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Reti, sviluppo regionale e controllo democratico Author(s): Costis Hadjimichalis and Ray Hudson Source: Meridiana, No. 49, RILEGGERE IL TERRITORIO (2004), pp. 75-97 Published by: Viella SRL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199982 . Accessed: 31/12/2014 07:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Viella SRL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Meridiana. http://www.jstor.org This content downloaded from 131.111.164.128 on Wed, 31 Dec 2014 07:08:20 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

Reti, sviluppo regionale e controllo democratico

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Reti, sviluppo regionale e controllo democraticoAuthor(s): Costis Hadjimichalis and Ray HudsonSource: Meridiana, No. 49, RILEGGERE IL TERRITORIO (2004), pp. 75-97Published by: Viella SRLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199982 .

Accessed: 31/12/2014 07:08

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RILEGGERE IL TERRITORIO

Reti, sviluppo regionale e controllo democratico"

di Costis Hadjimichalis e Ray Hudson

1. Introduzione

L'interpretazione dell'economia e della società come fondate su re lazioni di vario tipo fra attori individuali e collettivi non è recente fra

gli studiosi di scienze sociali. Persone differenti per classe, etnia e ge nere sono legate da reti di relazioni che sono tipicamente gerarchiche e caratterizzate da asimmetrie di potere e da disuguaglianze fra quanti ne sono coinvolti. Negli ultimi tempi, vi è stata enfasi crescente sulla

comprensione di simili legami in termini di relazioni reticolari. Il tema delle relazioni reticolari è stato nel recente passato l'oggetto

di una letteratura sempre più vasta ed è parte di un campo di studi

complesso che attraversa sociologia, economia, geografia e pianifica zione. L'analisi di rete è giunta ad abbracciare, oltre che le relazioni fra

persone, le relazioni fra persone e cose, segnatamente grazie alla «teoria

dell'attore reticolare»1. In particolare, le reti sono state analizzate come

espressioni organizzative della globalizzazione nei contributi di Ca

stells2, il quale sostiene l'«emergere della società reticolare», mentre al tri hanno parlato di «Europa connessa in rete»3. Espressioni come «reti

urbane», «impresa come rete», «imprese connesse in rete» (in un mon

do globale)4, «regione inserita in rete», «paradigma della rete»5 e simili,

Questo articolo è una versione modificata del contributo presentato per la prima volta al seminario egeo, Rethinking Radical Spatial Approaches, Naxos, 8-14 settembre 2003. De sideriamo rendere atto dei commenti di elevato valore ricevuti dai partecipanti al seminario,

per i quali valgono però i soliti esoneri di responsabilità.

' B. Latour, Pandora's Hope: An Essay on the Reality of Science Studies, Harvard Uni

versity Press, Harvard 1999. 2 M. Castells, The Rise of the Network Society, Blackwell, Oxford 1996. 3 Networking Europe: Essays on Regionalism and Social Democracy, a cura di E. Bort

N. Evans, Liverpool University Press, Liverpool 2000. ' The Networked Firm in a Global Word, a cura di E. Vatne-M. Taylor, Ashgate, Alder

shot 2000. 5 P. Cooke-K. Morgan, The Network Paradigm: new departures in corporate and regio

nal development, in Proceedings of Lemnos 1991 International Seminar of the Aegean, Athens-Thessaloniki 1991.

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sono stati assunti come concetti positivi (e talvolta anche progressisti o

radicali), mentre scarsa attenzione è stata prestata alla loro essenza e al

la loro concreta funzione. Le reti e le interazioni reticolari fra partner sono state particolarmente in voga nell'ambito dell'Unione europea,

comprendendo reti di collaborazione scientifica, telecomunicazioni e

trasporti, università (costituite attraverso una varietà di reti epistemi che) e altre reti inerenti a specifiche politiche. Per quanto riguarda le

politiche urbane e regionali, l'Unione europea ha promosso reti a scale diverse (fra quartieri, città, regioni, enti locali e così via) come nuove forme di governance. Per esempio, la Direzione generale della commis sione europea per le politiche regionali e di coesione ha finanziato di verse migliaia di reti transnazionali nell'arco di pochi anni''.

Scarsa attenzione è stata prestata, tuttavia, in primo luogo, alle im

plicazioni teoriche dell'uso della rete come metafora sociale e, in se condo luogo, al funzionamento delle reti realmente esistenti: le reti sono state concettualizzate in modo da non riconoscerne le costitutive

ineguaglianze e asimmetrie. Questo lato meno noto è stato messo in ombra dall'enfasi retorica relativa ai presunti benefici delle forme or

ganizzative reticolari. Le concezioni delle reti quali forme alternative, «orizzontali», di

organizzazione della produzione e della governance hanno incontrato anche il favore di alcuni geografi economici, economisti e pianificatori progressisti. Si ritiene che esse offrano un nuovo modo di governare, una «terza via» fra Stato e mercato, orientata verso traiettorie alterna

tive di sviluppo territoriale. Le reti locali fra imprese sono state consi derate strategie preferibili sia al mercato e alla grande impresa gerar chica sia allo Stato e al piano.

Tuttavia, come nel caso di concetti quali «specializzazione flessibi le» o «imprese e regioni che apprendono», quelli delle reti si sono di mostrati concetti assai affascinanti anche per qualche neoliberale.

Questo ha spesso comportato sia un'ambivalenza riguardo ai concetti della rete e alle strategie di sviluppo basate sulle reti sia un'ambiguità riguardo al loro significato e al loro intento. È difficile talvolta ricono scere la linea di demarcazione che separa le idee e le pratiche progres siste da quelle neoliberali. Questo perché, come sostengono Leitner e

Sheppard7, il discorso delle relazioni reticolari, è alquanto simile al di

6 H. Leitner, C. Pavlik e E. Sheppard, Networks, Governance and the Politics of Scale: Inter-urban Networks and the European Union, in Geographies of Power: Placing Scale, a cura di A. Herod-M.W. Wright, Blackwell, London 2002, pp. 274-303, p. 293.

7 H. Leitner-E. Sheppard, The city is dead, long live the Net: Harnessing European Inte rurhan Networks for the neoliberal agenda., in «Antipode», 34,2002, pp. 495-518.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

scorso della sostenibilità: proprio come sono pochi quanti si oppor rebbero ad affermazioni in merito alla necessità di spostarsi verso traiettorie di sviluppo più sostenibili, sono pochi anche quanti si sono

opposti a iniziative bottom-up, all'eliminazione di gerarchie autorita

rie, all'innovazione e a nuovi modi di connettere i luoghi. Tali generalizzate affermazioni in merito ai costi e ai benefici delle

reti, tuttavia, spesso ignorano l'eterogeneità delle forme reticolari. Le reti sociali variano considerevolmente in termini di risorse, potere e

capacità di esercizio del potere. Possono essere globali come locali, formali e informali; possono comprendere reti settoriali, finanziarie e

interaziendali; possono connettere specifiche città, regioni e univer sità. Alcune reti, come nel caso della mafia, dei trafficanti di droga o dei capi delle gang che controllano il flusso dell'immigrazione clande stina sono costituite per sfuggire ai controlli dei meccanismi di regola zione formale e ai vincoli che questi pongono alle loro attività. Ma le reti sono anche state essenziali per pacifici migranti, donne vittime di abusi e, di recente, per quanti si sono mobilitati a livello planetario per affermare che «un altro mondo è possibile» e per marciare contro la

guerra in Iraq. Questa varietà problematizza le generali prese di posi zione che si sono avute intorno alle reti o a sostegno di queste. Ciò che accomuna questi esempi è il fatto che l'inclusione nelle reti e l'esclusione da esse, come pure le dinamiche fra le reti, sono cruciali

fonti di potere. Una volta che si sia riconosciuto tutto ciò, alcune ca

ratteristiche e questioni relative alle reti sociali possono essere sintetiz zate nel modo seguente.

