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di Simon Pietro Isaza Querini Dottorando di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza – Università di Roma
Tendenze della cooperazione territoriale in Europa e in Italia alla
luce del terzo protocollo addizionale alla Convenzione di Madrid e del regolamento (UE) n. 1302/2013
1 O T T O B R E 2 0 1 4
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Tendenze della cooperazione territoriale in Europa e in Italia alla
luce del terzo protocollo addizionale alla Convenzione di Madrid e del
regolamento (UE) n. 1302/2013*
di Simon Pietro Isaza Querini
((Dottorando di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza – Università di Roma
Sommario: 1. Il contesto di riferimento: la trasformazione del paradigma statale, il mutamento
del ruolo delle frontiere e lo sviluppo della cooperazione territoriale; 2. La cooperazione
territoriale in Europa e le “euroregioni”: alcune considerazioni preliminari; 3. Il livello
internazionale: L’acquis del Consiglio d’Europa sulla cooperazione territoriale; 4. Recenti novità
nell’ambito del Consiglio d’Europa: il terzo Protocollo addizionale alla Convenzione di Madrid
relativo ai Gruppi euroregionali di cooperazione (Gec); 5. L’Unione europea: la cooperazione
territoriale come strumento per il perseguimento della politica di coesione economica, sociale e
territoriale; 6. Segue: il regolamento (CE) n. 1082/2006 sui Gruppi europei di cooperazione
territoriale – Gect; 7. Segue: le modifiche introdotte dal regolamento (UE) n. 1302/2013 al
regolamento (CE) n. 1082/2006; 8. Alcune considerazioni sulla complementarietà tra i Gec e i
Gect; 9. La cooperazione territoriale nell’ordinamento italiano: premessa; 9.1. La cooperazione
internazionale delle autonomie territoriali nell’ordinamento italiano: il “potere estero” regionale (e
locale) a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione; 9.2. L’adattamento alla
Convenzione di Madrid per mezzo della legge 19 novembre 1984, n. 948; 9.3. L’attuazione del
regolamento (CE) n. 1082/2006 per mezzo della legge 7 luglio 2009, n. 88; 10. Conclusioni.
* Articolo sottoposto a referaggio.
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Abstract: Cooperation between European territorial authorities is a developing phenomenon
resulting from the overlap and convergence of International, European and National law, which
requires scholars interested in multi-level governance dynamics to be constantly updated.
Therefore, this paper focuses on the latest developments in European territorial cooperation
introduced by Protocol n. 3 to the European outline convention on transfrontier Cooperation
between territorial communities or authorities concerning Euroregional cooperation groupings
(ECGs) and regulation (EU) n. 1302/2013 amending regulation (EC) n. 1082/2006 on a
European grouping of territorial cooperation (EGTC). These instruments foster European
territorial collaboration marking a further step toward the convergence of the legal instruments
provided by both the Council of Europe and the EU. The paper then analyzes the trends which
characterize the phenomenon from the International and European point of view as well as from
the Italian legal system.
La cooperazione tra enti territoriali europei è un fenomeno in continua espansione e rappresenta
il risultato della sovrapposizione e della convergenza della normativa prodotta in molteplici
ambiti giuridici (internazionale, europeo, nazionale). Ciò offre allo studioso interessato alle
dinamiche del federalismo importanti spunti di analisi e riflessione, imponendo al tempo stesso
un costante lavoro di aggiornamento sui cambiamenti che intervengono in materia. Il presente
contributo affronta quindi il tema della cooperazione territoriale alla luce delle recenti novità
introdotte in Europa con l’entrata in vigore del terzo Protocollo addizionale alla Convenzione di
Madrid sulla cooperazione transfrontaliera relativo ai Gruppi euroregionali di cooperazione (Gec)
e l’adozione del regolamento (UE) n. 1302/2013 che modifica il regolamento (CE) n. 1082/2006
riguardante i Gruppi europei di cooperazione territoriale (Gect). Questi strumenti rappresentano,
infatti, un nuovo passo per il rafforzamento della collaborazione territoriale in Europa e
testimoniano la convergenza tra gli strumenti predisposti a tal fine dal Consiglio d’Europa e
dall’Unione europea. Saranno pertanto analizzati i mezzi che le due organizzazioni internazionali
hanno approntato per favorire la collaborazione tra gli enti territoriali, evidenziando le tendenze
distintive di un fenomeno che si sviluppa in un contesto di governance multilivello com’è quello
europeo. Si passerà poi ad analizzare la cooperazione territoriale nella prospettiva
dell’ordinamento italiano, alla luce delle opportunità aperte dal livello internazionale e dall’Unione
europea.
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1. Il contesto di riferimento: la trasformazione del paradigma statale, il mutamento del
ruolo delle frontiere e lo sviluppo della cooperazione territoriale.
La cooperazione internazionale degli enti territoriali substatali1 è un fenomeno che si riscontra,
con forme e intensità differenti, in diverse parti del mondo. Dal continente americano a quello
asiatico, dall’Europa all’Africa, enti regionali e locali stranieri partecipano a forme comuni di
collaborazione, siano queste più o meno istituzionalizzate, limitate geograficamente alle aree di
confine o estese oltre le aree frontaliere, dirette alla realizzazione di attività meramente locali o al
perseguimento di politiche macroregionali2.
Alla base della cooperazione territoriale vengono individuati diversi fattori: l'accresciuta mobilità
di beni, servizi e persone per effetto dei processi di globalizzazione; la fine delle contrapposizioni
territoriali ed economiche della Guerra fredda; la trasformazione del paradigma territoriale dello
Stato-nazione per effetto del suo “svuotamento” tanto verso il basso quanto verso l'alto. Tutti
questi elementi, infatti, hanno favorito una maggiore permeabilizzazione delle frontiere statali e,
conseguentemente, la nascita di reti relazionali più o meno stabili tra enti territoriali stranieri3.
In particolare, i processi di devoluzione che gli Stati hanno sperimentato con intensità e forme
differenti nel corso degli ultimi sessant’anni4, unitamente ai fenomeni d’integrazione sovrastatale,
hanno profondamente mutato il ruolo e il significato delle frontiere, facendo emergere la
necessità d’individuare nuovi strumenti di governance territoriale funzionali a gestire e coordinare
quei territori che, uniti da stretti legami storici, culturali o economici, sono tuttavia tagliati da
confini statali.
Ciò risulta particolarmente evidente qualora si prenda in considerazione il contesto europeo. Qui,
infatti, la convergenza tra i processi che hanno portato al riconoscimento o all’attribuzione di
poteri e funzioni a favore di enti territoriali infrastatali e l’attribuzione di poteri e competenze in
campo alla Comunità (economica) europea prima e all’Unione europea poi, si è tradotta nella
“deterritorializzazione” dei processi politici, economici e sociali precedentemente incentrati sullo
Stato e, contestualmente, nella loro riterritorializzazione, questa volta a livello locale, regionale,
1 Nel corso della presente esposizione, i termini “cooperazione internazionale” e “cooperazione territoriale” verranno utilizzati in forma sinonimica con riferimento alle attività di collaborazione transnazionali cui partecipano enti regionali e locali. Con “cooperazione transeuropea”, come si vedrà, si farà riferimento alla cooperazione territoriale con specifico riguardo al contesto europeo. 2 Sui principali modelli di cooperazione territoriale a livello globale cfr. M. PERKMANN – N.SUM (a cura di), Globalization, regionalization and cross-border regions, Palgrave Macmillan, Houndmills-New York, 2002. 3 Ivi., p. 3 ss. 4 Cfr. B. CARAVITA, Lineamenti di Diritto costituzionale federale e regionale, Giappichelli, Torino, p. 15 ss.
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statale e sovrastatale5. La conformazione multilivello dell’ordinamento europeo, insieme ad altri
fattori quali la realizzazione di un mercato comune, l’adozione della moneta unica e la creazione
dello spazio Schengen, ha così determinato una diluizione dei poteri storicamente esercitati dagli
Stati in materia di confini, favorendo il sorgere di nuovi strumenti relazionali funzionali
all’implementazione di politiche alla cui definizione partecipano, oggi, molteplici soggetti che
operano su differenti livelli di governo6.
Naturalmente, la capacità degli enti infrastatali di partecipare a forme di cooperazione che
trascendono i confini statali varia considerevolmente a seconda del contesto regionale preso a
riferimento. Le forme di collaborazione esistenti in Africa o in Asia non sono certamente
assimilabili ai modelli sperimentati in Europa a partire dagli anni cinquanta. Com’è stato
evidenziato, infatti, le diverse tipologie di cooperazione dipendono, in ultima analisi, dal grado di
apertura dei confini statali, dall’atteggiamento degli Stati centrali verso un tipo di attività che si
svolge oltre i propri confini pur coinvolgendo porzioni del proprio territorio, dal tipo di relazioni
intergovernative esistenti (e quindi, più in generale, dal modello di organizzazione territoriale
dello Stato) nonché dalle spinte che in tale direzione provengono dagli attori regionali e locali
interessati ad attivare canali relazionali con omologhi stranieri7.
In ogni caso, lo sviluppo della cooperazione territoriale ha posto l’interrogativo su come le aree
coinvolte in attività transnazionali vadano governate, nella consapevolezza che i confini statali,
pur se ridimensionati nel ruolo da loro storicamente ricoperto, rappresentano comunque un
limite rilevante all’esercizio di tali attività.
Come si vedrà nei paragrafi che seguono, le soluzioni individuate in Europa in risposta a tale
interrogativo sono state molteplici e hanno visto il concorso e la sovrapposizione di diversi piani
giuridici (internazionale, europeo, comunitario e statale), sebbene nel corso degli ultimi anni si
assista ad alcune tendenze comuni in materia di cooperazione territoriale favorite dall’attività
svolta dal Consiglio d’Europa e, soprattutto, dall’Unione europea.
5 Cfr. M. KEATING, Territorial restructuring and European integration, in M. KEATING – J. HUGES (a cura di), The regional challenge in central and eastern Europe. Territorial restructuring and European integration, P.I.E – Peter Lang, Bruxelles, 2003, p. 9; M. C. SMOUTS, The region as the new imagined community?, in P. LE GALES – C. LEQUESNE (a cura di), Regions in Europe, Routledge, London – New York, 1998, p. 37. 6 Cfr, F. MORATA, La costruzione istituzionale delle Euroregioni, in Le Istituzioni del Federalismo, supplemento n. 4, 2007, p. 10 ss. 7 Cfr. M. PERKMANN – N.SUM (a cura di), op. cit., p. 17 ss.
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2. La cooperazione territoriale in Europa e le “euroregioni”: alcune considerazioni
preliminari.
Se è vero che la cooperazione internazionale degli enti substatali è una realtà che si riscontra in
diverse aree del mondo, è tuttavia nel vecchio continente che, nel corso degli ultimi sessant’anni,
ha assunto le proporzioni di un fenomeno di rilevanza generale, portando alla nascita di un vero e
proprio diritto della cooperazione territoriale in grado di cogliere l’evoluzione di quei fenomeni
giuridici contemporanei non più interpretabili attraverso le vecchie categorie imperniate sul
concetto di sovranità statale8.
In Europa, infatti, si parla di “cooperazione transeuropea” per indicare tutte quelle forme di
collaborazione internazionale in cui sono coinvolti enti regionali e locali appartenenti a Stati
diversi, a prescindere dall'estensione geografica dell'area coinvolta, dal livello di formalizzazione
raggiunto con gli accordi di collaborazione e dalle fonti normative che ne disciplinano il concreto
funzionamento (siano esse di matrice internazionale, europea, comunitaria o statale)9.
Lo scarso coinvolgimento degli enti territoriali nei processi decisionali europei, tanto sul versante
UE (attraverso la presenza nelle istituzioni e negli organismi che prendono parte alla formazione
delle decisioni dell’Unione) che su quello statale (con la partecipazione alla definizione della
posizione negoziale che lo Stato assumerà in sede europea), è stato in parte compensato dalla
creazione di organismi rappresentativi delle istanze regionali e locali nonché dalla creazione di
una fitta rete di rapporti “orizzontali” di cooperazione. Questo tipo d’integrazione orizzontale è
consistito originariamente in un processo spontaneo che ha visto il ricorso a svariati strumenti di
cooperazione finalizzati alla risoluzione di specifici problemi locali. Solo in un secondo momento
si è assistito all'intervento di organizzazioni regionali quali il Consiglio d’Europa e la
Comunità/Unione europea teso ad agevolare un fenomeno ormai largamente diffuso e
consolidato, quando non addirittura a subordinarlo al perseguimento di politiche e strategie di più
ampia portata10.
La cooperazione territoriale rappresenta quindi un fenomeno dinamico e in continua evoluzione,
risultato della sovrapposizione e, come vedremo, della convergenza, di molteplici ordinamenti
8 Cfr. F. PALERMO, Federalismo fiscale e collaborazione transfrontaliera. Un accostamento ardito o primi lineamenti di un nuovo diritto transnazionale?, in F. PALERMO – S. PAROLARI – A. VALDESALICI (a cura di), Federalismo fiscale e autonomie territoriali: lo stato dell’arte nell’Euroregio Tirolo – Alto Adige/Südtirol – Trentino, Cedam, Padova, 2013, p. 273 ss. 9 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Cooperazione transeuropea tra enti territoriali, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della CEE, Lussemburgo, 2002, p. 31 ss. 10 Cfr. M. CACIAGLI, Regioni d’Europa. Devoluzioni, regionalismi, integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 75 ss.
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giuridici, tant’è che le fonti del diritto della cooperazione transeuropea possono essere individuate
nel diritto internazionale pattizio (specialmente negli accordi internazionali elaborati sotto gli
auspici del Consiglio d’Europa), nel diritto dell’Unione europea, negli accordi liberamente
conclusi dagli enti regionali e locali nonché in ulteriori disposizioni ricavabili dai singoli
ordinamenti statali11.
Con riferimento ai diversi strumenti di cooperazione previsti in un quadro giuridico tanto
eterogeneo, sia a livello normativo che in ambito accademico sono stati declinati diverse tipologie
di cooperazione territoriale (quali la cooperazione transfrontaliera, la cooperazione interregionale
o interterritoriale e la cooperazione transnazionale), nonché diversi modelli istituzionalizzati di
collaborazione (come le euroregioni, i gruppi di lavoro, i gruppi nordici etc.), i quali, assumendo
significati non sempre coincidenti a seconda del quadro giuridico considerato, hanno determinato
una certa confusione terminologica in materia12.
