di una vera e propria gentrificazione). Da sempre area di attività artigianali, nei QS oggi convivono diverse tipologie di popolazione (Laino, 2001, 2012) per un totale di circa 14 mila abitanti: gli eduardiani (famiglie precarie con casa in affitto), i vivariani (famiglie soggette a esclusione sociali e vulnerabili di fronte alle organizzazioni criminali), il basso e medio ceto dei lavoratori, gli immigrati ed i più recenti nuovi borghesi. Il terremoto dell’Irpinia del 1980, provocata l’inagibilità di alcuni edifici, obbligò ad una rigenerazione urbana e sociale. Dal 1978, nei quartieri esiste un’organizzazione capace di attivare agency e voice, l’Associazione Quartieri Spagnoli (AQS), costruttrice di un vero e proprio welfare di prossimità per migliorare le condizioni di vita nei QS, spesso soggetti a deprivazione e marginalità. AQS nasce da un gruppo di cattolici del

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dissenso decisi a «condividere la vita degli ultimi» (REVES, 2015) insediandosi in un basso8 che diventa sportello sociale di servizi a bassa soglia capace «di fornire sostegno e orientamento agli abitanti del quartiere più svantaggiati» (Monteleone, Mozzana, 2013: 226). AQS nacque con questi obiettivi, pur senza sviluppare una prospettiva à la Sen, individuando l’importanza della capacità di aspirare (Appadurai, 2011), per sollecitare attivazione9. Nella sua lunga attività progettuale, ha prodotto spazi per la voice e le aspirazioni facendo leva sull’apprendimento istituzionale per l’ascolto dei bisogni, nonostante si sia spesso fronteggiata con un welfare squilibrato, carente nelle materie sociali, soggetto a gravi deficit di giustizia sociale (Laino, 2015). AQS è diventata una solida realtà del privato sociale napoletano, intercettando finanziamenti di varia natura, da quelli europei agli aiuti di fondazioni come FBNAI (Banco di Napoli assistenza e infanzia) sino ai PON, fra progetti nazionali (C.Ri.S.I, Maestri di Strada, Chance) ed europei (URBAN)10. Per i giovani, nel solco dei progetti Ponte e Peppino Girella, AQS ha creato Trespassing (oggi Enzimi-Trespassing), finalizzato alla formazione on-the-job di giovani NEET early school leavers per renderli, come direbbe Giovanni Laino, normali disoccupati europei, occupabili e con gli strumenti per svolgere un mestiere appreso in bottega in un contesto capacitante.

TRESPASSING Programma - Fonti di finanziamento Fondaz. con il Sud + POR Campania Finanziamento € 270.000 + € 600.000 Periodo di attività 2008-2013 Destinatari 30 NEET di 16-18 anni per ogni ciclo ENZIMI TRESPASSING Programma Giovani per il Sociale Fonti di finanziamento Piano d’Azione e Coesione Finanziamento € 198.000 Periodo di attività 2015-2016 Destinatari 16 NEET di 16-18 anni per ogni ciclo Tab. 3.1 Info Trespassing e Enzimi-Trespassing. Elaborazione Personale su dati REVES e Open Coesione

8 Piccolo locale collocato al piano terra, sulla strada. Nei QS se ne contano circa 900 impiegati, non sempre in modo reciprocamente escludente, come abitazioni, depositi o laboratori artigianali (ISTAT, 2011). Per una maggiore documentazione sulla geografia dei QS, cfr. REVES, 2015. 9 Intervista a Giovanni Laino, 20 ottobre 2015 10 Per una panoramica dell’attività progettuale di AQS, cfr. REVES (2015)

