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DANTE SECONDO I SUOI ANTICHI (E MODERNI) BIOGRAFI. SAGGIO PER UN NUOVO CANONE DANTESCO DANTE SECONDO I SUOI ANTICHI (E MODERNI) BIOGRAFI. SAGGIO PER UN NUOVO CANONE DANTESCO Mors omnia solvit. La notte tra il 13 ed il 14 settembre 1321, a Ravenna, l’arcano brocardo dispiegò i suoi luttuosi effetti, spegnendo l’unica voce in grado di tramandare ai posteri la vita di Dante. La trascuratezza dei contemporanei, che tralasciarono di raccoglierne le memorie, la poca diligenza dei primi biografi, le amplificazioni e le falsificazioni che accompagnarono la fama postuma del grande poeta; infine l’invidia del tempo, favorita da perdite irreparabili, si sono rivelate forze invincibili per oscurare il lavoro del moderno biografo. Ma se vi sono gravi ragioni a giustificare le poche risposte certe (o anche solo plausibili) che gli studiosi sono in grado di offrire alla intrusiva curiosità dei posteri, non si può negare che le moderne biografie, rispetto alla pur magra documentazione superstite, rappresentino un regresso. Una lunga pratica con i principali studi biografici contemporanei 1 , valutati nel metodo e nel grado di dominio delle più antiche fonti, ha portato chi scrive a ritenere che il solo biografo in senso moderno di Dante, per l’ampiezza dei risultati raggiunti e, soprattutto, per averli poggiati su basi documentate e metodologicamente solide, sia stato Michele Barbi. Fatti salvi alcuni casi, i biografi successivi hanno prodotto opere degne del celebre aforisma di Montaigne: 1 Si dà di seguito, cronologicamente disposto, il novero delle biografie considerate ‘maggiori’ ai fini del presente studio: P. FRATICELLI, Storia della vita di Dante Alighieri, Firenze, G. Barbera, 1861; M. SCHERILLO, Alcuni capitoli per la biografia di Dante, Torino, Loescher, 1896; P. TOYNBEE, Dante Alighieri, trad. it. a cura di G. Balsamo-Crivelli, F.lli Bocca Editori, Milano-Roma, 1908; N. ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, Milano, Vallardi, 1931 3 ; M. BARBI, Dante. Vita, opere e fortuna, Firenze, Sansoni, 1933, ma di Barbi occorre tener presente pressoché tutta la produzione di argomento dantesco, in particolare M. BARBI, Problemi di critica dantesca. Prima serie (1893-1918), Firenze, Sansoni, 1934; ID., Problemi di critica dantesca. Seconda serie (1920-1937), ivi, Sansoni, 1941. F. MAGGINI, Introduzione allo studio di Dante, Bari, Laterza, 1948 3 ; U. COSMO, Guida a Dante, Firenze, La Nuova Italia, 1962 2 (di quest’autore si tiene presente anche ID., Vita di Dante, Roma-Bari, Laterza, 1949 2 ). Si tenga presente che, prima dei fondamentali studi documentari di Barbi e Piattoli, collocabili in gran parte tra il 1890 ed il 1950, l’attendibilità delle biografie dantesche è largamente insufficiente. Più modernamente, G. PADOAN, Introduzione a Dante, Firenze, Sansoni, 1975 (di quest’autore si tengono presenti anche: ID., Appunti sulla genesi e la pubblicazione della «Commedia» , «Lettere Italiane», XXIX, 1977, pp. 401-15, e ID., Le ambascerie di Dante a Venezia, «Lettere Italiane», XXXV, 1982, pp. 3-32; ID., Il lungo cammino del poema sacro, Firenze, Olschki, 1993); G. PETROCCHI, Biografia di Dante. Attività politica e letteraria, in Enciclopedia Dantesca, 6 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970-‘78 (= ED), VI, pp. 3-54; di quest’autore si tiene presente anche ID., Vita di Dante, Roma-Bari, Laterza, 1983; R. MIGLIORINI FISSI, Dante, Firenze, La Nuova Italia, 1979; E. MALATO, Dante, Roma, Salerno, 1999. Si aggiunga il pregevole contributo di G. GORNI, Dante. Storia di un visionario, Roma-Bari, Laterza, 2008, e il recente M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori, 2012, che segna – dopo decenni di stasi – un progresso rispetto ai contributi precedenti. 1

Dante secondo i suoi antichi (e moderni) biografi: saggio per un nuovo canone dantesco

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DANTE SECONDO I SUOI ANTICHI (E MODERNI) BIOGRAFI. SAGGIO PER UN NUOVO CANONE DANTESCO

Mors omnia solvit. La notte tra il 13 ed il 14 settembre 1321, a Ravenna,l’arcano brocardo dispiegò i suoi luttuosi effetti, spegnendo l’unicavoce in grado di tramandare ai posteri la vita di Dante. La trascuratezzadei contemporanei, che tralasciarono di raccoglierne le memorie, la pocadiligenza dei primi biografi, le amplificazioni e le falsificazioni cheaccompagnarono la fama postuma del grande poeta; infine l’invidia deltempo, favorita da perdite irreparabili, si sono rivelate forzeinvincibili per oscurare il lavoro del moderno biografo. Ma se vi sonogravi ragioni a giustificare le poche risposte certe (o anche soloplausibili) che gli studiosi sono in grado di offrire alla intrusivacuriosità dei posteri, non si può negare che le moderne biografie,rispetto alla pur magra documentazione superstite, rappresentino unregresso. Una lunga pratica con i principali studi biograficicontemporanei1, valutati nel metodo e nel grado di dominio delle piùantiche fonti, ha portato chi scrive a ritenere che il solo biografo insenso moderno di Dante, per l’ampiezza dei risultati raggiunti e,soprattutto, per averli poggiati su basi documentate e metodologicamentesolide, sia stato Michele Barbi. Fatti salvi alcuni casi, i biografisuccessivi hanno prodotto opere degne del celebre aforisma di Montaigne:

1 Si dà di seguito, cronologicamente disposto, il novero delle biografieconsiderate ‘maggiori’ ai fini del presente studio: P. FRATICELLI, Storia della vita diDante Alighieri, Firenze, G. Barbera, 1861; M. SCHERILLO, Alcuni capitoli per la biografia diDante, Torino, Loescher, 1896; P. TOYNBEE, Dante Alighieri, trad. it. a cura di G.Balsamo-Crivelli, F.lli Bocca Editori, Milano-Roma, 1908; N. ZINGARELLI, La vita, itempi e le opere di Dante, Milano, Vallardi, 19313; M. BARBI, Dante. Vita, opere e fortuna,Firenze, Sansoni, 1933, ma di Barbi occorre tener presente pressoché tutta laproduzione di argomento dantesco, in particolare M. BARBI, Problemi di critica dantesca.Prima serie (1893-1918), Firenze, Sansoni, 1934; ID., Problemi di critica dantesca. Seconda serie(1920-1937), ivi, Sansoni, 1941. F. MAGGINI, Introduzione allo studio di Dante, Bari,Laterza, 19483; U. COSMO, Guida a Dante, Firenze, La Nuova Italia, 19622 (diquest’autore si tiene presente anche ID., Vita di Dante, Roma-Bari, Laterza, 19492).Si tenga presente che, prima dei fondamentali studi documentari di Barbi ePiattoli, collocabili in gran parte tra il 1890 ed il 1950, l’attendibilitàdelle biografie dantesche è largamente insufficiente. Più modernamente, G.PADOAN, Introduzione a Dante, Firenze, Sansoni, 1975 (di quest’autore si tengonopresenti anche: ID., Appunti sulla genesi e la pubblicazione della «Commedia», «LettereItaliane», XXIX, 1977, pp. 401-15, e ID., Le ambascerie di Dante a Venezia, «LettereItaliane», XXXV, 1982, pp. 3-32; ID., Il lungo cammino del poema sacro, Firenze,Olschki, 1993); G. PETROCCHI, Biografia di Dante. Attività politica e letteraria, in EnciclopediaDantesca, 6 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970-‘78 (= ED),VI, pp. 3-54; di quest’autore si tiene presente anche ID., Vita di Dante, Roma-Bari,Laterza, 1983; R. MIGLIORINI FISSI, Dante, Firenze, La Nuova Italia, 1979; E.MALATO, Dante, Roma, Salerno, 1999. Si aggiunga il pregevole contributo di G.GORNI, Dante. Storia di un visionario, Roma-Bari, Laterza, 2008, e il recente M. SANTAGATA,Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori, 2012, che segna – dopo decenni distasi – un progresso rispetto ai contributi precedenti.

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Ci si preoccupa più di interpretare le interpretazioni che di interpretare lecose, e si scrivono più libri sui libri che su qualsiasi altro argomento. Nonfacciamo altro che commentarci a vicenda2.

Compito di una biografia scientifica avrebbe dovuto essere, inmancanza di documenti dirimenti, proporre ipotesi fondate sul più ampiospettro di indizi disponibili, dichiarati e interpretati secondo unarigorosa metrica di economicità, sì da indurre i sostenitori di ipotesialternative ad abbandonarle, ovvero ad argomentarle al punto da essereaccolte nel canone. Naturalmente, il complesso edificio biograficoavrebbe dovuto poggiare in primo luogo sulle fondamenta dei documenti edell’antica tradizione, il che, come si mostrerà, non è stato. Al di làdi numerosi errori secondari3, tutte le moderne biografie dantesche,2 Caso emblematico, e su un punto cruciale della vita di Dante che avrebberichiesto un ben fitto (ri)esame dei dati disponibili, è il seguente passo diGiorgio Petrocchi: «Sull’epoca e sulle ragioni della partenza da Verona moltos’è scritto, eppur in modo da lasciare aperte ipotesi diverse [...]. Tra di essemi sento di optare per il 1318, quale quello dell’arrivo a Ravenna [...]. [Perun’andata nel 1320] s’è pronunciato di recente il Billanovich, ma non sonod’accordo con l’insigne studioso, e il Chiarini [...] pur trascegliendo una datapiù antica, mi dà ragione su numerosi punti»; G. PETROCCHI, Biografia, cit., pp. 46-7. Si desidera mettere in chiaro, anche per i futuri rilievi che verranno mossiin questa sede all’opera di Petrocchi e degli altri studiosi che si sonooccupati di biografia dantesca, che le critiche qui avanzate riguardano singoliaspetti o interpretazioni. Naturalmente non si possono passare sotto silenzio lenotevoli benemerenze di molti di essi, a partire proprio da Petrocchi che, comenoto, ci ha dato una fondamentale edizione critica del poema dantesco.3 A titolo campionario, secondo G. PADOAN, Introduzione, cit., p. 13, Dantepartecipò alla battaglia di Campaldino nel maggio 1289. Va da sé che l’evento sisvolse l’11 giugno, nel giorno di S. Barnaba. Secondo U. COSMO, Vita, cit., p.117, anche il padre del Petrarca sarebbe stato del numero dei Consiglieridell’Università dei Bianchi, il che non è: Petraccolo fu impiegatoall’occorrenza come sindaco della Parte, ossia procuratore con poteri dirappresentanza legale. Secondo E. MALATO, Dante, cit., pp. 42-3: «Il 14 dicembre1295 [Dante] risulta presente e prende la parola in una seduta del Consiglio dei Savio delle Capitudini – cioè dei capi delle Arti maggiori e minori dei sesti della città– che discuteva delle nuove modalità di elezione dei Priori». Denominato in talmodo sembrerebbe che i Savi e le Capitudini in Consiglio fossero la stessa cosa(«o» nel senso di «ovvero»), o che gli uni escludessero gli altri («o» nel sensodi «oppure»). In entrambi i casi la denominazione è errata. In realtà sitrattava del «Consilio Capitudinum XIIcim Maiorum Artium et aliorum Sapientum[qui] proposuit d. [Capitaneus] quomodo electio futurorum Priorum fieri debeatpro Comuni»; Codice Diplomatico Dantesco, a cura di R. Piattoli, Firenze, LiberiaGonnelli, 19502, (= CDD), doc. n. LIII. Dal che si deduce che si trattava delConsiglio delle Capitudini, cui, secondo consuetudine, si erano aggiunti dei Savi; eche le Capitudini erano composte dai rappresentanti delle sole 12 Arti maggiori,e non anche delle 9 minori. Secondo G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 9: «Dante nacque[...] nella casa degli Alighieri nel popolo di S. Martino del Vescovo, di frontealla Torre della Castagna, casa che era stata di Geri del Bello, più tardi diAlighiero». Per chi segua le vicende della casa di Dante magistralmente

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mentre discutono magari a lungo intorno a punti certi (come ad esempiol’anno di nascita), mancano di apparati genealogici4, introducendo neipochi cenni errori gratuiti5; ricorrono con parsimonia alle antichefonti, incluso l’accessibile Codice Diplomatico Dantesco6; utilizzano in modoparziale ed oscillante le antiche biografie - raccolte e pubblicate nel1904 da Angelo Solerti (e se ne darà ampia prova, essendo materia diquesta nota)7; mostrano una conoscenza notevolmente ristretta delle fontiantiche di rango minore, su taluni punti illuminanti8.

Come detto, una mappa catastale degli errori biografici sarebbeamplissima, in questa sede ci si limiterà a darne evidenza campionaria,strettamente funzionale a mostrare la necessità di riprendere questo

ricostruite da Barbi e Piattoli, la topica è subito evidente: la porzione dicasa in cui Dante nacque consisteva nella parte ereditata dal suo avoBellincione, e da questi passata ad Alighiero, non a Geri (che, per inciso, morìdopo Alighiero, giusta la segnalazione di Marco Santagata, il 15 aprile 1287).Geri ereditò, almeno dal 1269, la porzione di immobile attigua, possesso avitodel suo ramo, discendente da Bello Alighieri, in cui Dante visse dopo la suadipartita, quindi dopo il 1287. Cfr. M. BARBI, R. PIATTOLI, La casa di Dante, «StudiDanteschi», XXII, 1938, pp. 5-81; R. PIATTOLI, Geri e Cione del Bello a Prato nel 1280,«Studi Danteschi», XVI, 1932, pp. 127-32 e ID., Geri del Bello e Bellino di Lapo suo nipote,«Studi Danteschi», XVIII, 1934, pp. 99-102.4 E in una compiuta biografia di Dante dovrebbe trovar posto non solo unagenealogia degli Alighieri ma, almeno parzialmente, di quelle famiglie con cuiil poeta ebbe stretti rapporti: Donati, Portinari, Cavalcanti, Guidi, Malaspina,Scaligeri e Polentani. Apparati genealogici per ricostruire i quali sonodisponibili notevoli strumenti.5 Si può citare un caso in G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 5: «Da BellincioneAlighieri, l’avo del poeta [Dante] [...] sapeva della sanguinosa faida tra i nobilinel corso della quale era morto Geri del Bello». Tralasciando la «faida tra inobili» (denominazione che se può – con un po’ di larghezza - calzare per iSacchetti è fuori luogo per gli Alighieri di quel tempo), l’annotazionedell’insigne studioso è poco persuasiva. In breve, sappiamo che Cacciaguida morìintorno al 1147, sicché suo figlio Alighiero I dové nascere (è pura ipotesi dicomodo) al più tardi intorno al 1145. Supponendo, sempre per ipotesi, cheBellincione sia stato concepito in tarda età, non si potrà andare oltre il1190-‘95 circa per la nascita del nonno di Dante (e non si dimentichi che acavallo di secolo morì anche Alighiero I). Consideriamo ora che di Bellincionenon si hanno notizie dopo il 1270 (e non si fatica ad immaginarne il perché),come emerge dal CDD. Infine, sappiamo che Geri del Bello era vivo finoall’aprile 1287 (Santagata); cfr. R. PIATTOLI, Geri e Cione, cit., p. 129. Inconclusione, per ammettere che Bellincione narrasse della faida in cui era mortoGeri, non basterebbero ancora le numerose ipotesi di favore concesse; come sivede, dovremmo ritenere anche che l’avo di Dante giungesse all’ambìto traguardodi una senilità ultracentenaria. Su un analogo caso di controversa informazionegenealogica, cfr. G. INDIZIO, Tana Alighieri sorella di Dante, «Studi Danteschi», LXV,2000, pp. 169-76.6 Tra le tante informazioni che si sarebbero potute ricavare da un uso piùintensivo del CDD, si cita a titolo di esempio, il nome degli ufficiali delPodestà (giudici, notai e banditori) che si occuparono della prima e dellaseconda condanna di Dante; pensiamo ancora a dettagli sulla certa venditio della

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campo di studi su Dante, rimasti sostanzialmente fermi, salvo episodiciprogressi9, ai contributi di Michele Barbi e Renato Piattoli10. Dopo diallora la prova che in molti casi non si sia raggiunto alcun risultatocriticamente fondato sulla vita di Dante ci è data dalla quantità diipotesi, ai limiti dell’indocumentabile, che ogni biografo si senteautorizzato a proporre, senza un adeguato sforzo analitico.

Scopo di questa nota è aprire la strada alla costituzione di un nuovocanone biografico dantesco, criticamente fondato, che raccolga eclassifichi opportunamente le notizie tramandate dalle antiche fonti. Atal fine, occorrerà in primo luogo rivisitare la sillogeprimonovecentesca di Angelo Solerti, meritevole per aver rappresentato unprimo importante tentativo, ma gravata da insormontabili limiti. Pertantoporzione della casa di S. Martino del Vescovo, fatta per salvarla dalleconfische dei Neri, fino a notizie minute sui vicini di casa di Dante (i qualiebbero relazioni successorie con la famiglia di Boccaccio). Ma la messe dinotizie estraibili dalle fonti documentarie (il CDD e le relative Aggiunte, manon solo) è sterminata.7 Si veda quanto scrive Petrocchi circa il viaggio di Dante a Parigi: «Itestimoni primi e primari del viaggio a Parigi sono il Villani [...] ilBoccaccio [...] il Pucci, il Buti, Benvenuto, il Serravalle, ecc.; tace, invece,Pietro, e tace Leonardo Bruni»; G. PETROCCHI, Biografia, cit., p. 36. A ben vederesembra poco proficuo l’uso di sommare insieme una quantità di autori, ai finidella conferma o meno di una notizia, se non se ne assevera l’attendibilità. DaButi, Bertoldi da Serravalle, in parte lo stesso Pucci e Benvenuto, così comequasi tutti i successivi, sono fonti, come si vedrà, di limitato o nessunvalore. La conclusione più ragionevole sul viaggio a Parigi sarebbe stata laseguente: i soli antichi biografi attendibili che ne parlano testimoniano in favore del viaggio a Parigi;quanto agli altri, o non sono attendibili (nella quasi totalità dei casi) ovvero non neparlano, non confermando né smentendo tale eventualità.8 Il cahier des doleànces potrebbe allungarsi a dismisura: particolarmente trascuratedai biografi le ricerche sulla condizione economica degli Alighieri, che pure sigioverebbero di contributi specialistici magistrali; pochissimo si dice sugliincarichi pubblici di Dante e sui compiti istituzionali che fu chiamato asvolgere nei Consigli; manca una ricostruzione critica delle tappe dell’esilio,si tralascia quasi del tutto la storia fiorentina e locale di interessedantesco, su cui si dispone del definitivo resoconto di Robert Davidsohn; mancala descrizione di gran parte degli ‘incontri’ danteschi (da Pier da Medicina adAlessio Intelminelli a Venedico Caccianemici, Aldobrandino Mezzabati, Ubertinoda Casale e molti altri ancora; ma in genere tutti i personaggi, anche quellimaggiori, da Guido Cavalcanti a Cino da Pistoia a Cangrande Della Scala sono amalapena accennati). Infine, è di norma quasi assente una descrizione pursommaria dei maggiori problemi culturali dei tempi di Dante: se eccettuiamoquelli strettamente letterari, sono da segnalare mancanze dolorose, dallaquestione dell’indipendenza dell’Università, e quindi della scienza, che visseepisodi cruciali al tempo del poeta, allo stato delle Arti liberali e deidibattiti teologici, alle condizioni di vita contemporanee. Notizie omeopatichesulla storia politica delle maggiori istituzioni medievali, Chiesa e Impero,nonché dei Comuni e delle Signorie del tempo (quanto meno quelle d’interessedantesco). Aspetti con cui Dante si confrontò in modo drammatico e senza cui èimpensabile accedere alla sua opera.

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si descriveranno i contributi degli antichi biografi, fornendo unorientamento stemmatico onde discriminarne il valore testimoniale escindere i testimoni primari da quelli derivati, privi di valore e anzifuorvianti. Al termine di quest’indagine, è bene chiarirlo subito, non sipotranno sciogliere tutti i dubbi circa la realtà o meno di undeterminato episodio (quasi sempre irraggiungibile in mancanza didocumenti e testimonianze dirette), ma almeno si potrà accertare che cosagli antichi più attendibili biografi ci hanno effettivamente tramandato11.

Gli antichi biografi danteschi, dal XIV al XVI secolo, secondo laclassica riduzione datane da Solerti, sono 3112. Grazie a recentiacquisizioni dovute a Gennaro Ferrante, si segnala incidentalmente laquattrocentesca Vita di Dante scritta da Luigi Peruzzi (1470), più9 Tra i casi più felici G. SAVINO, Dante e dintorni, a cura di M. Boschi Rotiroti,Firenze, Le Lettere, 2003. Per un nuovo documento su Alighiero, cfr. A. MALVOLTI,Un documento inedito sul padre di Dante, «Erba d’Arno», XXVII, 1987, pp. 61-3. Su PietroAlighieri cfr. G. SANCASSANI, La casa di Pietro di Dante in Verona, «Atti dell’IstitutoVeneto di Scienze Lettere ed Arti», XXIII, 1972, pp. 341-55; L. MUTTONI, C. ADAMI,Uno sconosciuto beneficio veronese di Pietro Alighieri chierico, «Rivista di Storia dellaChiesa», XXIX, 1975, pp. 555-8.10 Gli studi di Piattoli di argomento dantesco sono fondamentali. Oltre al CDD,da tener presenti le successive quattro Aggiunte (rispettivamente «StudiDanteschi», XXX, 1951, pp. 203-6; ivi, XLII, 1965, pp. 393-417; ivi, XLIV, 1967,pp. 223-68; «Archivio Storico Italiano», CXXVII, 1969, pp. 3-108); nonché levoci sul casato e sui singoli Alighieri nel Dizionario Biografico degli Italiani enell’ED. Sempre sulla genealogia degli Alighieri, P. GINORI CONTI, Vita ed opere diPietro di Dante Alighieri, Firenze, Olschki, 1939, cui contribuì largamente RenatoPiattoli.11 In nuovi contributi si confida di poter censire una più ampia silloge diantichi contributori alla biografia di Dante, la voce dei quali (di normatrascurata) è sovente illuminante.12 Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al secolo decimosettimo, a cura di A. Solerti,Milano, Vallardi, 1904. I 31 biografi sono: Giovanni Villani, Antonio Pucci,Giovanni. Boccaccio, Benvenuto da Imola, Francesco da Buti, Marchionne di CoppoStefani, Filippo Villani, Domenico Bandini, Giovanni da Serravalle, LeonardoBruni, Giannozzo Manetti, S. Antonino, Sicco Polenton, Biondo Flavio, Anonimoferrarese, Gian Mario Filelfo, Cristoforo Landino, Jacopo Foresti, Anonimocontinuatore dello Speculum historiale, Hartmann Schedel, Giovanni Tritemio,Raffaele Maffei, Francesco Maurolico, Giovan Pietro Ferretti, AlessandroVellutello, Lodovico Dolce, Bernardino Daniello, Jacopo Corbinelli, PapirioMasson, Marcantonio Nicoletti, Alessandro Zilioli. Nel prosieguo ci si limiteràad indicare di volta in volta l’autore oggetto d’esame, senza ulteriorispecificazioni. In molti casi, dai tempi di Solerti, vi sono state edizioniaggiornate dei testi, in particolare, ma non solo, quelle di GIOVANNI VILLANI,Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma, Guanda, 1990, di GIOVANNI BOCCACCIO, Vite diDante, a cura di P. G. Ricci, Alpignano, Tallone, 1969, e di L. BRUNI, a cura diA. Lanza, Roma, Archivio Izzi, 1987. Sull’opera di Filippo Villani, da segnalarela fondamentale edizione F. VILLANI, De origine civitatis Florentie et de eiusdem famosis civibus,a cura di G. Tanturli, Roma-Padova, Antenore, 1997. Ai fini della presente nota,per comodità espositiva, si farà riferimento, ove non diversamente segnalato,all’edizione Solerti.

