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IVAN MEACCI TRADIZIONE ORALE DEI NATIVI AMERICANI

Tradizione orale dei Nativi Americani

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IVAN MEACCI

TRADIZIONE ORALE DEI NATIVIAMERICANI

canzoni, riti, storie e leggende

introduzione

Da oltre trent’anni, l’habitat intellettuale degli StatiUniti d’America, ha visto un progressivo rifiorire deglistudi sulla lingua e sulla letteratura dei nativi nord-americani. Attraverso ricerche più attente, effettuatesecondo le nuove tecniche antropologiche e filologiche,sono tornati alla luce gli elementi poetici, religiosi,sociali, filosofici che hanno, di fatto, rivoluzionatol’immagine “sempliciotta” che da sempre è statatramandata degli indiani d’America. E la raffinataproduzione letteraria così come la sorprendentestrutturazione delle forme di pensiero sociale e moraledi questi popoli è superata solo dalla vastità e varietàdei gruppi antropologici appartenenti a questa categoria.Per comprendere la vastità della cultura Nativa bastisolo pensare che, prima del genocidio, negli S.U. e inCanada, erano parlate circa 600 lingue: di queste, oggi,ne rimangono circa 200. La previsione è che nel giro deiprossimi 20 anni molte saranno solo un ricordo. La cultura orale dei Nativi, seppure parzialmente, haottenuto alcuni riconoscimenti nel panorama degli studiletterari. Attualmente la lingua e la cultura indiana siapprendono nelle scuole ed anche in un paio diUniversità. Da queste nuove e più corrette traduzionidelle tradizioni orali dei Nativi emergono concettifilosofici, morali e religiosi che testimoniano alcuni

capisaldi del loro pensiero: a partire dall’assolutarelazione di parità con i propri simili, con la terra,con la natura in tutte le sue forme. Da questi elementiemerge la più assoluta e concreta predisposizione allapace con l’intero creato. Una piccolissima selezione diquesti racconti, storie, canti, riti, miti e leggende èraccolta in questa “antologia” dei nativi del NordAmerica: “dal Nord all’Ovest e dal Sud all’Est”. Oggi, circa il 50% dei nativi scampati allo sterminio,sopravvive nelle riserve chiuse cercando, ostinatamente,di conservare l’originario stile di vita e di mantenereviva la propria lingua. Ma, il nuovo genocidio culturale,che mira a far cadere nell’oblio anche quel poco cheresta delle Nazioni che popolavano l’americaprecolombiana, sta vincendo la sua sciagurata guerra.Tornare a diffondere la cultura dei Nativi d’America hadue fini: il proseguimento della danza del cervo per gliYaqui (che è già parte della loro vita comunitaria) e lasua diffusione fra le altre comunità rimaste; a partireda quella occidentale.

Vi porterò nel mondo della leggenda.Lo conoscete quel tempo,

conoscete bene quel posto indomato,immutabile,

dove gli animali parlavano e camminavano come uomini,come uomini veri.

ALASKA, YUKON, E SUBARTICO

YUPIK ESKIMO

Cinque fratelli ed una sorella più giovane sono al centrodi questa storia alla quale, come avvienetradizionalmente, è stato dato un titolo informale (leleggende – quilirat - non hanno titolo). Questo è ilclassico gruppo-famiglia autosufficiente, dove i fratellicacciano e la sorella si dà da fare con la cacciagione.Il loro ignorare l’esistenza degli altri non li rendepresuntuosi dei successi ottenuti e fa del gruppo unmodello di moralità ideale. Quando il fratellino si perdevengono aiutati da un mal combinato uomo e da sua nonnache vivono nel grande villaggio dove è stato portato ilbambino. Il nipote è il modello da seguire perché incarnail potere e la pazienza, la mansuetudine e il desideriodi vendetta. Per quanto non apertamente abusato il nipoteè un uomo marginale: ha abiti ed equipaggiamenti poveri,la sua casa è ai margini del villaggio, e il posto lettovicino alla trafficata porta della qasgiq*. Le sue azioniappaiono come dirette dalla nonna (come quelle delmaligno cacciatore dal padre o quelle di Uyivaangaq dallasorella), ma anche lui sembra avere acquisito alcunisuperpoteri. Per esempio, quando si mantiene lontanodalla riva con il kayak, insinuando una qualche forma diisolamento, agisce come chi vuole evitare le pericoloseconseguenze che scaturiscono dal contatto fisico fra ilmondo reale e quello spirituale. Il fratellino rapito, lanonna e il nipote evocano figure tradizionali dellequliraq, famose dall’Alaska alla Groenlandia: un orfanoabusato da tutto il villaggio ma non da un nonno. Per

questo, il nipote e la nonna, sono esplicitamente controil villaggio ed aiutano i fratelli con i qualicondividono molte qualità. Il crudele Nukalpiaq (GrandeCacciatore) è pure una figura letterale di questospeciale contesto. Tradizionalmente, infatti, una personamolto potente poteva, in certe circostanze, dominare unvillaggio senza temere opposizione. Questa minaccia,nelle quliraq, è personificata da un particolarmentecrudele cacciatore, da un uomo fortissimo, o da unoshamano che, alla fine, muore per mano del vendicatore.Questa vendetta è presentata come un gesto virtuoso e digiustizia. La vigliaccheria del Nukalpiaq si svela alvillaggio quando ormai sopraffatto, il Grande Cacciatorecerca un tentativo di mediazione con Uyivaangaq. Poitocca al padre, la “forza” che si nasconde dietro ilNukalpiaq, che Uyivaangaq svergogna presentandogli, conironia, il corpo esamine del figlio. Alla fine anche ilmassacro del villaggio è presentato come una virtù:“Ripulirono anche il resto del villaggio…”. Ripulire è latraduzione di una parola che si riferisce all’azione dispolpare con i denti la carne che rimane attaccata alleossa. Spolpare le ossa dimostra rispetto per la preda:implicitamente, “ripulire” il villaggio è pure un’azionevirtuosa.*La tipica qasgiq dei villaggi costieri era una strutturaquadrata semisotterranea sorretta da grandi travi dilegno. Le travi delle quattro pareti oblique eranoricoperte di zolle e, sulla cima dove si congiungevano,c’era un lucernario fatto di budella.

CINQUE FRATELLI ED UNA SORELLA PIU’ GIOVANE

Vi racconterò una vecchia storia. Una storia vera, chevostro padre ci raccontava sempre, quando voi eravatemolto piccoli, tanto piccoli. Il tempo era lungo dapassare nei freddi inverni che trascorrevamo sullemontagne Ingrissareq. Can’irraq si sdraiava accanto anoi, a letto, al caldo sotto le pelli e raccontavavecchie favole.Questa storia, un fatto accaduto realmente tanto tempofa, parla di cinque fratelli ed una sorella che abitavanosulla sponda di un fiume.Quel fiume era un grande fiume il cui lungo camminofiniva nell’oceano. I sei fratelli, dall’alto dellamontagna che sovrastava la loro piccola casa, potevanovedere dove il loro fiume diventava mare.I fratelli vivevano di caccia, isolati dal resto del lorovillaggio. Erano dei grandi cacciatori, degli abilissimicacciatori ma neppure loro sapevano quanto fosserodavvero bravi. La solitudine in cui si erano rinchiusigli impediva di confrontarsi e gareggiare con altricacciatori. La loro bravura non aveva dunque confronto. Dietro la casa dei sei fratelli c’era anche un piccololaghetto. Quel lago era la discarica della famiglia. Erain quel lago che finiva tutto l’olio di foca che venivautilizzato e poi buttato dai cacciatori. Quello specchio d’acqua era diventato così sporco chequasi non si increspava più alla brezza del vento. Quandol’olio diventava cattivo, loro, semplicemente,strizzavano l’otre dell’olio ai pesci.Il lago era la discarica in cui finiva tutto quello dicui i 5 fratelli, indistintamente, dal più piccolo al piùgrande, non avevano più bisogno.La famiglia era composta da quattro fratelli e da un quinto più piccolo, e da una sorella. Mentre i fratelli più grandi si occupavano della caccia,la giovane sorella si occupava della cacciagione. Nonsolo. Essa si prendeva cura dei cinque fratelli in tutto

e per tutto. Cuciva stivali da acqua per ognuno di loro,cuciva vestiti impermeabili per la caccia con budella difoca e realizzava dei curatissimi arillut, utili guantisenza dita di pelle di pesce. Gioventù bruciata! Oggi nonc’è più nessuna donna che si occupa così premurosamentedei propri congiunti!E che cosa mai faceva il piccolo fratello? Ebbene il piccolo aveva il compito di servire a tavola isuoi fratelli e di sparecchiare una volta che il pastofosse finito. Questo era il suo compito ed il piccolo nonmancava mai di svolgerlo.E’ così che passavano i giorni della piccola comunità!E’ proprio così che trascorrevano le giornate dei seifratelli; da soli, senza conoscere altri uomini e donne.Non mancava nulla alla famiglia. E, quando era il tempodella caccia, il cibo era tanto abbondante da bastareanche nei mesi della neve. Perché quando cacciavano icaribou, ne cacciavano davvero tanti!Oh, erano dei grandi cacciatori!Il bambino usava chiamare il fratello maggiore con unsoprannome: Uyivaangaq. Era così che chiamava suofratello! Ed, ormai, anche gli altri avevano presol’abitudine di chiamarlo così.Un brutto giorno d’estate, il fratello bambino scomparve.I quattro maggiori lo cercarono senza sosta, in tutti gliangoli della montagna che battevano durante la caccia.Che vergogna! Tanto era il dolore e la vergogna che iquattro smisero di andare a caccia. I giorni passavano senza avere notizie del fratellobambino. I giorni passavano ed i quattro fratelli smiserodi uscire anche dalla loro casa.I giorni continuavano a passare ed il dolore e lavergogna diventavano sempre più opprimenti nel cuore deicomponenti della famiglia al punto che questi facevanoormai fatica addirittura ad alzarsi dai loro giacigli. Sene stavano a letto tutto il giorno, con gli occhi chiusi.Sembrava che i quattro uomini fossero caduti in letargo.

Si erano arresi! Si erano arresi al loro dolore. Avevano abbandonato le loro armi e si erano fatti travolgere dallo sgomento per la scomparsa del loro fratello bambino.Anche la sorella era addolorata. Molto addolorata… ma leinon smetteva di prendersi cura dei fratelli che le eranorimasti. Lei non si poteva permettere di cadere nel sonnodel dolore. Lei doveva prendersi cura dei fratelli che leerano rimasti. L’estate era quasi finita…. E così passò anche l’autunnoche annuncia il freddo dell’inverno, il grande freddo.Un giorno di quelli che preannunciava la cattivastagione, la giovane, che continuava a vegliare suiquattro fratelli addormentati, uscì di casa.Si allontanò appena dalla casa, senza perderla mai divista. Si allontanò appena, sempre risalendo il corso delfiume, fino a dove l’ansa si allargava rendendo l’acquapiù bassa e quasi ferma. Il fiume si allargava al puntoche la riva opposta non si vedeva. Il fiume sembravatoccare i piedi della montagna di fronte!La ragazza stette lì, sulla riva del fiume, guardando loscorrere dell’acqua. Dopo poco però, vide un vecchio e sbrindellato kayak. Erauna barca talmente malconcia che entrambe le punte eranorivolte verso l’alto. Un kayak davvero brutto emalconcio. Sopra il kayak c’era un uomo, un uomomalconcio anche lui. Piccolo e brutto, come la suaimbarcazione, ma dagli occhi vispi. Sarebbe potuto essereun vecchio saggio se non avesse avuto quell’aspetto cosìtrasandato! Si, un vecchio saggio, dagli occhi furbi eprofondi! Ma come remava male quell’uomo! Un colpo dipagaia poi una lunga pausa… poi un altro… poi una lungasosta… quasi non sembrava capace di attraccare. Edinfatti non lo fece. Si avvicinò alla riva dove sitrovava la ragazza ma non fece cenno di voler scenderedal suo kayak.

“Come va?” chiese l’uomo alla fanciulla che restavaimmobile a guardarlo “Tutto bene?”La ragazza si abbandonò ad un lungo sfogo. Raccontò dellasparizione del suo fratello bambino ed infine del letargoin cui sembravano caduti i suoi fratelli.“Non so cosa sia accaduto ai miei fratelli maggiori. Sisono arresi. Non escono neppure più dalla casa, non sialzano più dal letto. E questo perché sono sopraffattidal dolore per la scomparsa del mio fratello più piccolo.Lo hanno cercato dappertutto ma non sono riusciti atrovarlo. Sono sconvolti e non riescono più a vivere”.L’uomo dagli occhi furbi non sembrava sorpreso dalleparole della ragazza, non sembrava stupito… sembravasapere già tutto. Restava immobile sul suo sbrindellatokayak che restava miracolosamente fermo, nonostante lacorrente del fiume che continuava a scivolare versol’oceano.“Tuo fratello è nel villaggio che si trova lassù, versola sorgente. Questo lo so perché mi è stato riferito damia nonna. Mia nonna voleva che venissi a riferirtelo edeccomi qui. Il tuo giovane fratello è lassù nel villaggioverso la sorgente. Un nukalpiaq, un grande cacciatore, loha portato via dal vostro affetto e lo ha torturato pertutta l’estate. Lui lo tortura – diceva l’uomo immobilein mezzo alla corrente del fiume – davanti alla gente delvillaggio per dimostrare la sua potenza. La sera lomostra alla gente del villaggio che si raduna nellaqasgiq. Il divertimento delle donne e degli uomini èvedere le torture che il grande cacciatore infligge alsuo piccolo rapito. Lui lo fa soffrire e mostra a tutti,con orgoglio, la sua capacità di far male…di umiliare”.Il saggio dagli occhi furbi restava immobile ed aspettavadi dire la cosa più importante. E la fanciulla aspettavadi ascoltarla.“Quando sarà il momento di agire te lo farò sapere;quando mi sarà detto di agire tornerò per riferirtelo; a

te e ai tuoi fratelli più vecchi. Loro dovrannoprocurarsi le armi, tutte quelle che serviranno”.Era tutto. La corrente sotto il vecchio kayak tornò adavere la sua forza e così, senza quasi essersene accorto,l’uomo tornò ad usar male la sua pagaia. Se ne andò dadove era venuto, senza avere mai attraccato.La ragazza corse verso la casa ed una volta giunta corsea scuotere i fratelli dal loro torpore. “Come siete piccoli! – urlò loro per svegliarli – Vostrofratello è stato rapito la scorsa estate da un nukalpiaqche lo ha portato nel suo villaggio per torturarlo difronte alla sua gente, così da ricordare a tutti la suaforza ed il suo disprezzo. E il suo villaggio si trovaalla sorgente del fiume”.Quello che aveva pensato e temuto il più grande deifratelli era dunque vero. Qualche tempo addietro, ilfratello maggiore lo aveva detto. “E’ sempre stato così,non è certo la prima volta che quel malvagio si prendequalcuno da un altro villaggio per torturarlo; permostrarlo alla gente mentre lo fa soffrire – disse ilfratello maggiore – Lui fa così perché è crudele. E’fatto così. Ma, quando l’uomo tornerà per avvisarci, ioandrò a salvare mio fratello”.E così, senza attendere altro, rinvigoriti dalla speranzae dal pensiero della vendetta, i quattro giovanicacciatori si rimisero in piedi per prepararsi allabattaglia.Cambiarono le pelli ai loro kayak e costruirono nuovearmi. Bastarono poche ore e tutto fu pronto perl’incursione nel villaggio che si trovava alla sorgentedel fiume. Tutto era pronto per andare a prendere ilfratello bambino.Non tanti giorni dopo – era ancora in procinto diarrivare il grande freddo dell’inverno – ecco che torna afarsi vedere lo sbrindellato kayak. Scende dalla sorgentedel fiume e, anche questa volta, si ferma la correntesotto il suo kayak.

Ancora una volta è la fanciulla ad incontrare l’uomodagli occhi furbi; quello che darà il segnale.Non attracca ma si fa più vicino alla sponda.“Molto bene. Devi dire ai tuoi fratelli che devono veniredomani. Domani mattina presto. Io sarò su quella riva delfiume, poco più lontano. Vedi? lassù, dove una spondacomincia ad allontanarsi dall’altra e comincia ilpantano”. Un pantano? La cosa strana è che il villaggionon era lontanissimo dalla casa dei sei fratelli maquesti non erano mai arrivati fino alle sorgenti delfiume e non sapevano che lassù ci fosse un pantano.“Io li aspetterò lì e, nel frattempo, approfitterò perpescare con la rete”.L’uomo non aveva altro da dire e la corrente sotto lepelli del suo kayak cominciò a spingere la vecchia emalridotta imbarcazione.La ragazza, allora, cominciò a correre per avvisare isuoi fratelli.I fratelli erano a casa che aspettavano ansiosi.Lei corse da loro e raccontò l’incontro con l’uomo dagliocchi furbi. “Ma come potete dormire la notte?” disse infine lafanciulla.Restarono svegli ad ascoltare le raccomandazioni dellaloro sorella e, appena spuntato il sole misero in acqua iloro kayak e risalirono la corrente fino alla grande ansadel fiume dove inizia il pantano. Non ci volle molto a raggiungere la loro guida cheammazzava il tempo pescando con la rete. Con luiproseguirono il viaggio fino a che non raggiunsero ilvillaggio verso la sorgente. Un enorme villaggio; cosìgrande che i giovani non ne avevano mai visto uno uguale.Giunti a destinazione la loro guida li condusse nella suacasa. Una vecchia e malandata casa che si trovava aimargini del villaggio, lontano dalle altre case. Nessuno s’accorse del loro arrivo, era decisamente troppopresto per trovare qualcuno in giro.

