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Tradizioni musicali per l'Immacolata in Sicilia

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Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia

Sergio Bonanzinga

A Elsa Guggino,per aver custodito la memoria

degli “orbi” cantastorie di Palermo.

La festa della Madonna Immacolata apre tradizionalmente in Sicilia ilciclo celebrativo del Natale.1 L’unitarietà simbolica con cui è percepito il tempoche va dall’Immacolata all’Epifania si riflette tanto nelle consuetudini cerimo-niali (cibi, addobbi, giochi, allestimento di falò, azioni drammatiche, ecc.) quan-to nei generi poetico-musicali e strumentali che vi trovano impiego, in prevalen-za riconducibili a testi letterari di provenienza chiesastica e a moduli melodici distilizzazione semiculta.

Le celebrazioni iniziano il 29 novembre con la novena. Parallelamente allenovene di ordine paraliturgico che si svolgono nelle chiese, i fedeli gestiscono perconsuetudine in modo autonomo queste pratiche devozionali, assumendo le pro-prie abitazioni, o le edicole votive prossime alle porte di casa, come spazi ritualiprivilegiati. Va inoltre segnalato che nell’uso popolare il termine ‘novena’ (nuvena,nuena), oltre a indicare un ciclo di preghiere quotidianamente ripetute per novegiorni in forma recitata e/o cantata, viene impiegato sia per designare un lungocomponimento poetico a carattere sacro, suddiviso in iorna o iurnati (giorni ogiornate) da eseguirsi nel medesimo arco di tempo, sia per definire più generica-mente una “occasione” rituale, che può comportare la partecipazione di gruppiparentali e/o di vicinato ed è di norma caratterizzata dall’offerta di alimenti ebevande da parte della famiglia ospitante. Nella provincia di Caltanissetta il ter-mine nuvena è esteso anche a indicare le edicole votive addobbate per il Natalecon fronde verdi e frutta. Di frequente la celebrazione di una novena in ambitodomestico rinvia all’ottemperanza di un voto (prumisioni) per una grazia richiestao ricevuta (rràzia addumannata o accurdata).

1 Il culto dell’Immacolata diviene popolare in Sicilia nei primi decenni del XV secolo: pre-cede quindi l’ufficiale inserimento della festa nel calendario romano (1476) e anticipa di parecchisecoli la proclamazione del relativo dogma (1854) da parte di Pio IX (cfr. I. E. Buttitta 1999: 98-99).Per un inquadramento in ottica antropologica del culto mariano, anche nella prospettiva di una con-tinuità rispetto ai culti femminili precristiani dell’area mediterranea, si vedano tra gli altri: Warner1980; Cattabiani 1988: passim; AA.VV. 1995; Cardini 1995: 133-148; Buttitta 1996: 113-118.

L’esecuzione delle novene domiciliari, officiate fino a tempi recenti in coin-cidenza delle principali commemorazioni previste dal calendario liturgico, era spe-cialmente affidata a una particolare categoria di cantastorie: gli “orbi” (obbi, uoib-bi, orvi, ovvi, uorvi, uòrivi), così denominati poiché erano in prevalenza ciechiquanti intrapren devano questa singolare professione. Ricorda tuttavia GiuseppePitrè che l’attributo poteva prescindere da un reale stato di cecità: «Dire orbu, edire sunaturi o ninnarid daru, è lo stesso» (1889/I: 345); esattamente come nellaPenisola Iberica, fin dal XIV secolo, il termine ciego veniva utilizzato per designa-re i cantori ambulanti in ge nerale (cfr. Zumthor 1984: 273) e l’espressione roman-ce de ciego era comunemente in tesa a indicare qualunque componimento poetico-narrativo stampato su fogli o libretti – folhas volantes o pliegos sueltos – di speci-fica destinazione popolare (cfr. Caro Baroja 1969, Menéndez Pidal 1991, Diaz1996). La menomazione della vista prevale quindi in questi casi quale tratto carat-terizzante, assorbendo anche i vedenti nel prestigioso arche tipo del cantore-veg-gente che ricorre fin dall’antichità presso innumerevoli società tradizio nali (peruna sintesi vedi Zumthor 1984: 272-274).

