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RIVISTA DI STUDI DANTESCHI periodico semestrale Direzione: Gian Carlo Alessio, Marco Ariani, Corrado Calenda, Enrico Malato, Andrea Mazzucchi, Manlio Pastore Stocchi, Jacqueline Risset, Irène Rosier Catach, Cesare Segre. Redazione: Luca Azzetta, Vittorio Celotto, Massimiliano Corrado, Gennaro Ferrante, Marco Grimaldi, Ciro Perna Direttore responsabile: Enrico Malato SALERNO EDITRICE ROMA ANNO XI 2011

Per l'edizione del commento dantesco di Baldassarre Lombardi

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rivista distudi danteschi

periodico semestrale

direzione: Gian Carlo Alessio, Marco Ariani, Corrado Calenda, Enrico Malato,

Andrea Mazzucchi, Manlio Pastore Stocchi, Jacqueline Risset, Irène Rosier Catach, Cesare Segre.

redazione: Luca Azzetta, Vittorio Celotto, Massimiliano Corrado, Gennaro Ferrante,

Marco Grimaldi, Ciro Perna

direttore responsabile: Enrico Malato

salerno editriceroma

anno Xi • 2011

Direttori

Gian Carlo Alessio, Marco Ariani, Corrado Calenda, Enrico Malato, Andrea Mazzucchi, Manlio Pastore Stocchi,

Jacqueline Risset, Irène Rosier Catach, Cesare Segre.

Direttore responsabile

Enrico Malato

Redattori

Luca Azzetta, Vittorio Celotto, Massimiliano Corrado, Gennaro Ferrante, Marco Grimaldi, Ciro Perna

i saggi pubblicati nella rivista sono vagliati e approvati da specialisti del settore esterni alla direzione (Peer reviewed )

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rivista di studi danteschisotto gli auspici della

« edizione nazionale dei commenti danteschi »

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NOTE E DISCUSSIONI

PEr l’EDIzIONE DEl COmmENTO DaNTESCO DI BalDaSSarrE lOmBarDI

1. Nel Discorso sul testo della ‘Commedia’ (1825) Ugo Foscolo traccia un bilancio in chiaroscuro della fortuna settecentesca di Dante:

Per tutto il secolo scorso, la poesia di Dante non trovò giudici competenti, se non quando la gioventú crebbe preparata allo studio della Divina Commedia, sí per le nuove opinioni che cominciavano a prevalere in Europa, e sí per l’educazione che gl’ingegni di Vittorio Alfieri, e di Vincenzo Monti desunsero in guise diverse dal creatore della poesia e del­la lingua Italiana. Ma la storia del secolo, e la tempra dell’animo, e i casi della vita di un poeta uomo e gigante, si rimasero, e stanno mal conosciuti. Se il Tiraboschi ottenesse dalla natura ingegno atto a vederle, non so; ben so che non volle: e non avrebbe potuto provarvisi, senza fare due grandi epoche storiche di quell’una dov’ei confonde Dante e il Petrarca.1

Foscolo espone i fattori per cui Dante ridiventa un classico contemporaneo, una presenza viva nella cultura settecentesca. Il suo ingresso nelle aule scolastiche è il presupposto per conoscerlo e apprezzarlo. Infatti non pochi commentatori danteschi sono insegnanti che hanno il problema di spiegare la Commedia agli allievi, non piú soltanto specialisti che scrivono per i colleghi. La prima grande edizione dantesca del secolo esce nel 1726­’27 dai torchi del libraio Giuseppe Comino. Il curatore, Giovanni Antonio Volpi, docente di filosofia a Padova, appronta un intero tomo di indici a vantaggio anche dei principianti che non pa­droneggiano il latino, ignorano termini difficili, non possono permettersi d’ac­quistare altri libri.2 Non è chiaro il rapporto tra la fortuna scolastica ed edito­riale della Commedia in Italia e le « nuove opinioni che cominciavano a prevale­re in Europa ». Goethe a Roma nel 1787 si sente dire che gli stranieri non sono in grado di capire il poema, come se all’estero Dante fosse al piú un classico di ri­flesso, perché prima lo è diventato in Italia.3 Secondo Giacomo Leopardi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento Dante è tornato in onore « anche fra

1. U. Foscolo, Studi su Dante, parte i, a cura di G. Da Pozzo, Firenze, Le Monnier, 1979, p. 401. Per un primo inquadramento del dantismo settecentesco, vd. R. Tissoni, Il commento ai classici italiani nel Sette e nell’Ottocento (Dante e Petrarca), Padova, Antenore, 1993, e B. Capaci, Dante oscuro e barbaro. Commenti e dispute (secoli XVII e XVIII), Roma, Carocci, 2008.

2. Vd. La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri, già ridotta a miglior lezione dagli Accademi­ci della Crusca, ed ora accresciuta […] per opera del signor Gio. Antonio Volpi, Padova, Co­mino, 1727 [colophon 1726], 3 voll.

3. Cfr. J.W. Goethe, Viaggio in Italia, trad. it., Milano, Garzanti, 1997, p. 423.

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gli stranieri » grazie a rinnovati canoni critici ed estetici, ossia « al perfeziona­mento de’ lumi, e del gusto, e della filosofia, e della teoria dell’arti, e del senti­mento del vero bello ».4 In particolare, gli stessi Leopardi e Foscolo contribui­scono a fissare l’immagine del sommo poeta celebrata dalla mitografia risorgi­mentale. Jacopo Ortis abbraccia l’urna del « padre Dante », il « ghibellin fuggia­sco » dei Sepolcri. In virtú dell’esemplarità della sua vita da esule, egli assurge a fondatore dell’Italia letteraria e politica nelle canzoni All’Italia e Sopra il monu-mento di Dante, uscite nel 1818 con dedica a Vincenzo Monti.5 All’autore della Basvilliana e a Vittorio Alfieri Foscolo accredita il merito d’aver superato le ri­serve sull’imitabilità dell’Alighieri, imponendolo come maestro del fare poeti­co. Questa ritrovata centralità di Dante exul inmeritus implica la marginalizza­zione di Petrarca, servitore di tiranni. La nuova nazione si sbarazza di lui nel momento in cui inventa il mito della decadenza italiana nei secoli del classici­smo, dal Cinque al Settecento, quando Petrarca si fa maestro di una pletora di cattivi imitatori, i petrarchisti.6 Proprio per questo Foscolo censura la Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, perché essa attribuisce a Petrarca, non a Dante, « il titolo di ristoratore e di padre dell’italiana letteratura ».7

La città di Roma tra Sei e Settecento offre un apporto non secondario alle di­namiche culturali di cui Foscolo delinea l’esito. La riappropriazione letteraria della Commedia – un « libro notissimo » che a Roma si trova « appresso ogni stu­dioso di belle lettere » –8 dipende dalla capacità della cultura romana di attrarre gli intellettuali e inquadrarli nei ranghi curiali, cortigiani e accademici. Negli anni Ottanta del ’600 arrivano in città Gianvincenzo Gravina e Giovan Mario Crescimbeni, che si contendono il titolo di « giudici competenti » del poema e perciò ne avviano due letture divergenti. La Ragion poetica di Gravina esalta la ricchezza concettuale e lo spessore filosofico che rendono la Commedia un’ope­ra esoterica. Di tale oscurità Petrarca è causa indiretta, visto che, insieme a Boc­

4. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, ed. critica e annotata a cura di G. Placella, Milano, Garzanti, 1991, 3 voll., vol. ii p. 1365. Per un panorama piú completo, cfr. B. Basile, La scoperta di Dante nella cultura europea del Sette e Ottocento, in « Per correr miglior acque… ». Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio. Atti del Convegno internazionale di Verona­Ravenna, 25­29 ottobre 1999, Roma, Salerno Editrice, 2001, 2 voll., vol. i pp. 485­514.

5. Cfr. C. Dionisotti, Varia fortuna di Dante, in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, pp. 216­19.

6. Cfr. A. Quondam, Petrarca, l’italiano dimenticato, Milano, Rizzoli, 2004.7. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, Società Tipogr., 1772­1795, 14 voll.,

vol. v 1775, p. 408. Ma sulla “riscoperta” di Dante in Italia e in Europa fra Sette e Ottocento, vd. E. Malato, Il mito di Dante dal Tre al Novecento (1999), in Id., Studi su Dante. « Lecturae Dantis », chiose e altre note dantesche, Cittadella, Bertoncello Artigrafiche, 20062 (20051), pp. 658­92, partic. alle pp. 686 sgg.

8. G.M. Crescimbeni, L’istoria della volgar poesia, Roma, Chracas, 1698, p. 48. E vd. D. Co­lombo, Dante a Roma tra Sei e Settecento, in RSD, a. ix 2009, pp. 114­53.

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caccio, ha fatto uscire dall’uso i termini gravi e scientifici usati dal poema sacro.9 Al contrario, Crescimbeni rifiuta la sostanza misterica della poesia dantesca a favore della limpidezza concettuale di Petrarca. Dante deve contribuire al raffi­namento del gusto e all’emancipazione dal secentismo nei limiti di una fruizio­ne citazionistica e centonaria.10 Perciò il maestro di Crescimbeni, il gesuita na­poletano Carlo D’Aquino, traduce in latino prima le sole similitudini dantesche, poi l’intero poema, omettendo però i passi controversi dal punto di vista religio­so e politico.11

La Commedia curata da D’Aquino sarebbe dovuta uscire a Roma, ma ottiene soltanto l’imprimatur extra urbem. La prima edizione del poema stampata ufficial­mente nella città dei papi nel 1791­’92 è La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri novamente corretta spiegata e difesa da F.B.L.M.C., ossia da fra Baldassarre Lombardi minore conventuale. Il nome Baldassarre viene forse assunto quando Lombar­di diventa francescano: i registri della parrocchia di Vimercate, presso Monza, riportano infatti il battesimo di un Antonio Maria Lombardi nato il 21 luglio 1718.12 Dopo aver frequentato il piccolo convento di Desio,13 nel 1750 egli ottiene la cattedra di lettore di Filosofia al Collegio mariano di Bergamo,14 dal 1769 cu­ra le anime della parrocchia di San Salvatore in Onda a Roma. Il suo primo bio­grafo riferisce che Lombardi diventa dottore in teologia (disciplina coltivata almeno dagli anni bergamaschi), nonché, « sullo scorcio della vita », segretario del Generale dell’Ordine francescano.15 Quest’ultima nomina spiega perché nel 1801 il nostro frate si trasferisca al Convento generalizio dei xii Apostoli a Roma,

9. Cfr. G. Gravina, Ragion poetica, in Id., Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Roma­Bari, Laterza, 1973, pp. 322­23.

10. Cfr. G. M. Crescimbeni, La bellezza della volgar poesia, Roma, Buagni, 1700.11. Cfr. C. D’Aquino, Le similitudini della ‘Commedia’ di Dante Alighieri trasportate verso per

verso in lingua latina, Roma, Komarek, 1707; Id., Della ‘Commedia’ di Dante Alighieri trasportata in verso latino eroico, Napoli [Roma], Felice Mosca [Rocco Bernabò], 1728, 3 voll.

12. Cfr. M. Roda, s.v. Lombardi, Baldassarre, in Dizionario Biografico degli Italiani (avanti cit. DBI ), Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, vol. lxv 2005, pp. 475­77. A conferma, vd. G. Mel­zi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, Milano, Pirola, 1848­1859, 3 voll. (rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1982), vol. i 1848, p. 323: « Lombardi fu battezzato in Vimercate, borgo della provincia di Milano, col nome di Antonio Maria il giorno 23 luglio 1718, ed è pae­sano del compilatore del presente dizionario ».

13. Cfr. A. Fiammazzo, Per la fortuna di Dante (appunti con documenti), in « Giornale dantesco », a. viii 1900, pp. 311­42; a « Desio, borgo da Milano dieci miglia discosto », allude la nota della Lombardina a Par., xviii 42.

14. L’Archivio del Consorzio della Misericordia Maggiore, conservato alla Biblioteca Civi­ca « Angelo Mai » di Bergamo, contiene sia i registri degli stipendi di Lombardi al Collegio mariano (spogliati da Fiammazzo, Per la fortuna di Dante, cit., p. 323 n. 2), sia le Regole e capitoli (oggi si direbbe “l’offerta formativa”) di quella scuola.

15. C. Arduini, Notizie della vita e degli scritti del francescano conventuale P. M. Baldassare [sic] Lombardi, in « Giornale arcadico di scienze, lettere e arti », a. cx 1847, pp. 277­306, a p. 279. Oltre al commento, Lombardi firma alcune dissertazioni filosofico­teologiche (censite da Roda,

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dove si spegne il 2 gennaio del 1802. Lo studio dell’edizione lombardina della Commedia permette d’integrare le scarse notizie biografiche e di approfondire la figura intellettuale di padre Lombardi.

2. La Biblioteca Civica « Angelo Mai » di Bergamo custodisce le carte del frate minore conventuale Francesco Piatti, distribuite in due volumi miscellanei, il primo di appunti, lezioni, prediche, il secondo costituito da 194 lettere spedite per lo piú da religiosi e letterati. Tra queste, un centinaio circa è stato inviato tra il 1771 e il 1800 dal confratello Lombardi,16 il quale discute di argomenti di vita personale ed ecclesiastica (della celebrazione di messe in particolare), informa l’amico delle ricerche di libri da lui richiesti, parla di Dante e del commento alla Commedia. Gli estratti d’interesse dantesco, pubblicati a piú riprese da Anto­nio Fiammazzo,17 vanno ripartiti in tre categorie: notizie sulla progressione del lavoro, questioni esegetiche e in minima parte ecdotiche, problemi connessi al­la pubblicazione e diffusione della nuova Commedia. Lombardi ha tenuto in­formato Piatti dei suoi progressi come dantista sia per avere un primo riscontro del suo lavoro, sia per farsi aiutare a pubblicarlo.18 Per quanto la ricerca di un editore da parte di Piatti sia fallimentare, il carteggio contiene al riguardo indi­cazioni comunque notevoli. L’editore che Lombardi crede d’aver trovato a « due canti e mezzo » dalla fine, come primo passo « incomincia a mandar da lui un amanuense a copiare », ma ritira la sua disponibilità nei primi mesi del 1790,

Lombardi, Baldassarre, cit., p. 476), l’ultima delle quali (Della sepoltura del serafico patriarca de’ mino-ri S. Francesco, Roma, Casaletti, 1797) nel frontespizio cita Lombardi come semplice curato.

16. Nel carteggio Piatti, alla segnatura 40 R 14, sono conservati 107 testi. Le lettere del 3 lug. 1771 e dell’8 apr. 1778 sono state sostituite da fotocopie, su ciascuna delle quali compare l’indi­cazione a matita « Tolta per ordine del direttore » e la data 1/10/74.

17. Almeno in due miscellanee (A. Fiammazzo, Lettere di dantisti. Primo gruppo. Lettere del se-colo XVIII o ad esso relative, Città di Castello, Lapi, 1901, pp. 21­36; Id., Note dantesche sparse, Sa­vona, Bertolotto, 1913, pp. 117­74) e in un articolo (Id., Per la fortuna di Dante, cit., pp. 323­33). Fiammazzo omette tre estratti: 2 lug. 1788: « Dante si sta ricopiando »; 19 lug. 1794: « Debbonvi essere pervenute da Venezia due copie del mio Dante per commissione datami dal padre Faustino, a cui ora parimenti scrivo »; 14 nov. 1795: « Il padre Faustino mi scrisse sono già alcu­ne settimane che avrebbemi mandato il suo fra Daniello per una copia del Dante, ma fin ora non comparisce ».

18. Benché non siano note le sue risposte, sembra che Piatti abbia un ruolo attivo in alme­no due casi. Il 10 ag. 1782 Lombardi gli chiede di controllare la data di nascita di Dante sul co­siddetto codice Grumelli della Biblioteca Civica « Angelo Mai » (segnatura attuale: Cass. 6 1), contenente la traduzione­rielaborazione del commento di Iacomo della Lana ad opera del giurista bergamasco Alberico da Rosciate; cfr. la scheda del ms. in Censimento dei commenti danteschi. 1. I commenti di tradizione manoscritta (fino al 1480), a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2011, 2 voll., vol. i pp. 435­36. La lettera dell’11 mag. 1786 riporta una chiosa a un verso del poema, « se vi piace, come mi dite, la spiegazione del v. 73 e segg. del primo Canto del Paradiso ».

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dopo aver speso 35 scudi per la copia. Il 6 marzo 1790 Lombardi, sconsolato, ri­vela che « l’originale e la copia del suo Dante stanno appresso di lui ».

Quell’originale è conservato a Roma, presso l’Archivio generale dei Frati mi­nori conventuali al quarto piano del già ricordato convento dei xii Apostoli.19 Non è implausibile che Lombardi, ospite del convento alla vigilia della mor­te, l’avesse ancora « appresso di lui » nella sua cella. I biografi francescani erano confusamente a conoscenza della collocazione del codice, senza però del tutto comprenderne l’importanza.20 Il presente saggio, al contrario, è il primo a valo­rizzare il Codice / Del P. M. Lombardi M. C. / Sopra la ‘Divina Commedia’ / Di Dante Alighieri, come si legge, sopra la segnatura D 54, sul dorso del primo dei tre tomi, ciascuno corrispondente a una cantica. Si tratta di un manoscritto car­taceo, di cm. 28 × 20 circa, in buono stato di conservazione. La scrittura è corsiva, quasi sempre chiara, poco inclinata verso destra e distribuita di solito su 22 righe. La cartulazione, apposta dal responsabile dell’archivio in occasione della visita di chi scrive, individua per ciascun tomo rispettivamente 446, 468 e 511 carte.21 L’autografia del codice è confermata dal confronto con lo stesso corsivo delle lettere a Piatti, che permettono fra l’altro di circoscrivere con buon margine i tempi di composizione. Se il primo accenno al commento risale al 1773, la stesu­ra materiale dell’autografo si protrae per quasi sei anni, dalla metà del 1782 (« in­comincio a trascrivere il Dante e a disporlo con tutte le sue note de’ varj e mie »: 12 giugno ’82) all’inizio del 1788 (« di Dante non mi rimangono che due canti e mezzo »: 9 gennaio ’88). A ciascuna delle tre cantiche Lombardi ha dedicato lo stesso lasso di tempo, venti mesi circa, visto che a Piatti scrive il 17 febbraio 1784 di aver finito l’Inferno, il 12 aprile 1786 di aver cominciato il Paradiso.

Quando scrive d’aver « finito » l’Inferno, Lombardi intende che ha concluso una certa fase del suo lavoro, che in un secondo tempo potrà subire ulteriori inserti e rifacimenti. L’autografo in esame ne attesta di tre tipi, cioè aggiunte marginali e interlineari,22 cancellature, strisce di carta soprascritte. Le cancella­ture quasi sempre impediscono di leggere la versione precedente. Non è cosí per il sintagma « orribili favelle » di Inf., iii 25, per cui nel manoscritto s’intrave­

19. Cfr. A. Saliba, Archivio generale dell’Ordine. Ordinamento, consistenza, manoscritti, in Archivi, biblioteche, beni e centri culturali. Atti del Convegno di Assisi, 19­21 settembre 1990, a cura di G. Zanotti, Assisi, s.i.t., 1991, pp. 137­64. Dato che i documenti dell’Archivio non sono comple­tamente schedati, il rinvenimento del codice nell’estate del 2009 è stato possibile grazie alla professionalità del responsabile, fra Andreas Fiebach.

20. Cfr. D. Sparacio, Gli studi di storia e i Minori Conventuali, in « Miscellanea francescana », a. xx 1919, pp. 3­65, 97­126, alle pp. 36­38.

21. Per la prima volta alla c. 2r, e poi molte altre, s’intravede una filigrana del tipo oiseau in-scrit dans un cercle di C.M. Briquet, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier des leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, Leipzig, Hiersemann, 19232, 4 voll., nr. 12202­233.

22. Ad es. sul margine sinistro di c. 21v del primo tomo Lombardi ha aggiunto una postilla (« Non uomo duramente l’ediz. diverse dalla Nidob. ») preceduta da un segno + che indica dove vada inserita.

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dono le parafrasi alternative prese in considerazione: « orribili modi di proferi­re ciascuno in suo linguaggio. ‘Quasi orrendi ragionamenti’, chiosa il Landino; spaventevoli grida; orrendi schiamazzi ». L’ultima spiegazione, non depennata, è stata comunque scartata prima della parafrasi definitiva della stampa, « lin­guaggi di orribile suono ». Invece le paperoles soprascritte e incollate sull’area te­stuale da correggere di solito sono di ampiezza corrispondente ad essa (da una parola singola, a tutta una nota, all’intero campo di scrittura).23 Diverso il caso del paragrafo finale della nota a Inf., xxi 114, vergato su una paperole rettangolare, incollata per metà sul margine sinistro del foglio e ripiegata all’interno.

Ad una visione macroscopica i tre tipi d’interventi calano nel secondo e ancor piú nel terzo tomo: in altri termini l’autografo dei xii Apostoli è prima quasi un taccuino di lavoro, con correzioni vistose e carte bianche, poi un esemplare con sempre piú isolate varianti in versione elaborativa, infine un’ordinata trascrizio­ne in pulito. Beninteso, non è che Lombardi non compia ulteriori ritocchi sul Paradiso: semplicemente l’autografo non li registra. Ad esempio, la nota a stampa per Par., xx 36, diversa da quella autografa, all’inizio riporta il verso « di tutt’i loro gradi son li sommi », alla fine propone di leggere « e’ di tutti lor gradi son li som­mi ». Questo cortocircuito piú unico che raro è dovuto al fatto che, a riprova del­l’« ampio margine di autonomia comunicativa » tipico ab antiquo dell’esegesi dan­tesca manoscritta,24 l’autografo non contiene il testo del poema, dove si legge « di tutti i loro gradi son li sommi ». In definitiva il carteggio con Piatti e l’autogra­fo dei xii Apostoli consentono di esaminare la vita prenatale della Lombardina. Come il carteggio presenta versioni embrionali delle chiose poi stampate,25 co­sí l’autografo attesta una fase di elaborazione del commento meno avanzata ri­spetto alla stampa del 1791­’92. Secondo le norme dell’Edizione Nazionale dei

23. La c. 296 del primo tomo del ms. accoglie parte della chiosa a Inf., xxiv 145­50. L’intero campo di scrittura del recto è stato coperto da un foglio riscritto che, al margine inferiore, lascia intravedere una riga cancellata: obliterato – attraverso freghi di penna verticali e orizzontali, tracciati con un impegno tale da occultare la versione precedente – è anche un terzo del verso della stessa carta. Nel passaggio dal ms. alla stampa Lombardi è intervenuto ancora su questa chiosa, modificandone, come di consueto, la parte terminale: se nel ms. si legge « solo i Bian­chi nemici del Marchese possono pe’ nuvoli intendersi », la stampa integra cosí: « possono in­tendersi pe’ torbidi nuvoli che il tratto da val di Magra fulmineo vapore involgono ».

24. A. Mazzucchi, Nota introduttiva, in Censimento dei commenti danteschi, cit., vol. i pp. xxi­xxxiii, alle pp. xxiii­xxiv. Il solo commento della Lombardina, senza il testo dantesco, è dispo­nibile per le cure di Antonia Rossi nel Dartmouth Dante Project (http://dante.dartmouth.edu/).

25. Le chiose dell’autografo sono assai piú simili a quelle della stampa che non alle poche fatte leggere a Piatti. Nella lettera del 30 ott. 1782 Lombardi pensa che il « tal che testé piaggia » di Inf., vi 69, sia Bonifacio VIII; all’opinione allora comune, che si tratti di Carlo di Valois, torna nel ms. e nella stampa, dove c’è una breve aggiunta finale. La lettera del 14 giu. 1786 ri­porta la stessa chiosa della stampa per Par., iv 33, ma disponendo in ordine inverso rispetto ad essa i vari segmenti testuali (rapporto col secolare commento, chiosa di Lombardi, parafrasi) e omettendo la nota ecdotica. Nel ms. la chiosa è uguale alla stampa.

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Commenti danteschi, un’apposita appendice accoglierà le chiose autografe (tal­volta in piú versioni), che si diversificano sensibilmente da quelle a stampa.

