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85 CARTOGRAFIA ARCHEOLOGICA, INDAGINI SUL CAMPO ED INFORMATIZZAZIONE. IL CONTRIBUTO SENESE ALLA CONOSCENZA ED ALLA GESTIONE DELLA RISORSA CULTURALE DEL TERRITORIO sione dei GIS; infine illustreremo dal punto di vista tecnico levoluzione del sistema di gestione dei dati, allargando la discussione alla struttura degli archivi proposta dalla stessa Regione To- scana. Per completezza, concludiamo questa breve in- troduzione riportando le carte di identit dalle indagini sui comprensori provinciali di Siena e Grosseto. Carta archeologica Provincia di Grosseto TERRITORIO PROVINCIALE 28 comuni (4500 Kmq). 11 comuni indagati (Montieri, Semproniano, Massa Marittima, Roccastrada, Scarlino, Grosseto, Scansa- no, Magliano in Toscana, Manciano, Orbetello, Capalbio). 13 comuni attualmente sotto indagine (Monterotondo Marittimo, Castel del Piano, Seggiano, Arcidosso, Santa Fiora, CastellAzzara, Sorano, Gavorrano, Fol- lonica, Cinigiano, Campagnatico, Castiglione della Pe- scaia, Roccalbegna). Aree campione: 641 Kmq-14,2% del totale. PRESENZE ARCHEOLOGICHE Totale rinvenimenti: 3892 UT. Anomalie aeree: 473 segnalazioni. Progetto ASAT: 512 rinvenimenti. Progetto Valle dellAlbegna: 1704 rinvenimenti. Progetto colline metallifere: 539 rinvenimenti. Tesi di laurea dellUniversit di Siena: 695 rinveni- menti. Lavori in corso dellUniversit di Siena: 175 rinveni- menti. CARATTERISTICHE DELLE PRESENZE ARCHEOLOGICHE Non databili con precisione: 320 rinvenimenti (8,2%). Periodo pre-protostorico: 517 rinvenimenti (13,28%). Periodo etrusco: 1001 rinvenimenti (25,7%). Periodo romano: 1496 rinvenimenti (38,4%). Periodo medievale: 448 rinvenimenti (11,5%). Periodo moderno-contemporaneo: 112 rinvenimenti (2,8%). INTRODUZIONE Il nostro Dipartimento L attivo da oltre venti anni in progetti di archeologia territoriale. Questesperienza ci permette di stilare un bilan- cio, forse anche un po confuso, di quanto ela- borato sino ad oggi, dei passaggi effettuati e del- levoluzione raggiunta nellaffinamento della metodologia dindagine e nel confronto con le nuove risorse messe a disposizione dallinforma- tica. Durante lincontro organizzato dalla Regione Toscana (allinterno di due relazioni incentrate su metodologia, tecnica di ricerca e informatiz- zazione) abbiamo infatti toccato tutti questi pun- ti, illustrando soprattutto il progetto Siti daltu- ra della Toscana (oltre 1500 castelli e piø di 4000 anomalie aeree cartografate) e le indagini in corso sui territori provinciali di Siena e Grosseto, aree in cui (in coordinamento con le locali ammini- strazioni) si stanno realizzando operazioni di cartografia archeologica fondate sulla battitura del terreno e non solo sulla razionalizzazione delledito 1 . Inoltre L stato presentato il nostro sistema informatizzato di gestione dei dati; si- stema che da alcuni anni sta impegnando il La- boratorio di Informatica applicata allArcheolo- gia Medievale dellUniversit di Siena e compo- sto da piattaforme GIS, da archivi alfanumerici e multimediali interagenti allinterno di una strut- tura mutuata dalla cosiddetta Spatial Archaeology (livelli macro-semi micro-micro: dal territorio regionale ai territori provinciali ai singoli scavi ai reperti) 2 . In questo contributo ripercorreremo quindi lan- damento della relazione; ci interrogheremo e sof- fermeremo su considerazioni inerenti lo stato attuale della metodologia applicata nelle indagi- ni territoriali, i limiti connaturati al dato archeo- logico di superficie, la natura delle presenze me- dievali, le nuove necessit scaturite dalla diffu- 1. FRANCOVICH et alii 1997; VALENTI 1989a; VALENTI 1995; CAMBI 1996; VALENTI 1999. 2. VALENTI 1998a.

R. FRANCOVICH, M. VALENTI, Cartografia archeologica, indagini sul campo ed informatizzazione. Il contributo senese alla conoscenza ed alla gestione della risorsa culturale del territorio,

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CARTOGRAFIA ARCHEOLOGICA, INDAGINI SUL CAMPO EDINFORMATIZZAZIONE. IL CONTRIBUTO SENESE ALLA CONOSCENZA

ED ALLA GESTIONE DELLA RISORSA CULTURALE DEL TERRITORIO

sione dei GIS; infine illustreremo dal punto divista tecnico l�evoluzione del sistema di gestionedei dati, allargando la discussione alla strutturadegli archivi proposta dalla stessa Regione To-scana.Per completezza, concludiamo questa breve in-troduzione riportando le carte di identità dalleindagini sui comprensori provinciali di Siena eGrosseto.

Carta archeologica Provincia di Grosseto

TERRITORIO PROVINCIALE

28 comuni (4500 Kmq).11 comuni indagati (Montieri, Semproniano, MassaMarittima, Roccastrada, Scarlino, Grosseto, Scansa-no, Magliano in Toscana, Manciano, Orbetello,Capalbio).13 comuni attualmente sotto indagine (MonterotondoMarittimo, Castel del Piano, Seggiano, Arcidosso,Santa Fiora, Castell�Azzara, Sorano, Gavorrano, Fol-lonica, Cinigiano, Campagnatico, Castiglione della Pe-scaia, Roccalbegna).Aree campione: 641 Kmq-14,2% del totale.

PRESENZE ARCHEOLOGICHE

Totale rinvenimenti: 3892 UT.Anomalie aeree: 473 segnalazioni.Progetto ASAT: 512 rinvenimenti.Progetto Valle dell�Albegna: 1704 rinvenimenti.Progetto colline metallifere: 539 rinvenimenti.Tesi di laurea dell�Università di Siena: 695 rinveni-menti.Lavori in corso dell�Università di Siena: 175 rinveni-menti.

CARATTERISTICHE DELLE PRESENZE

ARCHEOLOGICHE

Non databili con precisione: 320 rinvenimenti (8,2%).Periodo pre-protostorico: 517 rinvenimenti (13,28%).Periodo etrusco: 1001 rinvenimenti (25,7%).Periodo romano: 1496 rinvenimenti (38,4%).Periodo medievale: 448 rinvenimenti (11,5%).Periodo moderno-contemporaneo: 112 rinvenimenti(2,8%).

INTRODUZIONE

Il nostro Dipartimento è attivo da oltre venti anniin progetti di archeologia territoriale.Quest�esperienza ci permette di stilare un bilan-cio, forse anche un po� confuso, di quanto ela-borato sino ad oggi, dei passaggi effettuati e del-l�evoluzione raggiunta nell�affinamento dellametodologia d�indagine e nel confronto con lenuove risorse messe a disposizione dall�informa-tica.Durante l�incontro organizzato dalla RegioneToscana (all�interno di due relazioni incentratesu metodologia, tecnica di ricerca e informatiz-zazione) abbiamo infatti toccato tutti questi pun-ti, illustrando soprattutto il progetto Siti d�altu-ra della Toscana (oltre 1500 castelli e più di 4000anomalie aeree cartografate) e le indagini in corsosui territori provinciali di Siena e Grosseto, areein cui (in coordinamento con le locali ammini-strazioni) si stanno realizzando operazioni dicartografia archeologica fondate sulla battituradel terreno e non solo sulla razionalizzazionedell�edito 1. Inoltre è stato presentato il nostrosistema informatizzato di gestione dei dati; si-stema che da alcuni anni sta impegnando il La-boratorio di Informatica applicata all�Archeolo-gia Medievale dell�Università di Siena e compo-sto da piattaforme GIS, da archivi alfanumericie multimediali interagenti all�interno di una strut-tura mutuata dalla cosiddetta �SpatialArchaeology� (livelli macro-semi micro-micro:dal territorio regionale ai territori provinciali aisingoli scavi ai reperti) 2.In questo contributo ripercorreremo quindi l�an-damento della relazione; ci interrogheremo e sof-fermeremo su considerazioni inerenti lo statoattuale della metodologia applicata nelle indagi-ni territoriali, i limiti connaturati al dato archeo-logico di superficie, la natura delle presenze me-dievali, le nuove necessità scaturite dalla diffu-

1. FRANCOVICH et alii 1997; VALENTI 1989a; VALENTI 1995;CAMBI 1996; VALENTI 1999.2. VALENTI 1998a.

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Fig. 1 � Carta archeologica della Provincia di Siena. Vista generale di tutti i siti con transetti e confini marcatiper i comuni già indagati.

Fig. 2 � Carta archeologica della Provincia di Grosseto. Vista generale di tutti i siti con transetti.

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Carta archeologica Provincia di Siena

36 comuni (3819 Kmq).18 comuni già indagati (Poggibonsi, Colle Val d�Elsa,Castellina in Chianti, Radda in Chianti, Gaiole inChianti, Castelnuovo Berardenga, Siena, Sovicille,Radicondoli, Chiusdino, Monticiano, Murlo, Pienza,Chiusi, Chianciano Terme, Castiglione d�Orcia,Radicofani, Abbadia San Salvatore).5 comuni sotto indagine (Buonconvento, Monterig-gioni, Montalcino, San Quirico d�Orcia, San Giovan-ni d�Asso).Aree campione: 856 Kmq-22,4% del territorio pro-vinciale; 36,7% dei comuni oggetto di indagine.

PRESENZE ARCHEOLOGICHE

Totale rinvenimenti: 4174 UT (+274% rispetto almateriale edito).Anomalie aeree: 763 segnalazioni.Rinvenimenti editi: 894 attestazioni.Fonti archivistiche: 910 Attestazioni (712 con archeo-logia).

CARATTERISTICHE DELLE PRESENZE ARCHEOLOGICHE

Non databili con precisione: 184 rinvenimenti (4,4%).Periodo preistorico: 284 rinvenimenti (6,8%).

Periodo protostorico: 104 rinvenimenti (2,4%).Periodo etrusco: 997 rinvenimenti (23,8%).Periodo romano: 943 rinvenimenti (22,5%).Periodo medievale: 1629 rinvenimenti (39%).

1. IL SIGNIFICATO ATTUALE DELLE INDAGINI

DI �CARTOGRAFIA ARCHEOLOGICA�

Redigere cartografia archeologica prevede il per-seguimento di due obiettivi principali, uno scien-tifico ed uno politico. Il loro raggiungimentopermette da un lato di comprendere l�evoluzio-ne insediativa di una regione e dall�altro di fareentrare definitivamente l�archeologia nelle dina-miche di gestione e valorizzazione che la riguar-dano.L�obiettivo scientifico è quindi riuscire a leggeresincronicamente e nella diacronia le forme as-sunte da rapporti di tipo residenziale, ovverointerpretare gli spazi che costituivano l�assettoinsediativo delle collettività, ricostruendo così ilprocesso di formazione del territorio.L�obiettivo politico corrisponde invece alla pro-duzione di carte tematiche attraverso le qualileggere i processi storici susseguitisi nella forma-

Fig. 3 � Atlante dei siti fortificati della Toscana. Vista generale dei siti fortificati (pallino nero) e delle anomalieaeree (cerchio bianco).

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zione del territorio e, soprattutto, �mappare� larisorsa archeologica.Ricostruire l�evoluzione storica e culturale dellecampagne significa pertanto produrre una seriedi supporti cartografici dove leggere la memoriadi un paesaggio rurale progressivamente ed irre-versibilmente stravolto dalle nuove tecnologie eda uno sviluppo urbanistico incontrollato. Si trat-ta di approntare strumenti operativi che permet-tano una pianificazione territoriale annoverantetra le proprie finalità il mantenimento dell�ere-dità storica; quindi l�individuazione delle strate-gie d�intervento più appropriate per sfruttare almassimo un patrimonio �sommerso� come l�ar-cheologia.Questa doppia anima insita nella definizione�Cartografia archeologica� è collegata conse-guentemente ad altrettanti metodi di ricerca: ilcensimento del noto e la ricognizione diretta delterreno.Si tratta di aspetti diversi ed ormai tradizionalidella medesima attività; ambedue sono indispen-sabili ma entrambi presentano problemi che de-vono essere risolti per raggiungere standard com-petitivi e coerenti con gli attuali sistemi digitalidi documentazione e gestione del dato cartogra-fico.Sino a pochi anni fa, la costruzione di cartogra-fia archeologica veniva svolta attraverso il lavo-ro manuale oltre, naturalmente, al lavoro di ri-cognizione e battitura a terra. Oggi la cartogra-fia archeologica passa ancora per la ricerca sulcampo ma il lavoro a tavolino è stato sostituitodall�impiego dei computers. Non si tratta di uncambiamento di comodo (cioè registrazione este-ticamente migliore e di più facile immagazzina-mento); l�utilizzo ottimale della macchina è or-mai necessario per evitare di svolgere ricercheche già in partenza si collochino ad un grado diarretratezza rispetto a standard di documenta-zione ormai imprescindibili.L�ultimo decennio ha visto la tecnologia e l�in-formazione digitale fare definitivamente irruzio-ne nella nostra vita quotidiana ed anche all�in-terno delle scienze umanistiche il confronto edil rapporto con la computer science si è reso ob-bligatorio. L�impatto deflagrante delle possibili-tà offerte per la catastazione-gestione del dato eper la sua comunicazione e trasmissione, per lanecessaria e indispensabile precisione di registra-zione, ha colto impreparato il nostro ambiente.Se in assoluto si è iniziato a parlare di GIS e si-stemi informativi territoriali computerizzati allafine degli anni �80, solo recentemente l�interessegenerale si è focalizzato sempre di più su questotipo di applicazioni.

L�avvento del GIS ha decisamente confuso la si-tuazione e complicato i processi di sviluppo incorso nelle diverse università, allargando il no-vero delle competenze indispensabili (oltre quelletradizionali dell�archeologo) alla conoscenza delproprio sistema macchina e di tecniche come lagrafica vettoriale, la programmazione, il tratta-mento immagine od applicativi tipo fogli di cal-colo, databases, softwares specifici per GIS. Inol-tre ha messo molti dipartimenti di fronte allanecessità di dovere investire in attrezzature epersonale con specializzazioni di nuovo tipo.Oggi infatti il ricercatore appartiene alla comuni-tà scientifica internazionale, e con essa interagi-sce, a patto di sapere domare la tecnologia e sa-per comunicare il grado di sviluppo raggiunto;esiste poi un dialogo con le amministrazioni pub-bliche per una progettazione congiunta, attua-bile se produciamo e forniamo archeologia sot-to forma di dati digitali in formato universale 3.Il valore di una ricerca risiede, oltre che nellabontà scientifica, nei giga di informazioni archi-viati in standard d�avanguardia.Questa �rivoluzione� ha così aperto nuove pro-spettive al lavoro dell�archeologo e ad un impie-go per fini pubblici dell�archeologia. Ha indottoun maggior peso alle nostre ricerche di fronteagli enti preposti alla tutela ed alla gestione delterritorio e dei beni culturali (in quanto questinecessitano di inserire la risorsa archeologicanella cartografia numerica complessiva del ter-ritorio di competenza).Paradossalmente il progresso non ha portato solobenefici. L�archeologia che trasmettiamo deverispondere a precisi requisiti di completezza eciò ha messo in luce quelle carenze, oggi dram-matiche, che da sempre investono la nostra pro-duzione di dati, soprattutto per gli aspetti legatialla rilevazione ed alla loro traduzione in formageometrica contenente attributi fondamentali.L�informatizzazione dell�edito e dei rinvenimen-ti, prodotti da ricerche anche recenti all�internodelle diverse università, ha quindi sottoposto aduna prima, generale e severa verifica la qualitàdel lavoro di ricerca svolto dalla metà degli anni�70 ad oggi.I problemi oggettivi legati all�addomesticamen-to di una nuova tecnologia sono indubbiamentedifficoltà connaturate ad una fase di crescita e disviluppo interno della stessa archeologia. L�av-vento del GIS e la sua applicazione anche comestrumento di ricerca (cioè la trasformazione deldato catastato in informazioni ed in modelli di

3. FRANCOVICH 1999.

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Fig. 4 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Campi battuti con uso delsuolo e idrografia.