Nella Palermo del Seicento la vicenda dei cantastorie “ciechi” si è legataall’istituzione di una confraternita intitolata proprio all’Immacolata Concezione.La più completa testimonianza a riguardo è stata fornita da Lionardo Vigo(Acireale, 1799-1879):

De’ ciechi trovatori e rapsodi – Fra costoro sono i ciechi, i quali in tutta Sicilia vivo-no suonando chi il colascione, chi il violino, o cantando canzoni e storie sacre e profane.Quasi tutti coloro i quali nascono ciechi, o perdono in gioventù il ben della vista, si addi-cono al mestiere del canto e della musica. Il numero infinito di tabernacoletti, di edicole,ove si venerano le immagini de’ santi, e festeggiansi le novene de’ protettori, e più delNatale, di s. Giuseppe, di Maria, di s. Rosalia, etc., la settimana santa, i venerdì di marzo,i giorni di particolare divozione, come i mercoledì consacrati alla Madonna; inoltre le festedi nozze, le serenate per i fidanzati, il carnevale, il bisogno di spendere allegramente le lun-ghe ore meridane della state, tutte queste cose insieme bastano ad alimentare gli orbi, iquali non han posa, e si affannano correndo da un capo all’altro della città guidati a manoda un ragazzo; e qui strimpellano il passio, le laudi di Maria, la storia di s. Genuefa, i cantidel Natale; colà canzoni erotiche, di sdegno, gelosia, disprezzo; o la storia di Testalonga, diZzuzza, de’ Fra Diavoli, de’ Colombi, di Tabbuso etc. [celebri briganti], sicché non puoiaverli a tuo servigio se non a giorno ed ora certa, e con preventivo avviso. In tutta Siciliagovernavansi a volontà degli agenti della Polizia, ma in Palermo, ove erano più numerosi,con leggi particolari, che giova far conoscere brevemente.

Nel 1661 gli orbi della capitale radunaronsi, e ottennero costituirsi in Congre -gazione, e taluni pietosi loro donarono onze 42,8 annuali di rendita pari a L. 538,90, concui sopperire alle spese della nuova adunanza di rapsodi; tra costoro i Tabita onze 5,18; iGuarnaschelli onze 6; i Patorno, onze 4 loro assegnarono in perpetuo. Il generale de’Gesuiti padre Tirso Consales nel 1690 li raccolse nell’atrio della Casa professa del suo ordi-

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ne, ove si congregarono. Soppresso l’ordine nel passato secolo [1767], ivi continuarono astanziare; ripristinato nel 1806, il re concesse a’ gesuiti la terza parte delle rendite di tuttele congregazioni, che univansi a Casa professa. Lamentavano gli orbi i padri aversi presol’intero, per lo che replicate citazioni lanciavano a quando a quando al loro provinciale,onde non prescriversi il diritto a rivendicarle. Comunque ciò sia, siccome stancavano iltrono con incessanti reclami, re Ferdinando III nel 1815 loro assegnò onze 14,4 annualisopra le mense vescovili vacanti. D’allora furono in guerra orbi e gesuiti; costoro voleanocacciarli dal chiostro, ove si raccoglieano; quelli stavano duri, vantando gli antichi diritti;e governando Sicilia il Duca di Laurenzana, abbisognò una ministeriale dellaLuogotenenza generale per non farli espellere dal conteso chiostro. Entro cassa a tre chia-vi serbavano i sovrani diplomi, e le carte, che loro pertenevano, con tale gelosa diffidenza,che a me loro amico e amato, e benefattore di taluni di loro, non fu concesso vederli, eforse e senza forse, mi sospettarono emissario de’ gesuiti.