Al riguardo, emblematico delle difficoltà di ricondurre a unità un fenomeno tanto complesso è il
termine “euroregione”: usato originariamente per indicare specifici modelli di cooperazione
transfrontaliera realizzati lungo i confini dei Paesi scandinavi e degli Stati dell’Europa centrale, è
stato in seguito esteso a molteplici iniziative territoriali, ed è oggi adoperato principalmente in
relazione agli strumenti di cooperazione predisposti dal Consiglio d’Europa e dall’Ue (benché in
tali strumenti non si faccia menzione del termine in questione). Si tratta quindi di un’espressione
che non qualifica una struttura giuridica ben definita, ricomprendendo al contrario molteplici
modelli di cooperazione cui partecipano enti territoriali europei13.
Sempre in tema di euroregioni, non sono mancati tentativi volti a individuarne i contenuti
distintivi: per euroregione si intende generalmente un organismo permanente composto da enti
territoriali frontalieri finalizzato alla valorizzazione di un’area tagliata dai confini di due o più
Stati. Le euroregioni vengono pertanto ricondotte nell’ambito della cooperazione transfrontaliera
cosiddetta “strategica” e distinte da altri organismi transfrontalieri (le comunità di lavoro o i c.d.
gruppi nordici) in ordine a variabili quali l’organizzazione interna, il tipo di attività realizzata e,
soprattutto, l’ampiezza geografica dell’area coinvolta14.
11 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, op. cit., p. 39 ss. 12Ivi., p. 25 ss. 13 Cfr. M. FRIGO, Dalla Convenzione di Madrid all’Euroregione: prove d’integrazione transfrontaliera, in Diritto dell’Unione europea, n. 4, 2005, p. 705 ss. Sul punto sia consentito il rinvio a S. P. ISAZA QUERINI, La partecipazione degli enti regionali e locali europei alle “euroregioni”: i casi di Italia e Spagna, in federalismi.it, n. 19/2012, p. 2. 14 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, op. cit., p. 88 ss.
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Va però detto che qualsiasi tentativo epistemologico in materia15 deve tener conto di alcune
tendenze presenti oggi in Europa. Nonostante l’eterogeneità delle soluzioni in cui la
cooperazione territoriale si sostanzia, si assiste oggi a una progressiva armonizzazione della
relativa normativa. Come si vedrà nel corso dell’esposizione, per mezzo degli strumenti di matrice
internazionale elaborati in seno al Consiglio d’Europa e all’Ue, si è passati da forme spontanee ed
occasionali di cooperazione, finalizzate alla risoluzione di problematiche locali, a veri e propri
modelli istituzionalizzati di collaborazione, estesi nel tempo alla partecipazione di enti territoriali
non necessariamente confinanti e agli stessi Stati. La cooperazione territoriale è divenuta così uno
strumento funzionale alla realizzazione di politiche sovrastatali, tra le quali va ricordata, in
particolare, la politica regionale europea, conformandosi quindi come uno strumento di
coordinamento di strategie alla cui definizione partecipano soggetti, istituzionali o meno, che
operano su differenti livelli di governo16.
Appare quindi evidente come qualsiasi tentativo volto a individuare gli elementi tipici
dell’euroregione, alla luce delle tendenze in atto in Europa, sconti diverse carenze già a livello
terminologico, a conferma della difficoltà di fissare un fenomeno dinamico e in continua
trasformazione com’è quello della cooperazione territoriale. Da un lato, infatti, l’euroregione non
segna la nascita di un nuovo livello di governo regionale di portata europea titolare di un indirizzo
politico autonomo e, come tale, in grado di competere con quelli già esistenti (statale, regionale e
locale). La partecipazione a tali organismi, peraltro, non è limitata agli enti regionali, vedendo al
contrario la presenza consistente di enti locali. Dall’altro, nella misura in cui l’integrazione
europea si conforma sempre di più come un processo di tipo funzionalistico, nulla esclude che
l’euroregione possa qualificare forme d’integrazione slegate dal requisito della prossimità
territoriale. Dal punto di vista teorico, nelle intenzioni delle organizzazioni internazionali europee,
la cooperazione territoriale viene sempre più orientata al perseguimento della coesione tra le aree
economicamente e socialmente avvantaggiate e quelle sfavorite, piuttosto che alla gestione di
attività geograficamente limitate. Nella pratica, sebbene la maggior parte delle iniziative territoriali
sia di carattere locale e regionale, si assiste oggi ad un allargamento della loro estensione
geografica e alla creazione di interessanti canali relazionali che attraversano l’Europa in lungo e in
largo (su questi profili cfr. i paragrafi 6 e 9.3, infra).
15 Cfr. M PERKMANN, The rise of the Euroregion. A bird’s eye perspective on European cross-border co-operation, University of Lancaster – Department of Sociology, 2002; M. MEDEIROS, (Re)defining the euroregion concept, in European Planning Studies, Vol. 19, n. 1, 2011. 16 Cfr. D. STRAZZARI, Harmonizing Trends vs domestic regulatory frameworks: looking for the European law on cross-border cooperation, in European Journal of Legal Studies, Vol. 4, n. 1, 2011, p. 151 ss.
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3. Il livello internazionale: L’acquis del Consiglio d’Europa sulla cooperazione
territoriale.
Si è già anticipato come la cooperazione internazionale tra enti territoriali europei sia consistita
inizialmente in un fenomeno spontaneo limitato alla realizzazione di attività locali, e come solo in
un secondo momento abbia visto l’intervento delle organizzazioni internazionali europee, prima
fra tutte il Consiglio d’Europa.
Com’è noto, detta organizzazione, nata il 5 maggio 1949 con lo scopo di favorire un’unione più
stretta tra gli Stati europei, al fine di tutelare e promuovere gli ideali e i principi rientranti nel loro
patrimonio comune e di sostenerne il progresso economico e sociale, è stata da sempre
particolarmente attenta alle istanze regionali e locali.
A partire dagli anni cinquanta, ha infatti promosso iniziative attraverso cui gli enti territoriali
europei hanno ottenuto un riconoscimento di livello internazionale, parallelamente
all’emancipazione che tali enti stavano sperimentando nei rispettivi ordinamenti statali di
appartenenza. A questo proposito, merita di essere ricordata la creazione del Congresso
permanente dei poteri locali e regionali d’Europa (CPLRE), organo sussidiario del Consiglio
d’Europa le cui origini risalgono ai primi anni cinquanta. Articolato in una Camera dei poteri
locali e in una Camera delle regioni, il Congresso svolge un ruolo consultivo sui temi legati alla
politica regionale e locale, collaborando con le organizzazioni rappresentative dei poteri locali e
regionali, sensibilizzando l'opinione pubblica, e aiutando gli Stati di nuova adesione al Consiglio
d’Europa nei percorsi di riconoscimento e di promozione dell'autonomia substatale17.
Proprio nell’ambito dell’attività svolta attraverso gli organi e i comitati rappresentativi delle
istanze territoriali, il Consiglio d’Europa ha predisposto la prima convenzione internazionale
dedicata esclusivamente all’autogoverno locale, vale a dire la Carta europea delle autonomie
locali18, in vigore dal 1988 e arricchita di un Protocollo addizionale sul diritto di partecipazione
agli affari delle collettività locali, in vigore dal 201219.
Entrando più nello specifico, il Consiglio d’Europa ha incoraggiato la cooperazione tra gli enti
territoriali europei attraverso la predisposizione di ulteriori, appositi, strumenti di diritto
internazionale.
17 Cfr. M. CACIAGLI, op. cit., p. 86 ss. 18 “Carta europea delle autonomie locali”, trattato aperto alla firma a Strasburgo il 15 ottobre 1985, in vigore dal 1 settembre 1988 e vincolante (al 22 settembre 2014) per 45 Stati membri del Consiglio d’Europa. 19 “Protocollo addizionale alla Carta europea dell’autonomia locale sul diritto di partecipare agli affari delle collettività locali”, aperto alla firma a Utrecht il 16 novembre 2009, entrato in vigore il 1 giugno 2012 e vincolante (sempre al 22 settembre 2014) per 11 Stati membri.
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In particolare, grazie alla Convenzione-quadro di Madrid del 1980 sulla cooperazione
transfrontaliera20, i tre protocolli addizionali alla stessa21 e, pur se limitatamente, la già menzionata
Carta europea delle autonomie locali e il relativo protocollo addizionale, il Consiglio d'Europa ha
cercato di fornire un quadro giuridico di riferimento per le variegate forme di cooperazione
territoriale sperimentate in Europa, rendendo peraltro la normativa così predisposta pienamente
compatibile con gli strumenti parallelamente adottati dall’Ue.
A partire dalla Convenzione di Madrid, è stato lentamente riconosciuto un vero e proprio diritto
per le collettività e autorità territoriali degli Stati contraenti ad avviare attività di cooperazione
transfrontaliera – intesa come “ogni comune progetto” volto al rafforzamento e allo sviluppo dei
rapporti di vicinato tra enti territoriali appartenenti a più Stati parte alla Convenzione, compresa
la conclusione di “accordi” e “intese” a tal fine, nel rispetto delle competenze che, in base al
diritto interno, spettano agli enti eventualmente coinvolti – e attività di cooperazione
interterritoriale – intesa invece come qualsiasi concertazione volta ad instaurare rapporti tra
collettività o autorità territoriali di due o più Parti contraenti, diversi da quelli di cooperazione
transfrontaliera fra collettività confinanti, compresa la conclusione di accordi con le collettività o
autorità territoriali di altri Stati.
Grazie ai protocolli addizionali, è stata inoltre prevista la possibilità di istituzionalizzare tale
collaborazione attraverso la creazione di “organismi per la cooperazione transfrontaliera” o
“interterritoriale”, dotati o meno di personalità giuridica di diritto pubblico o privato, nonché
tramite il ricorso ai Gruppi euroregionali di cooperazione (Gec), dotati obbligatoriamente di
personalità giuridica e titolari della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone
giuridiche dalla legislazione nazionale dello Stato nel quale ha la sede principale (sui Gec si avrà
modo di soffermarsi più approfonditamente nel prossimo paragrafo)22.
20 “Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali”, aperta alla firma a Madrid il 21 maggio 1980, entrata in vigore il 22 dicembre 1981 e attualmente in vigore per 38 Stati membri del Consiglio d'Europa. 21 In ordine: “Protocollo addizionale alla Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali”, entrato in vigore nel dicembre del 1998 e attualmente in vigore per 23 Stati; “Protocollo n. 2 alla Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività e autorità territoriali”, entrato in vigore nel febbraio del 2001, in vigore per 22 Stati; “Protocollo n. 3 alla Convenzione-quadro sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali concernente i Gruppi euroregionali di cooperazione (GEC)”, entrato in vigore il 1 marzo 2013 e attualmente vincolante per 6 Stati membri (al 22 settembre 2014). 22 Sulla Convenzione di Madrid e i relativi protocolli cfr. L. CONDORELLI – F. SALERNO, Le relazioni transfrontaliere fra comunità locali in Europa nel diritto internazionale ed europeo, in Rivista trimestrale di Diritto pubblico, 1986; N. LEVRAT, Le droit applicable aux accords de coopération transfrontière entre collectivités publiques infra-étatiques, P.U. France, Paris, 1994; C. RICQ, Handbook of Transfrontier Co-operation, Council of Europe,
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Nell’ambito del Consiglio d’Europa, si è quindi passati da un tipo di collaborazione pensata per la
risoluzione di specifici problemi transfrontalieri, a una cooperazione istituzionalizzata ed estesa
alla partecipazione di enti territoriali non necessariamente confinanti.
Il Consiglio d’Europa ha quindi contribuito notevolmente all’evoluzione del diritto della
cooperazione transeuropea, cercando di fornire un corpo normativo di riferimento grazie al quale
gli enti infrastatali europei possono collaborare secondo le proprie esigenze e nel rispetto delle
competenze loro attribuite all’interno degli ordinamenti statali di appartenenza.
Va tuttavia detto che l’acquis del Consiglio, nonostante spinga nel senso di una maggiore
armonizzazione della normativa in tema di cooperazione territoriale, non abbia comunque
assicurato un quadro giuridico uniforme in materia. Difatti, le numerose limitazioni che la
Convenzione e i protocolli assicurano agli Stati in ordine alla concreta applicazione delle norme
previste, il continuo rimando al diritto interno degli Stati per la specificazione della disciplina
predisposta, il differente grado di accettazione di tali strumenti da parte degli Stati del Consiglio
d’Europa (dal momento che la maggior parte di questi non ha ratificato tutti i trattati in
questione, alcuni nemmeno la Convenzione di Madrid), nonché le difformità che si producono al
momento della trasposizione interna della disciplina internazionale pattizia, tutti questi fattori
fanno sì che i diversi tipi di cooperazione difficilmente possano essere ricondotti ad un unico
modello disciplinato da un quadro normativo unitario.
Al contrario, per dare seguito alle importanti novità previste dalla Convenzione e dai Protocolli, si
è resa necessaria la conclusione di ulteriori accordi interstatali volti a specificare la normativa di
matrice internazionale 23 . Il permanere di numerosi ostacoli alla concreta attuazione della
normativa predisposta nel campo della cooperazione territoriale e la necessità di renderla
compatibile con le importanti novità nel frattempo introdotte in materia da parte dell’Ue, hanno
inoltre spinto il Consiglio d’Europa a predisporre un nuovo, importante strumento per mezzo di
un terzo Protocollo addizionale: il Gruppo euroregionale di cooperazione (Gec), cui è dedicato il
prossimo paragrafo.