Entrati in casa si trovarono alla presenza di una matronapiuttosto anziana: la nonna.“Siete arrivati finalmente! avanti! sedetevi!”La vecchia nonna parlava con voce autoritaria ed ifratelli ubbidirono.“Ora aspettate che si faccia notte; allora sarà ilmomento giusto per andare alla qasgiq a vedere vostrofratello”.I fratelli non erano contenti di perdere ancora tempoaspettando con le mani in mano. Il loro sangue giovaneera desideroso di vendetta ed invitava all’azione senzaaltro indugio. Ma, lo sguardo della vecchia non ammettevarepliche; e così, seppure smaniosi, si rassegnarono adaspettare che la notte scendesse sopra al cerchio delletende.Nessuno del villaggio andò a far visita alla nonna ed alnipote. Tutti gli abitanti si tenevano ben lontani dallaloro sgangherata casa. Così i quattro giovani rimaseronascosti da occhi indiscreti e sospetti.Il sole tramontò.Il nipote cominciò a raccontare: “Io ho visto quel chesuccede nella qasgiq, nella casa del grande cacciatore.In questo momento stanno cominciando il trattamento.Ascoltate bene cosa vi dice mia nonna”.E la nonna cominciò a spiegare tutto quello che il grandecacciatore stava per fare al fratello bambino.Non appena la nonna prese a descrivere le tortureinflitte al piccolo, i fratelli si alzarono tutti inpiedi pronti ad uscire dalla casa e dare battaglia. Senzaneppure attendere che la vecchia donna avesse finito.Ma, con voce sarcastica e tagliente, la nonna spezzòl’ardore dei giovani che tornarono a sedersi. Quello erail tempo di ascoltare e non di agire.“Aspettate ancora un poco!” Tornò il silenzio.

Il nipote rimaneva immobile, disinteressato a quantoaccadeva nella sua casa. Lo sguardo dell’uomo era rivoltoall’esterno, verso la casa del grande cacciatore.Finalmente si fece buio.“Indossate i miei abiti e andate ma ricordatevi diguardare solo dal lucernario – disse la vecchia - Perprimo deve salire il più vecchio dei fratelli, poi, inordine d’anzianità, gli altri. Se non farete come vi hodetto vi scopriranno, capiranno che siete stranieri.Guardatevi, soprattutto, da quelli che sono rimastifuori, da coloro che spingono per entrare”.I consigli della nonna erano finiti. Era dunque tempo diagire.Solo a quel punto i quattro uomini si avviarono verso laqasgiq; man mano che s’avvicinavano sentivano aumentarele risate della folla.Tanta gente era assiepata intorno alla qasgiq, al puntoche non c’era spazio nella dimora per accogliere glispettatori che mostravano interesse per lo spettacolo.Tutti ridevano, ridevano di gusto. E si divertivano moltoanche quelli che sbirciavano dal lucernario.Uyivaangaq trovò il modo per arrampicarsi e guardare daquella piccola finestrella. Si fece strada tra gli altriche facevano la coda per guardare. E questo era decisamente pericoloso. Avrebbe potuto farsinotare dalla gente proprio per la sua agilità. Infatti,per non essere scoperto come straniero, il giovane erastato travestito da “nonna”. Un grande cacciatoretravestito da vecchia, con un abito che lo fasciavastretto. La veste era forse anche più stretta deglistivali che calzava. Il travestimento era completo. Il nukalpiaq aveva ancheun bastone! Il bastone e la cuffia della vecchia nonna!Che tristezza faceva la vista di quella vecchia nonna chesbirciava aggrappata al lucernario!Infatti, sembrava proprio una nonna che aspettava diassistere alle imprese del grande cacciatore!

Qualcuno, vedendo la mano della vecchia appoggiata albordo del lucernario, disse: “Che polso grande che hainonna!”.Finalmente riuscì a vedere quello che accadeva dentro lacasa.Oh! Lì dentro!Lì dentro c’era questo…IL crudele nukalpiaq era disteso sulla panca facendofinta di dormire. Il suo posto era il posto migliore, ilpiù riparato di tutta la casa.Proprio ai piedi del letto, davanti a lui, c’era unenorme pitale di urina stantia, pieno fino all’orlo.Proprio accanto a quell’orrido pitale c’era la scapola diuna balena polare che aveva nel mezzo un buco dai bordisagomati come denti taglienti. Denti affilati e taglientiche, solo a vederli, facevano immaginare dolorose esuperficiali, brucianti ferite.Dalla parte opposta di questo “teatrino” organizzato adarte, lontano dalla gente, c’era un vecchio uomo,comodamente seduto.Una luce viva illuminava tutta la qasgiq, segno che lospettacolo stava per iniziare.Infatti, il vecchio uomo, dall’altra parte della stanzadisse:“Figlio mio, che fai lì senza far niente, fai qualcosa didivertente”!A queste parole il nukalpiaq, lentamente, con studiatalentezza, si rizzò sulla schiena e scese dal letto.Ai piedi del letto, ai suoi piedi, appena coperto da unapiccola e malridotta pelle di caribou, c’era qualcosa divagamente umano. Un piccolo mucchietto d’ossa.Il malvagio cacciatore sfilò la coperta e lasciò allavista della gente, che si era radunata dentro ed intornoalla casa, quella misera creatura, quel poveraccio!Su di lui non c’era più carne e di fuori era coperto dapiaghe e graffi, ovunque piccole ferite, rosse, ancora

ben visibili. Su di lui non c’era rimasta carne, era solouna piccola cosa nuda. Che vergogna!Il nukalpiaq prese uno straccio, lo intinse nell’urina eci bagnò il corpo del bambino, per acuirne il dolore alleferite.“Aaaahhhh!” Questo fu il primo suono pronunciato dalfratello bambino. La qasgiq era affollata al punto che solo l’entratasotterranea era rimasta libera.Era solo l’inizio. Il crudele cacciatore prese la scapoladi balena polare. Il corpo del bambino entrava appena nelbuco dentato. Il crudele cacciatore ce lo infilò svariatevolte lasciando la testa fuori dal buco, per impedirglidi difendersi.Una volta liberato da questa dolorosa tortura il fratellobambino cominciò a parlare. E quasi urlò, al punto cheanche i fratelli che erano rimasti fuori dalla casa e chenon lo vedevano, udirono le sue parole.“Ah! mio Uyivaangaq, se mi vedessi ora capiresti quantosono disgraziato! Ah! mio Uyivangaq, se mi vedessi ora!”Il piccolo certo non poteva sapere che suo fratellomaggiore, questa volta, era proprio lì e stava osservandola sua miserabile condizione.Ma, il carnefice non si riteneva ancora soddisfatto. Ilvolto scolpito in una morsa di crudeltà lo rendevasimile alla pietra.“Ma che avrai da lamentarti così tutte le volte?” dissealla sua vittima prima di riprendere nelle mani la suaarma di tortura per infliggere un nuovo ingiusto castigo.Il fratello maggiore, ancora sconvolto per quanto visto eper quanto udito – non avrebbe mai potuto immaginaretutto questo - si abbandonò alla rabbia. In un impeto diviolenza ruppe addirittura il bordo del lucernario a cuiera appoggiato. Fu proprio il rumore, quel crack dallucernario, a indirizzare l’attenzione di tutti ipresenti verso di lui. Lo straniero fu così scoperto. Mala furia di Uyivaangaq, ormai, non si poteva fermare. Si

alzò di scatto dalla sua posizione accovacciata e urlòverso i suoi fratelli minori: “Tutti a casa della nonna”.Quando rientrò in casa non mostrò alcun rispetto verso ilvecchio abito della nonna. Si sfilò il suo travestimentocon rabbia, senza nemmeno slacciarlo. Inevitabilmentel’abito si strappò.La nonna subito si risentì della poca attenzione delgiovane e si lamentò vivacemente: “Vergognati! hairovinato il mio vecchio vestito”.Il giovane neppure le diede retta e continuò ad agitarsi,rapito da una rabbia incontenibile.“Alla qasgiq” gridò e tutti i fratelli, abbandonato iltravestimento, indossarono i loro vestiti e si lanciaronofuori dalla casa della nonna che, poverina, continuava alamentarsi a causa del danno al suo vecchio vestito. Esenza che nessuno si curasse di lei.A fare da guida ai quattro fratelli, ancora una volta,l’uomo dagli occhi furbi. Il gruppo si diresse alla casadel crudele cacciatore. Quando il nipote giunse in quellacasa, superando la calca che si affollava all’ingressodella qasgiq, tutti ammutolirono. Lui, senza badare aquel silenzio, si accovacciò su una panca, in fondo allastanza.Uyivaangaq che gli stava alle calcagna, sedette al suofianco; alla stessa maniera, in ordine d’età, fecero glialtri fratelli.Il silenzio non veniva rotto da alcuno dei presenti alpunto che il crudele cacciatore se ne tornò a dormire,mostrando di non gradire l’attenzione che la folla avevaconcesso al nipote.La gente continuava ad accalcarsi. I quattro fratelli erano armati di clave. Le avevanofoggiate durante i giorni dell’attesa ed il fratellomaggiore aveva insegnato ai fratelli minori come usarle.Ancora una volta, fu il vecchio padre del crudelecacciatore a dare avvio allo spettacolo di torture:

“Figlio mio! ci sono degli stranieri che sono venuti finoqui per te, non vorrai deluderli? Dai, mostragli qualcosad’eccitante, falli divertire!”.Ancora con studiata lentezza il figlio cominciò adalzarsi.E, quando alla fine fu in piedi, con un gesto plateale,sfilò la coperta dal più giovane dei fratelli, come avevafatto poco prima. Questa volta, Uyivaangaq si alzò di scatto dal suo posto.“Come può un bambino così piccolo soddisfare un omonetanto grosso? Come può un bambino così piccolo divertireuna platea così grande? – il fratello maggiore si feceminaccioso - Fallo con me lo spettacolo e ci saràdivertimento per tutti, vedrete che gran divertimento!Aargh!”Uyivaangaq si lanciò contro il crudele cacciatore. Con laforza del suo furore riuscì ad afferrare per i fianchi ilcacciatore, nonostante la sua corporatura fosse piùesile. Il combattimento fu durissimo. L’uno si aggrappòai vestiti dell’altro, in cerca della presa migliore.Il fratello maggiore ebbe la meglio.Visto il cattivo esito della lotta, il crudele evigliacco cacciatore cercò di chiedere clemenza al suoavversario. “Aspetta un momento… ragioniamo! Asp…”Ma Uyivaangaq strinse ancora più forte edimprovvisamente, dalla bocca del suo ospite, sgorgò unfiotto di sangue.Uyivaangaq, come si fa in guerra, trascinò il corpo ormaiesanime del suo avversario davanti al vecchio padre.“Guardalo! E pensare che ne avevi una così grandeconsiderazione, finché è stato tuo figlio!”E lo distese sopra al padre, premendolo, come se volessefondere i due corpi, padre e figlio insieme. Ora avevanoanche loro qualcosa di cui lamentarsi!Mentre il fratello maggiore portava a compimento lavendetta nei confronti del crudele cacciatore, un altro

fratellino bloccò l’uscita, anche a coloro che,presagendo la furia non esaurita degli stranieri,volevano solo andarsene, cosicché nessuno potesse portaredentro le armi.“Esseri schifosi come potete abusare dei bambini!” urlavainferocito Uyivaangaq mentre, con la clava, ne stendevaun paio alla volta.La vendetta dei quattro fratelli si scatenò prima sututti i presenti poi su quanti avevano dimostratointeresse allo spettacolo, ma che erano rimasti fuoridalla casa del crudele cacciatore.Ripulirono anche il resto del villaggio.Eh!Una volta compiuta la loro vendetta, finalmente poteronoriposarsi.I quattro fratelli tornarono nella casa del nipote, dopoessersi riuniti al loro fratello bambino. Nella casatrovarono la nonna così come l’avevano lasciata. Lavegliarda, infatti, continuava a lamentarsi del suovecchio abito, quello che, sfilandoselo senza slacciarlo,il fratello maggiore aveva strappato.I fratelli sarebbero voluti rimanere molto più a lungoper mostrare la grande riconoscenza che loro provavanonei confronti di quelle due persone. Ma, alla fine,dovettero ripartire.Però, promisero che sarebbero ritornati a visitare lanonna e il nipote, ai quali si sentivano sinceramentemolto grati.La nonna, prima che partissero, ordinò che il giovanefratello fosse disteso ai suoi piedi.Allora si rivolse al più giovane della famiglia diUyivaangaq e, servendosi della sua stessa saliva, loristabilì nelle condizioni originali.Quale medicina avrà mai potuto compiere quel miracolo?Lei fece qualcosa, qualche strano trattamento, che fecesparire le ferite che costellavano il corpo del bambino.

Un gesto che meravigliò i quattro fratelli e che non feceche accrescere la grande riconoscenza che loro provavanonei confronti della nonna e del nipote.Il giorno dopo i cinque fratelli tornarono a casa, dovesi trovava ad attenderli la sorella. Quando i fratelli raccontarono quanto accaduto nelvillaggio alle sorgenti del fiume la sorella provò anchelei una grande riconoscenza per quei due anziani che sitrovavano nel villaggio alle sorgenti del fiume.Non molti giorni dopo, con ancora il freddo dell’invernoalle porte, i cinque fratelli tornarono a far visita alnipote e alla nonna. Quando tornarono indietro, verso la loro casa,discendendo il fiume, non tornarono da soli. Nonna enipote erano discesi con loro.Si! Se li erano portati con loro. Perché così tanto eranoriconoscenti!

ATKAN ALEUTS

Il cantante e danzatore, in questa canzone Atkan, con la modestia di chi vuole diventare un cacciatore, descrive il fallimento della sua solitaria battuta di caccia col kayak. Ha inseguito un leone di mare e sta mestamente

ritornando indietro ma, quando sente i tamburi che annunciano le danze di una festa, torna ad esprimere la sua gioia. Poi, appena ritornato, smette di cantare. E, quando quelli del cerchio seduti davanti a lui ricominciano a suonare il tamburo e a cantare, anche lui ritorna a ballare ed a comportarsi da cacciatore.

LA CANZONE DEGLI ATKAN ALEUTS

Furtivamente, senza dirlo a nessuno, oggi sono uscito conil mio kayay.Remando da solo, guardandomi intorno, ho visto un animale, un leone di mare emergere gagliardamente; ho smesso di remare e, lì davanti, ho iniziato a pensare.Ho pensato che, in un caso così, riuscirebbe anche il peggior fannullone.Ho deciso di tirarlo fuori e, afferrata la lancia che tengo sulla poppa del kayak, l’ho sguainata e puntata dritta.Mi sono avvicinato, remando piano, è l’ho colpito ma non abbastanza forte da infilarlo. Nel panico è schizzato via. L’ho inseguito remando, l’ho colpito e ricolpito ma col solo risultato di spuntare la mia lancia. Purtroppo ero uscito in segreto per non farmi vedere da nessuno, ho guardato intorno per cercare qualcuno fino a che mi è venuto da piangere, se ci fosse stato qualcuno con cui piangere.Sono rimasto fermo lì per un po’, poi ho cominciato a remare indietro,e quando ho attraccato, ritornato da colui che amo sopra a tutto e che è anche l’assistente del mio spirito: il tamburo, ho cercato di ascoltare attentamente, ma non ho sentito.Ma – quando ho immaginato di ritrovarti – lì eri!

Prendi il tamburo, spalanca la bocca e canta, ora!

DUNNE – ZA

I Dunne-za, o Indiani Castoro, vivono della caccia nell’area del Peace River, a cavallo fra la British Columbia e l’Alberta. I Dunne-za credono che le storie vivano nelle vibrazioni del parlato che le descrive. Vivono nella memoria condivisa da dove le richiama il cantastorie e, anche, dove lui o lei la ripongono. L’inizio o la fine di una storia dipende dall’umore di chi la racconta e di chi l’ascolta; nella stessa maniera si seguono i canoni convenzionali della caratteristica dei vari personaggi o delle vicende. Una storia prende corpo, simultaneamente, nel tempo reale del suo narratoree nel tempo leggendario in cui accadde. “Una storia del paradiso” è l’onirica trasposizione dell’universo Dunne-za in quello della Cristianità. Una storia nata dall’incontro nel sogno fra il narratore e suo padre. Dove il padre gli parla della nuova strada sulla parte destra della pista che conduce in paradiso. Rimane difficile stabilire se si tratta di una versione Dunne-za

del Vangelo o di una versione Cristiana dello Sciamano che Controlla le Prede. Sicuramente, l’uccello del polo aguardia della porta del paradiso, appartiene all’antica tradizione sciamanica; così, come l’immagine di Dio che lascia cadere i messaggi nei foglietti di carta, è la risposta Dunne-za all’idea Giudeo-Cristiana di scrittura.

UNA STORIA DEL PARADISO

Mio padre parlava di un bellissimo posto.Diceva: “Figlio mio è molto difficile andare in paradiso,specialmente se infastidisci la gente bestemmiando, o rubando,o commettendo brutte azioni; queste cose non le devi fare.Per colpa di qualcuno, che va in giro raccontando frottole,

molte persone si uccidono l’uno con l’altro.Questa gentaglia, raccontando fandonieche trasformano le buone persone in cattive,mente, fa del male; confezionando storie all’occorrenza,realmente trasformano le buone persone in cattive persone.Questa gente non può andare in paradiso.Gesù, il figlio dell’uomo che ci ha fatto, sapeva che se la strada fosse stata troppo ripida sarebbe stato troppo difficile raggiungere il paradiso.Per questo, quando lo uccisero, fece una buona strada. La fece più corta; la fece più facile per agevolare il passaggio delle persone buone in paradiso.Fece questa strada nuova con parecchie curve.E’ così che Gesù fece apparire la nuova strada.Quando Gesù andò in paradiso, dopo che la avevano ucciso,pensò che sarebbe stato molto difficile se la strada era tanto ripida.Sul lato destro della nuova strada c’è una casa. Da lì, quando ci arriviamo,possiamo vedere un posto bellissimo.Dove vive colui che tiene le chiavi della porta,che detiene le prede e controlla gli animali:alci, caribou ed ogni altra cosa che vive sulla terra.

Dalla casa, Gesù, bada agli animali.Vede ogni cosa che fanno gli uomini.Nulla Gli è nascosto,qualsiasi cosa uno faccia,lo sai di cosa parlo.Non va bene se una donna mangia la carne fresca in certi periodi,perché alle alci non piace.Le alci lo sanno. Le genti, delle donne che lo fanno, avranno poveri alci senza grasso, difficili da scovare anche nei tempi in cuiabbondano.Gesù guarda giù e vede,e rende difficile la vita degli uomini che fanno così.Dio ha mandato Gesù in questo mondo per sorvegliare la gente.Ed è per questo che Gesù fa così.In questo mondo, alla stessa maniera della piccola gente che vive nelle grotte di montagna, Gesù sorveglia gli uomini.Quella gente, simile a Gesù, vive sul lato destro della via del paradiso.Anche le alci sono così.Lo sanno cosa fa la gente della loro carne.