Fig. 5 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Campi battuti e perimetrazionidelle UT rinvenute con uso del suolo e idrografia.

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lettura) sta portando, forse per la prima volta,ad analisi spaziali correttamente impostate. Cistiamo infatti appropriando dei modelli inter-pretativi geografici, sperimentandoli nella dia-cronia. Affrontiamo il dato anche dal punto divista statistico, tentando di spiegare gli effetti deifenomeni sociali sullo spazio; interpretiamo lerelazioni spaziali come modelli sia in linguaggioformalizzato (termini logico matematici) sia, poi,in linguaggio comune (sintesi illustrativa).Il computer sta però provocando anche un ulte-riore fenomeno, per ora in embrione, benché desti-nato ad esplodere: la necessità di svolgere le in-dagini territoriali in modo diverso da quello tra-dizionale. Le sue funzioni di calcolo e di gestio-ne dei dati rappresentano infatti una �cartina tor-nasole� incredibilmente impietosa nell�evidenzia-re le carenze di documentazione; richiedono re-gistrazioni esaustive per poterne beneficiare equesto passo sarà effettuato solo attraverso ilprogresso delle metodologie di indagine.I cambiamenti dovranno essere realizzati in fasedi progettazione (campionatura orientata secon-do le indicazioni provenienti dai dati già proces-sati), in fase di lettura delle presenze archeologi-che di superficie (necessità di repertori casistico/interpretativi comuni ed esplicitati con chiarez-za), in fase di registrazione sul campo (geome-tria, posizionamento, quota e georeferenziazio-ne precisi) e in fase di catastazione, interroga-zione e verifica del dato nella piattaforma.Ci troviamo di fronte ad un nuovo modo di farearcheologia del territorio e questo porta senzadubbio ad una riflessione globale sul nostromodo di operare sul campo, sugli schemi di do-cumentazione e di interpretazione applicati, in-fine sull�archiviazione del dato 4.

2. LE RACCOLTE DEL NOTO

Il censimento del noto ha sinora dato luogo abuone raccolte di dati; detengono però valorequasi esclusivamente per gli aspetti che riguar-dano la costruzione di una serie di modelli in-terpretativi della diacronia territoriale e non perle finalità che ne hanno richiesto la realizzazio-ne: conoscenza, archiviazione e gestione del pa-trimonio archeologico segnalato su più sedi.A seguito del grande �Progetto Etruschi� e nellanecessità di implementare le basi dei nascenti SIT

regionali e provinciali attraverso la risorsa ar-cheologica già conosciuta, nella seconda metàdegli anni �80 venne effettuata un�importanteoperazione a livello di costruzione di repertori:la redazione e la pubblicazione dell�Atlante deiSiti Archeologici della Toscana (ASAT) a cura diTorelli 5. L�ASAT, pur avendo il grande merito diraccogliere un enorme patrimonio conoscitivo(parliamo di oltre 3500 schede) ha però alcunidifetti di fondo che ne impediscono l�uso, se-condo i parametri di catastazione oggi richiesti.Questo lavoro risulta estremamente condizionatodall�essere passato per molte mani senza un con-trollo unificatore dei dati prodotti; si riscontra-no perciò molte ripetizioni di schede talvoltadifferenziate solo da un toponimo di riferimen-to diverso, bibliografia citata ed in molti casi nonriportata, l�assenza di georeferenziazione (quin-di l�impossibilità di una collocazione su carto-grafia numerica). Infine si decide a priori chel�archeologia degna di essere censita debba ave-re come termine il VII secolo d.C. Il medioevonon esiste, o meglio, si finge che non esista; unadiscriminazione aprioristica grave (nella quale ècaduta di recente anche la Regione Emilia Ro-magna) ma che risulta ancor più grave per laToscana, dove il medioevo caratterizza decisa-mente tutta la formazione del paesaggio e dellarete insediativa odierna. Ignorare l�archeologiadel medioevo impedisce oltretutto di raccoglie-re informazioni corrette anche per l�antichità. Ilmedioevo spesso si sovrappone ad essa; evitarlosignifica non raggiungere un buon grado di co-noscenza del patrimonio archeologico e pena-lizzare la comprensione della diacronia insedia-tiva del territorio.Nell�ambito delle iniziative coordinate da entilocali s�inserisce per la nostra regione anche lacarta archeologica della provincia di Firenze,curata dalla cooperativa Co.Idra 6.Il lavoro sul territorio fiorentino è ben fatto ed èmolto più utile dell�ASAT. Vengono censite 777presenze archeologiche (490 rinvenimenti disuperficie, 119 emergenze, 104 rinvenimenti noncontestualizzabili, 64 scavi archeologici) e geo-referenziate quando ciò risulta possibile; le sche-de sono state gestite in un sistema di archivi re-lazionali appositamente realizzato (�SARA� - Si-stema di Archiviazione dei Rinvenimenti Archeo-logici) e destinate con successo alle piattaformeGIS del SIT provinciale. Si tratta in definitiva di

4. VALENTI cs.5. ASAT 1992.6. CO.IDRA 1995.

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un�impostazione corretta, finalizzata ad una ge-stione dell�archeologia su cartografia numericareplicabile anche su piattaforme GIS esterne alprogetto; tiene conto finalmente sia del Medio-evo (VI-XIV secolo) che del Post-medioevo (XIV-XVIII secolo), all�interno di un�operazione vo-luta e sponsorizzata da un ente amministrativoterritoriale.In conclusione, nonostante alcune lodevoli ec-cezioni, la catastazione di rinvenimenti noti incartografia archeologica ha come limite maggiorel�assenza di una seria georeferenziazione (ancheper quei rinvenimenti che sono recenti od anco-ra visibili) e soprattutto l�assenza generalizzatadi contesti perimetrati (cioè collocati su carto-grafia nella loro forma geometrica) ed esaustivinella loro caratterizzazione.

3. LE INDAGINI SUL CAMPO

Le indagini incentrate sulla ricognizione del ter-ritorio hanno prodotto, tanto a livello toscanoquanto a livello nazionale, molti buoni risultatiin fatto di nuove acquisizioni di dati e ricostru-zione delle dinamiche insediative storiche.Seguendo la tradizione anglosassone, alla qualeci siamo spesso riferiti nel corso degli anni �70-�80, il soggetto di studio dovrebbe corrisponde-re al paesaggio umanizzato (comportamentiumani ed ecofatti) cercando così di ricomporrenella diacronia le vicende alle quali è andato sog-getto un contesto. In Italia, indaghiamo invecesoprattutto il territorio organizzato secondo duesoli elementi, cioè lo spazio insediativo (dove siconcentrano residenze, manifatture, servizi) edil territorio relazionale (aree attraversate da flussidi persone, beni, energie, mediante cui la comu-nità instaura relazioni con l�esterno), ma studia-mo solo parzialmente il territorio utilizzato (og-getto di uso da parte dell�uomo; comprende ilterritorio insediativo e le altre aree di cui la co-munità sfrutta le risorse ambientali).Svolgiamo in pratica un��archeologia delle retiinsediative rurali�, come abbiamo dichiaratoanche in altre occasioni poiché ci occupiamo solooccasionalmente dell�impatto e delle trasforma-zioni che l�uomo opera sul paesaggio e del rap-porto con le realtà ambientali ed i suoi muta-menti nel tempo 7.Tali indagini fanno largo impiego di modelli in

ognuna delle loro fasi, costruiti tramite l�appli-cazione di un metodo basato essenzialmente sutesi descrittiva (consideriamo sincronicamente lecomponenti della rete insediativa) e tesi esplica-tiva (trasformazioni nella diacronia della reteinsediativa), su deduttività ed induttività. L�usodel modello significa pertanto riprodurre in for-ma idealizzata la realtà affinché, ricondotta incategorie (sia interpretative sia descrittive) pos-sa essere tradotta in tendenze e meccanismi ri-producibili sul territorio indagato e confronta-bili facilmente con elaborazioni provenienti daaltre indagini.La necessità primaria in un�indagine archeologi-ca di superficie è quindi la costruzione di infor-mazioni qualitativamente buone di fronte ad unmetodo di ricerca non sempre controllabile, adun tasso di soggettività interpretativa molto spic-cato ed a limiti oggettivi dell�indagine stessa ra-ramente tenuti nel giusto conto. Solo recente-mente si è infatti tentato di formalizzare una sortadi procedura operativa comune, attraverso lapubblicazione di manualistica 8 o tramite incon-tri internazionali di scambio e confronto 9.Proporre identificazioni probanti di realtà ar-cheologiche (cioè un�emergenza di materialimobili in superficie, connotata da determinatecomponenti e con le misure rilevate è leggibilecome un certo tipo di struttura) significa costruiremodelli della diacronia territoriale fondati su uncodice d�interpretazione che deve essere elabo-rato dal ricercatore stesso. Il valore di una fontenon può essere compreso se non se ne riconosceil sistema di appartenenza e quindi tutte le rela-zioni che legano le une alle altre. Quest�ultimoaspetto si pone tra gli obiettivi principali dell�in-dagine e ad esso si affiancano la dichiarazionedei passaggi analitici ed interpretativi, svolti dalricercatore nell�identificazione delle emergenzein superficie (in altre parole, perché interpretoquesti materiali mobili come indizio di una datastruttura e non di un�altra?) e dei limiti correlatiall�informazione proposta 10.Accettare tali presupposti, oltre a farci sottopor-re a critica ed a verifica i dati censiti sul campo,indirizza decisamente verso una trasposizioneindolore delle ricerche all�interno di piattafor-me GIS. Misurare, rilevare, posizionare, conta-re e georeferenziare sono i cinque attributi es-

7. Si veda per esempio FRANCOVICH, VALENTI 2000.

8. CELUZZA, REGOLI 1981; DE GUIO 1985; PASQUINUCCI,MENCHELLI 1989; per ultimo CAMBI, TERRENATO 1994.9. Si veda come esempio BERNARDI 1992.10. In proposito si veda VALENTI 1989a e bibliografia ci-tata.

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Fig. 6 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Zoom su un�area diperimetrazioni con campi battuti, uso del suolo e idrografia.

Fig. 7 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Territorio comunale convisione completa dei transetti e con idrografia e uso del suolo.

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Fig. 8 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Territorio comunale convisione completa dei campi battuti e dei transetti e con idrografia e uso del suolo.

Fig. 9 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Zoom su un�area diperimetrazioni con sovrapposizione della Cartografia Tecnica Regionale in formato raster (scala 1:5.000);

sono visualizzati anche i campi battuti, l�uso del suolo e l�idrografia.

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senziali che permettono all�archeologo la razio-nalizzazione dei propri rinvenimenti: si ottienecosì una trasparenza interpretativa (quindi com-prensibile, contestabile e reinterpretabile da qua-lunque altro ricercatore) e l�inserimento realedelle informazioni, sia nella gestione digitale edamministrativa del territorio sia in operazioni dimodellizzazione predittiva, che permettono ipo-tesi di resa archeologica in aree ancora non bat-tute.Il GIS ha tre campi di utilizzo: processamento earchiviazione delle informazioni, supporto peranalizzare e decidere interventi, produzione diinformazioni ed ipotesi di lettura dei dati. È pa-lese che la realizzazione di una buona piattafor-ma GIS è il momento più impegnativo e indi-spensabile per potere passare alle altre due fasioperative e per essere in grado di dialogare, adarmi pari ed attraverso gli stessi strumenti, con isistemi informativi territoriali già attivati in molteamministrazioni; in seconda istanza, solo cosìpotremo fornire dati che hanno valore per unaprogrammazione di interventi di tutela e valoriz-zazione, sostituendoli ai �famigerati� pallini sucarte di varie scale, utilizzati per oltre un venten-nio con problemi insuperabili di imprecisione.

Oggi da più parti si sta lavorando per la costru-zione di basi georeferenziate del dato, impegnan-dosi soprattutto sul primo dei tre campi di uti-lizzo del GIS; è chiaro che la realizzazione diuna buona piattaforma si pone come il momen-to più impegnativo e indispensabile per poterepassare alle altre due fasi operative. L�avvento diquesta tecnologia e la sua applicazione come stru-mento di ricerca, richiede un progresso nellaregistrazione del dato (perimetrazione e geore-ferenziazione) che dovrà essere realizzato so-prattutto nella lettura delle presenze archeo-logiche di superficie (necessità di repertori ca-sistico/interpretativi comuni ed esplicitati conchiarezza; localizzazione spaziale tramite impie-go del GPS) e nella catastazione, interrogazionee verifica del dato sulla piattaforma GIS. Esistecomunque un problema aperto e di non facilesoluzione: come riposizionare con la precisionenecessaria tutti i rinvenimenti già fatti per i qua-li esiste una localizzazione solo sottoforma dipunto su cartografie in scala 1/100.000 o1:25.000? Rischiamo veramente di dover scar-tare molti dati acquisiti. Una soluzione definiti-va non esiste ancora.

Fig. 10 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Zoom su un�area di perimetrazionicon sovrapposizione di ortofotocarte (scala 1:10.000).

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4. LE FONTI ARCHEOLOGICHE ED I LORO LIMITI

Carattere delle fonti

Le fonti analizzabili nel corso della realizzazio-ne di una carta archeologica sono essenzialmen-te due: indirizzate (monumenti ai quali è statoaffidato il compito di comunicare un messaggio,per esempio i tumuli tombali) e non indirizzate(ascrivibili alla categoria delle tracce, segni, sin-tomi). Queste ultime, soprattutto nell�archeolo-gia estensiva, sono le più frequenti; anzi, lavo-riamo su tracce di tracce, segni di segni, non sog-getti all�interpretazione di un codice come nelloscavo ma ad un particolare processo d�inferenzadetto abduzione (Umberto Eco lo definisce come�terzo movimento della scoperta� 11): il codiced�interpretazione deve essere elaborato dal ri-cercatore, comprendendone anche il sistema diappartenenza e quindi tutte le relazioni che le-gano le une alle altre. Con una metafora del po-lacco Topolski, si può affermare che durante laricognizione siamo come cacciatori di animaliestinti costretti a ricostruire l�aspetto fisico del-l�animale attraverso le sole impronte lasciate sulterreno 12.Riconoscere il codice di appartenenza significacreare repertori casistici, basati su ricorrenze sta-tistiche di classi di reperti e dimensioni delleemergenze. Significa anche dichiarare il gradodi attendibilità dell�interpretazione ed i limiti adessa connessi; limiti che si profilano sia comeoggettivi sia come soggettivi.Per quanto riguarda l�interpretazione dei restiin superficie, due sono infatti i fattori che, inapparenza non calcolabili del tutto nella loroincidenza, condizionano sia la localizzazionedelle aree con archeologia sia la loro lettura: li-miti oggettivi del territorio e soggettività del ri-cercatore-esperienza delle squadre. Riuscire aprodurre informazioni, metodologicamente uni-formate per gli aspetti abduttivi nell�ambito del-le indagini in corso sul territorio nazionale, da-rebbe infatti modo di effettuare confronti atten-dibili tra contesti regionali, comparare il diversogrado di risorsa archeologica e ricostruire og-gettivamente le vicende economico-territorialiitaliane.I limiti oggettivi sono i più evidenti di ogni pro-getto di archeologia estensiva; si legano all�am-

biente in senso stretto ed alle sue vicende odier-ne di ordine antropico, naturale e climatico. Siprofilano come le conseguenze delle scelte pro-duttive, della destinazione dei suoli e delle con-dizioni atmosferiche al momento della perlustra-zione.Possiamo quindi elencare tra le prime la presen-za di aree inaccessibili o distrutte (vincoli di pro-prietà, zone militari, cave e superfici urbanizza-te), aree con copertura vegetale temporanea ostabile (prato, prato a rotazione, bosco, macchia),aree con coltri alluvionali superiori alla profon-dità delle arature 13; tra le seconde, le diversecondizioni di luce, il tipo di lavorazione del ter-reno e la sua natura geologica. Si tratta, in en-trambi i casi, di condizionamenti che influisco-no sulla registrazione del numero e della qualitàdelle presenze archeologiche ed anche sulla com-prensione della reale risorsa archeologica di unaregione.I limiti soggettivi dipendono soprattutto dal-l�esperienza del ricercatore sul campo, negli sche-mi interpretativi che adotta e spesso nelle finali-tà dell�indagine che non sempre è realmente voltaalla comprensione di una diacronia globale dal-la preistoria all�età moderna. Come affermavaBarker, oltre quindici anni fa, spesso troviamociò che cerchiamo 14. Ed è vero. In tutti i proget-ti di ricerca nei quali si è tentata la comprensio-ne di un territorio nella sua diacronia effettiva,nonostante il perseguimento di tale obiettivo, gliinteressi di tipo storico di ognuno dei ricercato-ri hanno influito sull�approfondimento dei peri-odi e delle tematiche di competenza specifica.Pensiamo per esempio alle indagini sull�AgerCosanus-Valle dell�Albegna: qui è stata posta alcentro della problematica la romanizzazione delterritorio. Pensiamo anche alle indagini da noisvolte in aree come il senese ed il grossetano: ilnostro maggiore sforzo è stato quello di com-prendere la trasformazione del popolamento fraetà tardoantica ed alto medioevo. Quindi, purcatastando tutti i rinvenimenti senza discriminecronologico, è pur vero che gli interessi storicidi ogni singolo progetto determinano la mag-giore attenzione verso determinate fasi cronolo-giche.L�interpretazione è un�altra delle componenti chediversifica le indagini svolte da teams di ricercaappartenenti a scuole diverse o con esperienzadifferenziata. Personalmente abbiamo semprepensato che, comparando i nostri dati con quelli