2006, p. 49, reperibile su file:///C:/Users/user/Downloads/tfc_handbookTC2006_EN.pdf; M. FRIGO, op. cit., p. 697 ss.; M. R. ALLEGRI, Cooperazione transnazionale fra enti sub statuali: dalla Convenzione di Madrid al GECT, in Le Regioni, n. 2, 2009, p. 207 ss.; A. ZARDI, Cooperazione transfrontaliera e inter-territoriale nel continente europeo: il ruolo del Consiglio d'Europa, in ISIG - Trimestrale di Sociologia Internazionale, 3-4, dicembre 2003; 23 Sui rilievi più critici della normativa del Consiglio d’Europa, oltre alla bibliografia citata in relazione alla Convenzione quadro e ai Protocolli addizionali, cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale – GECT, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della CEE, Lussemburgo, 2007, p. 35; D. STRAZZARI, op. cit., p. 157 ss.; M. VELLANO, La cooperazione regionale nell’Unione europea, Torino, Giappichelli, p. 40 ss.
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4. Recenti novità nell’ambito del Consiglio d’Europa: il terzo Protocollo addizionale alla
Convenzione di Madrid relativo ai Gruppi euroregionali di cooperazione (Gec).
Al fine di completare il quadro giuridico predisposto a partire dalla Convenzione di Madrid e
andando incontro alle necessità degli Stati risoluti ad armonizzare ulteriormente le rispettive
legislazioni nazionali, nella consapevolezza che per molti membri del Consiglio d’Europa un
certo grado di uniformità deriva già dalla comune partecipazione al sistema dell'Ue24, il terzo
Protocollo addizionale alla Convenzione di Madrid relativo ai Gruppi euroregionali di
cooperazione (Gec) si propone di fornire una disciplina uniforme per la creazione e il
funzionamento di strutture di cooperazione transfrontaliera ed interterritoriale25.
Al riguardo, va subito anticipato che il Protocollo, entrato in vigore nel marzo del 2013 e
attualmente vincolante per 6 Stati membri del Consiglio d’Europa (Francia, Germania, Svizzera,
Ucraina, Slovenia e Cipro), presenta diverse somiglianze, se non perfette corrispondenze, con la
normativa nel frattempo predisposta in seno all’Ue (regolamento 1082/2006 relativo ai Gruppi
europei di cooperazione territoriale – Gect, oggi in parte modificato dal regolamento 1302/2013,
sui quali torneremo in seguito). Come ha chiarito lo stesso Comitato direttore della democrazia
locale e regionale (CDLR) del Consiglio d’Europa, organo deputato alla stesura del Protocollo, la
redazione di quest’ultimo è stata infatti riorientata al fine di renderlo pienamente conciliabile con
la normativa dell’Unione europea26.
Il testo disciplina i Gruppi euroregionali di cooperazione (Gec) creati nel territorio degli Stati
membri del Consiglio d'Europa e Parti al Protocollo, al fine di promuovere la cooperazione
transfrontaliera e interterritoriale tra i suoi membri costitutivi, nel rispetto delle competenze da
questi esercitate nei rispettivi ordinamenti statali di appartenenza (art. 1).
Il Gruppo è obbligatoriamente dotato della personalità giuridica come disciplinata dal diritto dello
Stato Parte in cui ha la sede principale e gode della più ampia capacità riconosciuta alle persone
giuridiche dalla legislazione di detto Stato.
Il diritto applicabile è quello dello Stato in cui il Gec ha la sede principale (art. 2), senza che ciò
escluda l’intervento della legislazione di altri Stati (secondo quanto di desume dall’art. 1, comma
2, dall’art. 7, commi 1, 2 e 4, dall’art. 4, commi 7 e 9, dall’articolo 9, commi 2 e 3, dall’articolo 10,
24 Cfr. il Preambolo del Protocollo. 25 Cfr. il rapporto esplicativo del Protocollo reperibile al seguente indirizzo web: http://www.conventions.coe.int/Treaty/EN/Reports/Html/206.htm 26 Sempre secondo quanto dichiarato nel rapporto esplicativo.
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comma 2, dall’art. 11, comma 3, dall’art 12, comma 2 e dalla Parte II relativa all’attuazione del
Protocollo).
Esclusa la partecipazione delle persone fisiche, i membri che possono prendere parte a un
Gruppo sono: le autorità o collettività territoriali degli Stati Parte, potendo questi ultimi diventare
membri a condizione che almeno uno dei propri enti territoriali partecipino al Gruppo; gli enti
senza scopo industriale o commerciale che perseguono finalità d’interesse generale, a condizione
che la loro attività sia finanziata principalmente da autorità pubbliche, oppure la loro gestione sia
sottoposta a controllo pubblico ovvero la metà dei membri che siedono nell’organo
amministrativo, direttivo o di controllo, siano di nomina pubblica; infine, le autorità o collettività
territoriali di Stati non Parti al Protocollo ma confinanti con lo Stato in cui il Gruppo ha la sede
principale, a condizione che ciò sia consentito da un accordo interstatale (art. 3).
Per quanto riguarda l'istituzione di un Gec, il Protocollo prevede un iter articolato, caratterizzato
da limiti di natura materiale, procedurale e sostanziale27: in particolare, le autorità o collettività
territoriali interessate ad entrare in un Gruppo, devono notificare tale intenzione alle rispettive
autorità nazionali, oppure ottenere la relativa autorizzazione. Quest’ultima può essere rifiutata per
violazione del Protocollo o della legislazione statale, o per motivi di “interesse pubblico” o
“ordine pubblico”, fermo restando l’obbligo di motivazione del diniego (art. 4).
Il funzionamento dei Gruppi si basa sugli statuti, parte integrante dell'accordo, che non possono
contrastare con il Protocollo e con il diritto applicabile (art. 5).
Per comprendere la portata e i limiti dei Gec, interessanti sono le disposizioni che ne disciplinano
i compiti. I Gruppi, infatti, possono occuparsi soltanto delle funzioni affidategli dai membri ed
elencati nell'accordo istitutivo e nello statuto, in conformità con le competenze da questi
esercitate nei rispettivi ordinamenti statali. Possono adottare le misure opportune per l'attuazione
27 Il GEC deve essere istituito tramite un accordo scritto tra i membri fondatori, al quale deve essere allegata la documentazione necessaria a provare che le procedure richieste ai membri dalle rispettive legislazioni nazionali per la creazione del Gruppo siano state rispettate. Prima di concludere l'accordo istitutivo (che deve specificare le caratteristiche fondamentali del gruppo quali il nome, i membri, i compiti etc.) o di prendere parte a un Gruppo preesistente, gli enti territoriali interessati devono notificare agli Stati tale intenzione o, se del caso, ottenere la relativa autorizzazione dalle proprie autorità nazionali . L'autorizzazione può essere rifiutata nel caso di violazione del Protocollo o della legislazione statale, o anche per motivi di “interesse pubblico” o “ordine pubblico” avanzati dallo Stato di appartenenza, il quale, in tal caso, deve motivare il diniego. Gli Stati, inoltre, possono rinunciare al requisito dell'informazione, della notifica o dell'autorizzazione, sia in generale che con riguardo a specifiche categorie di enti territoriali o per specifiche tipologie di cooperazione. Infine, sono previsti la registrazione (richiesta generalmente per persone giuridiche private) o la pubblicazione (richiesta invece per gli enti di diritto pubblico) nello Stato della sede e in quelli di appartenenza dei membri del Gruppo nonché il dovere di informazione alle autorità nazionali dell'avvenuta istituzione del Gruppo.
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di tali competenze, mentre i membri devono adottare o facilitare quelle necessarie ad assicurare
che le decisioni del Gruppo siano realizzate. Resta fermo che i compiti delegati non possono
riguardare l'esercizio di poteri normativi e che i poteri attribuiti non possono riguardare i diritti e
le libertà degli individui e l'imposizione di imposte di natura fiscale. Inoltre, onde evitare la “sub-
delegazione” di funzioni senza il consenso dell'autorità titolare originaria, non possono esercitare
quelle competenze che i membri svolgono come agenti dello Stato di appartenenza, salvo che
non siano debitamente autorizzati da parte degli Stati, i quali, se membri del Gruppo, possono
anche delegare a quest’ultimo l’esercizio di competenze loro spettanti (art. 7)
Merita, infine, particolare considerazione l’articolo 16, il quale prevede che gli Stati possano
designare le categorie di autorità o collettività territoriali e di persone giuridiche come previste
all'articolo 3 che intenda escludere dall’applicazione del Protocollo.
Il terzo Protocollo introduce quindi un’importante novità in materia di cooperazione territoriale e
di euroregioni. In particolare, segna il passaggio, nella normativa predisposta in seno al Consiglio
d’Europa, da un approccio volto a escludere il coinvolgimento degli Stati nelle attività di
cooperazione transeuropea ad un atteggiamento inclusivo (al contrario degli strumenti precedenti
in cui la partecipazione statale era esclusa), nella consapevolezza che la collaborazione tra gli enti
regionali e locali europei non è più una questione di mero rilievo locale, ma si inserisce in un
contesto più ampio di perseguimento di strategie e politiche sovrastatali28.
Bisogna comunque rilevare come il Protocollo, al pari degli strumenti precedentemente incontrati
e nonostante la finalità uniformatrice che si propone, non necessariamente fornirà una disciplina
unitaria in tema di cooperazione territoriale e di euroregioni. Data la natura pattizia di tale
strumento, molto dipenderà dall’accettazione che incontrerà da parte degli Stati del Consiglio
d’Europa (i quali, per divenire parti al Protocollo, devono aver precedentemente ratificato la
Convenzione di Madrid), nonché dalle difformità che si presenteranno al momento
dell’adattamento degli ordinamenti interni29.
Va inoltre sottolineato che sul successo dei Gec peserà la futura evoluzione della normativa
europea relativa ai Gect, in quanto, alla luce anche delle recenti novità apportate al regolamento
1302/2013, gli enti territoriali appartenenti a Stati membri dell’Ue potrebbero preferire la
normativa dell’Ue a quella discendente dal Consiglio d’Europa, e ciò nonostante il ricorso all’una
non escluda l’utilizzo dell’altra. Difatti, pur trattandosi di due ordinamenti giuridici ben distinti,
28 Cfr. D. STRAZZARI, op. cit., p. 171. 29 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale – GECT, cit., p. 36 ss.
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essendo l'Ue un ente internazionale di integrazione e avendo i suoi regolamenti diretta e
immediata applicabilità negli Stati membri, e nonostante le differenze che intercorrono tra la
disciplina contenuta nel Protocollo e quella prevista dal regolamento 1082/2006 (come
modificato dal regolamento 1302/2013), l’elaborazione del Protocollo è stata realizzata al fine di
rendere pienamente compatibili i Gec e i Gect30.
5. L’Unione europea: la cooperazione territoriale come strumento per il perseguimento
della politica di coesione economica, sociale e territoriale.
Parallelamente all’attività svolta dal Consiglio d’Europa, l’Ue ha predisposto gran parte dei
finanziamenti che hanno permesso la realizzazione di numerose iniziative territoriali e ha fornito
specifici strumenti giuridici per la formalizzazione della cooperazione tra enti territoriali europei.
Data l’originaria mancanza di una specifica competenza comunitaria sulla cooperazione
territoriale e nonostante la limitatezza delle disposizioni esistenti in materia a livello dei Trattati
istitutivi originari31, tali iniziative sono state promosse nel quadro della politica regionale europea
e, conseguentemente, sono state finalizzate all’eliminazione degli squilibri strutturali presenti tra le
diverse regioni europee.
Com’è noto, la politica di coesione è nata a metà degli anni settanta per favorire lo sviluppo
armonioso del territorio comunitario a fronte degli squilibri economici e sociali venutisi a creare
con l’allargamento a favore di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, ed è stata scandita dalle diverse
programmazioni dei fondi strutturali che si sono succedute fino ad oggi32.
30 Cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 56 ss. 31 Il Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea e le successive modifiche non hanno previsto disposizioni espressamente dedicate alla cooperazione territoriale, per cui quest’ultima, ricompresa all’interno della politica regionale europea, è stata sostanzialmente disciplinata dal diritto comunitario derivato. In seguito, con il Trattato di Amsterdam, sono state introdotte alcune modifiche al titolo dedicato alla coesione economica e sociale ed è stato specificato il ruolo consultivo esercitato dal Comitato delle Regioni nelle materie riguardanti la cooperazione transfrontaliera. Attualmente, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la politica di coesione ha acquisito una dimensione territoriale accanto a quella economica e sociale: oltre alle dichiarazioni di portata generale contenute nei preamboli del TUE e del TFUE, il nuovo art. 3 TUE (ex art. 2 TUE) stabilisce infatti che l’Unione “promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri”, mentre il nuovo Titolo XVIII sulla Coesione economica, sociale e territoriale contenuto nel TFUE stabilisce, all’art. 174 (ex art. 158 TCE) che “per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. […]”. Cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 85 ss. 32 Le programmazioni dei fondi strutturali hanno riguardato periodi ben definiti. Cronologicamente, le generazioni di fondi sono state quelle relative agli anni 1989-1993, 1994-2000, 2000-2006, 2007-2013 e, da ultimo, quella per il 2014-2020.
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Proprio attraverso la normativa sui fondi strutturali (in particolare quella riguardante il Fondo
europeo di sviluppo regionale – Fesr), sono stati finanziati numerosi programmi, primo fra tutti
Interreg, cresciuti progressivamente di numero ed estesi nel tempo a molteplici tipi di
cooperazione33.
All’intervento finanziario sono stati in seguito affiancati strumenti giuridici diretti a formalizzare
le relazioni transnazionali34: un esempio è offerto dal Gruppo europeo d’interesse economico
(Geie) introdotto dal regolamento (CE) n. 2137/1985, consistente in un organismo ideato per
facilitare la cooperazione economica tra operatori appartenenti a più Stati membri che è stato
utilizzato con successo per la realizzazione di specifici progetti transfrontalieri e interterritoriali35.
Le iniziative promosse hanno così contribuito allo sviluppo della cooperazione territoriale e alla
loro formalizzazione per mezzo di strutture permanenti. Del resto, il rafforzamento
dell’integrazione europea e lo sviluppo dei modelli federali e regionali di governo in Europa
hanno reso necessaria la creazione di strumenti per il coordinamento di politiche alla cui
definizione ed attuazione interviene una pluralità di soggetti che agiscono su diversi livelli di
governo.
Nonostante i risultati raggiunti, le iniziative promosse hanno incontrato alcuni problemi che ne
hanno limitato il potenziale dispiegamento: basti pensare alle resistenze che gli Stati hanno
opposto verso attività realizzate attraverso i propri confini, all’insufficienza delle risorse
finanziarie disponibili e, soprattutto, alle difficoltà che gli operatori locali hanno incontrato nel
gestire attività disciplinate da una pluralità di legislazioni nazionali36.