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esattamente: Operetta a iustificatione e laude di Dante, dedicata a Giovanni Cossa eBuffillo del Giudice13. Altre se ne potrebbero aggiungere, specie di areaumanistica, ma si tratta di contributi generalmente derivati e pocosignificativi14.

Preliminarmente, riconosciuta l’importanza dell’approccio tenuto daSolerti, si osservano due limiti dell’opera. Il primo, qualitativo, ènell’acritica eterogeneità dei contributi accolti. L’autore, senza alcunapparato giustificativo degno di nota, mette insieme i biografipropriamente detti (11)15, con i commentatori che frammentariamenteaccennarono alla vita di Dante (7)16, con cronisti e compilatori (7)17,con estemporanei referenti di notizie sovente anodine (5)18 eversificatori-letterati locali (1)19. Questa conclamata eterogeneità,combinata con l’assenza di un sufficiente inquadramento critico, in piùd’un caso ha tratto in inganno gli studiosi successivi i quali hannotalvolta equiparato notizie diversissime per attendibilità20. L’altro

13 Il biografo, mercante fiorentino in esilio ad Avignone, partendo dai modellipressoché esclusivi di Boccaccio e Bruni, attua un originale compromesso tral’apologia tipica degli antichi lettori e interpreti di Dante («iustificatione»)e la tradizione borghese fiorentina di Villani-Boccaccio-Bruni («laude»). Siveda ora G. FERRANTE, La «lingua salvata»: il ruolo di Dante nell'inedito libro di un mercante in esilio,in Leggere Dante oggi. I testi, l'esegesi, a cura di E. Malato, A. Mazzucchi, Roma,Salerno, 2012, pp. 265-96. Alcune notizie sulla Vita portemi con cortesiadall’autore si trovano in ID., La Vita di Petrarca di Luigi Peruzzi (Ms. Laurenziano Acquisti eDoni 401), «Studi petrarcheschi», XXII, 2010, pp. 193-249. Ancora, A. DE PETRIS,Due biografie dantesche del Quattrocento fiorentino, ora in ID., Ripercorsi filosofici e letterari daPlatone a Ficino, Spoleto, CISAM, 2012, pp. 361-380.14 Si pensi a Filippo di Cino RINUCCINI, Ricordi storici dal 1282 al 1406, a cura di G.Aiazzi, Firenze, Piatti, 1840, pp. XI-XVIII, del 1460 ca., la cui sezionedantesca è largamente derivata da Leonardo Bruni.15 Tralasciando il valore testimoniale e la perizia del singolo biografo, sitratta di: Giovanni Boccaccio (presente anche con testi di diversa natura, ma abuon diritto ascrivibile primariamente al consesso dei biografi), F. Villani,Bandini, Bruni, Manetti, Polenton, Filelfo, Ferretti, Masson, Nicoletti,Zilioli.16 Si tratta di: Benvenuto da Imola, Francesco da Buti, Giovanni Bertoldi daSerravalle, Landino, Vellutello, Dolce, Daniello.17 G. Villani, Stefani, Flavio, Foresti, Schedel, Tritemio, Maffei.18 S. Antonino, Anonimo ferrarese, Anonimo continuatore dello Speculum historiale diVincenzo di Beauvais, Maurolico, Corbinelli.19 Pucci.20 Un esempio non condivisibile di equiparazione di fonti si trova in G.PETROCCHI, Biografia, cit., laddove si vagliano gli antichi biografi sul temadell’ambasceria romana di Dante, alla vigilia del rivolgimento che locostringerà ad esulare da Firenze: «Resta in piedi l’interrogativo se durante leviolenze dei Neri [...] Dante lasciasse tempestivamente Firenze (come nelVillani, nel Boccaccio, in Marchionne di Coppo Stefani) ovvero, proveniente daRoma (e, se si vuole dar credito al Bruni, da Siena [...]), non stimasseprudente ritornarvi»; p. 31. È difficile consentire con tale approccio, poichéBruni sui primi anni dell’esilio di Dante è così ben informato da non potersi

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limite è quantitativo: se, sacrificando l’attendibilità e l’omogeneità incambio di una maggiore ampiezza della silloge, han trovato postotestimoni quasi privi di valore, come Bandini, l’Anonimo ferrarese eperfino Filelfo, non si comprende perché siano stati esclusi non soloreferenti di simile livello (come, tra tanti altri deteriores, il seneseSaviozzo21), ma anche testimoni di notizie magari epigrafiche e peròpreziosissime, quali l’Ottimo, Petrarca, Pietro di Dante, e numerosialtri22.

Introducendo l’analisi delle fonti solertiane, occorre operare unaprima scissione dei 31 contributori in due gruppi. Il primo gruppo prendel’aire da Giovanni Villani e si conclude con Leonardo Bruni, dopo ilquale apporti originali attendibili cessano, con la notevole eccezione diBiondo Flavio ma per motivi, come si dirà, irrefutabili: l’avere avutoegli accesso ad una fonte coeva, l’Epistolarum magister della cancelleriaforlivese Pellegrino Calvi: «Inuunt autem nobis Peregrini Calviforoliviensis, Scarpettae epistolarum magister, extantes literae, crebramDantis mentiones habentes, a quo dictabantur»; il che, a rigor di logica,potrebbe farlo anteporre al maggior Villani. In questo primo gruppo, incui si trovano tutte o quasi le notizie canoniche sulla vita di Dante,l’analisi delle contaminazioni sarà svolta con il massimo livello didettaglio utile, in modo da distinguere gli autori primari da quelliderivati. Il secondo gruppo, da Manetti a Zilioli, vede non soloaffievolirsi il valore testimoniale, ma anche l’insinuarsi di errori efraintendimenti, frammisti ad intenzionali amplificazioni efalsificazioni, per i quali si darà semplicemente l’evidenza delleprincipali fonti identificabili cui attinsero.

lasciare all’arbitrio di ciascun biografo il prestargli credito o meno (e siveda quanto scrive Maggini: «Se conviene prestar fede a Dino Compagni e a Leonardo Bruni, unodei tre ambasciatori fu Dante»; F. MAGGINI, Introduzione, cit., p. 30, ignorandosialtresì da dove provenga la certezza che gli ambasciatori fossero in tutto tre).Inoltre, ad essere precisi, Villani è talmente generico nella descrizionedell’esilio («[Dante, senza colpe] con la detta parte Bianca fu scacciato esbandito da Firenze») da non poter essere opposto frontalmente a Bruni,residuando spazio ad ipotesi conciliative; si aggiunga che Marchionne Stefaninon può essere incluso nel novero dei contributori facenti testo, poiché è fonteintegralmente derivata dal maggior Villani. In conclusione, le due ipotesisull’inizio dell’esilio dantesco, ove si vaglino criticamente le fonti, nonpossono esser poste nel campo dell’equiprobabile.21 E. PASQUINI, Simone Serdini da Siena detto il Saviozzo. Capitolo in lode di Dante, «StudiDanteschi», XXXVIII, 1961, pp. 147-55. Un profilo aggiornato si deve a L.COGLIEVINA, Simone Serdini (Saviozzo), in Censimento dei Commentatori Danteschi. I. I Commenti ditradizione manoscritta (fino al 1480), a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, 2 voll., Roma,Salerno, I, pp. 420-6.22 Più moderni contributi, non sistematici, sul medesimo tema si devono a M.SANTORO, M. C. MARINO, M. PACIONI, Dante, Petrarca, Boccaccio e il paratesto. Le edizionirinascimentali delle «tre corone», Roma, Edizioni dell'Ateneo, 2006; J. BARTUSCHAT, Les Viesde Dante, Pétrarque et Boccace en Italie (XIVe-XVe siècles): contribution à l’histoire du genre biographique,Ravenna, Longo, 2007.

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Giovanni Villani (1270/’75 ca.-1348), per ben note ragioni dipersonale conoscenza e contemporaneità con Dante, è fonte sorvegliata edattendibile. Villani, ancora immune dal fascino postumo che circonfuse ilpoeta fiorentino, fornisce un quadro scarno, diligente e notevolmenteaffidabile della vita del poeta23. Seguendo uno schema che, ovepossibile, verrà ripetuto per i successivi biografi del primo gruppo,osserviamo che Villani nella sua monumentale Cronica sorvola sull’apparatogenealogico dantesco, mentre sulle condizioni familiari si limita adattestare l’antica origine cittadina, del sestiere di Porta S. Piero. Lanascita è posta genericamente al 1265 e l’accreditamento per gli studi ènotevolmente ampio, secondo uno schema che attribuisce a Dante competenzain pressoché tutte le Arti liberali e in teologia. Villani nomina Bolognae Parigi come sedi d’elezione della formazione di Dante, frequentate unavolta consumatosi il bando. Tale accreditamento accademico diventarapidamente un tòpos biografico, cui si conformeranno con maggiore ominore zelo i successivi contributori. Nulla dice Villani della vitaprivata dell’autore (dal rapporto con Beatrice, al matrimonio, allanascita dei figli); epigrafico anche nel delineare gli incarichipubblici, limitandosi a qualificarlo tra i maggiori che al tempo, ossia acavallo di secolo, governassero la città. Su questo punto i successivibiografi, con punte parossistiche nell’Ottocento, hanno talmenteenfatizzato l’importanza del ruolo politico di Dante da indurre perreazione un drastico ridimensionamento a partire dal primo e solobiografo rigorosamente scientifico di Dante, Michele Barbi24. Peraltro labiografia di Villani, che è certamente testimone oculare, attesta cheDante raggiunse a Firenze posizioni pubbliche di tutto rilievo. Quantoall’esilio, Villani ne tace completamente le tappe, ad esclusione dellegià citate Bologna e Parigi, segnalate per la frequenza dei rispettiviStudi. L’anno del rivolgimento politico che portò all’esilio è postocorrettamente al 1301, nominando esplicitamente la spedizione di Carlo diValois. Villani non si sofferma sulle cause politiche e sulle dinamichedi quegli eventi, limitandosi ad ascrivere Dante alla fazione dei guelfiBianchi, mentre egli era notoriamente dei Neri. Ma per Villani Danteresterà sempre un guelfo: per quanto scarna, tale attestazione èdeterminante per dissipare la fama poi creatasi di un Dante esuleghibellino arrabbiato, dovuta all’aver tuonato contro l’invadenza dellaChiesa nelle questioni temporali. La rubrica villaniana dà lumisull’ultimo rifugio, Ravenna, presso i Polentani. Tra gli episodicritici, Villani ci informa dell’ultima ambasceria a Venezia, in23 Tra i più recenti contributi su Giovanni Villani, da segnalare Il Villani illustrato.Firenze e l’Italia medievale nelle 253 immagini del ms. chigiano L.VIII 296 della Biblioteca Vaticana, acura di C. Frugoni, Bologna-Roma-Firenze, Zanichelli, Biblioteca ApostolicaVaticana, Le Lettere, 2005.24 Fondamentali pressoché tutti gli studi danteschi di Barbi. Una bibliografiacompleta dell’autore si trova nel volume, recentemente ristampato, M. BARBI, Lanuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori. Da Dante al Manzoni, Firenze, Sansoni, 1938 (rist.anast. ivi, Le Lettere, 1994).

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occasione della quale il poeta contrasse quella malattia malarica chedoveva essergli fatale. La morte è posta in età di 56 anni, nel 1321,scorrettamente nel mese di luglio. Dai cenni che Villani fa alle operedantesche, emerge ai nostri fini come Dante avesse dettato un’epistola incui si doleva col governo fiorentino del suo esilio incolpevole, epistolapurtroppo perduta ma di cui ritroveremo le tracce circa un secolo dopo,con i contributi di Leonardo Bruni e Biondo Flavio, personaggi tra loronotoriamente legati da comuni interessi culturali. Infine, quanto alleattitudini comportamentali, Villani fa un ritratto molto efficace di unapersonalità dai forti chiaroscuri: gran poeta e filosofo, ma sdegnoso edinsofferente, peritissimo nell’arte della rima e nelle questioni morali,ma altrettanto intemperante e supponente nei conversari.

Complessivamente, allo stato attuale delle ricerche, non vi sonoelementi per inficiare le notizie date dal grande cronista fiorentino, adeccezione del mese della morte che, per il convergere di cogenti indizi,può essere ragionevolmente rettificato da luglio in settembre25. Ilgiudizio sul valore testimoniale di Giovanni Villani è di estremaattendibilità, senza dubbio con rango di fonte primaria.

Antonio Pucci (1310 ca.-1388), verseggiatore fiorentino di secondopiano, dedicò alla memoria di Dante una parte del suo Centiloquio (unariduzione in 91 canti, in terzine, della Nuova Cronica di Villani)26. Lostralcio dantesco consta di poco più di 300 versi. Che Pucci sia debitoreintegrale del grande cronista è del tutto evidente da un pur superficialeesame dei due testi27; tuttavia in rarissimi casi, non rilevati ofraintesi dai moderni biografi, l’autore inserisce alcune notizieautonome che poté avere per ragioni di contiguità e (parziale)contemporaneità con Dante. Pucci segnala per primo l’andata presso laCuria pontificia (v. 162)28, ma soprattutto, primo tra tutti e mai25 Altra menda è al riferimento circa il luogo di sepoltura, secondo Villanidavanti alla porta della Chiesa maggiore che, per antonomasia, dovrebbe essereil Duomo, e non è: Dante fu seppellito presso la chiesa dei frati Minori.L’errore fu forse indotto dal nome della chiesa, allora S. Pietro Maggiore (poiintitolata a S. Francesco). Parimenti, Villani parla dell’epistola del 17 aprile1311, la VII secondo l’attuale ordinamento, esortatoria ad Arrigo di Lussemburgomentre questi (erra il cronista) assediava Brescia, e invece Cremona.26 Recenti contributi su Pucci, di interesse ai presenti fini, sono: L. AZZETTA,Frammenti di storia e poesia nell'Archivio di Stato di Firenze: Rufio Festo, Dante, Antonio Pucci, «ItaliaMedievale e Umanistica», XLVI, 2005, pp. 385-96; Firenze alla vigilia del Rinascimento.Antonio Pucci e i suoi contemporanei. Atti del Convegno di Montreal, a cura di M. BendinelliPredelli, Firenze, Cadmo, 2006; M. CABANI, Sul «Centiloquio» di Antonio Pucci, «Stilisticae Metrica Italiana», VI, 2006, pp. 21-81, in particolare pp. 56-65.27 Si veda R. CELLA, Il «Centiloquio» di Antonio Pucci e la «Nuova cronica» di Giovanni Villani, inFirenze alla vigilia del Rinascimento, a cura di M. Bendinelli Predelli, Fiesole, Cadmo,2006, pp. 85-110.28 Non condivisibile l’osservazione di Petrocchi per cui sarebbe improbabilissimala tappa dantesca ad Avignone, citata da Pucci; cfr. G. PETROCCHI, Biografia, cit.,p. 37. Pucci non parla in realtà di alcuna tappa avignonese, ma di un’andata

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rilevato, specifica il ‘popolo’ in cui Dante ebbe le case: «Ed ebbe lesue case in San Martino / Dov’oggi della lana si fa l’arte» (vv. 147-8).Erra Pucci nel far Dante dei Priori l’anno 1301 (vv. 152-3). Trattandosidi quasi integrale derivazione villaniana, la testimonianza in esame harango secondario, ma è comunque probante per la testimonianza di Villanistesso il recepimento così pedissequo di Pucci che, come s’è visto, avevaagio di qualche riscontro e, all’occorrenza, di qualche marginaleaggiunta.

Giovanni Boccaccio (1313-1375) è, tra i biografi del primo gruppo,quello che più d’ogni altro ha tentato un’indagine esaustiva, secondo iparametri del tempo, sulla vita di Dante29. È evidente il suo impegnopluriennale nel collazionare testimonianze, notizie e testi, talvoltainediti, sul grande poeta. Nocque alla credibilità di Boccaccio la suamarcata tendenza a cristallizzare la narrazione entro canoni topici,inserendo ampie digressioni di gusto scopertamente letterario, quando nonnovellistico, che hanno dato appigli ai suoi futuri detrattori. La primaprova dantesca, viziata da amplificazioni e digressioni gratuite, ma giàricca di dati nuovi, è il Trattatello in laude di Dante che, a quel che risulta30,è da collocarsi intorno al 1351 o poco dopo (prima redazione). Boccaccio

alla corte pontificia («Poi andò in corte»), dove il Papa avrebbe cercato ditrattenerlo («e ’l Papa in sua presenza / Tener lo volle»), ma vanamente («mafue una ciancia»). La certezza di Petrocchi che Pucci si riferisca ad Avignone,anziché a Roma, è discutibile: considerazioni di vicinanza (Antonio fufiorentino e parzialmente contemporaneo di Dante), nonché di aderenza colresoconto dell’ambasceria romana di Dante fornito da una fonte del calibro diCompagni (che, guarda caso, ci dice che Dante fu ambasciatore a Roma e,implicitamente, che fu trattenuto, mentre due suoi colleghi furono invitati arientrare anticipatamente a Firenze per utilità dello stesso papa BonifacioVIII), fanno pendere le probabilità in favore di Roma e, in definitiva,dell’attendibilità di Pucci. Inoltre, se si compie una complessiva ricognizionecritica dell’antica tradizione biografica, si scopre irrefutabilmente che ilmito dell’esule onnipresente di foscoliana memoria si insinuò solo molti annidopo Pucci, parzialmente con Bertoldi da Serravalle (1417) ma sostanzialmente apartire da Gianmario Filelfo, e siamo ormai ad un secolo dai tempi delCentiloquio. Su Pucci dantista, R. ABARDO, Il «Dante» di Antonio Pucci, in Studi offerti aGianfranco Contini dagli allievi pisani, Firenze, Le Lettere, 1984, pp. 3-31.29 Tra i più recenti e significativi contributi su Boccaccio dantista, dasegnalare L. AZZETTA, Vicende d’amanti e chiose di poema: alle radici di Boccaccio interprete diFrancesca, «Studi sul Boccaccio», XXXVII, 2009 , pp. 155-70; S. BELLOMO, Dante lettoda Boccaccio, «Letture classensi», XXXVII, 2008, pp. 31-46; F. FEOLA, Il Dante diGiovanni Boccaccio. Le varianti marginali alla «Commedia» e il testo delle «Esposizioni»,«L’Alighieri», XXX, 2007, pp. 121-34; M. FERRETTI, Boccaccio, Paolo da Perugia e icommentari ovidiani di Giovanni del Virgilio, «Studi sul Boccaccio», XXXV, 2007, pp. 85-110; J. M. HOUSTON, Building a monument to Dante: Boccaccio as «Dantista», Toronto-Londra,University of Toronto Press, 2010.30 Cfr. P. G. RICCI, Le tre redazioni del Trattatello in laude di Dante, «Studi sul Boccaccio»,VIII, 1974, pp. 197-214; V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Firenze,Sansoni, 19973.

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vi tenta una prima ricostruzione genealogica, in parte appigliandosi aquanto dice Dante in occasione dell’incontro con Brunetto Latini: ilCertaldese riferisce dell’antica e nobile stirpe romana dei Frangipaniche, con tal Eliseo, si sarebbe stabilita in Firenze e vi avrebbe datoorigine alla prosapia in cui nacque Cacciaguida. Questi, di elevatacondizione, ebbe in moglie una donna «di Val di Pado», che Boccaccio dicedi Ferrara e che, per una vaghezza tipicamente femminile, volleperpetuare nell’erede il nome della propria stirpe, Aldighieri; il qualnome, per corruzione della ‘d’, divenne poi Alighieri. Nella discendenzadi Cacciaguida, al tempo di Federico II imperatore, nacque Alighieropadre di Dante, nome che, etimologizza Boccaccio, vuol dire a un dipresso ‘colui che dà (dottrina)’31. La condizione familiare è consideratanobile e agiata, mentre la nascita è fissata al 1265, sedente papa UrbanoIV (in realtà Clemente IV). La venuta al mondo del poeta fu preannunciataalla puerpera da un sogno premonitore della futura grandezza, su cuiBoccaccio, amplificando il tòpos letterario, costruisce una improbabiledissertazione. Quanto agli studi, l’accreditamento boccacciano è il piùampio possibile, e vengono fatti a più riprese i nomi di Firenze, Bolognae Parigi come sedi di formazione culturale. Le Arti liberali e lateologia fanno parte del bagaglio intellettuale dantesco, altresìBoccaccio dà conto di altri interessi, in particolare la musica e ilcanto. Gli autori più frequentati sarebbero i classici latini: Virgilio,Orazio, Ovidio e Stazio.

Quanto alla vita privata, Boccaccio dà ampio conto dell’incontro trail novenne Dante e l’ottenne Beatrice, figlia di un cospicuo cittadino,

31 Boccaccio si esprime sul punto nella prima redazione del Trattatello: «[Bella]partorì un figliuolo, il quale di comune consentimento col padre di lui per nomechiamaron Dante: e meritatamente, perciò che ottimamente, siccome si vedràprocedendo, seguì al nome l’effetto»; ed. Solerti, p. 13. Nella redazionecompendiosa: «E di pari consentimento il padre et ella, non senza divinadisposizione, sì come io credo, il nominarono Dante, volendo Iddio per cotalnome mostrare lui dovere essere di meravigliosa dottrina datore»; ibidem. InfineBoccaccio torna ampiamente sul punto nelle Esposizioni; GIOVANNI BOCCACCIO, LeEsposizioni sopra la Comedìa di Dante, a cura di G. Padoan, Milano, Mondadori, 1965,Accessus XXXII, p. 8: «Ma del suo nome resta alcuna cosa da recitare, e pria delsuo significato, il quale assai per se medesimo si dimostra, per ciò checiascuna persona, la quale con liberale animo dona di quelle cose, le quali egliha di grazia ricevute da Dio, puote essere meritamente appellato ‘Dante’. E checostui ne desse volentieri, l’effetto nol nasconde. Esso, a tutti coloro cheprender ne vorranno, ha messo davanti questo suo singulare e caro tesoro, nelquale parimente onesto diletto e salutevole utilità si truova da ciascuno checon caritevole ingegno cercare ne vuole. E, per ciò che questo gli parveeccellentissimo dono, sì per la ragion detta e sì perché con molta sua fatica,con lunghe vigilie e con istudio continuo l’acquistò, non parve a lui dovereessere contento che questo nome da’ suoi parenti gli fosse imposto causalmente,come molti ciascun dì se ne pongono: per dimostrare quello essergli perdisposizione celeste imposto, a due eccellentissime persone in questo suo librosi fa nominare»; ivi, p. 73.

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Folco Portinari, in occasione della festa di Calendimaggio del 1274, cuiAlighiero condusse il figlio. Peraltro, Boccaccio non crede che si siatrattato del primo incontro. La morte di Beatrice ventiquattrenne, nel1290, fu causa di un tale smarrimento che i parenti si videro costrettiad intervenire, procurandogli una moglie. Dando sfogo alla suaproverbiale misoginia, Boccaccio descrive a tinte fosche il menàgeconiugale, fino ai limiti di un divorzio di fatto che avrebbe condottoDante, insofferente alle intemperanze domestiche, a rifugiarsi neglistudi e, venuto il tempo opportuno, negli incarichi pubblici. Laposizione politica che Boccaccio attribuisce a Dante – piuttostoscorrettamente, come già in Graziolo de’ Bambaglioli (1324) e in PietroAlighieri (1341), all’altezza della prima (e probabilmente unica)redazione del suo commento – è genericamente di guelfo, salvo poidipingerlo ghibellino arrabbiato, con un aneddoto romagnolo ambientato altempo dell’esilio. Quest’ultimo sorprende Dante mentre ricopre le massimecariche cittadine, sulla cui importanza Boccaccio indulge finoall’eccesso. L’esilio scaturisce dalle sempre più minacciose voci diarmamenti e violenze imminenti che l’una fazione attribuisce all’altrafinché, temendo le più potenti alleanze degli avversari, Dante e imaggiori della sua parte si danno ad una frettolosa fuga da Firenze.Subito si susseguono le ruberie e le devastazioni, che inacerbisconol’animo del poeta. La moglie, potendo vantare legami parentali con laprincipale famiglia della fazione avversa, i Donati, riesce a limitare idanni ed a mettere in salvo l’essenziale per sopravvivere alla tragicavicenda.