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Con Trespassing AQS danno la priorità all’apprendimento professionale per evitare il rischio di drop-out. Il progetto, descritto nelle sue fasi da Daria Esposito ed Alessandro Pezzella, e nei suoi effetti sulla partecipazione e sulle capabilities da Salvatore Pirozzi., riprende lo schema del primo Trespassing (cfr. Monteleone, Mozzana, 2013), diviso in varie tappe. Il primo passo è la pubblicizzazione del progetto e sua diffusione. Il secondo step è un colloquio anagrafico-formale che funge da rompighiaccio, in cui si valutano le capacità di litteracy e numeracy e si completa la fase iniziale con un colloquio assieme ad un esaminatore, il professor Pirozzi. Da qui, si passa al piccolo cantiere, un’esperienza di lavoro collettivo in una di riqualificazione di bene comune, con l’obiettivo di creare coesione in un gruppo di venti ragazzi, valutando la capacità del ragazzo all’apprendimento. Chi aderisce allo stage, pagato 3€ l’ora, viene affidato ad un mastro, tutor aziendale, e ad tutor educativo per l’emersione della voice e delle aspirazioni. Per tutta la durata del tirocinio, il monitoraggio del percorso si struttura fra vari strumenti capabilitanti: colloqui, schede di valutazione, diario di bordo settimanale su quanto svolto in bottega. Al termine del percorso viene rilasciata una lettera di referenza che testimonia il saper fare del ragazzo (Monteleone, Mozzana, 2013) che svolge una prova d’opera filmata di quanto appreso on the job, secondo il principio del making learning visible (Bjørnavold, 2000). Al termine dello stage s’instaura nei ragazzi un forte senso di consapevolezza dei propri mezzi. Il percorso è fortemente tailor-made, permettendo l’emersione anzitutto della capability for voice, ma anche for work e for education, ricostruite e promosse dal tutoring duale fra bottega e AQS. La voice diventa espressione dei desideri e delle perplessità dei ragazzi, conferma Alessandro Pezzella, ed è promossa dal counseling in azienda e in sede di AQS, un dispositivo-chiave dell’intero progetto assieme al tutoring, per creare nel destinatario le condizioni per cambiare vita in base al lavoro appreso. La voice è quindi elemento costantemente sollecitato, e come ho potuto notare chiacchierando con Giuseppe e Antonio – due aderenti al progetto – durante Trespassing i ragazzi danno un motivo in più al loro abbandono scolastico diventando adulti con l’acquisizione di competenze sino a quel momento nascoste; competenze che emergono tramite la voice e la partecipazione attiva al progetto stesso, la quale alimenta le future aspirazioni dei ragazzi. Unico difetto è l’incapacità di rendersi policy e di completare un percorso di risalita in generalità dei meccanismi di emersione della voice. Per un suo rafforzamento, serve ampliarne la portata, impresa non facile nel frammentato welfare napoletano.

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Una progettazione che – confrontandosi proprio con le peculiarità del capoluogo campano – non ha portato gli effetti attesi se non in una delle cinque misure in cui era declinata, è il PIC URBAN nei QS, ripercorso negli incontri con Giovanni Laino, Daniela Lepore e Immacolata Voltura, urbanisti esperti dell’esperienza napoletana applicata ai QS e al Rione Sanità. URBAN (1994-99; 2000-06) è stato un programma europeo d’iniziativa comunitaria rilevante nell’ambito delle politiche orientate allo sviluppo integrato del milieu locale, fra partenariato e potenziamento delle risorse locali, in un approccio territorializzato alle politiche urbane. Il programma, sviluppato in 118 città europee, era declinato in cinque misure 11 di cui solo una ha funzionato nei QS, la Misura 1 di riqualificazione delle attività artigianali, proprio perché ha coinvolto in prima persona gli artigiani ad un progetto di rigenerazione urbana, grazie al patrimonio conoscitivo di AQS, che ha permesso una dettagliata analisi censuaria delle botteghe esigenti di riqualificazione. Diversamente, la Misura 3 per la riqualificazione urbana è risultata inefficace a causa di una governance non del tutto lineare, con un eccessiva rigidità dell’ente pubblico ed una mancante partecipazione civica. Il semplice restyling urbano, che ha coinvolto di riflesso anche la centrale via Toledo, non è stato accompagnato da un percorso di territorializzazione, e la mancanza di quel learning-by-doing nella governance di URBAN – centrale invece per AQS – ha inciso negli effetti della progettazione, fragili e distanti rispetto a quelli attesi, come nella mancata rigenerazione di Largo Barracche.

Fig. 3. 1 Evoluzione di Largo Barracche con URBAN, Fonte: Prof.sa Daniela Lepore

Effetti territorializzati che si vedono invece nel rapporto integrato fra ambiti emerso nelle Microaree triestine, realtà che rafforzano la natura delle progettazioni frammentate – ma comunque efficaci – di AQS, nei QS.