11. ECO 1980.12. TOPOLSKY 1975.

13. BROGIOLO 1983.14. BARKER 1986.

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prodotti da altre indagini, una stessa emergenzapotesse essere stata definita in modo diverso. Tuttociò non significa che noi abbiamo dato l�interpreta-zione giusta e gli altri invece sono in errore. Il signi-ficato è ben diverso e per sua natura investe lestesse fondamenta teoriche della ricerca territo-riale. Non esiste infatti realmente un �paradig-ma condiviso� per questo tipo di archeologia.Il paradigma si lega a ciò che viene definito �ri-voluzione scientifica� (la trasformazione degliobiettivi e delle metodologie che intervengononella storia della scienza) e si pone a valle delsupporto filosofico, a monte degli schemi utiliz-zati per interpretare i vari fenomeni 15.Intendiamo quindi con la definizione �mancan-za di un paradigma condiviso�, l�assenza di re-gole teoriche ed analitiche comunemente accet-tate; l�omogeneità dei dati viene raggiunta quan-do coloro che perseguono una ricerca si propon-gono di investigare gli stessi problemi, di osser-vare le stesse regole, di mantenere gli stessi cri-teri di misurazione.Il problema dell�assenza di un supporto teoricosolido e di una metodologia della ricerca che inesso affondi le proprie radici, e quindi l�applica-zione di schemi interpretativi ben definiti, si os-serva anche nel panorama editoriale nazionale.Solo da pochissimi anni esiste un testo di riferi-mento al quale rivolgersi (il manuale di Cambi eTerrenato 16) ma, come il suo stesso titolo dichia-ra, si tratta soprattutto di un�introduzione. Ècomunque un lavoro indispensabile e del qualeera sentita l�esigenza. Viene redatta un�ampiadisamina sull�archeologia di superficie con ana-lisi delle diverse metodologie sino all�edizionedelle ricerche; mancano però esempi approfon-diti di applicazioni pratiche di ricerca ed una ri-flessione sull�approccio all�occupazione medie-vale della campagna, della quale non viene fattocenno e per la quale non si cita la necessità di unimpiego delle fonti scritte, a cui collegare strate-gie di ricerca mirate. Significativa è poi anchel�assenza di una sezione dedicata agli aspetti in-formatici, intendendo con ciò i problemi ed ibenefici che si legano alla creazione di una piat-taforma GIS.Nonostante alcuni progressi verso la definizio-ne disciplinare della ricerca territoriale, ancoranon si è raggiunta a livello nazionale un�elabo-

razione matura. Se sono ormai acquisiti deter-minati concetti (la definizione di paesaggio, letecniche di campionatura, i modelli applicabiliin una lettura di situazioni insediative semplici ocomposite, la necessità di dovere �contare� du-rante la registrazione), notiamo però ancora fortilacune su due aspetti intimamente legati: la de-codificazione delle emergenze e la loro registra-zione digitale. Non disponiamo nella nostra tra-dizione pubblicistica di saggi, come quelli peresempio di Michael Aston, dove viene propostoun metodo pratico di indagine del territorio e dilettura dei villaggi antichi o di Anthony Browndove viene esposta la metodologia di indagine,la cartografia da usare e come trattarla, i criteridi interpretazione delle emergenze in superficie17.In definitiva, all�interno della comunità scienti-fica, non applichiamo gli stessi criteri di misura-zione e d�interpretazione ed i risultati ottenutida gruppi di ricerca distinti non sono ragione-volmente ed esaustivamente confrontabili.Anche lo stesso grado di affidabilità dell�infor-mazione, proposta sull�articolazione della dia-cronia territoriale, non sempre tiene nel giustoconto i limiti oggettivi dell�indagine: la percen-tuale di spazio indagato e le zone non verificabi-li quanto influiscono su un�interpretazione cor-retta e completa del territorio analizzato?Dobbiamo quindi dichiarare il valore del datomettendo in evidenza i condizionamenti ai qualiè sottoposto e tentando, durante l�indagine e lasua elaborazione, di attenuarne la portata.

Necessità di arginare i limiti oggettividel dato: le verifiche svolte nelle ricerchesul Chianti senese 18

L�incidenza dei limiti oggettivi dell�indagine nonpuò essere completamente arginata; una com-penetrazione tra ricognizione di superficie e ve-rifiche delle indicazioni fornite dalla fotointer-pretazione aerea (che ha applicazione sulla basedei voli regionali a scopo cartografico) mitigacomunque l�assenza di dati per le zone boschive.Nell�esperienza senese abbiamo così effettuatoverifiche delle anomalie aeree tramite ricogni-zioni mirate ad individuare eventuali opere mu-rarie affioranti od i loro crolli, tagli artificialidei pianori rocciosi, depositi archeologici messiin luce dall�apertura di stradelli, cesse antincen-

15. Concetto introdotto da Kuhn agli inizi degli anni �ses-santa (KUHN 1962; in edizione italiana KUHN 1968 e 1978con aggiunta del �Postscritto 1969). Sviluppato poi daHagget e Chorley nello stesso periodo (HAGGET, CHORLEY1967).16. CAMBI, TERRENATO 1994.

17. ASTON 1985 (inoltre ASTON, ROWELEY 1974 per il pae-saggio post classico); BROWN 1987.18. VALENTI 1995.

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dio, alberi sradicati. In molti casi, mancando ele-menti sufficienti ad interpretazioni anche som-marie, si è proceduto a showel test.La scelta di indagare estensivamente (e non inmodo mirato) i boschi non pagherebbe sufficien-temente in termini di risultato; inoltre il gradodi visibilità molto basso ed il dispendio enormedi tempo in una ricognizione inciderebbero ec-cessivamente sull�economia di ricerca. Il tentati-vo di sottoporre sperimentalmente ad esplora-zione uno spazio di quasi 8 kmq su una zona (lamedia Berardenga) della quale rinvenimenti notie fonti d�archivio attestano con sicurezza fre-quentazioni intense in più periodi (arcaicismo,tardo ellenismo e secoli centrali del medioevo)non ha fornito risultati soddisfacenti; ha piutto-sto ribadito la necessità di adottare tecniche dianalisi in laboratorio e successivamente riscon-tri pratici. Lo stesso complesso dei rinvenimentieffettuati nei boschi del Chianti senese, apportaconferme. Le presenze sono state individuategrazie all�apertura di cesse antincendio o di stra-delli o dopo segnalazioni di abitanti del luogo(35% dei casi), e verificando le indicazione pro-dotte dalla fotointerpretazione (65%).Il problema maggiore si profila comunque inun�interpretazione parziale dell�insediamentosulle aree coperte in larga parte da vegetazionestabile. Le caratteristiche delle presenze accerta-te testimoniano nell�80% dei casi grandi com-plessi edilizi mentre sfuggono quasi completa-mente la portata e le caratteristiche delle unitàabitative di piccola estensione. Questo handicapinfluisce in particolare sulla modellistica insedia-tiva concernente le alture; sono coperte in lar-ghissima parte da bosco e non siamo in grado dicalcolare, anche in maniera approssimativa, lapercentuale relativa ai piccoli depositi non indi-viduabili. Ma, almeno, anche il solo riconosci-mento degli insediamenti di grandi dimensioni(altrimenti non censiti se non se ne conosconoprecedentemente ruderi ed ubicazione) permet-te la costruzione di modelli per le alture; per esseavremmo un quadro del popolamento falsato senon tentassimo il ricorso a tale tecnica d�indagi-ne; per questa ragione si leggono spesso sintesiarcheologiche nelle quali si afferma una decisadesertazione di tali terreni.I grandi complessi che riusciamo ad individuarenon rappresentano comunque la totalità delleunità una volta in vita. La verifica della fotoin-terpretazione sul Chianti senese ha dimostratoinfatti come, su un totale di 20 segnalazioni edun margine di errore del 25%, i complessi visi-bili solo per anomalia del terreno esprimono unvalore del 23%.

Altri condizionamenti vengono causati dalle vi-cende stagionali dei terreni. Sono prodotti daglieffetti delle pratiche agricole in atto (diversi sta-di della lavorazione dei suoli e profondità dellearature), condizioni atmosferiche (tipo di luce,periodi di pioggia o di cielo sereno), natura deiterreni (colore, grado di durezza, acidità, suolimolto pietrosi e quindi leggeri). Si può porre uncorrettivo esclusivamente attraverso l�addome-sticamento delle informazioni di carattere me-todologico elaborate nel corso delle esplorazio-ni dei suoli agricoli.L�utilizzazione del suolo si dimostra decisiva sul-la quantità di archeologia che riusciamo a censi-re. Le stime effettuate durante le esplorazionidel territorio senese sottolineano la netta preva-lenza di rinvenimenti sui seminativi (54%), per-centuali più ridotte sulle superfici destinate acoltura stabile (25%) e minime in corrisponden-za di vegetazione boschiva (5%), mentre la per-centuale rimanente è relativa ad emergenze mo-numentali.Le cause sono palesemente da individuare neitipi di azione che il terreno subisce in rapportoalle colture praticate.Seminativi. Gli scassi iniziali e le successive ara-ture si tengono ad una profondità di 30-50 cmnon intaccando l�eventuale deposito archeolo-gico ad ogni stagione di lavoro; la sua presenzaè ben individuabile per alcuni anni ma destinataad impoverirsi progressivamente. Tale tendenzaviene esemplificata con chiarezza seguendo lastoria delle segnalazioni effettuate dal volonta-riato sul comune di Castelnuovo Berardenga allametà degli anni Settanta. In questo periodo sonostate riconosciute 12 concentrazioni di repertimobili su terreni utilizzati come seminativo. Sinoal 1982 le presenze erano ancora più o menointeramente rintracciabili; nel 1986, 7 ben leg-gibili, 3 scomparse e 2 interpretabili come spo-radici; nel 1990, 3 ben leggibili, 4 leggibili congrande difficoltà, gli altri valori invariati. Que-sto piccolo campione rivela quindi un depaupe-ramento dei depositi archeologici del 40% circanello spazio di 7-8 anni. Anche i dati prodottidalle nostre ricognizioni sembrano indirizzareverso tali conclusioni: il 34% delle emergenzenon fresche censite nel 1986 è oggi interpreta-bile come sporadico, mentre il 12% circa nonpiù riconoscibile.La minore o maggiore visibilità dell�emergenzasubisce inoltre condizionamenti nel corso dellestesse operazioni stagionali ed in relazione allediverse condizioni climatiche; l�influenza di talifattori si esercita soprattutto sul grado di letturadella presenza (elementi edilizi e cronologia). Di

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fronte a superfici arate, i reperti tratti in superfi-cie sono in numero decisamente esiguo a con-fronto del totale rimosso dalla stratificazionepoiché racchiusi nell�ingombro dei motti di ter-ra; i reperti ben visibili sono quelli con maggioridimensioni. Nelle fresature, il complesso deimanufatti fittili e litici offre maggiori possibilitàdi raccolta e puntualizzazione cronologica mal�ipotetica pianta della struttura viene spesso fal-sata a causa dell�ulteriore spargimento sul terre-no. I due stadi di lavorazione non incidono ap-parentemente sul numero delle nuove presenzeche riusciamo a censire: la percentuale legata allearature è del 52,50%, quella di fresature del47,50%. Sono cifre molto vicine che non atte-stano certo una maggiore conservazione ed unafacile localizzazione dei depositi archeologici almomento dello scasso più profondo. La fresatu-ra può comunque rendere visibili indizi di unitàtopografiche non rivelate in precedenza; èun�eventualità verificabile frequentemente difronte a piccole stratificazioni che, pur intacca-te, sono nascoste all�interno delle grandi zolle diaratura: le presenze con dimensioni ridotte sonoaumentate del 32%.Le condizioni di luce influenzano spesso negati-vamente la visibilità al momento della raccoltadi ceramica, soprattutto in una compresenza diterreni secchi o argilloso-cretosi e sole alto. Lostesso tipo di visibilità crea ostacoli anche al ri-conoscimento di depositi appena portati in su-perficie dalle macchine; per esempio non sem-pre è possibile riconoscere strutture alterate solonegli strati superficiali di crollo. Maggiormentesoddisfacenti le operazioni d�individuazione edanalisi topografica durante le ore del pomerig-gio o con cielo annuvolato ed è estremamenteutile tornare sui rinvenimenti pochi giorni dopoun temporale. Il 69% delle concentrazioni direperti mobili con buon grado di lettura è statodocumentato contemporaneamente a luce raden-te o coperta.In conclusione la ripetitività delle ricognizionici da modo di aumentare il numero delle emer-genze di superficie in una media del 30% circa;di questa, il 20% è rappresentato da testimonian-ze inedite ed il 10% da affioramenti interpretatiprecedentemente come sporadici.Colture stabili. Vigne ed oliveti mostrano traccearcheologiche molto simili nella composizionee nelle vicende distruttive cui sono soggette.L�azione del mezzo meccanico ha le medesimeconseguenze sulla quantità di terra smossa e sul-la profondità raggiunta. Nel primo caso vengo-no eseguiti scassi iniziali di 1,50-2 m che dannoluogo a condizioni di visibilità ottimali ed inter-

pretazioni corrette; nel secondo caso si scavanobuche profonde 1-1,50 m, producendo situazionimolto simili allo scavo wheeleriano. Nelle vigneil deposito stratigrafico subisce una distruzionequasi integrale nel 75% dei casi; le successivearature, destinate a smuovere solo leggermenteil terreno, riducono progressivamente presenzae composizione delle tracce di risulta, tanto daindurre molto spesso ad interpretazioni di spo-radico. Negli oliveti invece, il deposito vienedanneggiato o distrutto solo in corrispondenzadelle buche stesse e le successive arature, semprealte, conservano un grado di lettura sufficiente.Riprendendo il campione adottato in preceden-za (il territorio di Castelnuovo Berardenga), sia-mo in grado di osservare come delle 20 presen-ze note in suoli utilizzati a vigneto solo 8 sonooggi visibili e ben interpretabili (corrispondonocomunque a strutture molto estese), 5 appenaleggibili (65% complessivo), 1 si è trasformatain sporadico (5%), 6 sono invece scomparse(30%). Anche in questo caso le nostre verificheconfermano più o meno tale tendenza: i siti benindividuabili o con sufficiente grado di visibilitàrappresentano il 28%, le emergenze scomparseod estremamente alterate durante la successionedelle ricognizioni restituiscono un valore del72%. La ripetitività non ha fornito alcuna indi-cazione in merito a localizzazioni di nuove areearcheologiche.