La gente che tratta bene la loro carne non incontrerà alcuna difficoltà.Questo tipo di persone che si prendono cura della loro carne:quelle dove le donne che non dovrebbero mangiare carne fresca se ne stanno lontano dalla carne fresca mangiando la carne secca,uccideranno gli alci grassi e buoni da mangiare.Questo è il regalo di Gesù per aver trattato bene la carne.

Dentro la casa, sul lato destro della strada per il paradiso,Gesù spartisce cose molto belle. Sul lato della casa, appollaiato in cima ad una pertica, c’è un uccelloche osserva i morti di questo mondo mentre attraversano la porta.Lui, appena sono passati, comincia a cantare per dargli il felice benvenuto.Gli da un bellissimo benvenuto.Quando l’uccello incomincia a cantare lo sentono anche sopra in paradiso; e dicono:“Qualcuno sta arrivando; quell’uccello dice che qualcuno sta arrivando”,loro lo dicono.Mio padre parla così, quando racconta le storie sul paradiso.Mio padre parla così. Mio padre parla così.

Dio, prima, fece il mondo.E’ così bello e potente che nessuno lo può guardare.Ci sono case grandi come città; case così belle che, qualche volta, anche la gente del paradiso prova timore ad entrarci.Dio le ha fatte per la gente buona.Ma, Dio, non abita neanche lì.Lui ha un posto solo per Lui stesso,più in su della cima del paradiso.E’ talmente bello che nessuno può guardarlo.E’ al di sopra delle persone che vanno in paradiso.Quando vede che qualcosa non va bene,scrive su un foglio e lo lascia cadere;

lo raccolgono, e Gesù spiega alla gente come si deve fare.Questa è la maniera che il Padre parla al Figlio,quando vuole che sia fatto come dice Lui.(Non può andarci di persona perché Lui è troppo bello.)Mio padre è solito parlare così.Quando una persona appare in paradiso,questa persona viene trasformata in una nuova persona.Gesù arriva in un lago bellissimo.Lui è come il Padre,lava la persona nel lago con le sue bellissime mani.Li lava nel lago,e diventano come gli uomini bianchi.In questo mondo gli indiani appaiono poveri.Lo sai come sono gli indiani.Ma in paradiso sono le persone più belle,proprio come quelle donne bianche nei giornali.Proprio come quelle donne bianche nei giornali.Gesù ti mostra tante fotografie di facce diverse.Tu scegli quella a cui vuoi assomigliare, ed anche i capelli.Nessuno, in paradiso, ha lo stesso colore di capelli.Del tipo di capelli che hai scelto, del tipo di faccia che hai scelto:tu sarai esattamente in quel modo.Dopo che hai scelto la faccia e i capelliLui ti porterà in un’altra camera per scegliere i vestiti,i vestiti più belli che avrai mai visto.Mai più, dopo che ti sarai vestito,sarai il povero indiano che eri in questo mondo.Dopo questo, quando sarai pronto, Lui ti manderà dai tuoiparenti.Mai più, per te, ci saranno tempi brutti o dispiaceri.Sarai sempre felice.Per questo vi diciamo di essere buoni.I giovani pensano di morire per sempre, ma non è così.

Solo le persone cattive muoiono senza vedere la strada del paradiso.Quando muore una persona buona la sua anima va in paradiso,va dalla terra al paradiso attraversando la parte in mezzo.Andrai in paradiso, quando lascierai per sempre questo mondo.La sua anima parte nello stesso minuto che una persona muore, non ce la fa ad aspettare.Vede la buona strada del paradiso.E va nel bellissimo paese lì sopra.Per questo diciamo ai giovani di essere buoni.Per voi cattivi sarà dura.Mio padre parlava così.Ed è così.

COSTA DEL NORD PACIFICO

KATHLAMET CHINOOK

La narrativa Kathlamet non racconta la nascita ma la finedel mondo. Colui che arriva al sole è un prosperoso capo che, anchese non in seguito ad una cerimonia ufficiale, è accettatocome genero e, generosamente, gli vengono offertiun’infinità di doni. Si pensa che questa storia sia lariflessione ad un’improvvisa catastrofe scaturita da unterribile contagio. Un desiderio di potere, a scapitodella gente, che riflette la bramosia di ottenere emonopolizzare il controllo dei beni necessari, controlloarrivato alla foce del fiume Columbia con i bianchi. Lostereotipo del “mitico carattere naturale”,presumibilmente, era stato ispirato ai Nativi dallosbalorditivo senso di possesso innato nei bianchi. Ladistruzione è la conseguenza delle trasgressioni nellerelazioni con i provvidenziali, grandi poteri del mondo.

IL MITO DEL SOLE

In un luogo lontano sorgeva una grande città, una città composta da cinque città minori. Un solo uomo governava sull’unica stirpe che abitava questo regno.

L’uomo era solito uscireAlle prime luci del mattinoPer ammirare, immobile, il sorgere del soleUn giorno l’uomo disse a sua moglie:“E se andassi in cerca della luce che fa splendere ilsole?”“Tu pensi che sia così vicina da poterci arrivare?E vuoi dirigerti verso il sole?”Gli rispose la moglieIl giorno dopoAll’albaL’uomo uscì dalla sua casaE vide ancora una volta il sorgere del soleAlla prima luce che sembrava giungereProprio da quella direzioneChiamò sua moglie e disse:“Mi confezionerai 10 paia di mocassinie dei gambali per dieci persone”.La moglie obbedìCucì mocassini per dieci persone Ed altrettanti gambali

Il giorno dopo, all’albaLui partì per quello che si prospettava essere un lungoviaggioE infatti camminò utilizzando tutti i mocassiniEd i gambali che avevaCamminò per cinque mesiE consumò cinque paia di mocassiniE cinque di gambaliE camminò ancora

Per altri cinque mesiMettendo fine alle sue scorte di mocassini e di sandaliInfine giunse nel luogo da cuilei si diffondeva; arrivò proprio dove sembrava si trovasse la fonteDella luce del sole.

E lì lui vide una casaAprì la porta ed entrò In quella casa c’era una ragazzaE lui si fermò con lei.In un angolo di quella abitazione L’uomo vide appese alle paretiFrecce, faretre cariche di frecce,corazze di pelle di alcecorazze di legnoscudi, asce, clave da guerra, monili piumati.Tutti questi oggetti del corredo di un guerrieroErano appesi in quell’angolo della casa

Sulla parete opposta Facevano mostra di séCoperte di pelle di capra di montagnaCoperte di alce dipintePelli di bufaloVestiti di pelle rivoltataDenti lunghi, collane di conchiglieDenti cortiInfine, vicino alla portaC’era appeso qualcosaMa lui non capì bene cosa fosse

L’uomo chiese alla ragazza“Chi è il proprietario di quelle faretre?”“Sono della madre di mio padreLei le custodisce per quando sarò pronta”

“E di chi sono le corazze di pelle di alce e le frecce?”“Sono della madre di mio padre. Lei le custodisce inattesa del tempo in cui io sarò pronta”“E le corazze di legno, gli scudi, le clave di osso e leasce, di chi sono?”“Sono della madre di mio padre, e miei”.Poi volgendo lo sguardo verso l’altra parete l’uomochiese ancora:“Chi è il proprietario di quelle pelli di bufalo, dellecoperte di capra di montagna, di quei vestiti di pellerivoltata?”“Sono nostre, le custodisce la madre di mio padre inattesa del tempo in cui io sarò matura”.

Lui domandò di tutti quegli oggettiChi ne fosse il proprietarioEd infine pensò“Io prenderò questa donna”Scesa la nottel’anziana donna tornò a casaattaccò al muro un’altra cosauna cosa che risplendeva, accecante. Era quella la luce che stava cercandoe che lui voleva per sé.L’uomo decise di fermarsi in quella casaCi rimase per tanto tempoCon la giovane donna.La vecchiaandava via ancora prima dell’albaE tornava a casa dopo il tramontoOgni giorno riportava diversi oggetti,a volte frecce, a volte pelli, a volte corazze.Ogni giorno.

Trascorse tanto tempoE l’uomo cominciò a sentirenostalgia di casaRimase a letto due giorni e due nottiSenza alzarsi.La vecchia disse alla nipote:“Avete litigato e lui si è offeso?”“Non abbiamo litigatoE’ solo che lui sente nostalgia di casa”Allora la vecchia disse all’uomo:“Cosa desideri portare con te quando tornerai a casa? La pelle di bufalo?”Lui rispose: “No”“Porterai via le coperte di capra di montagna?”“No”“Vorresti forse le corazze di pelle di alce?”“No”.

Invano l’anziana donna gli mostrò gli oggettiche si accatastavano in quella parte della stanzaGli offrì tutto quello che aveva, ma lui voleva soloquella cosa…Quella cosa unicaTenuta lontano dalle altre Quando porterà via con sé quella cosaconservata lontano dalle altrelui sarà libero di andarseneE vagherà per il mondoFino a quando i suoi occhi potranno vedere.

Lui voleva a tutti i costi la fonte di quella luce cheaccecail cui splendore si irradia dappertuttoLui non desiderava altro.

L’uomo, decise di parlarne con la compagna“Quella donna deve darmi solo una cosa: il suo mantello”Lei rispose:“Non te lo darà mai.In tanti le hanno chiesto di scambiarlo con cosepreziosissimeMa lei non l’ha mai fatto”L’uomo si infuriòE si mise a lettoE non si alzò per diversi giorniLa compagna alloratornò ad offrirgli tutte le cose che possedevaGli mostrò tutti gli oggetti degni di un guerrieroche si trovavano ammucchiati in quell’angolo della stanzaInvano, lo implorò di scegliere tra quelle cosePoi, in silenzioscoraggiata e stancasi diresse verso quella cosa tenuta da parte Si avvicinò a quel mantello e disse solamente“Lo vuoi? Prendilo!Ma fai attenzione!E ricorda che sei stato tu a volerloIo ho cercato di darti tutto l’amore che potevoNon avrei potuto fare altro, dal momento che ti amo.

Prese il mantello

E l’appoggiò sulle spalle del maritoPoi gli consegnò un’ascia di pietraE gli disse“Ora puoi tornartene a casa”E lui se ne andòtornò sui suoi passinon si fermò in nessun altro posto.Arrivò nella città governata dal fratello di suo padre.E quella cosa che aveva sulle spallecominciò a prendere vitaQuella cosa che tanto aveva desiderato, parlò“Noi due colpiremo la tua cittàNoi due colpiremo la tua città”.Disse quel mantello che lui aveva tanto desiderato.La sua ragione non riuscì ad opporsiFu come spazzata viaE lui espugnò, distrusse, rase al suolo, la città del fratello di suo padreE ne uccise tutti gli abitantiDopo essere ritornato in sévide tutta la devastazione da lui stesso portataVide le sue mani insanguinateE gridò“Sono pazzo. Ora mi accorgo di cosa realmente sia questacosa!Perché mai l’ho desiderata tanto?”L’uomo allora cercò di togliersi di dosso quella cosaSenza però riuscirci.Sembrava che quel mantellogli si fosse attaccato alla pelle.

L’uomo non poté fare altro che riprendere il suo cammino E percorse un altro tratto di stradaGiunse nella città governata da un altro fratello delpadreNuovamente egli perse la ragioneE nuovamente quella cosa parlò

“Noi due colpiremo la tua cittàNoi due colpiremo la tua città”Invano l’uomo cercò di zittirlaQuella cosa non tacque maiInvano cercò di strapparsela di dosso per buttarla viaLa sua mente tornò ad annebbiarsiE lui distrusse la città dell’altro fratello di suo padreCome aveva già fatto con quella precedente.Quando tornò in séLa città del fratello di suo padreEra distrutta, sparitaLa gente era tutta mortaLui pianse

Invano cercò di passare tra due tronchiper tentare di sfilarsi di dosso quel mantelloMa quella cosa non si levavaRimaneva appiccicata al suo corpo come una seconda pelleTentò anche di colpire quella copertacon dei sassi, scagliandoseli addossoMa si accorse che quella cosa non poteva essere distruttaAllora lui riprese il suo camminoEd arrivò nella città di un altro fratello di suo padreLa cosa che aveva voluto per sési rianimò ancora“Noi due colpiremo la tua cittàNoi due compiremo la tua città”Fu nuovamente accecatoE distrusse anche questa città dell’altro fratello disuo padreCome aveva fatto nelle due città precedentiDistruzione, distruzione, distruzione, distruzione.Ritornò in sé, come era sempre accadutoE pianse, ancoraE si addolorò per la fine

che lui stesso aveva dato ai suoi parenti.

Per strapparsi di dosso quel mantello tentò di gettarsi in acquama non c’era modo di liberarsi di quella cosaInvano si rotolò tra gli arbusti spinosiTentando di strappare e fare a brandelli quella cosaContinuò a colpirsi con sassi sempre più grossiFino a che non perse le speranzeE la disperazione lo assalì

Non poteva fare altro che riprendere il camminoFino a che giunse in un’altra cittàLa città di un altro fratello di suo padreIl mantello prese vita sulle sue spalle“Noi due colpiremo la tua cittàNoi due colpiremo la tua città”Lui perse la ragioneE portò in quella cittàancora distruzione, distruzione, distruzione, distruzioneE morteTornò in séquando non c’era più anima viva nella cittàE lui era sudicio di sangueNelle braccia e nelle mani“Qa, qa, qa, qa”il suo corpo era tutto lamentoe disperazione.

Provò ancora a scagliarsi contro le rocceMa quella cosa non si strappava né si rompevaLui voleva liberarsi di ciò che prima

aveva tanto desideratoMa quella cosa restava “impigliata”tra le sue ditaIl suo cammino riprese, dolorosoAdesso era vicino alla sua stessa cittàSapendo già il destinoche l’attendevaLui cercò di fermarsi, di non proseguireMa quella cosa sembravatirarlo per i piedi proprio in quella direzione

Una volta vicino alla metaLa sua mente si offuscòE lui distrusse, annientò, rase al suoloLa sua stessa cittàUccise tutti i suoi parentiQuando ritornò in séLa sua città era sparitaDove prima si ergevano le caseI morti ricoprivano la terraI suoi lamenti e la sua disperazioneRiempirono l’aria“Qa, qa, qa, qa”.Si buttò nel fiumeTentando, ancora, di liberarsi di quella cosaMa non ottenne alcun risultatoAddirittura arrivò a gettarsi da un dirupo rocciosoPensando, sperando“magari cadendo mi riduco in mille pezzi”ma restò vivo e incolumecome la cosa che aveva addossoSenza più speranza di liberazione da quel mantellonon faceva che piangereattanagliato dalla disperazione.

Poi, improvvisamente, guardandosi alle spalleVide che c’era lei, la vecchia

“Tu” gli disse la donna“invano ho cercato di dimostrarti il mio amoreper te e per la tua gente.Perché, dunque, adesso piangi?Tutto è dipeso da teTu hai voluto portarti via il mio mantello”.Lei tolse dalle spalle dell’uomociò che le appartenevaE se lo portò viaSemplicemente lo lasciò lì da soloE se ne tornò a casa

Lui rimase lì Poco lontano da dove si ergeva un tempo la sua cittàE si costruì una casaUna piccola casa.

LE MONTAGNE ROCCIOSE

Wind River Shoshone

La religione della Danza dei Fantasmi, ricevuta nel sognodal profeta paiute Wovoka nel 1889, si è subito diffusa in molte tribù. Wovoka sognò, anche, le canzoni che dovevano accompagnare la danza della nuova religione rivelata. Canzoni che profetizzano la fine del mondo presente e la rinascita in un nuovo mondo di abbondanza aborigena libera dalle malattie e dalla morte. Il massacro dei Sioux che si radunavano per celebrare la Danza dei Fantasmi, consumato dall’esercito degli Stati Uniti a Wounded Knee, nel 1890, fu di severo monito ancheper tutti gli altri seguaci della setta. Conseguentemente, alla terribile persecuzione, fu lo stesso Wovoka a chiedere la fine dei riti della Danza deiFantasmi. Al termine di ogni canzone (canzoni composte con poche parole che si ripetono numerose volte) abbiamo inserito, in corsivo, la spiegazione che ne dava una voce narrante.

POETRY SONGS OF THE SHOSHONE GHOST DANCE

1)

Le montagne, sormontate dalla nebbia in movimento, si distendono.Le montagne, sormontate dalla nebbia in movimento, si distendono.Nebbia, nebbia, la nebbia in movimento distende.Nebbia, nebbia, la nebbia in movimento distende.

Le nostre montagne ricoperte di nebbiadalle vette alla pianura, lentamente, si distendono

2)

Docce di raggi solari sulle montagne, docce di raggi solari sulle montagneena.Docce di raggi solari sulle montagne, docce di raggi solari sulle montagneena.Aghi di pino nelle piscine dei borri di montagna dopo le docce di raggi di sole ena.

Le nostre montagne bagnate tornano a brillare nel soleUna leggera pioggia ancora le avvolgeLa luce riflessa dalle pozze d'acqua dove dondolano affilati aghi di pino accarezza la natura nella ritrovata quiete del sole

3)

Nevi sulle montagne passano Nevi sulle montagne sciolte –No wa ro wia ni no pa ro wia ni no e –No wa ro wia ni no pa ro wia ni no ena.

Le montagne passano, si spianano: fanno wia(p)!Sulle nostre montagne scaldate dal sole e bagnate dalla pioggiala neve si discioglie, scivola giù.Come la nebbia anche la neve scompare nella pioggiache scivola giù spianando le montagne.

4)

anatroccoli selvaggi, anatroccoli selvaggi tanto piccoli,anatroccoli selvaggi, anatroccoli selvaggi tanto piccoli.In belle acque nuotano, in belle acque nuotano. Anatroccolo selvaggio, anatroccolo selvaggio tanto piccolo, anatroccolo selvaggio, anatroccolo selvaggio tanto piccolo.In belle acque nuota,in belle acque nuota.

La vita riprende, germoglia, ravvivata dalla purezza dell'acqua.Dal più grande al più piccolo degli esseri che animano la terra!E gli anatroccoli selvaggi fluttuano su limpidi e azzurri specchi d'acqua.