In primo luogo, le reti attraversano lo spazio ma non lo coprono né lo chiudono. Esse non possono essere graficizzate come territori

delimitati da un confine ma devono essere rappresentate come reti

spaziali: dal punto di vista topologico, come nodi e relazioni che con nettono questi ultimi. Vi è un'intrinseca spazialità nella gran parte del le forme di reti sociali. È forse utile ricordare a coloro che considerano

quello basato sulle «reti» un concetto o un approccio radicalmente nuovo o progressista, che esse hanno forse costituito la base concet

tuale dell'apoteosi dell'approccio dell'analisi spaziale in geografia8. In

quanto tali, negli anni settanta esse sono state severamente e pesante mente criticate dai geografi radicali e da altri proprio per la loro con cezione asociale delle relazioni sociali e della struttura spaziale9. L'uso

8 Si veda R.J. Chorley-P. Haggett, Network Analysis in Geography, Arnold, London 1969.

9 Si veda R. Hudson, Producing Places, Guilford, New York 2001, capp. 1 e 2.

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attuale della geometria della rete è indubbiamente differente da quello della fine degli anni sessanta. Il problema, tuttavia, è che esso continua a sostituire il sociale con metafore geometriche/topologiche e ad af frontare la spazialità delle relazioni sociali intendendola principalmen te dominata da relazioni reticolari indifferenti e indipendenti da classe, genere ed etnia.

Questo ci porta alla seconda osservazione: gli attuali discorsi sulle

reti, tipicamente, sono eccessivamente determinati dal punto di vista tecnico e profondamente apolitici. Il termine networked society, intro dotto da Manuel Castells10 per descrivere il mondo al principio del nuovo millennio, è basato sugli effetti delle tecnologie dell'informa zione e finisce per tingersi di determinismo tecnologico. Le reti spesso trascendono i confini che dividono gli spazi dei modi gerarchici della

governance territoriale, rendendo così più difficile per le attività reti colari essere regolate dagli spazi politici geografici esistenti. Questo vale in modo particolare per le reti economiche, che connettono atti vità a una varietà di scale spaziali, da quella locale a quella globale. Quest'ultima caratteristica è interpretata in termini positivi dai pro motori delle reti e considerata un adattamento flessibile alla globaliz zazione. Pochi, tuttavia, operano una connessione fra la flessibilità delle reti, i frequenti cambiamenti dei loro confini geografici e sociali e i confini (più o meno) stabili degli attuali caratteri multiscalari della

governance politico-territoriale. Il terzo punto che affrontiamo riguarda il potere, un tema trascura

to nella ricerca applicata sulle reti. Castells pone l'accento sulla diffe renza fra prossimità territoriale e prossimità attraverso le reti11. Per lui,

come per altri, le reti connettono le élite, la gente comune è semplice mente «locale»: la presenza o l'assenza nelle reti è quindi una fonte

importantissima di potere e dominio. Il tema di chi ha il potere di de terminare l'inclusione o l'esclusione diviene pertanto fondamentale. L'inclusione nelle reti e l'esclusione da esse, così come le dinamiche fra le reti, sono fonti importantissime di potere, come illustrano gli esem

pi prima citati. Inoltre, anche le relazioni fra i partner delle reti posso no essere assai ineguali, poiché esse si basano su strutture e spazi so ciali preesistenti, caratterizzati da conflitti e da sviluppo ineguale. Vi ste in questa luce, le reti non sono organizzazioni «orizzontali» egua litarie ma sono esse stesse gerarchicamente costituite. In quanto tali, esse sono più giustamente da intendersi come legate in modi comples

10 Castells, The Rise of the Network Society cit.

11 Ibid.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

si a forme di governance territoriale multiscalari e gerarchiche, che

quali alternative dicotomiche a esse. In questo contributo ci proponiamo di discutere queste e altre

questioni, concentrandoci in particolare sulle reti economiche e politi che e sul modo in cui queste sono connesse allo sviluppo regionale e al

controllo democratico. Le reti economiche seguono tipicamente una

logica capitalistica, nella quale l'interazione reticolare è una scelta pre feribile ai fini dell'accumulazione. Le reti politiche di solito sostitui

scono, o operano in parallelo, a modi di assunzione delle decisioni che hanno una logica di potere territoriale. La logica capitalistica si sforza

di superare tutti i confini alle differenti scale al fine di incrementare i

profitti, mentre la logica territoriale presuppone confini politici nell'ambito dei quali il potere politico è legittimato e controllato12.

Nella nostra discussione in questa sede, sono presenti tre ordini di

questioni di particolare rilievo, che prendono in considerazione alcu ne idee dominanti che emergono dal discorso delle reti. Innanzi tutto, dal punto di vista politico, come è possibile valutare gli intensi livelli

di interazione reticolare fra aziende come più aperti e democratici, ca

paci di promuovere lo sviluppo di agglomerazioni industriali di suc

cesso, attraverso processi di cosiddetta «promozione dell'apprendi mento», e quindi opzioni politiche preferibili? Inoltre, in che modo le strutture produttive connesse in rete e le collaborazioni interregionali

promosse attraverso policy network possono dare impulso allo svilup

po regionale? Infine, come è possibile garantire la responsabilità de

mocratica e la partecipazione pubblica degli agenti della società civile nei policy network? Nei paragrafi che seguono solleviamo questioni che riguardano specifici modi di concepire e comprendere le reti e la loro assai ottimistica utilizzazione come forme alternative di policy, talvolta risultato di mode piuttosto che di analisi e riflessione rigorose.

2. Reti economiche, economia reticolare e sviluppo regionale

Dai primi anni ottanta, una letteratura sempre più vasta nel campo della geografia economica e dello sviluppo regionale ha spostato l'at

tenzione dallo studio delle grandi società, dagli investimenti interni e

dagli interventi finanziari dello Stato (connessi a quello che è stato de finito «sviluppo dall'alto»), all'esplorazione delle performance delle

12 Si veda anche D. Harvey, The New Imperialism, Oxford University Press, Oxford 2003.

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piccole e medie imprese (PMl) locali, intendendole come fonti di stabi lità e crescita economica. Questo spostamento di attenzione ha com

portato un crescente interesse verso l'esplorazione del modo in cui le

PMI rivestono il ruolo di nodi nell'ambito di reti economiche locali, al le quali le imprese sono legate attraverso formali accordi aziendali

quali contratti o subcontratti e la partecipazione a organizzazioni commerciali, così come a contratti sociali informali fra individui, nei

quali reciprocità e fiducia rivestono un ruolo chiave. E così che, nella letteratura accademica relativa all'economia azien

dale, alla geografia economica e all'economia gestionale, è emersa una nuova ortodossia volta a sostituire lo «sviluppo dall'alto»: la nuova

ortodossia è il paradigma della rete per l'organizzazione dei sistemi

produttivi locali. La partecipazione a queste reti è stata assimilata a

una nuova buona pratica aziendale, in larga misura come la produzio ne di massa era stata considerata una buona pratica quattro decenni

prima13. Si assume che queste forme di relazione reticolare consentano lo sviluppo di benefici di grande valore e mutuamente vantaggiosi, i

quali derivano dall'interazione reciproca fra i membri della rete. Non

si tratta, naturalmente, di una nuova intuizione, essendo tale idea ri

conducibile all'analisi di Marshall14 sui distretti industriali della Gran

Bretagna e a quella di Kropotkin15 sulle piccole industrie dell'Europa centrale. La principale, e intuitivamente non plausibile, differenza

«scoperta» negli anni ottanta fu che queste piccole imprese a rete non

rappresentavano arcaiche forme residuali, ma in realtà presentavano

performance migliori di quelle delle grandi imprese e che, a loro volta, esse aiutavano le regioni nelle quali erano allocate ad avanzare verso

uno sviluppo locale più stabile nel lungo periodo, in ragione della loro

attività «dal basso». E questo coinvolgeva le singole imprese come in

tere «filiere» osservabili nei distretti industriali"'.