Il potenziale archeologico del territorio:l�esempio della Valdelsa 19

La ricognizione si è svolta nel triennio 1991-1993 ed ha interessato i territori comunali diColle Val d�Elsa e Poggibonsi. L�indagine preli-minare (conoscenza del territorio e dell�archeo-logia censita in passato) offre alcuni spunti inte-ressanti per comprendere il tipo di ricerche svoltesui due contesti ed ipotizzarne la resa archeolo-gica in relazione alla natura dei rinvenimenti giànoti; infine confrontare i dati con i risultati del-la ricognizione sul campo. Quest�operazione cipermette di capire se e quanto possono esserediversi la potenzialità ed il rischio archeologicodi un�area, dopo un�indagine sistematica sul ter-reno e quindi vedere come i diversi interessi deiricercatori ed i metodi di rinvenimento abbianocondizionato la localizzazione dei depositi ar-cheologici. Infine confronteremo i risultati otte-nuti sul campo con quelli presentati per il Chianti

19. VALENTI 1999.

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per continuare a perfezionare il grado di affida-bilità del dato in relazione ai limiti oggettivi del-l�indagine.Di fronte ad un numero complessivo di 55 atte-stazioni, la ripartizione zonale propone per Pog-gibonsi 22 presenze pari ad una percentuale del39% e per Colle 33 presenze pari ad una per-centuale del 61%.Il dato sembra certamente avere significato diuna maggiore potenzialità archeologica insita nelcolligiano ma le vicende della ricerca, scanditeda una più larga attenzione verso questo conte-sto, in realtà potrebbero falsare i valori quiespressi. La maggiore quantità di ricerche suColle è testimoniata infatti dai tipi di scoperteeffettuate; 19 attestazioni, pari quindi al 57%del numero complessivo, sono relative a tombeo necropoli di periodo etrusco ed una buonametà sono conseguenti a indagini e scavi miratieseguiti tanto tra fine XIX-inizi XX secolo quan-to in anni recenti. Anche l�osservazione della ri-partizione cronologica delle presenze proponeun�immagine del poggibonsese più legata al rin-venimento casuale che all�indagine mirata: 3 perla preistoria, 4 per la protostoria, 2 per le fasiorientalizzante/arcaismo, 1 per l�ellenismo, 3 perla tarda repubblica, 3 per la prima età imperiale-età tardoantica, 3 di generica età romana, 1 al-tomedievale, 1 di generico medioevo.Colle si attesta invece su valori simili ma con losfasamento verso l�alto dei rinvenimenti legatial periodo etrusco che, come abbiamo indicato,è stato ed è al centro delle attenzioni principalidi eruditi, ricercatori ed appassionati: 3 per lapreistoria, 2 per la protostoria, 4 per le fasi orien-talizzante/arcaismo, 14 per il periodo ellenisti-co, 4 con continuità tra arcaismo-età romana edellenismo-tardoantico, 1 per la tarda repubbli-ca, 6 di generico periodo romano ed 1 di generi-co medioevo.I tipi di rinvenimento confermano il maggioreinteresse di chi ha operato sul territorio verso icorredi contenuti nelle sepolture (una percen-tuale del 67%, equivalente a ben 36 attestazionisono pertinenti a singole tombe/necropoli) ed inparticolare verso l�intero periodo etrusco (dellesepolture 23 sono etrusche pari al 64% del tota-le, 9 di generica età romana pari al 25% e 4 pre-protostoriche pari a 11%); i restanti rinvenimentipropongono una percentuale del 26% relativa-mente a materiali sporadici/ripostigli (14 atte-stazioni pertinenti per la maggior parte a repertiprovenienti da tombe), solo un valore del 5%rappresenta individuazioni di insediamenti (3suddivisi in 2 stazioni dell�età del ferro, 1 formainsediativa non definibile di età tardorepubbli-

cana) ed il 2% è relativo ad attività produttive(1 fornace).Pur tenendo conto della particolarità descritta,il potenziale archeologico maggiore sembra co-munque da relazionare al periodo di frequenta-zione etrusca. La ripartizione cronologica deirinvenimenti lascia pochi dubbi al riguardo. Lapreistoria propone valori dell�11,11% (6 atte-stazioni), la protostoria del 9,26% (5 attestazio-ni), i periodi orientalizzante-arcaismo rivelanovalori dell�11,11% (6 attestazioni), la fase elle-nistica presenta un valore del 27,7% (15 attesta-zioni) mentre un valore dell�8% è da aggiungereper contesti plurifrequentati (1 attestazione com-presa tra arcaismo-ellenismo, 1 attestazione com-presa tra arcaismo-generica età romana, 1 atte-stazione compresa tra ellenismo e tarda Repub-blica, 1 attestazione compresa tra ellenismo edetà tardoantica), la fase tardorepubblicana rive-ste un valore del 7,40% (4 attestazioni), la pri-ma età imperiale invece ha valori del 3,70% (2attestazioni) a cui sono da aggiungere un conte-sto di frequentazione continuata sino all�età tar-doantica ed un valore del 16,6% (9 attestazioni)pertinente ad emergenze databili nell�ambitodella generica età romana. Il medioevo infinevede una sola attestazione per la fase altomedie-vale e due rinvenimenti ascrivibili genericamen-te all�interno del periodo (valori pari a 1,85% e3,70%).Le tendenze del potenziale archeologico poggi-bonsese attestano un numero basso di presenzema regolari nelle loro manifestazioni cronologi-che; si riscontrano infatti valori del 14,28% perla preistoria (3 attestazioni), 19,5% per la pro-tostoria (4 attestazioni), 9,52% per il periodoorientalizzante-arcaismo (2 attestazioni), 4,76%per l�ellenismo (1 attestazione), 14,28% per latarda repubblica, la prima età imperiale e la ge-nerica età romana (rispettivamente 3 attestazio-ni), 4,76% per altomedioevo e generico medio-evo (rispettivamente 1 attestazione). In definiti-va Poggibonsi restituisce l�immagine di un con-testo scarsamente frequentato e che non ha maiavuto punte demografiche alte almeno sino almedioevo, periodo per il quale le fonti documen-tarie attestano una vasta rete insediativa.Il colligiano invece propone un popolamentoscandito da valori molto simili al poggibonsesesino all�età arcaica (preistoria 9%=3 attestazio-ni, protostoria 6%=2 attestazioni, orientalizzan-te-arcaismo 12,12%=4 attestazioni), un�esplo-sione della curva demografica tra l�età ellenisticae la prima età romana (14 ellenismo 42,42%=14attestazioni, 3% per l�età tardorepubblicana=1attestazione a cui deve essere aggiunta una per-

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centuale del 18,8% per la generica età romana)ed alcune aree dove la frequentazione si dimostraininterrotta per secoli (arcaismo-ellenismo, arcai-smo-età romana, ellenismo-tarda repubblica, elle-nismo tardoantico ognuna con valori del 3%).Al termine dell�indagine (fase preliminare e fasediagnostica) sono state censite 473 presenze to-tali. 135 unità rappresentano attestazioni d�ar-chivio di realtà insediative medievali, 55 unitàsono rinvenimenti già noti dalla bibliografia esi-stente, 283 unità si profilano invece come i nuo-vi rinvenimenti.Quindi la ricognizione di superficie ha portatoun incremento di archeologia pari al 514%; con-seguentemente si sono prodotti gli strumenti perprocedere ad una nuova lettura della storia ter-ritoriale valdelsana.La distribuzione delle presenze rivela senza dub-bio alcune tendenze interessanti per gli aspettiinerenti la resa archeologica del territorio val-delsano.La maggior parte delle situazioni archeologiche(in numero di 281) sono state individuate in pre-senza di suoli arati mentre sono stati solo 3 irinvenimenti su suoli fresati. Questi valori risen-tono indubbiamente di due fattori: i periodi disvolgimento delle prospezioni ed il non esseretornati per più volte ed in situazioni differenzia-te sulle zone di rinvenimento. Resta comunqueevidente che la Valdelsa ha mostrato una consi-stenza ed una visibilità di archeologia ancorapiuttosto buona.Risulta indicativo osservare anche lo stato delleemergenze archeologiche in elevato; su 135 lo-calità per la maggior parte attestate dai docu-menti medievali, solo 41 non presentano piùtracce di murature antiche. Il medioevo, quindi,è ancora ben conservato ed il grado di letturadei diversi edifici o complessi si lega senza dub-bio alle peculiari vicende di ogni singola emer-genza.Aggiungendo a tali valori i 120 rinvenimenti ef-fettuati sulle superfici agricole (inerenti ad abi-tazioni, attività produttive e materiali sporadi-ci), il medioevo si segnala come il periodo cheha lasciato il maggiore numero di presenze sulterritorio.I seminativi, come già per il Chianti senese, de-tengono il primato sugli spazi destinati a colturastabile; ben 295 rinvenimenti sono stati effet-tuati su suoli con tale destinazione mentre solo31 presenze di reperti mobili in superficie si lo-calizzano su vigne ed oliveti. La nostra opinioneal riguardo è facilmente intuibile; le aree conno-tate da agricoltura incentrata su cereali o altrecolture stagionali si propongono come quelle che

rivelano maggiori quantitativi di archeologia; daciò consegue un maggiore grado di lettura delladiacronia insediativa.L�uso del suolo si rivela quindi inconfutabilmen-te decisivo per il buon fine delle indagini.Le colture stabili si confermano come i terrenisui quali i depositi archeologici eventualmentepresenti vengono nascosti con il passare del tem-po ed a seguito delle pratiche agricole vigenti.È chiaro che il complesso di grandi dimensionirimane quasi sempre in vista e più o meno inter-pretabile; l�ingente mole di reperti mobili trattiin superficie risulta difficile da alterare o cancel-lare completamente.Quanti sono però i piccoli depositi che, giacentiin terreni utilizzati stabilmente, non vengonointaccati ripetutamente dai mezzi agricoli e chequindi non risultano visibili per anni? Noi cre-diamo molti; il loro valore non è calcolabile mail potenziale archeologico di un�area risultasenz�altro penalizzato. Le stime proposte per laValdelsa, non si discostano molto da quelle peril Chianti senese, anche se abbiamo ricognito talearea in anni nei quali vigne ed oliveti, a seguitodei danni provocati da pessime condizioni at-mosferiche, venivano nuovamente piantati.

Arginare i limiti soggettivi

Per indirizzare tutti i ricognitori impegnati nelprogetto Carta Archeologica della Provincia diSiena verso una metodologia interpretativa co-mune, e per dichiarare i criteri della nostra let-tura dei contesti di superficie, abbiamo tentatodi redigere repertori casistici, al cui interno in-dividuare gruppi di tendenze omogenee in rela-zione a due variabili: osservazione statistica didimensioni e componenti della concentrazione 20.Contare i reperti mobili e misurare l�estensionedelle concentrazioni emergenti dal terreno di-viene quindi indispensabile per una corretta let-tura dei rinvenimenti; il computer, nella fattis-pecie i GIS ed i fogli di calcolo, sono allora vitalinella creazione di una casistica di categorie in-terpretative che mitighi il più possibile la sog-gettività del singolo ricercatore.Il risultato ottenuto attraverso questa proceduramostra una scala dimensionale di strutture ca-ratterizzate da diverso grado di complessità; rap-presentano categorie interpretative e quindi

20. Si veda VALENTI 1989b e l�evoluzione delle categorieindividuate all�interno di VALENTI 1995; VALENTI 1999;FRANCOVICH, VALENTI 2000.

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modelli da impiegare ai fini della nostra cono-scenza oggettuale. Modelli che sono certamenteipotetici (lavoriamo su un�immagine depaupe-rata e soggetta a processi selettivi) ma la cui ale-atorietà viene ridotta da una maggiore capacitàdi ammaestrare i dati prodotti dal rilievo empi-rico ed osservando le regolarità delle manifesta-zioni archeologiche di superficie. Il procedimen-to intellettivo applicato si fonda quindi sulla in-duzione (composizione di categorie statistiche)e sulla deduzione (le classi di edifici o strutturepotenzialmente presenti sul territorio ed a cuirifarsi per collocare le diverse categorie concre-tizzate). La fenomenologia creatasi dovrà poiessere precisata a mezzo di scavi e shovel-testssu campioni opportunamente mirati.Al riguardo, si potrebbero avanzare obiezioni operplessità sull�automaticità del rapporto emer-genza-sottosuolo; cioè, come poter essere sicuriche gli elementi in superficie sono preciso indi-zio della stratificazione e che i modelli propostipoggino su basi solide?Per risolvere questo dubbio ci siamo mossi in duedirezioni: un�attenta osservazione della disposi-zione dei reperti mobili in superficie e piccoleverifiche pratiche.Si possono rilevare elementi che consentono unasicura convergenza tra materiali in superficie estratificazione sotto forma di alcune variabili:� abbondanza di materiale edilizio che compo-ne forme più o meno regolari; è un effetto pro-dotto dalle arature che intaccano gli strati di crol-lo. La grande mole di materiali e la loro disposi-zione in superficie inficiano l�ipotesi che l�emer-genza sia spostata dal punto originale di affiora-mento;� pietre disposte in più allineamenti ed a com-porre una forma geometrica più o meno regola-re; in questo caso le arature hanno incontratotratti di mura;� fittili in buono stato di conservazione; in ge-nere reperti tratti in superficie da lungo tempomostrano rotture molto erose e fluitate dovute aripetute esposizioni all�aperto ed al loro conti-nuo spostamento;� terreno fortemente annerito che si distingueda quello circostante; si tratta di arature che han-no intaccato i battuti di vita o lo spazio di fre-quentazione circostante la struttura abitativa;� terreno con colorazione giallo scuro che si di-stingue da quello circostante e zolle molto durecon piccole pietre o frammenti di laterizio infis-si; le arature hanno intaccato il disfacimento egli elevati superstiti di una struttura con muri interra;

� di fronte a terreni pietrosi per geologia, il de-posito si colloca su uno spazio dove le pietre stes-se sono assenti o, se presenti, in scarso numero,di dimensioni maggiori degli affioramenti natu-rali e quindi attribuibili ad elevati.

Inoltre abbiamo effettuato in prima persona al-cune verifiche attraverso la rimozione delle zol-le di aratura; in ognuno dei cinque casi osservatisono stati sempre incontrati strati di crollo.

RICCARDO FRANCOVICH

Università di Siena

5. IL MEDIOEVO ED IL PROBLEMA DELLA SUA

VISIBILITÀ 21

Il medioevo ha fornito in genere un numeromolto ridotto di informazioni e, dal punto divista della pura e semplice ricognizione, rappre-senta un grande limite nella comprensione deiprocessi di popolamento verificatisi dopo la finedell�organizzazione insediativa di età romana.Solo recentemente abbiamo potuto dimostrareche le scarse informazioni per i secoli tra VI eVII secolo sono riconducibili soprattutto a man-canze della ricerca nello studio della ceramicad�uso comune, sottovalutandone la portata comefossile guida o di riferimento.Sino a pochi anni fa, il riconoscimento di emer-genze tardoantiche veniva affidato esclusivamen-te alla presenza di precisi indicatori, soprattuttoceramiche africane ed anfore per lo più di im-portazione. Così, i contesti di prima metà V se-colo e quelli di fine V-decenni iniziali del VI se-colo potevano essere definiti soprattutto in baseal rinvenimento di forme da mensa; per esem-pio scodelle e coppe forme Hayes 58, 61 B, 67,80-81, 91 A-B nel primo caso; forme Hayes 67,61 A e B, 99, 88, 104 nel secondo caso; essen-zialmente forme Hayes 91 C per la metà VI-VIIsecolo e di contenitori da trasporto (prodottiafricani, iberici, siro-palestinesi ed egeo-orien-tali; produzioni locali tipo quelle valdarnesi) sinoalla fine del V-inizi VI secolo.Conseguentemente venivano escluse, dalla rico-struzione della rete insediativa e dalla redazionedi un modello del popolamento, due tipi di emer-genze: quelle in cui le arature non portavano allaluce le classi ceramiche accettate come indicato-