33 Lanciato dalla Commissione europea nel 1990 (Interreg I) e riconfermato ne i successivi interventi strutturali europei (Interreg I e II), il programma Interreg è stato sostituito dall’ “Obiettivo della cooperazione territoriale europea” previsto nella programmazione per il 2007 – 2013, al quale, nella programmazione per il 2014 – 2020, è stato dedicato un apposito regolamento. Il programma, originariamente limitato alla cooperazione transfrontaliera, è stato progressivamente allargato alla cooperazione transnazionale e interregionale ed è stato esteso anche alle frontiere esterne dell’Ue. 34 Sugli organismi diretti a favorire la cooperazione territoriale e funzionale in Europa cfr. L. MASCALI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale. Introduzione al Regolamento 1082/2006, Editpress, Firenze-Catania, 2010, p. 131 ss. 35 In base al regolamento (CE) n. 2137/85 del 25 luglio 1985, il Geie, pur non essendo dotato necessariamente di personalità giuridica, è comunque titolare di una propria capacità giuridica. Può essere composto da persone fisiche, società ed enti di diritto pubblico o privato che esercitano attività di vario tipo. Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale – GECT, cit., pp. 41-42. 36 Per un bilancio sull’evoluzione della cooperazione territoriale in Europa e sui nodi problematici che l’hanno contraddistinta può essere utile fare riferimento alla Relazione del Parlamento europeo sul ruolo delle Euroregioni nello sviluppo della politica regionale, reperibile su http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A6-2005-0311+0+DOC+XML+V0//IT.
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Pertanto, sotto la spinta dei successivi allargamenti (in particolare quello del 2004), che hanno
approfondito le divergenze strutturali esistenti tra le regioni europee, l’Unione ha deciso di
dotarsi di uno strumento comune per la cooperazione territoriale, vale a dire il già menzionato
Gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect) introdotto con il regolamento (CE)
1082/2006.
A questo proposito, va ricordato come l’idea di creare enti per gestire attività transfrontaliere,
dotati di personalità giuridica di diritto comunitario e titolari di un certo grado di autonomia
rispetto ai membri costitutivi, non rappresenti una novità, dal momento che già negli anni
settanta le istituzioni comunitarie avevano avanzato le prime proposte in tal senso37.
6. Segue: il regolamento (CE) n. 1082/2006 sui Gruppi europei di cooperazione
territoriale – Gect.
Adottato sulla base dell’art. 159 TCE (oggi art. 175 TFUE)38, il quale stabilisce che le azioni
specifiche che si rivelassero necessarie al di fuori dei Fondi europei possano essere adottate con
procedura ordinaria dal Parlamento europeo e dal Consiglio, previa consultazione del Comitato
delle Regioni e del Comitato economico e sociale europeo, il regolamento 1082/2006, entrato in
vigore nell’agosto del 2007, rientra nel c.d. pacchetto legislativo della coesione per il 2007-201339.
Per quanto riguarda le caratteristiche fondamentali dei Gect40 , questi consistono in strutture
transnazionali (dovendo essere composte da membri appartenenti ad almeno due Stati membri,
37 Sul punto cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 81 ss. 38 Criticata è stata la scelta di fondare l’adozione del regolamento 1082/2006 sull’articolo 159 TCE piuttosto che sull’art. 308 (oggi art. 352 TFUE), il quale stabilisce che “Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo”. Va comunque detto che le Istituzioni europee, con il regolamento 1302/2013, hanno confermato l’art. 175 TFUE (ex art. 159 TCE) quale base giuridica sufficiente all’adozione della normativa sui Gect (si veda a tal proposito il considerando 10 del regolamento 1302/2013). Sul punto cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 161 ss. 39 Sulla disciplina dei fondi strutturali per il 2007-2013 cfr. A. DI STEFANO, Coesione e diritto nell'Unione Europea. La nuova disciplina dei fondi strutturali comunitari nel regolamento 1083/2006, Editpress, Firenze-Catania,2008. 40 Per un’approfondita analisi della disciplina sui Gect prima della riforma del 2013 si rinvia a: UNIONE
EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale – GECT, cit.; L. MASCALI, op. cit.; A. PAPISCA, Il gruppo europeo di cooperazione territoriale. Nuove sfide allo spazio dell'Unione Europea, Marsilio, Venezia, 2009; M. PERTILE, Il GECT: verso un organismo di diritto comunitario per la cooperazione transfrontaliera?, in Diritto del commercio internazionale, vol. 19, n.1, 2005, p. 117 ss.; I. OTTAVIANO, Riflessioni sul Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale, in Studi sull’integrazione europea, n. 3, 2006, p. 545 ss.; S.
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salvo quanto si dirà sulle modifiche introdotte dal regolamento 1302/2013) pensate per agevolare
la cooperazione territoriale (transfrontaliera, transnazionale e interregionale come definite in
ambito Ue) al fine di rafforzare la coesione economica sociale e territoriale dell’Unione europea41.
Sono dotati obbligatoriamente della personalità giuridica e godono, in ciascuno Stato membro,
della più ampia capacità riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni di detto Stato (art.
1). Sono retti da statuti e convenzioni, hanno una sede unica, sono caratterizzati da due organi
necessari – un’assemblea formata dai rappresentanti dei membri costitutivi e un direttore che
esercita funzioni rappresentative – e redigono un bilancio annuale.
La procedura che porta alla creazione di un Gruppo si compone di diversi passaggi, dai quali
emergono alcuni dei limiti che gravano su tale figura: l’iniziativa spetta ai membri potenziali, i
quali notificano l’intenzione di partecipare a un Gruppo agli Stati di appartenenza. Questi ultimi
possono negare la partecipazione soltanto a determinate condizioni (in particolare nel caso
contrasti con il regolamento 1082/2006 o con la relativa legislazione nazionale o per motivi di
interesse pubblico od ordine pubblico). Una volta ottenuta l’approvazione statale, i membri
potenziali approvano la convenzione e lo statuto42, cui seguono i passaggi relativi all’acquisizione
della personalità giuridica e alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (cfr. art. 5).
Fondamentale è la previsione che gli Stati membri possano vietare le attività di un Gruppo nel
proprio territorio qualora contrasti con l’interesse pubblico, potendo altresì richiedere ai membri
rientranti nella propria giurisdizione di recedere da tale Gect nel caso le attività in questione
perdurino. Tuttavia, i divieti menzionati non possono rappresentare uno strumento per limitare
in modo arbitrario o indiretto l’attività dei Gect (art. 13).
A questi profili comuni se ne aggiungono altri in base ai quali i Gruppi possono differenziarsi
notevolmente gli uni dagli altri. Per quanto riguarda la composizione, infatti, possono partecipare
a un Gect gli Stati membri, le autorità regionali e locali, gli organismi di diritto pubblico ex art. 1,
paragrafo 9 della direttiva 2004/18/CE e le associazioni di organismi che rientrano in tali
categorie (art. 3). Secondo quanto affermato al considerando 16 del regolamento, inoltre, la
presenza di entità appartenenti a Stati terzi in un Gect non è esclusa qualora la legislazione del
CARREA, La disciplina del Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) tra diritto dell'Unione europea, autonomia statutaria e diritto internazionale privato: un tentativo di sintesi, in Diritto del commercio internazionale, vol. 26, n. 3, 2012, p. 611 ss. 41 Il regolamento 1082/2006 ha preceduto l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con il quale è stata aggiunta una dimensione territoriale alla politica di coesione europea. Nel regolamento 1302/2013, il riferimento alla coesione territoriale è stato così reso esplicito. 42 Il riferimento allo statuto è stato eliminato dal regolamento 1302/2013.
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Paese terzo o gli accordi interstatali tra i Membri dell’Ue e i Paesi terzi lo consentano43. Con
specifico riguardo alla partecipazione statale, vale la pena evidenziare come questa rappresenti
un’importante novità nel campo della cooperazione territoriale, poiché negli strumenti
predisposti dal Consiglio d’Europa prima dell’adozione del terzo Protocollo addizionale alla
Convenzione di Madrid, il coinvolgimento attivo degli Stati è escluso, con ciò circoscrivendo la
cooperazione territoriale a una dimensione essenzialmente locale e regionale.
Altro elemento di differenziazione è dato dalle fonti che ne disciplinano il funzionamento, vale a
dire il regolamento 1082/2006, la convenzione e gli statuti adottati dai membri costitutivi44 e il
diritto dello Stato in cui il Gruppo ha la sede sociale (art. 2).
Infine, altro, rilevante, profilo di diversificazione è offerto dalle funzioni esercitate: i Gect
agiscono nei limiti dei compiti loro conferiti dai membri costitutivi, per promuovere la
cooperazione territoriale ai fini del rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale
dell’Unione, nel rispetto delle competenze che spettano ai membri in base alle rispettive
legislazioni statali. In questo senso i compiti dei Gect riguardano innanzitutto l’attuazione di
programmi o di operazioni finanziate dall’Ue a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale,
del Fondo sociale europeo e del Fondo di coesione, potendo comunque realizzare azioni
specifiche di cooperazione territoriale con o senza il sostegno finanziario dell’Unione. Sempre
con riferimento al profilo competenziale, va sottolineato come gli Stati membri, a determinate
condizioni, possano limitare i compiti realizzati dai Gect senza il sostegno finanziario
dell’Unione. Infine, i compiti non possono riguardare, salvo quanto diversamente disposto,
l’esercizio dei poteri conferiti dal diritto pubblico o dei doveri volti a tutelare gli interessi generali
dello Stato (o di altre autorità pubbliche), quali i poteri di polizia, di regolamentazione, la giustizia
e la politica estera (art. 7).
L’introduzione dei Gect ha aperto interessanti opportunità per l’istituzionalizzazione della
cooperazione territoriale in Europa, specialmente se si considera la possibilità della
partecipazione statale, l’obbligatorietà della personalità giuridica e, più in generale, la diretta
applicabilità del regolamento negli Stati membri. Con riguardo a quest’ultimo profilo, va ricordato
che diversi Stati dell’Ue, pur essendo membri del Consiglio d’Europa, non hanno ratificato i
Protocolli addizionali alla Convenzione di Madrid (alcuni addirittura la Convenzione stessa), con
43 Come si vedrà nel prossimo paragrafo, le categorie di soggetti che possono partecipare a un Gect sono state ampliate e specificate dal regolamento 1302/2013: oltre a prevedere la partecipazione di altri enti pubblici e privati, ha infatti disciplinato nel dettaglio la partecipazione degli organismi extra Ue. 44 Vd. Quanto detto alla nota 40.
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ciò precludendo la creazione degli organismi per la cooperazione transfrontaliera e
interterritoriale previsti nei primi due Protocolli e dei Gruppi euroregionali di cooperazione
disciplinati invece nel terzo Protocollo addizionale45.
Alla luce delle importanti novità introdotte con il Trattato di Lisbona, il quale ha aggiunto una
dimensione territoriale alla politica di coesione europea, accanto a quelle economica e sociale46, la
disciplina sui Gect ha fornito una precisa collocazione alle euroregioni e agli organismi simili
all’interno della politica regionale europea, elevando la cooperazione territoriale ad elemento
fondante del processo d’integrazione europea.
L’adozione del regolamento e le recenti modifiche che a questo sono state apportate (e sulle quali
ritorneremo nelle prossime pagine), segnano un’ulteriore passo nel senso della convergenza tra gli
strumenti predisposti in tema di cooperazione territoriale dal Consiglio d’Europa e dall’Unione
europea e testimoniano del passaggio da una cooperazione geograficamente e funzionalmente
limitata a una collaborazione istituzionalizzata e orientata al coordinamento di politiche e strategie
sovrastatali. Un dato, questo, confermato dall’emergere della “macroregione” quale nuovo
strumento per il rafforzamento della cooperazione territoriale europea47.
Per quanto riguarda la normativa sui Gect, a fine 2013 la quasi totalità degli Stati membri,
compresa la Croazia (entrata nell’Ue nel luglio dello stesso anno), ha provveduto a darne concreta
attuazione, di modo che, nello stesso periodo di riferimento, potevano contarsi 45 Gruppi
comprensivi di circa 750 enti territoriali appartenenti a venti Stati membri e 16 Gruppi in via di
formazione.
In base al monitoraggio periodicamente condotto dal Comitato delle Regioni sullo stato di
attuazione dei Gect48, i Gruppi finora creati si trovano principalmente nell’Europa centrale e sono
stati pensati per ricondurre programmi e progetti precedentemente avviati nell’ambito di strutture
istituzionali ben definite. Ciononostante, la tendenza è nel senso di una crescita del numero di
45 Sul punto cfr. L. COEN, La cooperazione territoriale come risorsa economica, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 2, 2009, p. 281 ss. 46 Sul punto si rinvia alla nota 25. 47 Tale tendenza trova peraltro un’esplicita conferma nel regolamento 1302/2013 in cui, al considerando 19, si sostiene che “è opportuno estendere lo scopo di un Gect per comprendere l’agevolazione e la promozione della cooperazione territoriale in generale […] contribuendo in tal modo alla strategia Europa 2020 o all’attuazione di strategie macroregionali. […]”. Sul punto cfr. D. STRAZZARI, op. cit., p. 175; L. BERIONNI, La strategia macroregionale come nuova modalità di cooperazione territoriale, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 3, 2012, p. 727 ss.; N. BELLINI – U. HILPERT (a cura di), Europe’s Changing Geography. The Impact of Inter-regional Networks, Abingdon, Routledge, 2013. 48 Per un’approfondita analisi sulla diffusione dello strumento dei Gect cfr. UNIONE EUROPEA –
COMITATO DELLE REGIONI, EGTC Monitoring Report 2013. Towards the New Cohesion Policy, Lussemburgo, 2014.