Parecchi geografi economici e pianificatori hanno acriticamente

importato quest'idea dalla letteratura aziendale, senza metterne in

13 P. Maskell, H. Eskelinen, I. Hannibalsson, A. Malmberg e E. Vatne, Competitiveness, Localised Learning and Regional Development, Routledge, London 1998.

14 A. Marshall, Principles of Economics, Macmillan, Oxford 1890. 15 P. Kroptkin, Fields, Factories and Workshops, Hutchinson, London 1899. " S. Brusco, The Emilian Model: productive decentralisation and social integration, in

«Cambridge Journal of Economics», 6, 1982, pp. 167-84; A. Amin-N. Thrift, Marshallian nodes in global networks, in Proceedings of Lemnos 1991 cit.; Cooke-Morgan, The Network

Paradigm cit.; W. Powell, Neither Market nor Hierarchy: networks forms of organisation, paper to the Workshop on the socio-economics of inter-firms cooperation, 11-13 june, Berlin, cit. in Cooke-Morgan, The Network Paradigm cit.; M. Storper, The Regional World, Guilford, New York 1997.

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dubbio la validità o le implicazioni. Dai primi anni ottanta, l'attenzio ne si è spostata dai problemi alle regioni di successo e a quegli indica tori che esprimevano quelle forme di sviluppo. Nelle analisi relative sia alle regioni forti sia ai complessi produttivi, si è teso a usare indica tori comparativi del successo quali criteri per la selezione dei casi di studio. Regioni quali Emilia Romagna, Toscana, Marche e Baden

Wurttemberg, per esempio, si sono distinte come aree in grado di mantenere l'occupazione industriale durante un periodo di deindu strializzazione e declino economico, in ragione (fra l'altro) delle loro strutture industriali a base reticolare. La percezione della stabilità eco nomica di queste regioni ha portato a incentrare l'attenzione sull'orga nizzazione delle relative attività industriali, istituzioni sociali, culture e pratiche lavorative locali, al fine di comprendere come mai queste registravano successi mentre altre regioni collezionavano fallimenti17.

Queste indagini su complessi sistemi regionali e industriali si sono

principalmente ispirate, dal punto di vista concettuale, agli sviluppi dell'economia neoistituzionalista ed evoluzionista, due aree dell'etero dossia all'interno della disciplina, usando soprattutto approcci basati sui costi di transazione18. Tuttavia, come è accaduto per questi approcci che privilegiano interdipendenze negoziate, è andata affermandosi an che la significatività delle relazioni extramercato e delle interdipenden ze non negoziate, maggiormente ispirate a più vecchi filoni dell'econo mia istituzionale. Ciò ha portato ad assumere un diverso focus teorico, che pone l'accento su concetti quali consuetudini e routine, fiducia e

reciprocità. Gli avanzamenti teorici e della pratica applicativa derivanti dall'uso di questi approcci sono stati notevoli e hanno aiutato la disci

plina a riscoprire l'importanza pratica e teorica del locale, del luogo e della regione, oltre che del ruolo degli attori locali. Ciononostante, essi sono stati per certi versi problematici.

In primo luogo, la «scoperta» delle reti di successo di PMI, dappri ma nella «terza Italia» e in seguito nella Germania meridionale e nella Silicon Valley, ha coinciso con l'emergere della domanda di nuove idee e approcci di successo allo sviluppo, proveniente dal mondo interna zionale delle imprese. Di conseguenza, molti studiosi (soprattutto an

17 G. Garofoli, Local development in Europe: theoretical models and international com

parisons, in «European Urban and Regional Studies», 9, 2002, pp. 225-40; A. Scott, New In dustrial Spaces, Pion, London 1988.

" Per un'applicazione si vedano R. Sternberg, Innovation networks and regional deve lopment-evidence from the European Regional Innovation Survey (eris), in «European Planning Studies», 8, 4, 2000, pp. 389-407; A. Benz-D. Fürst, Policy learning in regional networks, in «European Urban and Regional Studies», 9, 1, 2002, pp. 212-35.

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Rileggere il territorio

glofoni) in modo superficiale hanno sorvolato sulla mancanza di fon data evidenza empirica atta a supportare le stravaganti affermazioni

che spesso venivano fatte in favore delle forme reticolari. Per quanto abbiano preso in considerazione le condizioni sociali e culturali locali, le analisi hanno conservato un'attenzione prevalente verso l'impresa in

quanto tale, ignorando questioni inerenti ai costi sociali e ambientali

locali, allo stesso tempo ponendo enfasi eccessiva su altri aspetti, nono stante la mancanza di dati a supporto1''. Per esempio, le reti di PMI dei distretti industriali italiani sono state frequentemente rappresentate co me reti rispondenti a regole di collaborazione ed equità, nelle quali i benefici sono egualmente condivisi fra i membri. L'ultima affermazio ne a molti è servita per legittimare l'uso delle reti di PMI quale strumen to di policy valido per altre regioni. Si consideri la seguente citazione:

Nelle forme reticolari di allocazione delle risorse, la transazione avviene

[...] attraverso azioni di sostegno reciproche, preferenziali, comuni. [...] I be

nefici e gli oneri vengono a essere condivisi. [...] Complementarità e adatta

mento sono i capisaldi delle reti di produzione di successo20.

Ma in quali casi in Italia, o in altri casi di reti di PMI sui quali si so no concentrati gli studi (come quelli spagnoli, greci, danesi), vi è di mostrazione che «i benefici e gli oneri sono distribuiti in modo equo» e che le transazioni avvengono «attraverso azioni di sostegno recipro co» ? Chiunque abbia svolto un'indagine di campo in Italia (e in qual siasi altro luogo nell'Europa meridionale), e naturalmente gli stessi

colleghi italiani, confermerebbero che queste osservazioni non sono in

grado di descrivere le condizioni esistenti nella maggior parte delle reti di PMI21. Il principale problema della stragrande maggioranza delle analisi non italiane delle imprese della «terza Italia» legate da relazioni reticolari è che esse tendono a idealizzare il microcapitalismo regiona le per farlo corrispondere alle loro teorie a sostegno della «seconda via dello sviluppo industriale», minimizzando o ignorando altri aspetti

quali l'uso diffuso di pratiche semiillegali (quali l'evasione fiscale), o il

lavoro sottopagato delle donne, degli anziani e dei bambini, tutti dif

" Per un'applicazione si veda L Mossing, The networks producing television program mes in the Cologne Media Cluster: new firm foundation, flexible specialisation ana efficient decision structures, in «European Planning Studies», 12,2, 2004, pp. 155-71; per una critica si veda G. Smith, Confronting the present: towards a politically engaged anthropology, Berg, Oxford 1999.

20 Powell, Neither Market nor Hierarchy cit.

21 E. Mingione-E. Pugliese, Il lavoro, Carocci, Roma 2002; G. Dini, D. Mariconi e C.

Paccassoni, Il settore calzaturiero nelle Marche, in Rapporto agenzia regionale Marche lavo

ro, Fermo [MIMEO], Ancona 2000.

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fusi nei primi anni ottanta, allorquando furono «scoperte» le reti22. Molti analisti, sorprendentemente, hanno taciuto in merito alla natura e alla struttura delle reti che si ritiene possano stimolare l'innovazione delle attività economiche e lo sviluppo regionale. E stata data maggio re importanza alle loro performance economiche, misurate attraverso

criteri capitalistici convenzionali (un tipico focus neoliberale), mentre le relazioni ineguali fra le aziende e all'interno di queste (aziende fami

liari, subcontraenti, lavoratori a domicilio e «impanatori»), e fra le aziende e le associazioni economiche, hanno ricevuto minore o nessu na attenzione.