I congregati erano trenta, tutti suonatori e cantanti, altri trovatori di novelle rime,altri rapsodi, che quelle ripetevano e diffondevano; si obbligavano non poter suonare neibordelli, di non poter cantare poesie profane per le strade, di recitare ogni giorno la coro-nella delle cinque piaghe di Nostro Signore, il rosario la sera, pagare ogni anno grani diecipe’ funerali de’ ciechi defunti a 2 novembre, e tarì uno per la festa dell’Immacolata a 8dicembre. Avevano un cappellano, che lor celebrava messa ogni giovedì; un padre diretto-re, ch’era gesuita, a cui si confessavano ogni primo giovedì del mese; costui esaminava lelor poesie, e ne permettea la pubblicazione. Li reggevano un Superiore, due Congiunti, seiConsultori: vi era un Visitatore de’ fratelli infermi e un ammonitore, il quale adempiva l’uf-ficio di Censore. Pieni di nobile orgoglio per la loro società, vantavano sodalità con laCongregazione di S. Maria Maddalena di Roma, e aver ottenuto dall’arcivescovo Mormile[Raffaele Mormile, Arcivescovo di Palermo dal 1803 al 1813] godersi quaranta giorni d’in-dulgenza chiunque facea recitare una poesia spirituale ad un cieco. E quest’altri documentistavan chiusi in un’arca a tre chiavi. Era debito di ogni confratello in ogni anno agli 8dicembre, ricorrendo la festività dell’Immacolata, presentare alla Congregazione una poe-sia novella in lode della Madonna; quest’obbligo da qualche tempo trascuravasi; ma quan-do avveniva la ragunata, era bello vedere a cerchio seduti i ciechi in attitudini stranissimecontendersi l’un l’altro il pubblico suffragio, e l’un dopo l’altro sfoggiare la nova musica eil canto novello, mentre i fantolini, che loro servivano di guida, sospeso alquanto il fastidiodi condurli, si agglomeravano tutti insieme e abbandonavansi a fanciulleschi trastulli.[1870-74: 59-60]

Vigo non chiarisce quali siano state le sue fonti riguardo all’ordinamento ealle «leggi» della Congregazione. Egli si limita a segnalare, come riferimento per ladata di aggregazione alla primaria di Roma, un manoscritto dell’erudito palermi-tano Antonino Mongitore (1663-1743): «Chiese di Palermo. MM. SS. dellaBiblioteca del Senato» (1870-74: 59, nota). Il titolo esatto del manoscritto, suddi-viso in nove volumi e oggi conservato presso la Biblioteca Comunale di Palermo,è Dell’Istoria sagra di tutte le Chiese, Conventi, Monasteri, Spedali et altri luoghi piidella Città di Palermo. Chiese di Unioni, Confraternite e Congregazioni di Palermo

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(segnatura QqE1-9). Questa la breve annotazione inserita dall’autore nel sestovolume dell’opera: «La Congregazione de’ Ciechi sotto titolo dell’ImmacolataConcezione fondata nel 16... aggregata dal P. Tirso Consalez nel 1690» (QqE6, c.283r). Mongitore lascia quindi in sospeso la data di istituzione della congregazio-ne, mentre Vigo pare invece avere avuto conoscenza diretta delle sue vicende,forse attraverso le testimonianze di quegli orbi palermitani di cui si dichiara«amico amato e benefattore» (pur lamentandone l’eccessiva diffidenza). Potrebbeavere inoltre integrato le sue informazioni servendosi di fonti alternative, sia orali(anzitutto i Gesuiti) sia scritte (testi a stampa o manoscritti scarsamente noti).

