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Gianfranco Dioguardi Dalla tradizione della Storia un ordine nuovo per il futuro

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Gianfranco Dioguardi

Dalla tradizione della Storia un ordine nuovo per il futuro

Agli studenti del passato,agli studenti del futuro

Ricordo - come fosse oggi - la prima (per me) lezione dell’insegnamento di “Economia Industriale ed Organizzazione Aziendale” del Prof. Dioguardi,

all’epoca molto opportunamente collocato al quinto anno del Corso di Laurea in Ingegneria Elettrotecnica. A noi, futuri ingegneri industriali, formati alla comprensione dei fenomeni fisici ed alla loro modellazione matematica a fini prevalentemente progettuali,

veniva inaspettatamente offerto un salto di scala, dal microscopio dei laboratori a quello che Joel de Rosnay avrebbe, di lì a poco, chiamato il “macroscopio” di una visione olistica, in grado di leggere - in continuità -

le molteplici relazioni tra progettazione, produzione e gestione; la dimensione economica e finanziaria dei processi produttivi, insieme a quella organizzativa, e quindi umana, sociale, etica, della nostra futura attività professionale.

L’insegnamento proponeva quindi argomenti da scienze umane, superando però ogni contrapposizione tra le due culture, e dimostrandoci come la capacità, tutta ingegneristica, di pensare per modelli potesse, e dovesse,

trovare applicazione in ambiti ben più ampi.Anche il metodo didattico di Gianfranco Dioguardi era molto innovativo: le bellissime lezioni teoriche e le esercitazioni quantitative (tenute da un giovanissimo Guido Sivo) si alternavano a testimonianze di manager e professionisti, ed a proposte di approfondimento su temi di attualità:

quell’anno, ad esempio, leggemmo e discutemmo insieme il rapporto Meadows sui “Limiti dello sviluppo”.

Per tutti noi studenti fu un corso affascinante, seguito con interesse sempre crescente; per me, più semplicemente, la scoperta di cosa volevo fare da grande.

La fortuna, che mi ha sempre accompagnato, e la benevolenza del Maestro vollero che questo mio desiderio potesse realizzarsi; da allora, in quasi quarant’anni, ho ascoltato innumerevoli Sue lezioni, insieme agli altri allievi che Egli ha voluto raccogliere nella Scuola di Bari: il già ricordato

Guido Sivo, Vito Albino, Claudio Garavelli, Pierpaolo Pontrandolfo, Michele Gorgoglione, Nunzia Carbonara, Barbara Scozzi, Ilaria Giannoccaro, ed i tanti dottori di ricerca, studenti, simpatizzanti che hanno costruito,

insieme ai Colleghi Tecnologi ed Impiantisti, l’identità culturale della nostra Ingegneria Gestionale.

Gianfranco Dioguardi non ha mai cessato di rinnovare contenuti e metodi delle Sue lezioni, approfondendo e allargando insieme

L’ultima (?) lezione del Prof. Gianfranco Dioguardi

Presentazione del Magnifico Rettore del Politecnico di Bari,Nicola Costantino

- con un enciclopedismo degno del Suo amatissimo Diderot - l’ambito dei Suoi interessi.Oggi si conclude il Suo impegno didattico di Docente della 1° Facoltà di Ingegneria del nostro Politecnico, non certo la Sua opera di raffinato

ricercatore ed affascinante conferenziere. Siamo tutti sicuri che avremo tantissime altre occasioni di leggerLo e di ascoltarLo, e di continuare a meravigliarci della Sua insuperabile

capacità di offrire ogni volta nuove visioni prospettiche, nuovi insegnamenti professionali ed umani, nuovi stimoli di studio e riflessione.

Arrivederci alla prossima lezione, Maestro!

Gianfranco Dioguardi

Dalla tradizione della Storia un ordine nuovo per il futuro

È con emozione che mi appresto a svolgere questa mia lezione con la quale concludo la mia carriera ufficiale di insegnamento presso il Politecnico di Bari.

Mi fa piacere salutare affettuosamente il nostro Magnifico Rettore - il prof. Nicola Costantino - anche perché è stato mio allievo e ha saputo coronare una carriera ricca di significativi successi con un’elezione alla massima carica del nostro Politecnico avvenuta con una unanimità di consensi che testimoniano la stima e l’attenzione rivolta alla Sua persona, ma anche alla Scuola di Bari di economia e organizzazione aziendale.

Molto tempo è trascorso da quando, quel giovedì 18 novembre 1971 - con la stessa emozione che mi accompagna ancora oggi - iniziavo l’insegnamento di “Economia industriale e organizzazione aziendale” rivolto agli studenti del corso di laurea in Ingegneria Elettrotecnica.