5)

Volteggia l’ala dell’aquila.Volteggia l’ala dell’aquila.Luccica l’erba bagnata d’acqua… sembra scorrere come un fiume… Luccica l’erba bagnata d’acqua… sembra scorrere come un fiume…

L'aquila volteggia nel cieloE ancora domina sull'erba verde bagnata e i suoi riflessi che da lassù gli appaiono in movimento.

6)

Farfalle dei pini, farfalle dei pini.Farfalle dei pini, farfalle dei pini.Fra l’ombra rada dei pini – tremolano. Fra l’ombra rada dei pini – tremolano.

La vita riprende, palpita, rianimata dalla luceche contamina anche gli esseri immobili e ombreggiati del creato.Colpite dai raggi di luce che filtrano fra i ramimiriadi di ali di farfalla fanno sussultare l’ombra rada dei pini sotto a cui girano intorno.

7)

Ruggendo, Nostro Padre il Leone di Montagna, ridiscende la montagna, wainda.Ruggendo, Nostro Padre il Leone di Montagna, ridiscende la montagna, wainda.Con i loro piccoli, tanto piccoli, le prede del Nostro amato Padre restano al sicuro nella montagna, wainda.Con i loro piccoli, tanto piccoli, le prede del Nostro amato Padre restano al sicuro nella montagna, wainda.

Nostro Padre, il Leone di Montagna ridiscende dalle cime.Il ruggito torna a diffondersi in tutto il suo regno, wainda.Le sue prede, da quelle grandi a quelle piccole,restano al sicuro nel grembo della sua terra protetta.

8)

La faccia del Nostro Sole, bianco radioso, torna al suo posto.

La faccia del Nostro Sole, bianco radioso, torna al suo posto.Il sole si muove…riprende il suo posto. Il sole si muove…riprende il suo posto.

Il Nostro Sole ha ritrovato la sua direzione. Il suo volto bianco e raggiante si irradia dal cielo.Da ora e per sempre ritornerà ad ogni alba fino al tramonto.9)

Sulla nuova terra tutti gli uccelli cantano insieme.Sulla nuova terra tutti gli uccelli cantano insieme.Affilata linea gialla all’orizzonte.Affilata linea gialla all’orizzonte.

Sulla Nostra Terra è arrivata l'alba della rinascita. Annunciano il nuovo giorno gli uccelli che cantano all’unisono. Il ritorno alla vita del nuovo sole è annunciato da una lama di luce dorata che fende l'orizzonte.

10)

Spunta la Stella del Mattino.Spunta la Stella del Mattino.Sgorgano chiari raggi di sole.Sgorgano chiari raggi di sole.

Luminosamente ritornano a posto le stelle. Luminosamente ritornano a posto le stelle.

La nostra splendente Stella del Mattino appare sopra la linea di luce gialla all'orizzonte.

Poi, invisibile, resta in cielo e sale seguitando nel suo corso.

11)

Animenebbia, animenebbia.Animenebbia, animenebbia.Anime volano via, anime volano via.Anime volano via, anime volano via.

E le anime diventano nebbia, e come nebbia si dissolvono.Dalla terra si allontanano sotto forma di nebbiae volano via, oltre l'aria ora tersa e limpida.

12)

In vortici di polvere volan via turbini di anime emaciate. In vortici di polvere volan via turbini di anime emaciate.Dai passi verdi delle strade di montagna – in movimento si distendono,Dai passi verdi delle strade di montagna – in movimento si distendono.

E le anime scordate s’involano.Quegli uomini, dimenticati da chi resta in vita,sollevati in un vortice polveroso prendono il volo dai verdi passi della montagna.

13)

Uomo Creta Bianca, Uomo Creta Bianca. Uomo Creta Bianca, Uomo Creta Bianca e Uomo Bastone di Legno continuano il volo,e Uomo Bastone di Legno continuano il volo.

La danza degli uomini che restano nella nuova terra riprendecon strumenti di argilla bianca e legno profumato.E l'argilla è la nuova terra e il legno è la natura che riprende il suo respiro naturale, libera di volare e di crescere.

14)

La Nostra Madre morta si risveglia all’alba della resurrezione.La Nostra Madre morta si risveglia all’alba della resurrezione.Da lassù – ora e per sempre - vegliando su noi bambini continua a ritornare, a ritornare.Da lassù – ora e per sempre - vegliando su noi bambini continua a ritornare, a ritornare.

La nostra madre morta è risorta con l'alba del nuovo giornoMadre natura è tornata a vegliare sulle sue creature e ora - per sempre finalmente risorta - continuerà a rinascere in ogni nuovo giorno.

LE GRANDIPIANURE

LAKOTA

Gli hejoka avevano il potere, se lo desideravano, di deviare i distruttivi fulmini che tanto frequentemente cadevano sulle Grandi Pianure. Lenivano il male, ma lo potevano anche acuire. Gli Heyoka giocavano un ruolo molto importante all’interno del cerchio dei villaggi lakota. Il loro clownesco comportamento divertiva la gente e, allo stesso momento, portava all’attenzione i comportamenti devianti, le azioni e i fatti non accettabili dalla società. Facendo ridere, con le loro mosse grottesche, provvedevano al necessario sollievo delpopolo dal rigido codice del conformismo sociale lakota; codice morale che gli heyoka erano liberi di ridicolizzare. Sollevando l’atmosfera nei momenti più duri erano capaci di mandare segnali di ammonimento quando la società si faceva compiacente. Mettevano all’indice il potenziale pericolo e, sempre con le burla,annunciavano le conseguenze che derivano dalla non vigilanza; mettevano in allerta il villaggio sulle potenzialità negative dell’azzardata situazione.

Racconto descrittivo delle tradizioni della tribù Lakota Quello che la gente comune dice degli Uomini Tuono e degli Heyoka

WAKINYAN E WAKINYAN WICAKTEP TUONO E QUELLI UCCISI DA TUONO

Si dice che gli Uomini Tuono vivano ad Ovest perché è da li che vengono. Sono considerati i guerrieri del Mistero Finale. Le Great Mountains sono la loro casa. Uccidono chiunque non rispetti le loro leggi. Degli Uomini Tuono, si dice, che vivano alla maniera della gente comune. Ma in più, viaggiano in tutto il mondo, lo nutrono, viaggiando causano la caduta delle piogge. Fanno si che la terra cresca tante cose straordinariamente belle e, così facendo, aiutano gli animali e gli uomini a prosperare in abbondanza. Lì dove la terra ha subito un danno, arrivano loro a ripulirla con la pioggia, lavando via tutto ciò che ha causato il danno.

Cielo, terra e acqua sono gli esseri che gli Uomini Tuonostimano su tutti. Quello, fra tutti i quadrupedi della terra, è il cavallo; per quanto anche tutti gli altri quadrupedi, per loro, sono importanti. Quelli fra gli alati del cielo sono: il gabbiano, il falco, l’allodola e le rondini. Fra gli esseri acquatici quelli più stimatisono la rana e il tritone perché arrivano giù sulla terracon le piogge. Per quanto, animali non esclusi, possano essere tante le ragioni che mandano i fulmini a folgorare le cose si diceche, anche quando una persona sogna degli Uomini Tuono, se si impegna a celebrare certi riti, solo il fallimento nel compimento di quegli obblighi comporterà la sua mortetramite fulmine. Quelli che sono stati uccisi dai guerrieri degli Uomini Tuono, si dice, che furono colpitiin cima alla testa. Quello colpito dal fulmine aveva i capelli in cima alla testa arruffati come una palla. E’ per questo che gli heyoka con i capelli in cima alla testaci fanno un nodo.Se qualcuno non fa come gli è stato insegnato nella visione o nel sogno arrivata dagli Uomini Tuono, si dice,che un fulmine lo farà per lui. Viaggerà attraverso il suo corpo arricciandogli le membra, segnandolo nel modo che avrebbe dovuto dipingere se stesso; per questo, coloro che sognano i tuoni, hanno l’usanza di dipingersi il corpo e le membra in quella maniera.Si dice che i fulmini tempestino il palco della sepoltura, quando una persona uccisa dai fulmini viene messa sul palco della sepoltura. La persona colpita dal fulmine veniva portata nel dominio degli Uomini Tuono pervivere lì con loro. Quando vengono gli esseri tuono da Ovest, perlomeno così si dice, alcuni fra quelli che arrivano hanno il permesso di scagliare le folgori che uccidono. Gli esseri tuono dicevano a quello da folgorare: “Silenziosamente e delicatamente (nel sogno) andrai dalla tua gente. Avrai compassione di loro perché pensano di essere nel giusto ma, la sapienza che gli

uomini credono di avere, tale non è – gli dicono – ad ognuno di loro tu svelerai la verità.” Gli altri heyoka pregheranno per lui e lo onoreranno per tutto ciò che vogliono o abbisognano.

Un uomo che sognò i tuoni raccontò del suo sogno: “Ho sognato di stare nel paese degli esseri tuono. Un’allodola venne da me proveniente da ovest e saltai in aria come un saetta. Quando ripresi conoscenza ero nel grande villaggio degli esseri tuono. Erano gente comune che aveva dipinto il proprio corpo di grigio bianchiccio.Gli arti erano dipinti con strisce a zigzag rosse, più o meno larghe come una mano.”Mi dissero: “Da ragazzo, così come da uomo o da vecchio, si sempre lucidamente conscio che i riti che vedrai saranno esattamente come quelli che rivelerai alla tua gente.” Un heyoka, impaziente di eseguire il rito del prelievo dal bricco bollente, si rivolse a quello che aveva viaggiato nella terra degli esseri tuono dicendogli: “Ho avuto una visione in sogno. Da quel momento sento urla di guerrieri ogni volta che arrivano gli esseri tuono.” A questo, quello che aveva visitato gli esseri tuono, replicò: “Ti stanno chiedendo di prelevare dal bricco alla maniera degli heyoka. Ora potraimostrare alla gente come eseguire nel modo giusto questo rito.” In quel momento lo heyoka fu pronto per eseguire ilrito.Fu eretto nel centro del villaggio, fatto di vecchie e affumicate pelli di scarto, un piccolo tipi. Il tipi fu circondato dal gruppo di heyoka che già avevano rivelato iloro sogni avuti dagli esseri tuono. Non usarono tante pertiche come si fa per un normale tipi, ma ne usarono due per reggere il passaggio del fumo. Poi invitarono ad entrare tutti gli altri seguaci della Società Heyoka che già avevano eseguito i loro riti. Gli heyoka scelsero uno fra di loro. Il nuovo heyoka, quello che doveva eseguire il rito per la prima volta, fu toccato dal prescelto

della Società Heyoka per prendere coscienza del nascente potere. Lo heyoka prescelto, mentre dipingeva quello nuovo, spiegava come lo stava dipingendo. Gli disse, anche, che avrebbe dovuto cavalcare un cavallo multicolore. A loro volta, tutti gli altri heyoka, si unirono per finirlo di dipingere. Il torso fu dipinto di grigio bianchiccio; le membra con strisce zigzagate di colore rossiccio, come i fulmini. I capelli furono tirati davanti, arrotolati, e legati in modo che pendolassero sulla fronte. Una pianta di Psoralea (ticanica hu) fu legata al nodo di capelli penzolante. A quel punto si vestirono anche gli altri heyoka. Con vecchie pelli di tipi di scarto, a cui praticarono fori molto imprecisi, fecero dei gambali. E li indossarono come gambali. Con le stesse pelli, pure forate, fecero lemaglie che indossarono. Il pericardio del bufalo, che glicopriva anche la faccia, lo usarono come copricapo. Sullacima del cappuccio ci fecero un buco, dal quale penzolavauna treccia. Prese due pezze, di vecchie pelli di daino di tipi di scarto, ci sagomarono due orecchini; grandi, circa, come il palmo di una mano. E li appesero agli orecchi. Dietro la testa gli penzolava una fila di piume di ali di corvo fissate su una striscia di pelle grezza imperlata alla base. Un arco fatto alla svelta, uno scudo, e due o tre frecce costituivano il resto del costume. Questi archi non erano affatto funzionali, perché fatti alla svelta e senza cura.Ora, abbigliato nello stile che ho detto, lo heyoka stava per adempiere ai suoi obblighi. Era dipinto di grigio bianchiccio e fu messo su un cavallo multicolore, con unalancia in mano.

Cantò una canzone heyoka che diceva così: Viene una nube tonda Viene una nube tonda

M’ avvio sul sentiero sacro con un voto per me stesso Viene una nube tonda M’ avvio sul sentiero sacro con un voto per me stesso

Poi infilò una lingua di bufalo con la sua lancia e la tirò fuori dal bricco.Tutti gli heyoka, allora, si avvicinarono al bricco ed estrassero pezzi di bufalo con le mani nude. Poi si dispersero tra la folla portando pezzi di lingua di bufalo dovunque ci fossero seduti uomini di mezza età o più vecchi, ed offrendoglieli. Gli uomini, condividendo l’offerta di cibo, rispondevano: “Haye”. Ognuno rese omaggio al capo degli heyoka ed al nuovo heyoka. Dopo, perla gioia della folla, gli heyoka si esibirono in molte azioni comiche e buffe (com’è nella loro natura). Il nuovo heyoka aveva onorato i suoi obblighi verso gli esseri tuono, e la gente era felice per lui.Un giorno, si dice, che un altro uomo - che aveva ricevuto una visione – dopo essersi vestito secondo l’usanza heyoka, andò in giro per il villaggio facendo scherzi heyoka. I capelli scendevano sciolti, e su un solitario nodo di capelli aveva legato una fila di piume di ali di cervo. Si dipinse il torso di rosso e sulle membra aveva dipinto delle strisce a zigzag vermiglione che rappresentavano gli Uomini Tuono. Su piedi e mani aveva tracciato disegni forcuti. Indossò la sua veste di bufalo – con il pelo rivolto fuori – annodata all’altezzadella gola. Portava un’imitazione d’arco ed alcune freccestorte insieme ad un tamburo colorato di rosso. Mentre bussava sul tamburo cantava questa canzone: Il potere del sole fa battere il mio cuore Il potere del sole fa battere il mio cuore

Torceva il corpo da una parte all’altra, mentre danzava in giro per il campo guardando a destra e manca. Ogni

tanto soffiava s’un flauto ricavato da un osso d’ala d’aquila. Non faceva il prelievo dal bricco perché aveva paura degli esseri tuono. Comunque, questa volta, nel rispetto del rito, prelevò dal bricco. Lo fece una seconda volta ed ancora una terza. Da quel momento non ebbe più paura degli esseri tuono e si considerò un heyokacompleto. Gli heyoka erano chiamati i “Non Grandi Fratelli”*. Parlavano ed agivano al contrario. Formarono una Società Heyoka e scelsero un giorno per celebrare la loro festa. Eseguivano i loro riti e le loro cerimonie cantando le canzoni heyoka alla gente. Circondavano il villaggio eseguendo le loro danze, cantando le loro canzoni, percuotendo il tamburo mentre cantavano. Non ballavano nel modo tradizionale ma saltando su e giù.

* Non Grandi Fratelli (Ciyeku Sni)I membri della Società Heyoka potevano evocare tanto la parte luminosa che la parte scura del Mistero Finale (Taku Wakan) e, per questo, dai giovani nel cerchio del villaggio non erano considerati come modelli da imitare. I membri delle società guerriere erano i Grandi Fratelli (Ciyekupi) dei giovani che mostravano capacità guerriere. Iguerrieri più famosi promettevano, ai giovani che gli stavano più dietro, d’insegnargli l’arte della guerra. Nello stesso modo, i giovani che promettevano capacità taumaturgiche, seguivano sempre gli uomini santi del villaggio.

PAWNEE

I Pawnee vivevano lungo gli affluenti del fiume Missuri(Nebraska e Nord Kansas). I loro tempi di vita avevanoun andamento circolare che partiva dalla primavera, lastagione che passavano in alloggi di terra a forma dicupola. Questo era il momento della semina: le donnepreparavano i campi e ci piantavano il mais, le zucche ei fagioli; gli anziani si radunavano per celebrare iriti. A giugno, mentre le colture crescevano, sispostavano a ovest verso gli altopiani; lì vivevano neitipi di pelle di bufalo. Alla fine di agosto tornavanonei villaggi delle case di terra, dove facevano ilraccolto e continuavano i riti. A novembre, conl’apprestarsi dell’inverno, ritornavano sugli altopianiper la caccia al bufalo che durava fino a febbraio,quando si ripartiva per tornare a casa. La Storia di CapoComanche fa parte del genere storico che, generalmente,racconta delle grandi imprese compiute in guerra. Questaspiega l’origine del nome di un uomo: Capo Comanche. Lavicenda illustra come i nativi ottenevano i loro nomipersonali attraverso atti di coraggio o altre azioni;nomi, spesso, meritati nelle spedizioni di guerra.L’evento narrato è accaduto nella metà del diciannovesimosecolo quando, una o due grandi formazioni Pawnee,partirono verso sud, probabilmente, per andare a rubare icavalli.

La storia di Capo Comanche

Si narra che un gruppo di guerrieri partì dalle terre incui vivevano le tribù Pawnee, prima che anche gli altrisi muovessero nella stessa direzione. Dopo tanti giornidi cammino, più di quanti erano stati previsti, uno diloro, parlando al compagno che aveva vicino, gli disse:“Ascoltami, io mi fermo qui. Gli altri vadano avanti. Iodevo andare dalla parte opposta. Sto cercando qualcosa dimolto speciale e devo trovarlo assolutamente”.Il compagno rispose: “Non puoi andare da solo. Io verròcon te” e lo seguì. L’uomo si oppose: “No. Tu devi andareavanti con il resto del gruppo. Tu devi andare dove vannoloro”. Ma l’altro non si fece convincere: “Io verrò conte. Andrò dove vai tu”.E così partirono insieme, l’uno dicendo all’altro diandare via, l’altro rimanendo ostinatamente al suofianco.