3. Il 9 luglio 1783 Lombardi avvisa padre Piatti che intende pubblicare già la prima cantica, una volta conclusa, e anzi lo prega di attivarsi per trovare uno stampatore, anche fuori Roma. Malgrado l’aiuto di Alessandro, fratello di Piatti, l’esito della ricerca, particolarmente intensa nel 1785, è però fallimentare. Per questo nell’aprile 1786, quando comincia a lavorare al Paradiso, Lombardi si ri­volge all’avvocato don Carlo Fea, amico e confidente, per stampare le prime due cantiche:

Compito il manoscritto, nel 1786 egli [scil. Lombardi] preferí di consegnarlo a me, affin­ché procurassi indurre il cav. Nicola Pagliarini, amante di far belle edizioni di buoni libri, a pubblicarlo nella sua stamperia; ma non potei riuscirvi. Restituitolo all’autore, e fatti altri tentativi ugualmente inutili, vi fu chi ne invogliò il colto rinomato chirurgo Ange­lucci. Questo, persuaso della utilità della proposizione, generosamente lo fece imprime­re in tre volumi in 4° nel 1791 con sufficiente pulitezza.26

Liborio Angelucci, medico, intellettuale e politico, conferma nella dedica della Lombardina la cronologia sopra ricostruita, affermando di esserne diventato editore « compita appena questa illustre fatica » da parte del « celebre letterato suo amico » Lombardi.27 Se dunque Angelucci sostiene l’onere finanziario del­l’impresa, lo stampatore vero e proprio della Lombardina è Antonio Fulgoni, attivo presso la tipografia poliglotta della Congregazione de Propaganda fide, l’or­ganismo pontificio fondato nel 1622 con l’incarico di gestire le iniziative missio­narie nel mondo e in breve divenuto un « luogo di raccolta e di scambio di in­formazioni, dati e strumenti di natura culturale e intellettuale ».28 Soprinten­dente di quella tipografia era l’abate romagnolo Giovanni Cristofano Amaduz­zi, un protetto del francescano Lorenzo Ganganelli, papa dal 1769 col nome di Clemente XIV.29 Amaduzzi, inserito in una vasta rete di relazioni intellettuali,

26. C. Fea, Nuove osservazioni sopra la ‘Divina Commedia’, Roma, Poggioli, 1830, p. 5. Don Fea (su cui è utile R.T. Ridley, s.v. Fea, Carlo, in DBI, vol. xlv 1995, pp. 518­28) sembra essere un altro Piatti, cioè un amico al quale Lombardi comunica i progressi ecdotici (le « scoperte di vere, o credute migliori lezioni ») e chiede aiuto per trovare un editore. Nicola Pagliarini fu uno stampatore dal 1741 assieme al fratello Marco.

27. Le parole di Angelucci – su cui si rimanda ancora a R. De Felice, s.v. Angelucci, Liborio, in DBI, vol. iii 1961, pp. 251­53 – si leggono nel primo tomo della Lombardina, alle pp. iv­v.

28. G. Pizzorusso, Agli antipodi di Babele. “Propaganda fide” tra immagine cosmopolita e orizzonti romani (XVII-XIX secolo), in Storia d’Italia. Annali 16: Roma, la città del papa, a cura di L. Fiorani e A. Prosperi, Torino, Einaudi, 2000, pp. 479­518, a p. 501. Angelucci ricorda come uno degli omaggi piú importanti a Dante il restauro del suo sepolcro grazie ai finanziamenti del cardinal Luigi Valenti Gonzaga, prefetto dell’economia di Propaganda.

29. Per informazioni bio­bibliografiche, cfr. G.C. Amaduzzi­A. De’ Giorgi Bertola, Car-

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testimonia le difficoltà e le incertezze che circondano i primi passi dell’edizione appena licenziata da Lombardi. Uno dei corrispondenti di Amaduzzi è il mar­chese Giovanni Jacopo Dionisi, canonico della cattedrale di Verona, bibliote­cario della Capitolare e appassionato studioso di Dante. Dopo aver letto sulla « Gazzetta universale » del 19 marzo 1791 l’avviso che annuncia la pubblicazione della Commedia di Lombardi, Dionisi scrive ad Amaduzzi di esserne rimasto stupito, perché « il Sig. Card. Borgia tempo fa mi scrisse, che cotesto Padre Ma­estro Lombardi Conventuale da Lui protetto, n’avea dimesso ogni pensiere, e che lasciava a me tutta la cura in proposito ».30 Forse Lombardi, persa la speran­za di trovare un editore, aveva comunicato la sua intenzione di desistere dall’im­presa al cardinal Stefano Borgia, Segretario (1779­’89), Proprefetto (1798­1800) e Prefetto (1802­04) della Congregazione de Propaganda fide. Questa straordinaria figura di religioso e intellettuale aveva dato particolare impulso alla tipografia poliglotta, trasformandola da strumento di controllo dei libri per le missioni a istituzione culturale cosmopolita. Borgia ignorava che Lombardi avesse abban­donato ogni progetto dantesco, poiché nello stesso anno in cui fu creato cardi­nale lasciò la Segreteria della Congregazione. Tale promozione­rimozione era stata forse determinata dalla cauta opposizione di Borgia allo scioglimento del­la Compagnia di Gesú.31 Viceversa Amaduzzi era famoso come estensore del breve con cui papa Ganganelli soppresse i Gesuiti il 21 luglio 1773. Dunque la forza delle circostanze imprime alla Lombardina quel netto sigillo antigesuiti­co da tempo rilevato dalla critica. È noto che nel frontespizio di ciascuna canti­ca, sotto il doppio medaglione raffigurante Dante e i tre regni oltremondani, figura una criptica epigrafe in versi, interpretabile come un attacco alla Compa­gnia di Gesú, espulsa nel 1767 da Carlo III di Borbone. Meno noto è che il car­dinal Diomede Carafa, cui Angelucci dedica la Lombardina, è il segretario del­la visita apostolica del 1771­72, che porta alla chiusura del Seminario romano dei Gesuiti.32

Oltre al cardinal Borgia, un altro corrispondente di Amaduzzi è Giambattista

teggio, 1774-1791, a cura di M.F. Turchetti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, pp. viii­ix n. 7.

30. G. Gasperoni, Gli studi danteschi a Verona nella seconda metà del ’700 con appendice di lettere inedite, in Dante e Verona, a cura di A. Avena e P. di Serego­Alighieri, Verona, Tipogr. Coo­perativa, 1921, p. 326.

31. Cfr. C. Moffa, Profilo del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), in « Euntes docete », vol. ii 1986, pp. 199­220. È plausibile che Lombardi abbia avuto accesso alla ricchissima biblioteca del cardinale, di solito aperta a studiosi ed amici: cfr. G. Granata­M. E. Lanfranchi, La biblioteca del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), introd. di V. Romani, Roma, Bulzoni, 2008.

32. Tissoni, Il commento ai classici, cit., pp. 88­89. L’epigrafe è una delle Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri raccolte ed ordinate cronologicamente con note storiche, bibliografiche e biografiche, a cura di C. Del Balzo, Roma, Forzani, 1889­1909, 15 voll., vol. vii 1901, pp. 311­13. Sul cardinal Carafa, vd. Il Seminario romano. Storia di un’istituzione di cultura e di pietà, a cura di L. Mezzadri, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001, p. 62 n. 174.

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Bodoni, ex decoratore e stampatore presso la tipografia della Congregazione de Propaganda fide,33 nonché futuro editore della Commedia curata da Dionisi. Ama­duzzi, già colpito da quel male che l’avrebbe in pochi mesi portato alla morte, scrive a Bodoni il 12 marzo 1791:

Qui [scil. a Roma] si stamperà la Divina Commedia ridotta alla vera lezione ed illustrata da un Conventuale, il P. M. Lombardi, e sarà in tre tomi in 4°. Si pretende di fare una edi­zione magnifica, ma in tempo della mia malattia, in cui fu determinata questa impresa, furono anche prese tutte le misure e fu persino scelto un nuovo carattere del sig. Expilly di penna grossa, e di piú gettato storto e sciancato. Non sarà mai possibile, che qui si faccia una cosa buona, e perciò io me ne lavo affatto le mani a scanso d’inquietarmi.34

Amaduzzi teme che la Lombardina, benché non riporti sul frontespizio la mar­ca tipografica della Congregazione, non essendo un testo religioso o funzionale all’evangelizzazione, abbassi la qualità dei prodotti della stamperia. La sua atti­tudine pilatesca non dura però a lungo: nel commento di Lombardi l’abate ro­magnolo è citato quattro volte, tre come classicista capace di sciogliere intricati nodi esegetici, una in relazione ad una figura chiave della stampa periodica ro­mana del tempo.35 I suggerimenti di Amaduzzi sono presenti nella stampa, non nel manoscritto, quindi è presumibile siano stati offerti e ricevuti negli ultimi mesi di vita dell’abate, morto il 21 gennaio 1792. In altre parole Amaduzzi è di­ventato un consulente di Lombardi dopo che la Congregazione ha deciso di pubblicare la sua Commedia. Allo stato attuale delle ricerche Lombardi assume a Roma una posizione defilata rispetto ai tradizionali luoghi di aggregazione in­tellettuale, giornali, accademie, università. La pubblicazione presso la stamperia della Congregazione de Propaganda fide ha aperto al francescano molte porte, l’ha inserito in una rete di prestigiose relazioni intellettuali che, a quanto parrebbe, prima gli erano precluse.

Amaduzzi non è l’unico contemporaneo di Lombardi citato nella sua edizio­ne. Come Dante nella Commedia dissemina omaggi a chi seppe allietare il suo esilio, cosí Lombardi nel commento inscrive ringraziamenti, persino anonimi o forzati,36 ai suoi amici, collaboratori o consulenti. « Lode all’opportuno suggeri­

33. Cfr. W. Henkel, The Polyglot Printing-office during the 18 th and 19th Century, in Sacrae Con-gregationis de Propaganda Fide memoria rerum, cura et studio J. Metzler edita, Rom­Freiburg­Wien, Herder, 1971­1976, 5 voll., vol. ii 1973 (1700-1815), pp. 299­315, partic. alle pp. 303­4.

34. Cit. da A. Ciavarella, Notizia introduttiva, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Allighieri. Parma nel Regal Palazzo 1795 co’ tipi Bodoniani, Milano, Vallardi, 1965, 3 voll. (rist. anast. dell’ed. Parma, co’ tipi bodoniani, 1795[­1796]), vol. i pp. 6­7.

35. Si vedano le note di Lombardi a Inf., xi 49­50, xxxi 136­41; Purg., x 128­29, xi 66.36. Rimane anonimo il « dotto fiorentino » citato nella nota a Purg., ix 2. Invece nella chiosa

(b) di secondo livello al neologismo indovare (Par., xxxiii 138), Lombardi ricorda che i Francesi chiamano douves le doghe: « nota, nell’atto di correggere questa stampa, l’eruditissimo e mio amicissimo sig. canonico D. Giovanni Vidari ».

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mento del fu eruditissimo Ab. Pierantonio Serassi », recita la nota a Par., xxiii 130­32, modificata dopo la morte dell’abate nel febbraio del 1791. La biografia di Serassi presenta molti punti in comune con quella di Lombardi. I due religiosi sono quasi coetanei e conterranei (Serassi è nato a Bergamo nel 1721, Lombardi a Vimercate, a 35 km di distanza, nel 1718), hanno insegnato nella stessa scuola, il Collegio Mariano (Serassi nel 1747­’49, Lombardi dal 1750 al 1763), prima di trasferirsi a Roma (Serassi nel 1754, Lombardi almeno dal 1769).37 Se poi si con­sidera che questa vecchia conoscenza di Lombardi (e di Piatti) a Roma lavora come minutante nella segreteria della Congregazione, e che per di piú ha cura­to un’edizione della Commedia, è facile ipotizzare, pur in difetto di riscontri, che sia stato lui a introdurre l’amico Baldassarre nella cerchia del cardinal Borgia e di Amaduzzi, e a suggerire la pubblicazione della Lombardina presso la tipogra­fia di Propaganda.38

Sei volte invece è menzionato nelle note Ennio Quirino Visconti, « forse il piú grande studioso di antiquaria del periodo napoleonico ».39 Da una parte, in veste di bibliotecario della Chigiana (dove allora suo assistente era don Fea), Visconti ne favorisce l’accesso a Lombardi; dall’altra nel settembre del ’91 firma una delle approvazioni dell’edizione, ripetuta poi nel gennaio del ’92. « È ben da desiderarsi che si moltiplichino per l’Italia le impressioni del maggior forse fra tutti i moderni poeti », scrive Visconti, « quando si è omai convenuto di conside­rar Dante siccome un classico ».40 Queste parole non rimangono senza eco. Il francescano Giuseppe Della Valle, in una lettera riportata all’inizio del terzo

37. Tra la corrispondenza di Serassi conservata alla Biblioteca Civica « Angelo Mai » alla segnatura 66 R 7 (14), una lettera del 1° settembre 1756 di Andrea Bassani, professore del semi­nario di Padova, gli riporta gli elogi di un non meglio precisato « padre Lombardi ». Cfr. D. Rota, L’erudito Pier Antonio Serassi biografo di Torquato Tasso. Ricerca sulla vita e sulle opere attraverso il carteggio inedito, Viareggio, Baroni, 1996.

38. Mentre era impegnato nella stesura della Vita di Tasso, Serassi s’era rivolto a Piatti at­traverso Lombardi allo scopo di localizzare i mss. tassiani lasciati in eredità dal bergamasco Marcantonio Foppa, editore seicentesco di Tasso, al romano Ottavio Falconieri. La lettera di Lombardi a Piatti del 26 gennaio 1780 comunica l’esito negativo della ricerca. Il 16 agosto 1786 Lombardi scrive: « Non m’è venuta occasione di portarmi verso la rimota parte di Propaganda dall’Ab. Serassi, e di portarmici a bella posta pe ’l dubbioso riuscimento [legato alla ricerca di libri] non m’è parso ».

39. M. Cerruti­E. Mattioda, La letteratura del neoclassicismo. Vincenzo Monti, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Malato, vol. vii. Il primo Ottocento, Roma, Salerno Editrice, 1998, pp. 289­378, a p. 366. Lombardi cita Visconti nelle seguenti note: Inf., iv 86­88, xii 9 (Visconti, scrive Lombardi, gli ha parlato « nell’atto che si degna di rivedere questa mia fatica »), xvi 127­28, xxxiv 75; Purg., iii 37, xxvii 15. L’interpretazione attribuita a Visconti (definito nel ms. « re­visore e correttor mio ») per l’ultimo verso (« colui che ne la fossa è messo » come allusione alla propagginazione) gode oggi di vasto séguito.

40. Dante, Commedia, ed. Lombardi cit., vol. i p. xxviii. Le Approvazioni si ripetono in ogni tomo della Lombardina. Analizza quella di Visconti Tissoni, Il commento ai classici, cit., pp. 90­91.

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tomo della Lombardina, ricorda tra le attestazioni di stima nei suoi confronti sia le Approvazioni di Visconti e di Giuseppe Reggi, prefetto della Vaticana, sia gli « elogi, che piú d’una volta ne intese dal dottissimo Signor Cardinale Borgia [già noto], e dall’Eminentissimo Garampi », ovvero da un altro membro di Propa­gan da, il cardinal Giuseppe Garampi.41 I personaggi a vario titolo citati, quasi tutti religiosi romani (ad eccezione di Angelucci) legati a quella Congregazione, hanno speso il loro potere e la loro cultura per sostenere la Lombardina, pro­muovendola sia in conversazioni personali, sia attraverso la stampa periodica.

4. La stampa, insieme alla lettera privata, è un veicolo promozionale delle no vità librarie e insieme uno strumento di primo orientamento del pubblico colto. Questa duplice funzione si riflette nell’avviso librario uscito sulla « Gaz­zetta universale » di Firenze del 19 marzo 1791. Esso annuncia l’imminente pub­blicazione della Lombardina e invita chi voglia associarsi a segnalare il proprio interesse:

Roma. Sta per uscire dalla Stamperia di Propaganda la Divina Commedia di Dante Ali­ghieri nuovamente corretta, spiegata, e difesa da un celebre Letterato. La fatica da esso fatta per molti anni, deve essere di sommo gradimento ai Letterati, ed Amatori della Poesia, e dell’Italiana favella. Già gli Accademici della Crusca presero nel 1595 a collazio­nare l’Edizione Aldina del 1502 con quasi un centinaio de’ piú celebri manoscritti delle loro doviziose biblioteche. Ma ora si rimonta all’edizioni del Secolo anteriore, e special­mente a quella fatta in Milano nel 1478 per Martin Paolo Nidobeato. Col confronto di questa si rilevano molti errori in ogni genere incorsi nelle successive, ed ora ne uscirà quella che annunziamo, e che sarà la piú purgata sino ai nostri tempi. L’editore non desi­dera altro se non che i Signori, quali bramano associarsi, diano il loro nome per potersi regolare nella quantità degli esemplari da sottoporsi al Torchio senza ricerca di anticipa­zione alcuna. L’opera sarà corredata di rami di eccellente bolino, con caratteri nuovi, e ottima carta, e di costo sarà di un bajocco e mezzo il foglio, e i rami bajocchi quattro per ciascheduno.42

La prima parte dell’Avviso assembla informazioni tratte dalla dedica di Angeluc­ci (Lombardi è un « celebre letterato », il cui lavoro ha richiesto una « fatica » di

41. G. Della Valle, Al Marchese Averardo de’ Medici, in Dante, Commedia, ed. Lombardi cit., vol. iii p. iii. L’« Eminentissimo Garampi » (su cui D. Vanysacker, Cardinal Giuseppe Garampi [1725-1792]. An Enlightened Ultramontane, Bruxelles, Institut Historique Belge de Rome, 1995) ha permesso a Lombardi di consultare un ms. della Commedia, e perciò due volte (Par., i 127­32; vi 118­20) viene onorato nella stampa, non nell’autografo, comunque prima della morte del cardinale (4 mag. 1792), cui non si fa cenno.

42. « Gazzetta universale », nr. xxiii, 19 mar. 1791, p. 184. Sull’ultima facciata di ogni numero della « Gazzetta » – uno dei 67 periodici preunitari digitalizzati all’indirizzo http://bibliote­cadigitaleitaliana.sbn.it – compare quasi sempre una sezione di Avvisi, una sorta di “piccola pubblicità” riservata perlopiú alle novità librarie.

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lunghi anni) e dalla prefazione dello stesso Lombardi (il testo è esemplato sulla cosiddetta Nidobeatina, l’edizione quattrocentesca della Commedia curata dal­l’umanista Martino Paolo Nibia).43 È proprio il carattere mirato sull’aspetto ec­dotico a distinguere l’Avviso della « Gazzetta universale » dalla segnalazione del­la Lombardina uscita alla fine del ’91 su un altro periodico della stessa città, le « Novelle letterarie pubblicate in Firenze »: il foglio di Marco Lastri rileva infat­ti che l’edizione di Lombardi ha avuto il merito di « togliere al nostro Maggior Poeta quell’oscurità che i secoli gli aveano indotto, sí per la parte della sua vera lezione, come per quella dell’intelligenza ».44

La parte finale dell’Avviso della « Gazzetta » annuncia la soluzione di alcuni problemi bibliologici su cui Lombardi s’era a lungo arrovellato nella corrispon­denza con Piatti. L’epistola del 9 luglio 1783 auspica sia che uno « stampatore […] a proprie spese, o per associazione assuma l’incarico » di pubblicare la nuova edizione, sia che vengano riprodotte « le bellissime miniature che sono in un Dante ms. della Vaticana, appartenente una volta ai duchi d’Urbino ». Il proget­to di servirsi del Codice Urbinate latino 365, carezzato pure nel 1784, non va in porto: i rami che prima di ogni tomo riproducono la topografia di ciascun regno oltremondano ricalcano quelli dell’edizione veneziana di Pietro Da Fino (1568), con commento di Bernardino Daniello.45 Invece il metodo dell’associazione, una sorta di print-on-demand ante litteram comunemente impiegato per testi di fa­ma, incontra il favore della stamperia di Propaganda. La prenotazione non com­porta alcun esborso economico per gli interessati, ma consente all’editore di re­golarsi sul numero di copie da stampare, e quindi di abbattere drasticamente i costi: « la stampa del Dante in pergamena bella e rasata » – rivela Lombardi a Piatti il 30 gennaio 1790 – « importerebbe tre paoli al foglio, o sia ogni lettera d’alfabeto »; ora il costo è di un baiocco e mezzo al foglio, ovvero il 5% del primo prezzo, se si tien conto che un paolo è pari a dieci baiocchi.46

43. Il Nidobeato aggiorna il commento lanèo tramite interventi personali, citazioni classi­che, inserti di altri chiosatori. Le ricerche di S. Invernizzi (vd. partic. Il commento di Martino Paolo Nibia alla ‘Commedia’. 1. L’ ‘Inferno’, in RSD, a. viii 2008, pp. 168­92) affrontano alcuni pro­blemi della ricezione della Nidobeatina (Nibia è un commentatore “originale”? Guido Terza­go è finanziatore o coautore?), di cui s’occupa pure Della Valle nella lettera premessa al tomo iii della Lombardina.

44. « Novelle letterarie pubblicate in Firenze », nr. lii, 30 dic. 1791, coll. 832­33.45. Una riproduzione dei rami dell’ed. del 1568, cit. alla n. 99, è disponibile, nell’àmbito del

progetto Renaissance Dante in Print (1472-1629), all’indirizzo http://www.italnet.nd.edu/Dan­te/index.html.

46. Il 13 settembre 1794 Lombardi dice a Piatti che una copia della sua edizione costa 32 paoli. Quando essa è esaurita, « il triplicato prezzo non bastava a soddisfare la prodiga curiosi­tà de’ Letterati » (M. De Romanis, L’Editore ai Lettori, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri corretta spiegata difesa dal P. Lombardi M. C. nel mdccxci riscontrata ora sopra preziosi codici nuova-mente emendata […], Roma, De Romanis, 1815­1817, 4 voll., vol. i 1815, p. x). P. Colomb de Ba­tines, Bibliografia dantesca, Prato, Tip. Aldina, 1845­1848, 3 voll. (nuova ediz. anast. a cura di S.

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L’originaria impostazione tipografica appena descritta è stata perfezionata da alcuni esemplari, come quelli conservati alla Biblioteca Trivulziana di Milano, uno in carta azzurra, l’altro con gli outlines di John Flaxman.47 Una tiratura limi­tata in carta azzurra non è affatto eccezionale in Italia negli annali del libro an­tico e delle edizioni dantesche.48 Gaetano Volpi, fratello di Giovanni Antonio e suo socio nella stamperia cominiana (dai cui torchi esce la prima grande Com-media del secolo), spiega che la carta « turchina o piuttosto cinericia » allora veni­va impiegata non tanto per la sua qualità, visto che tra l’altro su di essa i caratteri poco risaltavano alla vista, quanto per motivi tecnici (gli stracci di quel colore non lo perdevano durante il trattamento delle cartiere) e commerciali (tanto rari erano gli esemplari turchini da divenire bibliothecarum cimelia venduti a caro prezzo).49 La scelta di distinguere alcuni esemplari facendoli diventare rarità bibliografiche va ricondotta alla genesi della Lombardina, forse in risposta ai dubbi sulla sua esecuzione tipografica avanzati da Amaduzzi. Invece l’inseri­mento dei disegni a puro contorno dell’inglese Flaxman, secondo l’edizione “non autorizzata” di Tommaso Piroli del 1802, rimanda non al progetto origina­rio della Lombardina, bensí alla prima fase della sua fortuna, particolarmente precoce, come si vedrà, proprio in Inghilterra.50

Quando la Lombardina era ancora una novità libraria, l’Avviso uscito sulla « Gazzetta universale » non era l’unico che la pubblicizzasse. Gli editori ne ave­vano « fatto affiggere » un altro, in cui, come « saggio di questa immensa fatica », si annunciava che sarebbe stata divulgata l’intera prefazione Ai cortesi lettori.51 Nel

Zamponi, Roma, Salerno Editrice, 2008), vol. i p. 120, riporta tre quotazioni di cataloghi anti­quari dei tempi suoi, pari a 180, 100, 60 paoli. Si aggiungano le stime di 50 paoli nel Catalogo dei libri […] presso Ferdinando Agostini, Firenze, s.i.t., 1841, p. 342, e di 120 paoli nel Catalogo di una doviziosa biblioteca […], parte seconda, Roma, Ferretti, 1858, p. 155.