Nella prima fase dell’esilio Dante vaga per la Toscana attendendo unprovvedimento di clemenza. L’atteggiamento è cauto e prudente, mal’amnistia non arriva e l’esule si dirige a Verona, accolto da AlbertoDella Scala (in realtà Bartolomeo). Si porta successivamente inCasentino, da Guido Salvatico di Dovadola; poco dopo è ospite di MoroelloMalaspina, in Lunigiana, dopodiché si porta dai Della Faggiola, nellaregione di Urbino. Le tappe successive, citate prevalentemente per motividi studio, sono Bologna, Padova, ancora Verona, Parigi. Episodio crucialeè la discesa italica di Arrigo VII, che sorprende Dante in Francia,inducendolo a tornare rapidamente in Italia per aderire alla sua impresa.Qui Boccaccio riprende l’errore di Villani circa la sollecitazioneepistolare del 17 aprile 1311, mentre Arrigo starebbe assediando Brescia(in realtà Cremona)32. Fallita la spedizione di Arrigo (1313), Danterientra definitivamente in Romagna, fortemente voluto da Guido da Polentache lo onora nell’ultimo rifugio. Il periodo ravennate sarebbe durato piùanni, dando al poeta l’agio di costituire intorno a sé un piccolocenacolo di giovani professionisti, dediti alle professioni liberali32 Giustamente Petrocchi ha notato che Boccaccio erra nel datare il rientro diDante dalla Francia al tempo dell’assedio bresciano di Arrigo VII (maggio-settembre 1311). L’epistola casentinese del 17 aprile 1311, citata maevidentemente non letta, attesta a chiare lettere che a quell’altezza vi era giàstato un incontro tra il poeta ed il monarca; G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 149.

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(notariato e medicina) e alle lettere. Fino all’ultimo Dante spererà diessere riaccolto in patria e coronato pubblicamente per i suoi meritipoetici. Morirà invece a Ravenna, la sera del 13 settembre 1321, a 56anni. La tomba è posta correttamente da Boccaccio presso la chiesa deifrati Minori e Guido volle per lui grandi onori funebri, tenendo unpanegirico nella casa del defunto al modo ravennate; di più avrebbe fattose una rea sorte non gli avesse tolto di lì a poco la signoria di Ravenna(1322), trovandosi lui a Bologna. Boccaccio è il primo a riferirel’epitafio dettato da Giovanni del Virgilio, di cui attesta lo strettolegame con Dante («Theologus Dantes»).

Il grande novellista inserisce infine una descrizione psicofisica diDante, che resterà celebre e sostanzialmente immutata nei secolisuccessivi, ritraendolo di media complessione, lodevole per costumatezza,morigeratezza, virtù e doti dell’ingegno. Non sono taciute tuttaviaalcune inclinazioni negative, primamente l’eccessiva lussuria e lasmodata vaghezza d’onori, congiunte ad una smaccata presunzione di sé.Notevole, infine, anche per il segno che lascerà nei futuri biografi,l’apparato di episodi critici: la condanna della Monarchia voluta nel1328-‘29 dal cardinale-legato Bertrando del Poggetto, il quale a Bolognanon realizzò l’intenzione di mettere al rogo, oltre che l’opera, anche leossa del suo autore grazie all’intervento riparatore di Pino della Tosa eOstasio da Polenta, in occasione di un convegno bolognese col cardinaleai primi del ‘2933; l’ambasceria al pontefice, in occasione della qualeDante avrebbe detto: «S’io vado chi resta? S’io resto chi va?»,soggiungendo Boccaccio che queste sue parole, invero dall’alone topico,furono intese e raccolte; l’inizio della Commedia in latino («Ultimaregna canam…») prima dell’esilio, con successivo rifacimento in volgare;il ritrovamento in Firenze dei primi 7 canti, in occasione di una ricercadi documenti utili alla moglie Gemma, con agnizione di opera inedita daparte di Dino di Lambertuccio (Frescobaldi), conseguente invio inLunigiana al marchese Moroello Malaspina, presso cui Dante dimorava inquel tempo, e ripresa al canto VIII dell’Inferno («Io dico seguitando...»);l’abitudine di Dante, al tempo del sodalizio con Cangrande, di inviargligruppi di canti inediti del Paradiso, nel corso della travagliata stesura,con susseguente consenso a trarne copia altrui; infine, la dedica delletre cantiche rispettivamente a Moroello Malaspina, Uguccione dellaFaggiuola, Federico d’Aragona.

Tralasciando il sogno materno, di cui s’è già detto, al versanteprevalentemente favolistico appartengono i seguenti: il sogno di Jacopo,secondogenito di Dante, che otto mesi dopo la sua scomparsa avrebbe avutoun visione notturna del luogo in cui si trovavano gli ultimi 13 canti delParadiso, risultati mancanti ed introvabili alla morte del poeta (diquest’episodio, peraltro, Boccaccio chiama a testimone uno dei principali

33 C. RICCI, L’ultimo rifugio di Dante, Milano, Hoepli, 1891, pp. 190-1. Più accessibilela terza edizione curata da E. Chiarini, con aggiunte e Appendici diaggiornamento, Ravenna, Longo, 1965.

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accoliti ravennati di Dante, Piero Giardini); il dialogo delle donnetteveronesi che favoleggiano tra loro delle discese agl’inferi del poetaoltremondano; infine, l’episodio dell’esule assorto nella lettura davantialla stazione d’uno speziale senese, ignaro dei rumorosi festeggiamentiin corso.

Pochi anni dopo, intorno al 1355-‘60, Boccaccio ritornò sullabiografia dantesca e, in un Compendio, la sfrondò e precisò meglio in piùpunti, con evidente sforzo di accuratezza. In primo luogo la dimorabolognese è ora detta durare qualche tempo («non picciol tempo vispese»); al novero degli autori letterari prediletti da Dante siaggiungono quelli più strettamente filosofici: Socrate, Platone eAristotele. All’amore per Beatrice si aggiungono quelli, sommessi allalussuria, per una Pargoletta lucchese e per un’alpigiana gozzuta delCasentino. Viene così riordinata la sequenza delle tappe dell’esilio:Toscana e Lombardia (Verona); rientro in Toscana, in Casentino con GuidoSalvatico; trasferimento in Lunigiana coi Malaspina, poi presso i montiurbinati coi Faggiolani. Si susseguono quindi Bologna, Padova, Verona eParigi. Da collocare, per quel che s’è detto circa la Pargoletta, unadimora in Lucca. Infine, a parte altre modifiche minori, nel riferirel’episodio del ritrovamento postumo degli ultimi canti del Paradiso, forsepercependo l’anomalia del racconto, Boccaccio accredita di maggiorautorevolezza Piero Giardini: «grave di costumi e degno di fede».

Tralasciando la Genealogia Deorum, che non apporta nulla di sostanziale aquanto noto fin qui34, c’è da far menzione delle cospicue novità eprecisazioni introdotte nell’ultima opera di Boccaccio, molto impegnatasotto il profilo dell’esegesi e della ricostruzione storica: le Esposizionisopra il Dante, databili intorno al 1373. Tra le acquisizioni più cospicuela data di nascita, che per testimonianza di Piero Giardini, raccoltadalla voce del poeta in punto di morte, viene posta alla fine di maggio(1265). Compare, come già nei precedenti commentatori a partire da Iacomodella Lana, la notizia del magistero di Brunetto Latini, ma non è chechiosa al testo35. Le notizie sui rapporti con Beatrice vengono34 Solo da notare l’esplicita ammissione del legame di amicizia con Cangrande eFederico d’Aragona re di Sicilia (Geneal. Deor., XIV 9): «Dantes noster FredericoAragonensi, Sycilidum regi, et Cani della Scala, magnifico Veronensium domino,grandi fuit amicitia iunctus».35 A ben considerare, la notizia del magistero brunettiano non è data da altriche da Dante stesso, poiché, sostanzialmente, nessuna fonte fornisce indicazionioriginali di rilievo. Poco persuasiva per il modo di attingere alle più antichefonti è, sul punto, la ricostruzione resa da Petrocchi: «Del magistero diBrunetto su Dante nulla dicono gli antichi biografi, Villani, Boccaccio, ecc.;la notizia compare nel Lana, nel Falso Boccaccio [...] nel Buti, in Benvenuto,ma non è più che chiosa del testo»; G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 31. Ma la notiziadel magistero brunettiano, entro i limiti di mera chiosa indicati dall’insignestudioso, compare in Boccaccio, nelle Esposizioni (Accessus XXXII: «Similmente [...]udì gli autori poetici, e studiò gl’istoriografi, e ancora vi prese altissimiprincipi nella filosofia naturale, siccome esso vuole che si senta per liragionamenti suoi in questa opera avuti con ser Brunetto Latini, il quale in

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dichiarate pienamente attendibili, in virtù di una «fededegna persona»,parentalmente legata alla stessa Beatrice36. Per la prima volta compareil nome della moglie di Dante, Gemma37 e soprattutto viene sviluppataun’analisi storicamente molto più realistica delle fazioni fiorentine inlotta e sulla posizione di Dante quale cittadino neutrale ma schieratocoi Cerchieschi Bianchi, contro i Donateschi Neri. Vengono chiamate incausa le fazioni pistoiesi, che avrebbero appiccato il fuoco della guerracivile in Firenze; si cita il determinante accordo tra Corso Donati epapa Bonifacio VIII, con conseguente evocazione di Carlo di Valois(1301); viene spiegata molto più chiaramente la dinamica del ritrovamentodei primi canti scritti avanti l’esilio, portando in chiaro l’inedita

quella scienza fu reputato sommo». Ancora: «E così mostra l’autore che da questoser Brunetto udisse filosofia, gli ammaestramenti della quale, sì come santi ebuoni, insegnano altrui divenire eterno e per fama e per gloria» (chiosa a Inf.,XV 79-85). Non solo. La svista del «nulla dice il Boccaccio» è lampante per chinoti che il luogo di Francesco da Buti non discende autonomamente dai versidanteschi ma è testuale ripresa da Boccaccio: «E similmente udì nella dettacittà e studiò li autori poetici e storiografi, et ancora imparò altissimiprincìpi nella filosofia naturale, sì com’elli dimostra per li ragionamentiavuti con ser Brunetto Latini, il quale in quella scienzia fu solenne uomo»;Proemio, p. 79 dell’ed. Solerti. Se Petrocchi è comunque nel giusto quandoafferma che le notizie su Brunetto sono mere parafrasi e amplificazioni deltesto dantesco, per Malato vi sarebbe opposizione tra Dante e i suoi biografi-commentatori: «Quel ‘ad ora ad ora’ […] deve intendersi ‘di tanto in tanto’,escluderebbe un rapporto scolastico continuativo – affermato invece da vari commentatoriantichi: Lana, Ottimo, Benvenuto, ecc.»; E. MALATO, Dante, cit., p. 36. DiFrancesco da Buti e Benvenuto da Imola si è già visto trattarsi di passivichiosatori; quanto all’Ottimo, siamo anche qui nel campo della mera chiosa, ariporto del testo dantesco: «E, siccome appare, l’Autore prese da lui certaparte di scienza morale» (chiosa a Inf., XV 25-30). Iacomo della Lana è l’unicoche travalichi la traccia dantesca, ma anche in tal caso l’amplificazione èlegata al testo, e il commentatore sottolinea l’intimità con Brunetto non peraffermare la continuità magistrale, bensì sulla suggestione della ‘letturaastrologica’: «Il qual ser Brunetto fu un tempo maestro di Dante, e fu sì intimodomestico di lui, che li volle giudicar per astrologia, e predisse per la suanatività com’elli dovea pervenire ad eccelso grado di scienzia» (chiosa a Inf., XV31-3). Sul punto è da vedere la nota di G. DESIDERI, Per amor di cosa che non duri(«Inferno» XIII e XV, vv. 80-84), «Critica del testo», II, 1999, pp. 751-70, che dimostrapersuasivamente come quell’«ad ora ad ora», sia da intendersi all’incirca come«giorno dopo giorno».36 Cfr. M. BARBI, Sulla fededegna persona che rivelò al Boccaccio la Beatrice dantesca, in ID.,Problemi di critica dantesca. Seconda serie (1920-1937), Firenze, Sansoni, 1941, pp. 415-20.37 Interessante notare che già a breve distanza di tempo si insinuano le primealterazioni, tipiche delle fonti derivate. Singolarmente infelice quella diBenvenuto: «Benedetta colei che in te se ’ncinse, quasi dicat, benedicta matertua quae portavit te in utero, ita quod quando erat gravida de filio cingebat sesuper ipsum. Et hic nota lector quod mater Dantis fuit vere beata; vocata estenim Gemma, et tamquam gemma praetiosa misit tantam lucem in mundum» (chiosa aInf., VIII 43-5). Alla poco concludente bibliografia su Gemma Donati, si aggiungeda ultimo G. SASSO, Una postilla per Nella e Gemma Donati, «La Cultura», XL, 2002, pp.

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testimonianza di un nipote, per parte di sorella, del poeta: Andrea diLeone Poggi, teste chiave cui si devono probabilmente molte delle notiziepiù accurate presenti nelle Esposizioni. Veniamo a sapere cosìdell’esistenza di un’altra sorella di Dante, oltre alla ben nota Tana,altrimenti sconosciuta. Con precisione che si rivelerà millimetrica,Boccaccio pone a 5 anni circa dopo l’esilio (1306, quindi) l’ordine diGemma ad un procuratore di effettuare ricerche documentarie utili perrichiedere la deconfisca dei beni dotali. È citato il casato(Frescobaldi) di Dino di Lambertuccio, colui che intravide l’assolutanovità dell’opera. Piena conferma della storia del fortunoso ritrovamentoviene da Dino Perini, altro accolito dantesco degli ultimi tempiravennati ascoltato da Boccaccio, eccetto che per l’attribuzione a sé,anziché ad Andrea Leoni, del merito di aver ritrovato il ‘quadernuccio’contenente i famosi versi, poi inviati in Lunigiana alla corte diMoroello. Infine, la data del viaggio oltremondano è posta al 25 marzo1300.

Prima di concludere, un’interessante chiosa di Boccaccio riguardal’atteggiamento di Dante verso la Vita nova, suggestiva eco di un possibileridimensionamento da parte del poeta dell’esito artistico raggiunto nellibello giovanile:

Secondo che io ho già più volte udito ragionare a persone degne di fede,avendo Dante nella sua giovinezza composto questo libello, e poi essendo coltempo nella scienza e nelle operazioni cresciuto, si vergognava d’avere fattoquesto, parendogli opera troppo puerile; e tra l’altre cose di che si dolead’averlo fatto, si rammaricava d’avere inchiuse le divisioni nel testo, forseper quella medesima ragione che muove me; là ond’io non potendolo negli altriemendare, in questo che scritto ho, n’ho voluto soddisfare l’appetito del’autore38.

Complessivamente, sebbene frammista ad inserti novellistici, laricostruzione di Boccaccio va considerata in buona parte originale, inquanto alcune delle notizie da lui fornite non sono riscontrabilianteriormente. Ciò è sufficiente a fare del Certaldese una fonteprimaria, al pari del maggior Villani. Altro discorso è la veridicità diciascuna notizia. Tralasciando gli aspetti spiccatamente aneddotici(sogno materno, insofferenze coniugali, aneddoti veronese e senese,ecc.), i punti dolenti della ricostruzione boccacciana si possono ridurreai seguenti: le origini romane della famiglia, sui cui Boccaccio,peraltro, non fa altro che amplificare uno spunto dello stesso Dante suun tema, quello delle proprie origini, cui era personalmente sensibile;la reale consistenza delle dissertazioni parigine (che il novellistavorrebbe tenute con mirifico sfoggio di dottrina fino a quattordici

443-51.38 Il testo del Boccaccio si trova nell’autografo Chigiano L. V. 176; lacitazione, che ricorre in numerosi contributi, si può leggere in G. GORNI, Danteprima della «Commedia», Firenze, Cadmo, 2001, p. 125.

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contemporaneamente); il sogno di Jacopo, otto mesi dopo la morte delpadre, col ritrovamento degli ultimi tredici canti del poema39; infine,il ritrovamento dei primi canti in Firenze con l’inizio della Commedia inlatino e l’allegato episodio ilariano. Come si vede, a parte gli ultimitre, si tratta di punti, ai fini biografici, del tutto marginali, che senel dare colore all’opera le tolgono in scientificità, tuttavia nonintaccano l’importanza di questa fonte.

Boccaccio, come è ormai prassi della critica più avvertita, va assoltocompletamente dalla taccia di falsificatore, tenendo conto delpluridecennale impegno profuso nel senso di una progressiva sobrietà edocumentabilità delle notizie accolte e, dato decisivo, della immissioneche egli fece di tali notizie nei circuiti dei più illustri tra i suoicorrispondenti, a cominciare da Francesco Petrarca, eliminandosi inradice ogni ipotesi di intenzionale falsificazione40.

Benvenuto Rambaldi da Imola (1325 ca.-1387) scrisse un ben notocommento alla Commedia intorno al 1380, e rappresenta un casoletterariamente molto complesso, risultando peraltro una fonte dilimitato valore, data la sua palese derivazione boccacciana (sia dalTrattatello che dalle Esposizioni)41. Alcuni reperti, tra i molti, ci assicurano39 Sul credito attribuibile al sogno di Jacopo, nei termini in cui ce lo tramandaBoccaccio, svolge ora utili ed interessanti considerazioni A. CASADEI, Sulla primadiffusione della «Commedia», «Italianistica», XXXIX, 2010, pp. 57-66, p. 62.40 Senza entrare nel merito delle lunari accuse di falsificatore portate controBoccaccio da Aldo Rossi (ormai confutate e obliterate dagli studi danteschi), sicita per la sua pregnanza il seguente passo di Giuseppe Billanovich, riferitonell’occasione alla presunta falsificazione delle Ecloghe: «Non crederemo che ilBoccaccio abbia contrabbandato al contiguo Checco Rossi, all’austero Petrarca edall’accademico Pietro [da Moglio] carmi suoi coperti con le etichette del nomecurioso di Giovanni del Virgilio e del nome illustre di Dante»; G. BILLANOVICH,Giovanni del Virgilio, Pietro da Moglio, Francesco da Fiano, «Italia Medievale e Umanistica»,VI, 1963, pp. 203-34, p. 232.41 M. UBERTI, Benvenuto da Imola dantista, allievo del Boccaccio, «Studi sul Boccaccio», XII,1980, pp. 275-319, ha ottimamente descritto il ‘caso Benvenuto’. In occasionedelle sue letture di Dante a Bologna e Ferrara, e poi a fini di compiuta ematura esegesi del poema, l’imolese fornì più di una prova di commento,mostrandosi progressivamente consapevole (e sovente critico molto aspro, comeverso Pietro di Dante e Iacomo della Lana) di gran parte della precedentetradizione commentaristica. La prima prova di cui si abbia ragionevole certezzaè del 1373, come risulta da un’epistola della primavera del 1374, inviata aPetrarca (responsiva della Sen. XIV, 11, del 9 febbraio 1374). La seconda, chefino agli studi di Barbi andava sotto il nome di Stefano Talice da Ricaldone(mero copista del codice), opera di Benvenuto e di un recollector della sua letturabolognese, databile intorno al 1375, in ogni caso dopo la morte di Petrarca, ividato per defunto; la terza, tramandata dal manoscritto Ashburnamiano 839 dellaBiblioteca Laurenziana di Firenze, opera susseguente alla lettura ferrarese diBenvenuto, dell’inverno 1375-‘76, anche in tal caso derivante da recollectarielaborata dallo stesso autore; la quarta, del 1380 circa, versione definitiva,ponderata e perfezionata delle precedenti letture, corrispondente a quella

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di tale dipendenza: la discendenza da Eliseo (Frangipani), l’origineferrarese della «donna di Val di Pado», la pretesa corruzione della ‘d’che segna il passaggio alla grafia ‘Alighieri’, la disquisizione sulnome, sebbene modificata (Benvenuto, etimologizzando a sua volta,aggiunge un Dans Theos che significherebbe, a un di presso, ‘nunzio diDio’42), il sogno della madre di Dante e conseguente spiegazione, lacollocazione della data di nascita «sedente Urbano IV», l’indicazione diFirenze, Bologna, Padova e Parigi quali sedi topiche della formazioneculturale, l’analisi, invero scorretta e sommaria, delle fazionipolitiche derivata dal Trattatello, la ripresa pressoché integrale delladescrizione psicofisica di Dante, la citazione dell’incipit latino dellaCommedia43 e, finalmente, l’episodio delle donnette veronesi dannoscorrettamente edita da J. F. Lacaita nel 1887.42 Scrive Benvenuto: «Ad primum dico, quod autor fuit Dantes Aldigherius, poetaflorentinus, et multis vocabulis designatur. Primo, a vocabulo propriaenominationis, vocatus est enim Dantes, et merito; est enim nomen consequens rei.Dictus est enim Dantes quasi dans se ad multa, dedit namque se universaliter adomnia, ut patebit in discursu huius operis; et omnibus scientiis operam dedit,et praecipue poeticae delectabilissimae scientiarum. Vel dictus est Dantes quasidans theos, idest, Dei et divinorum noticiam»; ed. Solerti, p. 76. Più recenticontributi, significativi ai presenti fini, si devono a: G. C. ALESSIO, Un’edizionesconosciuta del «Comentum» di Benvenuto da Imola, «Rivista di Studi Danteschi», VII,2007, pp. 162-76; A. DE SIMONI, «Alii dicunt...». Il rapporto con la tradizione nel «Comentum» diBenvenuto da Imola («Inferno»), ivi, pp. 243-301; L. FIORENTINI, Per il lessico esegetico di PietroAlighieri e Benvenuto da Imola (in rapporto all'«Epistola a Cangrande» e ad altre fonti), «Bollettino diItalianistica», VII, 2010, pp. 120-55.43 Interessante ai fini della vexata quaestio dell’invidia petrarchesca verso Dantela chiosa che, sul punto, appone Benvenuto: «Alii tamen et multi comuniterdicunt, quod autor cognovit stilum suum literalem non attingere ad tam arduumthema; quod et ego crederem, nisi me moveret autoritas novissimi poetaePetrarcae, qui loquens de Dante scribit ad venerabilem praeceptorem meumBoccatium de Certaldo: “Magna mihi de ingenio ejus oppinio est potuisse eumomnia, quibus intendisset”». Circa i rapporti di discepolato culturaleintercorrenti dal Certaldese all’imolese, da richiamare le loro sicureconversazioni fiorentine in occasione delle pubbliche letture dantesche delBoccaccio in S. Stefano in Badia: «Habet enim Florentia tres circulos, unuminteriorem altero, secundum quod fuit diversis temporibus ampliata; sicut etBononia et Padua. Modo in interiori circulo est Abbatia monachorum sanctiBenedicti, cuius ecclesia dicitur Sanctus Stephanus, ubi certius et ordinatiuspulsabantur horae quam in aliqua alia ecclesia civitatis; quae tamen hodie estsatis inordinata et neglecta, ut vidi, dum audirem venerabilem praeceptorem meumBoccacium de Certaldo legentem istum nobilem poetam in dicta ecclesia» (chiosa aPar., XV 97-9). Vi si aggiungano i seguenti due passaggi: «Sed hic nota quodlicet praedictus sua temeritate cedat ad infamiam Certaldi, tamen temporibusmodernis floruit Boccacius de Certaldo, qui sua suavitate sapientiae eteloquentiae reddidit ipsum locum celebrem et famosum. Hic siquidem JohannesBoccacius, verius bucca aurea, venerabilis praeceptor meus, diligentissimuscultor et familiarissimus nostri autoris, ibi pulcra opera edidit; praecipueedidit unum librum magnum et utilem ad intelligentiam poetarum de GenealogiisDeorum; librum magnum et utilem de casibus virorum illustrium; libellum de

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rassicurazione che Benvenuto sia biograficamente una fonte secondaria diderivazione boccacciana. Va aggiunto però che in taluni casi l’imolesefornisce indicazioni originali44, in primo luogo egli ragionevolmentetralascia la traccia boccacciana in merito alla presunta conversioneghibellina dell’esule:

Et sic nota quod Dantes fuit guelphus et ex guelphis parentibus, quamvismulti contrarium dicere et affirmare conentur, vel ex ignorantia, vel exanimositate [...]. Tamen autor noster guelphus originaliter, post expulsionemsuam factus est ghibelinus, imo ghibelinissimus, sicut aperte scribit Boccaciusde Certaldo in suo libello de vita et moribus Dantis; unde, quod ridenterrefero, quidam partificus, hoc audito, dixit: vere hic homo numquam facerepoterat tantum opus, nisi factus fuisset ghibelinus (chiosa a Inf., X 43-5).