11 Misure di URBAN: 1-2, economico-sociali: sostegno imprese locali, occupazione locale e servizi sociali; 3, infrastrutture e ambiente: riqualificazione e arredo urbano; 4-5, coinvolgimento abitanti: seminari orientati al capitale sociale e diffusione risultati del programma.

prima di Urban subito dopo Urban

Un anno dopo Urban

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3.2 Trieste: il Programma Microaree Il caso studio di Trieste studia la messa in opera della

territorializzazione delle politiche socio-sanitarie, che in Friuli-Venezia Giulia ha trovato un terreno fertile aprendo a nuove declinazioni dei concetti-chiave del welfare locale attraverso un programma volto a promuovere sviluppo di comunità e politiche socio-sanitarie, chiamato Microaree (MA), nato nel 2005 da una precedente sperimentazione. A Trieste, a differenza che nei QS, il programma presenta una forte impronta istituzionale in quanto voluto dall’azienda sanitaria triestina, ASS n.1 – oggi AAS n.1 in seguito ad una riforma regionale (L.R. 17/2014) – in un’intesa con il Comune di Trieste e l’agenzia per l’edilizia residenziale pubblica (Ater) con il coinvolgimento del terzo settore, soprattutto cooperative sociali, per lo scopo comune della promozione di salute delle persone e della comunità dell’area di riferimento territoriale – identificata in abitazioni ERP di vari quartieri del capoluogo friulano – con «interventi di tutela della salute, prevenzione del disagio sociale, qualificazione delle condizioni abitative» (Bifulco, Bricocoli, Monteleone, 2008: 375), aprendo un terreno di confronto fra politiche sociali e territori cui sono rivolte (de Leonardis, Monteleone, 2007). In un Protocollo d’Intesa con gli altri enti, l’azienda sanitaria ha dato vita ad una pratica socio-sanitaria disciplinata da dieci obiettivi [tab. 3.2], rappresentativi degli assetti del Programma, caratterizzato da scopi prosociali con una forte impronta sanitaria, in cui incide particolarmente anche l’anzianità della popolazione nelle MA. I DIECI OBIETTIVI DI MICROAREA 1 Realizzare il massimo di conoscenza sui problemi di salute degli abitanti delle

microaree 2 Ottimizzare gli interventi per la permanenza nel proprio domicilio ove ottenere tutta

l’assistenza necessaria e contrastare l’istituzionalizzazione 3 Elevare l’appropriatezza nell’uso di farmaci 4 Elevare l’appropriatezza per prestazioni diagnostiche 5 Elevare l’appropriatezza per prestazioni terapeutiche, curative e riabilitative 6 Promuovere iniziative di auto-aiuto ed etero-aiuto da parte di non professionali:

costruire comunità 7 Promuovere la collaborazione di enti, associazioni e organismi profit e no profit per

elevare il ben-essere della popolazione di riferimento: mappatura e sviluppo 8 Realizzare un ottimale coordinamento fra servizi diversi che agiscono sullo stesso

individuo singolo o sulla famiglia 9 Promuovere equità nell’accesso alle prestazioni: più qualità per cittadini più

vulnerabili 10 Elevare il livello di qualità della vita quotidiana di persone a più alta fragilità, per

una vita attiva e indipendente Tab. 3.2 I dieci obiettivi delle Microaree. Fonte: ASS n. 1, Strutti (2007)