Molto tempo è passato, credo non invano, perché quel tempo ha svolto il ruolo di Grande Scultore che Marguerite Youcenar gli attribuisce nell’omonimo libro, dove scrive:

(...) un ordine nuovo sostituisce ancora una volta l’ordine antico, sino a quando l’ordine nuovo non sia a sua volta sostituito.Allora fui indotto a proporre un ordine nuovo per gli studi

di economia e organizzazione. Oggi cedo il testimone a chi mi succederà così che possa instaurare una volta ancora un nuovo ordine nell’insegnamento delle nostre materie.

Mi gratifica il fatto che il nuovo protagonista sarà appunto un professore della nostra scuola - la Scuola di Bari che in questi anni si è tanto affermata in Italia e nel mondo.

Molto tempo è trascorso e molte cose sono cambiate nel mio modo di affrontare questi temi, ma sono cambiate anche nell’ambito degli insegnamenti delle ingegnerie.

Quella prima lezione si basava su “obiettivi, argomenti e metodi di insegnamento”, e mi trovava convinto che lo svolgimento del corso potesse essere rigidamente programmato a priori, in senso quasi tayloristico. Difatti proponevo per l’insegnamento uno specifico calendario di lavoro - una sorta di budget preventivo

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che posizionava i vari argomenti lungo tutto l’arco delle lezioni, che a quel tempo erano annuali. Ritenevo che ciò potesse mettere gli allievi “nella condizione di operare una scelta critica preliminare sugli argomenti da ascoltare”; scelta che sarebbe stata definita sia dall’interesse suscitato da ogni singolo tema sia dalle priorità emergenti dalle diverse incombenze universitarie di ciascuno studente. Il corso intendeva esplorare l’area delle Economie, in particolare della macro e della microeconomia nel cui ambito si posizionava il soggetto economico “impresa” sul quale veniva poi compiuta l’analisi strutturale e organizzativa. Con il passare degli anni mi sono convinto dell’impossibilità di mantenere la prevista rigidità di programmazione, e ciò a motivo del sempre mutevole e non programmabile svolgimento di ogni singola lezione.

Pertanto, quell’iniziale metodo di insegnamento ha subito modifiche analoghe a quelle intervenute proprio nel campo dell’organizzazione imprenditoriale: da rigidamente programmato è diventato flessibile e quindi più snello così da potersi adattare alle specifiche, imprevedibili circostanze che in termini innovativi si determinano anno dopo anno, lezione dopo lezione.

Il tempo è trascorso e siamo stati via via protagonisti spesso inconsci dell’avvento delle alte tecnologie fra le quali, importantissime, le così dette ICT, Information and comunication technologies che hanno poi portato alla economia della conoscenza. Come afferma Jeremy Rifkin:

I grandi cambiamenti si manifestano impercettibilmente. Fino a quando un bel giorno tutto diventa obsoleto e capiamo di vivere in un mondo completamente nuovo. Le alte tecnologie sono state propositrici di una vera e propria

rivoluzione che si è fatta palese in tutti i settori dell’esistenza, in particolare nell’ambito del lavoro e quindi anche dell’insegnamento. Quasi tutti coloro che operano nelle organizzazioni si sono trasformati in operatori della conoscenza, ovvero in knowledge worker e ciò ha profondamente mutato la formazione professionale degli individui, diventata sempre più variegata e approfondita con notevoli tendenze

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ad ampliarsi anche verso settori culturalmente diversificati.Il fenomeno ha influenzato le facoltà d’ingegneria e la stessa

figura professionale dell’ingegnere. All’inizio, “Economia e Organizzazione Aziendale” faceva parte di un gruppo di corsi - materie giuridiche, estimo, le stesse lingue straniere - non specificamente legate al contesto degli studi altamente specializzati dell’ingegneria classica. Queste materie, perciò, non erano molto considerate negli ambienti universitari tesi a privilegiare gli studi più propriamente scientifici e tecnologici. La figura dell’ingegnere, infatti, allora era generalmente circoscritta quasi esclusivamente agli ambiti della progettazione tecnica e delle responsabilità tipiche del settore della produzione industriale. Si laureavano, di solito, persone con profili spiccatamente specialistici ma con conoscenze molto approssimative nell’ambito della gestione delle imprese. Il che si rifletteva anche sullo scenario esterno, nel mondo del lavoro.

Nelle aziende i posti dirigenziali erano di solito presieduti da personalità non di cultura ingegneristica, provenienti prevalentemente da studi di economia o dell’ambito classico: per esempio molti di questi professionisti spesso erano laureati in filosofia.