Benvenuto aggiunge notizie di area padovana fin qui inedite,collocandovi un incontro di Dante con Giotto, tra i quali si sarebbesvolto un dialogo il cui doppiofondo è topico al punto da indurre lostesso commentatore a sottolineare l’inserto da Macrobio45. Egli fornisce

mulieribus claris; librum de fluminibus; et librum Bucolicorum etc.» (chiosa aPar., XVI 49-51); «Et hic volo te notare, quod invenio communiter multosdicentes, quod iste fuit alter Federicus pisanus, quem Marciuchus pater dominiJohannis Scornigiani terribili ictu interfecit, quia ille pisanus occideratfilium eius. Ego tamen audivi a bono Boccatio de Certaldo, cui plus credo, quodMarciuchus fuit quidam bonus vir in civitate Pisarum, fraticellus de domo, cuicomes Ugolinus tyrannus fecit truncari caput, et mandavit, quod corpusrelinqueretur insepultum. Sed iste paterculus de sero humiliter accessit adcomitem, et velut quidam extraneus, quem negotium non tangeret, dixit sinelacrymis, sine aliquo signo doloris: Certe, domine, esset de honore vestro, quodille pauper occisus sepeliretur, ne esca canibus crudeliter relinquatur. Tunccomes recognoscens eum, stupefactus dixit: Vade, quia patientia tua vincitduritiem meam; et continuo Marciuchus ivit, et tradidit filium sepulturae»(chiosa a Purg., VI 16-8). Non mancano prove di diretta frequentazione traBenvenuto e lo stesso Petrarca: «Per hoc autem dat intelligi, quod vir sapienscum ratione sedat importunum appetitum edendi et bibendi cum cibis vulgaribus etgrossis et vinis vilibus, imo saepe cum aqua, sicut ego vidi in moderno poetaPetrarca, qui saepe comedebat carnes bovinas et dimittebat fasianinas et notaquod praecipue hoc fuit verum de facto in ipso autore, quia fuit summe sobriuset temperatus, unde erat solitus dicere quod isti gulosi vivunt proptercomedere, et non comedunt propter vivere» (chiosa a Inf., VI 25-7).44 Non si includono in questi (rari) casi le mere variazioni su temi boccacciani,come ad esempio la lieve alterazione che l’Imolese compie del dialogointervenuto tra il marchese Moroello e Dante al momento della riconsegna deicanti ritrovati.45 «Et hic nota, lector, quod poeta noster merito facit commendationem Giotti,ratione civitatis, ratione virtutis, ratione familiaritatis. De isto namqueGiotto faciunt mentionem et laudem alii duo poetae fiorentini, scilicetPetrarcha et Boccatius, qui scribit, quod tanta fuit excellentia ingenii etartis huius nobilis pictoris, quod nullam rem rerum natura produxit, quam istenon repraesentaret tam propriam, ut oculus intuentium saepe falleretur accipiensrem pictam pro vera. Accidit autem semel quod dum Giottus pingeret Paduae, adhuc

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anche un’indicazione temporale del celebre episodio della rottura delbattezzatorio, fugacemente ricordato nel canto XIX dell’Inferno46. Duenotizie epigrafiche riguardano rispettivamente l’assassinio di Geri delBello il quale, stando all’imolese (ma la notizia è già nell’AnonimoLatino)47, sarebbe stato vendicato 30 anni dopo l’omicidio (quindi nonprima del 1317), perpetrato da uno dei Sacchetti48, e le ragionidell’astio che Dante covava per i Cavicciuli-Adimari, lampantenell’episodio di Filippo Argenti49. Altre due notizie a meritare menzioneriguardano, la prima, l’incontro tra Dante e i cattani da Medicina: «Addomum istorum pervenit semel Dantes, ubi fuit egregie honoratus» (chiosaa Inf., XXVIII 70-5); la seconda riguarda Ghino di Tacco:

satis juvenis, unam cappellam in loco ubi fuit olim theatrum, sive harena,Dantes pervenit ad locum: quem Giottus honorifice receptum duxit ad domum suam,ubi Dantes videns plures infantulos eius summe deformes, et, ut cito dicam,simillimos patri, petivit: “Egregie magister, nimis miror, quod cum in artepictoria dicamini non habere parem, unde est, quod alienas figuras facitis tamformosas, vestras vero tam turpes!”. Cui Giottus subridens, praesto respondit:“Quia pingo de die, sed fingo de nocte”. Haec responsio summe placuit Danti, nonquia sibi esset nova, cum inveniatur in Macrobio libro Saturnalium, sed quia natavidebatur ab ingenio hominis» (chiosa a Purg., XI 94-6). Come nota LucaFiorentini: «Si noti, più che altro a titolo di curiosità, che anche altroveBenvenuto accosta i Saturnali di Macrobio (I VI 28-9) alla casata padovana degliScrovegni: “Hic autor describit alium magnum foeneratorem paduanum, quemsimiliter describit ab armatura suae gentis: iste fuit quidam miles de Padua,qui vocatus est dominus Raynaldus de Scrovignis, vir ditissimus in immensum.Scrovigni autem portant porcam azurram in campo albo, et inde denominati sunt,sicut et quidam nobilis romanus cognominatus est Scroffa, ut refert Macrobiuslibro primo Saturnalium» (chiosa a Inf., XVII 64-6; Comentum, I, p. 573)»; L.FIORENTINI, Il commento dantesco di Benvenuto da Imola. L’elaborazione letteraria delle fontistoriografiche e cronistiche, Dottorato di ricerca in Filologia, Linguistica eLetteratura, XXIV ciclo; tutor prof. G. Inglese, Università degli Studi LaSapienza, Roma, a.a. 2010-’11, p. 579 e n..46 Due i passaggi che consentono la collocazione temporale. Nel primo Benvenutoriferisce che Dante era in quel momento dei Priori: «Clamantibus ergo pueris,qui illum juvare non poterant, factus est in parva hora magnus concursus populi;et breviter nullo sciente aut potente succurrere puero periclitanti, supervenitDantes, qui tunc erat de Prioribus regentibus» (chiosa a Inf., XIX 19-21); nelsecondo Benvenuto lascia intendere l’anno: «Et sic nota quod Dantes fuitguelphus et ex guelphis parentibus, quamvis multi contrarium dicere et affirmareconentur, vel ex ignorantia, vel ex animositate. Et ut alias rationes omittam,Dantes non fuisset Florentiae in magno statu, et in MCCC unus de regentibus etregnantibus, si fuisset ghibelinus nobilis, quum iam per tot tempora anteghibelini essent expulsi et dispersi de Florentia» (chiosa a Inf., X 43-5). Cfr.G. INDIZIO, La profezia di Niccolò e i tempi della stesura del canto XIX dell’«Inferno», «StudiDanteschi», LXVII, 2002, pp. 73-97.47 E’ opportuno ricordare che l’Anonimo Teologo (1336 ca.) si era già espresso intal senso: «Dicit autor quod iste Gerius fuit germanus domini Cionis de Bello etconsanguineus Dantis, quem occiderunt alii de domo de Sachettis de Florentia,cuius mors non fuit vindicata in spacio xxxta annorum; post xxx annum filijdomini Cionis fecerunt vindictam, qui occiderunt unum de Sachettis». La vicenda

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Ideo, lector, volo quod scias, quod iste Ghinus non fuit ita infamis, utaliqui scribunt, quod fuerit magnus sicarius et spoliator stratarum. Iste namqueGhinus Tacchi fuit vir mirabilis, magnus, membratus, niger pilo, et carnefortissimus, ut Scaeva levissimus, ut Papirius Cursor prudens et largus; fuit denobilibus de la Fratta, comitatus Senarum; qui expulsus viribus comitum deSancta Flora occupavit nobilissimum castrum Radicofani contra papam (chiosa aPurg., VI, 13-5)50.

L’imolese segnala il debito di Dante verso Riccobaldo da Ferraraall’altezza dell’omicidio di Obizzo II d’Este ad opera del ‘figliastro’Azzo VIII (1293)51; debito storiografico cui gli storici successivi hannodato corpo52. Da aggiungere la notazione per cui Dante colloca l’avviodel viaggio oltremondano il venerdì santo dell’anno giubilare:

di Geri del Bello viene riferita anche, ma con minori dettagli, dall’Ottimo(1334 ca.) e da Andrea Lancia (1342).48 «Ad cognitionem istius nominati est sciendum, quod Gerius iste vir nobilisfuit frater domini Cioni del Bello de Aldigheriis; qui homo molestus etscismaticus fuit interfectus ab uno de Sacchettis nobilibus de Florentia, dequibus fiet mentio capitulo xvi Paradisi, quia seminaverat discordiam interquosdam; cuius mors non fuit vindicata per spatium triginta annorum. Finaliterfilii domini Cioni et nepotes praefati Gerii, fecerunt vindictam, quiainterfecerunt unum de Sacchettis in ostio suo» (chiosa a Inf., XXIX 25-7). Secondogli studi di Piattoli, è verosimile che la vendetta dell’omicidio di Geri avesseluogo ad opera dei figli di Cione del Bello (Lapo e Bambo) intorno al 1305, ilche rende implausibile il lasso di 30 anni posto da Benvenuto visto che nelnovembre 1280 Geri era ancora tra i vivi (Geri morirà il 15 aprile 1287); cfr.voci dell’ED Alighieri, Geri, Alighieri, Lapo e Alighieri, Bambo a cura dello stesso Piattoli.49 «Hic Cacciaguida memorat aliam familiam numerosam valde, quam multipliciterinfamat ab extraneitate, a vilitate, et a crudelitate. Ad quod est praesciendum,quod isti vocantur Adimari, et alio nomine Caviccioli, ex quibus fuit unusnomine Boccaccinus, quem Dantes offenderat tempore quo erat in statu. Quare illepost exilium autoris impetravit in communi bona eius, et semper fuit sibiinfestus, et totis viribus semper obstitit cum consortibus et amicis, ne autorreverteretur ad patriam. Quare autor facit altam vindictam cum penna, quam nonpotuit facere cum spata» (chiosa a Par., XVI 115-20).50 La notazione è rilevante poiché ci mostra un Benvenuto piuttosto beninformato, di contro agli errori di commentatori danteschi e agli eruditilocali; d’obbligo il rimando a G. CECCHINI, Ghino di Tacco, «Archivio StoricoItaliano», CXV, 1957, pp. 263-85, p. 264.51 Benvenuto scrive: «Et [auctor] tangit mortem eius violentam, quia infamiafuit, quod cum infirmaretur, Azo filius fecerit ipsum iuvari citius mori. Hocautem habuit Dantes a Ricobaldo Ferrariensi magno chronichista, qui tuncvivebat, et qui hoc scribit in chronicis suis, qui dicit, quod Azo mortuus estin Castro Estensi, cum timeret necem sibi inferri a familiaribus, sicut Obizonipatri intulerat» (chiosa a Inf., XII 109-12).52 Cfr. A. F. MASSERA, Dante e Riccobaldo da Ferrara, «Bullettino della Società DantescaItaliana», XXII, 1915, pp. 168-99; C. T. DAVIS, L’Italia di Dante, Bologna, Il Mulino,1988.

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Sed antequam descendam ad expositionem litterae, oportet praenotare quodautor noster fingit se habuisse hanc mirabilem salutiferam visionem in MCCCanno, scilicet Jubilaei, in quo erat generalis indulgentia peccatorum, et in dieVeneris sancti, in quo facta est redemptio peccatorum, ita quod merito autorpoterat bene sperare in sui conversionem et operis prosperationem» (chiosa a Inf.,I 1).

Tuttavia, si tenga presente che per Benvenuto – e con lui l’interaesegesi trecentesca – il venerdì santo del 1300 fu nel mese di marzo:

Est autem hic notandum, quod autor per istam descriptionem temporis tangitocculte tempus, in quo incoepit istud arduum opus. Incoepit enim, ut jam totiensdictum est, in MCCC circa medium mensis martii, in die veneris sancti, quiapascha fuit martiaticum (chiosa a Inf., XXI 112-4).

Di qualche interesse le notizie raccolte da Benvenuto di areadolciniana. Scrive Luca Fiorentini:

[Circa] l’utilizzo, nel commento benvenutiano, di materiali provenientidall’Historia Dulcini, se è innegabile la convergenza di alcune notizie – su tutte:la scena del martirio, narrata in termini simili anche dal Falso Boccaccio, e ilcenno alla fermezza dell’eretico –, i racconti si discostano sensibilmente sumolti punti: l’Anonimo sincrono, per esempio, riferisce che Margherita fu uccisaprima di Dolcino, e non dopo, come testimoniano Benvenuto e il Falso Boccaccio.Sembra fuori di dubbio […] che l’imolese conoscesse il testo delle Chiose sopraDante; ma è più che probabile che sulla crociata contro i dolciniani e sulmartirio del frate avesse informazioni […] autonome – nulla vieta di credere […]che queste informazioni venissero proprio dalla fonte menzionata alla fine dellachiosa: «Huius Dulcini fuit medicus magister Raynaldus de Bergamo, cuius neposmihi multa narravit de homine isto»53.

In ultimo, l’imolese aggiunge un’insignificante facezia veronese, inlinea con la fama dantesca di arguto proponente di motti e paradossi54.Complessivamente, dal punto di vista strettamente biografico, Benvenutoci si rivela fonte di limitata utilità, salvo che per poche notizieoriginali, per le quali può vantare credito di qualche verosimiglianza.

Di scarso rilievo le notizie offerte dal frate carmelitano Francescodi Bartolo da Buti (1325 ca.-1406), il quale sul versante biograficoderiva integralmente da Boccaccio55. Il frate pisano attinge

53 L. FIORENTINI, Il Commento di Benvenuto, cit., p. 301.54 Come rileva Luca Fiorentini: «Nelle sue chiose su Sapìa (Pg., XIII 112-4 […]),Benvenuto racconta un aneddoto (inattestato) sulla donna senese che sembraavvicinarsi vagamente a questi modelli narrativi e tematici: “Audivi, quod istamaledicta mulier erat ita infuriata mente, quod conceperat et praedixerat sepraecipitaturam desperanter de fenestra si senenses fuissent illa vice victores(Comentum, III, pp. 367-8)»; ID., Il commento dantesco, cit., p. 154 e n..55 F. FRANCESCHINI, «Si petis de patria, sum pisanus»: la presa di Caprona e altri momenti di storia pisananell'opera di Francesco da Buti, «Bollettino storico pisano», XXV, 2006, pp. 103-27.

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prevalentemente al Trattatello, come dimostrano numerosi prestiti: dallaripresa verbatim circa la predisposizione agli studi e la tappa parigina,all’indicazione del giorno della morte e alla descrizione delleinclinazioni negative del poeta. Pochissime, controverse e inverificabilile notizie autonome riferite da Francesco, la prima riguarda l’adesionedi Dante adolescente all’Ordine minoritico, citata in occasione delsimbolico lancio della corda (chiosa a Inf., XVI 91):

In questi sei ternari l’autor nostro pone una notabile e bella finzione,dicendo così: Io, cioè Dante, avea una corda intorno cinta. Questa corda ch’elliavea cinta significa ch’elli fu frate minore, ma non vi fece professione, neltempo della sua fanciullezza56.

Sebbene fonti frammentarie, tarde e scarsamente attendibili riprendanola notizia di Da Buti (fra’ Mariano da Firenze e frate Antonio Tognocchida Terrinca, reperiti nel medio Settecento da Giuseppe Pelli57), di unasimile eventualità non c’è alcuna traccia né verosimiglianza58. Apportooriginale del carmelitano riguarda la citazione dell’epitafio che sileggeva sulla (allora) tomba di Dante: «Iura Monarchiae...», senzaperaltro dircene l’autore (che per l’errata communis opinio dei dantologi èBernardo Scannabecchi)59. Complessivamente trattasi di fontebiograficamente derivata e, quanto ai punti topici della vita di Dante,pressoché irrilevante.

Non più di brevi cenni derivati dal Villani si trovano nell’epigraficarubrica di Baldassarre (detto Marchionne) di Coppo Stefani de’ Bonaiuti(1336-1385): la descrizione telegrafica delle condizioni familiari, lanotizia sugli studi di Dante e l’indicazione della posizione di (guelfo)Bianco sono altrettante sicure riprese villaniane. In particolare,dicendo «ed andò in istudio», e riscontrando la notizia sulcorrispondente luogo della Cronica, diremo l’autore intenda riferirsi alloStudio di Bologna. Marchionne aggiunge che l’esilio durò circa vent’anni

56 Da Buti ritorna sul punto all’altezza di Purg., XXX 42: «Per questo appare che’l nostro Autore infine quando era garzone s’innamorasse della Santa Scrittura,e questo credo che fusse quando si fece frate dell’ordine di san Francesco, delquale uscitte innanzi che facesse professione».57 G. PELLI, Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri ed alla storia della sua famiglia, Venezia,Zatta, 1759.58 Nota Barbi: «Quella del Buti non è testimonianza attendibile [...] egli avràdedotto la notizia di Dante frate minore dal testo del poema [...]. Si citaanche la testimonianza di fra Mariano da Firenze e di Antonio da Terrinca, maessi dicono che Dante si fece terziario, non minore, e soltanto negli ultimianni [il che] è altra cosa; e i terziari portavano la cintura di cuoio, non lacorda»; M. BARBI, Per l’interpretazione della «Divina Commedia», in ID., Problemi di criticadantesca. Prima serie (1893-1918), Firenze, Sansoni, 1934, pp. 197-303, p. 241.59 Sul complesso tema dei più antichi epitafi danteschi sia consentito il rimandoa G. INDIZIO, Saggio per un dizionario dantesco delle fonti minori. Gli epitafi danteschi: 1321-1483,«Studi Danteschi», LXXV, 2010, pp. 269-323.

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e dà il mese esatto della morte (settembre). Anche in tal caso, come sipuò facilmente dedurre, siamo di fronte ad un testimone di scarso valorebiografico.

Con il successivo autore, Filippo Villani (1325 ca.-1407), nipote exfratre di Giovanni, ritornano pochi ma importanti apporti originali. Labiografia di Filippo, cui si possono aggiungere magri ma interessantiinserti dal commento ch’egli fornì del canto proemiale del poema, è inbuona parte derivata da testi boccacciani, il Trattatello come le Esposizioni:dalla descrizione delle origini dinastiche e delle condizioni familiari,alla descrizione delle divisioni politiche di Firenze e dellaconformazione psicofisica di Dante, fino alla data di nascita (incluso ilgiardiniano exeunte maio60), all’ultimo rifugio polentano ed a gran partedell’aneddotica boccacciana (il sogno di Jacopo, il ritrovamento dellaprima bozza dei canti e la riconsegna in Lunigiana, i primi presuntiversi latini, ecc.), ci viene la sicurezza del fondamentale debito diFilippo verso il Certaldese61. Tuttavia, anche per testimonianze uditedallo zio Giovanni, Filippo fornisce aggiunte di rilievo. La famigliadella «donna di Val di Pado» non sarebbe di Ferrara ma di Parma, laddovela scelta di Ferrara sarebbe da ricondurre al servilismo verso ilmarchese Niccolò d’Este. Fatto sta che l’accusa è fuori centro riferita aBoccaccio; semmai potrebbe riguardare Benvenuto, che effettivamentededica il suo commento all’Estense ed accoglie la nazione ferraresedell’ava di Dante: ma il grande novelliere ne è immune62. È di Filippo la

60 Occorre specificare che Filippo esplicita tale notizia nel suo commento alprimo canto dell’Inferno; cfr. F. VILLANI, Expositio seu comentum super «Comedia DantisAllegherii», a cura di S. Bellomo, Firenze, Le Lettere, 1989, p. 39. Di Bellomo dasegnalare il fondamentale contributo alla conoscenza dei commentatori danteschi:ID., Dizionario dei commentatori danteschi. L’esegesi della «Commedia» da Jacopo Alighieri a Nidobeato,Firenze, Olschki, 2004. Più recentemente, da segnalare il capitale strumento diconoscenza sul secolare commento, Censimento dei commenti danteschi. I commenti di tradizionemanoscritta (fino al 1480), a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma, Salerno, 2011.61 Da notare la ripulsa finale che Filippo compie circa l’inserto boccacciano delsogno materno.62 L’incongruenza dell’obiettivo polemico di Filippo fu già notata da G. PELLI,Memorie, cit., p. 17. Che Benvenuto sia bersaglio polemico di Filippo si deduceanche dalle non velate accuse di servilismo rivolte a chi (Benvenuto, appunto)vorrebbe accreditare una residenza ferrarese di Eliseo Frangipani antecedente aquella fiorentina. Da notare che Filippo presumibilmente dispose di una dellerecollectae di Benvenuto da Imola, derivante dal codice Ashburnamiano 839, copiatoda frate Tedaldo della Casa di cui Filippo era amico. Resta traccia di questaesplorazione di Filippo in alcune chiose autografe interlineari e marginalipresenti nell’Ashburnamiano; cfr. C. PAOLAZZI, Le letture dantesche di Benvenuto da Imola aBologna e a Ferrara e le redazioni del suo «Comentum», «Italia Medievale e Umanistica»,XXII, 1979, pp. 319-66; M. UBERTI, Benvenuto, cit., pp. 276 e sgg. Piùrecentemente L. C. ROSSI, Tre prefazioni di Benvenuto da Imola e Niccolò d’Este, in Il Principe e laStoria, a cura di T. Matarrese e C. Montagnani, Novara, Interlinea, 2005, pp.201-21.

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notizia – confermata da documenti – che il nome esteso del poeta fosseDurante, sincopato in Dante, nonché l’enfasi sulla posizione moralisticaassunta dal Dante esule. Nella sua biografia Filippo rielabora insieme inoti episodi del ritrovamento dei 7 canti e dell’inizio in latino dellaCommedia, riassumendoli come segue: i primi 7 canti vel circiter sarebberostati scritti in latino, e l’autore riferisce il celebre incipit ilariano:«Ultima regna canam...». Filippo ci dice anche che Dante:

intellexit non satis ad votum opus respondere. Cumque se potentiorem eavulgari eloquentia sentiret [...] se ad componendum vulgarem famosissimamcomoediam convertit.

Che la rielaborazione del minor Villani non sia acritica rifusionedelle notizie di Boccaccio ci è assicurato da un passo contenuto nelcommento al canto proemiale, in cui l’autore rivela:

Audivi, patruo meo Johanne Villani hystorico referente, qui Danti fuit amicuset sotius, poetam aliquando dixisse quod, collatis versibus suis cum metrisMaronis, Statii, Oratii, Ovidii et Lucani, visum ei fore iuxta purpuram ciliciumcollocasse. Cumque se potentissimum in rithmis vulgaribus intellexisset, ipsissuum accommodavit ingenium. Amplius aiebat vir prudens id egisse ut suum idiomanobilitaret et longius veheret, addebatque sic se facere ut ostenderet etiamelocutione vulgari ardua queque scientiarum posse tractari (Expositio, pref. 225).

Si tratta, se non di falso intenzionale, di una rilevante conferma (aben vedere di Giovanni Villani prima che di Filippo) del dibattito sortofin da tempi antecedenti l’esilio, che Dante dové affrontare circa l’usodel volgare per opere di dottrina; dibattito già accennato da Boccaccionel Trattatello, per il quale Dante trascurò il latino per il volgare acausa del deplorevole stato culturale dei suoi tempi.

Ultimi inserti di Filippo riguardano la notizia, ribadita sia nella Vitache nell’Expositio, sull’inizio degli studi preparatori alla Commedia findal 1290, allorché per la morte di Beatrice Dante ricevette un poderosostimolo a comporre un’opera di intentata altura; si aggiungano leprecisazioni sulla sequenza di alcune tappe dell’esilio: dalla Lunigiana(1306 circa) al Casentino, dove Dante sarebbe stato qualche tempo edavrebbe pubblicato parte dell’opera in corso, fino alla (seconda) dimoraveronese, che per Filippo (unico che lo attesti) sarebbe durata circa 4anni. Infine, sono dati dettagli inediti sull’ambasceria veneziana.Secondo Filippo la Signoria veneziana, che stava in quel periodoallestendo un non irrilevante sforzo militare contro Ravenna perquestioni incidenti sul traffico di sale, impedì a Dante, ambasciatoreaccreditato dai Polentani, di tenere il proprio intervento. Lamotivazione, dall’alone topico, risiederebbe nell’irresistibile fascinodella parola dantesca; Dante, già preda delle febbri malariche chedovevano essergli fatali, sarebbe stato costretto a proseguire perRavenna via terra anziché via mare, per timore che la sua eloquenzapotesse far deflettere l’ammiraglio dalle operazioni navali. Il viaggio

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lascerà il poeta allo stremo, sicché a Ravenna «paucis post diebusextinctus est»63.