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Da questi dieci obiettivi, il programma si è avviato con un’articolata intelaiatura di governance e un processuale percorso di attivazione che mette al centro la necessità di abbattere gli ostacoli istituzionali, fisici e sociali che si frappongono al coinvolgimento dei cittadini nelle scelte che li riguardano (Bifulco, 2015), presupponendo l’attivazione come piena attuazione della cittadinanza sociale (Bifulco, Bricocoli, Monteleone, 2008) orientata all’empowerment degli abitanti dei quartieri ERP, che diventano aree pilota delle Microaree (oggi se ne contano complessivamente sedici fra Trieste, Muggia e Monfalcone)12. Confrontandosi con le vulnerabilità di questi quartieri – salute, abitazione, lavoro e, complessivamente, marginalità sociale – il Programma MA ha generato un importante sviluppo di comunità realizzando progetti di coabitazione solidale per anziani come quello nel complesso di Valmaura, borse lavoro con Comune, tirocini formativi oltre che un’ampia rete di volontariato che va da organizzazioni del privato sociale, ai comitati di quartiere, sino al servizi civile. Inoltre nell’affrontare casi sanitari critici, la MA predispone interventi tailor-made ad un percorso di partecipazione nel processo di cura. In questo senso, un approccio cardine nel Programma MA, è la concettualizzazione del passaggio dai luoghi di cura alla cura dei luoghi (de Leonardis, Monteleone, 2007). Recuperando l’eredità basagliana del processo di deistituzionalizzazione psichiatrica13, che in Friuli-Venezia Giulia ha radici storiche (Mauri, 2007; Gallio, 2014), le MA concentrano il loro intervento sulle determinanti non sanitarie della salute, applicando i principi del policy-making regionale in ambito socio-sanitario, che ha realizzato negli anni un sistema d’intervento e cura integrato con la promozione di salute e cittadinanza sociale14, in cui psichiatra basagliano Franco Rotelli è una figura apicale. Con la MA – afferma Rotelli – si affronta la salute dei cittadini nei luoghi in cui vivono, abbandonando la struttura manicomiale che ha sempre visto casi clinici e malattie, e non persone e cure. Il setting del servizio socio-sanitario di stampo basagliano vede nella cura dei luoghi e nell’intervento sull’habitat sociale un elemento decisivo per costruire strategie di salute e benessere sociale (de Leonardis, Monteleone, 2007), oltre che per instaurare una compliance, dettata da attivazione e voice, tra cura e trattamento, tra servizio e destinatario. 12 Prime dieci Microaree gestite da ASS: Gretta, Cittavecchia, Ponziana, Vaticano, San Giovanni, Campi Elisi, Melara, Valmaura, Giarizzole, Grego. Nate in seguito, dal terzo settore: Villa Carsia, Cumano, San Vito, Soncini e Zindis (a Muggia), tutte dislocate secondo la suddivisione in distretti sanitari. 13 Legge Basaglia, L.180/1978 14 Dalla L.R. 6/2006 attuativa della legge quadro, alla recente L.R. 17/2014

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I percorsi di produzione di salute riguardano il rapporto integrato tra il cittadino e il contesto locale in cui vive. La MA si sviluppa nei complessi abitativi come un sistema locale di welfare eminentemente socio-sanitario che fa leva su determinati dispositivi d’attivazione e d‘interventi territorializzati su place e people, volti a perseguire i dieci obiettivi in un contesto di partecipazione inter-istituzionale, sia nella governance del Programma che nell’intervento sui quartieri e sui cittadini. Di questi dispositivi di supporto all’emersione della voice, ne ho individuati quattro, di cui due particolarmente fondamentali nelle MA. Il primo di questi è il referente di Microarea, che ricopre un ruolo di coordinamento olistico dell’intervento. Viene selezionato dall’azienda sanitaria, e partecipa alla mission di raggiungere i dieci obiettivi, promuovendo integrazione e sviluppo di comunità, inizialmente generando il massimo di conoscenza sul territorio e sui suoi cittadini, in seguito promuovendo percorsi di salute attraverso un approccio proattivo che integra attitudine prosociale e competenze professionali, solitamente risiedenti nell’infermieristica, connotandosi però nel Programma MA per la sua socievolezza (Pirozzi, Rossi-Doria, 2010). Garantire partecipazione ed empowerment per i cittadini delle MA è l’obiettivo del referente di MA che si muove fra attivazione delle capabilities degli abitanti, della voice nel suo percorso di cura (e non nella sua malattia), con un linguaggio tipico della vita quotidiana, senza la terminologia strettamente sanitaria. Nel creare questi campi di well-being il referente costruisce una fitta rete associativa attorno a sé in grado di integrare servizi, stakeholders e forme di volontariato. In questo senso, il referente è attore principale della presa in carico e della gestione della sua MA. Altro dispositivo-chiave è il luogo fisico della sede di MA, ubicata solitamente in un condominio dei palazzi ATER. La MA ha un duplice ruolo: da un lato è uno spazio autogestito per lo sviluppo di comunità partecipata, dall’altro è area per il decentramento della struttura sanitaria, al fine di far rientrare la prestazione sanitaria in un approccio tailor-made a carattare sociale, svolto nel luogo in cui la persona vive. Ho potuto osservare un intervento di questo tipo, congiunto fra MA e Centro di Salute Mentale, nel quartiere (critico) di Borgo San Sergio, notando i suoi effetti benefici appena terminato, ovvero dopo la chiacchierata sullo stato di salute del paziente. Nella sua funzione di centro per tutte le attività e per la convivialità di quartiere, la sede di MA è anche l’ufficio del Referente, dove pianifica la partecipazione degli abitanti. Oggi, a distanza di dieci anni dall’avvio della progettazione, la MA è luogo per eccellenza di attivazione dell’agency, dove prende forma l’integrazione socio-sanitaria al di fuori delle stanze dei distretti sanitari. Sotto-dispositivo interno alla sede