21. FRANCOVICH, VALENTI 2000. e bibliografia citata.

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re cronologico essenziale; quelle che potevanoessere ascritte in tali cronologie, ma nelle quali(a seguito dei processi economico-territorialiverificatisi in antico) erano presenti solo prodottilocali o sub-regionali.Nel corso delle indagini sulla provincia di Sienaci siamo trovati di fronte ad un numero notevo-le di rinvenimenti connotati da corredi compo-sti di vasellame da fuoco acromo ad impasto grez-zo e da mensa ad impasto depurato con copertadi colore rosso.L�analisi di approfondimento analitico dei reper-ti, il confronto con i caratteri delle restituzionidella Toscana settentrionale rurale ed urbanahanno dimostrato che i recipienti con coperta sipresentavano in associazione alle ceramiche d�im-portazione e raggiungevano gli anni di passag-gio al VII secolo. Hanno inoltre reso possibilerealizzare una tipologia compresa tra V e VI-VIIsecolo, riconoscere nelle ceramiche da mensa coningobbiatura rossa un vero e proprio fossile gui-da per la datazione delle fasi insediative tra tar-doantico ed altomedioevo, infine collocare inseriazioni cronologiche la vasta mole di vasella-me da fuoco 22.Il risultato scaturito è corrisposto, in ultima ana-lisi, alla costruzione degli strumenti indispensabi-li per l�individuazione di depositi formatisi tra Ve VII secolo, quindi alla possibilità di leggere ar-cheologicamente quelle zone dove il vuoto d�in-formazione poteva essere causato dall�assenza diindicatori cronologici accettati come sicuri.Il comprensorio senese è, infatti, una di quellearee interne nelle quali le ceramiche d�importa-zione si limitano solo ai grandi complessi tipovilla e la loro diffusione ha termine intorno allafine del V-inizi del VI secolo. Senza l�individua-zione, il riconoscimento e la nuova interpreta-zione della ceramica con coperta rossa, sarebbestato molto difficile ricostruire i modelli inse-diativi relativi al periodo qui trattato.Superato quest�ostacolo, abbiamo cercato dicomprendere le caratteristiche dell�insediamen-to altomedievale, tentando di fare luce sulle vi-cende antecedenti; questo ci ha portati a defini-re i motivi per i quali compaiono pochissime trac-ce di depositi soprattutto sino al X-XI secolo.Il vero e proprio vuoto d�informazione che con-nota l�evoluzione territoriale per questo perio-do, trova origine essenzialmente in processi ditrasformazione dell�organizzazione insediativaverificatisi sino dal VII secolo; le nuove formedi popolamento, la loro lunga durata, la conti-

nuità di sfruttamento, hanno così nascosto sottodepositi plurisecolari le stratificazioni più anti-che.Dobbiamo allora costruire modelli storici da cuipartire per rileggere il territorio, conseguente-mente calibrare la ricerca.In altre parole, il popolamento altomedievalepuò essere individuato, nella maggioranza deicasi, cercando di applicare la modellizzazionecostruita a tavolino e quindi adattare le strategiadi ricerca. Sono la stessa trasformazione del po-polamento da sparso ad accentrato di inizi VIIsecolo, ed il �successo� della maggior parte de-gli insediamenti costituitisi, che impediscono dirinvenire le tracce dei depositi se non attraversol�indagine stratigrafica.La causa del vuoto di presenze deve essere ricer-cata in processi storici ben definibili nei lorocontorni. Non si rinviene infatti la frequenta-zione altomedievale poiché lo sviluppo della reteinsediativa ebbe inizio sin dalla fine del VI seco-lo, esclusivamente attraverso la costituzione dinuclei accentrati, e continuò ancora nel corsodell�VIII e per gran parte del X secolo.Questi villaggi nel loro complesso mostrano fre-quentazioni di lungo periodo, talvolta ininter-rotte sino ad oggi; in essi la popolazione conti-nuava a vivere, obliterando le testimonianze piùantiche conseguentemente al succedersi delle fasidi occupazione ed alle ristrutturazioni funzio-nali degli spazi.Gli esempi più evidenti, a livello toscano, di Scar-lino e Poggibonsi lasciano pochi dubbi al riguar-do: al di sotto di stratificazioni formatesi sinoalla fine del medioevo, sono presenti villaggi dicapanne databili a partire dalla fine del VI-iniziVII secolo. Anche a Montarrenti l�insediamentocastellano oblitera un insediamento di capanne.In definitiva, non si rinvengono tracce o eviden-ze di insediamenti altomedievali poiché la mag-giore parte dei villaggi costituitisi nell�altome-dioevo si rivelano insediamenti �di successo� enon brevi esperienze di popolamento.Le stratificazioni sono rintracciabili al di sottodei livelli prodotti dalle frequentazioni sussegui-tesi nei secoli; non è quindi casuale che le loro evi-denze vengano scoperte solo attraverso lo scavo.Il caso di Poggibonsi in particolare è molto si-gnificativo. Il sito, per il quale la documentazio-ne d�archivio mostrava l�esistenza di un grandevillaggio in vita tra 1155 e 1270, è da circa setteanni in corso di scavo ed ha rivelato un�ampiastratificazione archeologica compresa tra V eXIV secolo. Durante la ricognizione di superfi-cie preliminare, le tracce di una qualsiasi formainsediativa precedente al villaggio di XII secolo22. FRANCOVICH, VALENTI 1997 e VALENTI 1999.

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non sono assolutamente comparse. Tutto ciò,nonostante una strategia di valutazione del poten-ziale archeologico molto attenta e sperimentale, ar-ticolata in uno stretto rapporto con le risorse messea disposizione dall�informatica (trattamento alcalcolatore di foto aeree a scale diverse). Solo loscavo ha messo in luce l�altomedioevo 23.In generale, l�eventualità di rintracciare depositialtomedievali tramite la prospezione è risultatacomunque possibile di fronte ad una casisticaparticolare di emergenze, legata a contesti for-matisi intorno al IX-XI secolo; possiamo divi-derli in tre categorie:� siti definibili �fallimentari�;� siti incastellati abbandonati con superfici cir-costanti non urbanizzate;� singole unità agricole pertinenti ad organiz-zazioni aziendali attive a partire dal IX secolomaturo.

La definizione �siti fallimentari� individua queinuclei di popolamento che, costituitisi duranteuna congiuntura favorevole allo sviluppo ed al-l�incremento della rete insediativa, hanno avutoin realtà una vita più o meno breve; risultanoabbandonati precocemente e si pongono al difuori della tendenza generale di continuità indi-viduata. Rappresentano cioè un�eccezione, ben-ché parziale, in quanto non sono in gran nume-ro e si collocano in un preciso momento storico.Per adesso tali realtà insediative sono state loca-lizzate in aree d�altura coperte da vegetazioneboschiva e sembra trattarsi di agglomerati sfrut-tati per pochi decenni; spazi connotati da terre-ni leggeri e ad alto tasso di acidità che (non adattiall�insediamento od a seguito di vicende proprie)hanno visto occupazioni stabili di breve durata enon ripetute.Sui monti del Chianti, grazie al supporto dellafotointerpretazione e dopo un intenso lavoro ditrincee e piccoli test, sono stati individuati con-testi del genere con ceramiche databili tra IX-XIsecolo.In località Istine (Radda in Chianti), una sommitàcollinare a dominio del torrente Pesa e di formaallungata e tabulata si presenta come una piatta-forma intagliata nella roccia e da questa delimi-tata: sono chiare tracce di trasformazione antro-pica. L�effettuazione di trincee ha mostrato l�esi-stenza di alcune strutture tipo capanna, con gran-de palo centrale, forse elevati in materiali misti(pietra e legno), spessi strati carboniosi; la cera-mica prospetta una cronologia di IX-X secolo.

In località Montosi (Radda in Chianti), un pog-gio di forma quasi circolare, poco elevato, è ca-ratterizzato da terreno pietroso, rocce tagliatein allineamenti concentrici e da tracce (più omeno emergenti) di tratti murari che delimitanouno spazio con diametro di 65-70 m circa; loscavo di trincee ha restituito alcune ceramichedatabili tra X-XI secolo. Sembra trattarsi di unpiccolo sito incastellato abbandonato nel brevespazio di pochi decenni.A Poggio Castellare (Gaiole in Chianti) la som-mità di uno sperone roccioso molto inerpicato,presenta i resti di una fortificazione realizzata ingrandi blocchi litici squadrati, che formano unrecinto di circa 70 m di diametro. L�apertura diuna trincea ha rivelato strati pertinenti ad un�abi-tazione (crollo degli elevati e delle lastrine di co-pertura, battuto in terra) e ceramica ascrivibiletra X-XII secolo.In ognuno dei casi la superficie non mostravaalcun tipo di materiale; la visibilità era inoltrequasi azzerata dalla vegetazione stabile.Le indagini sui siti incastellati abbandonati e consuperfici circostanti non urbanizzate hanno datomodo di cogliere due obiettivi principali: rin-tracciare stratificazioni altomedievali, portareconferme all�esistenza di agglomerati aperti suc-cessivamente cinti da mura.Le ricognizioni nella zona di Sestano a Castel-nuovo Berardenga (dove già avevamo riscontra-to un�estesa maglia insediativa di V e VII secoloe dove la documentazione scritta attesta unamarcata frequentazione per tutto l�alto medioe-vo) hanno permesso di trarre informazioni daspazi boschivi e da sezioni occasionali, createdall�apertura di un sentiero. In località La Fon-te, due rilievi collinari in successione continua,con sommità arrotondata e versanti in lieve pen-denza, coperti da bosco e delimitati dalla con-fluenza fosso di Calceno-fiume Ombrone, con-tengono depositi archeologici relazionabili ad uninsediamento composto da più strutture, nellafattispecie abitazioni con elevati in pietra (pri-mo strato di crollo), copertura in laterizio (se-condo strato di crollo), livello di vita sotto for-ma di battuto di terra con resti ceramici e di pa-sto (terzo strato). Sono riconoscibili con sicu-rezza almeno tre abitazioni; una piccola partedella sezione, dalla quale fuoriescono scorie difusione da minerali ferrosi, lascia facilmente ipo-tizzare la presenza di una bottega artigiana o si-mile. Le strutture materiali del complesso siestendono inoltre sull�intero versante di ambe-due i rilievi collinari e sulle loro sommità comemostrano le presenze ivi riscontrate. Si tratta proba-bilmente dello scomparso castello di Cerrogrosso23. VALENTI 1996a.

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come comprovano cronologia dei materiali ce-ramici, elementi topografici e geografici. I docu-menti contenuti nel Cartulario della Berardengaattestano il complesso in vita sino dalla metàdell�XI secolo; dalla descrizione si evince la suaridotta estensione, l�esistenza di una chiesa e laprobabile origine da una curtis preesistente. Laceramica proveniente dalle sezioni ai piedi dellecollinette è ascrivibile nel corso del X secolo edanche in questo caso pare confermare le suppo-sizioni di un nucleo preesistente al castello stes-so.Il caso del castello di Valcortese (CastelnuovoBerardenga) rappresenta un esempio ottimale.Citato sino dagli inizi dell�XI secolo con il topo-nimo Collelungo/Collelungolo poi trasformato-si a partire dal secondo decennio del XII secolo,era una residenza dei conti Berardenghi ed ebbeparticolare rilievo nella zona tra XII-XIII seco-lo. Non possediamo notizie sui destini del ca-stello dopo il XIV secolo; lo stato dei ruderi la-scia pensare ad una sua distruzione poco dopotale periodo. Oggi è un�emergenza monumenta-le in completo disfacimento, immersa nella ve-getazione boschiva, della quale sono comunqueben visibili i ruderi di una possente torre in fila-retto con breve risega alla base, ascrivibile traXIII-XIV secolo; tratti delle mura castellane, re-alizzate con la stessa tecnica costruttiva, sonoinglobate in un vicino podere, ormai anch�essoabbandonato e cadente.La ricognizione ha rivelato la presenza di dueestese sezioni occasionali con tracce di stratifi-cazioni. La prima evidenzia chiare tracce di molteabitazioni con cronologie diversificate; le piùantiche sono ascrivibili al X-XI secolo. La secon-da, pochi centimetri sopra il piano di calpestio,ha mostrato la presenza di un deposito archeo-logico che continua sicuramente sotto lo stessopiano stradale. La stratificazione si compone distrati di crollo relativi ad abitazioni in materialedeperibile coperte da laterizi, anch�esse con cro-nologia analoga.Lo zoom e la ripulitura di sezioni esposte hannoquindi portato in luce depositi e ceramiche indi-zi di un villaggio aperto antecedente il castello;non si esclude affatto che possa trattarsi di unnucleo aperto poi fortificato con la recinzionedella parte più innalzata.Nell�immediato sud est del complesso di MonteRinaldi (Gaiole in Chianti), castello oggi com-pletamente stravolto da interventi edilizi e do-cumentato sin dal 1016 (curte et castello deMonte Rainaldi), la ricognizione ha mostrato cera-miche di VI-VII secolo e di X-XI secolo che permet-tono di ipotizzare uno stanziamento di inizi alto-

medioevo, forse frequentato ininterrottamentesino all�incastellamento di inizi XI secolo.A Murlo, in località Poggio Castello, un insedia-mento fortificato attestato nelle fonti scritte sindalla metà dell�XI secolo (con il toponimo diMontepescini), l�indagine di superficie ha rive-lato sugli spazi circostanti molte presenze dimateriali; tra esse si distinguono ben sette con-centrazioni caratterizzate da ceramiche databilitra IX e XI secolo; anche in questo caso ci tro-viamo di fronte ad un nucleo aperto poi trasfor-matosi in castello con la recinzione della partepiù innalzata.Singole unità agricole legate ad organizzazioniaziendali sono ancora rintracciabili tramite pro-spezioni territoriali. Si tratta in tutti gli esempidi poderi contadini al centro del fondo coltiva-to, dislocati nei dintorni del centro di apparte-nenza. Le cronologie rivelate dai materiali, cioèmaturo IX-XI secolo, non prospettano eccezio-ni al modello �siti di successo�. Anzi, la maggiorparte dei rinvenimenti rafforzano l�ipotesi di uninsediamento per nuclei accentrati frequentaticontinuativamente, caratterizzante gran partedell�alto medioevo; sembrano inoltre conferma-re che il ritorno alla casa sparsa inizia da questisecoli. La loro collocazione (sempre a brevissi-ma distanza se non contigui ad una chiesa o adun toponimo attestato come azienda curtense etuttora frequentati oppure oggetto d�insediamen-to per secoli) sottolinea di nuovo come il popo-lamento accentrato rappresenti ancora in que-sta fase una realtà dominante e come la conti-nuità insediativa (quindi il carattere di �succes-so�) sia un dato di fatto incontestabile.Esempi di poderi riconducibili ad un centroaziendale principale provengono dal follonichesee dalla Val d�Elsa.Presso la località Podere Aione, le ricerche disuperficie hanno rivelato una concentrazione dimateriali ceramici ed alcune tegole, poco estesa,datata nel corso del IX secolo; è stata identifica-ta come struttura al centro di un probabile mansodella vicina corte di Valli (cui facevano capo cin-quanta mansi nel 937 ed ancora nel 982). L�edi-ficio sembra interpretabile come un�abitazioneforse monovano, con elevati in materiale depe-ribile e copertura laterizia, costituita da manu-fatti recuperati in vicini depositi di età romana.Alcuni terreni agricoli nei pressi del castello diStaggia, curtis incastellata già a partire dall�an-no 994, mostravano tre emergenze in superfi-cie, distanti l�una dall�altra mediamente 150 m,connotate dalla sola presenza di ceramica adimpasto grezzo e depurato in associazione (in

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due casi) ad intonaci di argilla. I reperti, databilitra X-XI secolo, sono riconducibili a capannerelazionabili alla vicina azienda curtense.Le indagini svolte sul Chianti ed ancora sulla Vald�Elsa propongono anche casi di insediamento svi-luppatosi intorno a edifici religiosi. Più in particola-re rivelano l�esistenza di concentrazioni di mansicontrollati attraverso un centro di riferimentospesso diverso dalla curtis in senso stretto.Intorno alla chiesa di Santa Maria Novella, unapieve la cui prima attestazione risale al 1010,(posta nel comune di Radda in Chianti, immer-sa nei boschi e delimitata da alcune olivete), ab-biamo individuato un addensamento demogra-fico del quale sono indizio due concentrazionidi pietre e ceramica da fuoco databili alla finedel X secolo e materiali sporadici nei dintorni.San Pietro a Cedda (Poggibonsi) è una chiesadocumentata sin dalla fine del X secolo e cono-sciamo per questo periodo la presenza di duepoderi detenuti da Ugo marchese di Toscana; leesplorazioni hanno dimostrato che le case spar-se collocate negli attuali campi circostanti costi-tuivano in realtà un rete di popolamento abba-stanza fitta e protrattasi almeno sino al XII se-colo: sono state individuate tre concentrazionidatabili tra IX e X secolo (costituite da sola ce-ramica), alcuni materiali sporadici con la mede-sima cronologia e quattro emergenze ascrivibilitra XI-XII secolo (un caso composto da sola ce-ramica, tre casi da pietre e ceramica).Presso Santa Maria di Talciona (Poggibonsi),conosciuta a partire dal XII secolo, sono statericonosciute tre evidenze di strutture abitative(composte da ceramica e tegole) databili tra X-XI secolo e altre due collocabili nella metà delXIII secolo.In conclusione, abbiamo sottolineato la necessi-tà di costruire modelli storici da cui partire perrileggere il territorio e conseguentemente cali-brare la ricerca.