Non si conoscono in sostanza attestazioni certe sull’origine della Congre gazionedell’Immacolata Concezione dei Ciechi,2 che comunque già esisteva nell’agosto del1631, presso la «ecclesia di Sancta Rosalia», come risulta da una supplica rivoltaall’Arcivescovo – perorante l’espulsione di un confrate insolvente – inclusa neiMemoriali della Visita conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Palermo(cfr. Appendice, Documento 1). Lo stesso fondo contiene altre lettere inoltrate dalla«Congregatione delli Cechi» all’Arcivescovo. La prima, datata 2 settembre 1633,riguarda la formulazione di un nuovo «capitulo» relativo all’assistenza pecuniaria dafornire ai «poveri ciechi quando accederà di esserno malati overo carcerati per causicivili overo criminali» (cfr. Appendice, Documento 2). La seconda, dell’11 febbraio1640, lamenta la sospensione, verificatasi tre anni prima a causa di una carestia,della «povera Congregattione del’Orbi di Nostra Signora della Concezzione», necomunica la riattivazione presso la chiesa del «Crucifisso della Albergaria» e sup-plica infine l’alto Prelato di ordinare «Messe e suffragii e bulle» per i «fratelli tra-passati» (cfr. Appendice, Documento 3). Con la supplica del 26 gennaio 1641 i con-frati chiedono di ridurre la «elemosina» mensile per evitare che i più poveri abban-donino il sodalizio: «del tarì uno il mese si habbia da discalare a grana deci il mesi,acciò più commodamente ogni uno possa pagare quella, et detta Congregattionerestar sempre sequita da tutti» (cfr. Appendice, Documento 4).

Queste testimonianze non fanno cenno a eventuali attività poetico-musicalidei congregati, e il sodalizio pare esclusivamente impegnato a garantire assisten-za ai ciechi poveri, come già accadeva in numerose città europee per le confra-ternite “di carità” (cfr. Black 1992: 221-275). Qualche forma di pratica musicalea scopo devozionale poteva essere comunque prevista tra gli “obblighi” dei con-frati, anche se in assenza dei capitoli originali della Congregazione non se ne puòavere certezza. L’ipotesi appare tuttavia confortata da una esperienza promossa aRoma direttamente dal Papa:

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2 Sulla storia delle confraternite palermitane si veda M. C. Di Natale 1993. Riguardo alle con-fraternite palermitane sotto il titolo dell’Immacolata Concezione si veda in particolare R. Di Natale2004. Ringrazio Maria Concetta Di Natale per i suggerimenti generosamente offerti in oerdine a que-sto tema di ricerca.

Nel 1613 Pio V fondò la confraternita di Sant’Elisabetta, o della Vergine, per uomi-ni e donne ciechi e storpi, con lo scopo di difendere il loro diritto di mendicare e di inco-raggiare la pietà nei loro confronti. Essi erano già esenti dalle leggi sull’accattonaggio edalle normali limitazioni relative al mendicare. Di domenica organizzavano raduni permendicare intorno alle osterie, accompagnati da musicisti e da un poeta che cantava pre-ghiere sacre; poi distribuivano parte dei loro fondi ai membri troppo ammalati per men-dicare attivamente. [Black 1992: 232]

È la missiva del 31 maggio 1644 – sempre contenuta nei Memoriali dellaVisita – a segnare il punto di svolta nella storia della Congregazione. Con questa iCiechi informano il Vicario Generale Capitolare Don Giovanni Antonio Gelosoche nel l’Oratorio «dentro il Convento del Sanctissimo Crucifisso dello quarteridella Albergaria […] patiscono diversi scomodità per le quali non ponno attende-re al servitio di detta Congregattione con quella diligenza che in altra parte farria-no», e chiedono pertanto di potere accettare l’ospitalità «nella Casa Professa delliPatri della Compagnia di Gesù», che offrono «loco gratis a essi Exponenti perdetta Congregattione et Oratorio» (cfr. Appendice, Documento 5). La «licentia»viene concessa, avviando così un rapporto che si protrarrà per oltre due secoli.

In conclusione: è certa l’esistenza a Palermo, almeno dai primi decennidel Seicento, di una Congregazione dei Ciechi sotto il titolo dell’ImmacolataConce zione, ed è provato il trasferimento della sua sede a Casa Professa negliultimi mesi del 1644. La data del 1661 indicata da Vigo è dunque con probabi-lità da riferirsi a una radicale trasformazione della natura del sodalizio, attra-verso l’assunzione di una nuova e più specifica fisionomia “professionale”,attuata per iniziativa e sotto la guida diretta della Compagnia di Gesù. I datiforniti da Vigo – sede, organigramma, obblighi, proibizioni, finalità – congrui-scono piena mente con quanto si ricava dal più antico statuto che è stato finorapossibile reperire (ancora nel fondo dei Memoriali della Visita): Capitoli dellaVenerabile Congregazione delli Ciechi sotto ti tolo della Sempre ImmacolataConcezione di Maria Vergine, existente nelli claustri di Casa Professa delliReverendi Padri dell’Inclita Compagnia di Gesù di questa Città, re novati nell’an-no 1755 (cfr. Appendice, Documento 8). Questa la Tavo la degli undici Capitoli,rinnovati con appro vazione ecclesiastica l’8 novembre 1755:

1. Dell’entrata delli fratelli; 2. Dell’elezione delli novi Superiori; 3. Della creazionedel l’Officiali; 4. Dell’ubidienza quale deve portarsi alli Superiori, e della reintegrazio-ne di qualche fratello; 5. Della frequenza dell’intervenire in nostra Congregatione; 6.Come debbansi conser vare i denari di nostra Congregazione; 7. Del soccorso e suffra-gii delli fratelli. 8. Della festivi tà di Nostra Signora Maria Immacolata e quanto deb-basi spendere per detta festa e Candelora; 9. Della proibizione delli poeti; 10. Dellaproibizione a non poter imparare gente con la vista; 11. Della proibizione dell’istorieprofane e burlesche, e non poter sonare in parte scandalose.

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Se per la struttura generale lo statuto ripropone gli schemi usualmente adot-tati dalle confraternite laicali del tempo, diversi Capitoli contengono espliciti rife-rimenti alla disciplina delle pratiche poetico-musicali. Il primo Capitolo stabilisceche requisito indispensabile per essere accolti nel sodalizio sia l’abilità a suonarestrumenti e a cantare, con l’impegno di limitarsi però alla diffusione del reperto-rio sacro: «che detti fratelli ciechi tutti habiano da essere strumentarii, affinchéviver possano onestamente e con decoro andando cantando e sonando pelle publi-che strade e piaz ze di questa Città orazioni e istorie spirituali e non già scandalo-se e profane». Il terzo Capitolo prevede l’elezione tra gli Officiali minori anche di«quattro Sonatori […] in obligo di sonare al solito in nostra Congre gazione quan-do si richiede e vi sarà bisogno». Nell’ottavo Capitolo ricorre una specifica pre-scrizione riguardo alla festività dell’Immacolata: «si proibisce espressamente ad’o-gni fratello di non potere in detto giorno in cui si sollinnizerà detta festività anda-re cantando pelle publiche strade e piazze di questa Città veruna sorta d’orazionispirituali, se prima non sarà finita detta sollennità». Sono però gli ultimi treCapitoli a orientare in termini più ferreamente corporativi l’attività dei confraticantastorie, non solo mediante la “censura preventiva” operata dagli organi supe-riori sui componimenti dei «fratelli poeti» (Cap. IX), ma anche nella pratica e nellatrasmissione di un mestiere che doveva essere dominio esclusivo e permanente dei“non vedenti”, con esclusione perfino dei «propri figli con la vista» (Cap. X, basa-to su una supplica rivolta all’Arcivescovo datata 31 gennaio 1737, cfr. Appendice,Documento 6), fino alla riaffermazione del divieto di cantare «istorie profane, bur-lesche e scandalose» e di suonare «in case scandolose di pubbliche meretrici»(Cap. XI). Quest’ultimo Capitolo, anch’esso riferito a una precedente supplicaall’Arcivescovo (16 ottobre 1745, cfr. Appendice, Documento 7), auspica tra l’altroche «per il profitto spirituale […] ognuno dei ciechi abitanti in questa Città doves-se arrollarsi in detta Congregazione», e richiede esplicitamente che qualora dei«ciechi forasteri […] volessero esercitare l’officio di andar cantando orazioni spi-rituali in questa Città, dovessero pagare alla detta Congregazione rotolo uno dicera l’anno, e se cantassero istorie profane di star sogetti, oltre delle sopracennatepene, ad’anni due di esilio».