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di MA, è la mappa, che riporta luoghi, confini dell’area di intervento, risorse interne e limitrofe, aggregando mano a mano tutte le informazioni utili a cittadini e operatori (Strutti, 2007). Vi sono altri due dispositivi che caratterizzano il Programma MA. Il primo è la scheda di documentazione per certificare il lavoro svolto, raccogliere le informazioni sugli abitanti e fornire gli elementi per predisporre eventuali prese in carico. Il secondo è invece l’insieme degli incontri di coordinamento e discussione, interni alla MA, fra le MA, e fra MA e distretto sanitario, finalizzati ad una produzione collettiva e partecipata di salute e well-being, perseguendo il non facile obiettivo di produrre dati socio-sanitari che comprovino l’efficacia di una progettazione strutturata come le MA.

In conformità a quanto detto sinora, osservato approfonditamente durante due settimane di fieldwork svolte soprattutto nel Distretto sanitario 3 (MA di Valmaura, Giarizzole, Grego, cioè Borgo San Sergio, e Zindis, a Muggia), comunemente ritenuto il più critico, emergono alcune considerazioni importanti circa le potenzialità del Programma. Le MA si situano15 lì dove tempo addietro erano affiorate fragilità necessitanti di un intervento a carattere locale, lontano da un approccio top-down, orientandosi invece all’inclusione, alla partecipazione e alla piena attuazione della cittadinanza sociale (Bifulco, Bricocoli, Monteleone, 2008). La MA rappresenta la pratica di welfare locale capacitante e partecipativo verso cui il social policy-making deve puntare la rotta, sebbene oggi rimanga una singola esperienza in un contesto di welfare locale ancora acerbo per intraprendere un percorso da pratica a politica.

4. Conclusioni Rafforzare la dimensione locale del welfare per costruire policies che

siano più vicine ai bisogni dei cittadini, significa percorrere una strada che porta verso l’arduo compito di «irrobustire fondamenta e respiro prospettivo del locale […] estenderne orizzonti, connessioni e confini» (Bifulco, 2015: 164). Questo ampliamento della dimensione locale implica un confronto con il tessuto associativo della società civile, indagando sulle dimensioni centrali per fare società (Donzelot, 2008). Gli aspetti della partecipazione e della voice, tematizzati attraverso le chiavi analitiche dell’approccio delle capacità di Sen e della territorializzazione delle

15 Dall’idea di Stato situato (Storper, Salais, 1997) che agisce da facilitatore sostenendo il coordinamento tra attori per facilitare la definizione di bene comune (Bifulco, Mozzana, 2011), cui si connette un’idea di civicness situata nei contesti locali, ispirata dagli studi sulla civicness e governance nei servizi per il cittadino (Brandsen, Dekker, Evers, 2010).

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politiche sociali, offrono un interessante campo di sperimentazione per il respiro prospettivo del welfare locale. Il progetto si presenta come un interessante strumento d’azione pubblica urbana capace di rafforzare la dimensione sociale della rigenerazione di contesti locali in crisi, in particolar modo se sviluppato con le pratiche, i dispositivi e il modus operandi delle esperienze nei Quartieri Spagnoli e nei quartieri ERP triestini. Tra le debolezze del welfare locale italiano – che vive una fase di sviluppo ancora troppo lenta e frammentata – i casi di Napoli e Trieste forniscono delle indicazioni interessanti in merito alla costruzione di un welfare in grado di connettere le domande e i bisogni del territorio e dei suoi abitanti con una progettazione attenta alle dinamiche e prospettive di capability-building ed emersione della voice da un lato, e alle sensibilità dei contesti locali, dall’altro. I due casi sono molto differenti tra loro, a partire dal punto di vista prettamente geografico, ma anche nella governance e nelle singole materie affrontate, ma trovano nell’orientamento proattivo e prosociale della loro progettazione il punto analitico d’incontro. Le attività di AQS e della MA rappresentano buone pratiche da cui partire per allargare la prospettiva del welfare puntando l’accento su politiche finalizzate alla partecipazione e al coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di giustizia che riguardano il loro well-being. La contrazione della spesa pubblica per le materie sociali è qualcosa con cui confrontarsi, ma prima, occorre mettere mano alla mentalità con cui rifondare il welfare, contrastando le logiche di New Public Management che permeano buona parte del policy-making ma non generano partecipazione e non entrano nella dimensione locale del welfare, come invece accade tra Napoli e Trieste.

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