6. TIPOLOGIZZAZIONE DELLE COMPONENTI

INSEDIATIVE MEDIEVALI 24

Le emergenze di reperti mobili in superficie dan-no modo di riconoscere quattro modelli princi-pali di concentrazione cioè capanne, case, com-plessi medio-grandi, riuso di ville romane.

Le capanne

L�indizio di capanne è dato da concentrazionicomposte da ceramica, ossa animali ed avanzi dipasto, alle volte intonaci, forma spesso rettan-golare o talvolta circolare irregolare. Il terrenorisulta molto annerito perché le arature, raggiun-gendo sia gli strati di crollo sia quelli di vita, in-taccano dei livelli formati soprattutto di carbonie dal disfacimento di altri elementi organici.Mancando strati di crollo consistenti e tali daattutire la fuoriuscita di ceramica, le quantifica-zioni di classi e forme risultano indubbiamentemolto attendibili in via di interpretazioni fun-zionali dei depositi, per la creazione di modelliconcernenti l�organizzazione socio-economica ela circolazione di merci.L�esempio più probante proviene dalla Valle d�Osa(Orbetello-Gosseto; indagato da Giulio Ciampol-trini) con cronologia di V-inizi VI secolo. La con-centrazione di materiale, molto estesa in super-ficie (copriva uno spazio di 15×15 m), si carat-terizzava per la presenza di sola ceramica ed ossamiste a terreno fortemente annerito che indicaindubbiamente l�uso abitativo della struttura.Dati di scavo sono invece disponibili per la loca-lità Colle Carletti a Orentano (Castelfranco diSotto-Pisa; anch�esso indagato da Giulio Ciam-poltrini) con depositi datati tra III-IV e V seco-lo; l�individuazione è avvenuta riconoscendo unaffioramento di reperti mobili esteso per un cen-tinaio di metri quadrati ed attribuito già in fasediagnostica a due diverse strutture. L�indaginestratigrafica ha poi confermato l�ipotesi e mo-strato altrettante capanne caratterizzate da unadiversa articolazione e da corredi ceramici an-ch�essi diversificati.La prima (�Alfa�) è stata interpretata come unacapanna realizzata tramite impiego di materialideperibili misti con predominanza del legno eplanimetria di 7×5 m circa; la parete occidenta-le si componeva di travi o tavole disposte oriz-zontalmente, assicurate a pali infissi nel terreno;era coperta da una tettoia poggiata al suolo, inpratica inclinata di 45°. Delle palificazioni fun-gevano da pareti divisorie interne ed il battutodi vita era tagliato da una canaletta scavata per-pendicolarmente al divisorio, destinata a garan-tire soprattutto il deflusso delle acque e degliscarichi.La seconda (�Beta�), aveva pianta sub-rettango-lare, con dimensioni di 4×2 m circa, chiusa sullato più freddo e con una larga apertura a sud;era costruita in fasci di vimini o rami semplice-mente intrecciati e legati gli uni agli altri e rap-presentava una sorta di tenda servita all�esterno,24. VALENTI 1999 e bibliografia citata.

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a distanza di quasi 1 m, da una fossa terragnacon funzione di smaltitoio.Nelle ricognizioni in Val d�Elsa sono stati indivi-duati affioramenti di reperti mobili interpreta-bili come capanne ascrivibili in un arco cronolo-gico compreso tra VIII-IX secolo e X-XI secolo.In località Poggiarozzi erano presenti due con-centrazioni con dimensioni rispettivamente di5×7 m e 6×3 m, costituite da sola ceramica econ terreno fortemente annerito probabilmentea causa delle arature che hanno tratto in superfi-cie depositi contenenti un alto tasso di elementiorganici. In ambedue i casi la cronologia è for-nita dal confronto con materiali provenienti dallefasi altomedievali del complesso di Poggio Im-periale a Poggibonsi (IX-X secolo) e sembra trat-tarsi di abitazioni tipo capanna con elevati e co-perture costruiti in materiale deperibile, piantaforse rettangolare e piccole dimensioni. Altriesempi simili sono stati riscontrati anche in lo-calità Poggio Leccia con la medesima cronolo-gia e le medesime condizioni di emergenza; inlocalità Ormanni, invece, una concentrazionecon dimensioni di 7×4 m e terreno di colorepiù scuro con tracce di carboni vedeva la pre-senza di ceramica tipica dei livelli altomedievalidi fine VIII-tutto IX secolo dello scavo di Pog-gio Imperiale.La tipologia edilizia di strutture del genere nonpuò essere comunque definita senza uno scavo;la vasta letteratura europea esistente, sia l�esem-pio di Orentano sia quello di Poggio Imperialenon lasciano dubbi al riguardo; la gamma dellesoluzioni costruttive risulta estremamente varie-gata e non può che essere compresa attraversola realizzazione di griglie di riferimento moltoarticolate. Nel secondo caso, il campione inda-gato mostra chiare tracce di un insediamento alunga frequentazione, articolato in capanne dietà longobarda e carolingia; un villaggio occu-pante probabilmente uno spazio pari a quasi dueettari, articolato in abitazioni e in due zone d�inu-mazione, in uso nell�arco di duecentocinquanta-trecento anni, caratterizzato da una variegatagamma di soluzioni edilizie 25.

Le case sparse

Si presentano in superficie come concentrazionidi materiale laterizio da copertura, talvolta pie-

tre, materiali ceramici, reperti osteologici e, spes-so, scorie di fusione pertinenti a minerali ferro-si. Si tratta di emergenze riconducibili ad am-bienti con pianta rettangolare realizzati in mate-riale deperibile od in pietra per gli elevati, tettoin laterizio, piano pavimentale sotto forma dibattuto e dimensioni medie comprese tra i 6×4m. Nel caso di strutture in materiale deperibile(quasi sempre terra) la presenza di pietrame vivoo scaglie di travertino in scarsa quantità posso-no essere indizio di fondazioni destinate ad im-pedire il risalire dell�umidità; l�eventuale assen-za di materiali impermeabilizzanti sono forse spiadi facciate esterne lasciate in vista e coperturecon laterizi molto aggettanti.Per l�età tardoantica disponiamo solo d�informa-zioni provenienti da ricognizione nelle zone delChianti senese e della Berardenga, Medio Val-darno inferiore, Alta Val di Cecina, Ager Cosanus-Valle dell�Albegna.Per gli anni che precedono l�inizio dell�alto me-dioevo sono state individuate case sparse sullecolline di Roccastrada (Grosseto), di nuovo suChianti senese e sull�Ager Cosanus-Valle dell�Al-begna; dati di scavo sono invece relativi ad uncontesto localizzato nel Chianti senese con cro-nologia di metà VI-VII secolo.Nel territorio di Castelnuovo Berardenga è statainfatti sottoposta ad indagine stratigrafica unadelle emergenze rintracciate nel corso delle in-dagini estensive ed interpretate come probabiliabitazioni. Sono così stati osservati i resti di unacasa che si presentava in superficie come emer-genza composta da terreno scuro e ricco di ma-teriali organici, grandi tegole, ceramica ed avan-zi di pasto, con dimensioni di 8×6 m. In realtàla disposizione dei reperti mobili disegnava dueforme ben distinguibili; la prima attribuibile al-l�abitazione vera e propria, aveva dimensioni di5×5 m circa e lasciava ipotizzare un ambienteunico di vita con elevati in terra intonacata (po-chissime pietre, grumi bianchi e farinosi) e co-pertura laterizia; la seconda, mostrava dimen-sioni di 3×2 m e per composizione dei repertiaffioranti poteva essere interpretata come unaconcimaia od una buca per rifiuti con vicino unpiccolo forno fusorio (ceramica, ossa e scorie diferro).Lo scavo ha rivelato una casa dotata di un unicovano a pianta rettangolare, estesa 4,80×3,40 m;i muri, in terra pressata, avevano uno spessoredi 70-80 cm, mentre la copertura, realizzata inlaterizio, si presentava come tetto ad un solospiovente fermato da �ventose� in pietra. Alcu-ni livelli, quasi impercettibili nella loro consisten-za ma composti da granuli di colore bianco mol-

25. Per ultimo su Poggibonsi si veda VALENTI 1999 ed ilsito internet del Dipartimento citato all�inizio di questocontributo.

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to fitti, così come piccoli grumi di malta impa-stata con frammenti fittili, confermano l�intona-catura degli elevati.All�esterno, in corrispondenza del lato est, siappoggiava una tettoia di paglia e pali in legno.Altre buche di palo riconosciute sul limite suddello scavo, lasciano ipotizzare la presenza di unrecinto per animali; nel proseguimento dello sca-vo abbiamo inoltre riscontrato un riuso comeovile o stalla dei vicini ruderi (8 m circa) di unacasa in pietra abbandonata verso la metà del Isecolo d.C.Lo spazio interno della casa era esteso circa4×2,70 m: presentava un focolare circoscrittoda pietre di piccola pezzatura ed appoggiato almuro ovest, grandi contenitori per derrate (duedolia) posti sul lato nord, mensole applicate aimuri ed un tavolo dei quali sono probabilmenteindizio gli strati carboniosi individuati sul battu-to di vita.I rifiuti, per lo meno nella fase precedente all�in-nalzamento della tettoia in paglia, venivano smal-titi in una fossa terragna scavata sul vergine ed acontatto con il muro est. Sul suo fondo, si è ri-scontrata la presenza di attività metallurgiche ditipo rozzo da interpretare come destinate al sop-perimento di fabbisogni personali.La diagnosi di superficie aveva quindi interpre-tato quasi correttamente l�entità dei depositi (di-mensioni e materiali edilizi); sfuggiva la presen-za del recinto per animali, della tettoia. Aveva-mo comunque bene individuato lo scarico deirifiuti ed il forno fusorio anche se le arature ave-vano fatto sembrare alcuni livelli formatisi neltempo per sovrapposizione come due diversi ele-menti dell�abitazione.Case in terra e copertura laterizia sono state rin-tracciate anche in Valdelsa nelle località Ormanni,Cedda e Talciona con cronologie di IX-XIII seco-lo, più probabilmente da restringere tra XI-XII se-colo. Le emergenze di reperti mobili in superfi-cie erano costituite da frammenti di ceramica edi laterizi, concentrate su spazi di 6×7 m circa;inoltre in due casi si rinvenivano associati deigrumi compatti di terra, in parte molto gialli econtenenti piccoli frammenti di ceramica, inparte arrossati e solidificati (probabilmente peressere stati sottoposti ad alte temperature).Sembra essersi trattato di case di dimensionimedio-piccole e pianta probabilmente quadran-golare; l�assenza di chiari frammenti d�intonacocon tracce di incannicciati e di tronchi di legno,lascia comunque preferire l�ipotesi di muri interra pressata.Le abitazioni con zoccolo in muratura ed eleva-to in materiale deperibile sembrano costruite sino

agli inizi del VII secolo; se ne perde traccia sinoalla prima età carolingia e riprendono più tardi,intorno alla metà del X secolo. Siena-PiazzaDuomo e Cosa propongono esempi di VI-VIIsecolo e sono edifici compresi in età di passag-gio all�altomedioevo.L�abitazione scavata a Siena-Piazza Duomo pre-senta molti punti di contatto con quella presen-tata poco sopra in località San Quirico 26. Copreuno spazio vicino ai 20 mq, ha pianta rettango-lare, alzato in terra battuta su una base in pezza-me di pietra legata da grumi di calce e sabbia,tetto ad uno spiovente in materiale deperibile,pavimenti in battuto di terra, un focolare circo-scritto da pietre; in un angolo alcuni grandi con-tenitori fungevano da dispensa (un�anfora diproduzione orientale).A Scarlino e Montarrenti tali edifici rappresen-tano una sorta d�interfaccia con l�edilizia in pie-tra che caratterizza le fasi di incastellamento.Anche la tendenza verificabile a livello naziona-le mostra tale processo; sino agli inizi del VIIsecolo coesistono abitazioni in materiale deperi-bile con abitazioni in materiali misti, nei tre se-coli successivi, sembrano edificate strutture in-teramente deperibili.Non disponiamo di esempi da ricognizione disuperficie; un caso sospetto potrebbe individuarsinelle emergenze riscontrate in Val d�Elsa, nellalocalità Poggiarozzi, dove la concentrazione deireperti mobili in superficie, ascrivibile tra IX eX secolo, si compone di frammenti di ceramicaed alcune pietre concentrati in un�area di 3×6m; altri materiali del tutto simili sono presentiper altri 4 m in direzione nord ma sembra trat-tarsi, per quest�ultimo, di trascinamento provo-cato dalla lavorazione. Anche in questo caso (cioèsugli spazi di maggiore concentrazione), il ma-teriale risulta associato a terreno connotato dacarboni di piccole dimensioni compresi nellezolle di aratura.

I complessi di medio-grandi dimensioni

Si presentano in superficie come estese presenzedi ceramica da fuoco, da mensa, da conserva,avanzi di pasto, pietre da macina, pietre squa-drate, laterizi e cocciopesto; la ripartizione edestinazione degli ambienti è ben riconoscibilenelle caratteristiche e nella disposizione degliaffioramenti. Così negli esempi di migliore let-

26. BOLDRINI, PARENTI 1991.

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tura (Lilliano - Castellina in Chianti e Colonnadel Grillo - Castelnuovo Berardenga) la ricogni-zione ha permesso di riconoscere complessi concronologie di IV-VI secolo, articolati in un�abi-tazione principale realizzata sempre in pietra pergli elevati e copertura laterizia, a pianta rettan-golare allungata con fossa terragna rivestita inpietra ed impermeabilizzata tramite intonacatu-ra (indizio di cisterna); in ambedue i casi è pre-sente una terza struttura in materiale deperibileper gli elevati e copertura laterizia, destinata adambiente di conserva e di stoccaggio (emergen-za composta quasi esclusivamente da tegole, cop-pi e ceramica da conserva sotto forma di doliaad impasto grezzo) ed infine una quarta struttu-ra in pietra anch�essa apparentemente d�uso abi-tativo. Il complesso si raccoglie intorno ad unospazio su cui dovevano svolgersi attività lavora-tive.

Il riuso delle ville

Per la zona senese, non si hanno dati tali da po-tere comprendere la reale portata delle trasfor-mazioni di quelle ville rurali i cui spazi conti-nuano ad essere frequentati per il VI-VII secolo.Negli esempi di migliore lettura (Fontealpino -Castelnuovo Berardenga e S. Marcellino a Monti- Gaiole in Chianti) è però evidente un restringi-mento degli ambienti di vita. Non sembra co-munque trattarsi di piccole comunità che trasfor-mano o vanno ad occupare i resti più o menodiruti di una grande struttura come avviene perle località della valle dell�Albegna e probabilmen-te del populoniese; oltre a Torre Tagliata, citia-mo il caso di S. Vincenzino presso Cecina e for-se La Pieve e Vignale a Scarlino 27.Il trend generale si profila invece nella presenzadi un numero ridotto di individui (singoli nucleifamiliari) che si insediano su uno degli ambientidella pars urbana: le ceramiche ascrivibili tra VI-VII secolo sono limitate ad una piccola superfi-cie posta all�interno della residenza padronalepropriamente detta: si tratta di ceramiche dafuoco, da mensa e da conserva che, mischiateinsieme, sembrano indicare la realizzazione di ununico ambiente di vita. Nel caso di Fontealpino,oltre all�abbandono dell�edificio termale, si veri-fica il taglio del mosaico effettuato in occasionedel riuso dell�ambiente.Il fenomeno è rintracciabile anche nel sud del-

l�attuale territorio provinciale senese; disponia-mo di indicazioni circa frequentazioni ascrivibi-li al VII secolo in area chiusina (Le Camerelle),nella Val d�Orcia (territorio di Pienza) 28.Nell�esempio di scavo della villa marittima diTorre Tagliata (Orbetello), i rimaneggiamenti delcomplesso hanno inizio sul finire della stessa etàtardo antica. Un edificio principale composto ditre ambienti con copertura a volta e piano pavi-mentale in calce subisce primi interventi, nondatabili, tramite la creazione di quattro vascheutilizzate nella lavorazione del pesce e di unacanaletta. La ristrutturazione drastica del com-plesso, ed un conseguente ridimensionamento,si verificano a partire dai primi decenni del Vsecolo. Nell�insieme i tre ambienti coperti si tra-sformano quindi in una sorta di rifugio, con pia-ni di calpestio in battuto, all�interno del grandecomplesso in declino. Nella prima metà del Vsecolo inoltre lo spazio sfruttato si restringe pro-gressivamente; la villa ospitava in questo perio-do una piccola comunità insediatavisi per servi-zio d�appoggio al cabotaggio tirrenico e per sfrut-tare, pur in modo ridotto in confronto all�etàmedio imperiale, le risorse alieutiche della lagu-na.Anche il caso di Torre Saline (alla foce dell�Albe-gna) e forse Le Paduline (Castiglione della Pe-scaia) mostrano dissoluzione delle strutture, re-stringimento dell�ambiente di vita e destinazio-ne ad uso discarica di alcuni vani 29.