Nonostante tutti i membri della rete fossero dipendenti dalla buo na performance dell'intero distretto industriale, questa non generava automaticamente relazioni uguali o democratiche fra i partner coin volti. Ciò era particolarmente evidente nel carattere ineguale, patriar cale e orientato allo sfruttamento, dei rapporti sociali di produzione esistenti all'interno delle famiglie italiane, rapporti sui quali si fonda vano (ipoteticamente) due pilastri del paradigma reticolare, vale a dire

reciprocità e fiducia23. Il secondo problema riguarda l'eccessiva vena di ottimismo e le

esagerate aspettative che sono state associate ai dibattiti sulle reti eco nomiche. Queste sono state intese come forme economiche innovati

ve, democratiche, adattive, resilienti, aperte e rigenerative, cosicché

quelle «che sono nella condizione di adattarsi più facilmente alle for me di organizzazione reticolare è più probabile che abbiano maggiore successo»24. Si è assunto, quindi, che le forme reticolari di organizza zione economica fossero la base di uno sviluppo regionale di successo nei luoghi inizialmente studiati, i quali sono divenuti emblematici

esempi da emulare altrove. Si è assunto, inoltre, che questi luoghi co stituissero modelli che potessero essere trapiantati e usati come stru

mento di policy per lo sviluppo regionale in altre regioni. Come correttamente dimostrano Cooke e Morgan25, il paradigma

della rete non è tanto una teoria, quanto un quadro di riferimento ana

22 P. Vinay, Family life cycle and the informal economy in Central Italy, in «Internatio nal Journal of Urban and Regional Research», 9, 1985, pp. 82-97; D. Vaiou-C. Hadjimicha lis, With the sewing machine in the kitchen and the Poles in the fields: Cities, Regions and

Informal Work, Exandas, Athens 1997 (in sreco). 23 P. Vinay, Women, family and work: symptoms of crisis in the informal economy of

Central Italy, in Proceedings - 3"' International Seminar of the Aegean, Samos, Thessaloniki

1987, pp. 156-68; M. Blim, Made in Italy: small-scale industralization and its consequences, Praeger, New York 1990.

24 Cooke-Morgan, The Network Paradigm cit., p. 22.

25 Ibid.

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Rileggere il territorio

litico potenzialmente ricco per comprendere nuove tendenze dello svi

luppo imprenditoriale e spaziale. Ma essi, come altri ottimisti, comun

que fiduciosamente individuavano nella rete una caratteristica della nuova economia e sostenevano le politiche basate sulle reti per lo svi

luppo economico regionale di altre aree. La nuova politica è stata quin di nominata politica delle regioni connesse in rete, le cui principali ca ratteristiche competitive si suppone che consistano «in una densa stra

tificazione di istituzioni di supporto, pubbliche e private, in un'intelli

genza di elevato livello del mercato del lavoro, e della connessa forma zione professionale, in una rapida diffusione del trasferimento tecnolo

gico, e nella presenza di aziende ricettive propense alle innovazioni»26. Il problema di questi approcci ottimistici consisteva nel modo in

cui essi esaminavano le regioni di successo e i distretti industriali.

Questo si basava su alcune assunzioni riguardo ai tratti caratteristici associati al successo, piuttosto che sulla dimostrazione dei loro effetti causali attraverso un'analisi sistematica e un esame rigoroso di dati. Sebbene molti sostenitori del paradigma reticolare parlino dell'impor tanza della densità delle reti, essi generalmente non hanno misurato gli aspetti quantitativi e qualitativi della densità, né hanno tentato di ana lizzarne gli effetti economici, sociali e ambientali. Con la copertura di assunzioni non giustificabili in merito ai benefici dei costi di transa zione e delle economie di scala esterne collettive, si è supposto che tutte le reti locali di PMI avessero solo effetti positivi. Di conseguenza, non è chiaro se questi tratti caratteristici, che si affermava fossero es

senziali per il successo, siano solo presenti in casi di successo. Come hanno messo in evidenza Leitner e Sheppard27, la tendenza è stata in vece di cercare spiegazioni del successo all'interno delle regioni di suc

cesso, piuttosto che valutare in che modo l'inserimento di una regione nell'ambito di più ampie strutture sociali e scale geografiche abbia in fluenzato il suo itinerario economico. Le pratiche culturali e le istitu zioni sociali interne a una regione di successo, pertanto, sono citate

per fornire spiegazioni in merito al successo di quella regione, impli cando che le cause del successo operino alla stessa scala territoriale. In

aggiunta, vi è stata la tendenza a postulare che i benefici non solo re stino all'interno della rete, ma anche che siano equamente o regolar mente distribuiti dai membri della rete stessa. Ne consegue che le reti

Ά Ivi, p. 16. Altri usano termini differenti per descrivere essenzialmente lo stesso concet

to. Per esempio, Amin e Thrift (Marshallian nodes in global networks cit.) fanno riferimento allo «spessore istituzionale» come attributo essenziale delle regioni di successo.

11 Leitner-Sheppard, The city is dead cit.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

spesso sembrano essere connesse a un senso di giustizia economica o

democrazia economica, anche se nella realtà è probabile che vi siano differenze nei benefici che ne derivano per i partecipanti e che i più potenti ne beneficino maggiormente.

Infine, si è presunto che le reti radicate localmente siano una carat teristica durevole di una nuova era, piuttosto che un fenomeno transi

torio, e che esse abbiano una lunga storia di andirivieni da cui trarre

vantaggio. Il carattere transitorio di tali reti è diventato particolarmen te evidente alla fine degli anni novanta, quando la crisi è sopraggiunta anche in queste regioni di successo dell'Europa meridionale. La parte cipazione alla competizione internazionale di regioni caratterizzate da bassi costi del lavoro (dell'Europa centrale e orientale e del Sud est

asiatico, nel primo caso, indotta dai cambiamenti geo-politici successi vi al 1989, nel secondo, legata in particolare dalla transizione cinese al

capitalismo), l'introduzione dell'euro e la lievitazione dei costi locali hanno avuto tre importanti conseguenze. In primo luogo, un'ondata

di rilocalizzazioni dalla «terza Italia», dalla Grecia settentrionale e dal la Spagna meridionale, di parti dei processi produttivi o di intere im

prese; in secondo luogo, un'ondata di fusioni e la formazione di im

prese verticalmente integrate non in rete (particolarmente in Emilia

Romagna, nel Portogallo centrale e in Attica); e, infine, l'aumentato

impiego di lavoratori stranieri, migranti, nelle PMI locali (in ogni parte dell'Europa meridionale), che ha sostituito le vecchie forme di asso ciazione sociale basate sulla reciprocità28.

Sembra così che le reti economiche siano null'altro che un'opzione dal punto di vista delle forme di organizzazione produttiva capitalisti ca - esemplificando chiaramente la più vasta questione teorica inerente al carattere temporaneo di tutte le stabilizzazioni socio-spaziali delle relazioni sociali capitalistiche - e non vi sia alcunché che possa per mettere ipotesi aprioristiche in merito alla loro superiorità quali op zioni di policy, né che esse possano essere considerate preferibili, o

persino radicali alternative, ad altre forme di produzione capitalistica. Ciononostante, vi è stata crescente fiducia nelle forme reticolari di

organizzazione economica quali risposte di policy privilegiate per le

28 P. Crestanello, L'industria veneta di abbigliamento: internazionalizzazione produtti va e piccole imprese di dub-fornitura, FrancoAngeli, Milano 1999; M. Baracchi-D. Bigarelli, Osservatorio del settore tessile-abbigliamento nel distretto di Carpi, VI rapporto, Firenze 2002; L. Labrianidis, Geographical proximity matters in the orientation of FDI: the case of Greek FDI in the Balkans, in The Development of the Balkan Region, a cura di G. Petrakos S. Totev, Ashgate, Aldershot 2001, pp. 463-89.