Oggi questa situazione tende a cambiare: si registra una maggiore presenza di ingegneri nei posti di comando e di responsabilità gestionale delle imprese. Questo anche perché ci troviamo in presenza di una crescente innovazione che pone le aziende produttive in uno stato di continuo cambiamento e di incessante riprogettazione delle loro tecnologie e della loro organizzazione. Pertanto la governance delle competenze tecnologiche tende a prevalere e il management (soprattutto il middle management) diventa sempre più caratterizzato dalla presenza di ingegneri. È poi andata sempre più affermandosi l’esigenza di adeguare le linee dell’insegnamento specifico alla concezione dell’ingegneria gestionale. Nell’ambito delle imprese si è quindi attribuita priorità all’approfondimento della loro storia, delle loro organizzazioni, delle loro strategie, delle loro strutture, delle motivazioni che ne caratterizzano la gestione e così l’area più specificatamente

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economica è diventata di supporto allo studio dell’Istituzione Impresa che si presenta oramai come argomento principale.Oggi il corso inizia proprio con la definizione di «impresa» e di «imprenditore» così come sono andate evolvendo nel tempo. Si affronta l’analisi della figura dell’imprenditore, della sua storia e di come questa figura diventa protagonista dello scenario economico dando origine all’impresa.

E l’impresa viene osservata in tutte le sue funzioni sia come ente economico sia come personalità giuridica. Un capitolo fondamentale è dedicato al bilancio d’impresa e al relativo controllo di gestione per poi affrontare l’analisi di convenienza degli investimenti, la programmazione e il controllo dei progetti. Lo studio dello scenario Macroeconomico serve come elemento fondamentale per razionalizzare il comportamento strategico imprenditoriale. Si discute quindi di strategia e di struttura aziendale esaminando le diverse funzioni, soprattutto studiando le nuove forme organizzative che fanno riferimento all’impresa rete e a quella che ho definito «macroimpresa», ovvero a quel sistema di imprese che nel loro insieme perseguono l’obiettivo comune della produzione. Vengono quindi approfonditi i modelli di «macroimpresa» e di «imprese rete» che hanno caratterizzato e continuano a influenzare le analisi teoriche ed empiriche della nostra Scuola barese di ingegneria economico-gestionale. Specifiche linee di ricerca hanno poi interessato altri contesti operativi in cui i modelli menzionati trovano applicazione. Il riferimento è agli ambiti della manutenzione programmata edile e industriale, del supply chain management e, soprattutto, dei distretti industriali.

Lo studio dei fenomeni organizzativi caratterizzati da strutture di tipo reticolare si è poi ulteriormente sviluppato con indagini nel campo del knowledge management, della flessibilità operativa aziendale e dell’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulle imprese e sui sistemi di imprese. Le reti spaziali e i distretti industriali vengono indagati inoltre attraverso flussi economici e finanziari, allo scopo di individuare

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le caratteristiche delle imprese di riferimento in grado di assumere posizioni di leadership nel loro contesto territoriale. Il problema assai rilevante della gestione finale dei prodotti è affrontato, in maniera innovativa, sia come conoscenza delle modalità d’uso ottimale degli oggetti della produzione, interpretati come veri e propri servizi caratterizzati oggi sempre più dalla conoscenza, sia nell’importante e nuova funzione della manutenzione programmata da assicurare per la loro migliore, più efficace ed efficiente conservazione nel tempo e anche per ottimizzarne l’uso nella loro gestione ordinaria. Alcuni elementi di micro e macro economia costituiscono la parte conclusiva del corso.

Sin dall’inizio ho cercato di proporre un approccio problematico ai vari temi affrontati così da mettere gli allievi nella condizione di saper impostare criticamente qualsiasi problema che si presentasse anche nel loro futuro professionale. Gli esami si basavano e si basano su tre domande, la prima delle quali è a discrezione dell’allievo, che può presentare anche una tesina specificamente impostata sull’argomento da lui scelto. Ciò consente una valutazione approfondita delle doti e della capacità dello studente a impostare in termini analitici, ma anche di sintesi, l’esposizione critica dell’argomento che ha deciso di discutere.

Gli anni Novanta del secolo scorso sono stati protagonisti di profondi cambiamenti e ciò ha contribuito a modificare sostanzialmente anche la struttura degli insegnamenti delle ingegnerie che da fortemente specialistiche si sono evolute verso il settore organizzativo per quindi affermarsi con l’instaurazione di una specifica facoltà di Ingegneria Gestionale.

Nell’anno accademico 1991-92 è avvenuto a Bari il passaggio delle facoltà di Ingegneria (istituita nel 1948) e di Architettura (istituita nel 1989) dalla nostra Università al neonato Politecnico, in attuazione del Piano Quadriennale Universitario 1986-90. Ciò è accaduto mentre la guida dell’Università era affidata a un indimenticabile personaggio, Attilio Alto, che divenne così anche il primo Rettore del Politecnico di Bari, il terzo in Italia con quelli di Milano e Torino. In questa sede sono stati via via attivati

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numerosi nuovi corsi di laurea con un forte incremento dell’offerta didattica complessiva.