47. Milano, Biblioteca Trivulziana, C 740 1­3 (carta azzurra) e C 79 1­3 (disegni di Flax­man). Un’altra Lombardina azzurra si trova a Manchester, John Rylands Library, Deansgate, segn. 10435.

48. G. Zappella, Il libro antico a stampa: struttura, tecniche, tipologie, evoluzione. Parte prima, Mila­no, Editrice Bibliografica, 2001, pp. 54, 133­36. Colomb de Batines, Bibliografia, cit., parla delle Commedie azzurre (i pp. 82, 91, 126, 131, 150, 151), e, per la Lombardina, di « esemplari in carta turchina volgente all’azzurro, uno de’ quali magnificamente legato in marr. rosso e decorato delle armi del Granduca di Toscana si conserva nella palatina di Firenze » (p. 120). G. Mambel­li, Gli annali delle edizioni dantesche, Bologna, Zanichelli, 1931 (rist. anast. Verona, Bibliopathos, 2010), p. 66, e F. da Mareto, Bibliografia dantesco-francescana, Parma, Libr. Francescana, 1972, p. 34, scrivono di Lombardine in carta bianca speciale e in carta azzurra. Nell’esemplare trivul­ziano l’unica carta bianca è quella dei fogli di guardia, con filigrana del tipo di Briquet, Les fi-ligranes, cit., nr. 7119: « Giglio inscritto in un cerchio sormontato dalla lettera B ».

49. Cfr. G. Volpi, La libreria de’ Volpi, e la stamperia cominiana, Padova, Comino, 1756, pp. 209­11.

50. Cfr. La ‘Divina Commedia’ illustrata da Flaxman, a cura di F. Salvadori, Milano, Electa, 2004.

51. Al manifesto – la cui esistenza, a quanto risulta, è possibile ricostruire solo congettural­

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luglio del 1791 essa compare sul terzo numero dell’« Antologia romana » in una versione identica a quella del manoscritto e diversa da quella consegnata ai tor­chi di Fulgoni qualche mese dopo, quando Lombardi introdurrà, oltre a lievi modifiche formali, una lunga nota contro Dionisi. L’anteprima dell’« Antologia romana » è dovuta all’animatore della rivista, l’abate Amaduzzi,52 il quale, grazie al legame privilegiato con Lombardi, aveva accesso diretto ai materiali a cui il francescano stava lavorando. In coda alla prefazione i redattori dell’« Antologia » ribadivano i pregi dell’edizione (« ottimo bollino [sic] », « carta nitidissima », « ca­ratteri gettati tutti di nuovo »), ricordavano il costo (« un bajocco e mezzo al fo­glio, i rami bajocchi quattro per ciascuno »), e prima di tutto invitavano gli inte­ressati ad associarsi, « per potersi regolare nella quantità degli esemplari da sot­toporsi al torchio, senza ricerca di anticipazione alcuna ».53 Si sarà notato che l’« Antologia romana » usa le stesse parole dell’Avviso della « Gazzetta »: proba­bile indizio, come vedremo, di una regia comune dietro ai due interventi.

Malgrado i reiterati appelli, non sembra che, in un primo momento, la nuova edizione sia riuscita ad accendere l’interesse di un pubblico diverso da quel ­lo degli specialisti, che avrebbero addirittura « festeggiato un cosí fortunato av­venimento ».54 Il 19 novembre 1791 la « Gazzetta universale » commenta che le promesse dell’avviso del 19 marzo sono state confermate dall’uscita del primo tomo, impresso però « solamente [in] seicento esemplari », un numero a quan­to pare tanto basso, o comunque inferiore alle attese, che « resta ancora aperta l’associazione in Roma per chi volesse approfittarsi ». Le copie sono « reperibi­li presso il sig. Pietro Paolo Montagnani a Pasquino in Roma; e nelle principali librerie d’Italia ».55 Il primo biografo di Lombardi conclude che la sua edizione « non fu accolta con quel festeggiamento letterario come a buon diritto meri­tava », visto che, ricorda don Fea, « per un anno poco spaccio ne ebbe in Ro­ma ».56

mente – allude Dionisi in una lettera ad Amaduzzi del 15 mag. 1791 (vd. Dante e Verona, cit., p. 319).

52. Cfr. G. Ricuperati, Giornali e società nell’Italia dell’Ancien Régime (1668-1789), in V. Ca­stronovo­G.R.­C. Capra, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, Roma­Bari, Laterza, 1976, pp. 67­372, a p. 317. Sulla stampa periodica a Roma, vd. il numero monografico della rivi­sta « Dimensioni e problemi della ricerca storica », fasc. i 1997, con particolare attenzione agli interventi di M.P. Donato, M. Caffiero, M. Formica.

53. « Antologia romana », nr. iii, lug. 1791, pp. 20­24. 54. Cosí scrive De Romanis, L’editore ai lettori, cit., p. x: « una scelta ragunanza di letterati

Romani volle con prose e versi sonoramente recitati festeggiare un cosí fortunato avvenimen­to, a gloria di Roma e decoro della letteratura ».

55. « Gazzetta Universale », nr. xciii, 19 nov. 1791, p. 144. Pietro Paolo Montagnani era un libraio e mercante di stampe, anche di soggetto dantesco: vd. F. Tarzia, Libri e rivoluzione. Fi-gure e mentalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), Milano, Angeli, 2000, p. 52.

56. Arduini, Notizie della vita, cit., p. 287; Fea, Nuove osservazioni, cit., p. 5. Si noti che don Fea pubblicò diversi articoli sull’« Antologia romana ».

note e discussioni

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È ipotizzabile che, per invertire la tendenza, il gruppo raccolto attorno ad Amaduzzi faccia intervenire a questo punto un altro settimanale, le « Efemeridi letterarie di Roma », il cui comitato redazionale è quasi del tutto sovrapponibi­le a quello dell’« Antologia romana ». Promotore e finanziatore sia dell’« Anto­logia » sia delle « Efemeridi » era stato, sino alla sua morte nel 1781, il consigliere Giovanni Ludovico Bianconi, da Lombardi ricordato – nella nota (a) su Inf., xxxi 136­41, della stampa – come « uomo di quel sublime criterio che tutto il mondo sa ». L’articolo d’apertura delle « Efemeridi » del 21 gennaio 1792 ripete il refrain dell’eccellenza della Lombardina (« di gran lunga superiore a tutte le pre­cedenti »), grazie al mantenimento delle promesse annunciate nella « prefazione in forma di manifesto […] da noi inserita nella nostr’Antologia » del luglio 1791. Le « Efemeridi » forniscono la prima descrizione completa degli apparati meta­ e paratestuali a cornice del primo volume: non piú soltanto la prefazione (« già da qualche tempo nelle mani degli eruditi », come sappiamo), ma pure la bio­grafia di Dante scritta da Serassi (« Ognuno facilmente si figura il pregio che deve avere la vita e l’elogio del padre e fondatore della nostra lingua, steso da uno, ch’è stato forse il piú insigne cultore e profondo conoscitore della medesi­ma nell’età nostra »), i due estratti delle Osservazioni del veronese Filippo Rosa Morando sullo stile e sul titolo della Commedia, le tre tavole finali che elencano le voci spiegate, corrette e difese. Alla fine l’articolo cerca di smorzare le pole­miche fra Lombardi e Dionisi, senza entrare nel merito, ma auspicando una col­laborazione fra i due studiosi che possa « rendere sempre piú accessibile e gradi­ta la lettura e lo studio di questo primo capo d’opera del nostro bell’idioma, e farlo risorgere a quell’auge di gloria e di splendore, di cui ha altre volte merita­mente goduto, e dal quale sembra alquanto decaduto ne’ nostri giorni ».57

Gli articoli delle « Efemeridi » e dell’« Antologia romana » rispondono a un progetto di fondo, frutto della sinergia fra quelle testate riconducibili all’abate Amaduzzi e ai suoi sodali. Ai potenziali acquirenti della Lombardina quegli articoli forniscono informazioni sempre piú approfondite: prima ne annuncia­no la comparsa sul mercato, poi ne divulgano la prefazione, infine ne descrivo­no il paratesto. È probabile che in tale progetto rientrassero pure gli Avvisi sulla « Gazzetta », non soltanto quelli già segnalati (del 19 marzo e del 19 novembre 1791), ma anche altri due (del 10 aprile e dell’8 dicembre 1792).58 I quattro inter­

57. « Efemeridi letterarie di Roma », nr. iii, 21 gen. 1792, pp. 17­18.58. Riportiamo per completezza gli Avvisi del 1792. Quello del 10 aprile 1792, p. 232, recita:

« Roma. Si è pubblicato il secondo tomo della Divina Commedia di Dante, contenente il Purga-torio. Questo secondo tomo corrisponde alle promesse già fatte, ed alla perfezione del primo, che ha incontrato il piacere di tutti gli uomini dotti, restituendo il principe de’ poeti ad una chiarissima intelligenza. Il tomo terzo contenente il Paradiso, uscirà alla luce nel prossimo mag­gio. Resta ancora aperta l’associazione in Roma, ove è l’Editore, presso Pietro Paolo Monta­gnani a Pasquino ». L’altro Avviso dice: « È stata compita con il tomo terzo l’edizione romana del ­la Divina Commedia di Dante Alighieri. Questa è riuscita di ottimo gusto, e secondo le promes­

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venti, divulgati in base a una cadenza precisa (prima per presentare il progetto, poi all’uscita di ogni tomo), in tre casi promuovono il libraio Montagnani a ri­venditore autorizzato dell’opera. Che dietro ai quattro avvisi della « Gazzetta » e agli articoli dell’« Antologia » e delle « Efemeridi » ci sia un comune ispiratore è suggerito da due considerazioni: intanto il ricorso alle stesse formule per sot­tolineare l’eccellenza della Lombardina, ma soprattutto il silenzio assoluto sul nome di Baldassarre Lombardi. Nulla su di lui si dice, mai viene sciolto l’acro­nimo F. B. L. del frontespizio o della prefazione: una cautela puramente forma­le (il nome è indicato a chiare lettere nella lettera di Della Valle), ma tale da in­generare confusione tra i dantisti dell’Ottocento.59 Il taglio promozionale degli interventi riconducibili ad Amaduzzi, centrati sulla Lombardina e reticenti su Lombardi, li differenzia nettamente da altre segnalazioni. Quella già citata del­le « Novelle letterarie pubblicate in Firenze » fa quasi súbito il nome di Lombar­di. Inoltre l’articolo uscito nel 1792 sul « Giornale de’ letterati » – edito dal sum­menzionato Nicola Pagliarini – da una parte è sobriamente informativo, dall’al­tra rientra in un piú ampio resoconto di altri studi su Dante, in primis quelli di Dionisi.60

5. Gli inserti pubblicitari sulla stampa periodica esaltano gli elementi di novi­tà della Lombardina. Al contrario la Commedia di Lombardi è saldamente anco­rata alla tradizione settecentesca dei commenti danteschi. All’inizio di quella tradizione c’è la Cominiana, l’edizione dei fratelli Volpi del 1726­’27, ricordata al principio del presente saggio a causa del tentativo di ampliare il pubblico del poema a fruitori non colti.61 Una recensione della Cominiana la considera « co­modissima […] per la sua forma in ottavo, e per la sua divisione »62 in tre tomi. Il primo tomo presenta il testo della Commedia, per la prima volta con i versi nu­merati, il secondo un rimario, il terzo tre indici alfabetici, uno di natura lingui­stica, l’altro dedicato a personaggi e toponimi, l’ultimo allo scioglimento di pe­

se de’ manifesti riguardo alla carta e caratteri, ma quello per cui certamente si rende interes­santissima sopra tutte l’Edizioni finora vedute, è la vastità e ricchezza delle spiegazioni di cui è arricchita dal Comentatore, che si è reso benemerito di tutta la Letteratura, riducendo Dan­te ad una cosí chiara lezione, che non lascia cosa alcuna a desiderarsi, ond’è che bramando ancora provvedersi di questa edizione si trova vendibile in Roma presso il Sig. Pietro Paolo Montagnani a Pasquino, essendosi ancora degli esemplari da esitare » (« Gazzetta Universale », nr. xcviii, 8 dic. 1792, p. 784).

59. I primi lettori della Lombardina non ignoravano l’identità del suo autore: L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa romana chiesa, to. i parte ii, Roma, Pagliarini, 1792, pp. 291­2, cita apertis verbis Lombardi per spiegare un’allusione storica. Delle successive incertezze sul nome del frate discorre Fiammazzo, Per la fortuna, cit., pp. 321­23.

60. « Giornale de’ Letterati », to. lxxxvi 1792, pp. 294­96.61. Cfr. Tissoni, Il commento ai classici, cit., pp. 52­58; D. Pietropaolo, Dante Studies in the Age

of Vico, Ottawa, Dovehouse, 1989, pp. 200­11.62. « Giornale de’ Letterati d’Italia », to. xxxviii parte i 1727, p. 459.

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rifrasi e antonomasie. Gli indici, destinati a una lunga fortuna critica ed edito­riale in quanto prototipo dei successivi lessici e concordanze,63 sono davvero « l’anima di sí bell’opera », come scrive Apostolo Zeno a Volpi.64 Grazie agli in­dici, infatti, l’autorità della Crusca è ormai decisiva tanto nel testo della Comme-dia, quanto nel commento: in altre parole i fratelli Volpi non si limitano a utiliz­zare come testo base quello del 1595, correggendone però la « prodigiosa quan­tità d’errori »,65 ma in piú predispongono le note esplicative sul modello del Vo-cabolario, talvolta replicandone le precise parole.

Sull’accessibilità delle nuove edizioni e sull’imitabilità della Commedia Lom­bardi ha idee diverse rispetto a Volpi. Gli studenti non sono i destinatari privile­giati dell’edizione del francescano, il quale non soltanto adotta un meno ma­neggevole formato in quarto, ma in piú non traduce i termini latini, anzi se ne serve d’abitudine nella parafrasi, e compila le tavole in appendice a ciascun to­mo per chi già conosce il poema e quindi sarebbe in grado di imitarlo.66 Men­tre Volpi condivide l’aspirazione di Crescimbeni a una fruizione piana e a una spendibilità immediata della Commedia, l’apparato di Lombardi, ricco di richia­mi alla filosofia e alla teologia, presuppone il lettore ideale della Ragion poetica di Gravina, capace di cogliere la prioritaria dimensione dottrinale. Su queste basi non stupisce che nel passaggio dal manoscritto alla stampa i rimandi dichiara­ti alla Cominiana calino in maniera considerevole. Una citazione letterale nel manoscritto (« Vicino, per quello che la Scrittura Sacra chiama prossimo. Volpi »: Purg., xvii 115) viene modificata nella stampa (« vale qui vicino lo stesso che coi termini della scrittura sacra dicesi prossimo »), e quindi non è piú attribuita a Vol­

63. Un caso di diffrazione interpretativa originato dagli indici di Volpi è l’errata spiegazio­ne di « principio » del « cerebro » come « midollo spinale », piuttosto di « cuore ». L’intervento di V. Bartoli, Il midollo spinale “principio” del “cerebro” ( ‘ Inf.’, xxviii 140-41): un errore causato dalle sco-perte scientifiche di fine Settecento, in « La Cultura », a. xlviii 2010, n. 2 pp. 303­21, è pregiudicato dal convincimento che la chiosa di Volpi compaia per la prima volta in una ristampa del 1784, anziché nella princeps (Volume terzo che abbraccia […] tre indici ricchissimi […], Padova, Comino, 1727, p. 216).

64. A. Zeno, Lettere, Venezia, Sansoni, 1785, 6 voll., vol. iv p. 216.65. Come dice Lombardi nella nota (a) di Purg., xxvi 39, ripetendo le parole dello stesso

Volpi.66. Secondo Volpi l’immagine della lettera M in rilievo negli occhi infossati e nel volto

scheletrito dei golosi (Purg., xxiii 32­33) non è un soggetto degno della poesia, come vuole Orazio nell’Ars Poetica, vv. 149­50 (« Quae / desperat tractata nitescere posse relinquit »). È il cardine della contestazione dell’estetica rinascimentale a Dante, quella di aver voluto « di qualunque cosa scrivere, che ad animo gli veniva, quantunque poco acconcia e malagevole a caper nel verso » (P. Bembo, Prose e rime, a cura di C. Dionisotti, Torino, Utet, 1966, p. 178). Va da sé che passi di tal genere non siano da imitare. Invece Lombardi nel caso specifico s’ap­pella alla brevitas, una delle virtú retoriche della narratio: nulla v’è da togliere alla terzina dan­tesca, visto che il poeta « in un lampo » offre « una forte immagine della magrezza ». Si vedrà che Lombardi non dubita della possibilità di imitare Dante.

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pi.67 In altri casi una sua nota (« Quel traditor, Malatestino tiranno di Rimini a’ tempi di Dante, il quale avea un occhio solo »: Inf., xxviii 85) è rimpiazzata per brevità da quella di un altro esegeta (« Quel traditor, il prenominato Malatestino cieco d’un occhio. Venturi »). Infine non è infrequente che abbia la meglio l’i­nerzia di spiegazioni rassicuranti perché ripetute: di fronte all’emistichio « e me convien partirmi » (Purg., xvi 143), il manoscritto segue Volpi (me è un « pronome soprabbondante »), la stampa scivola nello stereotipo (« pleonasmo in grazia del­la rima »).68

Per tre aspetti, nondimeno, la continuità con la Cominiana è innegabile e fondante: Lombardi sul piano ecdotico la adotta come testo base; sul piano cri­tico trascrive dai suoi indici le spiegazioni dei toponimi e le biografie dei perso­naggi; sul piano metodologico si avvale della sua piú grande lezione, ossia che il Vocabolario della Crusca è la via maestra per l’intendimento della Commedia. Dal Vocabolario Lombardi riprende sia la spiegazione dei significati di singoli termi­ni (Inf., xxxii 137: « Pecca, per peccato, delitto » nell’autografo diventa nella stampa « Pecca per mancamento [in nota Vedi ’l Voc. della Crusca] »), sia le citazioni degli autori riportate nelle singole voci (Purg., viii 97­99: « vallea per valle anche l’Ario­sto »).69 L’autografo dei xii Apostoli registra i vani tentativi da parte di Lombardi di affrancarsi dalla tutela esegetica della Crusca. Il Settecento legge cosí Purg., i 121­23: « Quando noi fummo dove la rugiada / Pugna col sole, e per essere in parte / Ove adorezza, poco si dirada ».70 Il problema è l’hapax adorezza, un neo­logismo coniato sul modello di adombra o annotta, che ai giorni nostri l’antica vulgata di Petrocchi respinge a vantaggio della locuzione ad orezza.71 Adorezza

67. Si veda anche la chiosa a Inf., xxviii 136, nel ms. (« In se ribelli, contra sé discordanti, av­versari. Il medesimo [Volpi] ») e nella stampa (« In se ribelli. Ribello propriamente dicesi il sud­dito che si solleva contro del principato. Come però di tale sollevazione è cagione lo sconten­to, metonimicamente dice Dante fatti il padre e ’l figlio in se ribelli, in vece di dirli fatti un dell’altro scontenti »).

68. Per l’acclaramento della lettera Lombardi ricorre a Marcantonio Mambelli, detto il Cinonio, autore delle Osservazioni della lingua italiana. Sovente la spiegazione di Volpi o fa da controcanto a quella del Cinonio (come accade alla fine della nota a Inf., xvii 133­34, assente nel ms.) o viene sostituita da essa: « A che, per da cui. Volpi » (Purg., xv 25) del ms. diventa nella stampa « A che per contra, o verso del quale. Vedi Cinonio ».

69. Non è infrequente che il debito col Vocabolario non sia esplicitamente dichiarato (Purg., i 96: « stinga, da stingere, che significa tor via la tinta »), oppure che Lombardi sottolinei la sfasatura tra quello e la Commedia della Crusca del 1595: questa sceglie la lezione ragna in luogo di aragna (Purg., xii 44), poiché aragna non può significare ragno, mentre il Vocabolario riporta passi di Boc­caccio che dimostrano il contrario. I dati si ricavano dal sito http://www.lessicografia.it/.

70. Per F. Algarotti, Pensieri diversi, in Id., Opere, Cremona, Manini, 1778­1784, 10 voll., vol. viii 1782, p. 169, questa è la terzina piú bella della Commedia, « la piú gran prova, che [Dante] abbia fatto di poter dire in verso ciò che voleva », lo stesso elogio che il poema rivolge a Virgi­lio, il quale « mostrò ciò che potea la lingua nostra ».

71. Cfr. A.M. Chiavacci Leonardi, Nota integrativa, in Dante Alighieri, Commedia, con il commento di A.M.C.L., vol. ii. Purgatorio, Milano, Mondadori, 1994, p. 37.

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deriva da rezza, ossia ombra, o dal diminutivo di ora, cioè aura, quindi brezza? L’au­tografo vaglia con la solita diligenza le due possibilità, e alla fine opta per adorez-zare nel senso di spirare orezza, aura, sulla base di un argomento già avanzato da Ludovico Castelvetro, cioè che all’ombra la rugiada non potrebbe combattere col sole.72 Invece la stampa preferisce la spiegazione del Vocabolario (rezzo = om-bra):

Dove la rugiada pugna ecc. Dee qui ’l Poeta volere inteso che la rugiada in quel luogo, e per la copiosa sua quantità, e per essere in parte ove adorezza, ove cioè è rezzo, ov’è ombra [Nota: Vedi ’l Vocabolario della Crusca al verbo adorezzare], sempre vi durasse; né il diur­no calore del Sole valevole fosse a totalmente dissiparla: e ciò affine, probabilmente, di accennare immancabile per simil bisogno in qualsivoglia ora la necessaria copia della medesima: siccome in seguito per rendere immancabili i giunchi farà che in luogo dello sterpato un altro subito ne rinasca.

La nota manoscritta illustra la parola singola, ma perde di vista il contesto. Quando Lombardi pensa alla parafrasi dell’intera terzina, si rende conto che la spiegazione della Crusca – c’è piú rugiada dove c’è piú ombra – è la piú econo­mica, ma, dopo esservisi adeguato nella stampa, non può fare a meno di cadere in una considerazione pedestre, per cui c’è molta rugiada perché Dante ne ha bisogno. Con i casi unici, con le anomalie come adorezza, Lombardi è a disagio, poiché non riesce a ricondurle a sistema e pertanto a giustificarle.73 Questo è per lui il maggior limite della Cominiana, che « la spiegazione che dassi a qualche voce usata dal poeta, non sempre dinota il significato universale di quella voce […], ma bene spesso un significato particolare, proprio di quel luogo, e di quel­la occasione ».74

6. La Cominiana assurge presto a vulgata testuale del Settecento. Su di essa è esemplata la Commedia in formato “tascabile” uscita a Bergamo nel 1752, mentre Lombardi vi insegna. Il curatore, l’abate Serassi, ripropone la Commedia edita nel 1555 da Ludovico Dolce, di cui però aggiorna non soltanto il testo, ma anche gli apparati paratestuali ed esegetici, ad esempio rimaneggiando con aggiunte di Boccaccio e di altri autori la biografia di Dante scritta da Leonardo Bruni.75

72. Vd. L. Castelvetro, Opere varie critiche, Berna [Milano], Foppens, 1727 (rist. anast. Mün­chen, Fink, 1969), p. 159: « se la rugiada pugnava col sole, come poteva essere in parte, ove adorez-za ? ».

73. Cfr., ad es., la nota a Par., vii 6: « Doppio lume s’indua: cosí la Nidob., ove l’altre ediz. in vece d’indua leggono addua. Del verbo adduare però non reca il Vocabolario della Cr. altro esempio che quest’unico di Dante; e d’induare ne apporta esempi d’altri Italiani scrittori piú d’uno ». Lombardi è spaesato se la Crusca non soltanto non lemmatizza un certo vocabolo, ma persino se non riporta altri esempi oltre a quello dantesco.