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Gruppi composti da enti territoriali dell’Europa orientale, in particolare di quelli ungheresi e, non
da ultimo, di quelli Croati: l’adesione della Croazia – secondo il Comitato delle Regioni – ha
aperto una nuova fase per lo sviluppo dei Gect, a conferma dello stretto rapporto che lega gli
allargamenti dell’Unione con l’evoluzione degli strumenti per la cooperazione territoriale. La
maggior parte dei Gruppi, inoltre, è diretta allo sviluppo della cooperazione locale, ma non
mancano esempi di cooperazione locale-regionale o multilivello. Sotto al profilo tematico, i Gect
agiscono in diversi settori, principalmente nel campo dei trasporti e delle infrastrutture, del
turismo, dell’imprenditoria, della cultura e delle start-up, nonché in materia ambientale,
energetica49 e dell’istruzione. In questo senso, l’ambito di operatività dei Gruppi dipende, in
ultima analisi, dalle competenze esercitate dai membri nei rispettivi Stati di appartenenza, dalle
condizioni socio-economiche delle aree coinvolte e, non da ultimo, dall’esperienza concretamente
acquisita nella realizzazione dei progetti e dei programmi di cooperazione. Ciò che non esclude
che la cooperazione territoriale possa estendersi in futuro anche a quei settori, quali la fiscalità,
tradizionalmente esclusi dalle relazioni transfrontaliere: com’è stato rilevato, infatti, la creazione di
nuovi spazi territoriali economicamente e socialmente omogenei rappresenta il presupposto per il
rafforzamento dei legami in molteplici ambiti d’intervento tra territori tagliati dai confini statali50.
Nonostante l’importanza di questi dati, bisogna comunque rilevare come la disciplina sui Gect
non abbia risolto i persistenti problemi che la cooperazione tra enti infrastatali ha affrontato nel
tempo, in particolare quello della sovrapposizione e del concorso di molteplici ordinamenti
giuridici. La normativa predisposta, infatti, garantisce un rilevante intervento statale in ordine al
concreto dispiegamento della cooperazione territoriale, attraverso il rimando al diritto degli Stati
membri oppure alla possibilità che le autorità statali limitino la partecipazione ai Gect dei propri
enti territoriali per questioni di “interesse pubblico”, fattispecie questa che inevitabilmente si
presta a valutazioni di natura politica51.
Del resto, diverse disposizioni del regolamento 1082/2006 non hanno tardato a suscitare dubbi e
critiche già all’indomani dell’approvazione: basti qui ricordare il menzionato ricorso all’art. 159,
49 Ambiente ed energia, specie se declinate nell’ottica dello sviluppo sostenibile, rappresentano peraltro ambiti d’intervento in cui la cooperazione territoriale può svolgere un ruolo determinante nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello sovrastatale per contrastare il riscaldamento globale. Sul punto cfr. M. ONIDA, Particolarità dell’ambiente alpino e cooperazione transfrontaliera: il caso della Convenzione delle Alpi, IN F. CORTESE – F. GUELLA – G. POSTAL, La reolamentazione della produzione delle rinnovabili nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Sistemi giuridici comparati, dal livello sovrastatale al locale, Cedam, Padova, 2013, p. 185 ss. 50 Cfr. F. PALERMO, op. cit., pp. 273-275. 51 Cfr. l’art. 4, comma 3, del regolamento 1082/2006, come modificato dal regolamento 1302/2013.
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comma 3, del TCE (oggi art. 175, comma terzo, del TFUE) quale valida base giuridica per
l’adozione del regolamento oppure l’assenza di norme di dettaglio sulla partecipazione ai Gect di
organismi appartenenti a Stati terzi52.
Le difficoltà incontrate nell’attuazione del regolamento 1082/2006 hanno quindi spinto le
istituzioni europee ad introdurre alcune rilevanti modifiche al regolamento 1082/2006, al fine di
facilitare la creazione e il funzionamento dei Gruppi nonché di chiarire alcune disposizioni vigenti
suscettibili di un’attuazione differenziata nei vari ordinamenti statali.
7. Segue: le modifiche introdotte dal regolamento (UE) n. 1302/2013 al regolamento (CE)
n. 1082/2006.
In occasione della programmazione dei fondi strutturali per 2014-2020, all’interno del nuovo
pacchetto legislativo per la coesione53 è stato quindi adottato il regolamento (UE) 1302/2013 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 che modifica il regolamento
1082/2006 e che si applica a partire dal 22 giugno 2014.
Al fine di favorire la diffusione di nuovi Gect garantendo il funzionamento di quelli esistenti, gli
emendamenti preservano la disciplina preesistente, adeguandola alle nuove sfide poste dalla
coesione territoriale a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona54.
Quest’ultimo, infatti, oltre a rendere necessarie alcune modifiche terminologiche (la sostituzione
del termine “Comunità” con quello di “Unione”), ha arricchito la politica di coesione economica
e sociale di una dimensione territoriale. In questo senso, rispetto alla regolamentazione
precedente, la nuova disciplina sui Gect sembrerebbe adottare un approccio meno restrittivo nei
confronti della cooperazione territoriale: ad esempio, all’articolo 1, comma 2, del regolamento
1082/2006, che chiarisce la natura dei Gect, l’agevolazione e la promozione della cooperazione
territoriale ai fini del rafforzamento della coesione economica, sociale (e territoriale) dell’Unione,
passa ad essere da obiettivo esclusivo a fine particolare degli stessi 55 . Si trattata, invero, di una
modifica più formale che sostanziale, ma comunque rappresentativa di una maggiore apertura
verso il fenomeno della cooperazione territoriale.
52 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale – Gect, cit., p.130 ss.; M. VELLANO, op. cit., p. 161 ss. 53 Per un’analisi sulla nuova politica di coesione per il 2014-2016 cfr. M. VELLANO, op. cit., p.113 ss. 54 Sulle modifiche apportate dal regolamento 1302/2013 alla disciplina sui Gect cfr. UNIONE EUROPEA –
COMITATO DELLE REGIONI, EGTC Monitoring Report 2013. Towards the New Cohesion Policy, cit., p.127 ss. 55 Cfr. la vecchia formulazione dell’art. 1, comma 2, del regolamento 1082/2006, con la nuova formulazione introdotta dall’art. 1.1. del regolamento 1082/2006.
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Entrando più nello specifico, la nuova normativa chiarisce e precisa le fonti che disciplinano i
Gect: in particolare, rispetto alla disciplina precedente, elimina il riferimento agli statuti, nel
tentativo di differenziare maggiormente la portata di questi (che disciplinano gli elementi
applicativi dei Gruppi) dalle convenzioni (che ne stabiliscono invece gli elementi costitutivi).
Arricchisce la categoria di soggetti che possono prendere parte a un gruppo, ricomprendendo,
oltre agli Stati membri, alle autorità regionali e locali e agli organismi di diritto pubblico, anche le
autorità a livello nazionale, le imprese pubbliche come previste dall’art. 2, paragrafo 1, lettera b)
dalla direttiva 2004/17/CE e le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale: in
questo modo, la partecipazione viene estesa ad altri soggetti di diritto pubblico o privato.
Vengono inoltre previste modifiche sostanziali alla disciplina che regola l’istituzione e le eventuali,
successive modifiche dei Gruppi: in particolare, viene introdotto in capo agli Stati l’obbligo di
motivare il rifiuto a partecipare al Gect nei confronti dei membri potenziali soggetti alla propria
giurisdizione. Sintomatico del regime di maggior favor che ha accompagnato la nuova disciplina è
anche la previsione del silenzio-assenso nella fase istitutiva del Gect: se entro sei mesi dalla data
in cui un membro potenziale notifica al proprio Stato l’intenzione di partecipare a un Gruppo lo
Stato non solleva obiezioni, la partecipazione si considera approvata.
Oltre ad interventi relativi al regime di pubblicità e ai contenuti degli statuti e delle convenzioni
che reggono il funzionamento dei Gect, viene approfondito il regime di responsabilità di questi
ultimi e ne vengono estesi i compiti: in particolare, oltre all’agevolazione della cooperazione
territoriale, nella nuova disciplina i Gect risultano essere funzionali al superamento degli ostacoli
del mercato interno56. Resta fermo che i Gruppi eseguono i compiti affidatigli dai suoi membri,
compiti che debbono rientrare nelle competenze spettanti a questi ultimi in base alle legislazioni
nazionali di appartenenza, salvo che, ed è questa una novità ascrivibile al regolamento 1302/2013,
lo Stato membro (o, se nel caso, lo Stato terzo) approvi la partecipazione di un proprio membro
anche se non competente per tutti i compiti assegnati al Gruppo.
Importanti sono infine le disposizioni riguardanti la partecipazione di Stati terzi e di Paesi o
Territori d’oltremare (i c.d. PTOM). La nuova disciplina chiarisce nel dettaglio le modalità e le
condizioni di tale partecipazione. Così, i Gruppi possono essere formati da membri situati nel
territorio di almeno due Stati dell’Ue e di uno o più Paesi terzi limitrofi, a condizione che tali Stati
siano legati da iniziative di cooperazione territoriale o attuino programmi finanziati dall’Unione.
56 A specifico riguardo cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, The European Groupings of Territorial Cooperation and the Single Market, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali della UE, Lussemburgo, 2014.
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Alle stesse condizioni, un Gect può essere formato da membri situati nel territorio di almeno due
Stati dell’Ue e di uno o più PTOM, con o senza membri di uno o più Paesi terzi. I Gect, inoltre,
possono essere formati da membri di un solo Stato membro e di uno o più Paesi terzi limitrofi, a
condizione che il Gect sia coerente con l’obiettivo della cooperazione territoriale dello Stato
membro o delle relazioni bilaterali con i paesi terzi interessati. Analogamente e alle stesse
condizioni, possono esserci Gruppi composti da membri di un solo Stato membro e di uno o più
PTOM, con o senza membri di uno o più Pesi terzi, fermo restando che un Gect non può essere
costituito solo tra membri di uno Stato Ue e di uno o più PTOM legati a quello stesso Stato
membro. La possibilità che in un Gect siano presenti, tra gli altri, membri di un solo Stato
membro, rappresenta un’importante novità, non contemplata dalla precedente disciplina in base
alla quale i Gruppi erano composti da membri situati nel territorio di almeno due Stati membri
(cfr. l’art. 3, comma 2, del regolamento 1082/2006).
Le modifiche introdotte dal regolamento 1302/2013 alla disciplina sui Gect e qui brevemente
riassunte, segnano un’ulteriore tappa per il rafforzamento della cooperazione territoriale in
Europa e confermano la tendenza ad inquadrare la collaborazione tra gli enti territoriali europei
all’interno di politiche macroregionali, pur preservandone e garantendone un certo grado di
autonomia e spontaneità. Com’è stato evidenziato dal Comitato delle Regioni, sebbene gran parte
dei Gruppi agiscano in una dimensione locale e regionale, il loro sviluppo può contribuire
notevolmente alla realizzazione della Strategia Europa 2020, con particolare riguardo ai settori
dell’energia, della gestione dei rifiuti e delle politiche di occupazione giovanile57.
8. Alcune considerazioni sulla complementarietà tra i Gec e i Gect.
L’adozione dei due strumenti analizzati è stata dettata da esigenze analoghe, e cioè il superamento
degli ostacoli posti dal concorso di molteplici ordinamenti sulla disciplina della cooperazione
territoriale. Naturalmente, molteplici sono le differenze che intercorrono tra le due relative
discipline, differenze che si giustificano, innanzitutto, alla luce delle caratteristiche distintive dei
due ordinamenti in cui tali discipline sono state elaborate. Ciononostante, molti sono i punti di
contatto, o meglio di convergenza, tra le due figure, specialmente a seguito dell’adozione del
regolamento 1302/2013.
Limitandoci agli aspetti più rilevanti, emerge innanzitutto come sia il Protocollo, sia i due
regolamenti europei, tentano di ricondurre la cooperazione territoriale all’interno di strutture ben
57 Cfr. UNIONE EUROPEA – COMITATO DELLE REGIONI, EGTC Monitoring Report 2013. Towards the New Cohesion Policy, cit., p. 109 ss.
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definite, garantendo al tempo stesso un certo grado di flessibilità e di spontaneità a favore dei
membri costitutivi. L’obiettivo del rafforzamento della cooperazione territoriale, inoltre, è
prioritario in ambo gli strumenti, per quanto i Gect, nonostante le modifiche ex regolamento
1302/2013, siano legati al fine particolare del rafforzamento della coesione economica, sociale e
territoriale dell’Unione58.
Per quanto riguarda la natura giuridica, tanto i Gec quanto i Gect sono dotati della personalità
giuridica, godendo pertanto di un certo grado di “autonomia” rispetto ai membri costitutivi.
Maggiori differenze si riscontrano nel diritto applicabile, differenze peraltro riconducibili ai
diversi effetti che la normativa discendente dai due ordinamenti considerati producono all’interno
dei rispettivi Stati membri.
Significative analogie si riscontrano invece nell’iter procedurale per la loro istituzione, riassumibili
nell’obbligo di comunicazione previa dai parte dei membri interessati alle rispettive autorità
nazionali competenti, nella possibilità che queste ultime neghino l’approvazione, fermo restando
l’obbligo di motivazione del rifiuto, per contrasto con il Protocollo o il regolamento o con la
normativa statale nonché per motivi di “interesse pubblico”. A ciò si aggiunge la facoltà, sempre
in capo agli Stati, di limitare la partecipazione ai Gruppi di determinate categorie di enti
(Protocollo addizionale) o nel caso di attività contrarie all’“interesse pubblico” statale
(regolamento 1082/2006 come emendato dal regolamento 1302/2013)
Per quanto riguarda la composizione, si è detto come le categorie di soggetti che possono
prendere parte ai Gect sia stata notevolmente ampliata e chiarita con il regolamento 1302/2013.
A ciò si aggiunge che, sebbene il terzo Protocollo addizionale ricomprenda un’ampia categoria di
soggetti privati – elemento, questo, di non poco conto, se si considera il valore aggiunto che tali
attori possono fornire in termini di rafforzamento della cooperazione territoriale – la preminenza
della composizione “pubblica” resta garantita dalle previsioni ex art. 3, commi 1 e 3, secondo cui
le persone giuridiche senza fine di lucro che perseguono interessi generali possono essere membri
a condizione che siano soggetti a controllo pubblico (in ordine al finanziamento, alla gestione
oppure alla nomina dei membri direttivi), fermo restando che la maggioranza dei diritto di voto
all’interno di un Gec sia assicurata alle comunità o autorità territoriali che lo compongono.