Senza altri contrattempi i due guerrieri arrivarono nelposto stabilito che l’uomo cercava e che sembravaconoscere.“Vivono qui quelli che cerco. Non credevo di riuscire aritrovare la strada ma adesso so di non aver sbagliato: èqui che vivono coloro che vengono chiamati la tribù deiComanche”.Poi si raccomandò al compagno: “Adesso tu aspetta qui. Ioandrò su quella collina per guardare intorno”. “Possiamo farlo insieme”, obiettò l’altro. “Allora vieni, ma sta attento”. Salirono in cima ad una delle colline che sovrastavano ilvillaggio. “Guarda con attenzione”, disse l’uomo edaggiunse : “Lo vedi quel villaggio laggiù in fondo.Quello è il villaggio, lo riconosco dalla forma”. E, in effetti, quel villaggio aveva una disposizionedelle abitazioni ben precisa. Sul versante ad occidentedi quel grande villaggio era sistemata la dimora del capodei Comanche e della sua famiglia: moglie, figli ed unafiglia. Oltre alla famiglia abitavano in quella parte delvillaggio i guerrieri che assistevano il capo ed unanziano che gli faceva da banditore.Dopo aver studiato bene la sistemazione delle abitazionil’uomo disse al suo compagno: “Io vado laggiù. Tu rimaniqui. Mi aspetterai per quattro giorni. Se non mi vedraitornare non preoccuparti e tornatene a casa. Se non tornovuol dire che mi hanno catturato ed ucciso”.L’uomo suggerì anche cosa il compagno avrebbe dovuto direuna volta tornato dalla sua gente: “Tu dirai agli altriche sai dove si trova il villaggio in cui io mi erodiretto. Dirai che questa gente mi ha catturato e mi haucciso. Dirai che mi hai aspettato per quattro giorni eche non vedendomi tornare te ne sei andato”.Detto questo, l’uomo si diresse verso il villaggio. Eranogiunti nei pressi del villaggio a giorno inoltrato maquando l’uomo salutò il compagno era quasi notte. Ilpawnee – l’uomo che faceva parte della tribù “Quelli che

Assomigliano ai Lupi” – si diresse da solo verso ilvillaggio. Quando arrivò al villaggio, vide che la genteera ancora impegnata nelle faccende della vita di tutti igiorni. Poi, lentamente, tutto si fece quieto. Tutte leattività andarono cessando. Intorno si vedevano solocavalli. Infatti, come sempre, i cavalli migliori eranostati legati davanti alle abitazioni dei loroproprietari. Il pawnee puntò dritto su un certo alloggio. Lui vide cheall’interno dell’abitazione la fiamma del fuoco eraancora accesa ma che, lentamente, si stava esaurendo.Stava per essere il momento giusto. Era quasi giuntal’alba ed era quello il momento giusto per entrare.L’uomo allora aprì la porta del tipi ed entrò. Sapevabene com’era disposto l’alloggio. C’era già stato el’aveva bene impresso nella mente. Per questo, adesso cheera nuovamente lì, sapeva perfettamente come muoversi.Non esitò un attimo. Si diresse verso la parte che siaffacciava ad occidente. Sapeva dove era posizionato illetto del capo e dove, invece, era quello di sua figlia.Lei era lì che dormiva. Lui si svestì: lasciò da unaparte il suo arco ed il coltello, i gambali ed imocassini. La ragazza continuava a dormire. L’uomo,silenziosamente, sollevò le coperte e si distese afianco della ragazza. A quel punto la donna si svegliò e gli appoggiò le manisul viso. Cercando di capire chi fosse al proprio fiancolei gli passò le mani sul volto, sulle tempie e sullatesta e si accorse che quell’uomo aveva una crestaall’Osage. Lei capì subito, da questo particolare, che sitrattava di un pawnee. Questi uomini pawnee non esitanodavanti a niente! Lei allora chiamò suo padre, sussurrando: “Padre, seisveglio?” E, lui disse: “Perché mai dovrei essere sveglio, figlia?”Lei: “Una persona è entrata nel mio letto”.

A quel punto il padre si alzò e chiamò gli uomini diguardia all’entrata dell’alloggio. “Rianimate il fuoco!”gridò, ma prima che gli uomini arrivassero il capo avevagià buttato sulla cenere ancora calda dell’erba secca edelle scaglie di legno che subito rianimarono la fiamma.Allora il capo urlò: “Governatelo! Voglio tanta luce,perché si possa vedere bene!” E poi disse: “ Tutti in piedi, svelti! E che nessunofaccia niente di avventato! Scopriamo chi è questapersona che è entrata nei nostri alloggi.” Poi ordinò al banditore: “Vai fuori e annuncia a tutto ilvillaggio che il capo vuole che tutti si radunino qui.Chi arriverà per primo potrà entrare disponendosi inordine all’interno dell’alloggio. Quelli che arriverannodopo e che per questo non troveranno posto all’interno,dovranno disporsi in circolo fuori dalla casa. Che tuttisiano pronti a difendere il capo, nel caso in cui lostraniero che adesso giace nel letto con mia figlia, nonsia giunto da solo al nostro villaggio. Lui ha i capellitagliati alla maniera degli Osage!”.Arrivarono tutti in breve tempo e riempirono l’internodell’alloggio. Allora il capo dei comanche, il capo ditutti i capi, parlò: “Ognuno di voi dovrà dirmi cosapensa che sia giusto fare. Avete visto questo stranieroentrare nei nostri alloggi. Come deve reagire il nostrovillaggio?”. Un gruppo di uomini disse: “cosa ne pensano quelli chestanno di fronte a noi?”. E quelli che erano stati chiamati in causa prontamenterisposero: “E perché non sentiamo il parere dello ziodella ragazza? Del resto dovrebbero essere i parenti piùvicini a decidere cosa fare. Sono loro ad essere statioffesi direttamente”.Lo zio della ragazza intervenne: “Il capo ha dato a voila parola”.Da un angolo si alzò la voce di un anziano. Era il padredel capo dei Comanche che disse: “Nessuno ha avuto il

coraggio di parlare. Siete rimasti tutti a sedere, insilenzio. Allora dirò io una cosa che proprio mi sento didire. Io sono vecchio ed in tutti questi anni di vita hosempre sognato di fare una cosa che non ho mai fatto: ègiunto il tempo di visitare la tribù a cui appartienequest’uomo”. Indicò lo straniero e gli domandò: “Di chetribù sei?” “Son di Quelli che Assomigliano ai Lupi”. “Era quello che tutti noi pensavamo – disse il vecchio –La gente ha sempre detto che quelli che assomigliano ailupi sono coraggiosi. Nessuno dei presenti avrebbe fattoquello che hai fatto tu”. Infine il vecchio tornò a dire:“Ho sempre avuto il desiderio di visitare quella gente.Adesso che ne ho ancora la possibilità intendo farlo,indipendentemente da quello che il mio bambino, miofiglio che adesso è il capo, vorrà che sia fatto”. Ma il vecchio non aveva finito di dire la sua:“Quest’uomo, questo quelli che assomigliano ai lupi, mipiace. E’ coraggioso! E’ coraggioso! Non ha cercato diusare le sue armi, né arco e né coltello. Sembra che nonconosca la paura. Guardate questa donna, mia nipote,questa mia ragazza: lei lo vuole, e io non ho niente daobiettare. Lui può prendermela, la può sposare. Lui èvenuto per sposare mia nipote ed io gliela darò, se èquesto che lei vuole. Non passerà molto prima che arrivila primavera, e non passerà molto perché ogni cosa maturie ci saranno cibi in abbondanza – disse ancora il vecchio- E io voglio andare nei luoghi in cui abita la tribù diquest’uomo. Finalmente, potrò mangiare tutto quello chemangiano loro. Si dice che fra tutti gli Indiani chepopolano la terra, il Paradiso ha benedetto quella tribùcon i semi delle piante da mangiare. Ne hanno di ognitipo. Io farò questo: mangerò tutti quei differenti tipidi cibo. Ne hanno di ogni tipo, lì dove vivono loro.Desidero mangiarli. C’è un tipo che chiamano zucca. E’una pianta che si arrampica alle pareti dei loro alloggi.Le zucche gli crescono addosso. Sono così buone che ne

devo mangiare un po’, mentre sono ancora in vita. Matorniamo alla ragione per cui ci troviamo tutti quiriuniti. Io dico, siccome voi non dite niente, che daròil mio assenso all’unione di mia nipote con quest’uomo”. Il capo dei capi disse: “Ben detto padre. Lo avetesentito.” A quel punto i guerrieri se ne andarono: “Oramai, qui,non c’è più bisogno di noi”. “Non voglio più nessuno in giro! – disse allora il capodei comanche - Andate! Andate a casa! Chi di voi avrebbefatto quello che ha fatto lui? Questo quelli cheassomigliano ai lupi è coraggioso. E s’è preso la nostragiovane donna comanche”.E fu così che l’uomo sposò la figlia del capo deicomanche e lei gli dette tanti, tanti figli.Arrivò la primavera e la giovane coppia portò l’anzianopadre del capo dei comanche e sua moglie dove viveva latribù di quelli che assomigliano ai lupi: a Beaver Creek.Lì si conobbe il nome con cui il giovane sposo venivachiamato nel suo villaggio: lui era Capo Coltello. Disse: “Ora mi chiamo Capo Comanche. Hanno deciso dichiamarmi Capo Comanche”. E pensare che era ancoragiovanissimo e già aveva assunto quel nome.Giunto al villaggio Capo Comanche scoprì la fine cheaveva fatto il vecchio compagno che aveva lasciato adattendere il suo ritorno sulla collina. Questi, dopo averatteso quattro giorni il ritorno del suo amico, avevapensato: “Certamente lo hanno ucciso. Io non possotornare a casa da solo”. Probabilmente questo giovane siera ucciso. Gli altri guerrieri che avevano proseguito laloro missione, invece, erano tornati a casa sani e salvi.Frattanto il giovane sposo aveva ottenuto ciò che avevadesiderato. Quest’uomo detto Capo Comanche, se crediamo aquello che raccontano gli anziani, accudì l’anziano nonnodella ragazza comanche e poi, quando la ragazza comanchemorì, lui sposò “Tutte le Donne del Capo”. Si raccontache quando anche lui divenne vecchio riprese il nome di

Capo Coltello che, ancora oggi, è il nome della suafamiglia. Coltello Buono fu chiamato suo figlio.

Mi piacerebbe sapere quali sono le storie che dannoorigine a certi nomi? Quando i più vecchi raccontavano lestorie, mi raccontavano questa che avrebbe parlato delvecchio uomo Capo Comanche e di quando la coppia arrivòfra la nostra gente, di Donna Comanche – la ragazzagiovane – oh, se era bella quella giovane donna! Questaragazza era davvero bella, al tempo quando la nostragente viveva ancora in Nebrasca.Non era passato tanto tempo, da quando avevo raccontatoquesta storia in terra d’Osage, che incontrai uncomanche. Fu durante un incontro peyote che incontraiColtello Buono, che era ancora in vita. E questo comanchedisse: “Sono un parente di quell’uomo. Quest’anziano èpure un suo parente.” Era un parente anche diquell’anziano. Erano parenti del vecchio uomo CapoComanche, quello che prese la ragazza dalla sua tribù.Quando diventando il genero del capo comanche, si dice,fu chiamato con qualsiasi nome desiderasse chiamarsi. Inmezzo alla sua progenie c’era uno chiamato Lupo Bianco.Il nome si riferisce ad un lupo di colore bianco: LupoBianco. Questa storia che ho raccontato è vera. Non è laclassica storia del Coyote, io non me la sono inventata,e non è frutto di un sogno; ma è una storia della genteche viveva in passato.Loro dicevano ai giovani: “Ora sei cresciuto. Ora devivivere la tua propria vita. Devi farlo a modo tuo se vuoitrovare la tua buona stella. Oggi avete appreso la storiadi questo uomo pawnee, quello il cui discendente èchiamato: John Knife Chief. Ho detto il suo nome ininglese perché così, se vuole che qualcuno dei bambinidei suoi figli sia chiamato Capo Coltello, saprà che lorohanno diritto a quel nome. E questo è tutto quello che avevo da dire.

ILNORDEST

OJIBWE

La narrativa Ojibwe, come tutte le letterature orali, eraimportante nella trasmissione e nel consolidamento dei valori tradizionali. L’arte verbale degli Ojibwe si distingue in due categorie: la prima comprende notizie, aneddoti e storie di eventi importanti. Storie che spaziano dagli avvenimenti accaduti nella vita di tutti igiorni ad esperienze molto più eccezionali che volgono verso il leggendario. La seconda categoria della narrativa involge i miti Ojibwe: storie sacre sui manitok (altra forma di “potenti” esseri umani) e sui morti. Le seconde sono più classiche e formali delle prime. Il tempo per la loro narrazione era ristretto all’inverno quando gli Ojibwe, nelle loro piccole unità familiari, cacciavano per procurarsi il cibo. Raccontavano le loro tradizioni in inverno perché i manitok vivono sott’acqua

e, nella stagione fredda, essendo ibernati non possono sentire. Il grosso di questa seconda categoria di storie racconta le tribolazioni di Nanabush (o Nanabozho). Una metà di questo materiale lo descrive come un sapiente eroe, l’altra metà nella ruolo dell’imbroglione. Da eroe ha creato il mondo in cui viviamo con tutti i suoi modelli primordiali. I miti della creazione contemplano molte gesta di Nanabush: dalla sua stessa nascita a quando, dopo il diluvio universale, ha creato il mondo presente. C’è una relazione d’intima identificazione fra le gesta leggendarie di Nanabush, che confermano la loro natura di cacciatori, e gli Ojibwe. Nanabush intercede fra gli uomini e i manitok; serve come ideale modello da imitare; inventa esempi per la cultura utilitarista; ha grandi capacità di sussistenza; ha scoperto il riso; ha raccontato agli uomini come fare le medicine con le piante che guariscono. Nella veste d’imbroglione squilibrato, stregone e manipolatore di parenti, era un esempio di comportamento da evitare. Un modo di fare contrario ad ogni regola della società Ojibwe e che, quindi, propone una forma di educazione negativa per tutte le età. Le sue azioni, come i patimenti conseguentialla disobbedienza, servono a monito per un più appropriato comportamento.

NANABUSH SCIUPA IL POTERE RICEVUTO DALLA PUZZOLA

Come al solito se ne andava in giro a piedi.

Fino a che, arrivato sul ghiacciaio di un lago, vide un abete.Allora pensò:“Non ci sono dubbi, qualcuno vive lì.”

Continuò il cammino.Incontrò un buco per attingere l’acqua sul ghiaccio; un buco fatto con le budella di alce. L’incavo era davvero molto grande. Lo avrebbe voluto per se. Ci allungò le mani sopra.

Ma udì la voce di qualcuno che disse:Ehi, Nanabush! Metti giù le mani. Se lo prendi, ce ne servirà un altro! Lo lasciò stare. “Vieni qui”, disse.E lui risalì dal lago.

Gli offrirono del cibo; lui ne mangiò. Avrebbe voluto lasciarsene un po’. “Mangia tutto quello che ti ho preparato”, disse.E lui lo mangiò tutto.

S’accorse di quanto fosse grosso quello che gli parlava. “Nanabush, sembri molto affamato”. “No”, rispose. “No? Nanabush, tu sei alla fame! Si vede che hai tanta fame. Lo dico per te, per farti avere una grazia”, disse.

“Si, mio giovane fratello, ho davvero fame”, rispose. “Bene – gli fu detto – allora t’insegnerò quello che dovresti fare”.Gli fu dato un piccolo flauto. “E’ questo – disse – quello che dovrai usare. Quando ritornerai a casa, la tua anziana donna dovrà costruire una lunga casa; dovrà essere una casa molto lunga. Ti do anche questo, per quando sarà finita, con questo ucciderai quelli che entrano in casa. Fai esattamente come t’ho insegnato”; gli fu detto.

Era la Grande Puzzola che stava parlando. “Ti darò la possibilità di farne uso due volte – disse – di questo che userai per ucciderli. Ora inginocchiati e appoggiati sulle mani”, disse a Nanabush. Con grande consapevolezza si piegò su mani e ginocchia. Si posizionò in faccia al suo di dietro, e fu coperto da una grande puzza.

Questo è quello che gli fece. E, questo, è quello che gli disse: “Per favore, Nanabush, fai attenzione – disse – o potresti far male ai tuoi bambini”; gli fu detto.“Quando tornerai a casa dovrai rigorosamente fare così: Soffierai una melodia sul tuo flauto, alcuni alci andranno in casa tua. N’entreranno abbastanza, poi faranno così:

cammineranno intorno dentro la tua lunga casa.

Dopo, quando verrà fuori il capo branco, tu gli farai una puzza per ricacciarlo dentro.Così, anche tutti quelli dentro, moriranno.E tu avrai il cibo per svernare.Se ne vorrai ancora, quando li avrai mangiati tutti, potrai soffiare un’altra volta sul flauto. Così potrai attraversare l’inverno, senza aver mai più fame. Questo è tutto quello che dovevo insegnarti”; gli fu detto.

Nanabush si rimise sulla sua strada. Era davvero molto fiero. Ora, nel momento che stava camminando per la sua strada, vide un albero davvero grande. “Chissà se il mio giovane fratello m’ha detto la verità – pensò – quasi, quasi… gli faccio una puzza!” Pensò Nanabush.

E davvero fece una puzza sul grande albero; che marcì completamente.“Sembra che il mio giovane fratello m’abbia detto la verità!” pensò. In un momento mentre ancora una volta camminava per la sua strada, vide una grande roccia oltre il versante opposto delle colline. “Eppure – pensò ancora – io continuo a chiedermi se mi ha detto la verità”.

“Quasi, quasi… farei un’altra prova sulla roccia”, pensò.E davvero fece ancora una puzza.Quando guardò, di quella grande roccia, non era rimasto niente.

Colui che aveva avuto pietà di lui sentì voci a proposito di quello che lui stava facendo. “Com’è stupido, da parte di Nanabush, non fare attenzione; sta portando la rovina sui suoi bambini.”

Nanabush si drizzò in piedi. Andò là dove c’era la roccia. Riuscì a trovare dei pezzetti di roccia sparsi qua e là solo dopo una persistente ricerca. “Che il mio giovane fratello abbia detto la verità – pensò Nanabush – è un fatto concreto!”

Ritornato a casa disse: “Vecchia donna, sono stato benedetto;” disse alla sua vecchia donna. Poi continuò: “Domani – disse a sua moglie – costruiremo una casa molto lunga!”Costruirono una casa, davvero, molto lunga. Alla fine, disse alla sua vecchia donna: “Siediti!”E rimasero seduti.