Un particolare e caro ricordo voglio dedicarlo proprio alla figura di Alto, personalità assai complessa in quanto rappresentava l’equilibrata sintesi del sapere specialistico scientifico e tecnologico e delle conoscenze di carattere umanistico. È stato lui a potenziare i corsi di economia e organizzazione, adeguandoli ai nuovi tempi e ponendo le basi per la costruzione, su questi argomenti, di una vera e propria «Scuola di Bari». Una tendenza che si è poi consolidata con l’attento e proficuo rettorato del prof. Umberto Ruggiero e in seguito con Antonio Castorani e Salvatore Marzano che si sono succeduti come rettori assai efficienti del nostro Politecnico.

Intanto si presentava all’orizzonte una nuova didattica, la cui riorganizzazione doveva attuarsi con l’ipotesi delle due lauree, quella di primo livello dopo tre anni, e quella di secondo livello dopo un successivo biennio, avendo poi la possibilità di un terzo livello che poteva svolgersi attraverso i Master e i Dottorati di Ricerca.

In quegli anni il corso diventò di “Economia e Organizzazione Aziendale” per la laurea triennale in Ingegneria Elettrica, e a esso veniva affiancato prima quello di «Sistemi Organizzativi» e poi quello di «Strategia e organizzazione» per la laurea specialistica in Ingegneria Gestionale. Così quell’insegnamento, istituito quasi per caso nell’ambito delle ingegnerie specialistiche, diventava un vero e proprio «caso», assumendo sempre più una rilevante priorità nell’ambito della facoltà di Ingegneria.

Trasformazioni sostanziali si sono avute anche nell’organizzazione logistica dei corsi che hanno come riferimento le economie e l’organizzazione. L’iniziale «Istituto di Tecnologie» - che fu diretto dal Prof. Franco Jovane e dal Prof. Attilio Alto - era diventato prima «Dipartimento di Progettazione e Produzione Industriale» e poi «Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale», accorpando anche l’area degli insegnamenti di Ingegneria Meccanica ed Energetica.

Il naturale gioco delle collaborazioni didattiche e scientifiche

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su base locale consentì poi al Politecnico di Bari di entrare in stretto contatto con l’Università di Basilicata e con le sue sedi di Potenza e di Matera. Si stabilirono collegamenti con Napoli e la scuola di gestione aziendale di Mario Raffa e con Salerno così da costruire solide relazioni di studio con la nostra area di interesse. Cominciò dunque a delinearsi concretamente una vera e propria «Scuola di Bari» di economia e organizzazione, territorialmente articolata in forma di rete sviluppata fra diversi nodi in reciproca interazione.

Nel ricordare il lavoro svolto in questi anni d’impegno universitario, guardo con soddisfazione al gruppo di persone che hanno affiancato il mio cammino scientifico dando un forte impulso di sviluppo a questa Scuola.

Vito Albino, Nicola Costantino e il compianto Guido Sivo - prematuramente scomparso suscitando il dolore di noi tutti - furono i primi ricercatori che divennero docenti associati, quindi straordinari, per assumere infine il ruolo di professori ordinari. Costantino prima di diventare Rettore svolse l’incarico di Prorettore del Politecnico nel rettorato del professor Antonio Castorani, mentre Vito Albino con il rettorato di Salvatore Marzano divenne direttore del nostro Dipartimento. Grazie alla loro attenta e intelligente azione, oggi il nucleo iniziale della Scuola di Bari si è ampliato - vi partecipa un numero molto significativo sia di docenti nei vari ruoli sia di ricercatori in grado di rappresentare una concreta potenzialità, assai significativa per il futuro. A questo proposito della Scuola di Bari ricordo con piacere i professori Claudio Garavelli, Pier Paolo Pontrandolfo, Barbara Scozzi e soprattutto - perché mi hanno validamente affiancato in questi ultimi anni con grande dedizione e con collaborazioni effettivamente straordinarie - il professor Michele Gorgoglione, le professoresse Ilaria Giannoccaro e Nunzia Carbonara. Non posso dimenticare anche i tanti allievi della Scuola che hanno conseguito con noi il Dottorato di Ricerca in sistemi avanzati di produzione e che sono entrati nel mondo del lavoro o collaborano con il Politecnico nell’attesa di possibili e per noi auspicabili accessi alla carriera universitaria. Numerose iniziative nazionali

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e internazionali hanno caratterizzato la vita scientifica della nostra Scuola contribuendo a collocarla in una rete di collaborazioni che vede interessate le più prestigiose università italiane ed estere. Fra l’altro va segnalata la stretta collaborazione con l’AiIG - l’Associazione italiana di Ingegneria Gestionale - della quale sono stato co-fondatore e il Prof. Vito Albino, illuminato Presidente.

Sempre a proposito della Scuola di Bari vorrei ragionare con voi sul significato che le attribuisco.