74. Volpi, A’ cortesi lettori, in Dante, Commedia, ed. Volpi cit., vol. i pp. n.n.75. Vd. La ‘Divina Commedia’ di Dante con gli argomenti, allegorie, e dichiarazioni di Lodovico Dol-

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Nella ricca messe degli annali danteschi del Settecento, questa di Serassi è un’edizione tutto sommato marginale, destinata in breve ad esser superata, ma tale da costituire almeno per Lombardi un probabile punto d’appoggio per il progresso e per il superamento, e forse un primo modello con cui confrontarsi nella propria incipiente attività di editore della Commedia. Già sappiamo che Lombardi ripresenta con minimi aggiornamenti bibliografici la vita dantesca di Serassi, ancorché essa non riesca a soddisfare una sua curiosità, espressa in una lettera a Piatti del 10 agosto 1782, relativa alla precisa data di nascita del poeta.76 Dopo la biografia di Dante, Serassi trascrive alcuni estratti della Ragion poetica di Gravina, che spiegano il ruolo dantesco di padre dell’italiano in termini orazia­ni, ovvero con la sua capacità di « inventar parole nuove, usar dell’antiche, ed introdurre delle forestiere, sicome Omero veggiamo aver fatto ». Il brano di Rosa Morando sullo stile di Dante riportato da Lombardi prende avvío dalla stessa riflessione sui « vocaboli [di Dante], ch’or prese dall’altre lingue d’Italia, or formò di nuovo, or derivò dal Latino », prima di citare l’esempio di Omero.77 Inoltre la Commedia di Serassi si conclude con una Tavola dei nomi proprj e cose contenute nell’opera, che ha in comune il nome, se non l’idea, con quella finale di Lombardi, Indice de’ nomi propri e cose notabili contenute nell’Opera, assente nell’au­tografo. Infine Serassi trascrive prima di ogni canto gli argomenti e le allegorie di Dolce, ossia i riassunti e i tentativi d’individuare sovrasensi allegorici. Lom­bardi elimina le allegorie, a detta di Giambattista Pasquali « riputate dai Lettera­ti interamente superflue », e interviene su circa un quarto degli argomenti, sulla cui precisione già il catalogo delle edizioni dantesche della Cominiana aveva avanzato riserve.78 Tali interventi sono ispirati agli imperativi di « brevità e chia­rezza » enunciati da Serassi all’inizio della postfazione e comunque tipici del­l’esegesi dantesca del Settecento: Lombardi da una parte elimina le informazio­ni inutili, sbagliate o in contrasto col suo commento;79 dall’altra facilita la com­prensione del lettore razionalizzando la sintassi e fornendo spiegazioni integra­tive.80

ce. Aggiuntovi la vita del poeta, il rimario, e due indici utilissimi, [a cura di P.A. Serassi], Bergamo, Lancellotti, 1752. Cfr. C. Gigante, La fortuna di un modello editoriale: la ‘Divina Comedia’ curata da Lodovico Dolce, in RSD, a. ii 2002, pp. 155­59.

76. L’autografo delle biografia dantesca di Serassi è archiviato alla segn. 67 R 4 (5) tra le sue carte alla Bibl. Civica « Angelo Mai » di Bergamo.

77. La ‘Divina Commedia’ di Dante, ed. Serassi cit., p. xx; Dante, Commedia, ed. Lombardi cit., vol. i p. xxiv.

78. La ‘Commedia’ di D.A., Venezia, Pasquali, 1751, p. iii; Dante, Commedia, ed. Volpi cit., vol. i p. xli.

79. Si vedano gli argomenti di Purg., iv (scompare il riassunto iniziale), Inf., xvi (Gerione non è in un fiume), Purg., xxii (la nota ai vv. 133­35 spiega perché l’albero non ha le radici verso l’alto, come all’opposto scrive Dolce).

80. Basti confrontare un passo dell’argomento di Purg., ii, nella versione di Dolce­Serassi (« tra le quali fu riconosciuto da Casella suo amico, che trattenendo Dante col suo canto, so­

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Le somiglianze d’impianto non nascondono, anzi esaltano, la sostanziale di­versità fra le Commedie curate da Serassi e Lombardi. Serassi è consapevole di non aver potuto o voluto percorrere sino in fondo la strada di un rinnovamento radicale della filologia dantesca. Nella prefazione si legge che il testo della Com-media avrebbe potuto essere collazionato con uno dei manoscritti conservati a Bergamo; nella postfazione, che le note di Dolce sono insufficienti a spiegar Dante, sicché « in una nuova edizione o le riprodurremo del tutto, o almeno vi daremo maggior lume ».81 Lombardi fa tesoro di questa lezione, visto che inte­gra la Cominiana con una piú estesa collatio codicum e potenzia gli apparati ese­getici, comunque fedeli – almeno sulla carta – ai soliti principî di brevità e chia­rezza.

7. La via maestra di quel radicale rinnovamento degli studi danteschi, avver­tito ma non realizzato da Serassi, è stata additata a Lombardi dalla generazione di dantisti veronesi nati perlopiú nel terzo e nel quarto decennio del secolo: ol­tre ai già citati Dionisi e Rosa Morando, ricorderemo l’arciprete di Soave Bar­tolomeo Perazzini, autore delle Correctiones et adnotationes in Dantis ‘Comoediam’ (1775),82 e il matematico Giuseppe Torelli, responsabile di varie riflessioni e po­stille sul poema. I rapporti fra Perazzini e Torelli sono chiariti dalle Bellezze della ‘Com media’ (1824­’26) di Antonio Cesari, trentaquattro dialoghi su Dante tenu­ti a casa di Torelli alla presenza di altri dantisti di Verona, tra cui Rosa Moran­do. Perazzini, assente, diffonde comunque i contenuti di quei dialoghi e ne trae stimolo per scrivere le Correctiones.83 A Verona infatti la Commedia va dibattuta in gruppo, sia esso predisposto in accademia, oppure affiatato da una consuetudine domestica. Con entrambe queste forme di socialità letteraria, l’arcadia e il salot­to, Scipione Maffei, padre nobile del dantismo veronese, era entrato a contatto a Roma, e poi aveva cercato di riproporle nella sua città. Qui il marchese aveva fondato una colonia arcadica, e aveva aperto il suo palazzo alle concioni lettera­rie, pure dantesche.84 Non a caso le Correctiones invitano gli studiosi veronesi a

praggiunge l’ombra di Catone »), e in quella di Lombardi (« tra le quali un Casella gran musico ed amico di Dante; onde avviene che rallentando i passi il musico per cantare, e Dante coll’al­tra comitiva per udir cantare, sopraggiunge Catone »). Informazioni integrative sono aggiunte per Par., xxii (« l’ottava spera, ch’è delle stelle fisse »).

81. Dante, Commedia, ed. Serassi cit., p. 639.82. [B. Perazzini], Correctiones et adnotationes in Dantis ‘Comoediam’, in In editionem tractatuum

vel sermonum Sancti Zenonis episcopi Veronensis a Petro et Hieronymo fratribus Balleriniis adornatam correctiones et explicationes […], Veronae, Marcum Moroni, 1775, pp. 55­86. Cfr. D. Colombo, Le ‘Correctiones’ dantesche di Bartolomeo Perazzini, in Stella forte. Studi danteschi, a cura di F. Spera, Napoli, D’Auria, 2010, pp. 171­97.

83. Vd. A. Cesari, Bellezze della ‘Commedia’ di Dante Alighieri, a cura di A. Marzo, Roma, Salerno Editrice, 2003, 3 voll., vol. i p. 346. Per una bibliogr. orientativa del dantismo veronese nel ’700, si rimanda alle pp. 43­45.

84. Vd. Colombo, Dante a Roma, cit., pp. 139­43.

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unire le forze per pubblicare una nuova edizione della Commedia, i cui problemi si possono risolvere nell’ottica di una comunità scientifica solidalmente attiva su piú generazioni: è la filologia collegiale alla base del Vocabolario della Crusca, che recupera il lavoro di Vincenzio Borghini e della sua équipe.85

L’edizione di tutte le opere di Dante, a cui almeno Torelli e Perazzini stan ­no attendendo negli anni 1775­’77, non va però in porto. Dionisi stesso rilancia, sulla scia di Perazzini, il progetto di un’Accademia veronese per lo studio di Dante, ma è poi costretto a dichiararne il fallimento,86 quasi a conferma dell’antica regola che, quando troppi sono i responsabili, nessuno lo è veramente, specie in assen­za di una ferrea ripartizione dei còmpiti e di una forte figura di coordinatore. Malgrado ciò, Perazzini ha dato un gran contributo allo studio di Dante nel Settecento: egli ha negato l’intangibilità della vulgata del poema, e ha offerto un saggio del protocollo di lavoro tripartito in filologia, critica e apologia, mirato a restituire un nuovo testo di Dante, corredarlo di un adeguato commento, difen­derlo dai detrattori.

A questo programma Lombardi si attiene sin dal frontespizio inciso della sua Commedia « novamente corretta spiegata e difesa ». Il fine ultimo del metodo tripartito rimane il perfezionamento dell’intelligenza del testo, ossia l’acquisi­zione di nuove conoscenze. Al riguardo Perazzini assicura che il lector studiosus, il lettore esperto, alla fine vedrà interpretazioni che nessun altro ha trovato (« in posterum visurus sit interpretationes, quas nemo alius invenerit »). La locuzione in posterum, « alla fine della lettura » per Perazzini, diventa per Lombardi « in fondo di ciascuna cantica », dove il lettore – ugualmente studiosus, visto che ha « già questa commedia bastantemente letto » – troverà tre tavole, la prima di nuove lezioni, la seconda di nuove spiegazioni, la terza di luoghi danteschi dife­si dalle critiche.87

L’interesse primario delle Correctiones è però la filologia. In questo campo Pe­razzini ha indotto Lombardi a compiere la scelta decisiva per la sua edizione, quella di emendare la vulgata dantesca con la Nidobeatina. Lombardi ne giusti­fica la scelta per gli stessi motivi che hanno spinto Perazzini a privilegiare il co­siddetto Liber Dantis, la princeps della Commedia uscita nel 1472 a Jesi (a Verona per Perazzini, il quale infatti parla di « edizione veronese »).88 Perazzini osserva che « plu ra […] ternaria alicubi desunt » nella sua edizione veronese, nella quale « di­

85. Cfr. S. Parodi, Sugli autori della ‘Divina Commedia’ di Crusca del 1595, in SD, vol. xliv 1967, pp. 211­22; G. Chiecchi, Introduzione, in V. Borghini, Scritti su Dante, a cura di G.C., Roma­Padova, Antenore, 2009, pp. lix­lxiv.

86. Vd. [G.J. Dionisi,] Serie di aneddoti. Numero ii, Verona, Merlo, 1786, pp. 96 e 106; lettera di Dionisi del 15 ott. 1788, in Dante e Verona, cit., p. 325.

87. Perazzini, Correctiones, cit., p. 74; B. Lombardi, Ai cortesi lettori, in Dante, Commedia, cit., vol. i p. xvi.

88. Vd. ora Dante Alighieri, Liber Dantis. L’edizione “principe” jesina della ‘Commedia’, a cura di S. Ragazzini e L. Pescasio, Mantova, Padus, 1974.

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ligentia namque speranda non erat »; Lombardi ripete che la Nidobeatina « dee meno alla diligenza degli stampatori, che fino di due intieri versi lasciaronla mancante ». In cambio però – rimarca Perazzini –, l’edizione veronese anticipa le piú belle emendazioni della Crusca, e ne suggerisce altre d’indubbio valore. Della Nidobeatina Lombardi dice: « oltre al contener essa quasi tutto il bello ed il buono che gli Accademici hanno ripescato nella moltitudine de’ manoscritti, emenda poi da sé sola altri guasti moltissimi ».89

Il rilievo teorico dell’edizione veronese e della Nidobeatina viene ridimen­sionato dalla pratica ecdotica di Lombardi e Perazzini. Quest’ultimo, alla ricerca di una tradizione testuale alternativa alla Crusca, non esita perciò a preferire lezioni indicate da singole edizioni (in particolare l’Aldina e quelle di Daniello e Vellutello), oppure attestate dalla maggioranza dei testimoni. Lo stesso Lom­bardi è fedele alla pratica dei codices plurimi: « bisogna dalla moltitudine de’ testi scegliere ed adunare i pezzi delle antiche opere non altrimenti che bene spesso le varie membra d’infranta antica statua qua e là disperse ».90 Quella di Lombar­di è perciò dichiaratamente un’edizione compilatoria, costruita cioè dall’assem­blaggio di piú fonti che non sono però indicate in modo sistematico.91

Il ricorso a testes diversi rispetto all’edizione veronese e alla Nidobeatina è stato determinato anche da ragioni contingenti. Per quanto abbia studiato Dan­te per trent’anni, Perazzini ha avuto accesso all’edizione veronese solo per caso (quando le Correctiones erano già pronte per la stampa) e per poco (non abba­stanza per poter trascrivere tutte le lezioni significative).92 Lombardi stesso è un dantista di lungo corso indotto dalle circostanze a chinarsi su edizioni diverse dalla Nidobeatina. Dalla lettera a Piatti del 31 agosto 1785 si evince che il neo­parroco di San Salvatore, appena giunto a Roma e bisognoso di denaro, si lascia convincere a cedere per trenta scudi romani la sua copia della Nidobeatina, visto

89. Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. x; Perazzini, Correctiones, cit., p. 55: « in tanta depra­vatione miratus sum, pulchriores Academicorum correctiones in Aldinam editionem 1502, quam unam allegabo, ex ea confirmari ».

90. La metafora di Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. xiii, ricorda per contrasto quella di Saverio Bettinelli nelle Lettere virgiliane: « Dante non deve esser letto piú d’Ennio e di Pacuvio, e […] al piú se ne devono conservare alcuni frammenti piú eletti, come serbansi alcune statue, o bassi rilievi d’un antico edifizio inutile, e diroccato » (Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori con alcune lettere non piú stampate, Venezia, Modesto Fenzo, 1758 [rist. anast. a cura di A. Di Ric­co, Trento, Univ. degli Studi, 1997], p. 24).

91. K. Witte, Prolegomeni critici, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Allighieri, ricorretta sopra quattro dei piú autorevoli testi a penna, Berlin, Decker, 1862, pp. xxvii­xxviii, sottolinea che i mss. collazionati da Lombardi « non furono consultati a norma di un certo sistema critico, ma a caso ed a capriccio, dove qualche passo al Lombardi pareva dubbio e scabroso, ora l’uno ed ora l’altro […]. Il nuovo editore, privo della scorta dei principj di una soda critica, sostituí assai di spesso alla lezione dagli Accademici [della Crusca] cavata dai testi piú antichi, un’altra piú moderna, che dai codici piú recenti era passata nella Nidobeatina ».

92. Colombo, Le ‘Correctiones’, cit., pp. 195­96.

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che può consultare quell’edizione nelle biblioteche pubbliche della città. L’ac­quirente è il segretario del cardinal Corsini, l’abate Nicola Rossi, alla cui morte la sua collezione di libri e manoscritti viene comperata dallo stesso cardinale e confluisce nella Corsiniana. Questa è la biblioteca preferita da Lombardi, che vi ritrova la sua copia della Nidobeatina insieme ad altri tesori messi a disposizione dal bibliotecario Niccola Foggini.93 Dalla Corsiniana viene circa la metà della trentina di manoscritti della Commedia che Lombardi dice di aver compulsato.94 La dedica di Angelucci e la prefazione di Lombardi insistono su questo aspetto, cioè che la vulgata dantesca è stata corretta sia dalla Nidobeatina, sia dai testi a penna rinvenuti nelle biblioteche romane.95 Tale insistenza è un attacco (nem­meno troppo velato) all’ottava lettera virgiliana del gesuita Saverio Bettinelli, in cui le biblioteche romane non sono piú luoghi di cultura, bensí sfarzosi deposi­ti di troppi libri ammassati senza distinguerne il valore, anzi moltiplicati a di­smisura dalle edizioni di grandi classici.96

La collatio a cui sono sottoposti tali materiali danteschi (manoscritti, incuna­boli, cinquecentine) non è metodica, visto che risulta finalizzata all’emendazio­ne sporadica di passi in apparenza corrotti, delle « molte prave lezioni dagli ama­nuensi introdotte ne’ manoscritti », osserva Lombardi sulla falsariga di Peraz­zini.97 Il fine ultimo della collatio consiste nel dimostrare il « buon senso » del poema dantesco, la sua intima coerenza interna, e nell’elevarne l’indice di leg­gibi lità compromesso dalla communis opinio del primo Settecento che ritiene la Commedia difficile e oscura. Prendiamo « Tra Garda, e val Camonica, e Apenni­no » (Inf., xx 65): cosí la Crusca legge uno dei passi piú controversi del poema. La proposta di sopprimere la seconda congiunzione e, e di fare (A)pennino soggetto,98 consente una lettura piú logica della complessa perifrasi geografica. Invece la

93. Nella nota a Purg., xxi 89, Lombardi ringrazia Foggini per avergli mostrato un’annota­zione autografa di Poliziano: cfr. I. Maïer, Les manuscrits d’Ange Politien, Genève, Droz, 1965, pp. 361­62, e H. Dixon, Angelo Poliziano’s Unpublished Notes on Tibullus in Roma, Corsiniana, 50 F 37, in « Medioevo e Rinascimento », a. xx (n.s. xvii) 2006, pp. 245­84.

94. Si tratta, se non erro, di 27 mss. in tutto, provenienti dalle biblioteche pubbliche Vatica­na, Chigiana, Casanatense, e da quelle private dei cardinali Zelada e Garampi (cfr. n. 41); 14 dalla Corsiniana, compreso un ms. « non numerato » citato da Lombardi ma ignorato da Fiam­mazzo, Per la fortuna, cit., p. 316, che corregge Witte, Prolegomeni, cit., p. xxvii e note.

95. L’autografo conferma che Lombardi, via via che procede nel suo lavoro, riduce sempre piú il numero di lezioni della Nidobeatina giudicate preferibili a quelle della Cominiana. Varianti della Nidobeatina sono cancellate in gran numero nel ms. (ad es. « certo non la Fran­cesca » di Inf., xxix 123) o, in misura minore, non riportate nella stampa (« l’aere » di Inf., xxix 60).

96. Bettinelli, Versi sciolti, cit., p. 59.97. Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. ix; Perazzini, Correctiones, cit., p. 67: nei mss. migliori

« emendandi tantum erunt plurimi amanuensium errores ».98. Tale proposta incontra ancor oggi il favore di alcuni studiosi (vd. da ultimo D.A., Com-

media. Inferno, revisione del testo e commento di G. Inglese, Roma, Carocci, 2007, pp. 230­31).

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lezione della Crusca conduce alla spiegazione tautologica di Daniello (« Benaco per mille e piú fonti si bagna, si riempie d’acque tra Garda, e Valcamonica »),99 che Lombardi liquida con lo stesso sarcasmo di Perazzini:100 101

Haec copula, quam ignorant E[ditio] V[e ronensis], Aldus et Vellutellus, expun­genda est, quia mons Pennino, vel Apennino (qui dquid legas) ipse est, qui fontibus in Be­naci lacu stagnantibus abluitur. Daniellus tamen et Academici mirifice hac sintaxi delectantur: un laco… che ha nome Benaco… si bagna… dell’acqua, che nel detto lago stagna. Prosit.100

è fuor di dubbio, che, o si legga Pennino o Apennino, dee uno di questi, e non già il lago medesimo, essere la cosa bagnata da que’ mille fonti e piú: altrimenti verrebbe Dante a dire, per mille fonti e piú si bagna il lago, che ha nome Benaco, dell’acqua che nel det-to lago stagna: come se vi fosse pericolo d’in­tendersi bagnato quel lago di un’altr’acqua, diversa da quella che sta nel lago. La con­giuntiva adunque, come quella che ne pro­durrebbe una cotal ridicolosaggine, dee on­ ninamente rimoversi.101

La selectio fra varianti o congetture è sovente orientata dal contesto (Par., xi 19: « quod profecto contextui magis conveniret »), dall’asse sintagmatico, dalla strut­tura linguistico­letteraria della Commedia. Il rerum verborumque contextus spinge a leggere « eran desti » (lezione di Inf., xxxiii 43, oggi invalsa anziché eram nell’epi­sodio del conte Ugolino), in base al fatto che « ut de pueris tantummodo dice­retur, pater enim multo ante evigilaverat ». Anche Lombardi legge eran, con la stessa motivazione: « avendo già detto Ugolino ‘Quando fui desto innanzi la di­mane’, v. 37, né restandogli di avvisare che il destamento de’ figliuoli ».102

Il senso unitario della Commedia dipende dall’intenzione coerente del suo autore.103 Di conseguenza, per interpretare un passo oscuro del poema è bene

Cfr. E. Caccia, L’accenno di Dante al Garda e i vv. 67-69 nel canto xx dell’ ‘Inferno’, in Dante e la cul-tura veneta, a cura di V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki, 1967, pp. 307­25.

99. Dante con l’espositione di Bernardino Daniello, Venezia, Pietro Da Fino, 1568, p. 132.100. Perazzini, Correctiones, cit., p. 61.101. Dante, Commedia, ed. Lombardi cit., vol. i p. 277.102. La variante genuina è quella che fa apparire piú logica la Commedia, piú fluente la sua

sintassi: la lezione « sul presso del mattino » (Purg., ii 13) è accolta da Perazzini perché ita fert constructio, da Lombardi per la medesima ragione, « è ciò appunto che la retta sintassi richiede ». Un esempio dello stesso tenore è la lezione « dilaceraro » di Inf., xiii 127. A detta di Perazzini, « Longe vividius est dilaceraro, ut in quibusdam edd. idemque (propter illud poi, quod sequitur) probabilius et tutius ». Stando a Lombardi, « la Nidobeatina però con miglior sintassi nel v. 2 della terzina legge E quel dilaceraro, cioè il cespuglio, e istessamente leggono altre antiche edi­zioni, ove quella degli accademici della Crusca e tutte le seguaci leggono E quel dilacerato ».

103. La Nidobeatina conferma congetture compiute da Perazzini per divinatio sulla base della coerenza interna del testo. Per Purg., iv 138, Perazzini e Lombardi leggono « ed alla riva » (anziché « e dalla riva ») con la stessa giustificazione: « Ad ripam scilicet oceani, vel orizontis occidentalis Europae », « ed alla riva (e dalla altr’edizioni diverse dalla Nidob.), al termine, inten­

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ricorrere a un luogo dello stesso Dante piuttosto che a uno di un altro poeta. I loci paralleli, rilevati quasi sempre all’interno della Commedia, fungono da auto­commento nella misura in cui si chiariscono l’un l’altro, ma possono servire anche in campo filologico. Cosí ad esempio Perazzini e Lombardi preferiscono cara a chiara gioia di Par., ix 37, perché un altro passo dantesco recita « molte gioie care e belle ». La tecnica dei passi paralleli accompagna la Commedia sin dalla sua primissima esegesi. Tuttavia all’altezza della Lombardina “spiegar Dante con Dante” è notevole almeno per due ragioni. In primo luogo Lombardi supera il limite principale del metodo d’analisi di Volpi, il quale, come sappiamo, rileva che ciascuna “voce” contenuta negli indici della Cominiana offre esclusivamen­te il « significato particolare » di quel verso. In secondo luogo servirsi di un me­todo che presuppone la coerenza interna della Commedia significa indebolire gli argomenti di chi la rifiuta: la metafora bettinelliana del « labirinto inestricabile ed infinito » ben rappresenta questo stereotipo della vulgata antidantesca.104

Si sarà notato che in nessuno dei casi citati compare un rinvio esplicito alle Correctiones.105 Malgrado Perazzini sia un point de repère insostituibile per Lom­bardi, questi lo nomina esplicitamente soltanto per contraddirlo (eccezion fatta, se vedo bene, per Inf., xiii 117). Perazzini rifiuta la lezione della Crusca « è porta della fede, che tu credi », a favore di « è parte della fede » (Inf., iv 36): « baptismus enim dicitur quidem ianua sacramentorum, sed non ianua fidei, cum haec illius ianua sit: nisi enim praecedat fides, baptismus inanis. Propterea Catechumeni fidem primum petunt, deinde baptismum ».106 Lombardi riprende questa cate­

de, di quell’emisfero ». Di tal genere è la nota di Lombardi a Inf., xii 89: « Che mi commise legge la Nidobeatina meglio che ne commise l’altre edizioni: essendo la commissione stata data a Vir­gilio solo ». Perazzini aveva scritto: « Unus quidem Virgilius dux esse itineris iussus fuerat ».