Soffiò una melodia sul flauto. Vide alcuni alci correre verso la casa, per davvero. “Sono certa, non ho alcun dubbio – gli disse la moglie – che non hai obbedito alle istruzioni”. Gli alci entrarono in casa, per davvero. Il capo branco uscì di casa.

Nanabush tentò una puzza; ma non era più capace di fare le puzze.

Ora aveva fatto arrabbiare la donna, per davvero. “Non fai mai attenzione né a cosa ti viene detto e né a chi te lo ha detto!” gli disse la sua vecchia donna.Tutto quello che poteva fare era aprire e chiudere le chiappe. Ma non poteva fare puzze. Fece arrabbiare sua moglie, l’aveva fatta arrabbiare per davvero. Tutti gli alci riuscirono. Per davvero aveva fatto arrabbiare sua moglie.

Gli alci riprendevano il loro cammino fuori dalla casa. La vecchia donna riuscì a colpire l’ultimo che usciva. Ruppe la gamba ad un giovane alce. “Sei proprio un babbeo! Ma non t’hanno detto come avresti dovuto fare?”“Veramente si! Mi era stato dato il potere di uccidere tutte le prede che entravano nella casa per due volte… o no?”Per i due miserabili non c’era nulla da mangiare.Lei aveva rovesciato le budella dell’alce. Ci foderò il buco per attingere l’acqua.

Lui sapeva che loro avevano un gran bisogno di cibo, Lui che, invano, s’era preso pietà per Nanabush. “Per questo andrò da lui”, fu il pensiero che da Lui arrivò a Nanabush. Questa volta fu la Grande Puzzola a partire per davvero. In breve arrivò fino a dove stavano loro. “Che cosa t’è successo;”

Lui disse a lui.Il budello dell’alce foderava il buco sul lago dove attingevano l’acqua.“Ma come si può compiere un’idiozia così, Nanabush!” Lui rise di lui. Questo è quello che disse a Nanabush: “Cos’è successo, Nanabush?” chiese la Puzzola.

“Dopo averti lasciato, mio giovane fratello, quando ero circa a metà strada, feci puzze su un grande albero e su una grande roccia. Si l’ho fatto ma ho provato pietà”.“Allora – disse – avrò ancora pietà di te.” Poi disse: “Sono venuto fin qui per benedirti ancora.” E, Nanabush, fu ancora ricoperto di puzza. “Ora non rifarlo un’altra volta!” Gli diede quello che avrebbe potuto usare ancora due volte. E si rimise sulla strada che lo riportava a casa.La moglie lo prevenne dal far puzze.Seriamente.

Al tempo giusto lui soffiò una canzone sul flauto. Vide gli alci arrivare ed entrare nella lunga casa ancora una volta. Poi, quando tento d’uscire, fece una puzza sul capo branco. Stavolta li uccisero tutti.Guardarono dentro:il posto dove vivevano era pieno delle alci ch’avevano ucciso.

Ora, le miserabili creature, avevano tutto il cibo di cuiabbisognavano.La moglie disse. “Per favore, cerca di fare attenzione e di non buttare i resti, se non vuoi affamare i bambini.”Ora, con gli alci trattati per l’uso, sentivano di poter attraversare l’inverno, tranquillamente. “E’ abbastanza probabile che potremo attraversare l’inverno;” disse alla moglie. “E’ abbastanza probabile;” si sentì dire. “Siamo stati veramente benedetti;” disse la moglie al marito.

E questo è tutto quello che so.

ILSUDEST

HAVASUPAIS

Gli Havasupais sono una piccola tribù del Gran Canyon (Arizona) che vive in una lussureggiante oasi di spettacolare bellezza e colori. La Canzone d’Addio illustra il loro amore per la terra. Le Canzoni dei Vecchi e delle Vecchie (genere della canzone) sono composte per esprimere le più sentite e profonde emozioni. Possono essere canzoni d’amore, di rabbia, o diorgoglio nei riguardi di un familiare. Sono quasi sempre dirette ad una certa persona ma alcune, come questa, sonodedicate alla terra. Gli Havasupais, tradizionalmente, non parlano delle loro emozioni ma le cantano. La Canzoned’Addio esprime la convinzione dei giovani di essere immortali, e mostra il profondo disappunto dei vecchi checomprendono la falsità di questa credenza. E, pure con maggiore forza, comunica la certezza che la terra sia un essere vivente che ha una stretta e amorevole relazione

con gli umani. Gli Havasupais credono che la terra provi sensazioni e, per questo, quando si spostano spiegano alla terra chi sono, perché sono lì, e dove stanno andando. Credono che la terra sappia quando ci siamo sopra e che gli manchiamo quando andiamo via. La diffusissima pratica di piantare sul terreno dei bastoncini, quando arriva la primavera, è figlia di questa convinzione.

CANZONE DI ADDIO

Sorgente che mi davi da bere Terra che ho calpestato Dove sono natoAscoltamiE dimenticami

Mi sentivo eterno Credevo di vivere per sempre Ne ero convinto

Credevo di restare giovane per sempreMa oggi le forze m’hanno abbandonato

Pensavo di stare per sempre così Ero così Ma oggi le forze m’hanno abbandonato Terre che ho visitato Quel postoAscoltamiE dimenticami

Prede brade Che cacciavo Pensavo di stare per sempre cosìSarei stato per sempre cosìMa oggi le forze m’hanno abbandonato

Io ero così Io ero Io eroMacchia d’arbusti Quel posto

Ti giravo intorno correndo ascoltamiE dimenticami Dimenticami

Tronchi caduti Vi saltavo sopra Quel postoAscoltamie dimenticami

Piccoli sassi C’incespicavo Quel postoAscoltamie dimenticami

Sentiero lì disteso che una volta seguivo una volta seguivoQuel posto Ascoltami E dimenticamidimenticami

TorrenteTorrente Ti saltavo al volo Quel postoAscoltami Ascoltami e dimenticami

Altissime colline Altissime colline quel posto correvo in cimaQuel posto Ascoltami e dimenticamiCorrevo in cima alla cima Mi fermavo lìguardavo lontano Quel posto Ascoltami E dimenticami

dimenticami

Lepre lontana giovane marroneBalzavi dal rifugio Balzava dal rifugio L’inseguivol’inseguivo

Subito addosso l’arrivavo al lato questo facevoCol bastone da caccia il mio L’uncinavol’afferravo l’arrostivo arrostivoe mangiavo Pensavo di vivere per sempre pensavo di viaggiare per sempreSembrava esser così ma oggi le forze m’hanno abbandonato

Antilope lontanoAntilope lontano giovane Balzavi dal rifugioBalzava all’improvviso Partiva L’inseguivo

Subito addosso l’arrivavo al lato questo facevoCol bastone da caccia

il mio L’uncinavol’afferravo L’arrostivo e mangiavo

Pensavo di vivere per semprepensavo di viaggiare per sempre pensavo fosse per sempre così sembravaMa oggi le forze m’hanno abbandonato Terre che ho visitato Quel postoAscoltamie dimenticami E’ questo che chiedo Che chiedo

Oh! Terre che ho visitato Quel posto Ascoltami Pensavo fosse per sempre così io ero così Ma non era veroPensavo fosse così per sempre ma non era vero Pensavo fosse così per sempre ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse così per sempre

Pelli di cervo le mie le appendevo sul ginepro

l’albero coprivo Le guardavo Mi sentivocosì fiero

Pelli di cervo le mie le appendevo sui ginepriDue alberi coprivo Tre alberi coprivo Le guardavo Mi sentivo così fiero Pensavo fosse così per sempre

Pensavo fosse per sempre così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre cosìIo ero cosìio ero Pensavo di vivere per sempre pensavo di viaggiare per sempre io ero cosìSarei rimasto sulla terra sembrava Che così fosseMa oggi le forze m’hanno abbandonato

Il cielo sopra a me sembravarestarci per sempre sembrava Pensavo fosse per sempre cosìma oggi le forze m’hanno abbandonato

Ascoltamie dimenticami Dimenticami Oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così Io ero così io ero

La fonte Arrivavo M’inchinavoal posto per bere per bere sempre quel postoascoltamiE dimenticami dimenticami

Buco dipinto dall’acqua sulla roccia arrivavoM’inginocchiavo Quel postoDimenticami dimenticami

Il sole sopra le colline Lo guardavo calarePoi cominciavo a correre cominciavo a correre

Io ero cosìNon andavo piano

Questo non lo facevo Non ero così Non ero cosìIo correvo velocecorrevo veloce Io rincasavo veloce rincasavo veloce

Io sorpassavo il soleSorpassavo il sole Questo facevo Io ero cosìNon dormivo fino a tardi non aspettavo il sole Questo non lo facevoNon ero cosìNon ero così

Alba quando arrivavi io ti vedevoM’alzavoM’alzavo Ti venivo incontroPensavo fosse così per sempre è così che viaggiavo Pensavo fosse per sempre così ma oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così io ero così Ascoltami

Terre che ho visitato quel posto ascoltamie dimenticamidimenticami E’ questo che chiedo che chiedo

La forza m’ha abbandonato Pensavo fosse per sempre così io ero così Pensavo di vivere per sempre Pensavo di vivere per sempre Sarei rimasto sulla terra sembrava

Sarei restato sulle montagne sembrava io ero cosìcredevo così Mi sentivo così fiero Pensavo fosse per sempre cosìMa oggi le forze m’hanno abbandonato Pensavo fosse per sempre così Io ero così io ero

NAVAJO

Fra le centinaia di canzoni Navajo trascritte, questa cerimonia di benedizione, si distingue per la grande varietà di metafore usate che, nella poetica dei Nativi Americani, è alquanto inusuale. La cerimonia viene celebrata per garantirsi una grazia, la buona fortuna, laprosperità, o l’incremento dei beni vitali – i cavalli sono il simbolo di questi desiderati fini. Una benedizione che si può fare quando si inaugura una nuova casa, quando si parte per un viaggio, quando si aspetta un bambino, o nell’esigenza di un rinnovamento fisico o spirituale. Può essere usata per la “ricarica di potere” di un gruppo di strumenti cerimoniali. Le Canzoni del Cavallo non sono parte di tutte le cerimonie per le richieste di grazie ma, principalmente, di quelle che includono i viaggi, i beni necessari, o la salute. La Canzone del Cavallo del Dio della Guerra, nel suo titolo originario, è una delle canzoni Navajo più tradotte e pubblicate in America. Alla fine di ogni canzone è riportata la spiegazione che ne dava la voce narrante.

LA CANZONE DEL CAVALLO

He-neye yana, Con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando,con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando,con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando,con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando,con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Donna Conchiglia Bianca, na, il suo bambino, perché è questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Portatore Del Disco Del Giorno, ye, suo figlio, ’e, perchéè questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Ragazzo Turchese, perché è questo che sono, na, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

L’arcobaleno, iye, dov’è blu, wo, sono lì, iye, ora, lì sopra dove s’inarca, ora, dove tocca la terra, yiye, questa parte più vicina,con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Questo significa, “lì sopra dove s’inarca l’arcobaleno, dove finisce con il blu, poco lontano dalla fine, loro mi stanno chiamando”. La madre gli ha detto che quel suono è un cavallo. Lui aveva chiesto: “Cos’è questo suono? E’ qualcosa di male che viene dalle battaglie che ho combattuto recentemente?”Lei aveva risposto: “No, questo è il suono dei cavalli che arriva da dove vive tuo padre”. Lui stava andando a casa di suo padre. La strada sull’arcobaleno finiva sul posto dove era la casa del Sole. Lì, probabilmente, prima che raggiungesse la fine aveva sentito i cavalli.

Ragazzo in Piedi Fra il Portatore Del Disco Del Sole, ye,i suoi cavalli, i’e, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Il Ragazzo Fra Sole In Piedi e i suoi cavalli: sta parlando dell’altro fratello, il figlio del Sole che vive la sopra. Perché i cavalli vengono da lì, Ammazza Nemici sente i suoi cavalli. I cavalli del figlio del Sole mi stanno chiamando. Ilfiglio del Sole, i suoi cavalli lo stanno chiamando. “In Piedi Fra” si rivolge a sua madre. Il figlio del Sole, il discendente del Sole, i suoi cavalli mi stanno chiamando.

I cavalli turchesi, quelli sono i miei cavalli, i’e, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

I suoi zoccoli, scuro, iye, brocche per l’acqua, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

La piccola brocca d’acqua è fatta con il suo piede. Si riferisce agli zoccoli.

Le rane dei sottozoccoli, ye, punte per le frecce, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Qui si riferisce alla punta della freccia intagliata dallo zoccolo, dalla parte di sotto.

Gli zoccoli striati, ihiye, pietre miraggio, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

I suoi zoccoli erano pietre miraggio.

Dalle gambe davanti, scuro, iye, il vento, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Vuol dire in movimento, correndo veloce.Le sue gambe sono come zigzaganti fulmini.

Sotto la coda, scuro, iye, ombra di nuvole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Questo significa l’ombra nera nel cielo che scende dalle nuvole.

Dal suo corpo, ogni tessuto, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

E’ ricoperto, scuro, i, di nuvole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Vuol dire la loro pelle.

Sul suo corpo, rosso, jiye, sono sparse le fiammate del sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

“Le fiammate del sole, rosso”-vuol dire piccoli pezzi di arcobaleno. “Sono sparse sul suo corpo”- le scintille che vedi la notte sul pelo del cavallo.

Portatore Del Disco Del Sole, yeye, ’eye, risplende su loro da prima di loro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Lontano laggiù, il sole sale davanti a loro e splende su i loro peli.

La groppa, iye, la nuova luna, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

La coda, iye, i raggi di sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Le redini, iye, l’arcobaleno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Quando partono, iye, con l’arcobaleno, con le loro voci mi stanno chiamando,

con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

L’arcobaleno è l’energia che li fa partire velocemente, come la batteria di un’automobile.

La criniera scorre, scura, diye, come pioggia copiosa, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Le orecchie, iye, come germogli, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.Significa che le loro orecchie crescono verso l’alto come le piante.

Gli occhi, scuri, iye, grandi stelle, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Poiché le stelle di notte brillano chiare i cavalli possono ritrovare la loro casa anche nell’oscurità.

Sulla faccia, iye, acqua di ogni sorta, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Acqua di sorgente o fiume, che arriva dalla terra. A volte dolce, a volte salata:mischiata con tutti i colori. I cavalli, in ogni luogo, bevono ogni sorta di acqua e, se non è avvelenata, non gli fa male. Se è coperta da uno strato di polvere, la soffiano via. Nello stesso modo, per non inghiottire niente di sporco o di nocivo, soffiano sulla polvere che ricopre l’erba che si apprestano

a mangiare. Il segno di questo è la spirale che hanno sulla faccia. E’ il segno di riconoscimento della completezza dell’essere cavallo. Qui sta il bandolo della matassa. Possono mangiare spini, non gli faranno male, o insetti velenosi, non gli faranno male. Mangiano il polline dei fiori più belli cresciuti con le acque più diverse.

Le labbra, wheye, grandi conchiglie, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Si riferisce alle grandi conchiglie che hanno labbra e punti come denti.

I denti, bianchi, ye, conchiglie, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

I suoi denti erano conchiglie.

I nitriti sono fiaccole di fulmini, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

I fulmini furono messi nelle loro bocche per mordere. I morsi dei cavalli fanno male. Parlano precisi come fulmini.

Dalle bocche, scure, iye, risuona musica, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Si riferisce agli strumenti musicali. A quando si fa musica che si porta lo strumento alla bocca. Perché, quando i cavalli furono creati, scuro, nelle loro bocche ci misero quelli che fanno la musica.

Dalle loro bocche, iye, risuona l’alba, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Le loro voci, he, paiono scuro, ora mi raggiungono, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Dalla bocca, iye, all’alba si spande il polline, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Ogni nuova cosa comincia con l’inizio dell’alba. Il cavallo riceve nuova aria dentro la bocca per respirare e suonare con il polline creato all’alba. E’ come quando impari qualcosa; ce l’hai in mente e poi lo usi, e con quello insegni agli altri. Il cavallo non sa quando è stanco o assonnato – non sono fatti come noi. Qualsiasi cosa fosse, quello che gli fu messo in bocca, è quello che non gli fa sentire la stanchezza. Gli è stato messo in bocca perché arrivasse subito alla mente, così non può dimenticarlo.

Polline e rugiada stesi nella bacca, sacro, ye, con i fiori, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Tutti mangiamo tanto di quel cibo che ci piace. I cavalli avranno sempre tanta vegetazione da mangiare: fiori, polline e rugiada. Significa che piante ed acqua ci saranno sempre e, per questo, i cavalli vivranno per sempre. Per questo mangiano ogni sorta di fiori, di polline e d’ acqua.

Le sue redini, iye, i raggi del sole, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Ora! Bellamente alla mia mano, e, al mio braccio destro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Questo significa che in nessun modo, in futuro, si potrà far male ai cavalli; staranno sempre bene.

Ora! diventano i miei cavalli, ye, da questo giorno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Ed è lo stesso per me. Oggi diveniamo alleati, ed io sarò il vincitore.

Mai più diminuiranno, ora! si moltiplicheranno, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

I miei cavalli, ora per sempre ritornati a lunga vita e quindi sacri, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

Da quando io, ora me medesimo, sono il Ragazzo per Sempre Ritornato a Lunga Vita e Quindi Sacro, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, neye yana.

con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, yehe,con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, con le loro voci mi stanno chiamando, ya’e, ne’eya!

NAVAJO

Le storie Navajo su Coyote sono raccontate ai bambinidurante le serate invernali perché, si dice, che lecreature più pericolose, come ad esempio i serpenti, lelucertole e gli orsi, durante l’inverno vadano inibernazione; avranno la scintilla col primo temporaleprimaverile. Coyote è una delle figure mitologiche dellacultura Navajo. E’ considerato un semi-Dio e, per questo,serve come messaggero fra le divinità e i Dinè (GenteNavajo). Gli Uomini della Medicina raccontano storie che,comunemente, si riferiscono a cose dette o fatte daCoyote all’inizio di questo mondo (il 5° Mondo), o in unodei precedenti quattro. Molte di queste storie siriferiscono alle primogeniture di Coyote su certi tipi dicomportamento – buoni o cattivi - che gli umani praticanoin questo mondo. Quando sta per accadere qualcosa didisdicevole, si dice, che Coyote mandi un segnale diavvertimento, magari interferendo nell’armonia della vita

quotidiana della probabile vittima attraversandogli lastrada. In altri casi, i suoi precedenti, vengono portatiad esempio come comportamenti da non seguire. Peresempio: Coyote ha rapito il figlio del Mostruoso Esseredell’Acqua perché era rimasto attratto dalla suatenerezza; dunque: il rapimento è un’azione spregevoleperché è stato Coyote il primo a rapire un altro esserevivente.