Sulla presenza di organismi di Stati terzi, a seguito delle recentissime modifiche introdotte alla
disciplina sui Gect, le differenze che precedentemente potevano intercorrere tra le due normative
appaiono ridimensionate: in particolare, è ora contemplata la possibilità che un Gect sia
58 Vd., in particolare, l’art. 1 del Protocollo e l’art. 1 del regolamento come recentemente modificato.
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composto, a determinate condizioni, anche da membri situati all’interno di un solo Stato
membro, possibilità, questa precedentemente esclusa dal regolamento 1086/2006.
Analogamente, sotto il profilo funzionale, un ulteriore avvicinamento è stato reso possibile dalle
novità apportate dal regolamento 1302/2013 sui compiti assegnati ai Gect. Fermo restando che le
due categorie di Gruppi esercitano le funzioni loro assegnate dai membri costitutivi, nel rispetto
delle competenze esercitate secondo gli ordinamenti statali di appartenenza, le funzioni dei Gect
non sono più finalizzate alla sola agevolazione e promozione della cooperazione territoriale ai fini
del rafforzamento della cooperazione territoriale e quindi, all’attuazione di programmi e progetti
di cooperazione territoriale cofinanziati dall’Unione. Del resto, la prassi finora sperimentata ha
evidenziato come i Gect inizialmente creati non abbiano partecipato ai programmi finanziati
dall’Ue.
In definitiva, i due strumenti vanno considerati complementari, nonostante le differenze che
inevitabilmente li separano. Peraltro, come si è detto, non tutti gli Stati membri del Consiglio
d’Europa fanno parte dell’Unione europea (mentre tutti gli Stati dell’Ue sono membri del
Consiglio d’Europa).
L’adozione dei due strumenti segna pertanto un ulteriore avvicinamento tra i due ordinamenti in
materia di cooperazione territoriale, a testimonianza del continuo dialogo che intercorre tra le due
organizzazioni regionali. La stesura del terzo Protocollo è stata, lo si è detto, riorientata al fine di
rendere la relativa normativa compatibile con quella dell’Ue. Al tempo stesso, evidenti sono le
analogie che il regolamento 1302/2013 introduce nella disciplina dei Gect rispetto a quella sui
Gec.
Da quanto detto sinora, è possibile infine sviluppare alcune delle considerazioni precedentemente
anticipate sulla portata delle euroregioni. A prescindere dagli elementi che si vogliano assumere
quali contenuti tipici e distintivi di tali strutture, queste non segnano la nascita di un nuovo livello
di governo europeo, rappresentando piuttosto una tappa nella ristrutturazione dei processi
decisionali europei indotta dal processo d’integrazione europea59. In questo senso, l’euroregione
può essere intesa come una piattaforma per il coordinamento di politiche e strategie
transnazionali, nonché come un utile modello d’integrazione verticale e orizzontale60. Al tempo
stesso l’euroregione, specialmente nella veste del Gect, si conforma come un modello
59 Cfr. M. PERKMANN – N. SUM (a cura di), op. cit, p. 103 ss. 60 M. MORELLI, La democrazia partecipativa nella governance dell’UE, Giappichelli, Torino, 2011, p. 166 ss.
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istituzionale che va oltre il mero ampliamento oltre i confini statali dell’ambito di operatività degli
enti territoriali coinvolti61.
9. La cooperazione territoriale nell’ordinamento italiano: premessa.
Si è detto che le forme della cooperazione territoriale variano notevolmente secondo l’area
geografica considerata, in ragione del grado di apertura delle frontiere, dell’atteggiamento degli
Stati verso un fenomeno che trascende i propri confini territoriali e delle spinte provenienti dagli
attori regionali e locali interessati a rafforzare le relazioni con gli omologhi stranieri.
In Europa, la cooperazione territoriale ha raggiunto uno sviluppo e un’intensità che non si
riscontrano altrove, favorita da un federalizing process che, pur gravato da ostacoli e rallentamenti, si
è sviluppato grazie alla condivisione di un insieme di tradizioni costituzionali comuni alla maggior
parte degli Stati.
Come abbiamo visto nel corso dell’esposizione, sul successo della cooperazione transeuropea ha
inciso innanzitutto l’attività realizzata dal Consiglio d’Europa e dall’Unione europea: la
convergenza della normativa predisposta rispettivamente dalle due organizzazioni ha aperto
importanti opportunità in materia a favore degli enti territoriali europei. Al tempo stesso, gli
strumenti di matrice internazionale o comunitaria molto rimandano agli ordinamenti interni in
ordine alla concreta realizzazione della cooperazione territoriale, garantendo un’incisiva presenza
statale attraverso le clausole dell’“ordine pubblico” o dell’“interesse pubblico”. Appare allora
evidente come lo sviluppo della cooperazione territoriale dipenda altresì dal comportamento che
gli Stati adottano nei confronti di un’attività che investe più o meno direttamente la loro politica
estera, dal momento che coinvolge porzioni del proprio territorio in attività che si svolgono
altrove ovvero nella misura in cui tali attività, pur realizzandosi all’interno dei propri confini,
vedono la partecipazione di enti od organismi stranieri.
In questo senso, diversi sono i fattori generalmente individuati alla base della posizione statale
sulla cooperazione territoriale, quali il tipo di organizzazione territoriale dello Stato, la
giurisprudenza delle corti costituzionali, la natura e le caratteristiche delle relazioni
intergovernative nonché la presenza di minoranze “nazionali” all’interno dei confini statali62.
61 Cfr. A. ENGL – C. ZWILLING, Il Gect “Euregio Tirolo-Alto Adige/Südtirol-Trentino”: il quadro giuridico di riferimento tra dimensione domestica e internazionale, in F. PALERMO – S. PAROLARI – A. VALDESALICI (a cura di), Federalismo fiscale e autonomie territoriali: lo stato dell’arte nell’Euroregio Tirolo – Alto Adige/Südtirol – Trentino, Cedam, Padova, 2013, p. 17. 62 Cfr. D. STRAZZARI, op. cit., p. 175 ss.
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La cooperazione territoriale in Europa ha assunto forme differenti a seconda del contesto statale
preso a riferimento. Se alcuni Stati non si sono opposti alla realizzazione di attività transnazionali
da parte dei propri enti territoriali, ma anzi l’hanno incoraggiata, altri, al contrario, si sono
dimostrati estremamente restii e gelosi verso le proprie prerogative estere. E’ questo il caso
dell’Italia, in cui, al contrario di quanto avvenuto nei Paesi confinanti, non solo l’attivismo estero
delle Regioni e degli enti locali è stato riconosciuto solo lentamente da parte del legislatore statale
e del Giudice delle leggi, ma le stesse opportunità offerte dal diritto internazionale sono state
recepite solo parzialmente, venendo, peraltro, gravate da numerosi vincoli e limitazioni.
Tale differente atteggiamento nei confronti della cooperazione territoriale non è elemento di
poco conto: difatti, se enti infrastatali appartenenti a Paesi differenti non hanno gli stessi
strumenti per cooperare gli uni con gli altri, la cooperazione territoriale risulta fortemente
limitata63.
9.1. La cooperazione internazionale delle autonomie territoriali nell’ordinamento italiano:
il “potere estero” regionale (e locale) a seguito della riforma del Titolo V della
Costituzione.
Per quanto riguarda l’Italia, l’analisi della cooperazione internazionale delle autonomie territoriali
rientra nel più ampio tema del cosiddetto “potere estero” regionale (e locale), materia questa che,
a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, ha trovato un’esplicita disciplina
costituzionale, in particolare all’art. 117, comma 9.
Prima della novella del 2001, infatti, non esistevano espresse previsioni costituzionali sullo
svolgimento di attività internazionali da parte degli enti regionali e locali. Nel silenzio della
Costituzione, tanto il legislatore statale quanto la Corte costituzionale riconducevano qualsiasi
tipologia di attività internazionale (comprese quelle poste in essere dalle Regioni), nell’ambito del
“potere estero”, materia questa riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. In
questo modo, sebbene fosse pacifico che il potere estero conformasse un ambito competenziale
di esclusiva spettanza statale, coerentemente con il principio di unità e indivisibilità della
Repubblica sancito all’art. 5 della Costituzione, ciò si traduceva in una forte compressione
dell’autonomia locale garantita nel medesimo articolo, nel momento in cui il potere estero
assicurava un canale attraverso cui lo Stato interveniva in materie di spettanza regionale e locale.
63 Cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 77.
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Successivamente, a partire dagli anni settanta, con l’attuazione delle Regioni ordinarie e
parallelamente al rilancio del processo d’integrazione europea, l’ordinamento italiano ha
sperimentato una crescente apertura verso l’attivismo internazionale delle Regioni, culminata
nella “riforma Bassanini” avviata con la legge 15 marzo 1995, n. 59. Alla vigilia della riforma del
Titolo V, le Regioni potevano così porre in essere, conformemente al principio di leale
collaborazione, “attività promozionali all’estero”, per le quali era prevista la previa intesa con il
Governo, e “attività di mero rilievo internazionale”, per le quali, a seconda della rilevanza, era
invece prevista la previa comunicazione al Governo ovvero nessun adempimento formale nei
confronti di quest’ultimo64. Si trattava di un sistema articolato, risultante dal dialogo a distanza
intrattenuto dal legislatore statale con il giudice costituzionale e complicato dall’intervento della
normativa di matrice internazionale e comunitaria nel frattempo adottata in materia.
La normativa vigente in Italia prima e dopo la riforma del Titolo V è stata arricchita dalla ratifica
ed esecuzione della Convenzione di Madrid (per mezzo della legge 19 novembre 1984, n. 948) e,
più recentemente, dall’effettiva attuazione del regolamento 1082/2006 (per mezzo della legge 7
luglio 2009, n. 88). Ci troviamo di fronte a un quadro giuridico complesso che, ciononostante,
deve essere letto in conformità con le novità introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3, di modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di potere estero
regionale (in particolare l’art. 117, comma 9 e le altre disposizioni sui rapporti internazionali,
come quelle contenute negli artt. 10, 11, 80 e 87) e, conseguentemente, con la relativa normativa
di attuazione (leggi 131/2003 e 234/2012, quest’ultima abrogativa della legge 11/2005)65.
Per quanto riguarda la riforma costituzionale del 2001, l’art. 117, comma 9, della Costituzione
(come modificato dalla legge costituzionale 3/2001) stabilisce che “nelle materie di sua
competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad
altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”. I “casi” e le “forme” con cui
le autonomie regionali possono concludere “accordi” con Stati stranieri e “intese” con enti
territoriali interni a questi ultimi sono stati quindi disciplinati dalla legge 5 giugno 2003, n. 131
64 Sulla disciplina precedente alla riforma del Titolo V cfr. F. SALERNO, La partecipazione regionale al potere estero nell’evoluzione costituzionale, in Rivista di diritto internazionale, 1982, p. 505 ss; F. PALERMO, Titolo V e potere estero delle Regioni. I vestiti nuovi dell’Imperatore, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 5, 2002, p. 709 ss.; M. R. ALLEGRI, op. cit., p. 210 ss. 65 Per un approfondito esame del “potere estero” regionale cfr. O. SPATARO, Il potere estero delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione. Impostazioni teoriche e problemi interpretativi, in federalismi.it, nn. 23 e 24, 2007; A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e “potere estero” delle Regioni (notazioni di ordine metodico-ricostruttivo), in federalismi.it, 2002; R. DICKMANN, Il “potere estero” delle regioni e delle province autonome, in B. CARAVITA (a cura di), I processi di attuazione del federalismo in Italia, Giuffrè, Milano, 2004, p. 179 ss.
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(c.d. legge “La Loggia”), che ha dato attuazione alle novità introdotte con la legge costituzionale
3/2001.
In base all’art. 6, comma 2, della legge La Loggia, le Regioni e le Province autonome, nelle
materie di propria competenza legislativa, possono concludere intese con enti infrastatali stranieri
al fine di favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale o di realizzare attività di mero
rilievo internazionale.
Tale facoltà, oltre ai vincoli soggettivi, materiali e funzionali, è soggetta a limiti di natura
procedurale e sostanziale: prima della firma, infatti, le Regioni e le Province autonome devono
darne comunicazione al Dipartimento per gli affari regionali presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri e al Ministero degli affari esteri, ai fini di eventuali osservazioni da parte di questi
ultimi e dei Ministeri competenti, osservazioni che possono essere formulate entro trenta giorni,
decorsi i quali le Regioni e le Province autonome possono sottoscrivere l’intesa. In questo caso,
non possono esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato né assumere impegni dai
quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che siano lesivi degli interessi dei soggetti
di cui all’art. 114, comma 1, della Costituzione (vale a dire Comuni, Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato).
L’art. 6, comma 3, prevede invece che, sempre nelle materie di propria competenza, le Regioni e
le Province autonome possono concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di
accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, accordi di natura tecnico-amministrativa,
oppure accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale
e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario,
dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle
materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei principi fondamentali dettati
dalle leggi dello Stato. In questo caso, maggiori sono i limiti che gravano sulla conclusione di un
accordo: le Regioni (e le Provincie autonome) devono dare tempestiva comunicazione delle
trattative al Ministero degli affari esteri e al Dipartimento per gli affari regionali presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri, i quali, a loro volta, ne danno comunicazione ai Ministeri
competenti. Il Ministero degli affari esteri può indicare i “principi” e i “criteri” da seguire nella
fase negoziale e, nel caso in cui i negoziati avvengano all’estero, è previsto il coinvolgimento delle
rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari italiani competenti, previa intesa con la
Regione o con la Provincia autonoma interessata. Queste ultime, inoltre, prima di sottoscrivere
l’accordo, devono comunicare il relativo progetto al Ministero degli affari esteri, il quale, una
volta sentito il Dipartimento per gli affari regionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri
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ed accertata l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo, conferisce i pieni poteri di firma
previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata e resa esecutiva con la legge 12 febbraio 1974, n. 112.
Il potere di concludere accordi e intese è ulteriormente limitato nella misura in cui, sempre
secondo quanto dispone l’art. 6 della legge 131/2003, il Ministro degli affari esteri può
rappresentare alle Regioni o alle Province autonome questioni di opportunità in relazione agli
indirizzi di politica estera dello Stato e, in caso di dissenso, sentito il Dipartimento per gli affari
regionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, può demandare la questione al Consiglio
dei ministri che, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato,
delibera sulla questione.