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Rileggere il territorio

regioni deindustrializzate dell'Europa settentrionale e occidentale. In

parte, ciò ha implicato un interesse continuo verso tali forme organiz zative, associato a tentativi di promuovere reti territoriali di PMI radi cate e integrate, legate all'interno di distretti industriali, proprio nel momento in cui i canonici distretti industriali dell'Europa meridionale si stavano «svuotando» a ritmi accelerati. Questi stanno diventando nodi di controllo, progettazione e marketing nell'ambito di strutture di produzione europeizzate e molto più estese dal punto di vista spa ziale, poiché le produzioni tradizionali si sono rilocalizzate nelle peri ferie dell'Europa meridionale e sempre di più anche in quelle dell'Eu

ropa centrale e orientale. Tutto questo non è esente da una qualche ironia. In secondo luogo, d'altra parte, ciò ha anche implicato il tenta tivo di creare strutture produttive reticolari regionalizzate attorno ai

principali investimenti interni, fondate sull'ipotesi che vi sia stato un

significativo cambiamento qualitativo nella forma di FDI (Foreign di rect investments) e di investimenti interni da parte di compagnie mul tinazionali. Specificamente, è stato supposto il passaggio dal carattere

precario di precedenti «avamposti globali» a una forma più stabile di «radicate filiali», con un più ampio mandato in termini di funzioni, potenzialmente in grado di formare hub di catene logistiche di con traenti e subcontraenti a base regionale. Tuttavia, queste sono reti ca

ratterizzate da relazioni di potere molto asimmetriche fra le imprese che le costituiscono, che spesso lasciano le regioni nelle quali sono lo calizzate vulnerabili ai disinvestimenti produttivi e che le fanno asso

migliare in modo non trascurabile agli «avamposti globali» della pas sata trascorsa fase fordista.

Queste forme reticolari di organizzazione economica, pur tuttavia, sono attivamente incoraggiate attraverso politiche pubbliche, tipica mente sotto il repertorio della promozione di cluster come reti a base territoriale, che cercano di attraversare sia il settore pubblico sia quel lo privato. Allorquando si spingono sino al punto di sostenere che tali reti possono essere attivate con successo dalle politiche pubbliche, le affermazioni sembrano riflettere la retorica piuttosto che la realtà. Vi è nuovamente un'ironia in questo: perché il «successo» sembrerebbe si

gnificare la ricreazione di economie regionali attorno a un singolo prodotto (per esempio, l'automobile) e a un singolo gruppo chiave

(per esempio Nissan). L'ironia sta nel fatto che questo crea esattamen te quella sorta di struttura monoindustriale, con mercati del lavoro dominati da un singolo imprenditore, che precedentemente era stata considerata una delle caratteristiche problematiche di tali aree, quando le stesse erano al culmine del loro successo industriale.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

3. Reti di policy

La letteratura sulle reti di policy si è soprattutto concentrata

sull'esame del modo in cui le relazioni interpersonali fra attori chiave, assieme alle relazioni strutturali fra istituzioni, forgiano il modo in cui le reti operano e influenzano le politiche29. Secondo questi punti di vi

sta, le reti possiedono una varietà di attributi positivi che consentono loro di confrontarsi favorevolmente con forme alternative di organiz zazione sia in merito al loro funzionamento sia riguardo ai risultati.

Conseguentemente, esse sono spesso presentate come collettive e

consensuali, in opposizione alle gerarchie e ai mercati. Le forme reti colari di governance devono essere preferite perché rappresentano forme decisionali più dinamiche, più flessibili, e quindi più efficienti. Alcuni si sono spinti fino al punto di sostenere che le reti politiche so no più aperte e democratiche di una forma amministrativa gerarchica e burocratica. Tuttavia, come Leitner, Pavlik e Sheppard correttamente

sostengono:

E stata prestata scarsa attenzione alle relazioni delle reti di policy con il più ampio contesto all'interno del quale esse sono inserite. Le reti di policy, come

quelle economiche, spesso riflettono e incorporano disuguaglianze strutturali esistenti nella società [che] incidono non sofo su chi è incluso e chi è escluso dalle reti, ma anche sull'accesso alle risorse e al loro controllo, e quindi sulle azioni degli attori partecipanti alla rete. Nelle reti di policy l'elemento cruciale è costituito dalle relazioni strutturali fra le istituzioni all'interno delle quali gli attori sono situati30.

La questione delle istituzioni e del modo in cui si costruiscono le decisioni politiche è cruciale. Sinora la base, almeno in principio, era costituita da un quadro di riferimento spaziale-territoriale del potere politico, nel quale rappresentanza e responsabilità delle persone elette erano possibili. Lo sviluppo capitalistico richiedeva sia la logica eco nomica di spazi illimitati sia la logica territoriale di organismi politici elettivi di vari gradi e per specifici periodi di tempo. Il risultato era un

paesaggio geografico disuguale che, come Harvey ha illustrato31, in un momento successivo richiedeva una «decostruzione creativa» per per mettere ulteriore espansione capitalistica, e così via.

Mentre un territorio politico è una parte continua e contigua della

superficie terrestre, una rete di policy rappresenta lo spazio geografico

29 Si vedano Sternberg, Innovation networks cit.; Leitner, Pavlik e Sheppard, Networks, Governance and the Politics of Scale cit.

30 Ivi, p. 282. 31 Harvey, The New Imperialism cit.

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come punti discontinui (nodi) legati assieme da linee (connessioni). In

quanto tale, tale rete discrimina fra quei nodi che sono connessi alla rete e quelli che non lo sono. La tensione fra i due concetti (i principi organizzativi della rete di policy e quelli di un territorio politico) di venta manifesta quando forme reticolari sostituiscono istituzioni, mo

di di offerta di servizi, forme di governance e controllo pubblico che erano precedentemente organizzate su base territoriale, all'interno di

territori dai confini discontinui. In breve, le tensioni emergono quan do le reti diventano autonome e staccate dai processi attraverso i quali è esercitato il controllo democratico32. In questa prospettiva, le reti di

policy possono essere considerate «decostruzioni creative leggere» di

quadri di riferimento territoriali del potere politico. Poiché le reti spesso connettono unità politiche non contigue, le

geografie reticolari sono in evidente contrasto con la tradizionale map pa politica di nazioni, regioni, centri urbani e simili, sulla quale le isti tuzioni della società civile, ameno in Europa, si basano. Questa mappa (vecchia, modernista?) è frequentemente attaccata in ragione delle fis sità e delle rigidità prodotte dai suoi spazi delimitati e a causa della sua

incapacità di trattare le nuove (neoliberali?) domande della contempo ranea era della globalizzazione. Queste critiche, mentre sono valide

per molti casi della vita contemporanea, hanno solo parziale applicabi lità. Questa vecchia mappa non è stata solo creata dall'accumulazione del capitale e da governi autoritari, ma è stata anche l'esito della lotta delle persone per realizzare le proprie conquiste democratiche. La

gente, in Europa e altrove, ha lottato perché le fossero garantiti, attra

verso la protezione di questa vecchia mappa, molti diritti - dalle libere elezioni ai movimenti di liberazione e ai salari minimi, alla partecipa zione popolare, al controllo pubblico e ai pubblici servizi. Questi di ritti contengono un elemento spaziale, territoriale, e certamente sono

fondati e definiti territorialmente; in quanto tali, essi sembrano essere messi in discussione e minacciati all'interno del paradigma della rete.