Sulla data del viaggio oltremondano Filippo segue da vicino Benvenuto,sicché è da credere - per quel che s’è notato a suo luogo - che il giornodi venerdì santo cada nel mese di marzo 130064. A meno di millantatocredito, le poche notizie, ma rilevanti, che Filippo apporta, speciequando poste sotto il sicuro usbergo del grande zio, sono da ritenereattendibili. Complessivamente la testimonianza del minor Villani,portatrice di notizie non reperibili in altri contributori, ha un rangonon distante da fonti primarie quali Giovanni Villani e GiovanniBoccaccio, senz’altro superiore rispetto a fonti quali Stefani o da Buti.

Con il canonico aretino Domenico Bandini (1335 ca.-1418) torniamo nelnovero di autori il cui contributo biografico originale è di scarsovalore65. L’autore si limita ad accogliere notizie reperibili in altrefonti, in particolare: Boccaccio (sia dal Trattatello che dalle Esposizioni) e

63 Sul punto non ineccepibile l’uso delle antiche fonti di Petrocchi: «Ormai è dascartare la leggenda del nipote del Villani, Filippo, secondo cui i Venezianiavrebbero impedito a Dante di pronunziare la propria allocuzione nel timore chene restassero persuasi, e poi avrebbero negato a Dante il permesso di ritornareper via di mare (via tanto più salubre), nel timore questa volta che Danteportasse dalla propria parte l’ammiraglio della flotta. La leggenda, daespungere, può al massimo essere assunta a riprova delle capacità di mediazionee di persuasione del vecchio glorioso ambasciatore, e fors’anche per consentireal ‘nero’ Villani di scaricare su altri la colpa della malattia e della mortedel grande concittadino, tale anche se esule»; G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 221.Senza negare la possibilità di errori ed amplificazioni da parte del minorVillani, sarebbe stato preferibile si fosse dapprima esaminata l’attendibilitàdella fonte e solo dopo, eventualmente, la si fosse svalutata (e, si converrà,la qualifica di ‘Nero’ è anacronistica riferita a Filippo). Passando al merito,il movente che Petrocchi invoca è poco convincente in quanto Filippo, col suoracconto, non sollevava la coscienza di alcuno: egli, mentre scrive, lasciainequivocabilmente intendere che Dante contraesse la malattia a Venezia, prima chegli negassero il transito per la salubre via marittima: «Cumque poeta inauditus,laborans febribus, commeatum per ora maris ad Ravennam precibus postulasset, illimaiori laborantes insania penitus, denegaverunt»; ed. Solerti, cit., p. 86.64 Diversamente Bellomo, in F. VILLANI, Expositio, cit., segnala in nota che ilvenerdì santo corrisponde all’8 aprile (p. 40). Tuttavia riscontrando il luogodi Filippo sul corrispondente luogo di Benvenuto, fonte dell’Expositio,l’attribuzione si rivela molto dubbia. Scrive Filippo: «In millesimo verotrecentesimo, anno Iubilei, et in die Veneris Sancti»; e Benvenuto: «In MCCCanno, scilicet Iubilaei, in quo erat generalis indulgentia peccatorum, et in dieVeneris sancti». Per un esame del secolare commento, concordemente orientato peril mese di marzo del 1300, sia consentito il rimando a G. INDIZIO, Pietro Alighieriautore del «Comentum» e fonte minore per la vita di Dante, «Studi Danteschi», LXXIII, 2008,pp. 187-250, in particolare pp. 226-36.65 Su Bandini il contributo più recente si deve a P. VITI, Domenico Bandini professoree umanista, in 750 anni degli Statuti universitari aretini, a cura di F. Stella, Firenze,Sismel – Edizioni del Galluzzo, 2006, pp. 317-36.

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Filippo Villani. Del primo sono rivelatori i prestiti relativi alleorigini familiari, l’anno della nascita «sedente Urbano IV», la citazionedella Pargoletta lucchese, la descrizione dei dissidi politici trafazioni, il ritrovamento dei canti fiorentini (con corruzione di Dino diLambertuccio in Dino di Albertuccio), la data di morte, la data delviaggio oltremondano, fino alla ripresa testuale, in occasionedell’ambasceria al pontefice, della frase topica «S’io vado chiresta...». Cospicue le derivazioni da Filippo Villani, come ci assicuranola notazione del nome esteso Durante, sincopato in Dante, l’interaripresa polemica anti-ferrarese circa la «donna di Val di Pado», ladefinizione delle tappe dell’esilio (dal Casentino a Verona, per unquadriennio in cui Dante avrebbe sospeso la composizione dell’opera,infine a Ravenna). Dal minor Villani Bandini apprende anche il dibattitosui limiti nell’uso del latino, tralasciato, nella versione villaniana,per il non corrispondere all’impresa i mezzi artistici del poeta.Domenico riassume da Filippo la drammatica vicenda dell’ultima ambasceriaveneziana e anche in tal caso le febbri colgono Dante mentre si trova aVenezia. Da notare che Bandini conosce gli aneddoti petrarcheschisull’insofferenza della corte Scaligera all’intemperanza verbale delpoeta66. Notevole la degradazione dell’episodio parigino, secondo cui alritorno dal celebre Studio i concittadini di Dante l’avrebbero avuto intal grado da innalzarlo ad regimen civitatis. Altro errore di Bandini ènell’attribuire gli epitafi «Inclita fama» e «Iura Monarchiae...» aGiovanni del Virgilio. Di un certo interesse l’accostamento alla Monarchiadi un passo di Bartolo da Sassoferrato, sommo giurista mediotrecentesco;irrilevante ai nostri fini, la citazione dell’epitafio colucciano(«Stirpis Alagheriae sublimis...»).

Complessivamente il contributo biografico originale di questa fonte èpressoché nullo.

Allo stesso livello di Bandini può essere posto il successivocontributore, dotto teologo e, a beneficio dei correligionari convenutial Concilio di Costanza (1416-’17), traduttore e commentatore dell’interaCommedia, Giovanni Bertoldi da Serravalle (1360 ca.-1445)67. La fontefondamentale di Bertoldi è Boccaccio (quello del Trattatello così comequello delle Esposizioni), come ci assicurano i consueti prestiti sullaorigine romana della famiglia di Dante, la nazione ferrarese della «donnadi Val di Pado», l’incontro di Calendimaggio con Beatrice, la descrizionedei dissidi politici tra fazioni ed altri inserti minori (da segnalare66 Per un’equanime disamina di veda la voce Petrarca, Francesco, curata da M. Feo perl’ED, IV, p. 450-8.67 Di interesse ai presenti fini P. DI SOMMA, Fra’ Giovanni da Serravalle. Un antico dantistapoco noto, «Cenacolo Serafico», XXI, 1969, pp. 146-59; G. FERRANTE, Il commentodantesco di Giovanni da Serravalle e l’ascendente benvenutiano: tra «compilatio» d’autore e riproduzioneinerziale, in La filologia dei testi d’autore, a cura di S. Brambilla e M. Fiorilla, Firenze,Franco Cesati, 2006, pp. 47-71; ID., Il «Comentum» dantesco di Giovanni Bertoldi da Serravallenella redazione «imperiale» (1417), Napoli, Dante & Decartes, 2012.

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una derivazione anche da Benvenuto, sul nome che significherebbe «nunziodivino»). Benvenuto, per la parte esegetica, risulta fonte preminente68,non solo: tutto il commento bertoldiano a tratti sembra nient’altro cheun centone di brani presi e interpolati da recollectae di Benvenuto69. ConBertoldi vediamo dilatarsi gratuite amplificazioni sulla vita del poeta;scopriamo così che il padre di Dante fu tanto importante da fornire ilpatronimico ai successori, oltre ad esser stato, come già in Benvenuto,dottore in legge; che a Parigi l’esule avrebbe raggiunto il grado diBaccelliere; che per perfezionarsi nelle Arti liberali e in scienza sacraavrebbe raggiunto Oxford e Cambridge:

Modo ponit auctor quomodo se disponebat se, hiis auditis. Nota quod in scolisuniversitatum solempnium, sicut est Parisius et Oxoniis et Cantabrigie,aliquando magister et doctor theologus proponit questionem bachalauriodoctorando, non propter determinare tunc questionem, sed propter examinarebachalaurium et probare questionem; et tunc bachalaurius, audiens doctoremponentem questionem, interdum armat se et providet sibi tacens, ut habeat viresad respondendum argumentis faciendis in oppositum. Sic faciebat hic Dantes,auditis verbis Beatricis (chiosa a Par., XXIV 46-51).

Tra altri errori minori, si segnala che Bartolomeo della Scala risultaa Giovanni padre di Cangrande, anziché fratello:

Primum tuum refugium. Lo primo tuo rifugio: hec est tertia pars huiuscapituli, in qua predictus spiritus, ad consolationem auctoris, narrat remediumquod inveniet in illa adversitate. Nota quod dominus Bartholomeus, capitaneusVerone De la Scala, qui fuit pater domini Magni Canis antiqui, recepit Dantemexpulsum de Florentia in suam civitatem Verone benigne, et dedit sibi etiamprovisionem, antequam Dantes peteret aliquid ab ipso (chiosa a Par., XVII 70-5)70.

Vista la natura di fonte derivata, la distanza cronologica e lamancanza di riscontri, si tratta di notizie refutabili in blocco.

Con Leonardo Bruni da Arezzo (1370-1444) si conclude il primo gruppodi biografi con acquisizioni fondamentali e definitive per la biografiadantesca. Preliminarmente va osservato che Bruni ebbe alti incarichipresso la Cancelleria fiorentina, sicché poté accedere a documenti,68 Cfr. M. BARBI, La lettura di Benvenuto da Imola e i suoi rapporti con altri commenti, in ID.,Problemi di critica dantesca. Seconda serie, cit., pp. 435-70.69 Cfr. M. UBERTI, Benvenuto, cit., p. 286.70 Stesso errore si ritrova nel Falso-Boccaccio (1390 ca.): «Ancor prediciequesto spirito che ’l suo refugio sarà a Verona in chasa di messer BartolomeoSignior di Verona padre di messer Chane della Schala» (chiosa a Par., XVII 31-99). Sul punto l’errore e’ già nella fonte, Benvenuto da Imola, che scrive: «HicCacciaguida praenuntiata liberalitate capitanei Bartholomaei, nunc praenuntiatprobitatem et liberalitatem domini Canis Grandis eius filii vel nepotis, quemprimo describit a strenuitate armorum, ostendens, quod fuerit vere filiusMartis, audax, promptus in proelio et victoriosus valde» (chiosa a Par., XVII 79-81).

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epistole ed altro materiale di estrema importanza, tra cui testi ineditie addirittura autografi di Dante, oggi perduti. Su queste basi poggial’affidabilità e l’autorevolezza di questa fonte, di rado eguagliata daaltri biografi. Bruni, fin dall’incipit, dichiara apertamente di volerraccogliere le notizie fondate sulla vita di Dante, in polemica conquanti, a cominciare da Boccaccio, hanno inframmisto alla biografia delgrande fiorentino elementi gratuiti, aneddotici e novellistici. In primoluogo Leonardo decide di accantonare come indocumentabili le voci sullamitica ascendenza romana della famiglia Alighieri, attestandone solol’antichità e, entro certi limiti, una modesta nobiltà cittadina.Topograficamente esatta la collocazione delle case di Dante con notizie,poi pienamente riscontrate, circa la prossimità con quelle dei congiuntiDel Bello71. Scopriamo che Alighiero morì nella puerizia di Dante il che,secondo le definizioni allora in voga, vorrebbe dire intorno al 1275, tragli 8 e i 14 anni di Dante. Precise le notizie sui beni mobili e immobili(limitati in verità) della famiglia Alighieri.

Secondo Bruni, la precoce orfanezza e la predisposizione agli studicongiurarono per un affidamento ai parenti ed a Brunetto Latini. Sobrial’attestazione sui crediti culturali di Dante, cui viene aggiuntal’abilità nel disegno. Corretta la collocazione temporale del Priorato al1300, con citazione di due colleghi: Palmieri Altoviti e Neri Alberti.L’Aretino raccoglie ed integra le descrizioni boccacciana sulla contesapolitica tra le fazioni del tempo di Dante, tuttavia non furono le vociallarmanti sulle alleanze e le minacciose violenze dei Neri ad indurreDante e gli altri capi-parte dei Bianchi all’esilio, bensì tali tensioniprovocarono, per ordine di Dante e degli altri Priori, l’allontanamentodei più facinorosi in due distinti luoghi di confino, rispettivamenteSerezzana72 per i Bianchi, Città della Pieve per i Neri. Fatto sta chetra i confinati Cerchieschi si trovava il ‘primo amico’ di Dante, GuidoCavalcanti, il quale a Serezzana contrasse la malaria e poco appresso(più probabilmente al confino che a Firenze) ne morì. Quest’evento, cheLeonardo riferisce sulla fede di un’epistola di Dante che lui potéconsultare de visu, fu il motivo per cui furono richiamati i soliconfinati Bianchi, atto fazioso di cui Dante stesso fu accusato. Ma daBruni veniamo a sapere che l’esule scrisse al governo (oramai Nero) diFirenze che la revoca del confino fu deliberata dal collegio prioralesuccessivo al suo.

Di inestimabile valore per il biografo le notizie sui primi tempidell’esilio, tratte a più riprese da perduti autografi danteschi. Secondol’Aretino al momento dello sbandimento Dante era a Roma presso la corte71 Cfr. M. BARBI, R. PIATTOLI, La casa, cit..72 Chi scrive ritiene non infondata l’intuizione del Fraticelli (P. FRATICELLI,Storia, cit., p. 140), per cui Serezzana starebbe meglio a Serezzano, borgomaremmano tra la val di Cecina e la val di Cornia (e cfr. Inf., XIII 9), che allalunigianese Sarzana, vuoi perché, come si legge anche nel maggior Villani,Serezzano era «luogo infermo» per la diffusione della malaria, sia perché nonrisulta che Sarzana avesse «aere cattiva».

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di Bonifacio VIII. Udito del rivolgimento politico, il poeta si precipitain Toscana dove, all’altezza di Siena, raccoglie più precise informazionisulla gravità del momento e sulle ruberie e devastazioni di cui erano giàfatti oggetto i suoi beni. Una legge «iniqua e perversa» promossa dalPodestà eugubino Cante de’ Gabrielli consentiva ai nuovi Signori disindacare ed emettere condanne per l’operato dei Priori sedenti nei dueanni precedenti. In quel frangente convulso, dove i moderni biografiregolarmente trapassano la traccia bruniana73, Dante si congiunge con ifuorusciti Bianchi. Il primo ritrovo fu a Gargonza, dove furono prese leprime decisioni organizzative, in particolare l’elezione immediata diArezzo quale base delle operazioni, ove fu costituita una stabile73 Molti i casi, sul punto, rappresentativi di un uso eccepibile delle fonti.Limitandoci ai biografi maggiori, il primo esempio è di G. PADOAN, Introduzione,cit., che scrive: «[Rientrato in Toscana, intorno ai primi mesi del 1304]secondo il Bruni [Dante] sarebbe stato eletto a far parte dei dodici consiglieridi Parte Bianca [allorché scrisse l’epistola al cardinale Nicolò da Prato]»; p.53. Bruni non dice nulla di tutto questo, ma che a Gargonza si presero le primerisoluzioni organizzative per la guerra contro Firenze; che ivi, trattate moltecose, si decise di fissare la base delle operazioni ad Arezzo, dove fu istituital’Università dei Bianchi con a capo il conte Alessandro Guidi da Romena e dodiciconsiglieri, del numero dei quali fu Dante; infine, che i fuorusciti «disperanza in speranza» affrontarono le vicende belliche fino al 1304, eprecisamente fino alla disfatta della Lastra (a Fiesole), il 20 luglio. Altrasvista di Padoan in nota, dove osserva che Davidsohn vorrebbe negare ilCapitanato di Alessandro, in vantaggio di suo fratello Aghinolfo, per la sola eovvia mancanza di documenti. Lo studioso tedesco formula la propria ipotesisulla base di documenti in pro di Aghinolfo, ecco perché la mancanza didocumenti in pro di Alessandro risulta rilevante. Per Petrocchi al tempo in cuiFrancesco Alighieri soccorre il fratello ad Arezzo (13 maggio 1304), la confermadella stabile dimora di Dante in città ci verrebbe appunto da Bruni, quandoquesti scrive: «fermarono [scil. i Bianchi] la loro sedia ad Arezzo»; G. PETROCCHI,Vita, cit., p. 96. In realtà, come si è già visto, Leonardo nel luogo invocatoriferisce che Arezzo fu eletta come base ai primissimi tempi del fuoruscitismoBianco (1302), poco dopo quel convegno di Gargonza che della scelta di Arezzo edella fondazione dell’Università dei Bianchi era stata la sede. Secondo E.MALATO, Dante, cit., l’azione militare della prima campagna mugellana (primavera1302) fu condotta da Scarpetta Ordelaffi, salvo convenire che Dante si rifugiò aForlì tra la fine del 1302 e gli inizi del 1303 (p. 52). Fatto sta che la primaimpresa attribuita a Scarpetta dalle fonti coeve data i primi di marzo del 1303,ed è la disfatta di Pulicciano. Infine Barbi, secondo cui Bruni autorizzerebbe asupporre che il primo Capitano della Parte dei Bianchi sia stato il forliveseScarpetta Ordelaffi, tra il 1302 ed il 1303, poi Alessandro Guidi da Romena,fino a parte del 1304, e poi ancora suo fratello Aghinolfo; M. BARBI, Una nuovaopera sintetica su Dante, in ID., Problemi di critica dantesca. Prima serie, cit., pp. 29-85, p.44; e ID., Sulla dimora di Dante a Forlì, ivi, pp. 189-95. Come già osservato, Bruni nonattesta nulla di tutto questo, anzi, dicendo che «di speranza in speranza» ifuorusciti stettero fino al 1304, obbliga ogni consapevole biografo aretrocedere cronologicamente e in misura debita gli eventi trattati, in primoluogo il Capitanato di Alessandro. Il punto è complesso, sicché si deverimandare alla complessiva ricognizione delle fonti in G. INDIZIO, Sul mittente

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organizzazione politico-militare, l’Università dei Bianchi, di cui fumesso a capo il conte Alessandro Guidi da Romena. Del numero deiConsiglieri dell’Università, in tutto dodici, fu Dante. Il Bruni assegnaa questa prima fase del fuoruscitismo Bianco meno di un biennio,affermando che «di speranza in speranza» le operazioni belliche duraronofino al 1304, quando furono tragicamente interrotte dalla disfatta dellaLastra, il 20 luglio. A questo punto Leonardo pone la partenza di Danteda Arezzo per Verona, inaugurando un periodo particolare dell’esilio incui il poeta, distaccatosi dal gruppo dei fuorusciti, fece parte per sestesso e tentò, con buoni comportamenti, epistole esortatorie e pressionidi amici, di guadagnare il ribandimento74. È a questa fase che Leonardoassegna l’epistola Popule mi, quid feci tibi?. Secondo l’Aretino, consonante conVillani e Boccaccio, le eccessive aspettative suscitate dall’annunciodella discesa in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo spinsero Dante aduna radicale svolta antifiorentina, da assegnare al 1310 circa, allorchéla delusa amarezza accumulata in più d’un lustro ebbe il sopravvento. Leinfuocate invettive che l’esule indirizza nel 1311 contro gliscelleratissimi fiorentini fanno sì che il fallimento di Arrigo (1313)segni per lui la perdita di ogni chance di revoca del bando, inducendoloa dirigersi nell’Italia padana, fino all’estrema dimora ravennate.

Sul contributo di Leonardo Bruni occorre fare qualche riflessioneulteriore, poiché meritano un discorso a parte le epistole perdute chel’Aretino vide in autografo, al punto da poter citare i caratteri dellacalligrafia dantesca: magra, lunga e molto corretta75. La prima letteradi cui fa menzione è quella in cui si discorre della battaglia diCampaldino (1289):

In quella battaglia memorabile e grandissima, che fu a Campaldino, lui,giovane e bene stimato, si trovò nell’armi combattendo vigorosamente a cavallonella prima schiera […]. Questa battaglia racconta Dante in una sua Epistola, edice esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia.

dell’epistola I di Dante (e sulla cronologia della I e della II), «Rivista di Studi Danteschi», II,2002, pp. 134-45.74 Un’importante conferma che Dante nel corso del 1304 si trovasse ad Arezzo, ocomunque nell’aretino, è nella canzone Doglia mi reca ne lo core ardire. Per tuttiFrancesco Mazzoni: «Nel 1304 [Dante] era ancora probabilmente nell’Aretino, sepoteva inviare la ‘Canzone della liberalità’ a una Contessa Bianca Giovanna,quasi certamente figlia del Conte Guido Novello di Poppi»; F. MAZZONI, Le Epistole diDante, in Conferenze aretine, Arezzo-Bibbiena, Tip. Zelli, 1966, pp. 47-100, p. 64.75 Nei Dialogi ad Petrum Paulum Histrum Leonardo, per il tramite di Niccolò Niccoli,ripete: «Legi nuper quasdam eius litteras, quas ille videbatur peraccuratescripsisse: erant enim propria manu atque eius sigillo obsignatae»; LEONARDOBRUNI, Dialogi ad Petrum Paulum Histrum, a cura di S. Baldassarri, Firenze, Olschki,1994, p. 255; cfr. altresì P. TROVATO, Dai «Dialogi ad Petrum Histrum» alle «Vite» di Dante edel Petrarca. Appunti su Leonardo Bruni e la tradizione trecentesca, «Studi Petrarcheschi», II,1985, pp. 263-84.

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Poco oltre, trattando dell’ascesa al Priorato, Bruni riferiscenuovamente le parole di Dante tratte da un’epistola, senza specificare sesi tratti eventualmente di una diversa:

Tutti li mali e gli inconvenienti miei dalli infausti comizi del mio Prioratoebbono cagione e principio; del quale Priorato benché per prudenzia io non fussidegno, niente di meno per fede e per età non ne ero indegno, perocché dieci annierano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parteghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta; dove mi trovai non fanciullonell’armi, dove ebbi temenza molta, e nella fine allegrezza grandissima per livarii casi di quella battaglia.

A giudicare dal comune argomento, la battaglia di Campaldino, sidirebbe trattarsi della stessa epistola. Forse al medesimo testo, oeventualmente ad un secondo o un terzo (ma la questione è irrilevanteperché le epistole furono sicuramente numerose), è da ascrivereun’ulteriore notizia derivante dalla citata autodifesa di Dante,sollecitata dalle accuse di parzialità mossegli per il richiamo dalconfino dei fuorusciti di parte Bianca:

Questo diede gravezza assai a Dante, e con tutto ch’esso si scusi come uomosenza parte, niente di manco fu riputato pendesse in parte Bianca, e che glidispiacesse il consiglio tenuto di chiamar Carlo di Valois a Firenze, comemateria di scandali e di guai alla città; e accrebbe la ’nvidia, perché quellaparte de’ cittadini che fu confinata a Serezzana, subito ritornò a Firenze, el’altra parte confinata a Castel della Pieve si rimase di fuori. A questorisponde Dante, che quando quelli di Serezzana furono rivocati, esso era fuoridell’uffizio del Priorato, e che a lui non si debba imputare: più dice, che laritornata loro fu per l’infirmità e morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò aSerezzana per l’aere cattiva, e poco appresso morì.

Al di là del numero esatto, è indubitabile che si tratti di testiaccomunati da un unico movente: difendere la propria immagine politica erammentare le non indifferenti benemerenze municipali al fine di meritareil ribandimento. L’ipotesi più economica è ascrivere questi testi, anorma dei dati offerti da Bruni stesso, al periodo compreso tra la metàdel 1304 (dopo il distacco dai fuorusciti belligeranti) ed il secondosemestre 1309 (prima della svolta filoarrighiana), ossia allorché Dante:

ridussesi tutto a umiltà, cercando con buone opere e con buoni portamentiracquistar la grazia di poter tornare in Firenze per ispontanea rivocazione dichi reggeva la terra; e sopra questa parte s’affaticò assai, e scrisse piùvolte, non solamente a’ particulari cittadini del reggimento, ma ancora alpopolo: e intra l’altre una epistola assai lunga, che incomincia: Popule mi, quidfeci tibi?