Intendo per «Scuola» un consesso di persone unite da un comune amore per il sapere e per la ricerca, tese ad acquisire un bagaglio di conoscenze da trasferire alla posterità affinché questa si formi e possa, a sua volta, contribuire all’evoluzione del sapere. Nella Scuola è necessario, dunque, stabilizzare il sapere acquisito per quindi procedere sui sentieri che conducono verso il futuro ignoto.

Fra l’altro, in questi anni mi sono anche interrogato sui modi e sui metodi per meglio caratterizzare l’insegnamento universitario. Da un punto di vista generale sono pienamente d’accordo con quanto afferma il filosofo matematico Alfred North Whitehead:

La ragion d’essere dell’università è quella di preservare il legame tra la conoscenza e il gusto della vita, unendo gioventù e maturità in una visione immaginativa dell’apprendimento (...). La tragedia di questo mondo è che coloro che possiedono l’immaginazione hanno ancora poca esperienza, e coloro che hanno una grande esperienza hanno oramai un’immaginazione infiacchita. Agire basandosi sulla sola immaginazione senza conoscenza è da sciocchi, e agire basandosi sulla sola conoscenza senza immaginazione è da pedanti. La missione dell’università è quella di unire assieme l’immaginazione e l’esperienza. L’insegnamento dunque deve essere in grado di fondere

le conoscenze già acquisite con l’immaginazione innovativa che ogni anno si rigenera grazie ai nuovi allievi capaci di aggiornare la posterità nel suo ruolo di protagonista del futuro. L’insegnamento va orientato in modo tale da proiettare gli allievi verso la ricerca, cioè verso una nuova conoscenza critica in grado

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d’innovare i metodi per affrontare le nuove frontiere che il futuro costantemente presenta. Per questo ho ritenuto di organizzare un metodo di insegnamento che riproponesse i termini aziendali di line e di staff.

Infatti, nell’impresa che costantemente innova e si rinnova, le informazioni strettamente necessarie per operare vengono trasmesse dagli organi decisori alle unità operative in linea diretta, vale a dire in line, mentre il processo di formazione delle decisioni viene di solito attuato con la collaborazione di tipo consultivo o di staff, da parte di specialisti particolarmente competenti sugli argomenti da trattare. Così il metodo di insegnamento è stato articolato su tre proposizioni: la conoscenza diretta da trasferire ai giovani sulla routine della materia insegnata, assimilabile per molti versi allo scenario conoscitivo tipico dei licei; le frontiere innovative del sapere per la ricerca del nuovo attraverso l’indagine che ogni allievo deve essere in grado di esprimere; e infine le linee di sviluppo concrete sulle sollecitazioni d’innovazione così da renderle azioni realizzabili sul campo, effettivamente operative, traendo in questo ambito ispirazione dalle scuole di management e di imprenditorialità. Il metodo si completa con l’utilizzo di una modalità di insegnamento che persegue appunto la linea diretta - di line, cioè - e una per così dire di staff, ovvero di ampliamento conoscitivo.

L’insegnamento del sapere economico e organizzativo nell’ambito del dominio delle teorie affidate alla storia che si presenta oramai come una sorta di routine consolidata, viene generalmente affidata ai giovani ricercatori e agli assistenti: questi hanno perciò modo di affinare le loro capacità e le loro professionalità didattiche preparandosi meglio alla carriera universitaria. La stimolazione negli allievi sia dell’interesse per la ricerca sia della propensione verso l’innovazione accompagnata da un vero e proprio spirito imprenditoriale, è stato demandato alle mie competenze come responsabile del corso. Infine, il livello di miglioramento conoscitivo viene ulteriormente arricchito attraverso conferenze di importanti personalità del mondo scientifico, economico e imprenditoriale

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invitate al Politecnico di Bari per raccontare agli allievi le loro esperienze.

È oramai pressoché unanimemente riconosciuto che la cultura umanistica serve a promuovere un più ampio metodo di ragionamento generale comprensivo di un maggiore orientamento alla sintesi, il che va a beneficio anche del rigore scientifico e tecnologico. Oggi è in atto una sensibile apertura degli insegnamenti specialistici e tecnici verso i saperi umanistici e fra questi possono essere annoverate anche le materie economiche e organizzative che, per quanto specialistiche, presentano un grado di generalizzazione più ampio rispetto alle specificità tecniche proprie delle discipline classiche d’ingegneria.

Queste situazioni hanno condizionato anche l’insegnamento di «Economia e Organizzazione Aziendale», che difatti si è sempre più aperto a sollecitazioni di tipo umanistico. Nel suo svolgimento si è tenuto ben presente il problema di superare la dicotomia fra le due culture cercando di accompagnare gli insegnamenti di tipo specifico con il dubbio cartesiano promotore di nuova ricerca, mai dimenticando gli approfondimenti di carattere umanistico accompagnati spesso da citazioni di brani originali di autori classici, ma anche da sconfinamenti nel mondo della poesia, fra i quali mi piace ricordare If di Kipling e Itaca di Costantinos Kavafis, componimenti poetici a cui sono particolarmente affezionato e che spesso ho presentato agli studenti.