7. LA GESTIONE INFORMATICA DEL DATO;PERCORSI ED EVOLUZIONI 30

Come abbiamo già anticipato, l�informatica hacompletamente trasformato il tipo di lavoro svol-to nei laboratori del Dipartimento di Archeolo-gia e Storia delle Arti dell�Università di Siena.Essendo un momento di passaggio il cambiamen-to è andato di pari passo con l�aumento dellenostre capacità di gestione dell�hardware e delsoftware e con lo stesso sviluppo dei prodottiimmessi sul mercato.La nostra attenzione si è concentrata su varietecniche ed applicativi, tra i quali citiamo il pro-

28. Per la Val di Chiana si veda la cartografia archeologi-ca presentata in PAOLUCCI 1988.29. Si veda per la bibliografia dei casi citati ancora VA-LENTI 1994 e VALENTI 1996b.30. FRANCOVICH 1990; FRANCOVICH 1999; VALENTI 1998a;VALENTI 1998b; VALENTI c.s.; NARDINI c.s.; FRONZA c.s.

27. Per la bibliografia dei casi citati si veda VALENTI 1994e VALENTI 1996b.

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cessamento al calcolatore di foto aeree, la ge-stione GIS di scavi e territori, la catastazionemultimediale della risorsa archeologica, la mo-dellazione 3D, rendering fotorealistico e anima-zione di strutture e reperti, morphing delle strut-ture individuate tramite scavo, video documen-tazione elettronica, catastazione e gestione CADdello scavo, catastazione e gestione CAD di mo-numenti, produzione di filmati multimediali,creazione siti e pagine web concernenti ricerchee parchi archeologico-culturali.L�esigenza di ricondurre le banche dati e le piat-taforme costruite all�interno di un unico sistemadi gestione e la necessità di potere osservare efare interagire le informazioni prodotte a tuttele scale spaziali, ci ha poi condotti alla ricerca diuna soluzione di gestione ipermediale del datoarcheologico. L�ipermedialità rappresenta infat-ti il nuovo punto di arrivo del rapporto archeo-logia-informatica.Questa categoria di creazioni racchiude tutto ciòche è programmabile e riconducibile in un siste-ma composito di documentazione integrata; laprogrammazione è così la frontiera che l�arche-ologo deve riuscire a varcare se non vuole usareil computer come un semplice elettrodomesti-co.Crescere vuol dire riuscire a programmare e scri-versi il proprio protocollo di gestione; la cono-scenza del linguaggio da infatti modo di creareun sistema non disponibile sul mercato, una so-luzione ipermediale, composta di moduli diver-si, correlati a seconda delle nostre esigenze diarcheologi.Questo è l�approdo metodologico attuale del-l�attività svolta dalla cattedra di Archeologia me-dievale dell�ateneo senese. È proprio la sperimen-tazione continua e febbrile, la ricerca della solu-zione ottimale e la ferma volontà di superarsi,sconfiggendo la potenza della macchina e deiprogrammi, che ci ha portati a trovare una no-stra via informatica all�archeologia.Prima di passare alla sua illustrazione intendia-mo però sottolineare e premettere il nostro con-cetto di GIS, la definizione da noi accettata e lametodologia di lavoro sviluppata.Se per GIS possiamo intendere sia il software (ingrado di presentare, analizzare e gestire elemen-ti grafici e geografici) sia la soluzione GIS, cioèun sistema composto da applicazioni software,apparecchiature hardware ed operatori (che, at-traverso protocolli, integrano differenti tecno-logie informatiche applicate allo studio e allarappresentazione del territorio o dello spazio),quest�ultimo è il significato che noi abbiamoadottato.

Anche la soluzione GIS può essere scissa in duecategorie di applicazione: sistemi per archivia-zione e riproduzione delle informazioni e siste-mi di supporto per decisioni e interventi (analiz-zare e prevedere interventi, analizzare e preve-dere modelli). Noi abbiamo deciso di realizzareambedue le finalità; non crediamo infatti stret-tamente collegato all�archeologia la semplicecatastazione georeferenziata del dato; il datoinfatti deve essere tradotto (combinato con altridati) in informazione e l�informazione (o le in-formazioni) in modelli da riproporre nella lettu-ra del territorio, nella previsione dei fenomenipresenti, nella scelta strategica da applicare inaree ancora non oggetto di indagini.La molla che ha fatto scattare la maturazionedella nostra filosofia di lavoro in questa direzio-ne è stata indubbiamente l�evoluzione del pro-getto Carta Archeologica della Provincia di Sie-na che, dal 1993 è stato affiancato dallo scavodi Poggio Imperiale. Dovevamo trovare il modoper relazionare le piattaforme GIS di territorio escavo e collegare le stesse piattaforme alle ban-che dati alfanumeriche e multimediali che ave-vamo costruito; inoltre, esisteva l�esigenza di in-tegrare e fare interagire un progetto di largo re-spiro, l�Atlante dei Siti di Altura, iniziato nelnostro Dipartimento ma mai conclusosi con larealizzazione di una piattaforma GIS vettorialee con il link bidirezionale ai propri archivi.La soluzione individuata e la nostra attività si èquindi indirizzata verso la creazione diOpenArcheo, il prototipo di un sistema integra-to ed aperto per la gestione del dato archeologi-co che, tramite un�interfaccia semplice, permet-te di collegare vari tipi di dati (cartografici, pla-nimetrici, alfanumerici, grafici, multimediali,ecc.) in modo multidirezionale fra le diverse ap-plicazioni usate.Il concetto di base sul quale si fonda il sistemaruota intorno a due parametri: la documenta-zione (quale tipo di documentazione intendia-mo reperire?) e la keyword di relazione (in basea quale chiave di ricerca vogliamo reperire ladocumentazione?).Per esempio, se dalla base GIS di uno scavo in-tendiamo visualizzare la ceramica pertinente alperiodo dell�oggetto selezionato, la documenta-zione sarà costituita dai reperti ceramici, lakeyword di relazione dal periodo ed il collega-mento avverrà fra la base GIS ed il DBMS rela-zionale dello scavo.La facilità e l�utilità di una simile gestione risultafacilmente intuibile, soprattutto se si considerala possibilità multidirezionale dei link (giacchétutte le applicazioni che gestiscono i singoli tipi

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Fig. 11 � Carta archeologica della Provincia di Siena, comuni di Colle Val d�Elsa e Poggibonsi. Applicazionedei poligoni di Thiessen a castelli e curtes di X secolo, su base costituita da ortofotocarte (scala 1:10.000).

Fig. 12 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Chianti e Val d�Elsa. Rete dei castelli di XI-XII secolocon i collegamenti possibili.

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Fig. 13 � Carta archeologica della Provincia di Siena, Chianti e Val d�Elsa. Rete dei castelli di XI-XII secolocon i collegamenti probabili.

Fig. 14 � Carta archeologica della Provincia di Siena, comuni di Colle Val d�Elsa e Poggibonsi. Maglia insediativacompleta con viabilità tarata (colore verde). Sono evidenziati a parte i tracciati viari della Francigena (colore

rosso) e della Volterrana (colore giallo).

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di dati interagiscono con tutte le altre), il vastorange delle informazioni reperibili dalla scalamacro (per esempio la carta archeologica diun�intera regione) a quella micro (per esempiola scheda di un singolo coccio) e la rapidità deicollegamenti.Si tratta in definitiva di una vera e propria appli-cazione (da trasformare in sistema con l�immis-sione di funzioni di controllo) che consente ilmonitoraggio ottimale del dato archeologico. Daun punto di vista tecnico OpenArcheo è, e sarànella sua versione definitiva, un sistema program-mato costituito da routines organizzate in tre li-velli: la parte principale realizzata con OneClick,gli script locali delle singole applicazioni che sfrut-tano gli eventuali linguaggi di programmazioneresidenti ed alcuni passaggi particolari realizzaticon Apple Events o AppleScript app�s. In tutti icasi si tratta di linguaggi object oriented, ma ladifferenza fra i tre livelli risulta sostanziale.Come abbiamo già detto, una piattaforma GISterritoriale può essere scissa in due categorie diapplicazione e quindi abbiamo deciso di realiz-zare ambedue le finalità ed in più intendiamolavorare sulla nostra piattaforma per produrremodelli di lettura della diacronia insediativa.Il primo tentativo svolto, cioè la creazione daparte di Giancarlo Macchi di una piattaformaGIS per la catastazione della Carta Archeologicadella Provincia di Siena ha avuto senza dubbio lafunzione di consegnare al Dipartimento le chiavidella tecnologia GIS, fare intravedere il suo realeutilizzo in archeologia ed i suoi possibili impie-ghi in ottica di elaborazione di modelli storici dilettura della diacronia insediativa. Macchi ha svol-to un ottimo lavoro, applicando modelli inter-pretativi d�ambito geografico e provocando rea-zioni positive in altri laboratori in fatto di spronea progredire; si tratta della prima realizzazioneGIS nell�ambito archeologico senese.L�esperienza è nata nella prima metà degli anninovanta e per le risorse messe a disposizione dalmercato, nonché per la nostra iniziale imprepara-zione sul GIS, è andata ben oltre le aspettative.Il progetto iniziava allora con mezzi limitati, so-prattutto per le difficoltà d�aggiornamento deiprogrammi e dei sistemi, per l�aumento dellememorie RAM, per la mancanza di dispositivied apparecchiature d�input e output.La progettazione e la costruzione della strutturaportante hanno avuto una durata di quasi dueanni; era necessario acquisire quel backgrounddi conoscenze indispensabili per capire cos�è re-almente un GIS e come costruire un GIS funzio-nante. La piattaforma venne imperniata sul pro-gramma MapGraphix che rappresentava in re-

altà un modulo cartografico da collegare ad undatabase per costituire una reale piattaforma GIS.Si rendeva quindi necessario creare un sistemaper l�archiviazione dei dati alfanumerici indipen-dente dai files cartografici.Sotto la piattaforma Macintosh le scelte non era-no molte; in quegli anni risultavano affidabilisolo tre soluzioni: 4th Dimension, Fox Base eFileMaker.Solo i primi due programmi avevano allora ca-pacità relazionali, mentre FileMaker era inveceun database lineare; venne comunque scelto perla facilità d�uso, ad esso connaturata, e per lasua diffusione all�interno del Dipartimento.La struttura originale del database di tipo flatmostrò ben presto i suoi limiti e la rigidità concui condizionava il DBMS; prima provando aprogrammare, poi con l�uscita sul mercato deltanto atteso FileMaker Pro, venne finalmenteimpostata una struttura relazionale con collega-menti effettuati tramite un campo indicizzato(ID). Questo doveva garantire l�univocità delleinformazioni in esso contenute, per evitare lacreazione di rapporti sbagliati tra le diverse in-formazioni; la scelta cadde quindi su un campocosì strutturato: (numero del sito)/(numerodell�ut)/(numero del quadrante IGM senza la let-tera Q e senza spazio fra il numero di foglio e ilnumero di quadrante)/(codice del comune).La stessa stringa ID venne poi usata anche sulprogramma cartografico.Inoltre, sfruttando il linguaggio di programma-zione nativo di MapGraphix, venne creata, al-l�interno del database, un�interfaccia logica chepermetteva l�acquisizione delle coordinate UTMdi ogni sito e con esse la creazione dei layers informato vettoriale direttamente dal database.La cartografia fu organizzata su due diversi li-velli: vettoriale e raster.La prima fu prodotta direttamente digitalizzan-do supporti cartacei ed articolata in confini del-la Provincia di Siena, confini comunali, coordi-nate dei capoluoghi dei Comuni, limiti dei qua-dranti IGM, limiti dei fogli IGM, sistema di qua-drettatura o particelle IGM con coordinateUTM; inoltre vennero aggiunti altri piani d�in-formazione come idrografia, morfologia sempli-ficata, orografia principale, strade, precipitazio-ni e temperature medie annue.La seconda fu ottenuta scansionando e georefe-renziando i quadranti regionali in scala 1:25.000.Dietro l�esperienza effettuata da Macchi, e gra-zie ad una collaborazione più stabile con il SITprovinciale ed il SIT regionale, abbiamo conti-nuato a sviluppare la piattaforma GIS arrivandoa cambiare software di gestione cartografica,

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perfezionare il DBMS, utilizzando esclusivamen-te cartografia vettoriale.La base vettoriale dedicata al territorio provin-ciale senese è in realtà un modulo di una piùampia cartografia regionale in via di realizzazio-ne curata da Federico Salzotti con la collabora-zione di Alessandra Nardini e Vittorio Fronzaper gli aspetti legati alla programmazione ed allericerche.Al momento disponiamo di layers dedicati a con-fini comunali, idrografia, capoluoghi, geologia,uso del suolo, celle del popolamento aggiornatoal 1951, reticolato IGM 1:25.000, una baseDTM. I layer vettoriali sono stati inoltre sovrap-posti ad una carta raster in scala 1:100.000 del-l�intero comprensorio. Sono poi arrivate dallaRegione Toscana basi vettoriali in scala 1:10.000con curve di livello relativi alla Val d�Elsa ed allaVal d�Orcia e sta per esserci trasmessa dal SITprovinciale la copertura del senese con ortofo-tocarte georeferenziate. Il comune di Siena hainvece fornito il comprensorio comunale con lesue caratterizzazioni in un vettoriale scala1:2.000 e la città.È previsto inoltre a breve un collegamento ester-no anche con le basi cartografiche raster 1:25.000.Il DBMS è stato revisionato ampliando il nume-ro e le definizioni degli archivi lookout, costruen-do una scheda sito centrale alla quale si relazio-nano schede UT, schede con notizie storiche ecitazione di documenti d�archivio, schede mate-riali ed uno schedario bibliografico.Il sistema di ID progettato da Macchi è statoconservato, anche se attraverso OpenArcheo,le ricerche sugli stessi archivi e la loro traspo-sizione visiva sulla base cartografica viene al-largata attraverso l�impiego di campi multiplidi ricerca.La piattaforma, impostata sul software ArcView,è già ampiamente in corso di elaborazione e stagià fornendo i primi, significativi risultati.Personalmente, non ci riteniamo completamen-te soddisfatti del software adottato; si tratta diun programma pensato molto bene (anche perl�uscita in stampa) ma realizzato con molti limitie bug per quanto riguarda la versione Macintosh.Anche i moduli di calcolo più complesso devo-no essere acquistati extra-pacchetto.Continueremo comunque ad usarlo e sviluppar-lo nei suoi aggiornamenti per dialogare diretta-mente con il SIT provinciale che utilizza tantoArcView quanto ArcInfo (programma al qualeabbiamo deciso di passare in un futuro prossi-mo), ma per tutto quello che riguarda calcoli,ricerche complesse, od applicazione di modellilavoreremo su un diverso software: MacMap.