104. Bettinelli, Versi sciolti, cit., p. 24. A Bettinelli, Melchiorre Cesarotti scriveva degli « am­miratori di quel garbuglio grottesco che può dirsi con verità una non divina Comedia » (cit. da A. Colombo, Nota su Cesarotti e Dante. Con quattro lettere a Saverio Bettinelli, in LI, a. xxxviii 1986, pp. 362­78, a p. 365).

105. G. Campi, Discorso preliminare, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri, ridotta a miglior lezione con l’aiuto di ottimi manoscritti italiani e forestieri e soccorsa di note edite ed inedite antiche e moderne, per cura del Cav. G.C., Torino, Unione Tipografico­Editrice, 1888­1893, 4 voll., vol. i 1888, p. xxii, asseverò d’aver compulsato documenti in base ai quali Lombardi, assiduo colla­boratore di Perazzini anche grazie a una lunga corrispondenza epistolare, si sarebbe slealmen­te appropriato dei risultati dei suoi studi danteschi. Questa ipotesi, cui diede un certo credito Michele Barbi (vd. la sua rec. a C. Gioia, L’edizione Nidobeatina della ‘Divina Commedia’, Prato, Tip. Giachetti, 1893, in BSDI, n.s., a. i 1893­1894, pp. 17­19), fu confutata da M. Zamboni, La critica dantesca a Verona nella seconda metà del secolo XVIII, Città di Castello, Lapi, 1901, pp. 21­22.

106. Perazzini, Correctiones, cit., p. 57. Cfr. L. Peirone, Abusi di ufficio nella ricostruzione del testo in ‘Inferno’ iv 36, in « Letteratura italiana antica », a. ix 2008, pp. 167­69 (ma vd. ora anche le osservazioni di E. Malato, Nuove note sul testo della ‘Divina Commedia’, in questo fascicolo della RSD). L’insoddisfazione per il textus receptus della Crusca sollecita a Perazzini svariate conget­ture rimaneggiate da Lombardi. Si dice « delle lebbre », come vuole la Crusca, o « della lebbre » (Inf., xxvii 95)? Meglio « della lebbre », visto che, in relazione al passo addotto dalla Crusca,

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na argomentativa (« è però ben diverso appellare il battesimo porta de’ sacramenti, ed appellarlo porta della fede […]. No ’l battesimo porta della fede appellare si dee, ma piuttosto la fede porta del battesimo »), e súbito dopo nomina Perazzini, ma al solo scopo di prender le distanze dalla sua esegesi di un altro luogo del Paradiso relativo alla fede.

8. Al veronese Giuseppe Torelli la Lombardina non concede neppure l’onore di una menzione dissenziente. È probabile che, dell’edizione dantesca cui Pe­razzini e Torelli stavano attendendo ai tempi delle Correctiones, il primo avrebbe curato piú la parte ecdotica, il secondo piú quella esegetica. Le Postille alla ‘Com-media’ di Torelli perseguono infatti l’obiettivo di parafrasare Dante, ossia di chia­rire il significato delle parole e la loro collocazione nella frase, anche con oppor­tune modifiche della punteggiatura.107 Ciò richiede di compiere sondaggi di ar­cheologia semantica attraverso il metodo dei passi paralleli: per spiegare un luogo oscuro, Torelli ricorre a un altro brano di Dante, di un poeta classico o vol­gare, di uno scrittore del Medioevo. Cosí ad esempio una citazione di Alberto Magno consente a Torelli di spiegare per la prima volta il « cader della pietra » di Purg., xv, col significato ormai invalso di « perpendicolare ». Questa spiegazio­ne si legge in un’operetta di Torelli uscita nel 1760;108 le Postille invece furono pubblicate prima dagli editori della Commedia detta « della Minerva » (1822), poi da Alessandro Torri, nel secondo tomo delle Opere dello stesso Torelli (1834).109 Torri e gli editori della Minerva esposero una convinzione mai dibattuta dal­la comunità scientifica di allora e di fatto accettata da quella di oggi, ossia che Lombardi nel 1791­’92 avrebbe in larga misura plagiato ad litteram le postille dantesche di Torelli. « Una parte non piccola dello strepitoso successo che l’ope­ra del Lombardi riscosse appena uscita » – asserisce senza sfumature Francesca De Lorenzi – « va dunque attribuita al Torelli, che nelle Postille aveva fornito alcune tra le piú attuali e precise interpretazioni di luoghi della Commedia ».110

« non heic de unius hominis lepra agi » (Perazzini, Correctiones, cit., p. 62), « non parla ivi fra Simone della lebbra d’un uomo solo » (dice Lombardi nella nota ad l.).

107. Lombardi adotta, senza dirlo esplicitamente, la punteggiatura suggerita dalle Correctio-nes di Perazzini, che a sua volta la attribuisce a Torelli: vd. Purg., iv 119­20; Par., xxii 10, xxiv 28, xxvi 1­3.

108. G. Torelli, Lettera intorno a due passi del ‘Purgatorio’ di Dante Aligeri, Verona, Carattoni, 1760.

109. Gli editori della Minerva (il cit. G. Campi oltre a F. Federici e G. Maffei) arricchirono La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri col comento del p. Baldassarre Lombardi, Padova, Minerva, 1822, 5 voll., con integrazioni filologiche ed esegetiche, tra cui le Postille di Torelli, senza aver­le tra le mani, ma ricevendole dal bresciano Giovanni Labus (vol. i p. xx); Alessandro Torri raccolse di terza mano le Postille alla ‘Divina Commedia’ di Torelli in G. Torelli, Opere varie in verso e in prosa, per la prima volta riunite, aggiuntevi alcune finora inedite, per cura e con note di A. Torri, Pisa, Capurro, 1833­1834, 2 voll., vol. ii pp. 77­180.

110. F. De Lorenzi, Note su Giuseppe Torelli interprete e apologeta di Dante, in « Atti dell’Istitu­

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Asserzioni di tal genere suscitano piú di una perplessità. In primo luogo è discutibile considerare Torelli cosí determinante per il successo della Lombar­dina. Diverse attestazioni della sua validità non sono disgiunte dal riconosci­mento del suo carattere di epitome dei commenti altrui, di raccolta ragionata delle opinioni piú qualificate sui singoli versi della Commedia.111 Infatti il com­mento del Lombardi è, come spesso accade nella tradizione esegetica dantesca, un metacommento che riusa i contributi di qualunque critico gli possa tornar utile per pubblicare, spiegare e difendere la Commedia. Per Lombardi, in altre parole, Torelli è uno dei tanti, di certo meno rilevante, tra i Veronesi, di Peraz­zini. In taluni casi proprio il ricorso alle Correctiones, insieme ai commenti stori­ci o al Vocabolario della Crusca, potrebbe giustificare l’affinità fra l’edizione lom­bardina e le postille di Torelli, senza presupporre che Lombardi le abbia diret­tamente plagiate.112

Persuade ancor meno che Lombardi abbia copiato alla lettera intere postille di Torelli, perché ciò non corrisponde al suo modus operandi. Una chiosa conti­nua ad essere attribuita al suo autore originario pur se Lombardi vi ha inserito una precisazione, di solito in forma di parentetica o di apposizione, per rendere scorrevole e consequenziale la lettura: « Bernardin di Fosco » – si legge nella chiosa a Purg., xiv 101 – fu « faentino, uomo valoroso, benché di picciola nazione (d’igno­bile lignaggio). Volpi ». Al contrario lievi modifiche formali alla nota di un altro interprete sono sufficienti a Lombardi per considerarla sua. Il manoscritto se­gnala che la chiosa a Purg., vii 97 (« L’altro ecc.: Ottachero [come appresso dichia­rerà] genero di Ridolfo e molto valoroso; perché dice il poeta, che conforta Ri­dolfo nella vista ») è di Daniello. Nella stampa questa attribuzione scompare a séguito della modifica della causale (« perché dice il poeta, che in esso compia­cesi Ridolfo di mirare »). Nei commenti tre­quattrocenteschi l’elaborazione for­male di una chiosa conta meno rispetto alla qualità e quantità delle informazio­ni fornite. Ora invece la forma con cui una chiosa esprime lo stesso contenuto

to Veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti », to. cxlvi 1987­1988, pp. 35­52, a p. 50. L’ed. Campi del 1888­1893 (vd. sopra, n. 105) ripete, a fronte di Purg., xxvii 13­15, che « il Lombardi ebbe in sua balía il ms. del Torelli, e se ne appropriò le chiose, a vece di rendergli il debito onore ». Questa frase ritorna nel commento steso nel 2003­2006 da Ni­cola Fosca, leggibile nel Dartmouth Dante Project, cit., ultimo anello di una lunghissima catena. A ben vedere la discussione è ferma a G. Zacchetti, Il commento del Lombardi alla ‘Divina Com-media’ e le polemiche dantesche di lui col Dionisi, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1899, pp. 47­48.

111. « His explanations are clear and sometimes new » – nota ad es. Foscolo, Studi su Dante, cit., vol. i p. 28 – « though he does not often venture to quit the beaten track ».

112. Lombardi avrebbe potuto leggere « consorto divieto » di Purg., xiv 87, nelle Correctiones di Perazzini anziché nelle Postille di Torelli. E ancora: la parafrasi di « mal protesi » di Inf., xv 114, come « in mala parte distesi » è comune a Torelli e Lombardi perché deriva da Daniello. Infine dal Vocabolario della Crusca viene l’esempio decameroniano per spiegare l’accezione di « parte » di Inf., xxix 16.

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diventa decisiva, poiché ne determina l’attribuzione a questo o a quel commen­tatore. La prefazione fa discendere tale discriminante di autorialità dal solito imperativo settecentesco di scrivere note brevi e chiare:

Quanto poi al capo della spiegazione, ecco ciò ch’io ho fatto. Ovunque mi è sembrato retto, ed abbastanza breve e chiaro quello che altri espositori hanno detto, io non mi sono preso altra briga che di trascrivere le medesime di loro parole, e di contrassegnare ciascun paragrafo col nome del proprio autore. Ed ove m’è sembrato di poter io dare un’interpetrazione [sic] piú adatta, o di poter dire ciò ch’altri han detto con maggior brevità, e chiarezza, vi ho inserita la mia chiosa.113

Serassi voleva o riprodurre le note già esistenti o almeno « darvi maggior lume ». Cosí fa Lombardi: non scrive quasi mai note del tutto nuove, bensí assai piú spesso riporta quelle di altri esegeti (o della Crusca), oppure se ne dichiara in­soddisfatto e quindi le rinnova, talvolta dissimulando la fonte. Ad esempio, l’il­lustrazione del « cader della pietra » come perpendicolare viene dall’operetta di Torelli, che non è citata; tuttavia Lombardi s’è premurato di riscrivere integral­mente la nota, dicendo che già Landino riportava il passo di Alberto Magno de­cisivo per intendere l’espressione, in modo da depistare i lettori esperti.114

Eppure non v’è alcun dubbio che diverse note di Lombardi siano identiche fin nelle virgole alle corrispondenti Postille di Torelli edite da Torri. La situazio­ne editoriale di tali Postille merita nondimeno un supplemento d’indagine. Tor­ri assevera d’aver trascritto le postille del 1775 già pubblicate nell’edizione della Minerva, e di averne aggiunte altre, inedite, risalenti al 1776.115 Per prima cosa la cronologia interna non convince. La postilla inedita al passo del cader della pietra richiama l’operetta di Torelli « pubblicata, or ha sei anni », quindi nel 1770: ma noi già sappiamo che quell’operetta risale al 1760. Inoltre la trascrizione delle postille già pubblicate è parziale e non sempre fedele.116 L’edizione della Miner­

113. Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. xiii. Cfr. D. Colombo, La genesi del commento dantesco di Baldassarre Lombardi, in Gli scrittori d’Italia. Il patrimonio e la memoria della tradizione letteraria co -me risorsa primaria. Atti dell’xi Congresso dell’ADI, Napoli, 26­29 settembre 2007, leggibile in forma digitale all’indirizzo www.italianisti.it.

114. Senza successo però: vd. I. Pindemonte, Elogi di letterati italiani, Milano, Silvestri, 1829, 2 voll., vol. ii p. 105: « la similitudine del raggio […] è la stessa spiegazione che il padre Lom­bardi ne diede molti anni appresso senza citare il Torelli, di cui certamente non avrà veduto l’opuscolo »; Dante, Commedia, ed. Minerva cit., vol. ii p. 319: « Confrontando questo estratto, e piú poi la Lettera originale citata, col comento a questi versi del Lombardi, ognuno potrà di leggieri avvedersi ch’egli non si è fatto qui scrupolo di appropriarsi una cosa non sua ».

115. Cfr. A. Torri, Note dell’editore, in Torelli, Opere varie, cit., vol. ii (parte seconda) pp. 92­94.

116. Alcune chiose di Torelli riportate nell’ed. Minerva (ad es. Par., vi 109­11, vii 7­9, viii 97­99, xi 43­45, ecc.) non sono state trascritte da Torri; altre sono presentate come non pubblicate (ad es. Purg., i 115, ii 4­6, iii 34­36, xiii 153­54, ecc.), mentre in realtà già figuravano nella Com-media del 1822.

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va riporta una nota di Lombardi (Purg., xiii 37­40), quindi commenta che « questa chiosa par quasi ad literam [sic] copiata dal Torelli »; a questo punto nella sua edi­zione Torri ignora il « par quasi » e riscrive direttamente la nota di Lombardi at­tribuendola parola per parola a Torelli. Ecco perché alcune chiose di Torelli so ­no identiche a quelle di Lombardi: perché l’« empirismo ecdotico »117 dell’edito­re Torri ha frainteso le indicazioni della sua fonte.

Il punto cruciale è un altro: in quali circostanze il “romano” Lombardi eb­be modo di trascrivere le inedite postille del veronese Torelli? Secondo Torri fu l’abate Lodovico Salvi, in occasione di un suo viaggio a Roma, a mostrare a Lombardi le postille di Torelli. Si tratterebbe dunque dell’unico caso di « furto o plagio incontrastabile e solennissimo » individuato negli stessi anni da Carlo Denina, quello di un rabberciatore che s’illude di farla franca soltanto perché copia da un manoscritto inedito.118 Altre fonti comprovano che Salvi si recò a Roma e che mise mano ai materiali danteschi dell’amico Torelli.119 Il problema è che la spiegazione di Torri non ha alcun riscontro all’infuori di quello della chiosa inedita a Purg., xxi 25­26:

Fra le memorie prese a Roma dal cultissimo mio amico ab. Lod. Salvi trovasi a questo passo una variante, cui non diedi gran peso nello stendere le mie chiose alla Divina Com-media; ma che, ove fosse confortata da altri codici, parmi darebbe un ottimo concetto: Ma per colei, che dí e notte fila / Non gli era tratta ancora la conocchia […].

Nell’edizione della Minerva, tuttavia, i codici che riportavano quella variante erano già stati chiaramente indicati: « I codici Vaticano 3199 e Chigiano leggono: Ma per colei; e cosí anche l’Antaldino, il quale al verso che segue ha poi: Non gli era tratta ». Non è sospetto che una presunta postilla inedita offra informazioni presenti nella stessa fonte da cui provengono le altre postille non inedite? È pos­sibile accertare che nelle postille dello pseudo­Torelli si trova esattamente quel che ci si aspetta di trovare dopo aver letto l’edizione della Minerva. Un nuovo esempio è offerto dalla pagina successiva. A commento del tormentato « Perché non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali » (Purg., xxii 40­41), gli editori della Minerva osservano: « se il nostro Torelli avesse letto A che invece di

117. M. Corrado, s.v. Ottimo Commento, in Censimento dei commenti danteschi, cit., vol. i pp. 371­406, a p. 373.

118. C. Denina, Bibliopea o sia l’arte di compor libri, Torino, Reycends, 1776, p. 264.119. Su Salvi a Roma, Pindemonte, Elogi, cit., vol. ii pp. 166­67. Sui rapporti di Torelli e

Salvi, cfr. [G.J. Dionisi,] Serie di aneddoti. Numero iv, Verona, Merlo, 1788, p. 183 n. 1 (« Le varian­ti, che ne trasse il nostro Signor Giuseppe Torelli, per grazioso dono del sig. ab. Lodovico Salvi, cui dal Torelli furon lasciate, sono adesso nella publica Biblioteca del nostro Capitolo »); Dante, Commedia, ed. Minerva cit., vol. iii pp. 841 (« Quest’ultime parole segnate in corsivo, sono scritte nel nostro ms. in carattere diverso; e le crediamo aggiunte dal chiarissimo ab. Salvi ») e 572 (si riporta una nota autografa di Salvi con la sottoscrizione « Carta del sig. Giusep­pe Torelli, copiata da me Don Lodovico Salvi »).

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Perché, non avrebbe avuto motivo di notare che Dante ha qui malamente inteso il testo di Virgilio ». Torri allora escogita una fantomatica postilla inedita, in cui Torelli, dopo aver letto Perché non reggi nel senso di A che non costringi, non « am­mette diversa interpretazione, onde non far supporre che Dante abbia male in­teso il testo del suo autore », Virgilio appunto.120 Le presunte postille inedite sembrano in realtà costruite sulla base delle informazioni contenute nell’edi­zione della Minerva; e visto che la Minerva assume come testo­base la Lombar­dina, bisogna aspettarsi allora che qualche postilla raffazzonata da Torri riela­bori note di Lombardi. Si prenda la presunta chiosa inedita di Torelli a Inf., viii 10­11: « Già puoi scorgere quello, che s’aspetta. Cosí leggo, secondo la Nidobeatina che raddrizza il verso ». È però difficile accettare che, in quest’unica occasione e mai altrove, Torelli abbia fatto ricorso alla Nidobeatina, il testo­base di Lombar­di, perdipiú mai citato nelle Correctiones di Perazzini. È piú facile ammettere che Torri abbia fraudolentemente accreditato a Torelli un’emendazione di Lom­bardi (« Già puoi scorgere, legge la Nidob. »). In definitiva, se si riscontra il com­mento lombardino con l’unica edizione oggi disponibile delle Postille di Torelli, davvero si corre il rischio di trattare le ombre come cosa salda. Confronti meno aleatori saranno possibili soltanto dopo aver proceduto ad uno spoglio integrale dei materiali danteschi di Torelli impropriamente editi nell’Ottocento e in par­te conservati in originale presso la Biblioteca Capitolare di Verona.121

9. Tra i postillati di Torelli alla Capitolare figura una copia della prima edizio­ne settecentesca della Commedia uscita a Verona, nel 1749, dai torchi della famiglia Berno.122 I curatori dell’iniziativa, i gesuiti Francesco Antonio Zaccaria e Valerio Baggi, revisionano il commento del confratello Pompeo Venturi, già pubblicato nel ’32 e nel ’39.123 Venturi, docente di retorica prima in alcune città della Toscana, poi al Seminario romano dei Gesuiti, ha scritto il commento per i suoi allievi, mettendo in rilievo i passi danteschi irriverenti verso i Pontefici o non in linea

120. Insomma le sedicenti chiose inedite o avanzano un’interpretazione già suggerita dalla Minerva (Inf., xxxiv 53­54); o rispondono a una critica che quell’edizione ha rivolto a Torelli (Par., x 37­40); o colmano un vuoto del ms. di Torelli (Perazzini nelle Correctiones comunica che una certa chiosa risale a Torelli; la Minerva rileva ch’essa manca nel suo ms.; Torri congegna una chiosa ad hoc: Par., xxvi 1­3).

121. Cfr. I manoscritti della Biblioteca Capitolare di Verona. Catalogo descrittivo redatto da don A. Spagnolo, a cura di S. Marchi, Verona, Mazziana, 1996, p. 627 (codici DCCCCX­DCCCC­XIII: G. Torelli, Postille, osservazioni, note ad opere a stampa).

122. Vd. La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri, Verona, Giuseppe Berno, 1749, 3 voll.123. Vd. G. Melandri, Intorno allo studio dei Padri della Compagnia di Gesú nelle opere di Dante

Alighieri, Modena, Gaddi, 1871, pp. 12­20, 116­19, 142­43; A. Torre, Il commento del padre Pompeo Venturi alla ‘Divina Commedia’, in « Giornale dantesco », n. v, quad. iii 1898, pp. 97­106; Tissoni, Il commento ai classici, cit., pp. 61­69. In mancanza di una seria analisi comparativa dei commen­ti delle tre edizioni, noi ne attribuiamo sempre la paternità a Venturi, come del resto faceva Lombardi.

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con la dottrina della chiesa, in modo da « porvi accanto il suo rimedio ».124 Tale esegesi esplicativa al servizio di Dio, refrattaria agli scarti dottrinari e linguisti­ci, prosegue l’impostazione della Commedia tradotta da D’Aquino, il quale ad esempio cerca di « dar qualche rimedio alla seconda mancanza ».125 Anche l’ap­parato di Venturi prova a “porre rimedio” al fatto che Dante non sarebbe né buon poeta (usa parole non autorizzate dalla Crusca e non capite dai lettori), né buon cristiano (per Inf., xix 109, distorce la Bibbia contro la Chiesa, come gli eretici).

Su tali presupposti, la dedica dell’edizione Berno a Scipione Maffei non basta ad evitare feroci polemiche nel circolo dantesco veronese. L’oppositore piú im­placabile è, per ironia della sorte, un discepolo di padre Baggi e del marchese Maffei, il già ricordato Filippo Rosa Morando, autore delle Osservazioni su quel commento. Questo libello ha in comune con le Correctiones non soltanto la com­binazione tra analisi del vocabolo singolo e sintesi delle grandi questioni, ma altresí l’inveramento del protocollo tripartito di Perazzini, al fine di mostrare l’imperizia di Venturi, gonfio di maldigerita erudizione. Egli infatti travisa i commentatori, ne imita le note senza dichiararlo, finge di dissentire persino quand’è d’accordo. Rosa Morando giunge a negare all’edizione Berno lo statuto di commento, vale a dire di apparato teso a rendere piú comprensibile la Com-media, giacché l’abuso delle autorità poetiche ed esegetiche finisce col renderla ancor piú oscura.126

La prima volta che parla a Piatti del suo commento, alla fine di una delle due lettere scritte da Roma il 21 luglio 1773, Lombardi lo presenta come revisione di quello di Venturi, anche grazie all’errata­corrige di Rosa Morando, in vista ap­punto della chiarificazione della Commedia:

Travaglio con qualche calore intorno a Dante, ripassando tutte le chiose del Venturi per vendicarlo, ove si può (ma tra me e ’l Rosa Morando poco vi dee restare) dei morsi che tratto tratto gli avventa: e questo però faccio non tanto per altro motivo quanto che per cotal modo viene il Poema ad acquistarsi maggiore chiarezza.127

L’obiettivo di rivedere il commento di Venturi, enunciato all’inizio del lavoro dantesco, viene confermato alla fine, quando nella prefazione autografa Lom­bardi annota:

124. Dante, Commedia, ed. Berno cit., vol. i p. ix.125. Dante, Commedia, ed. D’Aquino cit., vol. ii p. 331. Da questa traduzione la parafrasi di

Lombardi pesca alle volte alcuni corrispondenti latini di parole dantesche (cfr. Inf., xii 46, xvi 94; Purg., xvii 89).

126. F. Rosa Morando, Osservazioni sopra il comento della ‘Divina Commedia’ di Dante Alighie-ri stampato in Verona l’anno 1749, Verona, Ramanzini, 1751; cfr. anche Id., Lettera al padre Giuseppe Bianchini intorno a quanto fu scritto nella ‘Storia letteraria d’Italia’ contro le ‘Osservazioni’ sopra il comen-to del P. Venturi, Verona, Andreoni, 1754.