A questo punto dell’analisi c’è da render conto di un elemento nonsecondario nell’economia dei rapporti tra Dante e Firenze. GiovanniVillani parla di un’epistola che Dante avrebbe inviato dall’esilio al

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‘Reggimento’ fiorentino, dolendosi del suo esilio senza colpa. Come èstato notato, potrebbe trattarsi della bruniana Popule mi, cheperfettamente consuona, per quanto ne accenna l’Aretino, con l’autodifesadantesca della sua attività politica imparziale. E non si sono avutidubbi che, quantunque fossero i testi visti da Leonardo, essi siano daascrivere al noto periodo di remissione dell’esule (1304-‘09).Altrettanto unanimismo si registra tra gli antichi biografi nel ritenereirreversibile la rottura tra Dante e Firenze all’indomani della disfattadi Arrigo VII (1313) allorché, alla luce della terribile epistolacasentinese del 1311, più non si vedeva come le due parti avrebberopotuto tornare a conciliarsi76. L’alto episodio dell’Epistola XII all’Amicofiorentino (metà del 1315) non nasce più da una ricerca di amnistiapersonale come le precedenti perdute, semmai rifiuta un provvedimentoindultorio generalizzato, giudicato poco onorevole. Ma, contrariamente aquanto si crede, anche dopo la disfatta di Arrigo vi è stato unriavvicinamento di Dante a Firenze; un passaggio bruniano lo attestairrefutabilmente:

Pure il tenne tanto la riverenza della patria, che venendo lo ’mperadorecontra Firenze, e ponendosi a campo presso la porta, non vi volle essere,secondo lui scrive, contuttoché confortator fusse stato di sua venuta.

L’ipotesi più economica è che tale scritto, dotato degli stessi crismidi autodifesa sul genere di quelle perdute di cui s’è detto, sia statodettato tra il tardo 1313 e la prima metà del ‘15, poiché la meteoraarrighiana è data palesemente per trascorsa (quanto meno nella sua fasecritica, collocabile appunto tra il 1312 ed i primi mesi del ‘13); e unacerta vicinanza di tempo è plausibile per il fatto che la mancatapartecipazione all’assedio di Firenze poteva suonare quale benemerenzasolo entro un ristretto lasso, allorché, scampato il pericolo, Firenzepoté fare (come puntualmente fece) la conta di chi le si era mostratoostile e di chi si era astenuto dal recarle danno. Ne sia prova il notodocumento fiorentino del 7 marzo 1313 in cui, tra i nuovi condannati perl’impresa arrighiana contro Firenze dell’ottobre 1312 (ben 476), mancaproprio il nome di Dante77. La combinazione dell’autodifesa post-arrighiana («Pure il tenne tanto la riverenza verso la Patria...») edell’esclusione di Dante dalle nuove condanne, presumibilmente per imotivi rivendicati in quell’autodifesa («venendo lo ’mperadore contraFirenze, e ponendosi a campo presso la porta, non vi volle essere...»),sono elementi di qualche peso. Pertanto un secondo periodo remissorio si

76 Per tutti Boccaccio: «Per la qual morte [scil. di Arrigo] generalmente ciascunoche a lui attendeva disperatosi, e massimamente Dante, sanza andare di suoritorno più avanti cercando, passate l’alpi d’Appennino, se n’andò in Romagna».77 Scrive Migliorini Fissi: «Il Libro del Chiodo offre una inoppugnabile prova dellalinea politica seguita dal poeta: nella lista dei 476 ribelli nuovamentecondannati a morte per aver preso parte all’assedio a fianco delle forzeimperiali non figura infatti il nome di Dante»; EAD., Dante, cit., p. 74.

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potrà ragionevolmente collocare nel 1313-‘14, in un frangente in cuistavano addensandosi all’orizzonte pericoli non irrilevanti per i Neri,su tutti il truce Uguccione della Faggiola il quale in quel lasso suscitòserie preoccupazioni nei governanti fiorentini, predisponendoli ad unmaggiore ascolto verso i fuorusciti non estremisti. E’ plausibile cheproprio tale miglior disposizione dell’esule sfociasse, anche sullapressione imminente della meteora faggiolana, nel celebre provvedimentoindultorio della metà del ’15, da Dante giudicato umiliante e quindirifiutato.

Come anticipato, per cogenti ragioni di (scarsa) significatività, ibiografi del secondo gruppo saranno epigraficamente schedati,limitatamente alle loro fonti ed ai loro rari (e di norma errati) apportiqualificanti. A parte si tratterà del contributo di Biondo Flavio, per leragioni già esposte.

Il trentino Sicco Polenton (1375-1447) deriva le poche notizieriferite da Boccaccio e dagli aneddoti petrarcheschi veronesi78. Diproprio, introduce un errore circa l’età in cui Dante sarebbe morto, 64anni anziché 56. Giannozzo Manetti (1396-1459), fiorentino, col quale ciportiamo alla metà del XV secolo, costruisce il suo diligente contributosulla base delle notizie reperite da Boccaccio, da Filippo Villani eLeonardo Bruni79. Luoghi qualificanti di Manetti sono la rettifica delPapa regnante al tempo della nascita di Dante, che diviene Clemente IV, ela rielaborazione dell’episodio veneziano, per cui il rientro via maresarebbe stato rifiutato dallo stesso Dante, per evitare l’area marinainfestata dalle galee veneziane in assetto da guerra80. Il contributo di

78 P. VITI, Le biografie dantesche di Sicco Polenton, «Studi Danteschi », LI, 1978, pp. 409-25.79 Da segnalare S. U. BALDASSARRI, Clichés and myth-making in Giannozzo Manetti's biographies,«Italian History and Culture», VIII, 2002, pp. 15-33.80 Poco comprensibile, se non col voler dare a Manetti un’autorevolezza di cuiquesti è privo, il tentativo di Padoan di conciliare la ricostruzionedell’ambasceria veneziana data da Filippo Villani con quella, leggermentediversa ma da Filippo integralmente derivata, resa appunto da Manetti. Da notarel’osservazione fuorviante per cui: «Giannozzo Manetti [...] solo parzialmentedipende dal Villani»; G. PADOAN, Le ambascerie di Dante, cit., p. 31. Il tentativo diaccreditare Manetti come fonte parzialmente originale è infondato, laddove siosservi che le altre fonti cui Giannozzo attinge e, a più riprese, plagia, sonotutt’altro che sconosciute, trattandosi dei ben noti Giovanni Boccaccio eLeonardo Bruni. Si aggiunga che sul punto in questione (l’ambasceria veneziana)la sola fonte di Manetti è proprio il minor Villani, come ci può assicurare unpur rapido sondaggio dei due testi. In un secondo analogo caso, Padoan vorrebbecoinvolgere nella sua dimostrazione circa la veridicità dell’epistola a Guido daPolenta (senza dargli peso determinante); proprio Manetti aggiungerebbe:«qualche minimo particolare [sul rientro di Dante a Ravenna dopo la finedell’avventura arrighiana] forse non d’invenzione»; ivi, p. 9. In realtà, comeemerge da un agevole riscontro, Giannozzo non fa che amplificare lacorrispondente traccia boccacciana, per cui Dante si porterebbe a Ravenna dopo

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S. Antonino Pierozzi (1389-1459) non è, a rigor di termini, una biografiama una sconnessa invettiva contro gli errori in cui Dante sarebbe incorsoin più punti della sua opera, riguardo aspetti di competenza dellaChiesa. L’Anonimo cronista ferrarese (sec. XV) è fonte di strettaderivazione boccacciana, che introduce un errore sulla data di morte diDante, collocata al 3 maggio 1321. Biografo controverso, GianmarioFilelfo (1426-1480) gode scarsa credibilità presso gli studiosi. Da unpunto di vista oggettivo, premessi i debiti verso Boccaccio e soprattuttoBruni, sono presenti nella biografia filelfiana notevoli amplificazionisu ciascun punto riguardante la genealogia, le condizioni familiari edeconomiche di Dante, gli incarichi politici. Tra gli errori maggioriinseriti dal contributore, l’attribuzione a Dante di due figli nonaltrimenti conosciuti: Alighiero ed Eliseo, precocemente colpiti dallapeste (il Filelfo aggiunge addirittura a 12 e 8 anni!). Jacopo sarebbeinvece morto a Roma «per aeris intemperiem», senza lasciare eredi; il cheè certamente falso. Qualche notizia su Pietro, ricavata dall’Aretino,risulta maggiormente esatta. Con Filelfo il noto aneddoto delle donnetteveronesi viene ambientato a Ravenna, e l’autore ne aggiunge di nuovi, tracui un improbabile dialogo intercorso tra Dante e tal Aldobrandino Donatiin materia di consigli amorosi. Altri improbabili dialoghi sarebberointercorsi con «Ianoto Pacio» e Geri del Bello. Ai confini del parossismole ambascerie compiute: 14 per il comune di Firenze (se ne cita una, perla definizione dei confini, a Siena). Altre a Perugia, Venezia, Napoli;ancora a Ferrara dai marchesi d’Este, a Genova, da Bonifacio IV (sic), dalre d’Ungheria e dal re di Francia. Tra le sedi di studio ai tempidell’esilio, ne vengono inserite nuove di fantasia: Cremona e Napoli. Dialtre topiche filelfiane non mette conto riferire, essendo patenti icaratteri della falsificazione intenzionale. Dopo Filelfo, il notocommentatore fiorentino Cristoforo Landino (1424-1498) derivò il suocontributo biografico da Boccaccio81 e Bruni, mantenendo l’indicazionecorretta, come già Manetti, sul Papa regnante al momento della nascita diDante, ma errando sull’anno, posto ora al 1260. Si trattò forse di unerrore meccanico poiché nelle successive ristampe dell’opera, procurateda Francesco Sansovino, la data è corretta in 1265. Landino, riprendendol’indicazione in modo letterale circa il priorato di Dante ai suoi 35anni, lascia credere ad una ripresa dal corrispondente luogo di Filelfo.Che questi ne sia fonte è comunque dimostrato da un altro luogoqualificante, la trasposizione del noto aneddoto boccacciano veronese aRavenna.

Dopo Landino ci portiamo nel XVI secolo e in un’area di contributoridel tutto irrilevanti82. Il bergamasco Jacopo Foresti (1434-1520) è fontedi marcata derivazione boccacciana. Notevole l’errore qualificante quila fine della meteora lussemburghese, fortemente voluto da Guido da Polenta. Ilsolo particolare che Manetti aggiunge, per facile suggestione topografica, èl’indicazione secondo cui Dante si trovava allora sulla «via Flaminia».81 S.A. GILSON, Notes on the presence of Boccaccio in Cristoforo Landino’s «Comento sopra la Comediadi Dante Alighieri», «Italian Culture», XXIII, 2005, pp. 1-30.

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introdotto, per cui Dante si sarebbe rivolto a Ravenna una volta mortoCangrande. Identica derivazione per i successivi, di origine teutonica,Hartmann Schedel (1440-1514) e Giovanni Tritemio (1462-1516), cui si puòaggiungere il volterrano Raffaele Maffei (1455-1522), che potrebbe averripreso qualcosa da Manetti (o, meglio, Landino), poiché cita ClementeIV. Il messinese Francesco Maurolico (1494-1575) discende da Landino(quindi indirettamente da Boccaccio), come dimostra, tra l’altro, laripresa dell’errore qualificante sulla data di nascita del poeta. GiovanPietro Ferretti, ravennate (1482-1557), rende una descrizione stilizzata,quasi anodina, rendendo difficoltosa l’attribuzione di eventuali fonti.L’ascrizione della morte di Dante al luglio, in età di 56 anni,lascerebbe credere in una parziale derivazione dal primo Villani.Quest’ultimo, insieme a Boccaccio, Bruni ed a Landino compone la sillogeconsultata dal lucchese Alessandro Vellutello (1473-1550 ca.); pressochétrascurabili gli scarni apporti originali: il rifugio veronese avrebbevisto l’esule ospite prima di Alboino e poi di Cangrande. Vellutellodescrive l’insegna araldica degli Alighieri risalente, egli favoleggia,ai tempi di Cacciaguida e che, più credibilmente, attesta ricorrereancora ai suoi tempi, presso gli Alighieri di Verona (sui cui epigoni, alui contemporanei, dà interessanti ragguagli): un’ala d’oro in campoazzurro. Da notare come errore qualificante una tappa tedesca di Dante ilquale, alla notizia della discesa di Arrigo VII in Italia, sarebberientrato appunto dalla Germania83; dopo opportuno riscontro si puòagevolmente supporre che l’errore sia dovuto a corriva lettura delcorrispondente luogo del Trattatello84. Le stesse fonti ricorronosostanzialmente nel veneziano Ludovico Dolce (1508-1568), che daVellutello riprende la erronea notizia della tappa tedesca. Il luccheseBernardino Daniello (1500 ca.-1565) attinge sommariamente dal primoVillani, da Boccaccio e Bruni. Poiché ne riprende gli erroriqualificanti, il suo contributo risulta derivare anche dalla primaedizione del commento di Landino (nascita di Dante nel 1260) e daVellutello per il viaggio di Dante in Germania. Integralmente boccacciano82 Torna brevemente su questo tema il recente V. CAPUTO, Ritrarre i colori dell’animo.Biografie cinquecentesche tra paratesto e novellistica, Milano, Franco Angeli, 2012, inparticolare su Nicoletti e Masson, pp. 148-66.83 Da segnalare la nuova edizione del commento dantesco, A. VELLUTELLO, La «Comedia»di Dante Aligieri con la nova esposizione, a cura di D. Pirovano, Roma, Salerno, 2006.Secondo Pirovano la notizia della inesistente tappa tedesca di Dante deriva daVellutello, ma cfr. nota successiva.84 Come mi segnala Gennaro Ferrante, l’inedita Vita di Dante di Luigi Peruzzi (1470)menziona anch’essa un soggiorno di Dante in Germania (a Colonia) e quindi, arigore, è ad oggi la prima attestazione: «trovandosi questo sommo poeta incalamità e innopia, pinto da necessità in più e vari luoghi, usò e menò sua vitaapresso a’ signori di grandi nomi come que’ de la Scala di Verona, que’ daPolenta di Ravenna, que’ da Carara di Padova, e’ Malispini di Lunigiana et altrisignori e gentili homini potenti e di laudabile vita. Trovossi a Colonia con Thomasod’Aquino ne la scuola d’Alberto Magno, così a Parigi, ne’ quai luoghi latheologia era nel più alto stato e florido che giammai fusse o sarà».

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il testo di Jacopo Corbinelli, fiorentino (1535-1590 ca.), che come luogoqualificante ha la segnalazione, già dantesca, della nascita durante lafase astronomica del Sole nei Gemelli. Diligente la biografiadell’erudito francese Jean Papire Masson (1544-1611), il quale deriva lesue notizie da Giovanni Villani e Boccaccio, cui va aggiunto Petrarca peril ricorrere dei suoi celebri aneddoti veronesi. In Masson ricompaionoluoghi qualificanti di Filelfo e Corbinelli. Singolare l’anacronismocirca l’episodio dell’ambasceria veneziana: secondo l’autore ce nesarebbe chiara eco nel canto XXI dell’Inferno, in cui il poeta descrive ilfamoso «arzanà» dei veneziani. L’anacronismo è evidente poiché lacomposizione di quel canto precede e non segue, di diversi anni,l’ambasceria veneziana85. Ampia la silloge consultata dal friulanoMarcantonio Nicoletti (1536-1596), in cui compaiono i nomi di Villani,Boccaccio e Bruni quali fonti primarie, Landino e Vellutello (dei qualiricorrono luoghi qualificanti) quali fonti secondarie. Con Nicoletti siamplia la leggenda dantesca di nuove tappe: naturalmente l’avito Friuli eUdine, alla corte del patriarca aquileiense Pagano della Torre. Probabilefrutto di scorretta rifusione di motti veronesi gli aneddoti ravennati,per cui non più Cangrande ma Guido da Polenta sospingerebbe Dante insituazioni comico-realistiche al fine di sollecitarne l’estro arguto.Infine, sono Boccaccio e Bruni le fonti dell’ultimo insignificantecontributore, il veneziano Alessandro Zilioli (1590 ca.-1650 ca.).

Di grande importanza le (poche) notizie inedite portate alla lucedall’umanista forlivese Biondo (di Antonio di Gaspare) Biondi, dettoFlavio (1392-1463), qui analizzato a latere del secondo gruppo dicontributori per la sua innegabile importanza86. Flavio si mostra storicodiligente, sebbene talora impreciso, in numerose occasioni. È prassidell’umanista elaborare il racconto di particolari eventi confrontando85 Fu forse tratto in inganno sul punto Padoan, che inserisce la testimonianza diMasson a conforto della sua convinzione per cui Dante: «poté inserire, tra gliestremi ritocchi prima della pubblicazione integrale dell’Inferno, il ricordovivissimo dell’Arsenale veneziano»; G. PADOAN, Le ambascerie di Dante, cit., p. 29 en.. Fatto sta che Masson non è di alcuna utilità poiché inverte cronologicamentel’ultima ambasceria veneziana (agosto-settembre 1321), con il canto XXIdell’Inferno, sicuramente databile entro il 1314. Su Papirio Masson cfr. D.CECCHETTI, All’ombra di Svetonio. Papire Masson biografo e storico antiquario dell’umanesimo italiano,in Scrivere le vite: aspetti della biografia letteraria, a cura di V. Bramanti e M. G. Pensa,Milano, Guerini & Associati, 1996, pp. 19-47.86 Superficiale il contributo di A. VALLONE, Le città dell’esilio nel secolare commento, inDante e le città dell’esilio. Atti del Convegno internazionale di Studi, a cura di G. Di Pino,Ravenna, Longo, 1989, pp. 75-89. Tra altre affermazioni poco condivisibili,quella secondo cui, dopo Giannozzo Manetti: «degli altri non tien contoparlare»; p. 82. Tra costoro è menzionato al secondo posto: «F. Biondo». Scarsala produzione specialistica su Biondo Flavio dantista, intanto sono da vedere A.CAMPANA, Biondo Flavio da Forlì, «La Romagna», XVI, 1927, pp. 487-97, e R. SABBADINI,Biondo Flavio, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XLIII, 1929, pp. 182-6.

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tra loro più fonti. Soprattutto, l’autorità del forlivese ai finidanteschi si fonda sull’accesso, ch’egli attesta d’aver avuto, a scriptadel cancelliere forlivese Pellegrino Calvi, col quale collaborò Dante altempo della seconda campagna mugellana (1303) e, possibilmente, ancora altempo della discesa di Arrigo VII (1310-‘11). I testi presi in esame,constatata l’insufficienza dello stralcio riferito da Solerti, derivanoda Barbi87, Campana88 e Migliorini Fissi89.

Il primo luogo in cui Biondo riferisce notizie di argomento dantescoconcerne la descrizione della battaglia di Campaldino (Historiarum Decades,II VIII 331 D-332 E, nella lezione datane da Rosetta Migliorini Fissi).L’esordio del brano tradisce immediatamente la prassi dell’umanista diricorrere a più fonti; in tal caso viene menzionato Giovanni Villani,nonché lo stesso Dante. Per unanime consenso degli studiosi che se nesono occupati, Biondo attinge indipendentemente da Bruni all’epistolaperduta Popule mi, di cui loda la verborum magnificentia. D’altronde tra i duestoriografi intercorse un noto sodalizio intellettuale. Dal tenore deltesto non si fa fatica a scorgere in filigrana elementi che traspaionoanche dal resoconto bruniano:

Victores primo congressu aretini in florentinorum equitatu fuso caedemmaximam commisere.

Il secondo inserto, riferito da Michele Barbi, dà invece notizie diderivazione calviana sui primissimi anni dell’esilio dantesco (HistoriarumDecades, II IX 338 EF). Nell’esordio del brano si cita il consuetoconsesso di fonti: Villani, Tolomeo da Lucca e Dante. Biondo riferisceche durante i primi tempi dell’esilio Dante con gli altri Bianchiraggiunse Forlì dove, dopo poco, affluirono esponenti ghibellini.Capitano militare fu Scarpetta Ordelaffi, signore di Forlì diappartenenza ghibellina, cui fu invitato ad unirsi anche Uguccione dellaFaggiola, potente di castelli e perito nell’arte militare. Soprattutto,Biondo attesta che Dante svolse allora un incarico diplomatico a Veronapresso Cangrande della Scala (in realtà Bartolomeo), al fine diconquistarne l’alleanza. Altra notizia è l’esistenza, attestata daBiondo, di numerose lettere della Cancelleria forlivese al tempodell’Epistolarum magister Pellegrino Calvi, facenti menzione di Dante, ilquale ne era sovente l’autore. Biondo parla di: «extantes literae,crebram Dantis mentionem habentes, a quo dictabantur». L’erroredell’umanista forlivese di riferire a Cangrande una legazione che, se vifu, fu rivolta al fratello Bartolomeo, ha dato appiglioall’ipercriticismo otto-primonovecentesco, ma i dati riferiti dallostoriografo si attagliano perfettamente agli eventi che vanno sotto ilnome di seconda campagna mugellana e sono consonanti con altre

87 M. BARBI, Sulla dimora di Dante a Forlì, cit..88 Di vedano le voci, curate da A. Campana per l’ED, Calvi, Pellegrino e Flavio, Biondo.89 R. MIGLIORINI FISSI, Dante e il Casentino, in Dante e le città dell’esilio, cit., pp. 115-46.

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testimonianze, in primo luogo quella dell’Ottimo, a patto di rettamenteintenderla90.

Un terzo brano (Historiarum Decades, II IX 342 GH, riferito da AugustoCampana) apre uno scenario estremamente interessante per il biografo. Il3 luglio 1310 ambasciatori di alto rango inviati da Arrigo VII a Firenzee introdotti dal conte e senatore romano Ludovico di Savoia (accompagnatoda Cino da Pistoia), e dal pistoiese Simone Filippi de’ Reali, tennerouna prolusione diplomatica al fine di assicurarsene l’appoggio. Lalegazione ebbe esito infausto e la reazione fiorentina per bocca di BettoBrunelleschi, attestata da Dino Compagni, fu a tal punto scomposta darichiedere un supplemento riparatore il 12 luglio, ad opera di UgolinoTornaquinci. Riferendosi a tale episodio, di scoperta matriceantiarrighiana, Biondo riferisce che l’ambasceria svoltasi dinanzi aiConsigli fiorentini era stata tripartita, annunciando gli ambasciatoriche Arrigo sarebbe presto giunto con folta schiera di Barbari; chesarebbe stato opportuno Firenze si predisponesse ad accoglierlo nei modidebiti; che era desiderio del monarca la città sospendesse le ostilitàcontro la filoimperialista Arezzo. Soggiunge Biondo che: «DantesAldegerius, Forolivii tunc agens» inviò un’epistola a Cangrande «partisAlbae extorrum et suo nomine data, quam Peregrinus Calvus scriptamreliquit», dolendosi amaramente della temerità miope mostrata dai suoiconcittadini.

Se la prima notizia relativa a Campaldino e all’epistola perduta Populemi gode di notevoli riscontri sia da parte di Bruni che del maggiorVillani, la seconda e la terza, i.e. il secondo soggiorno forlivese el’epistola a Cangrande in nome dei Bianchi furono poste da Barbi (e,sulla sua scia, da successivi meno prudenti biografi) nel campodell’incerto, se non dell’impossibile91.

Da altri testi di Biondo si ricavano scarni riferimenti a Dante. NelDe verbis romanorum locutionis il Biondo riferisce delle versioni latine delletre cantiche, eseguite nell’età sua ed in quella precedente92. Altre dueannotazioni derivano da l’Italia illustrata, l’una segnalata da Augusto Campana90 Dal ms. Barb. Lat. 4103: «Et qui tocca come li Bianchi ebboro a sospetto Danteper uno consiglio ch’egli rendee, che l’aiutorio delli amici s’indugiasse diprenderlo nel tempo di verno, alla seguente istate più utile tempo aguerreggiare; il quale consiglio seguitato da’ Bianchi non ebbe l’effetto chel’autore credette, però che l’amico poi richiesto non prestoe l’aiutorio, onde iBianchi stimarono che Dante corrotto da’ Fiorentini avesse renduto malvagioconsiglio» (chiosa a Par., XVII 61-9).91 Scrive prudentemente Barbi: «Un’epistola a Cangrande nella discesa di ArrigoVII non è ricordata da nessun antico biografo; e neppure sappiamo oggi alcunchédi questi scripta di Pellegrino Calvi che il Biondo ricorda [...]. Sicché iparticolari almeno di questa seconda testimonianza del Biondo danno luogo aqualche dubbiezza»; M. BARBI, Sulla dimora, cit., p. 194. Barbi, con lalungimiranza quasi infallibile che gli era propria, concludeva comunque per unaprobabile sosta forlivese nel secondo semestre 1310 a Forlì.92 B. NOGARA, Scritti inediti e rari di Biondo Flavio, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana,1927, p. 118.