In principio c’era il Mondo Nero … una massa buia e confusa. Poi, all’inizio,arrivarono le divinità: Primo Uomo e Prima Donna. Arrivarono dai quattromondi e, Coyote, li ha accompagnati dal primo momento ad oggi.

COYOTE

Fu proprio Coyote a mettere una o due pecore in ognicortile Navajo. E proprio perché fu lui a metterle… da allora…

lui si sente nel giusto se ne ruba una o due persfamarsi. Questa è la regola… dal tempo dei tempi! Così è detto!Ma prima che si comprendesse che questa era la legge, tanto, tanto tempo fa, all’inizio del tempo, la gente mostrò poca tolleranza nei confronti di Coyote, che fu subito definito Ladro.“Ma’ii – gli dissero gli uomini – riprenditi le tue pecore dal cortile e curatene da solo, se farai così noi non ti odieremo più e tu potraisaziarti a tuo piacimento”.“No! No… cari cugini! Che orribile pensiero! Questo non è possibile… io non saprei neanche come fare. E poi, sono sempre in giro e non potrei prendermi cura dellebestie! – rispose Coyote – inoltre, se non ci fossi io a rubarvi le pecore, voi, non dovendovi più prendere cura di loro, diventereste sfaccendati e pelandroni. Vi scongiuro, lasciate che le mie pecore restino nei vostri cortili!”.

Questa storia del destino di Coyote spiega perché, atutt’oggi, Coyote continua a rubare le pecore e arischiare.

YAQUI

Gli Yaqui o Yoemem (la Gente), come chiamano se stessi, considerano la Canzone del Cervo la loro più antica formad’arte verbale. La Caccia del Cervo descrive entrambi i mondi: questo e quell’altro; un mondo dove tutte le azioni del danzatore del cervo hanno un parallelismo in quel mitico posto primordiale che gli Yaqui chiamano Sea Ania (Mondo Fiorito). Il Mondo Fiorito è associato con altri posti spirituali come lo Yo Ania (Mondo Incantato), o lo Huya Ania (Mondo Selvatico). Il Mondo Selvatico è la casa di tutti e due: Saila Maso (cervo) e Yevuko Yoleme (prototipo del cacciatore). Le Canzoni del Cervo descrivono l’equivalenza fra queste due parti reali dell’universo Yaqui. Collegano il mondo polveroso della danza con l’etereo Mondo Fiorito, un mondo visibile e uno

invisibile, il mondo che è sempre qui con quello che è sempre di là. I Sewam (fiori) sono le chiavi di questa equazione. I fiori sono tutto ciò che di bello e di buono ci arriva dal Mondo Fiorito. Ogni cosa che è animata, influenzata, o toccata dal Sea Ania può essere definita Sewam. Il palcoscenico, Rama (dallo spagnolo ramada), è fatto con gli arbusti del Deserto di Sonora disposti in maniera da suggerire un’apertura nel deserto;perché si crede che, durante la cerimonia, il Rama diventi il Mondo Fiorito.Alla fine di ogni canzone è riportata la spiegazione che ne dava la voce narrante

LA CACCIA DEL CERVO

Prima devi solo guardareDopo lo troverai, lo troveraiPrima devi solo cercareDopo lo scoverai, lo scoverai

Prima devi solo aspettareDopo lo prenderai, lo prenderaiAspetta Lo prenderai

“Sono risalito da una aperturalaggiù nel piccolo bosco ricoperto di fiori”Una volta che sarà fuori, lo prenderaiPrima devi solo guardare

dopo lo scorgerai, lo prenderai.

“Prima cercalo con gli occhi” dice la canzone. “Quando emerge dagli arbusti,lo vedrai”. “Cercalo che poi lo troverai” così dicono i cacciatori, i pakkolam1.Allora, i pakkolam escono a caccia. Cercano le tracce dell’animale neglianfratti. Si, negli angoli selvatici 2più nascosti. Oddio! Non sono proprioangoli selvatici quelli in cui si è al cospetto del rama3. I cacciatoricammineranno, cammineranno. Poi, fuori dal luogo selvatico, cercherannoquell’animale. E ancora lo cercheranno e così facendo torneranno al cospettodel rama. Così dice la canzone.

Dove cresce l’agave mescalLì ci incontreremoImmobili e saldi come l’agave mescalCi incontreremo lì.

Dove si erge l’agave mescalCi ritroveremoDecisi ad aspettare Fissi e impassibili come l’agave mescalChe cresce vigorosaDove noi ci siamo dati appuntamento.

“E tu sei incantevole, avvoltoio nero di cielo”

1 Cacciatori.2 In questo testo, gli angoli selvatici, gli anfratti, stanno ad indicare luoghiin cui si trovano, nel mondo selvatico – terreno – elementi di contatto con il mondo fiorito – spirituale. Angoli della terra che, nella loro incontaminata purezza, conservano le caratteristiche di quel mondo parallelo che è il mondo fiorito. 3 Il rama (il palcoscenico) è l’esatto luogo in cui mondo selvatico e mondo fiorito entrano in contatto e possono comunicare tra di loro attraverso un linguaggio ben preciso.

“E tu sei incantevole, avvoltoio giallo di terra4”noi ci incontreremodove si erge il legno bianco e l’agave mescal;insieme parleremo di questo animale.

L’avvoltoio nero e quello giallo si incontreranno dove si erge un alberobianco. “Quando ci incontreremo parleremo di questo animale” dicel’avvoltoio nero. I due parleranno del cervo che intendono mangiare. Il cervodanzerà per questo. L’avvoltoio nero e l’avvoltoio giallo parleranno insiemetra loro dove si erge l’albero bianco.Loro appaiono in questo mondo quando vedono qualcosa che giace mortoper terra. Loro vivono da qualche parte sopra le nostre teste. L’avvoltoio neroe l’avvoltoio tacchino scendono in questo mondo perché vogliono mangiare.Questo dice la canzone. Loro vogliono cacciare e poi mangiare.È per questo che parlano del cervo. “Laggiù – dicono – c’incontreremo dove sierge l’albero bianco”. Forse anche l’albero è morto. Aspettano insieme laggiù,sotto il sole che li riscalda. Parlano dell’animale, di dove lo soggiogheranno.Sono loro che lo mangeranno. Stanno aspettando da qualche parte laggiù.

Cercano le tracceLaggiù intorno“Prendilo per me”

Seguono le tracceproprio laggiù“Prendilo per me”

Annusano l’animaleche si trova nel mondo“Prendilo per me”

Inseguono la preda“Prendilo per me”4 L’avvoltoio di terra è il tacchino.

Laggiù c’è un’aperturache affaccia sul piccolo bosco ricoperto di fioriDa lì lui verrà fuori“Tu lo prenderai per me”.È laggiù nei paraggi“Cerca le tracce;prendilo per me”

“Cerca le tracce, laggiù intorno. Manca poco, lo prenderemo” dice la canzone.“Da un’apertura del piccolo bosco ricoperto di fiori, quando arriverà lì, noi loprenderemo” dicono i pakkolam. “Una volta uscito allo scoperto loprenderemo” e con questa strofa la canzone finirà, finirà.Il cervo sarà ucciso, lì nel rama. Intanto quelli che lo aspettano siedono qui.Aspettano seduti tutti e quattro nascosti dietro un cespuglio. Quandosaranno lì fermi ad aspettare, il cantore del cervo intonerà questa canzone.Quando starà per iniziare la canzone, il cervo correrà incontro fra i cespugliproprio ai quattro pakkolam che, nella foga di alzarsi, cadranno in avantil’uno addosso all’altro. L’un l’altro, gridando, si raccomanderanno di non farerumore. I pakkolam si prenderanno in giro l’uno con l’altro. Il cervo, alla finedella strofa, urtando contro uno lì seduto, scapperà via. Questa volta ipakkolam, sorpresi e spaventati, cadranno indietro. Proprio quando il primodella fila colpirà e così, quando lui scaglierà la freccia, la scaglierà in alto, inalto nell’aria, e getterà l’arco. Allora, gi altri pakkolam, che sono i suoi figli,diranno “come può un uomo grande fare questo, babbo, papa?” eprenderanno in giro l’uomo. Si faranno gioco del padre!“Arco, dov’è la mia Freccia5?”“E’ a Punta Storta”“E’ a Sperduto ce n’è un’altra”Così i cacciatori si prenderanno in gioco l’uno dell’altro. E uno dirà “No, nonl’uomo chiamato Freccia ma la freccia dell’arco”. E poi si metteranno tutti acercare la freccia di legno… “E’ qui la freccia che ti appartiene”.

5 Gioco di parole: Freccia è anche il nome del cacciatore figlio e del padre chedunque, mancando il bersaglio non ha solo perso l’arma ma ha perso il suo nome ed anche suo figlio, ovvero la sua dignità al cospetto dei suoi figli.

Intanto il cervo è scappato dal rama. Per cercarlo i cacciatori faranno un girointorno alla croce sul rama. Il cane li seguirà. Fiuterà e seguirà le tracce.Quando le troverà, abbaierà forte.“Il cane le ha trovate laggiù”, diranno. Ed il cane, ancora una volta,continuerà la sua corsa dietro il cervo. La canzone dice così.

Vado in un posto Dove non c’è salvezzaVedo i miei stessi passiDirigersi verso la mia rovinaVado incontroAlla mia fine

Vado in un luogo Dove mi aspetta la morteSo che oltre il boscoPer me non c’è ritornoEppure vado ugualmente Nel luogo da cui non si può ritornare

Sono risalito da quel bucoE mi trovo nel bosco fioritoDove si aggirano questi incantevoliUomini frecciaIn questo posto non avrò scampoEppure ci vado

E’ questa la fine del cervo. Lui è uscito dal suo mondo, ha visto l’apertura e sene è tirato fuori. “In nessun posto potevo trovare la mia salvezza” dice. “Vabene qui, dove ci sono gli uomini freccia, gli vado incontro” ci dice.Certo, lui non sa esattamente quello che vuole e quello che desidera. Perquesto va dove ci sono loro. “Vado verso la mia rovina” dice il cervo; daun’apertura del bosco selvatico al mondo selvatico. Il cervo parla così. Èproprio il cervo a dire questo. Lui è saltato fuori, verso il mondo selvatico. Lacanzone prosegue.

Sebbene io fossi ben nascosto nel bosco selvaticoSto correndo fuoriLa mia corona di corna mi tradisceSmuove i rami dei cespugliRiparato nel fondo del boscoNe sono uscitoOra la mia corona svela la mia presenzaIntricandosi tra i rami dei cespugliDal mio rifugio nel bosco selvaticoHo deciso di venire fuori allo scoperto

E’ tutta colpa delle mie grandi cornaPiù alte dei rami dei cespugliDove si impigliano Potrei rimanere nascosto nel boscoInvece sto correndo fuoriLa mia corona di corna svela la mia presenzaSmuove i rami dei cespugli

Il cervo comincia a correre e tenta di nascondersi. Corre verso la prateria. Male sue corna agitano la boscaglia. Lui sa tutto ciò che gli sta accadendo e loracconta. Ed ecco il significato di quello che dice. “Nascosto al sicuro delpiccolo bosco selvaggio, sto correndo fuori”, dice. “Le mie corna mitradiscono. Si vedono muoversi tra i rovi” dice il cervo. Lui sa di avere grandicorna. E la canzone prosegue.

Piccolo bosco ricoperto di fiori, ti vengo incontroTi sto parlandoPiccolo bosco di fiori, sto arrivandoE ti parlo

Adesso vado verso il bosco fioritoE mi rivolgo a lui

Mentre mi incammino laggiù…attraverso il varcodel piccolo bosco ricoperto di fioridietro di mevedo questi incantevoli uomini freccia.E’ questo che vedo alle mie spalleE te lo dico, piccolo bosco fiorito.

Mentre la canzone avanza verso il finale, il cervo continua a correre. E mentrecorre parla rivolgendosi al mondo che lo circonda. Scappa, e chiede aiuto almondo selvatico in cui è caduto. “Piccolo bosco ricoperto di fiori” dice “Stoarrivando da te e ti parlo”.Il cervo vuole che qualcuno parli per lui. Vuole che il mondo selvatico parliper lui. Come potrà parlare per lui? Non c’è una risposta, la canzone dice soloquesto. Quel povero essere vuole che qualcuno abbia la benevolenza diparlare per lui. Il cervo non vuole morire e lo dichiara nella canzone. E lacanzone continua.

Voi siete fratelliPrendete la mira, di comune accordo tra voiDopo aver preso la miraColpite insieme

Avete lo stesso sangueTirate bene e fatelo in accordo tra voiAnnuendo l’un l’altroColpite insieme

Mirate, dunque, lanciateConvinti di colpireIn pace tra voiInsieme colpite

Io mi trovo lìAl centro dell’aperturaSul piccolo bosco ricoperto di fiori“Stiamo correndo”.La mia bava diventa fiore6

Calpesto polvere che diviene fiore“Stiamo inseguendo”Tirate bene, di comune accordo,tirate tutti insieme.

Questa parte della canzone riguarda i cacciatori che sono impegnatinell’inseguire il cervo. E infatti loro continuano a correre, scagliando control’animale le loro frecce. E fanno come i ragazzini quando inseguonoqualcosa o qualcuno. “Corrono verso un’apertura del piccolo bosco” dice lacanzone. “Correndo come persone che diventano fiore, bava/polvere/fiore”dice la canzone che prosegue: “Tirate bene, di comune accordo” dice“Ricordatevi che siete fratelli”. La canzone dice questo e continua.

Dove stanno lanciando le loro frecce?Le tirano nel boscoA cosa stanno mirando?Stanno mirando all’ariaCosa stanno colpendo?Non colpiscono nessuno.

Io mi trovo laggiùIn un’insenaturaImmerso nel bosco coperto di fioriCon la bava divenuta fioreCon la polvere diventata fiore“Stiamo correndo”dove stanno tirando?6 Tutto ciò che lentamente si avvicina alla morte, al mondo fiorito, mostra questo suo “passaggio” attraverso la comparsa dei fiori, segni tangibili, nel mondo selvatico, della presenza di quello fiorito.

Stanno tirando nel nulla

I pakkolam corrono e cercano di colpire il cervo con le loro frecce. “Ma dovetirano?” domanda la canzone. “Tirano al nulla” risponde. I pakkolaminseguono il cervo ma dentro stanno già cantando. “Laggiù in un’aperturasul piccolo bosco, con la bava diventata fiore, con la polvere diventata fiore,stanno correndo” dice la canzone. Tirano senza colpire. La canzone dice soloquesto.

Non volendo morireDistricandosi tra i rovi del bosco selvaticoNon volendo cedereDivincolandosi tra le sterpaglie del bosco selvaticoRifiutandosi di soccombereCorrendo tra i rami del bosco selvaticoNon volendo ammettere la sua fineSferzato dai fuscelli del bosco selvatico

Io sono laggiùCorrendo nel piccolo bosco coperto di fioriE cerco di correredimenandomi, ferendomi,ad ogni incantevole cespuglionon volendo moriredistricandomi tra i rovi del bosco selvatico

Il cervo corre verso il mondo selvatico. Volendo salvarsi, lui cerca rifugio nelmondo selvatico e vuole entrarci. “Voglio entrare nel mondo selvatico” dice.“Non volendo morire voglio entrare nel mondo selvatico”, lo stesso cervo dicequesto, mentre continua a correre per salvarsi.

Esausto per il troppo correre, adesso rallento il passoMalgrado la stanchezza continuo a correreEsausto per il troppo correre, adesso rallento il passo

Cammino dopo aver perso il fiato nella corsaNonostante la stanchezza, procedo nella fugaEsausto dal correre, adesso camminoHo corso troppo, adesso camminoHo corso troppo ma non mi fermo

La fuga mi ha sfinitoMa non mi fermo ed avanzoRallentando il passoIo sto camminando laggiùLungo un sentieroAttraverso il piccolo bosco ricoperto di fioriE continuo a camminareCon la testa chinaVerso la terraE continuo a camminareCon la bava alla boccaContinuo a scappareNonostante io sia esausto per il troppo correreContinuo a camminarePer salvarmi

“Esausto per il troppo correre” dice la canzone. “Esausto per il troppo correre,continui a camminare”. Stanco, camminando, agitandosi tra i rami estremialla fine del piccolo bosco, il cervo procede nella sua corsa. Con la testa chinaverso la terra, con la bava intorno alla bocca, sta camminando. Stanco,camminando, lo stesso cervo si racconta e lo fa in questo modo.

Mai più

Io sarò in questo mondoné camminerò ramingonon ci sarò mai più

Io non ci sarò domaniNon camminerò piùSu questa terraNon ci sarò mai più

Ma cammino ancoraLaggiùNel sentiero racchiuso nel piccolo bosco fioritoAmmetto… l’arco di Yevuku YelomeMi ha sconfitto incantevolmenteLa freccia di bamboo di Yevuku YelomeMi ha vinto meravigliosamenteMai più la mia ombraSi poggerà su questa terraNon camminerò più in questo mondo

E qui il cervo cade. “Mai più io sarò qui, né camminerò ramingo” dice. Il cervosta per essere ucciso, sta per morire. “L’arco di legno di Yevuku Yelome”, dice.Vuol dire che un arco di legno lo ha sconfitto incantevolmente. “Con l’arcobastone di Yevuku Yelome sono stato sconfitto incantevolmente”. E’ lo stessocervo a raccontare la sua fine. Lui usa queste parole.Mentre sta morendo, mentre agonizzante va a morire, dice questo. Comecoloro che andando in guerra felici accettano di poter morire sul campo dibattaglia, e proprio lì dirigeranno i loro passi7, così fa il cervo.

Le mie zampe si trovano sulla mia corona di cornaMa cosa mi sta succedendo?

7 Nel pensiero indiano, i guerrieri reputavano un onore morire sul campo di battaglia, dunque, il cervo muore, con onore.