Il concetto di insegnamento in line e in staff ha poi trovato il suo naturale riscontro nella bibliografia proposta agli allievi e nei libri che in termini di utilità marginale il corso stesso ha suggerito e io ho avuto modo di pubblicare nel corso di questi anni.

Nell’ambito dell’insegnamento a me affidato sono debitore a molti libri fra i quali mi fa piacere ricordare Organizzazione come Strategia, il primo che ho pubblicato nel 1982 in collaborazione con Aldo Fabris, maestro in Italia di questa scienza. Quel libro ha avuto l’onore di fregiarsi della presentazione di Alfred D. Chandler, professore alla Harvard University e certamente uno dei massimi maestri di Business History. Gli ultimi saggi che ho scritto sui temi

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organizzativi hanno riguardato I sistemi Organizzativi del 2005, Natura e spirito dell’impresa e Le imprese rete entrambi del 2007. Quest’ultimo è stato pubblicato in America dall’editore Springer con il titolo Network Enterprises. A questi si sono poi aggiunti Le due realtà e Organizzazione cultura territorio entrambi su argomenti vari, ma sempre in uno sfondo caratterizzato dalle problematiche di natura organizzativa. Questi libri, insieme a dispense su specifici argomenti, sono stati appunto consigliati agli studenti; poi si è aggiunta una lista di libri suggeriti con l’intento di ampliare e approfondire in termini di staff le loro conoscenze su specifici argomenti. Un tema che sin dall’inizio mi sono convinto debba essere affrontato con particolare attenzione è la strutturazione di ciascuna lezione.

È nella lezione che si estrinseca il rapporto fra docenti e nuove leve di studenti, fra conoscenze interne ed esperienze esterne in un momento di osmosi fra tradizione e innovazione. Le lezioni devono costituire, assieme alla costante azione di ricerca, il momento più esaltante per chi partecipa alla nostra Scuola. In quella sede, infatti, si ha la possibilità ogni anno di confrontarsi con le nuove leve studentesche che impongono, appunto nel confronto continuo, un costante aggiornamento e adeguamento cosicché la lezione possa diventare un vero momento dialettico di interscambio fra conoscenze acquisite e ricerca innovativa insita nel concetto stesso di posterità. Contemporaneamente va sviluppandosi sempre più il collegamento con il mondo del lavoro attraverso una puntuale integrazione in particolare con le imprese industriali, sempre più numerose, che hanno manifestato un alto indice di gradimento per il livello di preparazione dei laureati del Politecnico di Bari.

Nelle lezioni occorre dunque essere sempre coscienti del fatto che l’incontro con gli studenti significa uno splendido modo di interagire con la posterità tanto amata da Denis Diderot, il grande filosofo del Settecento illuministico che la assimilava a una affascinate sinfonia affermando:

Risulta dolce ascoltare la notte un concerto di flauti provenire di lontano sotto forma di taluni suoni sparsi che la mia immaginazione (...) riesce a leggere e a trasformare in un canto compiuto.

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Il rapporto con gli studenti deve saper stimolare sempre un senso di aspettativa per come l’evento di fatto si realizzerà anche se ciò potrà indurre stati di ansia e di tensione che il cantantautore Lucio Battisti molto bene definiva: “... chiamale se vuoi emozioni”.

La fase iniziale della lezione andrebbe caratterizzata da un riassunto di ciò che si è esposto in precedenza sull’argomento, a cui facciano seguito le linee guida di ciò che si sta per esporre nel corso del discorso. Questa prima fase presenta innumerevoli difficoltà, in quanto deve poter interessare gli allievi coinvolgendoli nelle argomentazioni in atto. Successivamente andrà affrontato il tema nel suo corpo essenziale, sviluppandolo in termini di storia delle dottrine di pertinenza e quindi di esposizione dello stato dell’arte così come si esprime nell’attualità. Poi, ecco presentarsi una fase, anch’essa particolarmente difficile perché deve essere in grado di interpretare criticamente l’attualità dei fatti per proiettarla verso il futuro, tracciando le possibili frontiere evolutive sulle quali i giovani sono chiamati a esercitare la loro immaginazione per proporre soluzioni innovative rispetto ai problemi emergenti.