Inoltre, in caso di violazione degli accordi, fermo restando il regime di responsabilità delle
Regioni verso lo Stato, possono attivarsi i poteri sostitutivi statali previsti nell’articolo 120 della
Costituzione e disciplinati all’art. 8 della legge La loggia.
Infine, con specifico riferimento agli enti locali, la normativa fin qui analizzata prevede che i
Comuni, le Province e le Città metropolitane, possano svolgere attività di mero rilievo
internazionale nelle materie loro attribuite, comunicando alle Regioni competenti, al
Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri nonché al
Ministero degli esteri, ogni iniziativa avviata in tal senso66.
La disciplina del potere estero regionale e locale, qui solo brevemente richiamata, non ha mancato
di sollevare numerosi dubbi interpretativi, in relazione anche alle importanti aperture che la
riforma del Titolo V ha operato a favore delle autonomie territoriali, dubbi solo in parte chiariti
dalla Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della normativa
di attuazione della riforma del 200167.
All’indomani della novella costituzionale, infatti, la dottrina, si è ampliamente occupata della
distinzione tra le due categorie di atti contemplati, vale a dire gli “accordi” e le “intese”,
soffermandosi in particolare sul potere di concludere accordi: parte della dottrina ha ritenuto
infatti che la stipula di un accordo consista nell’esercizio di un potere delegato dallo Stato,
contrariamente alla tesi sostenuta da altra parte della dottrina, e avallata dalla Corte costituzionale
66 Per un’analisi dell’attuazione dell’articolo 117, comma 9, della Costituzione da parte dell’art. 6 della legge La Loggia cfr. R. DICKMANN, Osservazioni in tema di limiti al “potere estero” delle Regioni e delle Province autonome alla luce del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione e della legge La Loggia, in federalismi.it, n. 3, 2003. 67 Com’è noto, la Corta costituzionale, con la sent. 18 luglio 2004, n. 238, ha riconosciuto la legittimità costituzionale delle disposizioni in materia di “potere estero” previste all’art. 6 della legge 131/2003. Per un’analisi della sentenza cfr. R. DICKMANN, La Corte costituzionale ed il “potere estero” delle regioni e delle province autonome, in federalismi.it, n. 16, 2004, p. 4 ss
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pur se con considerazioni non del tutto condivise68, secondo cui tale facoltà si conforma come un
potere originario in capo alle Regioni (e alle Province autonome) 69 . Tale diatriba è sorta in
considerazione delle differenti letture date alla disciplina costituzionale e alla relativa normativa di
attuazione con riguardo alla natura dei soggetti legittimati alla conclusione degli accordi (Regioni
e Province autonome italiane con Stati stranieri), alle numerose limitazioni previste sia sotto al
profilo sostanziale che procedurale e, soprattutto, alla previsione dell’istituto del conferimento dei
pieni poteri di firma e, quindi, al richiamo della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Altre criticità sono rappresentate dalle numerose limitazioni che gravano sulla conclusione degli
accordi e delle intese e, quindi, in ultima analisi, sulla capacità delle autonomie regionali e locali di
agire sul piano internazionale. In particolare, per quanto riguarda le intese, categoria questa che in
sostanza ricomprende le attività promozionali all’estero e le attività di mero rilievo internazionale
che le Regioni potevano realizzare anche prima della riforma costituzionale del 2001, le ingerenze
governative appaiono addirittura più stringenti di quelle previste dalla disciplina precedentemente
in vigore70.
In generale, può dirsi che il legislatore ordinario ha fornito un’interpretazione restrittiva delle
novità costituzionali introdotte in tema di potere estero regionale (e locale), riproponendo nella
sostanza, quando non limitandola ulteriormente, la disciplina che si era andata a formare prima
della riforma del Titolo V71.
Pertanto, la cooperazione territoriale delle Regioni e degli enti locali, compresa la partecipazione a
strutture quali le euroregioni o organismi simili, può realizzarsi nel quadro della disciplina sopra
delineata, la quale, tuttavia, appare formulata in termini incompleti72 . Per quanto riguarda le
Regioni e le Province autonome, queste possono operare nell’ambito degli accordi e delle intese
ex art. 6 della legge 131/2003, ferma restando la facoltà di porre in essere attività di mero rilievo
internazionale anche in assenza di intese. Gli enti locali, invece, possono agire nell’ambito delle
attività di mero rilievo internazionale (come previste all’art. 7 della legge 131/2003) o in relazione
agli accordi o alle intese cui siano parte le Regioni o le Province autonome73.
68 Ibidem. 69 Sul dibattito dottrinario cfr. M. R. ALLEGRI, op. cit., p. 224 ss. 70 Ivi, p. 232. 71 Ivi, p. 235 ss. 72 Cfr. R. DICKMANN, Appunti sulle prospettive della cooperazione transfrontaliera fra enti locali infraregionali, in federalismi.it, n. 14, 2006; L. COEN, La realizzazione dell’Euroregione: un percorso complesso per un progetto necessario, in AA.VV., Euroregione e cooperazione internazionale, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, 2006, p. 40 ss. 73 Cfr. R. DICKMANN, ult. op. cit.
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Alla luce dei numerosi limiti che circoscrivono le attività internazionali delle autonomie
territoriali, nonché dei dubbi interpretativi che ne accompagnano la relativa disciplina, converrà
allora volgere l’attenzione agli strumenti di derivazione internazionale e comunitaria,
evidenziando come questi ultimi si relazionano con il più generale quadro delineato con la
modifica del titolo V in materia di potere estero regionale e locale.
9.2. L’adattamento alla Convenzione di Madrid per mezzo della legge 19 novembre 1984,
n. 948.
Per quanto riguarda gli strumenti di matrice internazionale precedentemente incontrati, si è
anticipato come l’Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione di Madrid sulla
cooperazione transfrontaliera con la legge 19 novembre 1984, n. 984, al contrario dei tre
Protocolli addizionali che sono tuttora in attesa di ratifica74.
Sebbene la Convenzione di Madrid abbia aperto la strada verso il progressivo riconoscimento
della cooperazione territoriale a livello internazionale, il contributo in materia è stato tuttavia
limitato, tanto per le previsioni contemplate, che hanno carattere fondamentalmente
programmatico e che pertanto non riconoscono direttamente agli enti infrastatali il potere di
concludere accordi di cooperazione transfrontaliera, sia per le numerose limitazioni accordate agli
Stati parte nella concreta attuazione delle disposizioni previste75.
In base alla legge 948/1984, le “collettività”, “autorità” od “organismi” cui, in conformità con
l’art. 2, comma 2, della Convenzione76, l’Italia ha deciso di limitare il campo di applicazione di
quest’ultima, sono le Regioni, i Comuni, le Comunità montane, i Consorzi comunali e provinciali
di servizi e di opere.
74 Per quanto riguarda la Carta dell’autonomia locale, l’Italia l’ha ratificata e ne ha dato esecuzione con la legge 30 dicembre 1989, n. 439, mentre non ha ratificato il relativo Protocollo addizionale del 2009. Come ha chiarito la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla conformità di alcune disposizioni interne con la Carta (cfr. sent n. 325 del 2010), quest’ultima ha natura definitoria e programmatica, per cui, in generale, non impone obblighi precisi nei confronti delle Parti. Ciononostante, essendo uno strumento di diritto internazionale recepito nell’ordinamento italiano con legge ordinaria, conforma un limite alla potestà legislativa statale e regionale ex art. 117, comma 1, Cost., potendo così rappresentare un parametro idoneo ad orientare l’attività del legislatore e dell’interprete. 75 Sul punto cfr. M. FRIGO, op. cit., p. 698 ss; D. STRAZZARI, op. cit., p. 157 ss. 76 L’art. 2.2. della Convenzione recita, infatti, che: “Ai fini della presente Convenzione l’espressione «collettività o autorità territoriali» si riferisce alle collettività, autorità o organismi che esercitano funzioni locali e regionali e che sono considerati tali nel diritto interno di ciascuno Stato. Tuttavia, ogni Parte contraente può, al momento della firma della presente Convenzione o con successiva comunicazione al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, designare le collettività, autorità o organismi, gli oggetti e le forme ai quali essa intenda limitare il campo di applicazione o che essa intenda escludere dal campo di applicazione della presente Convenzione”.
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Tali enti, nell’avviare con omologhi stranieri progetti comuni transfrontalieri diretti al
rafforzamento e allo sviluppo dei rapporti di vicinato, possono stipulare “accordi” e “intese” a tal
fine, nel rispetto di una serie di limitazioni previste dal legislatore statale. Gli enti designati, infatti,
devono essere direttamente confinanti con quelli stranieri o comunque situati non oltre
venticinque chilometri dalla frontiera (secondo quanto previsto all’art. 4 della legge 948/1984).
Gli accordi e le intese, inoltre, possono essere concluse soltanto nel quadro di accordi bilaterali
stipulati dallo Stato italiano con gli Stati confinanti e indicanti le materie che possono formare
oggetto degli atti menzionati, senza che questi ultimi possano recare pregiudizio agli interessi
politici ed economici nazionali, della difesa e dell'ordine e della sicurezza pubblica (art. 3). Infine,
con specifico riguardo agli accordi, tale categoria di atti deve essere adottata soltanto previa intesa
col Governo o con gli organi periferici da questo delegati (art. 5).
In conformità con quanto stabilito all’art.3, comma 2, della Convenzione di Madrid, che, come si
è visto, garantisce agli Stati parte di subordinare la conclusione degli accordi e delle intese alla
previa stipula di accordi interstatali, l’Italia ha quindi concluso accordi esecutivi o di copertura
con Francia, Austria e Svizzera77.
La disciplina di matrice internazionale ha trovato attuazione nell’ordinamento italiano prima della
riforma del Titolo V e deve pertanto essere letta conformemente con le modifiche introdotte da
quest’ultima e dalla relativa normativa di attuazione. In considerazione anche del rinvio che la
Convenzione opera verso gli ordinamenti degli Stati parte, la disciplina che dovesse contrastare
con quanto previsto dalla legge costituzionale 3/2001, deve essere considerata, se non
incostituzionale, abrogata dalla legge di attuazione 131/2003, nella misura in cui attribuisce ambiti
d’intervento internazionale maggiori rispetto a quelli contemplati da quest’ultima. Così, a titolo di
esempio, gli enti locali non potranno porre in essere attività promozionali all’estero per mezzo
delle “intese” come definite e disciplinate ex art. 6.2 della legge La Loggia. Analogamente, le
intese o gli accordi che le regioni dovessero sottoscrivere sulla base della legge 948/1984
andranno assimilate alle intese di cui al combinato disposto degli artt. 117, comma 9, della
Costituzione e 6, comma 2, della legge 131/2003, dovendo conseguentemente essere soggetti al
77 Rispettivamente: l’accordo firmato a Roma il 26 novembre 1993, ratificato dall’Italia con la legge 5 luglio 1995, n. 303 ed entrato in vigore il 6 ottobre 1995; l’accordo sottoscritto a Vienna il 27 gennaio 1993, cui è stata data esecuzione con la legge 8 marzo 1995, n. 76, in vigore dal 1 agosto 1995; infine l’accordo firmato a Berna il 24 febbraio 1993 in forma semplificata ed entrato in vigore il 26 aprile 1993. Sugli accordi in questione cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 68 ss.
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meccanismo del silenzio assenso previsto dall’art. 6.2 della legge La Loggia piuttosto che a quello
della previa intesa con il Governo stabilito invece all’art. 5 della legge 948/198478.
Sostanziali sono quindi le limitazioni che gli enti regionali e locali incontrano in base alla
normativa esistente in materia di cooperazione territoriale, sia essa o meno di derivazione
internazionale. Con riguardo agli strumenti predisposti dal Consiglio d’Europa, peraltro, la
mancata ratifica dei tre Protocolli addizionali alla Convenzione di Madrid preclude alle autonomie
territoriali la possibilità di formalizzare la cooperazione con omologhi stranieri attraverso il
ricorso agli organismi per la cooperazione transfrontaliera e interterritoriale e ai Gruppi
euroregionali di cooperazione.
9.3. L’attuazione del regolamento (CE) n. 1082/2006 per mezzo della legge 7 luglio 2009,
n. 88.
Considerata la mancata attuazione dei numerosi istituti sulla cooperazione territoriale forniti dal
Consiglio d’Europa, ai fini della presente indagine assume primario interesse la normativa
dell’Unione europea.
Il regolamento 1082/2006, infatti, ha introdotto un nuovo strumento per la cooperazione
transeuropea, che, in ragione della natura dell’atto in cui è disciplinato, dovrebbe trovare diretta
applicazione nell’ordinamento italiano. A questo proposito, si è avuto modo di rilevare come il
regolamento in questione, data la genericità di molte disposizioni contemplate e il rinvio agli
ordinamenti interni degli Stati membri, abbia richiesto l’intervento dei legislatori statali per darne
effettiva attuazione, a conferma della sua natura atipica.
In attesa che le novità introdotte con il regolamento 1302/2013 trovino concreta attuazione
all’interno negli Stati membri, conviene tuttora fare riferimento alla legge 7 luglio 2009, n. 88
(legge comunitaria 2008), con la quale l’Italia ha dato effettiva attuazione al regolamento
1082/200679.
Il Capo III della legge è specificamente dedicato all’attuazione del regolamento 1082/2006.
All’art. 46, la legge 88/2009 conferisce ai Gect con sede in Italia la personalità giuridica di diritto
pubblico, da ottenersi attraverso l'iscrizione in un apposito registro istituito presso il Segretariato
generale della Presidenza del Consiglio dei ministri. Specifica, inoltre, quali enti vadano
78 Cfr. R. DICKMANN, Appunti sulle prospettive della cooperazione transfrontaliera fra enti locali infraregionali, cit., p. 4. 79 Sull’iter che ha preceduto l’adozione della l. 88/2009 cfr. M. CAPORALE, L’attuazione delle Euroregioni in Italia, in Le Istituzioni del Federalismo, supplemento 4, 2007, p. 54 ss.