127. Carteggio Piatti, Bergamo, Bibl. Civica « Angelo Mai », segn. 40 R 14.

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Rimane il terzo capo della difesa. Consiste questo nell’aver procurato di scolpar Dante da quelle molte accuse, che gli si danno dal Castelvetro nelle Opere varie critiche [in nota: date alla luce dal Muratori nel 1727], e dal Venturi tratto tratto per entro il suo comento a questa Commedia.128

Questo programma iniziale è piú una dichiarazione d’intenti che un’anticipa­zione vincolante. Intanto Ludovico Castelvetro è una voce di dissenso mino­ritaria nel lavoro di Lombardi, il quale in metà dei casi lo nomina di seconda mano, all’interno di una citazione di Venturi, allo scopo di « ostentare una im­parzialità ideologica di fronte ai lettori confessionalmente piú intransigenti ».129 Inoltre una rapida scorsa alla Lombardina prova ch’essa si serve di Venturi per spiegare Dante non meno di quanto difenda Dante da Venturi. Motivi politici e letterari inducono Lombardi a presentare il gesuita senese come obiettivo pri­vilegiato della sua polemica. In primo luogo gli sponsor romani della Lombar­dina sono antigesuiti: Amaduzzi redige il breve di soppressione dell’ordine, An­gelucci dedica l’edizione al cardinale che ha contribuito alla chiusura del Se­minario dove Venturi è stato per anni docente.130 In secondo luogo l’influenza su Lombardi del circolo dantesco veronese è tale che, in prima battuta, Venturi non può che essere il commentatore rivisto e corretto da Rosa Morando. La sua glossa neutralizza quella di Venturi tramite la formula rituale autoesplicativa « chiosa il Venturi […] risponde il Rosa Morando ». Qualora la chiosa di Rosa Morando non sia riportata, Lombardi invita il lettore a consultarla di sua inizia­tiva: in due casi il rimando è all’inizio del primo tomo del commento, dove sono state trascritte due risposte di Rosa Morando ad altrettante obiezioni di Venturi, relative al titolo della Commedia (« qui la chiama canzone, altrove commedia, altrove poema; e che nome non dà a questa sua opera? ») e alle escursioni della sua lingua (perché Dante usa l’arcaismo accline di Par., i 109?).131

I due principali quesiti sollevati dall’edizione Berno, tanto rilevanti da richie­dere in limine una trattazione a sé, accompagnavano la Commedia sin dal Trecen­to, quando Giovanni Boccaccio s’interrogava sulle perplessità relative al titolo

128. Uguale è la versione a stampa: cfr. Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. xiv.129. Tissoni, Il commento ai classici, cit., p. 92. Da Castelvetro, Lombardi non esita a ripren­

dere l’argomentazione della n. 72.130. Cfr. F.A. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia, Venezia, Poletti, 1750­1759, 14 voll., vol. vi

1754, p. 714.131. Gli estratti di Rosa Morando, provenienti dalla versione delle sue Osservazioni uscita

ne La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri, Venezia, Zatta, to. iii 1757, pp. 3­55, si trovano nel pri­mo tomo della Lombardina, pp. xxiv­xxvii, dopo la prefazione e la biografia di Serassi. Rosa Morando risponde a Venturi richiamando un passo del De vulgari eloquentia, relativo alla diffe­renza fra tragedia e commedia, e ricordando che Dante « si accinse alla nobile impresa d’in­grandire e abbellire il proprio idioma »: la Commedia, attraverso molteplici apporti (lingue classiche, parlate italiche, neologismi), ha inventato l’italiano, una nuova lingua capace di ar­ricchire quella del Trecento rendendola in grado di « esprimere concetti alti e scientifici ».

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del poema e insisteva sulla virtú dantesca di perfezionare una lingua grezza.132 La ricapitolazione delle censure a Dante è un carattere generale dell’edizione Berno, dovuto alle circostanze particolari della sua genesi. I padri Zaccaria e Baggi revisionano la princeps di Venturi in antitesi a una « fazione » di fanatici di Dante.133 Costoro sono cosí agguerriti e numerosi da aver sancito il successo im­meritato della Commedia. « Tanti […] partigiani, e stimatori [di Dante] col tem­po vanno moltiplicando » – reclama Bettinelli – « che hai contro di te un popo­lo immenso a voler censurare il gran poeta ».134 Per pareggiare le forze in cam­po, occorre serrare i ranghi dell’antidantismo, chiamando a raccolta la sedicente maggioranza silenziosa di detrattori della Commedia. Perciò l’edizione Berno è un’epitome delle censure a Dante emerse dagli oceani del secolare commento, ma in particolare ispirate ai principî del bello ideale e del razionalismo arcadico, formulati tra la fine del ’600 e il primo ’700, allorché la civiltà letteraria italiana s’è avvalsa della Commedia per definire in negativo sé stessa, cioè per chiarirsi cosa non era e cosa non voleva. Oscurità della lingua e delle allusioni letterarie, rozzezza dello stile, incongruenza alle norme retoriche, asprezza delle rime, negligenze della struttura (dal titolo all’organizzazione degli episodi): le impu­tazioni di Venturi a Dante, grosso modo le stesse dei trattati di Crescimbeni, Muratori, Salvini, finiscono per rimettere in circolo le pregiudiziali bembiane contro la bellezza da museo di un’opera da non imitare, scritta da chi ambiva a farsi esperto in tutte le arti, e cosí è riuscito poeta men che perfetto.135

Se è vero che Venturi è una sorta di vulgata dell’antidantismo, è altrettanto vero che Lombardi, confutando Venturi, confuta pure un certo modo plurise­

132. Vd. D. Colombo, Dante alter Homerus nel Rinascimento, in RiLI, a. xxv 2007, pp. 21­50, a p. 22 n. 3.

133. L’ed. Berno è dedicata a Scipione Maffei con l’invito a « difenderla […] da’ morsi de’ censori »: difatti la chiosa a Par., xv 49­54, assente nella princeps del ’32, promette appunto di non abbassarsi a « ricamar cenci, e candir sorbe [‘addolcire verità amare’] per gradire a questa o a quella fazione de’ letterati, che hanno tra sé formata congiura o lega ».

134. Bettinelli, Versi sciolti, cit., p. 20. Le Lettere inglesi replicano un’insinuazione di Voltai­re, che chi non ama Dante osa ammetterlo soltanto all’orecchio dell’amico (trad. da Capaci, Dante oscuro, cit., p. 187). Il problema, dice Cesarotti, è che certi « critici pedanti […] vorran fissare a lor arbitrio la stima del pubblico » (si cita da Colombo, Nota su Cesarotti, cit., p. 369). Nessuna meraviglia che i fanatici di Dante siano soprattutto fiorentini, come denuncia La frusta letteraria di Baretti (cit. da Capaci, Dante oscuro, cit., p. 190).

135. La chiosa di Venturi a Par., xiii 97­102, trascritta da Lombardi (« costui [Dante] fa in tutto questo passo, e altrove, come quello Spagnuolo, che per parere d’avere i guanti, avendo­ne un sol dito, se n’andava inferraiolato, tenendo fuori dell’orlo affacciato solo quel dito. Per parere astronomo, dialettico, geometra, teologo, ne mette fuori il suo pezzettino, che talora di piú è un po’ sdrucito »), rinnova la celeberrima pagina delle Prose. Bembo del resto parago­nava Dante a Ennio, come Venturi lo accosta ai poeti berneschi o marinisti. Troppo lungo sarebbe ricostruire la genealogia di ogni singola accusa: capitali al riguardo sono le ricerche di Tissoni, Il commento ai classici, cit., e Capaci, Dante oscuro, cit.

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colare di leggere la Commedia, e ambisce al ruolo di guardiano di confine tra dantismo antico e moderno. Per questo aspetto il metodo critico di Lombardi si basa su un enciclopedismo erudito che contro Venturi ricorre all’auctoritas di volta in volta piú pertinente. Opportuni rimandi all’Eneide, al Canzoniere e al­l’Orlando Furioso provano che Dante è parte cospicua del patrimonio letterario del nostro paese, perfetto imitatore di Virgilio e a sua volta imitato da altri poe­ti, in primis Petrarca e Ariosto.136 La Crusca e Cinonio consentono invece di ri­durre gli scarti dello stile dantesco rispetto all’uso neutro o normale del linguag­gio e di comprendere le escursioni della lingua della Commedia. Diverso il caso della presunta eterodossia del poema. La gravità delle accuse rivolte da Venturi a Dante (« imbroglia il Sacro Testo »; « doveva leggere S. Tommaso »; « mette in bocca a San Bernardo una dottrina falsa e perversa ») costringe Lombardi a met­tere in campo non pochi autori citati piú volte, bensí moltissimi citati poco (Bossuet, Dionigi l’Areopagita, l’abate Ladvocat per limitarci alle accuse appe­na riportate).137 Eppure in àmbito religioso Venturi stesso viene cooptato per la difesa di Dante. Con lui Lombardi ribadisce che Bonifacio VIII fu « taccia­to come ambizioso di signoreggiare, e d’aver usato per questo fine arti non del tutto buone e lodevoli; benché non mancano scrittori, che ciò negano, e lo giu­stificano » (ch. a Inf., xix 52­53). È uno schema di comportamento generale: non appena la Commedia accusa un pontefice d’immoralità, Lombardi si limita a ri­battere vagamente che non tutti gli storici approvano quel giudizio.138 La fun­zionalità propulsiva dell’edizione Berno è lampante in relazione al compito primario dell’expositio litterae. Non sarebbe del tutto forzato proiettare sull’intera Lombardina la proporzione del primo canto, in cui Venturi è citato undici volte, cinque in contrasto, sei con tono neutro o positivo.

136. I morditori settecenteschi di Dante lo ritenevano inferiore a Virgilio: « ciò che nel­l’Eneide è rappresentato dai due terzi del sesto Canto – scrive ancora Voltaire nella trad. di Ca­paci, Dante oscuro, cit., p. 181 – nell’opera di Dante occupa ben ottantatré canti ». Venturi pro­mette di non farsi intimidire dalla « fazione » filo­dantesca dopo aver sentenziato che le prime parole di Cacciaguida sono una « rozza copia » dell’« originale » Anchise (Par., xv 49­54). Lom­bardi non solo dissente nella nota ad l., ma tanto spesso torna sulle imitazioni virgiliane della Commedia (Purg., xix 79, xx 82, xxii 37­42, ecc.), e in piú segue Daniello nel ritenere che Dante « fa piú chiaro » Virgilio (Inf., vii 98­99), da meritarsi nel 1800 le replica di S. Bettinelli, Lette-re virgiliane e inglesi e altri scritti critici, a cura di V.E. Alfieri, Bari, Laterza, 1930, p. 282 n. 1: « il grand’ingegno di Dante ben vedea le bellezze virgiliane, ma troppo voleaci ad imitarle ».

137. Vd. le note a Inf., xix 109; Par., xxviii 134­35, xxxii 64­66.138. Ad es. Lombardi osserva che l’invettiva di s. Pietro di Par., xxvii, riguarda soltanto al­

cuni papi del tempo di Dante, « intorno ai diportamenti dei quali anche gli storici sono tra di loro divisi » (nota al v. 53); oppure riporta la chiosa di Volpi a Inf., xix 70, secondo cui Niccolò III, è stato « posto da Dante fra simoniaci: ma altri tengono che fosse degno pontefice » (la fonte è l’argomento di questo canto scritto da L. Dolce: « benché altri scrivano che Niccolao III di casa Orsini fosse un degno Pontefice »). Si veda infine la conclusione della nota su papa Anastagio: Sed hanc fabulam diserte refellit Annalium ecclesiasticorum parens (Inf., xi 8­9).

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Come spiegare la natura ancipite della Lombardina? Perché il suo autore ri­porta tanto spesso le note di Venturi pur criticandolo? Il commento di Lombar­di avrebbe potuto aver mercato solo se fosse stato da una parte piuttosto simile a quelli già pubblicati al fine di essere riconosciuto e approvato, dall’altra piut­tosto diverso per poter soddisfare l’aspirazione dei lettori alla novità e alla pro­gressione. Sembrerebbe che l’edizione di Venturi, da Lombardi considerato « il piú recente spositore di questa commedia » (ch. a Par., xxxiii 94­96), abbia costi­tuito, non foss’altro che per tale prossimità cronologica, lo standard strutturante di riferimento rispetto a cui la libertà condizionata del padre francescano poteva commisurare cautela e audacia. Infatti Lombardi e Venturi, che nelle edizioni principes dei loro commenti si celano dietro l’anonimato (il semianonimato per Lombardi), condividono a loro dire sia lo stesso testo­base, l’edizione cominia­na di Volpi (da Venturi seguíta in toto, da Lombardi emendata con altri testimo­ni), sia la stessa tipologia di commento, nuovo, chiaro, breve ed integrale.139 In particolare Lombardi è sensibile all’azione di filtro svolta da Venturi nei con­fronti dei grandi commentatori del Cinquecento: sintetizza bene tale atteggia­mento del francescano la sua nota a Inf., xxi 78, che « basta leggere la chiosa del Venturi che restringe quanto vi hanno detto gli altri spositori ». Proprio perché Venturi è abile a selezionare e far decantare le annotazioni dei vari Landino, Daniello e Vellutello,140 con lui Lombardi ha in comune l’insofferenza verso gli esegeti reticenti che “saltano il fosso”, che cioè lasciano insoluto un nodo o in­spiegato un passo.141

La questione della rima riassume il rapporto ambivalente tra Venturi, collet­tore degli stereotipi antidanteschi del Settecento, e Lombardi, il quale combatte quegli schemi interpretativi, ma ne subisce l’influenza quando deve chiarire singoli luoghi opachi. Venturi pensa che Dante sia schiavo della rima: la posizio­ne a fine verso obbliga il poeta a scegliere una determinata parola (« Di questa reddita [Purg., i 106] siamo obbligati alla rima, che ci ha fatti d’altri simili regali molti »); inoltre tali rimanti, proprio perché scelti per forza, abbassano il livello stilistico della Commedia (ch. a Par., xxviii 105: « Vonno per vanno, e terminonno per

139. Cfr. Colombo, La genesi del commento, cit.140. Tale abilità, come già rilevava Rosa Morando, può condurre su binari morti (Venturi

« tradito dalla cieca sequela degli altri espositori »: ch. a Purg., xxii 110­14), fino a sconfinare nel plagio (« delle […] dotte osservazioni [di Daniello] si fa egli [Venturi] spesso onore, senza neppure dichiararsegli obbligato »: ch. a Purg., ii 38). Anche Lombardi sarebbe stato considera­to plagiario o comunque suggestionato dai commentatori precedenti.

141. « Saltare il fosso », per dire « non spiegare un passo », è un’espressione di D’Aquino (Commedia, cit., vol. i p. 326) e di Venturi (ed. Berno, L’autore del comento ai leggitori, p. viii; ch. a Par., iv 67­69), ripetuta da Lombardi nella lettera a Piatti del 14 giu. 1786, contro Voltaire e Bettinelli fautori d’una lettura rapsodica di Dante. Talvolta però Venturi stesso s’arrende di fronte alla cupa insondabilità della Commedia, come dice Lombardi nella nota a Purg., viii 26­27: « Venturi, forse non piacendogli quanto trovò scritto su ’l significare di queste spuntate spade, se la passa con dire, che non è cosa né facile, né molto giovevole il rinvenirlo ».

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terminano: o che rime licenziose! »). Simili argomenti discendono dalla diffiden­za del Settecento nei confronti della rima in generale e di quella dantesca in particolare. Il Saggio sopra la rima di Francesco Algarotti sviluppa un’idea della Ragion poetica di Gravina, cioè che Dante inventò la terzina, inserendo tra due rime uguali una nuova, allo scopo di contenere l’affettazione della rima, eredità del Medioevo imbarbarito dai Goti.142 Non è un caso che Algarotti partecipi ai Versi sciolti di tre eccellentissimi autori insieme a Bettinelli. Le cosiddette Lettere virgi-liane contenute in quella raccolta non fanno altro che sistematizzare i rimbrotti sulla rima da parte del confratello Venturi poi respinti da Lombardi. Questi, a proposito della « grave mora » sul corpo di Manfredi (Purg., iii 129), osserva: « La mora sarà il mucchio di pietre gittate dai soldati di Carlo sopra la sepoltura di Manfredi: e non sarà come il Venturi si è dato a credere, che mole volesse dire il Poeta; ma la rima l’obbligasse a prevalersi di una di quelle sue solite licenze piú che poetiche, e dicesse mora per mole: che, essendo cosí, non avrebbe in prosa detto mora il Villani ». È una replica poco probante dal punto di vista logico: Venturi non af­ferma che una parola può comparire solo in rima, bensí che la necessità di chiu­dere il verso ha indotto Dante a impiegarla in quella posizione. Di fatto nella Lombardina la presenza di una parola in rima diventa una sorta di chiave uni­versale per spiegare in modo economico tutti gli apparenti scarti stilistici dante­schi. Si prenda la conclusione del canto iv dell’Inferno: « Restata e queta, pleona­smo in grazia della rima […]; Esalto, antitesi in grazia della rima per esulto […]; Tarquino per sincope scrive Dante in grazia della rima […]; Corniglia per Corne-glia, antitesi a cagione della rima ».143 In definitiva, Lombardi da un lato rifiuta che le rime dantesche siano licenziose, come vorrebbe Venturi, dall’altro non nega il potere condizionante della rima, e quindi approda alla stessa convinzio­ne del gesuita senese e degli altri studiosi, ossia che Dante scriva spesso non ciò che vuole, ma ciò che può.

142. Vd. F. Algarotti, Saggi, a cura di G. Da Pozzo, Bari, Laterza, 1963, p. 272; cfr. inoltre Gravina, Ragion poetica, cit., p. 277: « volle egli [Dante] a tutto suo potere l’affettazione e l’arti­fizio troppo scoperto delle desinenze simili adombrare, tramischiando in mezzo di due rime una nuova ». Bettinelli, Versi sciolti, cit., p. 23, parla di « rime strabiliate, che portano sempre mala ventura », perché diffida di questo strumento stilistico: « le rime strana cosa ci parvero, e barbara usanza, e quasi un sussidio trovato per supplire al mancamento della dolcezza, e mae­stà del verso » (ivi, p. 9).

143. La locuzione « in grazia della rima », ricorrente circa 200 volte nel commento lombar­dino, decade a tic stilistico preso di mira da V. Nannucci, Intorno alle voci usate da Dante secondo i commentatori in grazia della rima, Corfú, Tip. del Governo, 1840: dietro il plurale « commenta­tori » si cela spesso Lombardi. A margine del verso che descrive il colore della veste dell’ange­lo portiere del Purgatorio, « Cenere, o terra che secca si cavi », Lombardi nota che la relativa è un « pleonasmo in grazia della rima », una zeppa dovuta al metro. Non è vero: Dante non si riferisce alla terra in generale, ma a quella appena tolta dalla cava, appunto di color grigio ci­nereo.

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10. Rosa Morando non è l’unico veronese scontento dell’edizione Berno. Il canonico Dionisi dichiara che un solo aspetto della Commedia del 1749 sarebbe riproponibile nel Piano per una nuova edizione di Dante, ossia la « forma » tipogra­fica di tre volumi in ottavo, già adottata dalla Cominiana.144 L’architrave del Piano, divulgato nel 1786, è il rilancio della filologia collegiale di Perazzini. Il suo invito ai dantisti di condividere (in commune conferre) le loro competenze è rac­colto da Dionisi sotto il segno di una radicalizzazione del metodo dei passi pa­ralleli (per capire la Commedia serve conoscere tutto Dante, anzi tutti i libri della sua biblioteca), e di una stretta solidarietà fra lessicografia ed ecdotica (oc­corre emendare le opere del poeta prima di ripubblicare il Vocabolario della Cru-sca). Dionisi insiste sul necessario riconoscimento dei singoli meriti, « quando però i letterati […] sien contenti di metter in comune le loro scoperte di corre­zioni e spiegazioni su la divina Commedia, ben sicuri […] che non saranno essi defraudati della gloria e della lode al merito loro dovuta ».145 Già Perazzini l’ave­va messo in chiaro: « numquam autem merita laude fraudabo, neque omittam, si potero, iis vicem reddere, qui vel mihi, vel amicis meis per sermonem, aut per epistolam aliquid indicare dignentur, quod detegendae proficiat veritati, quam unam inquirimus ».146

Sulla base di tale disponibilità agli scambi intellettuali, Dionisi non può che compiacersi quando Lombardi, entrato in corrispondenza con lui, gli invia – anche tramite monsignor Stefano Borgia – alcuni pareri sul secondo Aneddoto e sulla Commedia in genere, oppure controlla una lezione del Paradiso in alcuni manoscritti della Corsiniana di Roma.147 I rapporti fra i due religiosi appassiona­ti di Dante sono però destinati a incrinarsi. Dobbiamo ripartire da un documen­to già riportato. Il 31 marzo 1791 Dionisi – il quale ha letto l’annuncio dell’immi­nente pubblicazione della Lombardina sulla « Gazzetta universale » del 19 mar­zo – scrive all’abate Amaduzzi che Borgia, divenuto nel frattempo cardinale, gli aveva comunicato che Lombardi aveva sospeso ogni progetto di futura edizione dantesca, ma che né il Francescano né il Cardinale avevano saputo fornire alcu­

144. G.J. Dionisi, Piano per una nuova edizione di Dante, in Id., Aneddoto ii, cit., pp. 96­111, a p. 111. Dionisi aveva postillato l’ed. Berno: cfr. A. Vallone, Minori aspetti dell’esegesi dantesca nel Settecento attraverso testi inediti, in « Filologia e letteratura », a. xii 1966, pp. 124­48.

145. Dionisi, Piano, cit., p. 106. Reazioni positive al Piano sono registrate dalle « Efemeridi letterarie di Roma », nr. xliii, 28 ott. 1786, pp. 339­41, e dal « Nuovo giornale de’ Letterati d’Ita­lia », to. xxxvi 1787, pp. 132­40.

146. Perazzini, Correctiones, cit., p. 85. L’auspicio di un futuro Comento dei sapienti d’Italia e la centralità dei loci paralleli innervano la prefazione di G. Biagioli, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri, col comento di G.B., Parigi, Dondey­Dupré, 1818­1819, 3 voll., vol. i 1818, pp. i­xliv.

147. Dionisi, Aneddoto iv, cit., pp. 46­48 n. 4 (« Il dottissimo P. Maestro Baldassare [sic] Lombardi, il quale mi ha favorito di alcune sue animavversioni sopra l’Aneddoto ii da me pu­blicato l’anno 1786 e di alcuni suoi pareri sopra varj luoghi della Commedia »), 62 n. 3, 115 n. 4 (passo cui si accenna piú avanti).

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na precisazione al riguardo. Se Dionisi scrive il vero, allora Lombardi è stato quanto meno reticente nei suoi confronti, visto che nel marzo 1791 era ormai in dirittura d’arrivo il lavoro editoriale proceduto alacremente nei mesi preceden­ti. Fatto sta che nel luglio del medesimo anno l’« Antologia romana » pubblica la prefazione della Lombardina. Nel momento in cui si rende conto che il colla­boratore disinteressato è in realtà un temibile rivale, Dionisi reagisce con indi­gnazione astiosa (sciogliendo l’acronimo “F.B.C.” in « Frate Becco Cornuto »);148 quindi compie un tentativo di conciliazione (offrendo a Lombardi di pubblica­re insieme la Commedia), e sposta la disputa sul piano scientifico, sia scrivendo a Lombardi lettere private, sia pubblicando il Dialogo apologetico.149 Il progetto di filologia collegiale riaffermato da quest’operetta (« acciocché comparisca il Fio­rentino Poeta nel suo teatro in coturni nuovi »)150 è stato clamorosamente disat­teso, al punto che un dantista in contatto con Dionisi sta per licenziare la Com-media prima e indipendentemente da lui, senza accreditargli alcun merito. Per­ciò il Dialogo accusa Lombardi di non tener nel debito conto il contributo degli Aneddoti agli studi danteschi, ad esempio per il fatto che nella contestata prefa­zione non menziona Dionisi con tutti gli onori. Inoltre l’esempio di brillante lezione della Nidobeatina sui serpenti della settima bolgia riportata in tale pre­fazione è discutibile,151 sicché risulta da una parte compromessa la stessa autore­volezza della Nidobeatina come testo­base per una nuova edizione della Com-media, dall’altra implicitamente ribadita la centralità del codice di Santa Croce, a séguito dei sondaggi sulla Textüberlieferung della Commedia condotti da Dionisi e Perazzini a Firenze nel 1789.152

L’autografo dei xii Apostoli consente di misurare l’impatto delle proteste di Dionisi sull’elaborazione del commento. Lombardi è costretto ad alterare le proporzioni della prefazione uscita sull’« Antologia romana », inserendo nella versione a stampa una nota, lunga e articolata quanto la prefazione stessa, che difende la lezione della Nidobeatina sui serpenti.153 Inoltre un successivo Avviso

148. Lettera di Dionisi a Tomitano, 15 mag. 1791, in Dante e Verona, cit., pp. 319­20.149. G.J. Dionisi, Dialogo apologetico per appendice alla serie degli aneddoti dionisiani, Verona, per

gli eredi di Marco Moroni, 1791, pp. xi e xxvii per le lettere private fra Lombardi e Dionisi. Gli interlocutori del Dialogo sono Dionisi e Clarice Antilastri (anti­Lastri, contro Marco Lastri, autore di una recensione ostile a Dionisi sulle « Novelle letterarie » del 29 apr. 1791).