Sebbene non vi sia una deterritorializzazione della vita politica in senso stretto - lo spazio dei luoghi non è stato sostituito dallo spazio dei flussi - vi è la possibilità dell'esistenza simultanea di forme di go vernance sia reticolari sia territoriali. Questo comporta il rischio, co

munque, (come dimostrano le pratiche attuali della Unione europea) che le azioni interessanti, innovative, promosse e finanziate in maggior misura, stiano nella sfera delle forme di governance reticolari, mentre

32 C. Jönsson, S. Tagil e G. Tornqvist, Organizing European Space, Sage, London 2000,

p. 23.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

le parti routinarie, arretrate, inefficaci e non finanziate, diventano la

gran parte del modello territoriale, con la conseguenza di un'ulteriore

perdita di valore degli stessi processi democratici a livello locale. Da quanto sopra affermato, tuttavia, deriva un problema impor

tante: la mancanza di responsabilità delle reti di policy, non ultimo

poiché l'enfasi discorsiva è sulla comunicazione all'interno della rete di policy piuttosto che fra coloro i quali costruiscono le politiche e il/i

pubblico/i associato/i ai quadri di riferimento territoriale33. Chi elabo ra le politiche deve investire massicciamente nella conservazione della

propria rete politica. I cittadini, d'altro canto, non amano forme di go vernance gerarchiche e burocratiche ma, allo stesso tempo, hanno dif ficoltà a partecipare a lotte tese a far funzionare la democrazia locale in modo più efficace. Questo perché nelle forme di governance retico lari chi costruisce le politiche è, di necessità, più interessato a discus sioni fra i partecipanti alla rete che a impegnarsi in discussioni con il

pubblico. I rappresentanti eletti (negli enti locali, nei sindacati e in al tre istituzioni della società civile) si identificano con territori corri

spondenti a scale differenti. Essi, per quanto spesso inefficienti, sono tuttavia rappresentanti eletti, sottoposti alle pubbliche critiche e al

controllo, a differenza di ciò che accade nelle situazioni caratterizzate da anonime forme di governance reticolare.

Queste tendenze sono chiaramente visibili negli attuali atteggia menti della Commissione europea, che sostiene con forza le forme re ticolari di governance per le questioni dello sviluppo urbano e regio nale34. Fra le reti promosse dalla Unione europea possiamo segnalare a

livello urbano Quartiers en Crise, Urban Sustainability, Demilitarised

Cities, EuroCities, European Urban Observatory, Black Sea Ports e così via. A livello regionale le reti comprendono Interreg, Arc Atlanti

que, Ecos-Ouverture, Pacte, Recite, la famosa Four Motors Regions e

altre, la maggior parte delle quali sono coordinate dalla Direzione Ge nerale XVI.

Queste reti promosse dalla Unione europea sono dominate da fun zionari pubblici non elettivi, professionisti (accademici, pianificatori), latori degli interessi imprenditoriali delle città e regioni partecipanti. Pochi input provengono dalle organizzazioni della società civile quali sindacati, gruppi di cittadini, movimenti e ONG orientati verso specifi ci temi, e persino dai rappresentanti locali elettivi. Il risultato finale è

" V.A. Schmidt, The Futures of European Capitalism, Oxford University Press, Oxford

2202, p. 235). 34

Ivi, pp. 246-50.

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Rileggere il territorio

la riproduzione di una sorta di deficit democratico «locale», che

echeggia quello noto anche ai vertici dell'amministrazione dell'Unio ne europea, mentre nel contempo si rappresenta l'approccio reticolare

come progressista e «dal basso». Si tratta, in ogni caso, di un quadro di riferimento chiaramente neoliberale, nel quale l'autoorganizzazione è

preferibilmente lasciata a imprese in rete e a modi reticolari professio nalizzati di governance. Ancora, come correttamente sostengono

Leitner, Pavlik e Sheppard: Le reti di policy, quali i partenariati locali pubblico-privato e quelli che le

gano diverse località, sono considerate capaci di assicurare competitività e in novazione. La governance neoliberale è contenta di delegare l'autorità a esper ti isolati dal processo democratico, situati in agenzie di sviluppo urbano e si

mili, i quali possono essere fatti dipendere dallo sviluppo di buone pratiche. Le reti di policy neoliberali sono così accompagnate da una de-democratizza zione del processo politico35.

Questa svolta verso un approccio neoliberale a reti di policy larga mente costituite da membri non elettivi, intese come forma di gover nance, può essere illustrato con tre esempi:

- il cambiamento delle forme di governance e delle questioni ine renti alla governabilità nel Regno unito;

- i mutamenti del famoso modello di pianificazione olandese; - le relazioni disuguali all'interno delle reti di policy che includono

uno o più partner della periferia d'Europa. Cominciando con il Regno unito, dalla metà degli anni quaranta

agli anni settanta, vi è stato un lungo periodo di consenso politico sul la necessità e/o desiderabilità di una debole forma di pianificazione di indirizzo che impegnasse lo Stato a definire e cercare di conseguire obiettivi di sviluppo socio-economico (per esempio, ridurre le disu

guaglianze di reddito o territoriali), nell'ambito di un più vasto quadro di riferimento socialdemocratico. Tuttavia, dalla metà degli anni set

tanta, questo consenso è stato indebolito da tre cambiamenti, parzial mente interconnessi: innanzi tutto, la crescente fragilità dell'economia del Regno unito; poi, la cronica incapacità dello Stato di raggiungere gli obiettivi pianificati, con il conseguente rischio di crisi di legittimità; infine, i crescenti problemi finanziari dello Stato. Insieme, questi han no offerto il contesto per una svolta radicale verso politiche neolibera li. In parte, ciò ha implicato la sostituzione di un impegno verso la pia nificazione e la produzione di piani con strategie che semplicemente cercano di adattarsi a (quelle che sono state rappresentate come) in controllabili forze economiche globali, che il governo nazionale non

î5 Leitner, Pavlik e Sheppard, Networks, Governance and the Politics of Scale cit.

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aveva sufficiente potere di modificare o controllare (per convenienza dimenticando il ruolo che alcuni governi nazionali, non ultimi quelli del Regno unito, hanno avuto nel rendere possibili queste tendenze al la globalizzazione). In parte, ciò implica controllare selettivamente l'ambito di coinvolgimento dello Stato nell'economia e nella società, riducendo l'ampiezza del settore pubblico e devolvendo responsabilità di sviluppo economico a organizzazioni urbane e regionali.

Queste organizzazioni erano spesso specificamente inventate per

tale particolare compito e incaricate della creazione di nuove forme reticolari di governance, coinvolgendo un ventaglio di partner nelle reti di policy, che attraversavano i confini fra economia, Stato e società civile e fra il settore privato e quello pubblico. Il ruolo dello Stato,

specie a livello nazionale, diventò sempre più una mescolanza di abili tazione e controllo, con il fine di fornire limitate risorse per oliare

queste reti, allo stesso tempo definendo standard e obiettivi nazionali e punendo quelli che non riuscivano a conseguirli. Ad esempio, alla fi ne degli anni novanta, in Inghilterra furono istituite nuove agenzie di

sviluppo regionale (pallide ombre delle parallele istituzioni scozzesi e

gallesi insediate nel 1975). Queste furono spinte ad agire come nodi delle reti di policy regionali, pur essendo vincolate a operare all'inter no di budget minimi, di linee guida e di obiettivi limitanti, che erano definiti a livello nazionale. Molta parte del loro ruolo effettivo si ri

dusse all'amministrazione di specifiche iniziative finanziate dal gover no centrale. Nelle regioni dell'Inghilterra furono, quindi, costruite nuove forme di governance reticolare per lo sviluppo economico, che

incorporavano le agenzie di sviluppo regionale, i partenariati subre

gionali e i partenariati locali strategici: ciò spesso implicava la creazio ne di task forces, una sorta di coalizioni temporanee36 con l'obiettivo di gestire particolari problemi di declino industriale e sviluppo territo riale. Inoltre, tutte le agenzie di sviluppo regionale cominciarono a es

sere ossessionate dalla promozione di cluster, ritenendoli una forma

preferibile di sviluppo economico. Spesso questi cluster erano legati a

un dubbio complesso di attività (per esempio, cluster volontari di set

tore). Apparentemente si trascurava volentieri il fatto che vi fossero scarsi dati a supporto di affermazioni quali quelle che ponevano l'effi

cacia dell'aggregazione locale e dell'apprendimento localizzato alla ba

se di situazioni di sviluppo regionale di successo. In realtà, vi è un

emergente insieme di dati riguardanti i legami economici, che suggerì

36 Imitando tendenze in atto nel settore privato: si veda G. Grabher, The project ecology of advertising: tasks, talents and teams, in «Regional Studies», 36,2002, pp. 245-62.