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in cui, parlando concisamente di Dante e Petrarca, Biondo riferiscedell’estrema dimora del secondo ad Arquà e del primo a Ravenna; l’altrasegnalata da Guglielmo Bottari a proposito del noto rapporto di amiciziacon Cangrande: «primusque omnium Canisgrandis Scaliger [...] amicitiamagisquam sua potentia notus»93.

Le risultanze del prolungato esame svolto su una prima parte dellefonti più antiche, portano a risoluzioni draconiane: dei 31 inclusi nellasilloge solertiana, gli antichi biografi che riferiscono la quasitotalità delle notizie originali sulla vita di Dante sono solo tre:Giovanni Villani, Giovanni Boccaccio e Leonardo Bruni. Aggiuntemarginali, sorrette da verosimiglianza per questioni di vicinanzacronologica, accesso a fonti dirette e, in rari casi, di effettiviriscontri, vengono da altri quattro autori: Antonio Pucci, Benvenuto daImola, Filippo Villani, Biondo Flavio. I restanti 24 contributori, circai 4/5 della silloge, ai fini strettamente biografici possono essereespunti pressoché senza danno, sono anzi da riguardare con somma cautelai tentativi dei moderni biografi di servirsene a fini dimostrativi delleproprie tesi.

L’ultima parte di questa nota è dedicata a ristabilire criticamentequale fu la vita di Dante secondo gli antichi più attendibili biografi.Posta tra le cose certe la data di nascita94, concordemente collocata dalarga parte della tradizione al 126595, portiamo l’attenzionesull’apparato genealogico. Al riguardo, solo Boccaccio e Bruni simostrano in certa misura informati. Il Certaldese è la sola fonte da cuiveniamo a conoscenza dell’esistenza di un seconda sorella di Dante,altrimenti ignota ai documenti, andata sposa a Leone Poggi. Sul punto leindagini specialistiche più recenti, che pure risalgono ad uno studioso93 G. BOTTARI, La cultura veronese attorno a Dante. I. Tra storia e letteratura, in «Per correre miglioracque...». Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo millennio, a cura di L.Battaglia Ricci, Roma, Salerno, 2000, pp. 371-91, p. 379.94 Non persuade la posizione espressa da G. PETROCCHI, Biografia, cit., laddove,comparando le varie testimonianze sul tema dell’anno di nascita di Dante,l’autore scrive: « [Tutti i primi biografi sono concordi sul 1265] come recitail Villani [...] il Boccaccio [...]. Così poi nel Buti [...] in Benvenuto, in F.Villani, nel Bandini, nel Serravalle, nel Bruni, nel Manetti, nell’anonimocronista ferrarese, nel Filelfo, ecc. Soltanto con Sicco Polenton la series’interrompe [ponendo erroneamente la data di nascita di Dante al 1257]. Laserie è ancora compromessa dal Landino [...] il qual[e] del resto, ponendo ilpriorato [di Dante ai suoi 35 anni] avrebbe potuto facilmente correggerel’errore»; pp. 4-5. La lista è compilata come se il vaglio critico di unanotizia o di un’ipotesi sia un problema meramente quantitativo, tralasciandol’esame delle contaminazioni tra i vari contributori. Quanto alla presuntasvista di Landino, si trattò, come noto, di un errore della prima stampa, poiemendato nelle successive edizioni del 1564, 1568 e 1596; cfr. P. FRATICELLI,Storia, cit., p. 96.95 Preziosissima l’attestazione di Piero Giardini, riferita da Boccaccio, sulfinire di maggio quale più precisa indicazione genetliaca.

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del calibro di Renato Piattoli, rappresentano un preoccupante regresso.Infatti né la donna aveva nome Ravenna, né nacque intorno al 1240, né ilprimo figlio che ebbe, Andrea, morì intorno al 133096. L’altro contributooriginale di Boccaccio riguarda la nazione ferrarese della moglie diCacciaguida. Sebbene indimostrabile, si tratta comunque dellatestimonianza più attendibile di cui disponiamo rispetto ad altre dirango minore, prima fra tutte quella di Filippo Villani, che la vorrebbeparmense. Bruni dà a sua volta notizie, poi pienamente confermate daireperti d’archivio, circa l’origine cittadina del casato di Dante, lemediocri condizioni economiche della famiglia, l’ubicazione della suacasa e dei suoi possedimenti97. Ricordiamo, peraltro, che laprimogenitura circa la citazione del popolo di S. Martino del Vescovo èda riconoscere ad Antonio Pucci.

Nel complesso delle antiche fonti, estremamente scarne le notizie suifamiliari di Dante, dal cui anonimato emergono a malapena il padreAlighiero, la moglie Gemma e i figli maschi Pietro e Jacopo. Pochissimenotizie attendibili circa i rapporti di Dante con Beatrice98, Brunetto

96 Dimenticando l’avvertimento di Barbi, che supponeva Ravenna fosse la primamoglie di Leone Poggi, e che quindi la sorella di Dante contraesse con luiseconde nozze, Piattoli, ricostruisce il seguente quadro genealogico, dimanifesta irricevibilità: «La donna sarebbe nata intorno al 1240, avrebbe sposato ilPoggi fra il 1255 e il 1260, e sarebbe morta intorno al 1300»; voce Poggi, Andreacurata da R. Piattoli per l’ED. Fatto sta che Neri di Leone nacque certamenteprima del 1253, poiché nel 1278 lo ritroviamo fra i membri del Consigliogenerale e speciale del Comune, sicché quel 1240 dovrebbe essere retroceduto dipiù d’un lustro, portando Alighiero e Ravenna ad essere anziché padre e figlia,quasi due coetanei. Le cose, in realtà, stanno in tutt’altro modo: «Sarà statala sorella di Dante già nel 1250 donna da marito? Non poté Leone Poggi aver quelfigliuolo da altra moglie?»; M. BARBI, Per un passo dell’epistola all’amico fiorentino, inID., Problemi di critica dantesca. Seconda serie, cit., p. 319. Quanto all’altra topica,nella voce di Piattoli dedicata ad Andrea Leoni si legge: «[Dall’esame deitestamenti della sorella Checca, si trova che in quello del 1334] non è fattapiù menzione di Andrea; da ciò si deduce che egli fosse morto in un tempo dipoco antecedente tale data». Fatto sta che se Andrea fosse deceduto tra il 1322(data del primo testamento di Checca in cui è fatta menzione di lui) ed il 1334(quando viene redatto il nuovo testamento, in cui è assente), non si vedrebbecome Boccaccio avrebbe potuto esserne assiduo frequentatore per alcun tempo.Come noto il Certaldese nasce nel 1313, trasferendosi a Napoli in tenera età(1327): e fino almeno al 1340-‘41 Giovanni è lontano da Firenze; cfr. V. BRANCA,Giovanni Boccaccio, cit., p. 52.97 Cfr. M. BARBI, La condizione economica, cit..98 Naturalmente esatta la notizia boccacciana circa la paternità di Beatrice,confermata dai documenti in Folco Portinari (cfr. M. BARBI, Sulla fededegna persona,cit.). Degenerativa la bibliografia un tempo fiorita sulla irrealtà di Beatrice.In una redazione mediotrecentesca frutto di rielaborazione fiorentina delComentum di Pietro Alighieri (ma comunemente si ritiene una seconda versioned’autore), si attesta che: «Venio ad quartum et ultimum, ubi auctor mysticevalde loquitur, videlicet partim ad licteram, partim allegorice, partimanagogice et partim tropologice, prout infra patebit. Et quia modo hic primo de

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Latini, Guido Cavalcanti e il circolo stilnovistico nonché, più ingenerale, sulla sua vita privata. Indubbiamente suggestivi e,nell’insieme, credibili i ritratti del maggior Villani e di Boccaccio,che consuonano per un Dante costumato, virtuoso, morigerato, di altoprofilo morale e culturale, sebbene non esente da mende quali l’eccessivasupponenza, l’insofferenza verbale, l’inclinazione verso i pubblici onorie le lusinghe amorose.

Ampie ma generiche le attestazioni sui crediti culturali danteschi. Suun punto tuttavia non sarà lecito dubitare: per l’antica tradizione Dante frequentògli Studi di Bologna e di Parigi99. L’attestazione del sorvegliato Villani, ripresoda una fonte di notevole spessore quale Boccaccio, è da considerarsi,allo stato, cogente. Il silenzio di Bruni non è determinante poichéLeonardo si mostra telegrafico e poco informato su tutto ciò che riguardal’esilio dantesco dopo il 1304. Peraltro, come si è detto, ciò non implicala certezza che Dante sia stato a Parigi, ma è sicuro che per l’antica (piùattendibile) tradizione egli vi fu. Il silenzio di Pietro è di qualchepeso, ma egli non scrive una biografia organica del padre e tace sunumerosissime altre tappe ed episodi sicuramente accertati. Pertanto inon pochi indizi presenti nelle opere di Dante andranno inquadrati in tal

Beatrice fit mentio, de qua tantus est sermo maxime infra, in tertio libriParadisi, premictendum est quod re vera quedam domina nomine Beatrix, insignisvalde moribus et pulcritudine, tempore auctoris viguit in civitate Florentie,nata de domo quorundam civium Florentinorum qui dicuntur Portinarii. De quaDantes auctor procus fuit et amator in vita dicte domine et in eius laudemmultas fecit cantilenas. Qua mortua, ut eius nomen in famam levaret, in hoc suopoemate sub allegoria et typo theologie eam ut plurimum accipere voluit» (chiosaa Inf., II 51-102). Su Pietro e le (presunte) sue rielaborazioni del Comentumdantesco sia consentito il rimando a G. INDIZIO, Pietro Alighieri autore del «Comentum» efonte minore per la vita di Dante, «Studi Danteschi», LXXIII, 2008, pp. 187-250.Imprescindibili i medaglioni dedicati a Pietro da S. BELLOMO, Dizionario, cit., ein Censimento, cit..99 Sul punto E. MALATO, Dante, cit., dapprima svaluta la possibilità di un viaggioa Parigi: «Non c’è traccia di un viaggio parigino di Dante»; p. 36; poi pone unasola sosta bolognese, quella del 1287, espressamente non collegata allafrequenza dello Studio, ma solo per la ricezione di suggestioni guinizzelliane(ibidem). In realtà, le tracce dell’andata a Parigi non mancano, sia negliantichi biografi, sia nel testo di Dante, e lo stesso Malato, pur tacciandolonuovamente di ‘leggendario’, s’induce a lasciarvi aperto uno spiraglio per il1309-‘10 (p. 57). Quanto alla frequenza dello Studio di Bologna nel periododell’esilio, nella prossima nota si riporteranno diverse fonti probatorie. Siricordi la testimonianza di Pietro Alighieri, Canzone morale di messer Pietro di Dante:«[...] Onor mai non a[v]rò, [’n] felice, / perch’io non antividi la finita, /ch’esser dovie sentita, / del mie maestro che lesse a Bologna» (vv. 89-92); cfr.D. DE ROBERTIS, Un codice di rime dantesche ora ricostituito (Strozzi 620), «Studi Danteschi»,XXXVI, 1959, pp. 137-205, il testo della canzone alle pp. 199-205. Si veda ancheG. INDIZIO, Le tappe venete dell’esilio di Dante, «Miscellanea marciana», XIX, 2004, pp. 35-64.

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senso da ogni consapevole biografo, almeno fino all’emergere di elementiprobanti di maggior peso100.

Parimenti sfumata e, a tratti, eccedente, la ricostruzione del ruolopolitico del poeta101. A tale riguardo, la testimonianza di fede guelfaresa dal nero Villani e ribadita da Benvenuto in aperta polemica conBoccaccio è di peso sufficiente a controvertire largamente la fama dighibellino che alcuni antichi biografi, per primo il Certaldese, vollerotramandare102. Indubbiamente, nell’ambito dell’attività politica l’Aretinofornisce in assoluto le tessere più importanti, a partire dallapartecipazione alla battaglia di Campaldino, che vide Dante militare trai feditori a cavallo contro Arezzo. Complessivamente attendibile, sebbeneimpreciso, il resoconto bruniano delle vicende che condussero all’esilio.Leonardo confonde insieme eventi del 1300 con quelli del 1301, maugualmente ci accerta di alcuni episodi cruciali103: nel 1300, a seguito

100 Per un primo inquadramento, saranno da vedere i classici contributi di P.RAJNA, Per l’andata di Dante a Parigi, «Studi Danteschi», II, 1920, pp. 75-87, e di M.BARBI, La similitudine del baccelliere, ivi, XII, 1927, pp. 79-82.101 Sebbene offra una ricostruzione della vita politica di Dante di normaequilibrata e tra le più ricche di dettagli, Malato, sull’incarico ‘minore’ disovrastante ai lavori di sistemazione della via di S. Procolo, scrive: «Incaricoperaltro delicato e indicativo del prestigio di cui godeva, considerato che neipressi egli possedeva dei terreni e dunque l’eventuale interesse privato non erastato giudicato un ostacolo al conferimento dell’ufficio pubblico»; E. MALATO,Dante, cit., p. 47. Ma sulla delicatezza dell’incarico si è espresso a titolodefinitivo Barbi: «C’era da atterrare chi sa che tugurio [...] da tagliaralberi, da rialzare in certi punti la strada, da inghiaiarla e lastricarla, dafar fosse ai lati, da riscuotere imposizioni, da pagar danni e mercedi»; M.BARBI, L’ufficio di Dante per i lavori di via S. Procolo, in ID., Problemi di critica dantesca. Secondaserie, cit., pp. 385-413, p. 400. Sulla straordinarietà del conflitto d’interesse,che a Dante sarebbe stato condonato in virtù di un superiore prestigio, fachiarezza sempre Barbi: «Non sempre l’iniziativa dei lavori veniva dai Sei [ilMagistrato che sovrintendeva ai lavori pubblici] [...] spesso eran privaticittadini di certe contrade e delle vicinanze che ne facevano domanda [...]. Mala cura di eseguirli non era loro; nominavano soprastanti, stimatori, esattori,notari nunzi e quanti altri ufficiali occorressero [...]. Le spesed’espropriazione e di costruzione erano ordinariamente a carico dei vicinantiche dal lavoro traevano profitto; e fra loro si sceglievano anche gli ufficialisoprastanti, spesso secondo la designazione fatta dagli interessati stessi nellaloro domanda ai Sei»; ivi, p. 395. Sicché che Dante fosse tra i più autorevolicittadini di quella vicinanza fuori porta non si fa fatica a crederlo, ma non sipotrà chiamare in causa il citato conflitto d’interesse, poiché secondo leconsuetudini allora vigenti Dante fu nominato soprastante non a dispetto ma perla sussistenza di quello.102 È da ponderare la circostanza per cui è il Boccaccio del Trattatello (cheabbiamo trovato molto poco informato sul punto) a indulgere sulla raffigurazionedel foscoliano «ghibellin fuggiasco». Quello delle Esposizioni, molto più prudenteed informato, non ne fa parola.103 Tra i pochissimi, altro luogo da emendare in Bruni è la collocazione storicadella nascita di Dante: «Dante nacque negli anni domini 1265, poco dopo la

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delle violenze di certi Grandi (di matrice donatesca) culminatenell’aggressione ai Consoli delle Arti la vigilia di S. Giovanni, iPriori inviarono al confino i capiparte più accesi delle due fazioni tracui, rispettivamente, Corso Donati e Guido Cavalcanti104. Dante fu traquanti presero la deliberazione del confino dichiarandosi incolpevole delprovvedimento di richiamo dei soli Cerchieschi, da Serezzana, adottatodai successivi Priori. Bruni confonde quest’episodio con la radunata diS. Trinita, del 1° giugno 1301, che segnò invece l’alleanza scelleratatra i Neri, Bonifacio VIII e la casa di Francia al fine di rovesciare ilgoverno Bianco del Comune e che dette l’aire alle persecuzioni politicheche si susseguirono tra la fine del 1301 ed il 1302: in quel frangente dipersecuzioni in massa, Dante è a Roma, subendo da Firenze danninell’avere e condanne nella persona, circostanza irragionevolmente postain forse dai moderni biografi105; da Roma si porta rapidamente a Siena e,

tornata de’ Guelfi in Firenze, stati in esilio per la sconfitta di MonteAperto»; ed. Solerti, p. 98. Come noto, il rientro dei Guelfi ebbe luogo inrealtà nel 1266-‘67.104 Fondamentale M. BARBI, Guido Cavalcanti e Dante di fronte al governo popolare, in ID.,Problemi di critica dantesca. Seconda serie, cit., pp. 371-8.105 Di fronte alla celebre e irrefutabile attestazione del Compagni, Petrocchiinsinua dubbi così argomentando: «[Rispetto all’episodio dell’ambasceria romanariferito dal Compagni] c’è inoltre da discutere intorno ad un’altra possibilità,che non pare considerata dagli studiosi: [...] ha un filo di probabilitàl’ipotesi che scrivendo ‘era ambasciadore a Roma’ intendesse dire non che lo eraal momento della condanna (come, a ragionare per il sottile, non era più daqualche mese, essendo caduta la Signoria che l’aveva mandato in missione), ma lo‘era stato’. In tal caso Dante sarebbe stato ambasciatore un anno prima, avrebbein quell’occasione lucrato il Giubileo, e tutte le impressioni romane [...] siriferiscono ad un unico soggiorno, nell’autunno del 1300»; G. PETROCCHI, Biografia,cit., pp. 29-30. Riprende tale argomentazione E. MALATO, Dante, cit., secondocui: «È possibile che in novembre [1300] Dante abbia fatto parte diun’ambasceria inviata al Papa per supplicarlo di togliere l’interdetto, se acose viste in un viaggio a Roma ‘l’anno del Giubileo’ allude una similitudinedell’Inferno, in cui descrive [...] la moltitudine dei Romani che, perattraversare il ponte di Castel Sant’Angelo, diretti alla basilica di S. Pietro,hanno adottato un modo ordinato di transito» (p. 46). Tralasciando che entrambigli studiosi si riservano di inserire ugualmente ipotesi contrarie (per G.PETROCCHI, Biografia, cit., p. 24, Dante poté essere a Roma anche nella settimana santa del1300; secondo E. MALATO, Dante, cit., p. 48, Dante sarebbe stato «a capo»dell’ambasceria romana dell’ottobre 1301, la quale preminenza non è minimamentecerta); resta il fatto che non si fornisce alcun nesso di causalità logica cheleghi la visione dell’«essercito molto» con l’ambasceria fiorentina del novembre1300, e sebbene Petrocchi finisca col mostrarsi lui per primo poco convintodella propria illazione, è poco condivisibile la preferenza accordata ad ipotesiindimostrabili rispetto alla diligente raccolta e comparazione delle fonti.Tralasciando che il racconto di Compagni è inequivoco, sull’andata di Dante inCorte di papa Bonifacio si è espresso anche il cronologicamente vicino Pucci.Non solo. Lo stesso Boccaccio, spesso citato come fonte contraria, pur essendopoco e male informato sull’esatta dinamica dei fatti che portarono all’esilio dà

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presa cognizione della gravità della situazione, si associa alla nascenteUniversità dei Bianchi, di cui furono poste le basi a Gargonza e che ebbesede ad Arezzo. Rileva acutamente Guido Pampaloni:

Dell’abboccamento di Gargonza, località scelta probabilmente in funzionedella posizione geografica, conosciamo solo approssimativamente il periodo incui fu fatto: si suol dire generalmente che avvenne nella primavera del 1302,anche se probabilmente deve riportarsi agli ultimi dell’inverno di quello stessoanno, e più precisamente [...] nello spazio di tempo compreso fra la primacondanna di Dante del 27 gennaio e la seconda del 10 marzo successivo. Èprobabile, infatti, che l’inasprimento della seconda, addirittura la condanna amorte, sia dovuto [...] al fatto che era giunta a Firenze la notiziadell’abboccamento di Gargonza, che riunendo in un sol fascio forze ostili alComune suonava minaccia pei Neri vincitori106.

notizia di un’ambasceria presso il pontefice al tempo in cui più alta era latensione civile (ricordiamo il «S’io vado chi resta, s’io resto chi va?»). Trale fonti più attendibili è da segnalare l’Ottimo (in prima redazione): «Etinfra: “E la femmina, che tu vedesti, è la grande cittade, la quale ha il regnosopra i re della terra”. Vogliono alcuni predire questa puttana, per la Corte diRoma, adattando quello che poco appresso dice in Apocalypsis, quivi: “Caddequella Babilonia grande; è fatta abitazione di demoni, e guardiana d’ogniimmondo spirito, e d’ogni sozzo uccello ed odibile, perocchè della ira efornicazione sua beverono tutte le genti e tutti i re della terra, che con leifornicarono”. E di questo fece l’Autore sperienza al tempo di Bonifazio papa VIII, quando v’andò perambasciadore del suo Comune; chè sa con che occhi ella il guatò, e quale era il suo drudo Bonifazio, enon legittimo sposo, secondo l’opinione di molti. Dio sa il vero» (chiosa aPurg., XXXII 148-50). Non irrilevante l’attestazione dell’Anonimo fiorentino(1400 circa), sovente bene informato sul periodo fiorentino di Dante: «Et avenneche, intorno a quelli tempi che per troppa grassezza della terra si divisono icittadini, et vennono a discordia, et la principale setta et discordia fu fra’Cerchi et i Donati; l’una parte per invidia, l’altra per salvaticaingratitudine: et temendosi in Firenze che la discordia loro non desse malestato alla città, fu mandato a Corte a papa Bonifazio» (chiosa a Inf., VI 60-3). N.ZINGARELLI, La vita, cit., aggiunge un’altra testimonianza: «In un commento anonimoalla canzone Tre donne intorno al cor, dedicato a un Benedetto Manetti, che si sa percerto essere nato circa il 1350, parlandosi dell’esilio di Dante è detto chetrovandosi egli “imbasciadore al Sommo Pontefice a Roma per trattare dellaconcordia civile, fu confinato e la sua casa data in preda e le sue possessioniguaste”. L’esattezza della notizia si riscontra nell’accenno alla pena delconfino, che si cominciò con l’infliggere a Dante, prima che si rendessecontumace» (p. 408). Infine, che Dante nel momento in cui il governo Biancoveniva rovesciato si trovasse a Roma è notoriamente confermato da una fonte delcalibro di Leonardo Bruni: «Dante in questo tempo non era in Firenze, ma era aRoma, mandato poco avanti imbasciadore al Papa per offerire concordia e la pacede’ cittadini»; Le vite di Dante, ed. Solerti, cit., p. 102. Di fronte a tale ampioe concorde consesso di fonti, le ipotesi alternative, per quanto suggestive edelaborate, si rivelano lambiccate.106 G. PAMPALONI, I primi anni dell’esilio di Dante, in Conferenze aretine, cit., pp. 133-47, p.142.

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Per Leonardo Bruni capo dell’Università fu, per primo, il conteAlessandro Guidi da Romena e Dante fece parte della prima generazione diConsiglieri. L’esperienza del fuoruscitismo, vissuta dolorosamentedall’esule, è fatta durare genericamente fino al 1304. Si è già detto dicome i moderni biografi abbiano trapassato la traccia bruniana,ipotizzando il conte Alessandro a capo dell’Università ai primi del 1304,raffazzonando la serie dei Capitanati precedenti (che nel biennio1302-‘04 include notoriamente anche Scarpetta Ordelaffi e Aghinolfo daRomena, dei quali però l’Aretino tace) e pretendendo di chiamarne aconforto lo stesso Bruni. Se la testimonianza di Flavio postula una sostaa Forlì al tempo in cui si preparò la seconda campagna mugellana (fine1302-primo semestre 1303), sia Boccaccio che l’Aretino pongonogenericamente una tappa a Verona sul principio dell’esilio. Il primo lacolloca in anticipo sul soggiorno lunigianese, individuato con precisionemillimetrica cinque anni dopo l’esilio107; il secondo al termine dellamilitanza tra i Bianchi fuorusciti. Il periodo è quindi compresoapprossimativamente tra il 1302 (Boccaccio pone l’andata a Verona diDante «nel suo primo fuggire», dopo un breve vagare per la Toscana) ed il1306.