In questo senso l’ispirazione può essere fornita da una citazione di Claude Bernard tratta da un suo saggio esemplare del 1865, Introduzione allo studio della medicina sperimentale:

Molto spesso le idee sperimentali sorgono per caso in seguito a una osservazione fortuita. Questo caso è assai comune ed è anzi il modo più semplice per cominciare un lavoro scientifico. Si va a zonzo, per così dire, nel regno della scienza e ci si mette dietro a quello che casualmente può presentarcisi dinanzi. Come dice Bacone, la ricerca scientifica è una specie di battuta di caccia e le osservazioni sono la selvaggina. Le ipotesi dovranno poi essere vagliate anche in termini di

imprenditorialità così da poter verificare i possibili sviluppi pratici delle intuizioni che l’immaginazione ha indotto.

La fase finale della lezione è destinata a eventuali quesiti proposti dagli studenti per poi concludersi con una rapida sintesi di ciò che si intende sviluppare nei futuri incontri.

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Il metodo di lavoro deve quindi procedere per così dire “a imbuto”, partendo da una analisi vasta e qualche volta confusa verso una sintesi chiara e concentrata delle notazioni insegnate. Gli allievi, peraltro, devono essere coscienti che gli sforzi che essi oggi compiono si renderanno manifesti in tutta la loro efficacia nel futuro quando saranno in grado di rendere concreti i meriti di quanto hanno effettivamente appreso.

Il tempo è dunque trascorso e nuovi scenari con nuovi eventi si presentano all’orizzonte prefigurando nuove frontiere da conquistare attraverso la ricerca che deve rimanere la base fondamentale del significato stesso di Università.

Così oggi mi fa piacere concludere questa mia ultima lezione mutuando un’affermazione a me molto cara di Alfred P. Sloan, l’imprenditore manager che fece grande la General Motors ponendola in alternativa competitiva con la tayloristica Ford, anticipando per molti versi le organizzazioni attualmente presenti nella produzione flessibile. Sloan così concludeva un suo celebre libro autobiografico, My Years with General Motors:

Ogni nuova generazione deve far fronte al cambiamento - nel mercato automobilistico, nell’amministrazione d’impresa, nelle relazioni tra impresa e un mondo che muta. [E io aggiungerei anche nell’insegnamento e in particolare nell’insegnamento universitario]. Per gli uomini dell’attuale direzione il lavoro è appena agli inizi. Alcuni dei loro problemi sono simili a quelli che io mi trovai dinnanzi ai miei tempi; altri io nemmeno potevo sognarmeli. L’opera di creazione continua.Anche per noi, qui al Politecnico di Bari, in particolare nei

corsi afferenti l’economia e l’organizzazione aziendale, “l’opera di creazione continua”, così che ricerca e insegnamento possono essere costantemente perseguiti con profonda e proficua dedizione, con immutata passione.

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Note

Marguerite Yourcenar, Il tempo, grande scultore, Einaudi, Milano 1985, pag. 8

Proposto in epigrafe da Elserino Piol in Per non perdere il futuro. Appunti per l’innovazione e la competitività dell’Italia, Guerini e Associati, Milano 2008, pag. 19

Alfred North Whitehead, The Aims of Education and Other Essays, Macmillan, New York 1967, pag. 93. Traduzione italiana I fini dell’educazione e altri saggi, La Nuova Italia, Scandicci 1992

Denis Diderot, in Gianfranco Dioguardi, Dossier Diderot, Sellerio, Palermo 1995, pag. 415

Claude Bernard, Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, Baillière et fils, Paris 1863, in italiano Introduzione allo studio della medicina sperimentale, Feltrinelli, Milano 1951, pagg. 169-170

Alfred P. Sloan, My Years with General Motors, Doubleday 1963, in italiano La mia General Motors, Il Sole24ore Divisione Libri, Milano 1991, pag. 396

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Sono diverse le eredità culturali che appartengono a Gianfranco Dioguardi; l’insieme dei repertori letterari, storici, artistici ed economici esistono in rapporto ad uno spirito fatalistico che appunto considera indivisibili e indispensabili i saperi apparentemente lontani. A partire dai temi dell’Economia egli costituisce una struttura culturale in grado di comprendere il carattere labile e stabile del sapere. Termini come organizzazione, impresa e rete, pur assumendo significati profondi e carichi di nuove valenze, rimangono ancorati al proprio valore primigenio. La loro natura è il tema fondante di una vocazione che mira a inventare e a ricucire quella trama di avvenimenti e soluzioni che costituiscono con la loro complessità il più profondo senso culturale. Solo l’obiettivo costante di rintracciare un ordine e di «riconoscere l’organizzazione come scienza» può legittimare l’uso di un’enfasi conoscitiva così ampia e profonda.