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Rileggere il territorio

see esattamente il contrario37.

Queste organizzazioni reticolari, ciononostante, hanno portato ve

rosimilmente a un approccio falsato, il quale ha prodotto forme di go vernance reticolare «congiunte», ma tali da offrire limitate garanzie che le specificità regionali orientassero i programmi di sviluppo. Tutte le regioni, sotto la forte guida del governo centrale, che considera le

agenzie di sviluppo regionale strumenti per gestire un problema di

produttività nazionale - con ogni evidenza echeggiando inconsapevol mente argomentazioni degli anni cinquanta38 -, hanno prodotto strate

gie che rivelano una notevole somiglianza generale. Inoltre, vi è stata forte selettività per quanto riguarda gli interessi e organizzazioni rap presentati in queste nuove reti di policy e divenuti dominanti all'inter no di esse; spesso è sembrato che i «soliti sospetti», le stesse facce no

te, abbiano semplicemente cambiato sede. Al contrario, gli emarginati e gli esclusi dalla società sono stati ulteriormente spinti ai margini, poiché queste reti di policy hanno finito per essere dominate dagli in teressi e dai programmi del settore privato, guidate da pressioni per attrarre FDI e vincere le sfide della competizione globale, in regioni che stavano diventando sempre più polarizzate dal punto di vista sociale e

spaziale. I processi decisionali sono diventati persino più oscuri e opa chi, giacché gli attori chiave di queste reti di policy sono diventati sem

pre più i funzionari non elettivi e i membri autoselezionatisi nell'am bito di piccoli circoli del «meglio» a livello regionale.

Il secondo esempio prende in considerazione le osservazioni dei

pianificatori olandesi in merito alle evoluzioni del loro famoso sistema di pianificazione. Esse sono di particolare interesse nel contesto della dissociazione della governance reticolare dagli interessi territoriali. Se condo Hajer e Zonneveld39, il quadro emergente della pianificazione spaziale della presunta società delle reti in Olanda è dominato da una

generale progressiva ascesa del processo sociale. L'ipotesi prevalente -

echeggiando Castells - è che la prossimità fisica non abbia più impor tanza dal punto di vista sociale e che la connettività reticolare sia la re

gola del gioco. Di conseguenza, le scale locali, regionali o nazionali

>7 Ad esempio, si veda A. Malmberg, B. Malmberg e P. Lundequist, Agglomeration and

firm performance: economies of scale, localisation and urbanisation among Swedish export firms, in «Environment and Planning A», 32, 2000, pp. 305-21; I. Gordon-P. McCann, In dustrial clusters: complexes, agglomeration and!or social networks?, in «Urban Studies», 37, 2000, pp. 513-32; J. Simmie, J. Sennett, P. Wood e D. Hart, Innovation in Europe: A tale of networks, knowledge and trade in five cities, in «Regional Studies», 26, 2002, pp. 47-64.

38 Si veda R. Hudson, Wrecking a Region, Pion, London 1989. 39 M. Hajer-W. Zonneveld, Spatial planning in the network society-rethinking the princi

ples of planning in the Netherlands, in «European Planning Studies», 8, 3, 2000, pp. 337-56.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

contano sempre meno. Nella società delle reti non vi sono enti che ab biano un riferimento elettorale definito dal punto di vista territoriale

e, pertanto, non vi è alcun bisogno di rappresentanti elettivi che so

stengano i piani o vi si oppongano. In questo senso le ben note procedure della pianificazione del pas

sato, nelle quali la partecipazione pubblica era un prerequisito per l'at tuazione di un piano, sono messe in discussione. La partecipazione pubblica nel modello corporativista olandese interviene dopo che i

piani sono stati resi pubblici, ossia quando gli enti locali e regionali li

sostengono sostanzialmente. Tavole rotonde, audizioni pubbliche, pianificazione collaborativa e pianificazione partecipativa si svolgono dopo che il consenso fra le diverse parti in gioco sia garantito. La pre cedente stabile gerarchia costituita da enti locali/politici locali (rappre sentanti eletti), agenzie di pianificazione e popolazione non era l'idea

le, ma almeno ha assicurato un minimo controllo sulle vicende locali. Il paradigma della società delle reti, invece, richiede un nuovo tipo di

pratiche nel quale è assente la nozione di «rappresentanti eletti» con

responsabilità verso particolari luoghi/gente. Così

le forme che assume l'esclusione, con discussioni dominate da élite locali in

rete che si affidano a una governance e a processi decisionali professionalizza ti, può facilitare l'attuazione di un programma neoliberale fatto di competiti vità e innovazione".

Rilevanti in Olanda, questi sviluppi sono ben più importanti in meno consolidati sistemi di pianificazione quali quelli dell'Europa meridionale, nei quali l'agenda neoliberale distrugge più facilmente le deboli strutture degli enti locali. Queste difficoltà sono illustrate nel nostro terzo esempio di reti di policy e progetti finanziati dall'Unione

europea, i quali includono una o più città e regioni di «aree meno svi

luppate» o «regioni svantaggiate», poste solitamente sino alla fine de

gli anni novanta nell'Europa meridionale. La loro presenza derivava dalle condizioni dettate da nuove procedure e/o come parte di una

strategia definita dai gruppi dell'Europa centrosettentrionale, al fine di accrescere le loro chances di ottenere contratti. Secondo le interviste

realizzate nell'Europa meridionale presso enti locali e agenzie di svi

luppo (fra 1997 e 2000), una volta che la rete fosse stata finalmente

istituita, vi era una struttura di potere intrinsecamente disuguale fra i suoi membri. Questo è imputabile a tre fattori: in primo luogo, a con dizioni economiche ed esperienze diseguali riguardo alle questioni eu

" Ivi, p. 342.

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ropee; in secondo luogo, a differenti tradizioni istituzionali e civiche; in terzo luogo, a differenti caratteristiche culturali e politiche, com

presi i problemi della lingua dominante (solitamente l'inglese), che de

ve essere utilizzata in tutte le discussioni, gli incontri e i rapporti. Si potrebbe argomentare che proprio a causa di queste differenze,

la costruzione di reti paneuropee rappresenta un passo in avanti. Sen za rifiutare di considerare che vi sono alcuni aspetti positivi

- quali le

regolari riunioni di esperti e il trasferimento di esperienze — rilevanti

effetti di «percolamento» verso le regioni meno sviluppate sono molto limitati. Questo perché i membri del nord, il «cuore» della rete, rara mente apprezzano le differenti caratteristiche posizionali di quelli del sud. Essi continuano a operare all'interno dei loro consolidati sistemi e delle loro procedure per completare il progetto nel più breve tempo possibile, ricevere il denaro e andare avanti con un altro progetto

(fonte di ulteriori finanziamenti). Attribuiscono ruoli inferiori e se condari ai membri del sud (i «casi di studio»), una tendenza accentua ta dalla questione della lingua. La maggioranza delle reti dell'Unione

europea è anglofona, e questioni di ricerca, metodologie e programmi politici sono spesso orientati verso esperienze di matrice anglofila o

nordeuropea, le quali non sono sempre adatte ai problemi di sviluppo meridionali o di altre parti d'Europa. Le relazioni raramente perman gono dopo il completamento del progetto, mentre i membri del «cuo

re» è più probabile che affrontino la «continuazione» dei progetti con altri partner comunitari dell'Europa meridionale, confinando i loro

precedenti partner meridionali in una menzione su una brochure pati nata che pubblicizza i risultati positivi del precedente progetto. Con il

recente allargamento all'Europa centrale e orientale, gli interessi dei

membri del «cuore» si sono mossi anche verso est e sembra che l'espe rienza dell'Europa meridionale si possa ripetere anche lì, come J. Ti

mar dimostra:

Dai primi anni novanta, la forma più forte di egemonia dell'Occidente è stata

rappresentata dagli «esperti dell'Unione Europea», praticamente ignoranti della

regione e in parte del Paese che si supponeva che avrebbero dovuto studiare [...]