Partendo dalla conferma di Pietro108, che identifica in Bartolomeol’ospite di Dante109, e comparandovi le notizie offerte da Biondo Flaviocirca un’ambasceria in servizio dell’Università dei Bianchi, si puòsupporre che il soggiorno veronese si protraesse dalla metà circa del1303 ai primissimi mesi del 1304. L’Epistola I, databile tra marzo e aprile

107 Assodato che Boccaccio non erra nel porre il soggiorno presso i Malaspina nel1306 (cfr. CDD, n. 99), erra forse Petrocchi quando offre il seguente saggio dicritica sulle tappe dell’esilio: «Il Boccaccio accenna nel Trattatello in laude diDante a una sosta “col conte Salvatico in Casentino”; potrà essere possibile cheDante beneficiasse dell’ospitalità del conte Guido Salvatico di Dovadola nel1307, non nell’11, poiché anche e soprattutto Salvatico s’era nettamenteschierato coi Neri; si è supposto in via subordinata che il soggiorno nascessedalla necessità di persuadere Guido a volgersi contro i Neri nel 1307, a favoredi Enrico nell’11, ma l’ipotesi pare a me esilissima»; G. PETROCCHI, Vita, cit., p.151. Boccaccio pone il soggiorno presso Salvatico né nel 1307, né nel 1311, néin entrambi gli anni, piuttosto scrive: «[Dopo la sosta veronese, Dante] inToscana tornatosi, per alcun tempo fu col conte Salvatico in Casentino; diquindi fu col marchese Moruello Malaspina in Lunigiana»; ed. Solerti, p. 27. Èevidente che il Certaldese stia riferendosi al 1305.108 Nella prima redazione, la sola sicuramente sua, Pietro scrive: «Dicendo quodibit ad illos de la Scala de Verona, dominante tunc domino Bartholomaeo de dictadomo, portante aquilam super scalam in armatura» (chiosa a Par., XVII 70-120).Tuttavia, va rilevato che questa notizia era già in Iacomo della Lana (chiosa aPar., XVII Intr.) e nell’Ottimo, in prima redazione (chiosa a Par., XVII 70-5).109 Ricordiamo che Bartolomeo regna a Verona dall’1 settembre 1301, allorchésuccede al padre Alberto, e muore nel febbraio 1304, lasciando la signoria nellemani di Alboino. Il noto giudizio dantesco che ritroviamo nel Convivio lasciacredere che il poeta non beneficiò a lungo dell’ospitalità del nuovo Signore.

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del 1304110, attesta che Dante era allora già rientrato in Toscana,presumibilmente ad Arezzo, come si deduce dal noto atto di prestito che,presso la tavola dello speziale-prestatore Foglione di Giobbo, FrancescoAlighieri stipulò a beneficio, crediamo, del fratello (13 maggio 1304)111.Tra l’aprile e il maggio, presumibilmente per il naufragare dellamediazione pontificia cui quell’epistola si appellava, si consuma larottura dai compagni di partito, bollati ora come «compagnia malvagia escempia».

Le tappe successive sono quanto mai incerte: il solo Boccaccio si èsforzato di seguire Dante nelle sue peregrinazioni, e quasi nulla nedicono le altre fonti solertiane più fededegne: con i caveat dovuti ad unafonte secondaria, è noto che Benvenuto da Imola fa cenno di una dimorapadovana, in sé molto probabile ma che potremo collocare cronologicamentesolo a patto di accettare l’eventualità dell’incontro con Giotto(1303-‘04), quindi al tempo del primo soggiorno veronese112. Nessun anticobiografo riferisce notizie sulla tappa trevigiana presso i Caminesi che,per i riferimenti presenti nel Convivio e nella Commedia, può dirsivirtualmente certa113.

La tappa Lunigianese nel 1306 è certa viste le risultanze documentali,con evidente vantaggio per l’attendibilità boccacciana. Tra la dimorascaligera e quella malaspiniana, Boccaccio colloca una sosta inCasentino, presso Guido Salvatico (1305), eventualità ripresa daun’antica (e apocrifa) tradizione testuale, che ritroveremo poi nel –probabilmente dantesco - Fiore114. In quel medesimo torno di tempo ilCertaldese colloca una sosta urbinate presso i Della Faggiola, e unasosta bolognese115. A questo punto il grande novelliere pone un rientro in

110 Cfr. F. MAZZONI, Epistole I-V. Saggio di edizione critica, Milano, Mondadori, 1967(edizione concorsuale fuori commercio).111 CDD, n. XCIV.112 Essenziali ragguagli cronologici sulla vicenda di Giotto a Padova in A.BELLONI, Nuove osservazioni sulla dimora di Dante in Padova, «Archivio Veneto», XLI, 1921,pp. 40-80.113 Cfr. G. BISCARO, Dante e il buon Gherardo, «Nuovi Studi Medievali», I, 1928, pp. 74-113; G. PICOTTI, I Caminesi e la loro signoria i Treviso dal 1283 al 1312, Livorno, Tip. R.Giusti, 1905 (rist. anast. Roma, Multigrafica Editrice, 1975).114 Cfr. E. ROSTAGNO, A proposito del sonetto «Chi nella pelle d’un monton fasciasse», «StudiDanteschi», VI, 1923, pp. 131-8; D. ALIGHIERI, Il «Fiore» e il «Detto d’Amore» attribuibili aDante Alighieri, a cura di G. Contini, Milano, Mondadori, 1984, in particolarel’Appendice al sonetto XCVII, pp. 476-7, e l’Introduzione, pp. LXXVI-LXXVII.115 Sondando le antiche fonti circa il soggiorno a Bologna, Petrocchi dapprimapone in dubbio l’attendibilità di Villani e Boccaccio, senza esplicitarne lemotivazioni: «Più tardi questo soggiorno di Dante a Bologna [del 1287] saràconfuso con altro periodo o con altro soggiorno. Il Villani scriverà: “fuscacciato e sbandito di Firenze, e andossene allo studio a Bologna, e poi aParigi”; e il Boccaccio nel Trattatello aggiungerà: “Egli li primi inizi, sì comedi sopra è dichiarato, prese ne la propria patria, e di quella, sì come a luogopiù fertile di tal cibo, n’andò a Bologna”»; G. PETROCCHI, Vita, cit., p. 61. Pocooltre, riferendosi alle stesse fonti Petrocchi muta radicalmente prospettiva,

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Veneto, a Padova e Verona, in vista della successiva tappa: Parigi116. Aquesta fase dell’esilio non è facile attribuire precisazioni cronologichecerte, sennonché Boccaccio chiarisce bene che è a Parigi che Dante vienesorpreso dalla notizia dell’arrivo di Arrigo VII in Italia (1310). A benvedere, se la dimora bolognese gode di molteplici riscontri ‘minori’, tracui uno risalente a Pietro di Dante117, e se quella parigina siavvantaggia della voce di Giovanni Villani, altre tappe padovane everonesi prima del 1310, pur non essendo impossibili, non trovano appiglie potrebbero essere riferite al periodo successivo, allorché una secondatappa scaligera è sicura. D’altronde lo stesso Boccaccio, collegando ilsodalizio con Cangrande al periodo di composizione del Paradiso, allorchénarra dell’abitudine di Dante d’inviare al signore veronese gruppi dicanti, induce a posticipare tale sosta.

In realtà per gli anni strettamente prossimi al 1311 disponiamo dinotevoli indizi circa i ripetuti spostamenti dell’esule: sicura è lapermanenza a Poppi, in Casentino, presso il ramo dei Guidi da Romena118.Somma crux dantesca in questo gruppo d’anni è l’episodio riferito daBiondo Flavio che lascia presupporre una dimora forlivese intorno al1310-‘11. A tale riguardo è utile richiamare innanzitutto il passo dellostoriografo forlivese:

Non autem praelpfixi termini finem expectavit Henricus, sed praemissis inItaliam oratoribus ad propinqua Alpibus regni Germaniae loca Italiae continentiavenit; primique ex Italis aditi sunt ab imperatoris oratoribus Florentini [...].Tripartita fuisse traditur imperatoris oratorum ad Florentinos expositiomandatorum, quod primo loco imperatoris omnium sapientissimi potentissimiquetunc creati barbararum numerus gentium, quas traducturus sit in Italiam, promaximo ac prope infinito relatus est; petitus, secundo loco, intra Florentiam

senza mai far menzione della ratio sottostante: «I primi testimoni del viaggio diDante a Parigi sono anche i più importanti, e difficilmente confutabili»; ivi,p. 103.116 Secondo N. MINEO, Dante, Roma-Bari, Laterza, 19802, Dante nel 1308-‘10 sarebbestato, oltre che a Lucca, anche in Istria e poi a Parigi, dove avrebbe studiatoalla Sorbona, e, di passaggio verso la Francia, sarebbe passato per il monasterodi S. Croce del Corvo, alle foci del fiume Magra (p. 11). In effetti, nél’antica tradizione o documenti parlano di una tappa in Istria, né Dante, se fua Parigi, fu necessariamente alla Sorbona (che allora, varrà la pena ricordare,era solo uno dei circa quaranta collegi, notoriamente il più esclusivo econservatore, che gravitavano intorno allo Studio parigino, tra l’Ile-de-la-Cité ela riva sinistra della Senna; sul punto cfr. J. VERGER, Istituzioni e sapere nel XIIIsecolo, Milano, Jaca Book, 1996, pp. 69-70); né, come è stato da tempoipotizzato, il viaggio ad partes ultramontanas citato nella lettera di frate Ilarometteva capo necessariamente in Francia, ma possibilmente in Lombardia: cfr. V.BIAGI, Un episodio celebre della vita di Dante: l’autenticità dell’epistola ilariana su documenti inediti,Modena, Formiggini, 1910, G. PADOAN, Introduzione, cit., p. 105; più recentementeG. INDIZIO, L’epistola di Ilaro. Un contributo sistemico, «Studi Danteschi», LXXI, 2006, pp.191-263.117 Cfr. D. DE ROBERTIS, Un codice, cit..118 Cfr. F. MAZZONI, Le Epistole, cit..

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urbem, cum advenisset, receptus est; et cessatio ab iniuriis vicinorum,praesertim Aretinorum, iussa est. Dantes Aldegerius, Forolivii tunc agens, inepistola ad Canem Grandem Scaligerum veronensem, partis Albae extorrum et suonomine data, quam Peregrinus Calvus reliquit, talia dicit de responsionesupradictae expositioni a Florentinis urbem tenentibus tunc facta, per quaetemeritatis et petulantiae ac caecitatis sedentes ad clavum notat, adeo utBenevenutus Imolensis, quem Peregrini scripta legisse crediderim. Dantem asserathinc cepisse Florentinos epitheto caecos appellare119.

L’ambasceria arrighiana di cui parla Flavio fu un evento di qualcheclamore, poiché si ritrova in numerose fonti contemporanee segnalate daDavidsohn120, sicché poté effettivamente suscitare una presa di posizione(anche) da parte di Dante. Ne sia prova il fatto che una fonte diligentema derivata quale Giannozzo Manetti, coeva di Biondo e, sul punto,ignorato dai moderni biografi, ne dà a sua volta precisa notizia:

Herricus ab initio suae electionis legatos Florentiam miserat, ut eius inItaliam adventum Florentinis nuntiarent, postularentque ut in urbe suareceptaculum sibi praepararent, ac bello, quod tunc adversus Aretinos fortegerebant, se abstinerent121.

Per di più il resoconto dato da Biondo Flavio (e da Manetti) si adattaappieno a quanto ne ricostruisce puntualmente Robert Davidsohn. Il nododa sciogliere è il tempo della seconda sosta forlivese di Dante. Imassimi studiosi che se ne sono occupati si dividono in chi (AugustoCampana) riferisce il Forolivii tunc agens al tempo dell’ambasceria fiorentina(seconda metà del 1310) ed in chi (Giorgio Padoan) lo riferisce al tempodell’epistola a Cangrande (collocata nella seconda metà del 1311)122. Per

119 Testo completo in M. BARBI, Sulla dimora di Dante, cit., pp. 193-4. Diversistudiosi hanno notato la somiglianza con un celebre verso della Commedia (Inf., XV67). Sul punto Petrocchi espone una posizione poco condivisibile. Lo studiosodapprima accredita di ogni verosimiglianza la notizia dello storiografoforlivese circa la lettera a Cangrande: «Epistola perduta, ma che ebbe a vedereBiondo Flavio»; dopodiché formula una serie di ipotesi che ne contrastano latestimonianza: «[Dante scrisse quell’epistola dal Casentino nel 1311, anche se]la conoscenza della lettera da parte della cancelleria di Scarpetta dovrebbeportare alla conseguenza che la missiva partisse da Forlì: ciò crea moltissimidubbi, superabili ove si pensi che Pellegrino Calvi poteva essere informatodell’epistola in quanto Dante avrebbe provveduto a notificarne il testo pressole più importanti corti settentrionali»; G. PETROCCHI, Vita, cit., pp. 150-1. Il«Dantes Aldegerius Forolivii tunc agens» rende però innecessarie talispeculazioni.120 Oltre a Compagni e Villani, da aggiungere la Cronichetta Marciano-magliabechiana, gli Annales Arretini e la Cronaca Orvietana (per queste e altrefonti cfr. R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, 8 voll., trad. it. A cura di G.B. Klein,riveduta da R. Palmarocchi, Firenze, Sansoni, 1956-‘69, IV, p. 524.121 Le vite di Dante, ed. Solerti, cit., p. 134.122 Ben riassume le posizioni Padoan: «Augusto Campana, riferendolo al contestodella narrazione del Biondo, data perciò l’epistola dantesca alla seconda metà

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sciogliere l’enigma prendiamo le mosse dall’Epistola VII. L’epistola èdatata 17 aprile 1311, alle sorgenti dell’Arno, quindi in Casentino(Porciano). Due le notizie fondamentali ai nostri fini: Dante, a cavallotra il 1310 e il 1311, incontra il monarca: «imperatoriam maiestatembenignissimum vidi et clementissimum te audivi, cum pedes tuos manus mee tractaruntet labia mea debitum persolverunt»123; e in quel periodo si è rimesso incontatto con il fuoruscitismo guelfo: «Nam et ego qui scribo tam pro mequam pro aliis»124.

Per un verso osserviamo che tra i primi ad inviare ambasciatori adArrigo vi furono Alboino e Cangrande, che si fecero rappresentare dalvescovo di Verona Tebaldo e dal notabile Bailardino da Nogarola125. Èpossibile che Dante li incontrasse e pensasse dopo d’allora ariallacciare le relazioni con la munifica corte veronese, e che quindiciò accadesse «Forolivii tunc agens» nel corso del 1311. Inoltre proprioin quell’anno tramonta l’ostile Alboino Della Scala (che trapassò innovembre), lasciando solo signore di Verona il fratello Cangrande: Dantepoté quindi ritenere solo allora giunto il momento propizio perriallacciare i rapporti con la corte veronese. Si potrebbe ancheaggiungere che, sempre a Milano, Dante dové incontrarsi col vecchio amicoe sodale Cino da Pistoia, in quel frangente consigliere personale delduca Ludovico di Savoia, un alto dignitario di Arrigo VII126. Cino, cherestò alla corte del lussemburghese fino all’incoronazione, era statopresente alla famosa ambasceria fiorentina accanto al duca Luigi, sicchéil poeta potrebbe aver solo allora appreso quei dettagli più truci, chetanto lo sdegnarono, dalla viva voce di Cino. Tutto questo congiurerebbeperché Dante scrivesse l’epistola forlivese nel corso del 1311.

del 1310 [...] a me pare che il tunc voglia invece riferirsi al momento in cuil’Alighieri scrisse (cioè: ‘da Forlì’), che colloco nella seconda metà dell’annosuccessivi»; G. PADOAN, Tra Dante e Mussato, «Quaderni Veneti», XXIV, 1996, pp. 27-45, p. 37. I dati storici lasciano preferire, come si dirà, la posizione diCampana.123 Il che è accaduto tra la fine del 1310 ed il principio dell’11, con buonaprobabilità durante il periodo milanese, quando accorsero fuorusciti da ogniparte per acclamarne l’incoronazione il 6 gennaio; cfr. F. COGNASSO, Arrigo VII,Milano, Dall’Oglio, 1973.124 Varrà la pena ricordare che pochi mesi prima (12 luglio 1310) proprio inCasentino, a Bibbiena, presso Aghinolfo II da Romena, si trovava Ubaldino diBindo dei Cerchi, condannato della prima ora dai Neri (2 giugno e 28 luglio1302); cfr. R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., IV, p. 527. Travalicando lasorvegliata cautela barbiana, Zingarelli così argomentava: «Il racconto [diBiondo Flavio] è incredibile: prima di tutto, Dante da molti anni si eraseparato dai Bianchi, e una tal lettera avrebbe, se mai, scritta per conto suo[...]. Questa lettera di Dante a Cangrande dev’essere non la sola invenzione delCalvi»; N. ZINGARELLI, La vita, cit., p. 597.125 Cfr. H. SPANGENBERG, Cangrande I della Scala, trad. it. a cura di M. Brunelli e A.Volpi, Verona, Fiorini, 1992.126 Cfr. F. TORRACA, rec. a O. ZENATTI, Dante e Firenze, Firenze, Sansoni, 1902,«Bullettino della Società Dantesca Italiana», X, 1903, pp. 121-77.

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Ma altre circostanze inducono a controvertire l’argomentazione. Unarapida scorsa agli eventi forlivesi di quel periodo ci dice che dal 13luglio 1311 vi aveva preso il potere Gilberto de Santillis, uomo fortedel nuovo vicario pontificio in Romagna (nominato il 19 agosto 1310).Tale vicario non era altri che l’avverso re di Napoli, Roberto d’Angiò.Aggiungiamo che mentre il primo vicario di re Roberto a Forlì, NiccolòCaracciolo (che ricoprì la carica dal 7 ottobre 1310 al giugno 1311)adottò una linea morbida e consociativa, chiedendo il supporto dellemaggiori famiglie forlivesi, in primis Scarpetta Ordelaffi, bendiversamente si condusse il suo successore de Santillis. Quando,insofferenti agli abusi ed agli eccessi degli ufficiali angioini,nell’estate 1311 a Forlì scoppiò una rivolta dei maggiorenti, questimostrò tutt’altra tempra:

Per domare i moti romagnoli fece arrestare ed imprigionare [alla rocca diCastrocaro] Fulcieri de’ Calboli, Scarpetta Ordelaffi e Rambertuccio degliArgogliosi e si impadronì dei loro fortilizi127.

Nel 1311 la situazione cittadina appare quindi poco propizia ad unasosta dantesca, specie se, come lui stesso ci fa sapere, proprio in quelperiodo il poeta riallacciava rapporti coi fuorusciti. In breve, accoltosulla fede di Biondo Flavio un passaggio a Forlì a ridosso della discesaarrighiana, i moti cittadini del primo semestre, culminati nella caduta enella prigionia di Scarpetta, assommati alla truce stretta degli Angioini(fino al punto che della città furono abbattute le mura), rendono pocoplausibile un soggiorno forlivese di Dante nel corso del 1311, lasciandopreferire il secondo semestre 1310.

Se nella seconda metà del ’10 è a Forlì e nella prima parte dell’annosuccessivo è certamente in Casentino, subito dopo si perdono nuovamentele tracce dell’esule. Come si vedrà a suo luogo vagliando le fonti‘minori’, la testimonianza del Petrarca soccorre parzialmente lasciandociintuire una tappa pisana in quel medesimo 1311 (o, secondo una tesiminoritaria ma più convincente, a Genova)128. Gli antichi biografiriferiscono solo molto epigraficamente della meteora arrighiana,lasciandoci intuire un Dante molto partecipe, se non proprio al seguitodella sua Corte, come legittimamente opinano alcuni studiosi (Padoan)129.Come attesta implicitamente Leonardo Bruni, nel corso del 1312 il poetadové progressivamente distaccarsi se non dall’ideale, certo dalleoperazioni militari di Arrigo: sia, come scrive lo stesso Dante, per noncompiere l’estremo oltraggio di portare le armi contro la patria; sia peraverne previsto l’esito fallimentare. A questo punto (1313) Boccacciopone l’estremo approdo di Dante in Romagna, ma sicuramente si tratta di

127 A. TORRE, I Polentani fino al tempo di Dante, Firenze, Olschki, 1966, p. 187.128 Secondo E. MALATO, Dante, cit., Dante sarebbe stato a Verona nel 1312-‘13 (pp.62-3). Tuttavia di tale ipotesi, che di norma non si riscontra nei biografi, nonsi conosce il fondamento.129 Cfr. G. PADOAN, Tra Dante, cit..

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indicazione eccessivamente lapidaria, non essendovi dubbio che negliultimi anni il poeta fu sicuramente (e per un periodo non breve) aVerona. Il Certaldese fece ripetutamente un uso non ineccepibile dellepur preziose notizie che raccolse; infatti egli stesso pose correttamenteil sodalizio con Cangrande al tempo in cui il poeta andava componendo ilParadiso (1316-‘21) 130.

Sugli ultimi anni Filippo Villani mostra tessere interessanti,rivelandosi notevolmente preciso nel porre le fondamentali soste inLunigiana, in Casentino, a Verona e, infine, presso i Polentani. Egliaggiunge che a Verona il poeta si trattenne per un quadriennio sicché,sovrapponendo le due notizie veronesi di Boccaccio e Filippo, avremmo unsoggiorno scaligero all’incirca tra il 1315 e il 1320. Tale esito è moltovicino al vero, almeno stando a quanto è dato di ricavare dalla fittarete di elementi indiretti ancor oggi disponibili, sulla quale presto sitornerà ampiamente131. L’ultimo rifugio vede un unanime concorso perRavenna, dove il poeta trascorre gli ultimi anni circonfuso da un’aura digrande autorevolezza, a capo di un cenacolo dai tratti – dipinti forseesageratamente come – proto umanistici; un fama che la pubblicazionepostuma dell’intero poema doveva far lievitare nel volgere di pochidecenni132.

Al termine di questa lunga esplorazione delle antiche fonti‘maggiori’, si è visto - sulla prova di documenti e di altri riscontri -come i biografi primari abbiano reso una ricostruzione estremamenteattendibile della vita di Dante, sebbene non esente da mende talorarilevanti, le quali il moderno biografo deve arbitrare unicamente sullabase di una sicura conoscenza degli elementi probatori ancora superstiti.La strada da percorrere per giungere ad un nuovo canone biograficodantesco è ancora in gran parte da percorrere e dovrà necessariamentepassare per le forche di un’ampia e profonda (ri)esplorazione delladispersa galassia delle fonti minori e dei non pochi documenti ancor oggiaccessibili. Nonostante una tale opera presenti un notevole grado didifficoltà, sì da auspicare il contributo del maggior numero di studiosi,si tratta di un passaggio obbligato anche e soprattutto ai fini di unpieno e consapevole accesso all’opera del nostro massimo poeta. Sul puntosi condivide la posizione espressa alcuni anni or sono da RosettaMigliorini Fissi:

Sappiamo tutti che con i primi del Novecento le generose ricerche d’archiviodel metodo storico furono sbeffeggiate e poi strozzate. Io credo che bisognasenz’altro tornare a smuovere la polvere degli archivi. È chiaro che il mercato

130 Con ogni probabilità Boccaccio non avrebbe potuto stabilire il tempo dicomposizione del Paradiso con la precisione dei moderni studiosi, tuttavial’aneddoto del ritrovamento postumo dell’ultimo gruppo di canti lasciachiaramente intendere che anche per il Certaldese si trattò di opera postrema.131 Cfr. G. INDIZIO, Le tappe venete, cit..132 Fondamentali C. RICCI, L’ultimo rifugio, cit., e G. BISCARO, Dante e Ravenna,«Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», XLI, 1921, pp. 1-142.

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non è sensibile a questa istanza, poiché una ricerca di archivio non ha limiticronologici e non sappiamo quali esiti può avere. Però io ricordo le parole diRenato Piattoli, che, ormai sul tramontare della sua vita, cercava ancora, edera per lui un motivo vitale, l’autografo di Dante. E a questo proposito credoche noi dobbiamo accogliere l’invito implicito [...] di Segre, quando ci parladi un autografo di Dante che probabilmente dorme in qualche biblioteca e cheattende di essere riscoperto133.

Lasciando sempre aperta la porta alla critica dei risultati di voltain volta raggiunti, vagliare le fonti maggiori per ricostruire un nuovocanone biografico dantesco fondato su ciò che effettivamente ci hannotramandato è stato solo il primo passo.

133 R. MIGLIORINI FISSI, Dante e Firenze, in Dante da Firenze all’aldilà. Atti del terzo SeminarioDantesco internazionale, Firenze, Franco Cesati, 2001, pp. 282-3.

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