Gianfranco Dioguardi, figura per eccellenza in grado di incarnare lo spirito del Doctor Universalis, si distingue proprio per la capacità di riscoprire e ideare le analogie tra conoscenze diverse. Avvicinarsi alla sua opera significa infatti osservare da vicino la reincarnazione di un sapere enciclopedico che, lontano dall’essere necessariamente scientifico, dimostra una capacità d’invenzione in forme narrative ogni volta diverse eppure accomunate dalla complessità dei riferimenti in gioco. In questo modo la sua opera sfugge a una facile classificazione e sembra essa stessa coincidere con quelle divagazioni private costruite un po’ per gioco un po’ per caso attorno agli interessi di un uomo. In questa volontà intima e narrativa risiede il termine di paragone con il fenomeno enciclopedico: si tratta in definitiva di un caso di empatia in cui Jacques le fataliste diventa la definizione per eccellenza dello stile letterario di Dioguardi. Come nell’opera di Diderot ogni cosa appare frantumata in una miriade di racconti, di fatti subordinati, per poi venirne a capo solo alla fine, dopo un’attesa che appartiene al vero lettore, l’opera di Dioguardi sembra proporre costantemente una logica mascherata da forme non lineari, discontinue e differite.

Così quest’ultima lezione appare ironicamente caricarsi di un valore chiarificatore per cui il lettore è continuamente in apprensione, persuaso dall’idea di scoprire i segreti e la soluzione del racconto. Ma l’ultima lezione non è altro che un modo per non concludere esorcizzando una fine attraverso la consueta e inestricabile adesione scientifica e autobiografica. La poetica di Diderot è evidente in questa

Per non concludereVincenzo D’Alba, Francesco Maggiore

volontà di considerare il libro come frammento bibliografico di un autore, quindi di riconoscere solo nell’insieme della produzione letteraria il valore complessivo dell’opera, dando ai libri la capacità originale: di completarsi a vicenda. Così infatti, leggendo in rapida sequenza i titoli dei libri scrittida Dioguardi: Un avventuriero nella Napoli del Settecento (1983), L’impresa nell’era del computer (1986), Il gioco del caso (1987), Viaggio nella mente barocca. Baltasar Graciàn ovvero le astuzie dell’astuzia (1990), Incidenze e coincidenze (1990), La città come impresa (1991), Il museo dell’esistenza (1993), Dossier Diderot (1995), L’avventura della ricerca. Libri, università, imprese (2003), I sistemi organizzativi (2005), Le imprese rete (2007), Viaggio verso utopia e altri scritti di bibliofilia (2008), Le due realtà: fattuale e virtuale nell’era della globalizzazione (2009), Organizzazione, cultura, territorio (2009) è possibile avere una visione d’insieme della sua vocazione alla complessità e della sua ossessione per la ricerca. Titoli in cui si condensano i territori di un inconfondibile stile letterario, espressione di una vocazione intellettuale che prende corpo in ogni direzione: nella scienza, nell’arte, nella letteratura. Ogni libro contiene la sua ambivalenza, poiché sempre in esso sono coniugate le digressioni scientifiche con quelle umanistiche, le sperimentazioni con l’etica. Più che un’ambivalenza in realtà si tratta di una forma di pensiero assoluta in grado di contenere o codificare gli imprevisti della cultura presente. Attraverso i suoi libri si può riacquisire quella dimensione perduta che contraddistingue l’idea di una ricerca in grado di tramandarsi in modo appassionato e sincero. Tuttavia Dioguardi non possiede solo una fertile e vigorosa arte dello scrivere, ma l’educazione verso una forma materiale ed ideale nella quale è racchiusa la scrittura: il libro stesso, dunque, appare la sua forma preferita da cui far scaturire quella forza dinamica e tattile capace di penetrare pure coloro che meno vi credono.

Gianfranco Dioguardi ci ha appassionati per sempre ai suoi insegnamenti: perché la vita di un Maestro, quando entra a far parte così profondamente della vita di un allievo, continua in questi a crescere fino a confondersi, fino a diventare indelebile memoria per un ordine nuovo.

Volume pubblicato in occasione della Lezione che il Prof. Ing. Gianfranco Dioguardiha tenuto nell’Aula Magna ‘A. Alto’ del Politecnico di Bari a conclusione del suo insegnamentocome Professore Ordinario dello stesso Politecnico27 gennaio 2010

Presentazione del Magnifico Rettore,Prof. Ing. Nicola Costantino

Postfazione di Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore

Stampato in cinquecento esemplari numeratiA cura di Vincenzo D’Alba e Francesco MaggioreProgetto grafico e impaginazione di Ivan AbbattistaRevisione di bozza di Maria Rosaria Acquafredda

Testi composti in Fedra (Peter Bilak, 2001), Akzidenz Grotesk (Fonderia Berthold, 1895)

Stampato presso la tipografia Arti Grafiche Favia di Modugno (Bari)su carta Old Mill delle Cartiere Fedrigoni

Esemplare numero

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POLITECNICO DI BARIFONDAZIONE GIANFRANCO DIOGUARDI

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,ms. Urb. lat. 175: Petrus de Unciola, Trattato notarile, f. ir. L’autore fa lezione