150. Dionisi, Dialogo, cit., p. ix (è una frase di Perazzini, Correctiones, cit., p. 58: « divina Co-moedia prodiret in soccis novis et suis »).

151. La prefazione della Lombardina offre a mo’ d’esempio l’emendazione di una terzina dantesca (« Piú non si vanti Libia con sua rena / Chersi chelidri aculi e faree / Producer chen­cri con anfesibena »: Inf., xxiv 85­87), perché la versione della Nidobeatina pare piú vicina alla fonte lucanea. Il Dialogo rileva l’irregolarità dell’apocope Chersi per Chersidri, la cacofonia del nesso Producer chencri, la durezza della sintassi.

152. [G.J. Dionisi,] Serie di Aneddoti. Num. v, De’ codici fiorentini, Verona, Carattoni, 1790. Il celebre codice di Santa Croce è l’attuale ms. Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Pl. 26 sin. 2.

153. Questo è l’incipit della nota (Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. xi n. a): « Essendosi col­

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su come citare il Convivio, che nella redazione autografa parlava dell’« Autore della Serie d’Aneddoti », ora lo designa come « Iacopo de’ Marchesi Dionisi ».154 È una scelta in controtendenza rispetto al commento della Lombardina, in cui gli Aneddoti sono citati 24 volte, sempre come anonimi. Ben nove delle 24 citazioni sono passi scritti ex novo o modificati a partire dalla precedente versione autogra­fa, quasi tutti relativi a luoghi dell’Inferno discussi dal quinto Aneddoto. L’aggiun­ta piú lunga rispetto all’autografo riguarda Inf., xxiii 134­35. Fra Catalano infor­ma Dante e Virgilio che è vicino « un sasso che da la gran cerchia / si move »: il singolare sasso basta a Dionisi per confermare l’ipotesi che le bolge dell’ottavo cerchio siano scavalcate da un unico ponte roccioso a piú archi. Malacoda infat­ti avverte che il ponte vicino sulla sesta bolgia è crollato, ma che piú avanti se ne potrà trovare un altro intatto: è una bugia, argomenta Dionisi, appunto perché un solo ponte attraversa la sesta e tutte le altre bolge.155 Lombardi ribatte che la descriptio loci di Inf., xviii, parla di scogli al plurale, e che la bugia di Malacoda si può spiegare osservando che sulla sesta bolgia tutti i ponti sono crollati. La selezione della varia lectio ermeneutica, il primo motivo di attrito fra Dionisi e Lombardi, orienta la discussione e la scelta delle varianti vere e proprie. A proposito della nota successiva a Inf., xxiii 136, l’autografo commenta: « Salvo che, vale quanto se non che – questo, intendi vallone – è rotto, ne’ ponti – e no’l coperchia, copre, facendo ponte, tutti gli altri valloni, non copre il presente ». La stampa sviluppa cosí la nota:

Salvo ch’a questo è rotto: cosí legge il nitidissimo ms. in pergamena della biblioteca Corsini segnato nella prima pagina col marco B. C., e cosí riferisce il ch. autore degli Aneddoti, Verona, 1790, cap. x [p. 59], essersi da antica mano emendato nel testo da esso veduto in Firenze, e creduto di Filippo Villani. Salvo che questo è rotto leggono in vece malamente l’edizioni tutte.

l’avviso dato al pubblico della presente mia opera divolgata insieme questa stessa prefazione, Monsig. Canonico Gio. Iacopo de’ Marchesi Dionisi Veronese, non contento di avermi con privata lettera significato il suo dispiacere intorno a cotal variante Nidobeatina lezione, lo ha inoltre voluto pubblicare in istampa nel Dialogo apologetico recentemente in quella sua illustre patria dato alla luce ». Il gruppo di Amaduzzi era al corrente della scelta d’inserire questa nota. Le « Efemeridi letterarie di Roma », nr. xliv, 29 ott. 1791, pp. 346­48, pur ostentando imparzia­lità nella diatriba fra Dionisi e Lombardi, aggiungono però che l’imminente primo tomo della Lombardina presenterà « una modesta, e giudiziosa risposta, che l’editore Romano fa […] alle eccezioni contro di lui avanzate ».

154. Dante, Commedia, ed. Lombardi cit., vol. i p. xxvii.155. Dionisi, Aneddoto v, cit., pp. 59­63. L’opinione che il ponte fosse uno solo, minoritaria

nel secolare commento, è difesa da Benvenuto da Imola (Benevenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherij ‘Comoediam’, nunc primum integre in lucem editum sump-tibus G.W. Vernon, curante J.Ph. Lacaita, Florentiae, Barbèra, 1887, 5 voll., vol. ii p. 184), da Daniello (Dante, cit., p. 153), da Gregorio di Siena (‘Commedia’ di Dante Allighieri. Inferno, Napo­li, Perrotti, 1867­1870, pp. 318­19).

note e discussioni

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In sostanza Lombardi, restío ad attribuire a Dionisi il merito esclusivo di lezioni genuine, rimanda piuttosto a spogli di manoscritti romani che a suo dire le atte­stavano prima del canonico veronese.156 A consultare quei manoscritti Lombar­di era stato inviato da Dionisi in persona, come sappiamo: un episodio ora pas­sato sotto silenzio, se non proprio rinnegato, dal francescano, il quale nella sua edizione riporta sí in un caso gli spogli di manoscritti della Corsiniana che aveva mandato a Dionisi, ma li integra con altri che provano che essi sono parziali, quindi fuorvianti.157

Alla fine del 1791, con il primo tomo della Lombardina tra le mani, Dionisi d’impulso ribadisce per lettera ad alcuni amici che Lombardi, nel suo « com­mento all’antica », si è servito degli Aneddoti senza ammetterlo e anzi ha di pro­posito ridimensionato la loro rilevanza per il suo lavoro di dantista.158 Queste convinzioni sono piú ampiamente argomentate in un libello del 1794, i Blandi-menti funebri, che a Lombardi lancia una nuova accusa, di aver approfittato per­sino delle lettere private di argomento dantesco che Dionisi gli indirizzava.159 In particolare la lezione « halo al cinger la luce » di Par., xxviii 23, vantata come « splendidissima » nella nota aggiunta alla prefazione, sarebbe stata sostituita da « halo cinger la luce » nel terzo tomo della Lombardina, a séguito appunto di una lettera ufficiosa di Dionisi.160 Conosciamo la vicenda soltanto attraverso il pri­sma dell’indignazione del canonico veronese. È comunque significativo che Lombardi non vi faccia menzione nell’opuscolo di sedici pagine, l’Aggiunta al -la ‘Divina Commedia’, espressamente deputato all’analisi delle contestazioni dei Blandimenti nello stesso stile iperanalitico e cavilloso della nota inserita nella pre­fazione della Lombardina.161 In questo e in altri casi l’autografo dei xii Apostoli

156. Per la lezione « La parte dov’ei son rende figura » (Inf., xviii 13), Lombardi all’inizio ri­conosce il contributo determinante di Dionisi (« Di questa importantissima lezione ne dob­biam tutti saper grado alla impareggiabile diligenza ed accortezza del ch. autore degli Aneddo-ti recentemente in Verona stampati; il quale in Firenze nel testo creduto scritto di mano di Filippo Villani, ad onta della raschiatura e deturpante scrittura fattavi sopra da imperita mano, ha saputo dalle rimase vestigia del primiero antico inchiostro rilevarnela e riportarnela »), ma in séguito afferma a chiare lettere che stava per giungere allo stesso risultato grazie ai mss. romani e alle cinquecentine.

157. La nota della Lombardina a Par., xvii 70­72, va confrontata con due passi di Dionisi, uno del quarto Aneddoto, cit., p. 115 n. 4, l’altro della piú tarda Preparazione istorica e critica alla nuova edizione di Dante Allighieri, Verona, Gambaretti, 1806, 2 voll., vol. ii pp. 147­48.

158. Lettera di Dionisi a Tomitano, in Dante e Verona, cit., p. 320; Zamboni, La critica, cit., pp. 64­65.

159. [G.J. Dionisi,] De’ blandimenti funebri o sia delle acclamazioni sepolcrali cristiane, Padova, Stamperia del Seminario, 1794: a p. vii Dionisi parla dell’invito a Lombardi di « far in comune una stampa » della Commedia.

160. Dionisi, Blandimenti, cit., pp. 79­81.161. [B. Lombardi,] Aggiunta alla ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri. Esame delle correzioni che

pretende doversi fare […] Dionisi ne’ suoi ‘Blandimenti funebri’ […], s.i.t., [1795]. I Blandimenti, cit., p.

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non permette di dirimere la questione con un giudizio assoluto, ma certo non conferma la solita linea di difesa di Lombardi, basata sulla priorità cronologica dei suoi interventi rispetto a quelli dionisiani. « La mia chiosa [a Inf., i 4] era scrit­ta già e trascritta prima che comparissero alla luce i suoi Aneddoti »,162 sostiene Lombardi invocando a sua discolpa il manoscritto, in cui però la chiosa incrimi­nata è stata riscritta su due paperoles incollate.

Da parte di Lombardi Dionisi reclama a gran voce un’onestà intellettuale che si guarda bene dall’esercitare nei riguardi di Perazzini. Svariate pagine dei Blan-dimenti sono un riconoscibilissimo centone delle Correctiones.163 La lezione « halo cinger la luce » è discussa in accordo alle norme grafico­prosodiche individuate da Perazzini per i nomi alloglotti. Inoltre poco prima di accusare Lombardi di plagio, Dionisi elenca le qualità indispensabili al filologo dantesco: « ci vuole ingegno, ci vuole erudizione, ci vuole docilità, e diligenza, e pazienza grande, e sopra tutto, a mio giudicio, è richiesta nel critico l’ingenuità ». Sono tre delle quattro metaforiche « chiavi » necessarie, secondo Perazzini, « ad aperiendam re­conditam Poetae lectionem et mentem », ossia « mss. codicibus fidelioribus et accuratioribus, acri et exercito ingenio, omnimoda ferme eruditione, et inge­nua sinceritate ».164

La dipendenza da Perazzini non è l’unico elemento in comune a Dionisi e Lombardi. Costoro compiono vari tentativi di regolarizzare il profilo metrico­prosodico della Commedia, che risulta invece accidentato in quanto anteriore alla normalizzazione petrarchesca. Nel verso « Io non Enea, io non Paolo sono » (Inf., ii 32), Dionisi legge Paölo trisillabo, mentre oggi si preferisce la dieresi su Enea. Di conseguenza in un altro verso (Par., xviii 131), Dionisi è costretto a leg­gere Polo bisillabo, e rimprovera Lombardi di non averlo fatto. Questi ribatte

107, lamentano l’assenza di errata­corrige nel secondo e nel terzo tomo della Lombardina. Per questo forse l’Aggiunta si conclude con una Correzione da farsi nella Cantica iii della ‘Divina Com-media’, a complemento di quella già presente in coda al Paradiso. Infatti negli esemplari conser­vati a Milano, Bibl. Trivulziana (C 79 3) e Bibl. Sormani (segnatura VET.O.VET.244), l’Aggiun-ta si trova in appendice al terzo tomo: questa era probabilmente la destinazione originaria stabilita da Fulgoni, lo stesso editore del saggio di E. Dicearcheo [G. Di Costanzo], Di un antico testo a penna della ‘Divina Comedia’ di Dante, Roma, Fulgoni, 1801, che nell’esemplare del­la Taylor Institution Library di Oxford (segnatura 102.I.12) alla fine presenta un’altra copia dell’Aggiunta.

162. Lombardi, Aggiunta alla ‘Commedia’, cit., p. 2. 163. Tale osmosi d’idee non deriva da un rapporto paritario: Perazzini è il segretario di

Dionisi (cfr. P. Sgulmero, Sette lettere inedite di Giuseppe Pelli a Gianiacopo Dionisi, in « Il Pro­pugnatore », n.s., vol. xvi 1883, pp. 281­317), anzi addirittura il suo ghost writer prezzolato (cfr. Zamboni, La critica dantesca, cit., pp. 99­103).

164. Dionisi, Blandimenti, cit., p. viii, traduce Perazzini, Correctiones, cit., p. 85. I Blandimen-ti, cit., p. 101, chiariranno poi che Lombardi, « avendo egli seguito la Volgata [scil. la Cominiana], e la sua Milanese [scil. la Nidobeatina], [è] quasi del tutto sprovvisto di manoscritti ». Eppure proprio Dionisi aveva chiesto a Lombardi l’expertise sui mss. corsiniani.

note e discussioni

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cosí: « Troppo dure ritorte cinger vorrebbe ad un Poeta Monsignor nostro con coteste sue uniformità ».165 I dossier sui problemi di prosodia esibiti da Lombar­di e Dionisi postulano che le scelte prosodiche siano inappellabili, mentre nei casi piú problematici l’opzione fra dieresi e sineresi dipende dalla preferenza accordata ad un determinato contesto rispetto ad un altro. Queste norme me­triche, stilistiche e grammaticali sono applicate all’emendazione dello stesso testo da cui il piú delle volte sono ricavate. Il rischio è che quando intervengono in base a simili principî di regolarità, di impiego standard dei mezzi espressivi, Lombardi e Dionisi finiscano con l’emendare Dante.166

La sintesi e insieme il culmine dell’esperienza dantesca di Dionisi nel cena­colo veronese è la splendida edizione in folio grande della Commedia curata per Bodoni nel 1795­’96.167 Karl Ludwig Fernow, storico dell’arte stabilitosi a Roma a fine Settecento, nel 1805 scrive che la Commedia bodoniana sarebbe stata poco venduta, anzi ritenuta inferiore alla Lombardina, per via del fatto che Dionisi per realizzarla aveva contaminato diversi manoscritti e stampe, mentre Lom­bardi s’era attenuto alla sola Nidobeatina.168 Tale opinione non resiste alla prova dei fatti. Quelle di Lombardi e Dionisi sono entrambe edizioni compilatorie, ossia ristampe della vulgata della Commedia (la Cominiana di Volpi) emendata attraverso non soltanto un antico testimone privilegiato (la Nidobeatina per Lombardi, il codice di Santa Croce per Dionisi), ma anche altre fonti, né indi­cate in modo esplicito né impiegate in modo sistematico. Ai manoscritti e alle stampe antiche infatti Lombardi e Dionisi ricorrono unicamente in caso di dif­ficoltà, giacché al riscontro esaustivo preferiscono la collazione selettiva. « Da’ testi a penna piú antichi si prenderà il bello e ’l buono », promette Dionisi impe­gnato a collazionare i codici fiorentini: una fatica che Lombardi si risparmia, visto che, a suo dire, la Nidobeatina contiene « quasi tutto il bello ed il buono

165. Lombardi, Aggiunta, cit., p. 11, in risposta a Dionisi, Blandimenti, cit., p. 103 n. b. Il qua­dro teorico è tracciato da A. Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Pa­dova, Antenore, 1993, pp. 298­301.

166. La dialettica fra criterio della maggioranza ed eccezionalità del genio coinvolge pure il metodo dei passi paralleli, di cui Lombardi rifiuta la radicalizzazione. Ad es. Dionisi, Aned-doto ii, cit., p. 11, esclude che l’Alessandro di Inf., xii 107, sia il Macedone sulla scorta di un luogo del Convivio; Lombardi, Commedia, cit., vol. i p. 174, ribatte che non è pensabile una coerenza assoluta fra quel trattato e la Commedia. Sulla base del Convivio, tuttavia, Lombardi, Aggiunta, cit., p. 14, attribuisce valore negativo ad alcuna nel verso « ch’alcuna via darebbe a chi su fosse » (Inf., xii 9). Di contro Dionisi, Blandimenti, cit., pp. 114­22, sceglie il valore limitativo (qualche via), confermato da un altro verso dell’Inferno e soprattutto dal fatto che Dante è effettivamen­te riuscito a scendere per quella via.

167. Vd. La ‘Divina Commedia’ di Dante Allighieri, Parma, co’ tipi bodoniani, 1795[­1796], 3 voll. (cfr. n. 34).

168. Vd. K.L. Fernow, Account of the Present State of Literature and the Arts in Italy, in « The Monthly Magazine », vol. xix, n. 125, 1 feb. 1805, pp. 23­26, partic. a p. 24.

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che gli Accademici [della Crusca] hanno ripescato nella moltitudine » di quegli stessi testi a penna.169

Critica testuale vuol dire nulla di piú che correzione della lectio recepta. Sotto questo aspetto il giudizio di Foscolo su Dionisi, « ristoratore del testo Dante­sco »,170 vale anche per Lombardi. In implicita polemica con Foscolo, Carducci reputava lo stesso Dionisi « instauratore d’una critica nuova su le opere del poe­ta ».171 Se si analizza questa definizione in rapporto a Lombardi, si può dire che la “critica” – intesa come metodo d’interpretazione del testo – di Lombardi e Dionisi ripropone in realtà la vecchia divaricazione tra commento e saggio ba­silare nel dantismo sette­ottocentesco.172 Mentre la Lombardina vanta un mas­siccio apparato cum notis variorum, la Commedia di Dionisi ne è priva, e perciò spesso promuove a testo una certa lezione senza spiegarne il motivo, ripete idee dei precedenti Aneddoti, rimanda alla successiva Preparazione istorica e critica. Quel che serve per capire Dante sono gli Aneddoti, confida Dionisi, anzi nemmeno quelli, visto che « la vera lezione, o presto o tardi, anche senza maestro può in­tendersi ottimamente; laddove la falsa non può mai concepirsi che male, chiun­que sia che la spieghi ».173 Da ultimo Dionisi sconta la scelta del saggio anziché del commento già nell’àmbito di quella cultura municipale scaligera ben dispo­sta a marginalizzare Lombardi, tacciandolo di plagio. Quando infatti il monu­mento di quella cultura, le Bellezze della ‘Commedia’ dell’abate Cesari, deve sce­gliere il testo base della sua edizione, la scelta ricade sull’edizione della Minerva, una revisione della Lombardina.174

Eppure è proprio la stretta solidarietà col cenacolo dantesco veronese a ga­rantire a Dionisi una visione piú ampia (non necessariamente piú profonda) degli studi letterari rispetto a Lombardi. Dionisi è fedele ad un assioma di Pe­razzini, per cui i principî della filologia sono universali, quindi varcano i confini di autore, genere, lingua. Scrive ad esempio Dionisi: « di scorrezioni universali (che sono cioè in tutti i Testi) ne ho dato già esempj ne’ Trattati del glorioso nostro S. Zeno, negli Opuscoli di Dante, in quelli del P. Cavalca, nel Boccaccio,

169. Dionisi, Aneddoto v, cit., p. 65 (già in Id., Aneddoto iv, cit., p. 169 n. 2: « fior da fiore sciegliendo e dalle stampe e da’ codici »); e Lombardi, Ai cortesi lettori, cit., p. x. Cfr. n. 89.

170. Foscolo, Studi su Dante, cit., vol. i p. 562.171. G. Carducci, Della varia fortuna di Dante, in Id., Studi letterari, Livorno, Vigo, 1874, p. 309.

C.F. Carpellini, Della letteratura dantesca degli ultimi venti anni, Siena, Gati, 1866, p. lxxxviii, concedeva a Lombardi il titolo di « restauratore degli studi danteschi in Italia ed iniziatore della critica novella ». E. Milano, Testimonianze dantesche nella Biblioteca Estense Universitaria (sec. XIV-XX), Modena, Il Bulino, 2000, p. 184, ripete che Dionisi è l’« instauratore di una nuova esegesi delle opere del Poeta ».

172. Cfr. Tissoni, Il commento ai classici, cit., pp. 6­10.173. Dionisi, A’ studiosi del divino poeta, in La ‘Divina Commedia’, cit., ed. Dionisi, vol. i p.

xxxiv. Si noti comunque che « maestro » era un appellativo di Lombardi (cfr. n. 147).174. Cfr. Cesari, Bellezze, cit., vol. i p. 66.

note e discussioni

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e, se piacerà a Dio, ne darò pur nel Petrarca ».175 Infatti già il Piano per una nuova edizione di Dante stabilisce di studiare, oltre alla Commedia, le opere “minori” del poeta e i commenti antichi. Tale scelta marca una differenza fondamentale ri­spetto a Lombardi. Questi non soltanto restringe alla Commedia la propria atti­vità di critico­editore, ma è altresí scettico sulla possibilità che la « distanza epi­stemica »176 fra Dante e i suoi lettori possa esser colmata dagli antichi commenti, dal momento che, piú essi sono vicini all’orizzonte culturale della Commedia, piú tacciono notizie ovvie per loro, ma non per i posteri. Ad esempio Bernardi­no Daniello, che Lombardi considera, al pari di Trifon Gabriele, « l’ultimo “de’ pienissimi commentatori” » prima di Venturi, nulla dice sulle « bianche bende » vedovili di Purg., viii 74. Dionisi l’aveva già ipotizzato: « può esser però che [gli antichi commenti] certe cose le abbian tacciute, perché supposte da essi notissi­me ».177 I « pienissimi commentatori » di Lombardi stando a Dionisi sono apprez­zabili piú per la purezza della lingua che per la validità dell’esegesi, tanto che il secondo Aneddoto mette in dubbio che il commento attribuito a Pietro Alighie­ri sia autentico.178 A dispetto di tali riserve, Dionisi è stato il primo a studiare in profondità l’Ottimo, che non solo suggerisce emendazioni notevoli, ma in piú permette d’impostare la questione della rima in modo piú persuasivo di Lom­bardi.179 Perché Dante ha usato il rimante « tempio » anziché « chiesa » per Inf., x 87 (« tal orazion fa far nel nostro tempio »)? L’Ottimo attribuisce a Dante in per­sona un’osservazione di rilievo, secondo cui l’obbligo di rispettare la rima passa in secondo piano rispetto alla libera volontà espressiva del poeta, il quale anzi rivendica il diritto di modificare il senso corrente delle parole a fine verso.180

11. In un primo tempo Bodoni aveva pensato di scegliere la Lombardina co­me testo base per la sua nuova Commedia, ma era stato dissuaso dalla consulenza offertagli da Vincenzo Monti tra l’ottobre e il novembre del 1793:

175. La ‘Divina Commedia’, ed. Dionisi cit., vol. ii p. ii.176. C. Segre, Per una definizione del commento ai testi, in Il commento ai testi. Atti del seminario

di Ascona, 2­9 ottobre 1989, a cura di O. Besomi e C. Caruso, Basel­Boston­Berlin, Birkhäu­ser, 1992, pp. 3­14, a p. 4.

177. Dionisi, Aneddoto v, cit., p. 15.178. Lombardi, nella nota a Par., xvi 34­39, non ignora la Censura del comento di Pietro creduto

figlio di Dante Alighieri, inclusa nel secondo Aneddoto.179. Dionisi, Aneddoto v, cit., pp. 95­107, dimostra che l’Ottimo nulla ha a che vedere con

Iacomo della Lana, altrove citato come autore della Nidobeatina; a questa conclusione Lom­bardi si oppone in un’incidentale della chiosa a Purg., vi 94­96 (« il comentatore della Nidobe­atina, se non è lo stesso ottimo »). Un’emendazione fornita a Dionisi dall’Ottimo si legge in Dionisi, Blandimenti, cit., p. 136. Sulla presunta identità Lana­Ottimo vd. da ultimo la messa a punto di Corrado, Ottimo Commento, cit., pp. 375­76 e 404.