Che posizione è quella in cui mi trovo?Cosa mi è accaduto?

La mia corona di corna è sovrastata dalle mie zampeNon era mai accaduto questo

Io sto ancora camminandoLaggiùLungo il sentiero che attraversa il piccolo bosco copertodi fioriAmmetto…. L’uomo fiore con il suo arco di legnoMi ha presoL’uomo fiore, armato di freccia e bastone divenuto fioreMi ha sconfitto incantevolmente

È ancora il cervo a descrivere la sua condizione, mentre viene trasportato. Icacciatori lo hanno ucciso, i pakkolam, gli uomini cacciatori. Io pure uccido icervi. Ed anch’io metto le zampe sulle corna dell’animale quando devotrasportarlo dopo averlo ucciso. La canzone dice questo. “Le mie zampe sonosulla corona di corna, cosa mi sta accadendo?”. Accade che le sue zampesono state messe lì dai cacciatori, per permettere un più facile trasporto delcorpo. Lui stesso descrive la sua condizione, usando queste parole ecantando la sua tragica vicenda.È stato ucciso, ucciso da un arco di legno.

Ucciso e preso, ucciso e presoLì nel selvaticoSono stato ucciso e presoSono stato colpito infineLì nel bosco fioritoUcciso e portato viaMi hanno catturato e trasportatoColpito a morte e portato via

Yevuku Yelome mi ha sconfittoincantevolmenteLaggiùNel centro del piccolo bosco fioritoL’incantevole Yevuku YelomeMi ha battuto meravigliosamenteUcciso e presoLì nel bosco fiorito

Adesso il cervo entra nel “rama”, viene trasportato lì. E continua a raccontarela sua stessa fine. “Sono stato ucciso e preso. Lì nel selvatico, sono statoucciso” dice. “Gli incantevoli uomini cacciatori mi hanno preso” dice “Mortemi hai preso” dice.

Sei disteso sulle frascheAnimale divenuto fioreCorpo divenuto fiore

Adesso sei esanime sulla legnaAnimale fiorito, corpo fiorito

Ed il corpo è un fioreE sei esanime disteso sulla brace

“Io sono di Yevuku Yelomeil mio corpo è ricoperto di fiori i fiori dal mondo incantato”.Ormai sta riposando in quel mondol’animale ricoperto di fioridal corpo divenuto fiore.

Queste parole sono pronunciate dai cantanti che si rivolgono al cervo. “Seidisteso sulle frasche, animale ricoperto di fiori, corpo divenuto fiore” recita lacanzone. “Nel patio fiorito di Yevuku Yelome arriva ogni pianta del mondoselvatico. E tu ti trovi ormai disteso su quelle frasche, animale ricoperto difiori, dal corpo divenuto fiore” dice la canzone. Distendici il cervo sopra. Ognipianta va bene. Sul pakko c’è sempre del legno di cotone. Buttalo sul rama esulla strada ci sarà del legno di cotone. Questo va bene per lui, per il cervo. Lìè il luogo in cui sarà macellato, dove i pakkolam lo macelleranno. Quandol’avranno messo lì sopra, sarà coperto con un vecchio sacco o una coperta. Ela canzone riprende quando il cervo viene disteso sulla legna. Ma allora, ilflauto suonerà diversamente; comincerà ad intonare un’altra canzone.Mentre lo distendono sulle frasche, i flauti iniziano a suonare la canzonedella Mosca Chiazzata. I cantori del cervo non sanno la canzone della MoscaChiazzata, solo i flauti la conoscono. Allora, i pakkolam reciteranno conquesta canzone. Reciteranno intorno al cervo, lo ingiurieranno. Ed alloradiranno “macelliamolo subito” e la macellazione ha inizio.

Metti un fiore sopra di meUn fiore preso dall’animale fioritoDal corpo divenuto fioreOh, metti un fiore sopra di meUn fiore preso dall’animale fioritoDal corpo divenuto fioreOh, regalami uno dei fioriSbocciati dal corpo dell’animale

Io sono laggiùLungo il sentiero fiorito ricoperto di fiori

Sono immobileCoperto di polvere

Sono immobileCoperto di bruma

Immobile

“Metti un fiore sopra di meUn fiore preso dall’animale fioritoDal corpo divenuto fiore”

Vedi, ora si è alzato il vento, un vento polveroso. Tolosailo: questo è il nomedel vento polveroso e grigio. E polverosa e grigia è l’aria che si respira fuoridal giardino di Yevuku Yelome. Quell’albero, come quelli laggiù nel giardino fiorito, sì, quell’albero staparlando. Quando il cervo sarà stato disteso sulle frasche, l’albero chiederàla coda, la coda del cervo. I cacciatori del cervo taglieranno la coda el’appenderanno sull’albero. Questo è quello che l’albero sta chiedendo:l’albero sta chiedendo la coda. “ Metti un fiore sopra di me. Un fiore presodall’animale fiorito. Dal corpo divenuto fiore”, dice. L’albero chiede questo aicacciatori. Vuole che loro appendano la coda del cervo ad uno dei suoi rami.L’albero che sta nel patio la vuole come decorazione, vuole la coda del cervo“fiore”.

Il mio incantevole corpoÈ diventato fioreSta bruciando sopra il fuocoE un fianco scivola sull’altroVedo il mio corpo fioritoSulla brace incandescenteAppoggiato su un fiancoE poi sull’altro

Il mio corpo fioritoSi illumina al fuocoImmobile su un fiancoE poi sull’altroIo sono laggiù, nel giardino fioritoRicoperto di fiori di Yevuku Yelome

Qui d’incanto Mi diffondo nell’ariaL’aria è intrisa di meEd io divento fioreMio incantevole corpo divenuto fioreFuoco sopra al fuocoUn fianco appoggiato all’altro

La carne del cervo, arrostita sulla brace, continua a parlare. Diventeràspiedini. “Mio incantevole corpo fiore, fuoco sopra al fuoco, un fiancoappoggiato all’altro, spiedini” dice. “Il giardino fiorito di Yevuku Yelome” dice“Qui mi diffondo e divento fiore” dice. Lo spirito del cervo è ancora nel mondoselvatico. Il cervo svela questo di sé. Canta così.

Il mio incantevole corpo divenuto fiore sta risplendendoAppoggiato lì fuori di meUna parte del mio corpo fiorito brillaFuori dalla mia pelleIo sono sempre laggiù nel giardino fioritoCoperto di fiori di Yevuku YelomeE risplendoFiori dalla mia pelleE le mie essenze si diffondono nell’ariaDivento evanescenteIl mio incantevole fiore corpo sta risplendendoAppoggiato fuori di me

Interiora, budella di cervo. Qui la canzone parla di budella.

Ma non uno stecco,né buono né belloè rimastonon è rimasto più nulla di mené di commestibile né di utileneppure uno spiedinonon c’è altro di meche sia rimasto in questo mondonull’altroIo ormai sono al centroDel mondo selvatico coperto di fioriLì nel selvaticoSono qui, buono e belloMa di quell’altro meNon è rimasto nullaNé di buono né di bello

Finisce con queste strofa la canzone. I pakkolam usciranno di scena uno pervolta, spingendosi fuori l’uno con l’altro. L’ultimo resta al centro della scena esi lascia cadere. Cadrà per terra, disteso, agonizzante. Sforzandosi punterà latesta verso il centro del rama. Gli altri torneranno, dopo aver preso unvecchio sacco o una coperta. La bagneranno con dell’acqua e lo ricopriranno.Così coloreranno la pelle del cervo.Quando avranno finito usciranno e con quella stessa coperta picchieranno glispettatori dicendo che stanno ancora colorando la pelle del cervo8. Questosarà l’ultimo gesto, non ci sarà nient’altro. Lì finisce la caccia.

8Le pelli di daino si coloravano con il tannino, dal colore molto simile al naturale colore della pelle degli indiani. Lanciando la pelle colorata sul voltodegli spettatori, gli attori non fanno altro che mimare la colorazione della pelle dell’animale utilizzando la pelle “rossa” degli indiani.

ZUNI

Quella che segue è la traduzione di una canzone, facente parte di una serie, che accompagna un’importante rito religioso degli Zuni (uno dei gruppi indiani dei Pueblo del New Mexico). La canzone appartiene alla Società del Grande Fuoco (società di uomini e donne che hanno il compito di curare). I riti poetici o narrazioni sacre degli Zuni, generalmente, sono organizzati entro alcuni gruppi principali fondati sulle basi di componenti astronomiche temporali (come l’annuario e il giornaliero viaggio del sole, le ricorrenze delle fasi lunari, eccetera). Si può notare come le varie sessioni della serie di canzoni siano determinate da frasi che si riferiscono ad eventi di tempo o ad elementi direzionali.Ogni direzione è relazionata ad un particolare bestia-divinità e colore; uno schema cosmologico che include i sei monaci della pioggia delle sei direzioni, sei venti-porta-pioggia, sei specie di uccelli, sei specie di alberi, e così proseguendo in un “infinito” ciclo di diversi elementi in relazione fra loro. Le sei bestie-divinità, nella mitologia Zuni, fanno la guardia al mondo. Essi sono: il Leone di Montagna Giallo dal Nord; l’Orso Blu dall’Ovest; il Tasso Rosso dal Sud; il Lupo Bianco dall’Est; l’Aquila Splendente o Multicolore dallo Zenit; la Talpa Nera del Nadir.

RITO DI PURIFICAZIONE NELL’ACQUA

Silenziosamente dovrei posare la mia coppa di conchiglia bianca.

Sono trascorsi abbastanza giorni da quando Nostra Madre la Luna, lì dall’Ovest, appariva ancora piccola; ora, lì dall’Est, piena sopra l’orizzonte, muta i suoi giorni in esseri finiti.Nostri emergenti bambini, quelli che aspirano ad invecchiare, portate la sacra farina di granturco, portate la conchiglia, lì, pregando, faremo in modo che le vostre strade proseguano.

A coloro a cui è stato attribuito il mondo dal principio dei tempi: le selve, le foreste, lì c’incontriamo.Ai piedi dei Fortunati*,volgendoci nelle direzioni sacre, dalle impronte delle nostre dita

offriamo: sacra farina di granturco, conchiglia.

*Tutti gli esseri soprannaturali.Uniamoci alle strade sacre dei Fortunati che tirano i germogli attraendoli,che quietamente stanno lì reggendo le loro vecchiaie, reggendo le loro strade finite.

Uniamocialle strade sacre dei Padri della luce del giorno, delle nostre madri, dei nostri bambini,nella camera dell’acqua che risana.

Sono passati abbastanza giorni da quando gli indovini, con noi bambini, hanno vissuto i loro giorni sulla terra.

Ora, in questo stesso giorno

per i monaci,

per le loro cerimonie, abbiamo preparato i bastoni delle preghiere.

Quando Nostro Padre il Sole sta andando nel posto sacro del governo per sedersi,quando rimane ancora un po’ di spazio, ancora prima che raggiunga il sacro lato sinistro del potere, ai Nostri Padrioffriamo i bastoni delle preghiere, nelle nostre case portiamo le strade sacre.

Lì, da tutte le direzioni,

porteremo fuori le sacre strade dei Nostri Padri e degli indovini, senza tralasciare nessuno.Nostri Padri. che avete completato le vostre strade di cumuli di nuvole, che avete espanso la vostra coperta di vapore, che avete allungato le strade sacre della vita, che avete eretto archi di arcobaleni colorati, che avete lanciato le vostre frecce di fulmini, dovrei sedermi silenziosamente.

Voi, Nostri Padri, lì arriverete da tutte le direzioni.

Dal NORD, i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Dall’OVEST,i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Dal SUD,i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Dall’EST,i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre

portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Dal SOPRA,i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Dal SOTTO,i monaci della pioggia, faranno procedere le loro strade sacre portando le acque che risanano. Quattro volte, faranno entrare le loro strade sacre lì, dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto,

e allora anche le loro strade saranno finite.

Ma ancora di più, dal NORD, tu che sei mio padre, LEONE DI MONTAGNA, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco;portando le tue medicine farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

Ma ancora di più, dall’OVEST, tu che sei mio padre, ORSO, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco; portando le tue medicine farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

Ma ancora di più, dal SUD, tu che sei mio padre, TASSO, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco; portando le tue medicine, farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

Ma ancora di più, dall’ EST, tu che sei mio padre, LUPO, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco; portando le tue medicine, farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

Ma ancora di più, dal SOPRA, tu che sei mio padre, AQUILA, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco; portando le tue medicine, farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

Ma ancora di più, dal SOTTO, tu che sei mio padre, TALPA, colui che completa le mie strade, tu che sei il mio monaco; portando le tue medicine, farai arrivare le tue strade sacre.Quattro volte, vegliando sul mio emergere, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.

Quando vi sarete seduti silenziosamente, saremo una sola persona.

E più ancora dal NORD, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo, voi che reggete il mondo; antica pietra GIALLA porta qui la tua strada sacra. Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite.

E più ancora dall’OVEST, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo,voi che reggete il mondo; antica pietra BLU porta qui la tua strada sacra.

Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite.

E più ancora dal SUD, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo,voi che reggete il mondo; antica pietra ROSSA porta qui la tua strada sacra.

Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno

le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite.

E più ancora dall’EST, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo,voi che reggete il mondo; antica pietra BIANCA porta qui la tua strada sacra.

Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite. E più ancora da SOPRA, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo,voi che reggete il mondo; antica pietra MULTICOLORE, porta qui la tua strada sacra.

Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite.

E più ancora da SOTTO, montagne muscose, vette delle montagne, pendii a picco, dirupi senza fondo,voi che reggete il mondo; antica pietra NERA, porta qui la tua strada sacra.

Quattro volte, farai entrare la tua strada sacra dove sta la mia coppa di conchiglia bianca.Quando vi sarete seduti silenziosamente, i nostri bambini berranno le vostre acque che risanano.Le loro strade sacre raggiungeranno il lago di sotto, e le loro strade saranno finite.

ILSUDOVEST

KURUK

La tribù Kuruk (o Karok) vive nella parte alta del fiume Klamat (N/O California). Con gli Yurok e gli Hupa, per quanto la lingua Kuruk non abbia relazioni con le altre due, esprimono l’identità culturale che caratterizza questa area. La letteratura orale tradizionale di questa regione, in larga parte, consiste in miti ambientati in un tempo antico, precedente all’esistenza degli esseri umani. I personaggi dei miti sono persone/spiriti (ikxarèeyav), molti dei quali hanno nomi come Coyote, Orso e Cervo. Queste leggende finiscono regolarmente con l’affermazione che la vita degli esseri umani che devono ancora arrivare ad esistere sarà esattamente come sta ordinando la persona/spirito. A dimostrazione, dopo aver fornito il salmone e il granturco, Coyote afferma che gliuomini vivranno di loro. Alla fine della storia molti spiriti/persone sono trasformati nel primo esemplare della specie animale come la conosciamo oggi; gli altri rimangono nel mondo intangibile.

I Kuruk si rivolgono alle persone/spiriti quando hanno bisogno dei loro favori. Per tanto, per esempio, prima che un cacciatore salga in montagna, fa una medicina chiedendo allo stesso Cervo il permesso di poterlo uccidere. Le “formule” più comuni sono preghiere e canzoni imparate dai familiari più anziani, e sono considerate proprietà preziose da tenere segrete. Il materiale cantato della formula è, generalmente, molto breve. Qualche volta è composto soltanto da “parole canzoni”, vocaboli senza significato e comparabili all’italiano: tra-la-la. Altre consistono in poche frasi corte ma ripetute diverse volte. Le canzoni d’amore (chiihvìichva) come Evening Star sono, nei fatti, una forma di medicina d’amore: formule magiche per attirare la persona amata.

Stella Della Sera

Stella Della Sera viveva lì, insieme al suo amore.E, per tanto tempo, vissero felici.Ma, un giorno, bisticciarono, oh, si azzuffarono, bisticciarono.

E lui tornò a casa, Stella Della Sera se ne andò. Andò lontano.E, alla fine, se ne andò in giro, in giro per tutto il mondo.E la donna pensò, “Oh, amore mio! Come potrò rivederti, mio dolce cuore?”

Oh, si sentiva sola, si lasciò cadere sul gradino della porta.“Oh, come sono sola! Oh, in che modo m’ha lasciato!” Pensava.E, così, il giorno dopo, alla sera, si rilasciò cadere.“Cosa posso fare?” E pensò, “Dovrei fare una canzone, così lo potrò rivedere, il mio amore.”Il giorno dopo ancora, tornò a lasciarsi cadere sul gradino.E cantò una canzone, sperando,“Lo rivedrò ancora.”

Ii ii ii iiya aa ii ii iiya aa ii ii iiya oh, m’hai lasciato

oh, amor mio

Oh, sono sola oh, per un bisticcio oh, amor mio oh, Stella Della Sera oh, ina ina

Oh, m’hai lasciato oh, per un bisticcio oh, amor mio oh, amor mio oh, amor mio

Se andrai allo sbocco ina della fine della terra io andrò oltre la fine e capirai inaa oh, amor mio

Oh, di stare insieme oh, stare insieme oh, amor mio oh, sono sola oh, amor mio e capirai ina oh, amore mio oh, per un bisticcio te ne sei andato alla fine della terra

senza più una casa devi girare intorno fino al centro della terra qui rotoleremo insieme

sul tuo petto rotoleremo insieme Oh, amor mio oh, Stella Della Sera oh, Stella Della Sera

capirai ina quando gli Uomini verranno lo faranno anche loro se anche v’azzuffate tu e il tuo amore

trovate la mia canzone e capirete ina di stare insieme io ve l’ho insegnato ina oh, amor mio

Quando lei aveva finito, di cantare al suo amore, Stella Della Sera capì:

“Oh, sono solo,

penso solo al mio amore, la devo ritrovare!”

Aveva perso il cuore, ma lo ritroverà.Qui nel centro della terra, s’incontrarono ancora,e lui ritrovò il cuore quando Stella Della Sera e il suo amore tornarono insieme.E lei parlò così la donna lo disse,

“Quando gli Uomini verranno, se una donna sarà lasciata, ritroverà il suo lui, con la mia canzone.Ritornerà da lì, fosse andato fino alla fine del mondo.”

E Stella Della Sera fu trasformato in una grande stella del cielo.