Questo stesso programma è alla base della piat-taforma GIS dello scavo di Poggio Imperiale aPoggibonsi, una realizzazione indubbiamented�avanguardia a livello europeo 31.In ognuno dei casi citati, la costruzione di basiGIS non ha inteso la mera archiviazione geore-ferenziata dell�informazione.Piuttosto stiamo tentando di sviluppare gli aspettipredittivi e programmatici che permettano a noidi calcolare l�eventuale potenziale archeologicodi aree non ancora indagate sul campo e proget-tare le strategie di ricerca adatte; inoltre di met-tere in grado le amministrazioni pubbliche diorientare sia sulle zone già indagate sia sulle zoneancora da indagare (ma oggetto di predittività)le scelte di conservazione, tutela, valorizzazio-ne, plausibilità di interventi distruttivi ecc.Nella gestione GIS dello scavo di Poggibonsi (uncomplesso monumentale esteso circa 12 ettari)stiamo anche sperimentando la ricostruzione diun modello insediativo facendo dialogare ed in-terrogando con valore retroattivo tipo feedbackinformazioni di scavo ed informazioni (per le areenon ancora scavate) deducibili dalle indagini pre-liminari all�intervento archeologico (ricognizionia terra e trattamento al computer di foto aeree ascale diversificate). Inoltre all�interno del model-lo dei dati, l�immissione del progetto di parco ar-cheologico, interrogato sia su basi di scavo sia suldato preliminare, permette e permetterà sempredi più il suo adattamento e la sua trasformazioneparallelamente allo sviluppo dell�intervento.Uno dei limiti più evidenti dei progetti promos-si da alcune università italiane a partire dalla finedegli anni �80 è stato l�affidare la costruzionedell�impalcatura logica del prodotto ad informa-tici professionisti. Pur attraverso il confronto ela collaborazione con gli archeologi, i tecnicihanno comunque creato supporti poco aderentialle nostre reali esigenze; si sono realizzate strut-ture molto corrette dal punto di vista informati-co ma che mostrano i limiti di un�impostazioneconcettuale troppo rigida. La mentalità dell�ana-lista non è completamente conciliabile con lamultidirezionalità dei dati archeologici.I modelli di gestione dei dati prodotti da questeesperienze sono sostanzialmente chiusi e nonadattabili; la loro divulgazione è affidata a pub-blicazioni ostiche ad una lettura profana: ricchedi spiegazioni dettagliate e specialistiche, dun-que, inaccessibili alla maggior parte della comuni-tà archeologica.

31. NARDINI c.s. per una spiegazione dettagliata del GISdi scavo realizzato per Poggibonsi. Inoltre VALENTI 1998b.

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Sono inoltre soggetti ad invecchiamento: rego-lati sulle macchine e talvolta sui software del mo-mento, non modificabili e non aggiornabili sen-za ricorso nuovamente alla collaborazione dianalisti (quindi fuori target nell�eventualità di unrapporto non rinnovato).La nostra scommessa è stata invece di gestireautonomamente il calcolatore ed asservirlo allenostre esigenze.La filosofia di lavoro sulla quale ci siamo mossisi basa su tre presupposti:� la macchina è solo un elettrodomestico più so-fisticato della media e di conseguenza la usiamo(così come il telefono cellulare o l�agenda elet-tronica o l�Imate);� non ci adattiamo a fare ciò che la macchinaconcede, avvicinandoci ad essa con grande ti-more reverenziale;� �ordiniamo� alla macchina (attraverso la pro-grammazione) di fare ciò che noi vogliamo.Solo così la costruzione di un sistema di gestio-ne dei dati, realizzato da archeologi per l�arche-ologia, ha in fieri l�allargamento delle sue com-ponenti e qualsiasi tipo di revisionabilità in qua-lunque momento sia reputato necessario.I nostri prodotti, forse, non sono del tutto or-todossi dal punto di vista informatico; ma a finemillennio parlare ancora di �ortodossia infor-matica� non ci sembra del tutto coerente, poi-ché l�attuale filosofia vincente di alcuni sistemioperativi (primo tra tutti Macintosh), è invecemettere in grado l�utente di sviluppare le pro-prie soluzioni e programmare il superamentodei propri bisogni di gestione. I nostri prodottisono infatti assolutamente funzionali e appli-cabili a tutti i contesti di scavo; consideriamodel tutto inutile abbandonarsi a teorizzazioniper poi alla fine perdere di vista gli obiettivistessi che hanno reso necessario l�uso del cal-colatore.Questo significa soprattutto avere ben chiaroquali sono i rapporti e le relazioni necessarie al-l�archeologo, conseguentemente articolare lasoluzione, applicando la tecnologia non solocome strumento di archiviazione ma anche comemezzo di ricerca e produzione di informazioni.Bisogna allora decidere quale può essere il gra-do di alfabetizzazione informatica degli archeo-logi che vogliono fare un uso realmente buonodel calcolatore, intendendo con ciò la sua appli-cazione intelligente.L�archeologo deve sapere gestire in prima per-sona i processi di catastazione e gestione dei dati;i computer dei nostri giorni lo permettono. Que-sto però richiede che all�interno dei Dipartimentidi archeologia nasca il know how ed i canali del-

la sua trasmissione; devono quindi essere createdelle esperienze che portino alla formazione diuna sorta di �scuola�, o di una tradizione; alcu-ne Università si sono già mosse in tale direzione,in primo luogo la stessa Siena, ma anche Lecce eBologna-Ravenna dove esistono insegnamenti diInformatica applicata.L�archeologia, per l�enorme mole di dati che pro-duce, non può più essere efficacemente gestitasenza il calcolatore; non può permettersi di sta-re fuori dai sistemi di comunicazione odierni cherichiedono e richiederanno sempre di più la com-pletezza della documentazione e la sua traspa-renza, grande velocità di trasferimento, chiavidi lettura diversificate.Lo specialista ed il non specialista devono avereentrambi la facoltà di accedere alla forma di espo-sizione delle ricerche più consona alle loro esi-genze ed al grado di interesse del momento incui, per ricerca o per lavoro o per semplice cu-riosità, si connettono: dal dato oggettivo al datointerpretato ed esposto su piani di narrazione adiverso grado di difficoltà.Stanno finendo i tempi in cui un�indagine archeo-logica rimaneva inedita per lungo tempo ed i datinon potevano essere resi disponibili per l�interacomunità scientifica.L�archeologia, se vuole realmente avere un dia-logo con le istituzioni che governano il territo-rio e raggiungere anche una molteplicità di po-tenziali fruitori del nostro lavoro (cioè esternialla comunità archeologica), deve soddisfarequesti obiettivi: abbattere lo stereotipo (?) deitempi lunghi di gestazione dell�informazione,�scrivere� in un linguaggio digitale corretto, chia-ro e comprensibile, trasmettere il dato veloce-mente nei modi di trasmissione più diffusi e re-cepibili dalle stesse amministrazioni pubbliche(per esempio da un SIT provinciale) o da qua-lunque altro soggetto interessato.Solo così sarà possibile fare entrare le nostre in-dagini nelle politiche territoriali, giocando unruolo da protagonisti, ed accedere a finanziamen-ti che permettano lo sviluppo della ricerca; solocosì allargheremo l�interesse per le nostre inda-gini, raggiungendo anche una fascia di pubblicodei non addetti.Se non riusciremo ad adeguarci ai sistemi di co-municazione attuali (oggi addirittura si possonomandare e-mail anche da un telefono cellulare)e trasferire i nostri dati ad una pluralità compo-sita di soggetti (dall�ente pubblico, al ricercato-re, al semplice navigatore della rete) saremo fuoridal grande grande circuito dell�informazione elavoreremo solo per noi stessi, a circolo chiuso.L�archeologia è perfetta per il digitale; sa trova-

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re in questo campo grandi spunti di spettacola-rità che non dobbiamo lasciarci sfuggire per sfrut-tare al meglio le dinamiche ed il linguaggio dellacomunicazione odierna basati molto sull�imma-gine.Attenzione. Questo non significa svendere o sem-plificare, e quindi ridurre, lo spessore delle no-stre indagini; l�informazione oggi richiede infat-ti contenuti alti e veicolati con realizzazionitecnologiche elaborate ma tramite un�interfac-cia di accesso �friendly�.

8. IL SISTEMA DEGLI ARCHIVI 32

Com�è noto il Database management ha rappre-sentato uno dei primissimi obiettivi perseguitinell�ambito delle scienze informatiche. Il modellodi base per la gestione di un archivio si fondasulla teoria matematica delle matrici e si esplici-ta in campo informatico con il concetto di tabel-la suddivisa in righe e in colonne. Una riga rap-presenta un�unità d�informazione all�internodell�archivio ed è composta da un numero pre-definito di colonne, variabile in base alla naturadell�archivio stesso. Correntemente un�unitàd�informazione, in altre parole la riga di una ta-bella, è detta record, mentre la colonna, ovverouna voce dell�intera informazione di un record,è detta campo (o attributo). In definitiva unatabella è un database semplice, bidimensionale;in questo senso è spesso definito come archiviolineare. Una simile organizzazione può risultaremolto farraginosa con l�aumentare della com-plessità e della diversificazione delle informazio-ni; la soluzione è rappresentata da una gestionerelazionale dei dati, attraverso la quale più ar-chivi lineari sono messi in relazione per mezzodi una colonna comune. La teoria relazionale sibasa su tre concetti fondamentali: le tabelle ap-pena descritte, gli identificatori (ovvero i campicomuni a più tabelle che permettono di stabilirele relazioni), le relazioni.Si generano in questo modo archivi complessiche da un punto di vista algebrico sono dellematrici multidimensionali. L�algebra però non èin grado di stabilire dei collegamenti logici fra ivari elementi di una matrice multidimensionale,se non quelli immediati rappresentati da un�iden-tità di riga, di colonna, di �profondità�, ecc. Si èdovuto perciò ricorrere alla teoria matematicadegli insiemi. Questa prevede la manipolazione

di elementi aventi almeno una caratteristica incomune, raggruppati appunto in insiemi; fra leoperazioni principali previste ricordiamo l�ad-dizione, la sottrazione, l�unione, l�intersezione.Le basi di questa teoria, opportunamente rivistee adattate, nonché ampliate in alcune sue carat-teristiche soprattutto operative, sono risultateperfettamente aderenti alle necessità di esprimerela relazionalità fra archivi.La teoria relazionale classica prevede tre catego-rie di relazioni:1:1 � si tratta della relazione che collega un re-cord di un archivio ad uno ed un solo record diun altro archivio.1:N; N:1 � mette in relazione un record di unarchivio (detto principale o master) con N re-cord di un altro archivio (detto secondario), oviceversa. Per gli archivi di uno scavo archeolo-gico si avrà, ad esempio, una relazione di tipo1:N dalla tabella Unità stratigrafiche verso la ta-bella Reperti ceramici (per uno ed un solo stratosi possono avere n schede di reperti ceramici).N:N � si tratta delle relazioni più complesse dagestire e difficilmente si troveranno applicate inarchivi di largo consumo. Tramite questa rela-zione vengono messi in collegamento n recorddi un archivio con n record di un altro archivio,secondo un criterio logico aderente all�architet-tura globale del database relazionale.

Questa succinta spiegazione della teoria relazio-nale, e l�organizzazione razionale del dato chene deriva, dovrebbe bastare per intuire l�utilizzoche se ne può fare nella gestione dei dati pro-dotti dalle indagini archeologiche. Nel caso diuno scavo, per citare un esempio semplice, l�ar-chivio delle US messo in relazione con gli archi-vi dei reperti snellisce notevolmente il database.Si evita infatti in questo modo la duplicazionedei dati relativi alla stratigrafia in ciascuna sche-da dei reperti (in informatica detta ridondanzadel dato); ciò consente di risparmiare spazio sullememorie di massa del calcolatore e, soprattutto,tempo nella fase di immissione dei dati.Il database sul quale stiamo lavorando nel no-stro Dipartimento ha tenuto conto di tali pre-messe teoriche e nell�ultimo anno si va confor-mando ad un modello in corso di elaborazioneper la gestione globale degli archivi relativi alleindagini archeologiche (dalla ricognizione alloscavo). Dal 1997, infatti, un�apposita commis-sione istituita dalla Regione Toscana sta lavoran-do alle Linee Guida per la redazione della CartaArcheologica della Toscana (LINEE GUIDA CARTA

ARCHEOLOGICA, 1998). Il Laboratorio di Infor-matica applicata ha intrapreso, dall�inverno32. Si veda FRONZA c.s.

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1998, le operazioni di codificazione secondol�analisi scaturita dal lavoro della commissione;ciò presenta problemi di diversa natura e riferi-bili soprattutto all�adeguamento al software scel-to, alla riconversione degli archivi precedenti eal disegno di un�interfaccia utente per il dataentry e per la consultazione. Si tratta di una moledi lavoro rilevante; in sostanza prevediamo lacostruzione di una base di dati che contempli lagestione di qualsiasi tipo di dato archeologicoalfanumerico. Le Linee Guida, estremamentecomplete per quanto riguarda il ventaglio dei datiprodotti da una carta archeologica, sono piutto-sto schematiche nell�approfondimento dei datioggettivi ed interpretativi, connaturati allo svol-gimento di un progetto di ricerca; si renderàpertanto necessario integrarle con gli archivi didettaglio, direttamente funzionali alle tematicheaffrontate e già sviluppati presso il laboratorio;va inoltre prevista l�aggiunta di una serie di datiparticolari relativi ad approfondimenti in corsodi svolgimento presso il Dipartimento (archiviodei castelli italiani scavati, archivio degli inse-diamenti rurali e dell�edilizia in materiale depe-ribile a livello europeo). Fino ad ora abbiamoportato a compimento i soli archivi per le infor-mazioni provenienti dalle indagini stratigrafichema, anche per quanto riguarda le indagini disuperficie, il lavoro è attualmente ad uno statomolto avanzato (potevamo già disporre dellanostra struttura relazionale sperimentata all�in-terno del progetto Carta archeologica della Pro-vincia di Siena e dell�Atlante dei siti d�altura del-la Toscana).L�organizzazione dei dati si fonda su un�archi-tettura gerarchica dove il livello più alto è rap-presentato dal sito (in relazione 1:1 o 1:N contutti gli altri archivi), concetto di base per la ge-stione del dato in archeologia secondo la pro-gettazione logica delle Linee Guida; sullo stessopiano della scheda di sito si colloca la tabellarelativa ai progetti di ricerca contenente i datifondamentali inerenti le indagini stratigrafiche(archivio Scavi).Un nodo importante è rappresentato dalla de-finizione degli identificatori relazionali. I fre-quenti interventi sui dati catastati e soprattutto

la necessità di importazioni ed esportazioni con-tinue durante la fase di data entry ha suggeritodi evitare l�uso di numeri progressivi; si è inve-ce optato per campi calcolati, che definisserounivocamente i dati. In particolare gli identifi-catori si compongono di una stringa costituitadai diversi tipi di informazioni necessarie a cre-are i criteri di univocità, preceduti da una sigladi tre caratteri maiuscoli che identifica il tipodi informazione e separati da un carattere con-venzionale neutro (nel nostro caso �%�). Perquanto riguarda la struttura dei singoli archivi,ci siamo basati ancora una volta sulle schedeministeriali, spesso ritoccate per soddisfare lenuove esigenze derivate dall�implementazionedel sistema di gestione informatizzato e dall�ap-profondimento dei livelli interpretativi dellaricerca; in questa sede richiederebbe troppospazio analizzare dettagliatamente, campo percampo, i singoli archivi del database. Va comun-que sottolineato che le modifiche apportate siriferiscono principalmente alle necessità impo-ste dall�utilizzo della base GIS e del sistemaOpenArcheo. In questo senso si è provvedutoall�aggiunta di campi specifici, rappresentantistringhe di identificatori sulla quale si basanole relazioni del sistema e alcune ricerche sullabase GIS.Ai fini dell�implementazione di OpenArcheo si èrivelato sufficiente creare un indice relazionalegenerico, in relazione con tutte le tabelle attra-verso un identificatore da importarsi ad ogni col-legamento fra i dati e costituito da una stringache concatena tutte le chiavi di ricerca previstedal sistema. Ovviamente in ogni tabella si ritro-va lo stesso identificatore (denominatoIDOpenArcheo) che consente di rendere opera-tiva la relazione. In sostanza se si vuole accederealle schede US di un insieme di oggetti selezio-nati nella base GIS il sistema esporterà i relativiidentificatori dalla tabella interna, effettueràquindi un�importazione nell�indice diOpenArcheo e visualizzerà relazionalmente i datiriferiti alle US, catastati nell�apposito archivio.

MARCO VALENTI

Università di Siena

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