180. Cfr. Dionisi, Aneddoto v, cit., p. 86; su questa notevole chiosa vd. ora Corrado, Ottimo Commento, cit., pp. 377­78.

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Mi dimandate se dovete ciecamente seguire l’edizione del Padre Lombardi nell’edizione che meditate di Dante. Vi rispondo sinceramente di no, sebbene, a mio parere, sia la piú sensata e corretta per la scelta delle varianti. Egli segue ordinariamente la Nidobeatina, che certo era la piú pregiata, ma nondimeno anche questa ha i suoi peccati almeno al tribunale del buon senso, che bisogna sempre consultare prima del manoscritto special­mente quando nell’oscurità del sentimento il filo d’Arianna è tutto nella logica. Se me lo comandate io posso notarvi in un foglio le varianti, che mi sembrano peggiorate, o sba­gliate dalla Nidobeatina, e da quella del Lombardi, che è buon Frate, buon galantuomo, e mio amico, e che occorrendo posso ancora consultare per qualche emendazione poste­riore alla sua stampa.181

La lettera di Monti è forse il primo documento della singolare fortuna dell’edi­zione del « buon Frate » romano. Benché l’eccellenza della Nidobeatina sia tem­perata dai « peccati almeno al tribunale del buon senso », quel « senso comune » che Foscolo contrapponeva come qualità di Lombardi alla critica dei Gesuiti,182 rimane tuttavia il fatto che la Nidobeatina è « la piú sensata per la scelta delle varianti ». Infatti per tutto l’Ottocento decine e decine di editori riprendono il commento di Lombardi e adottano la sua Nidobeatina come testo base. La già ricordata edizione della Minerva cosí ricostruisce la vicenda:

Pubblicato ch’ebbe il Lombardi in Roma nell’anno 1791 pei tipi del Fulgoni questo suo illustre lavoro […], i Dotti ne presagirono grandi cose, e riscosse meritamente gli ap­plausi non solo della Italia nostra, ma ben anche dell’estere e piú colte nazioni. La Lombardina del 1791 venne con favore accolta ovunque, e con avidità ricercata cosí, che ne mancarono ben tosto gli esemplari al commercio; né v’ha ristampa della Divina Commedia a quella posteriore, per cui gli Editori non siensi giovati a dovizia di sí pregia­to comento.183

181. A. Colombo, Il carteggio Monti-Bodoni con altri documenti montiani, Roma, Archivio Gui­do Izzi, 1994, pp. 143­44. Monti appartiene al comitato redazionale responsabile sia dell’« An­tologia romana », sia delle « Efemeridi letterarie », su cui escono segnalazioni della nuova Com-media di Lombardi. In séguito Monti rimane un assiduo lettore dell’edizione dell’amico: la contrappone a quella già citata (cfr. n. 146) di Biagioli (vd. V. Monti, Postille ai Comenti del Lom-bardi e del Biagioli sulla ‘Divina Commedia’, Ferrara, Taddei, 1879) e se ne serve contro l’abate Cesari (vd. Id., Postille alla Crusca ‘veronese’, a cura di M.M. Lombardi, Firenze, presso l’Accade­mia, 2005). Il Catalogue of the Dante Collection, presented by W. Fiske, compiled by T.W. Koch, Ithaca­New York, Cornell Univ. Press, 1898­1900, vol. i p. 12, riferisce di una copia della Lom­bardina alla Cornell University Library « with numerous ms. notes by G. Biagioli. On the t[itle]­p[age] of cantica i is written: “Offerto da G. Biagioli al suo caro amico Pescot” ». Alcune note deriverebbero dall’Estratto di Dante di Alfieri, di cui Biagioli si serví per il suo commento.

182. Foscolo, Studi su Dante, cit., vol. i p. 563.183. Prefazione degli Editori della Minerva, in Dante, Commedia, ed. Minerva cit., vol. i p. xviii.

Questa ricostruzione non è nuova. Già l’Approvazione dell’ed. De Romanis del 1816­’17, ad opera di Giovan Battista Chiesa, rileva che « l’Edizione della Commedia di Dante Alighieri, data in Roma, nel 1791, dal chiarissimo P. Lombardi, riscosse meritamente gli applausi di tutta l’Ita­

note e discussioni

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A dire il vero il successo della Lombardina non fu né cosí pervasivo (tra Sette e Ottocento rimangono in auge le tradizioni testuali ed esegetiche dei secoli pre­cedenti, da Dolce alla Crusca, da Volpi a Venturi), né cosí immediato, visto che non soltanto la prima edizione a prendere Lombardi per modello risale al 1804­1805, ma in piú il suo curatore, Luigi Portirelli, cerca di minimizzare i suoi debi­ti.184 Gli stessi Editori della Minerva, che giudicano « pregiato » il commento di Lombardi, non esitano a denunciarne i supposti plagi da Torelli.

Il dato comune alle riprese primottocentesche della Lombardina è la volontà di smussarne l’elitarismo a vantaggio di fruitori non specialisti: « abbiamo suppo­sto che il nostro Lettore » – scrive Portirelli – « non sia uno de’ piú grandi Lette­rati, e che insieme non sia uno di quegli uomini privi d’ogni coltura, che non hanno mai quasi udito a parlare di Dante ».185 Allo stesso modo « una picciola Edizione dell’Alighieri con frugalissime note per comodo de’ viaggiatori » è la prima pubblicata nel 1810 da Mariano De Romanis.186 Costui appartiene a una famiglia di stampatori e librai attiva a Roma dalla fine del secolo XVII, e capace, nei primi decenni del XIX, di creare una rete cosí ramificata di relazioni intel­lettuali che lo stesso Leopardi, durante il suo soggiorno romano, avrebbe voluto pubblicare presso quella tipografia le già citate canzoni civili del 1819.187 Maneg­giando l’esemplare della Commedia di Lombardi posseduto dal cardinal Garam­pi, De Romanis ne aveva colto i pregi:

Accuratissima haec Dantis editio a P. Balth. Lombardii M. C. diligentia et labore repe­

lia letterata, e delle colte Nazioni straniere, e fu con tanta avidità accolta, che rimase in breve giro d’anni interamente esausta » (p. viii). È d’accordo K. Witte, Essays on Dante, being selections from the two volumes of ‘Dante-Forschungen’, selected, translated and edited with introduction, notes and appendices by C.M. Lawrence and P.H. Wicksteed, London, Duckworth, 1898 (rist. anast. New York, Haskell House, 1970), pp. 35­36: « Lombardi’s commentary deserves the universal approval that has greeted it both at home and abroad as the most painstaking and diligent of the works on the subject, and the one most serviceable for immediate purposes ».

184. L. Portirelli, Prefazione, in La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri illustrata di note da L. P., Milano, Società Tipografica de’ Classici italiani, 1804­1805, 3 voll., vol. i, ritiene emendabile l’edizione del 1791, « tra le moderne […] una delle migliori, se si esclude la Cominiana » (p. xxv), e perciò assume come testo base direttamente la Nidobeatina, non la sua revisione del 1791. Anche per il commento Lombardi vale quanto Iacomo della Lana, considerato l’autore delle note della stessa Nidobeatina (p. xvii).

185. Portirelli, Prefazione, cit., p. xvi. Quasi le stesse parole sono riproposte da Romualdo Zotti nella sua ed. londinese del 1808. Con simili criteri « una copia del miglior testo e un estratto del miglior comento » diede a Jena nel 1807 K.L. Fernow (autore dell’articolo cit. alla n. 168).

186. Vd. La ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri secondo la lezione pubblicata in Roma nel 1791, Roma, nella stamperia di Mariano de Romanis e figlj, 1810.

187. Cfr. M.I. Palazzolo, Una dinastia di stampatori. I De Romanis nella Roma dei Papi, in Ead., Editoria e istituzioni a Roma tra Settecento e Ottocento. Saggi e documenti, Roma, Archivio Guido Izzi, 1994, pp. 69­89.

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tenda est. Perspexerat enim hic quod Dantis obscuritas tam a codicum vitio, quam a Commentatorum negligentia derivabat, omnes ideo quotquot reperire potuit codices contulit, ut veriorem erueret lectionem. Usus praecipue est editione a Nidobeato curata, a qua tamen recessit, quum in textu ab Academicis Hetruscis nobis exhibito, et in aliis emendatioribus codicibus lectio planior pateret. Notas quibus loca abstrusiora illustravit, rara eruditione et severiori critice elucubravit. Can. Jo. Jac. Dionisius Veronensis, quan­dam protrusit criticem, quam duobus foliis, quae in huiusce exemplaris calce adiunxi­mus [è l’Aggiunta alla ‘Commedia’ ], laboris patiens Lombardius diluit.188

Piú tardi De Romanis aveva deciso di ripubblicare la Lombardina in differenti formati, per ben tre volte, nel 1810 appunto, nel 1815­’17 e nel 1820­’22. In parti­colare l’analisi della seconda edizione di De Romanis permette di acclarare due questioni strettamente legate, ovvero la disponibilità di Lombardi a emendazio­ni testuali successive alla sua edizione, a cui allude Monti nella lettera a Bodoni, e il successo europeo della Commedia, di cui parla Foscolo nel brano iniziale dei Discorsi.

12. Pubblicata la Lombardina nel 1791­’92, padre Baldassarre non smette di studiare Dante nelle biblioteche romane in rapporto alla fase piú acuta della dia­triba con Dionisi, sfociata nell’Aggiunta alla ‘Commedia’ del 1795.189 Piú tardi, l’8 marzo del 1800, l’ultima lettera conservata nel carteggio con Piatti rivela: « Io qui nel successivo tempo mi diverto a rivedere il mio Dante, ed a farvi nuove illu­strazioni ed ammende ». La ricerca di tali postille senili ci riporta all’Archivio del Convento dei xii Apostoli a Roma. Alla segnatura Cl. III 81 esso conserva il manoscritto dell’opera di fra Niccolò Papini, dal titolo Scriptores Minorum S. Fran-cisci vulgo Conventualium ab anno 1650 usque ad annum 1810. Alla voce « Balthassar Lombardi de Vicomercato » si legge quanto segue:

Quantum sibi nomen fecerit ex commentario in Dantis comoediam, difficile dictu est. Equidem omnes, qui eum praecesserunt, superasse passim asseritur. Alias etiam Illustra-tiones adiecit, sed morte superveniente non publicavit. Has obtinuit quidam nobilis An­glus, sponsione data, se quantocius eas editurum in Anglia, ubi eius opus cum plausu exceptum est. Dum haec scribo, rumor venit ad aures alteram iam fieri editionem.190

188. Bibliothecae Josephi Garampii cardinalis Catalogus materiarum ordine digestus et notis bibliogra-phicis instructus a Mariano De Romanis, Romae, eodem de Romanis bibliopola venditionem administrante, 1796, 5 voll., vol. iii 1796 (Litterae humaniores), p. 60.

189. L’Aggiunta alla ‘Commedia’, cit., p. 4, rimanda a un ms. della Casanatense, che non figu­ra tra i citati dalla Lombardina. Quando scrive a Piatti di Dionisi, il 13 settembre 1794, Lombar­di è piú conciliante: « Che il sig. March. Canonico Dionisi travagli sopra Dante, m’è noto per lettere di lui medesimo, non che per gli Aneddoti in questi anni scorsi da lui dati alla luce; e nella prefazione mia al Dante e per entro il comento ne troverete non picciol sentore. La pro­vincia è vastissima, e potrà esso pure trovar luogo da impiegarvisi ».

190. La fonte di Papini è un passo dei libri parrocchiali di S. Salvatore in Onda (« Huic

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Il repertorio di Papini impiega il termine Illustrationes, lo stesso della lettera di Lombardi, per indicare le sue postille dantesche che la morte gli avrebbe impe­dito di divulgare, ma che un non meglio precisato patrizio inglese avrebbe otte­nuto con la promessa di pubblicarle nel suo paese. L’altera editio di cui ha sentito parlare Papini, allora Guardiano dello stesso convento a Roma, è verosimilmen­te la prima di De Romanis del 1810. È però la seconda del 1815­’17, in particolare il manifesto e i prolegomeni, a confermare quanto scrive Papini e ad aggiungere ulteriori notizie. Dunque alla sua morte Lombardi « lasciò in pegno del suo in­saziabile amore per l’opera dell’Alighieri alcune postille in margine di un esem­plare, che passò in Inghilterra, ed altre su di uno », che De Romanis ha « potuto aver fortunatamente sottocchio ».191 Il manifesto, risalente al primo di marzo del 1815, precisa due particolari degni di nota: in primo luogo, a Londra sarebbe uscita una nuova edizione della Lombardina, « se una burrasca non avesse affon­dato il vascello che colà trasportava gli originali di alcune giunte, che vi si volea­no inserire »; in secondo luogo, le giunte pubblicate da De Romanis (« qualche tenuissimo cambiamento ») non erano altro « che il risultato delle osservazio­ni fatte dall’autore stesso dopo la sua edizione, in seguito di alcune differenze avute col rinomato sig. canonico Dionisi ».192 Qualche anno piú tardi Costanza Monti collaborava alla terza Commedia di De Romanis collazionando un codice fornito dal marchese Antaldo Antaldi, il quale, mentre soggiornava a Londra, il 28 novembre 1820 riceveva dalla figlia di Vincenzo la richiesta di trasformarsi in cacciatore di memorabilia danteschi:

Fino dall’anno scorso mi fu detto in Roma che si trova in Inghilterra (e credo in Londra) un manoscritto del padre Lombardi, contenente moltissime correzioni fatte dal medesi­mo alle sue prime chiose sulla Divina Comedia. L’autore aveva intenzione di pubblicarle, ma la morte il giunse prima che ponesse ad effetto il degno suo proponimento. Il mano­

operi alias etiam illustrationes adiunxit, quas, morte superveniente, incompletas et cuidam nobili anglo datas, spes est lucem visuras in Anglia ubi hoc auctoris opus magno plausu excep­tum est »), passo riportato da Arduini, Notizie della vita, cit., p. 296. Ivi, p. 286 n. 1, si legge che « presso il reverendissimo p. Salvatore Calí, procuratore generale de’ min. osservanti a’ ss. xii Apostoli, trovasi manoscritta una copia del comento suddetto con postille di mano del P. Lombardi ». Non si tratta però di un apografo con postille autografe, ma del summentovato ms. completamente autografo, che attesta una fase redazionale anteriore alla stampa.

191. De Romanis, L’Editore ai Lettori, cit., p. x.192. Ai Letterati Mariano De Romanis, in « Lo Spettatore », to. v 1816, pp. 15­19 della Parte ita-

liana. Il Manifesto a p. 16 denuncia l’« eccessivo prezzo » della Lombardina (cfr. n. 46); perciò nell’edizione, a p. xlvi, si legge: « non abbiam creduto di caricare i studenti di soverchia spesa, che richiederebbe la stampa delle tre tavole suddette », ossia di quelle alla fine di ciascun tomo della Lombardina. Del resto anche il primo anonimo recensore della Commedia bodoniana (Lettera […] sulle nuove lezioni della ‘Divina Comedia’ di Dante, impressa dal ch. Gio. Batt. Bodoni, in « Memorie per servire alla storia letteraria e civile », semestre primo, parte iii, maggio e giugno 1798, pp. 84­88) ne lamenta il costo eccessivo per il lettore comune, poco interessato alle mi­nuziose disquisizioni di Dionisi.

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scritto cadde in mano d’un disgraziato, figlio veramente della Lupa Tiberina, che per guadagno lo cedette ad un inglese e questi sel recò seco in Inghilterra. Dico questo per­ché, avendone l’agio, potresti farne ricerca; che mi si assicura essere cosa degna di ciò, né forse ti si negherà farne una copia. Ho questo racconto da [Giuseppe] Tambroni, quindi da fonte sicura.193

Dunque le cospicue annotazioni che Lombardi avrebbe voluto divulgare sareb­bero non andate perse in un naufragio lungo la rotta per l’Inghilterra, bensí, anche per merito di un losco intermediario, giunte a destinazione a Londra. Eppure Foscolo, il quale a Londra potrebbe identificarle con piú agio, al massi­mo ha sentito parlare di una versione manoscritta anteriore alla stampa e co­munque smarrita nella lontana Italia.194 Forse, in modi e tempi inaccessibili al­l’analisi, la Lombardina postillata, giunta a Londra, aveva proseguito il suo viag­gio fino agli Stati Uniti. Questo induce a credere la scheda bibliografica inserita nel catalogo delle edizioni dantesche di Harvard del 1890:

This copy belonged to Lombardi himself and contains numerous and important addi­tions in ms. as he meditated a new edition. They were but partially used in the edition printed at Rome by De Romanis in 1815­16. A complimentary letter from Cardinal [Ste­fano] Borgia to Lombardi is placed in the first volume.195

Malgrado la precisione di queste notizie, in contrasto alla congerie di quelle di­scordi e prive di riscontro documentario fin qui raccolte, non è stato possibile individuare l’esemplare harvardiano segnato Dn. 17.91, né verificare la fondatez­za delle altre informazioni sulle postille senili. La scheda descrittiva indica co­munque un’altra strada, per quanto malcerta e insicura: inseguire nella seconda edizione di De Romanis le tracce della Lombardina postillata dal suo autore. De Romanis nella prefazione avvisa di aver elencato in un’apposita tabella le note aggiunte, senza però includervi « alcune mutazioni ne’ comenti, che sono la maggior parte del medesimo Lombardi ».196 Dal manifesto dell’edizione sappia­mo però che tali mutazioni sono « tenuissime » e ostili a Dionisi. Il ricercatore

193. C. Monti Perticari, Lettere inedite e sparse, a cura di M. Romano, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1903, pp. 113­14. Ne accenna Tissoni, Il commento ai classici, cit., p. 96.

194. U. Foscolo, Studi su Dante, parte ii, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Monnier, 1981, pp. 290­91: « A un uomo letterato il quale allora viveva in Roma ho udito dire come il Lombardi, ricopiato ch’ebbe il suo manoscritto, lo fidò a taluno che gliel facesse stampare in Napoli, e gli venne smarrito: ond’ei si rifece a ricominciarlo di pianta ». Il carteggio con Piatti racconta una storia diversa: un editore si era impegnato a stampare la Lombardina, ma « per mancanza di danaro » aveva ritirato la sua disponibilità, dopo aver fatto redigere una copia del testo che Lombardi non dice di aver smarrito.

195. W. Coolidge Lane, The Dante Collections in the Harvard College and Boston Public Libra-ries, Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press, 1890, p. 6.

196. De Romanis, L’Editore ai lettori, cit., p. xvi.

note e discussioni

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che, sulla scorta di tali criteri, scandagli le note di De Romanis, vedrà in parte premiata la sua pazienza. Numerose note aggiunte vagliano sí le lezioni di Dio­nisi, facendo però riferimento o a codici della Commedia ignorati da Lombardi o a interpretazioni critiche successive alla Lombardina: « questa lezione del bravo P. Lombardi » – « Fe sí Beatrice, quel fe Daniello » (Par., iv 13) – « viene confer­mata dal Codice Cassinese nel quale trovasi staccato Fe si. Anche il canonico Dionisi ha letto cosí dopo il Lombardi ».197 Se note come questa rimaneggiano le postille senili di Lombardi, allora alla sua voce si è sovrapposta quella di Dio­nisi, fino a renderla irriconoscibile. Per il resto l’edizione De Romanis presenta rispetto alla Lombardina alcune « illustrazioni ed ammende » davvero « tenuissi­me », ossia non sostanziali, come dimostra la seguente tavola comparativa tratta dai primi dieci canti dell’Inferno:

Inf., i­x Lombardina Ed. De Romanis 1815

Inf., i 53 Ch’uscia di sua vista, che ingeriva il suo aspetto

Sua vista, dal suo aspetto

Inf., iii 56 vederai in vece di vedrai vederai in luogo di vedrai

Inf., iii 59­60 tanto al poeta, che a’ suoi compar­titanti

tanto al poeta, che a quei del suo partito

Inf., v 3 – Tanto piú dolor intendi ha cioè con-tiene piú dolore

Inf., vi 1 sottointendi ad operar sottointendi ad operar, frase però giustissima

Inf., vi 2 Dinanzi, in presenza –

Inf., vii 66 l’autore del Prospetto l’autore dell’antico Prospetto

Inf., vii 105 Ma viene con questa spiegazione a freddamente supporre, che sen­za tale aggiunto temesse Dante d’es­sere inteso, ch’egli, e Virgilio ca­lassero, non in compagnia dell’onde, ma dentro delle onde medesime, senza cavarsi prima scarpe e cal­zette.

197. Dante, Commedia, ed. De Romanis cit., vol. iii p. 53. Questa edizione emenda la Lom­bardina specie grazie ai codici Cassinese (Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 512) e Caetani (Roma, Archivio della Fondazione Caetani, s.s.). L’abate Di Costanzo, responsabile della col­lazione del primo codice (cfr. il suo saggio Di un antico testo a penna, cit. alla n. 161), avrebbe conosciuto e assistito Lombardi (vd. F. Cancellieri, Osservazioni intorno alla questione promossa […] sopra l’originalità della ‘Divina Commedia’, Roma, Bourtiè, 1814, p. 113: « essendo stato da lui consultato, non mancò di dargli varj opportuni suggerimenti »).

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Siffatta minutaglia nulla aggiunge all’apparato esegetico della Lombardina, ma risulta in ogni caso rimarchevole nella storia della sua ricezione. Mariano De Ro­manis seppe intercettare e monetizzare l’indiscrétion posthume temuta da Proust per i suoi scartafacci. L’attenzione riservata a quelli di Lombardi testimonia il prestigio di cui egli godeva tra i dotti: il suo nome bastava a dar lustro a un’edi­zione o valeva lo sforzo di indagini lunghe e problematiche, poiché nel primo Ottocento il padre francescano era reputato – per riprendere le parole di Fosco­lo da cui siamo partiti – uno dei « giudici competenti » della poesia di Dante.

Davide Colombo

La Commedia curata dal francescano Baldassarre Lombardi (1718­1802) è la prima usci­ta ufficialmente a Roma nel 1791­’92. Il carteggio di Lombardi con il confratello Piatti e l’autografo inedito del commento, per la prima volta portato all’attenzione degli studio­si, permettono di analizzare in modo dettagliato la lunga gestazione della nuova Comme-dia. Questa viene pubblicata e promossa sulla stampa periodica dalla Congregazione di Propaganda fide, in cui ha un ruolo di primo piano l’abate Amaduzzi. Il rapporto sia con la tradizione esegetica coeva, da Volpi a Serassi, sia soprattutto con il circolo dantesco veronese (Rosa Morando, Perazzini, Torelli), illumina la natura ancipite dell’edizione lombardina, che si contrappone a dantisti come Venturi e Dionisi, ma insieme ne subisce l’influenza. L’analisi conclusiva delle postille senili, vergate dallo stesso Lombardi, esem­plifica la straordinaria fortuna ottocentesca della Lombardina.

The ‘Commedia’ edited by franciscan Baldassare Lombardi (1718-1802) represents the first official issue in Rome in 1791-’92. The correspondence with his confrere Piatti, as well as the as-yet-unpu-blished autograph of his commentary, here pointed out to scholars for the first time, allows giving a more detailed analysis of the long gestation of the new ‘Commedia’, which was published and promoted through the periodical press by the ‘Congregazione di Propaganda fide’, with the crucial support of ab-bot Amaduzzi. The double nature of Lombardi’s edition is firstly revealed by the relationship it keeps both with the contemporary exegetical tradition and with the Veronese Dante society (Rosa Morando, Perazzini, Torelli). Moreover, although it is in contrast with some Dante scholars as Venturi and Dio-nisi, it nevertheless reveals their influence as well. In conclusion, the analysis of as elderly Lombardi’s notes gives further evidences of the extraordinary 18 th century fortune of the “Lombardina”.