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ricompresi nelle categorie “autorità regionali” e “autorità locali” menzionate all’art. 3 del
regolamento e cioè le Regioni e le Province autonome, i Comuni, le Province, le Città
metropolitane, le Comunità montane, le Comunità isolane e le Unioni di Comuni.
L’art. 4780 disciplina invece l’iter per l’autorizzazione alla costituzione dei Gruppi, il quale prevede
la preventiva acquisizione dei pareri conformi di diverse amministrazioni statali, nonché la
possibilità di revocare l’autorizzazione nel caso in cui il Gect svolga attività contrarie all’ordine
pubblico, alla sicurezza pubblica, alla salute o alla moralità pubbliche o all’interesse pubblico dello
Stato, e ciò in conformità con quanto previsto all’art. 13 del regolamento.
80 Art. 47, legge 88/2009: “1. I membri potenziali di un GECT presentano alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Segretariato generale, una richiesta, anche congiunta, di autorizzazione a partecipare alla costituzione di un GECT, corredata di copia della convenzione e dello statuto proposti. Su tale richiesta, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Segretariato generale provvede nel termine di novanta giorni dalla ricezione, previa acquisizione dei pareri conformi del Ministero degli affari esteri per quanto attiene alla corrispondenza con gli indirizzi nazionali di politica estera, del Ministero dell'interno per quanto attiene alla corrispondenza all'ordine pubblico e alla pubblica sicurezza, del Ministero dell'economia e delle finanze per quanto attiene alla corrispondenza con le norme finanziarie e contabili, del Ministero dello sviluppo economico per quanto attiene ai profili concernenti la corrispondenza con le politiche di coesione, della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie per quanto attiene ai profili concernenti le compatibilità comunitarie, del Dipartimento per gli affari regionali per quanto attiene alla compatibilità con l'interesse nazionale della partecipazione al GECT di regioni, province autonome ed enti locali, e delle altre amministrazioni centrali eventualmente competenti per i settori in cui il GECT intende esercitare le proprie attività. 2. Entro il termine massimo di sei mesi dalla comunicazione dell'autorizzazione, decorso il quale essa diventa inefficace, ciascuno dei membri del GECT, o il relativo organo di gestione, se già operante, chiede l'iscrizione del GECT nel Registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Segretariato generale, allegando all'istanza copia autentica della convenzione e dello statuto. La Presidenza del Consiglio dei ministri - Segretariato generale, verificata nei trenta giorni successivi la tempestività della domanda di iscrizione, nonché la conformità della convenzione e dello statuto approvati rispetto a quelli proposti, iscrive il GECT nel Registro e dispone che lo statuto e la convenzione siano pubblicati, a cura e spese del GECT, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Dell'avvenuta iscrizione è data comunicazione alle amministrazioni che hanno partecipato al procedimento. 3. Le modifiche alla convenzione e allo statuto del GECT sono altresì iscritte nel Registro, secondo le modalità ed entro gli stessi termini previsti nei commi 1 e 2. Di esse va data altresì comunicazione con pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. Copia integrale o parziale di ogni atto per il quale è prescritta l'iscrizione, a norma dei commi 1 e 2, è rilasciata a chiunque ne faccia richiesta, anche per corrispondenza; il costo di tale copia non può eccedere il costo amministrativo. 4. L'autorizzazione è revocata nei casi previsti dall'articolo 13 del regolamento (CE) n.1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006. 5. Ferma restando la disciplina vigente in materia di controlli qualora i compiti di un GECT riguardino azioni cofinanziate dall'Unione europea, di cui all'articolo 6 del citato regolamento (CE) n.1082/2006, il controllo sulla gestione e sul corretto utilizzo dei fondi pubblici è svolto, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, dal Ministero dell'economia e delle finanze, dalla Corte dei conti e dalla Guardia di finanza. 6. Alla partecipazione di un soggetto italiano a un GECT già costituito e alle modifiche della convenzione, nonché alle modifiche dello statuto comportanti, direttamente o indirettamente, una modifica della convenzione, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del presente articolo”.
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Infine, all’art. 4881 sono precisati diversi aspetti inerenti la contabilità e il bilancio dei Gruppi.
Se si considera la timida apertura dell’ordinamento italiano nei confronti della cooperazione
territoriale, sulla quale pesano la restrittiva lettura che il legislatore ordinario ha dato alle novità
costituzionali introdotte in tema di potere estero regionale e locale, le limitazioni sostanziali
apportate in sede di recepimento della Convenzione di Madrid e la mancata ratifica dei 3
Protocolli addizionali alla stessa, appare allora evidente come il regolamento 1082/2006 (nonché
le modifiche a questo apportate dal regolamento 1302/2013) abbia offerto agli enti territoriali
italiani opportunità in tema di cooperazione territoriale altrimenti difficilmente realizzabili. Il
Gect rappresenta, infatti, lo strumento più avanzato cui le autonomie territoriali italiane, in
particolare quelle locali, possono ricorrere per la realizzazione di attività oltre i confini statali.
Attualmente, il numero di Gect, formati o in via di istituzione, cui partecipano enti regionali o
locali italiani, ammonta a dieci82. Tali Gruppi accomunano prevalentemente enti territoriali italiani
con omologhi francesi o austriaci, benché non manchino esempi di cooperazione con enti di altri
Paesi membri (Spagna, Paesi Bassi, Germania, Slovenia, Grecia, Cipro, Romania e Bulgaria) e di
Paesi extra Uei (Svizzera, Albania e Macedonia). Nella maggior parte dei casi si tratta di una
cooperazione geograficamente limitata, poiché coinvolge principalmente autorità di livello locale
81 Art. 48: “1. Il GECT redige il bilancio economico preventivo annuale e pluriennale, lo stato patrimoniale, il conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa e li sottopone ai membri, che li approvano sentite le amministrazioni vigilanti, di cui all'articolo 47, comma 5. 2. Al fine di conferire struttura uniforme alle voci dei bilanci pluriennali e annuali, nonché dei conti consuntivi annuali e di rendere omogenei i valori inseriti in tali voci, in modo da consentire alle amministrazioni vigilanti dello Stato ove ha sede il GECT, alle omologhe amministrazioni degli Stati di appartenenza degli altri membri del GECT, nonché ai competenti organi dell'Unione europea, di comparare le gestioni dei GECT, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adottano, con decreto interministeriale, le norme per la gestione economica, finanziaria e patrimoniale, conformemente a princìpi contabili internazionali del settore pubblico. I soggetti che costituiscono un GECT recepiscono nella convenzione e nello statuto le predette norme. 3. Dall'attuazione del presente articolo e degli articoli 46 e 47 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all'attuazione del presente articolo e degli articoli 46 e 47 con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”. 82 A fine 2013, i Gect cui hanno preso parte enti territoriali italiani erano (tra parentesi gli Stati di appartenenza dei membri costitutivi): Parc Marin International des Bouches de Bonifacio (Italia e Francia); Euregio Senza Confini s.r.l. (Italia e Austria); Parco Europeo/Parc Européen Alpi-Mercantour (Italia e Francia); Territorio dei comuni: Comune di Gorizia, Mestna občina, Nova Gorica in Občina Šempeter-Vrtojba (Italia e Slovenia); EUREGIO Tirolo-Alto Adige-Trentino (Italia e Austria); Amphictyony (Italia, Francia, Grecia e Cipro); ArchiMed (Italia, Spagna e Cipro). A questi si aggiungevano i seguenti gruppi in via di formazione: AEuCC – Cities of Ceramic (Italia, Spagna, Francia e Romania); CODE 24 – Corridor Development Rotterdam-Genoa (Italia, Paesi Bassi, Germania, Svizzera); Euroregion Corridor VIII (Italia, Albania, Grecia, Macedonia e Bulgaria). Una lista aggiornata dei Gect registrati è reperibile a https://portal.cor.europa.eu/egtc/en-US/Register/Pages/welcome.aspx.
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e regionale. Le attività svolte dai Gruppi coprono i più svariati settori: si va dalla ricerca scientifica
e dallo sviluppo delle energie rinnovabili nei casi del Parco Marino delle Bocche di Bonifacio e
del Parco europeo Alpi Marittime – Mercantour, al rafforzamento dei legami culturali e
infrastrutturali nell’Euregio Tirolo – Alto Adige – Trentino e nel Gect “Territorio dei comuni”.
In generale, tutti i Gruppi sono diretti a rafforzare la coesione tra i territori coinvolti nei progetti
di cooperazione. L’esempio italiano conferma quindi quanto già anticipato in precedenza, e cioè
la tendenza ad inquadrare la cooperazione nel contesto di più ampie strategie europee nel rispetto
delle specificità e dell’autonomia delle entità interessate a rafforzare i legami con omologhi
stranieri.
Il quadro esistente, naturalmente, sarebbe ulteriormente arricchito dalla ratifica dei Protocolli
addizionali alla Convenzione di Madrid: come si è avuto modo di verificare, infatti, la
cooperazione territoriale è difficilmente attuabile qualora gli enti interessati non abbiano
opportunità analoghe a quelle degli omologhi stranieri con i quali si vogliano attivare o
approfondire canali relazioni più o meno stabili83.
Il quadro giuridico esistente in materia di cooperazione territoriale appare pertanto variegato e
complesso, essendo il risultato dell’interrelazione tra la disciplina statale, quella di derivazione
internazionale (in particolare la normativa elaborata dal Consiglio d’Europa) e quella dell’Unione
europea, ma deve comunque essere letto in conformità con i principi costituzionali vigenti in
materia di potere estero regionale e locale.
In questo senso, com’è stato già anticipato, le scelte che le autonomie territoriali adottano in
ordine alla realizzazione di attività transnazionali sono accompagnate da numerosi nodi
problematici, in primo luogo quello della riconducibilità delle iniziative territoriali, compresa la
partecipazione a strutture permanenti quali le euroregioni, nell’ambito della normativa di
derivazione internazionale, in quello della normativa dell’Unione europea oppure nel più generale
quadro delle attività internazionali che le Regioni e gli enti locali possono liberamente
intraprendere in base all’ordinamento giuridico vigente84.
Sul punto, è opportuno fare riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 200485,
con cui la Consulta ha chiarito che gli accordi di cooperazione transfrontaliera conclusi sulla base
83 Si noti, a questo proposito, come Francia Svizzera e Slovenia abbiano tutti ratificato il terzo Protocollo addizionale. 84 Cfr. S. BARTOLE, Ipotesi di Euroregione: soluzioni istituzionali alternative e differenti quadri di riferimento, in Le Regioni, n. 6, dicembre 2005, p. 1045 ss. 85 Per un commento sulla sentenza in questione cfr. R. DICKMANN, La Corte costituzionale ed il “potere estero” delle regioni e delle province autonome, cit., p. 13 ss.
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di un regolamento comunitario (e, quindi, della conseguente normativa di attuazione), non sono
soggetti alla legge italiana di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Madrid. Tali
considerazioni assumono una rilevanza centrale ai fini della nostra ricerca, in quanto, oltre a
riconoscere una soggettività di diritto Ue in capo alle Regioni e agli enti locali in relazione al diritto
Ue primario e secondario, possono essere estese anche alla disciplina sui Gect (come risultante
dalle modifiche introdotte con il regolamento 1302/2013) e alla relativa normativa italiana di
attuazione Pertanto, gli enti regionali e locali interessati a istituire nuovi Gect o a prendere parte a
Gruppi preesistenti, dovranno rispettare unicamente la disciplina prevista dal regolamento
1082/2006 come modificato dal regolamento 1302/2013. Alla luce della giurisprudenza
costituzionale richiamata e delle opportunità che la normativa dell’Ue offre in materia di
cooperazione territoriale (anche con Stati non membri dell’Ue, quali la Svizzera), appare allora
chiaro come gli enti regionali e locali saranno propensi a preferire lo strumento dei Gect a quelli
ricavabili alternativamente nell’ordinamento interno86.
La sentenza 258/2004, inoltre, chiarisce significativamente il limite cui la cooperazione territoriale
è inevitabilmente subordinata, date le caratteristiche che contraddistinguono il nostro
ordinamento costituzionale: la partecipazione delle autonomie a forme di cooperazione
internazionale, compreso l’affidamento di funzioni e compiti a organismi esterni all’ordinamento,
può realizzarsi soltanto nella misura in cui restino assicurati i poteri di controllo in capo agli
organi rappresentativi regionali e statali. E ciò vale con riguardo a qualsiasi strumento di
cooperazione considerato, Gect compresi, dal momento che tanto la normativa internazionale
quanto quella comunitaria sono indifferenti verso l’organizzazione interna degli Stati87.
10. Conclusioni.
Nel corso di queste pagine si è voluto dare conto delle più recenti novità normative intervenute
in materia di cooperazione territoriale in Europa, analizzando le soluzioni che tanto il Consiglio
d’Europa quanto l’Unione europea hanno individuato per la gestione e il coordinamento di quei
territori che, pur divisi da frontiere statali, sono legati da relazioni storiche, culturali ed
economiche. Grazie al processo d’integrazione europea, gli enti territoriali europei hanno potuto
creare una rete di relazioni attraverso cui perseguire attività d’interesse locale e regionale. Alla luce
delle più recenti novità introdotte con il terzo Protocollo addizionale alla Convenzione di Madrid
e il regolamento 1302/2013, che segnano un importante passaggio nella convergenza tra gli
86 Sul punto cfr. M. VELLANO, op. cit., p. 222 ss. 87 Cfr. S. BARTOLE, op. cit., p. 1052 ss.
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strumenti predisposti rispettivamente dalle due organizzazioni regionali europee, la
collaborazione tra gli enti territoriali europei è passata così ad essere, da strumento occasionale
per la realizzazione di attività locali, a mezzo per il perseguimento di politiche macroterritoriali.
Tali novità sono solo una tappa del processo di rafforzamento della cooperazione territoriale nel
vecchio continente, i cui effetti andranno valutati attentamente nei prossimi tempi. In questo
senso, molto dipenderà anche dall’intervento degli Stati in materia: come si è visto per il caso
italiano, un atteggiamento cauto rispetto alle istanze partecipative degli enti territoriali può
limitare fortemente le potenzialità che dalla cooperazione territoriale possono derivare in termini
di democraticità, e ciò a scapito delle disposizioni costituzionali dirette a garantire l’autonomia
degli enti regionali e locali.