All'inizio, abusando della nostra ingenuità, gruppi dotati di expertise sull'Unione

europea avevano accesso alla nostra conoscenza senza alcun costo [...] Affinché i

nostri «propri» progetti fossero finanziati dall'Unione europea, in parte o intera

mente, eravamo anche propensi ad applicare la retorica dell'Unione europea [...] Il linguaggio aiuta a conservare le relazioni di potere esistenti, in questo caso

l'egemonia delle politiche neoliberali dell'Unione europea41.

41 J. Timar, More than »Anglo-American», it is the »Western»: Hegemony in geography

from a Hungarian perspective, in «Geoforum», 35,5,2004, pp. 533-8, p. 535.

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

4. Osservazioni conclusive

Il discorso della rete ha contribuito in misura considerevole ad ac crescere le conoscenze dei processi economici e politici. Esso ha rive lato molti limiti di precedenti quadri di riferimento analitico, sia nel

campo della geografia economica sia in quello delle scienze politiche, dal punto di vista della concettualizzazione della governance e della sua organizzazione soltanto in termini di sistemi gerarchici e scalari. Non v'è dubbio, pertanto, che le prospettive reticolari rappresentino un modo di analizzare le economie capitaliste e che offrano utili spun ti di riflessione sull'organizzazione interna delle imprese e i legami di

queste ultime nell'ambito dei sistemi di produzione. Ma condividiamo molto l'affermazione di Kirsten Simonsen secondo la quale

quando prima si definiscono elementi spaziali quali le reti, i flussi e i fluidi, e

poi li si fanno assurgere allo status di «ontologie», «paradigmi» o caratteristi che della società, si tende a reimmaginare le forme spaziali come autoreferen ziali e indifferenti al contesto sociale. Le conseguenze inattese di tale sposta mento potrebbero essere una naturalizzazione del processo «spaziale». [...]

Questo, ovviamente, è un problema politico oltre che teorico'2.

In breve, le questioni politiche e teoriche restano assenti dal di scorso delle reti. Per esempio, le questioni prevalentemente poste sia dai progressisti sia dai neoliberali si concentrano sull'efficienza, l'adat tabilità e la flessibilità delle forme reticolari, presumendo forme di azione autoorganizzate e collaborative. Pochi si sono domandati in che modo queste reti siano radicate nelle relazioni locali di classe, ge nere ed età e siano inevitabilmente caratterizzate da asimmetrie di po tere fra chi vi partecipa. Questa è una chiara scelta politica, che presu me che le imprese siano gli unici agenti della società di valore elevato.

Analogamente, essi ignorano i modi in cui le celebrate e molto lo date qualità di reciprocità e fiducia sono connesse alle regole della fa

miglia autoritaria e i modi in cui si ottiene la flessibilità della rete me diante condizioni di sfruttamento del lavoro, talvolta associate a prati che illegali e/o a lavoratori migranti illegali. Questo non significa sem

plicemente dimenticare alcuni dei parametri, ma comporta il fallimen to teorico dello stesso paradigma della rete, che attribuisce priorità alla sua organizzazione topologica e sottovaluta il contenuto sociale delle relazioni che ci si attende che descriva. Analogamente, nelle reti delle

politiche, si presume che le nuove forme reticolari di governance ga

42 Κ. Simonsen, Networks, flows and fluids-reimagining spatial analysys? Commentary, in «Environment and Planning Α», Commentary: 36, 2000, pp. 1333-40.

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rantiscano una maggiore efficienza amministrativa e adattabilità alle

domande della globalizzazione. Ancora, in pochi si stanno ponendo una questione politica importante, chiedendosi se queste reti stiano

aggirando le forme consolidate della responsabilità democratica e se si stia eludendo la partecipazione pubblica dei rappresentanti della so cietà civile (a parte le imprese).

Infine, la suggestione che le reti si traducano in strategie di svilup po regionale progressiste è assai più controversa, ed è quella che con trastiamo con forza. Nulla può giustificare un'assunzione aprioristica in merito alla loro superiorità come opzione di policy. Né le reti pos sono essere considerate preferibili ad altre forme di produzione capi talistica - e ancor meno possono essere ritenute radicali alternative a

essa. Restiamo scettici riguardo ai punti di vita analitici che sono stati usati sinora e riguardo all'eccessivo, gratuito ottimismo che è alla base del loro uso come strumenti di policy. Riconosciamo le deficienze del le attuali, inefficienti, forme della governance multilivello alle diverse

scale, ma insistiamo che questa non è una ragione per abolire i conso lidati (e per i quali spesso si è lottato strenuamente) diritti al controllo democratico e l'esigenza di responsabilità. Per ironia, il deficit demo cratico al vertice dell'Unione europea si è ridotto in virtù del paradig ma reticolare e in nessun modo tale riduzione potrebbe essere intesa

come un'evoluzione progressista o addirittura radicale. Il neoliberalismo, quindi, dal punto di vista dei suoi sostenitori, ha

adattato con successo i discorsi sulle reti ai suoi propri scopi. La capa cità di attribuire alle proprietà e caratteristiche prestazionali della rete

un'interpretazione distintamente neoliberale ha consentito al neolibe ralismo di incamerare smorzare rilevanti critiche provenienti dalla so

ciologia economica e dalla geografia economica. Allo stesso tempo, l'analisi reticolare ha confuso molti radicali, i quali sono stati incapaci di considerare che le reti non sono altro che una diversa forma di or

ganizzazione capitalistica. In quanto tali, esse sono segnate da disu

guaglianze nella distribuzione dei costi e dei benefici che derivano dall'arruolamento nella rete, con attributi e conseguenze positivi e ne

gativi, che dipendono dalle caratteristiche posizionali e dal punto di vista che si assume.

Il principale problema è che le relazioni di potere e le gerarchie del

potere esistevano ben prima che le reti nascessero. Vi è il pericolo di confondere cambiamenti di riflessioni/mode accademiche con presun ti cambiamenti in atto nelle realtà sociali che gli accademici analizzano e descrivono. In particolare, è di cruciale importanza riconoscere che «le reti realmente esistenti» sono lungi dall'essere democratiche a cau

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Hadjimichalis-Hudson, Reti

sa dello sviluppo diseguale fra i nodi e i loro legami. Le strutture inter ne alla rete riproducono le gerarchie di potere, i partecipanti hanno in fluenze diseguali sugli esiti della rete e i benefici non sono distribuiti in modo uguale fra i membri della rete. Mentre vi è una forte enfasi re torica sul partenariato e sulla parità ed equità fra partner, la realtà è

quella di relazioni di potere asimmetriche, di inclusione per alcuni ed esclusione per altri. Questo costituisce la base che determina il caratte re inevitabile delle nuove forme di deficit democratico e la carenza di

responsabilità politica, con tutti i potenziali danni che una simile evo luzione comporta.

5. Post scritto

Queste conclusioni sono ancor più valide se la discussione sulle re ti si amplia fino a comprendere le reti potenti, e spesso segrete, dell'economia e della politica globale, le quali esercitano una profonda influenza sulla vita delle persone, dominando lo spazio della vita quo tidiana (non ultimo attraverso la militarizzazione dello spazio pubbli co, specie dopo I'll settembre - come testimoniano i «bombardamen ti umanitari» del Kosovo, l'invasione per «liberare» l'Iraq e così via). In questo contesto, la speranza per il futuro risiede nelle reti popolari

quali il Global social forum e il Social forum europeo... ma questa è un'altra storia43.

" Tuttavia, si veda C. Hadjimichalis-R. Hudson, Geographical imaginations, post-mo

dern imperialism and the project of European political integration, in «Soundings», 23, 2003,

pp. 37-53, per una piccola parte.

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