Conosciamo quindi con esattezza, attraverso la voce ufficiale dellaCongregazione, i termini in cui viene regolata l’attività degli orbi. È evidente chela nuova forma assunta dal sodalizio scaturisce da un preciso accordo stipulato trai cantastorie ciechi e i Gesuiti: la Chiesa garantiva il monopolio di un mestiere chepermetteva di sostenere «la povera vita e famiglia d’ognuno» (Cap. 11) e gli orbisi impegnavano a moralizzare la musica di strada, contribuendo a trasformarel’ambiente popolare in “comunità di devo ti” (per uno sguardo generale sulla poli-tica culturale dei Gesuiti in area europea si veda Châtellier 1988). La rigidità diqualunque regolamento è però sempre direttamente proporzionale alla frequenzadella sua trasgressione. Una voce “laica”, quella del marchese di Villabianca (cele-

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bre erudito e diarista palermitano), ricorda difatti che nella seconda metà delSettecento il repertorio degli orbi comprendeva anche «canzoni ridicolose» e sto-rie cavalleresche diffuse in stampe popolari:

Li poveri orbi e ciechi di tutti due occhi, che, come è notissimo, soglion vivere colmestiere di cantare e recitare per le strade orazioni sacre e profane e sopra tutto improve-sar poesie nelle feste plebee in onore de’ Santi che fuori de’ tempij nelle piazze e contradeespongonsi delle città, sono l’istessi poeti popolari appellati cyclici poetae che fecero figu-ra presso gli antichi in Italia a’ tempi anche de’ Greci e de’ Romani.

De’ parti e composizioni di tai bassi poeti di volgo, per me, Villabianca, al volumepiccolo di n. 82 di mie erudizioni se ne tiene una buona raccolta. Per lo più sono, questecanzoni di orbi e recite di canzoni, ridicolose e prodotte in poesia sicola bernesca, e fra esseche son date alla luce delle pubbliche stampe riescon pregevoli Lu calaciuni a tri cordi, ch’èlo stesso di Lu curnutu cuntenti, La storia del Meschino, Il mercadante fallito, Il demoniotentatore, La storia di Orlando, Aromatario e taverniere ed altri. [ed. mod. 1991: 113]

Va d’altra parte rilevato che a partire dal 1750 matura la crisi che porteràin breve alla soppressione della Compagnia di Gesù, coinvolgendo inevitabil-mente le confraternite poste sotto il suo patronato: «A Napoli il re FerdinandoIV, con un decreto del novem bre 1767, non si accontenta di espellere i Gesuiti,ma applica la stessa norma per i laici legati a loro» (Châtellier 1988: 200). Se perun verso l’espulsione dei Gesuiti deve avere indebolito fortemente il prestigiodella Congregazione dell’Immacolata dei Ciechi (che continua comunque a ope-rare anche se non è chiaro presso quale sede), per altro verso ha di certo com-portato un allentamento del controllo in senso catechistico dell’attività dei con-gregati. Dopo la riammissione in Sicilia della Compagnia, avvenuta trentanoveanni più tardi (1806), il quadro politico-sociale è del tutto cambiato, influen-zando anche le modalità della riattivazione dei rapporti tra gli orbi e i loro pre -cedenti protettori. Questa nuova fase è soprattutto caratterizzata da contrasti eincom prensioni, che vanno dagli interessi economici (vedi sopra quanto ricor-dato da Vigo) alla gestione dello spazio occupato a Casa Professa, forse mante-nuto dai congregati anche nel periodo di assenza dei Gesuiti (cfr. Guggino 1980:12-14). Dopo quasi un quaran tennio di autonomia gli orbi paiono inoltre sem-pre meno propensi a limitare il proprio ufficio all’ambito devozionale, comeperaltro emerge con chiarezza dal nuovo statuto approvato nel 1829. Questo ènoto grazie all’edizione fornita da Elsa Guggino (1980: 61-66), corredata da unadettagliata analisi. Ne traiamo alcuni passi:

Dopo il 1820 […] tutte le congregazioni furono obbligate a ripresentare i loroCapitoli per l’approvazione regia. […] I Gesuiti per parte loro presentano delle «Regole»comuni a tutte le Congregazioni da loro dirette che, in base alle regole stesse, vengonodichiarate «Congregazioni di spirito» (indirizzate, cioè, solo alla cultura delle anime). Da

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qui una lunga disputa tra i ciechi e i Gesuiti, nonché tra i Gesuiti e il Consiglio degli ospi-zi. […] Nel 1828 […] i ciechi non avevano ancora presentato i loro Capitoli né avevanointeso uniformarsi alle Regole generali, secondo cui avrebbero dovuto accettare di costi-tuirsi come congregazione di spirito. Il che faranno nell’anno successivo, e già nel maggio ilConsiglio superiore degli ospizi comunica al marchese della Favara di avere esaminato iCapitoli, di averli trovati regolari e di avere apposto alla fine «le solite clausole generali».[…] Lo statuto comprende nove Capitoli, preceduti da un Proemio e seguiti dalle diciottoRegole apposte dal Consiglio superiore degli ospizi. La lettura del Proemio è interessante,perché, nel presentare i nuovi Capitoli estesi «a tenore dei Reali stabilimenti», i congrega-ti fanno riferimento […] al precedente statuto del 1755, precisando che da allora laCongregazione aveva «officiato per lo spazio non interrotto di più anni». […] Lo statutodei ciechi viene approvato, come si è detto, dal Consiglio superiore degli ospizi, previa l’ag-giunta di diciotto articoli alcuni dei quali limitavano l’ingerenza dei Gesuiti, soprattuttonelle questioni temporali. […] I ciechi hanno finalmente raggiunto il loro scopo: quello divedere riconosciuta ufficialmente la congregazione nei termini loro accetti (cioè con auto-nomo statuto) e di potere, per questo, continuare le riunioni a Casa Professa. Non altret-tanto soddisfatti i Gesuiti con cui inizia una polemica che si protrarrà per molti anni.[Guggino 1980: 13-16]

Lo statuto del 1829 ripropone sostanzialmente i Capitoli del 1755, ammo-dernandone in alcuni tratti il linguaggio e semplificando alcuni passaggi. Sonoperò del tutto assenti gli ultimi due Capitoli (X e XI), ovvero quelli che in modopiù diretto stabilivano rigide “proibizioni” riguardo alla trasmissione del mestiere(che doveva restare monopolio esclusivo dei ciechi), ai luoghi di esercizio (obbli-gatoriamente connessi a prestazioni devozionali) e alla tipologia dei canti (esclusi-vamente di carattere sacro). Nel Capitolo VIII scompare inoltre la proibizione di«andare cantando pelle publiche strade e piazze di questa Città veruna sorta d’o-razioni spirituali» mentre si celebrava la festa dell’Immacolata. Resta invece pres-soché identico il Capitolo IX, relativo alla preventiva approvazione da parte deivertici della Congregazione delle «Orazioni spirituali nuovamente composte» da«ogni Confrate Poeta». Nel Capitolo I troviamo invece una significativa integra-zione che direttamente si riferisce alla dimensione professionale degli orbi, poichéviene stabilita una tassa suppletiva per quanti avessero esclusiva competenza dipratica strumentale: «Coloro che sapevano solo suonare (e non cantare e compor-re versi, sembrerebbe sottinteso), erano obbligati a pagare per la loro ammissioneuna somma di tarì 4 e grani 2 ogni settimana “a titolo di contribuzione volonta-ria”, ma sotto pena di esclusione “delli benefici e vantaggi” qualora non avvenisseil puntuale pagamento» (Guggino 1980: 14). La più inequivocabile evidenza delmutato tenore dei rapporti tra orbi e Gesuiti si registra però nella modifica delCapitolo VII, «In cui si prescrive il modo come debbansi conservare e tenere ildenaro di nostra Congregazione». Se nel 1755 si stabilisce che «Tutto il denaropervenuto e che potrà pervenire in potere di nostra Congregazione […] si abbia e

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debbia da reponere e conservarsi alla presenza del nostro Padre in una cassa condue chiavi, una delle quali deve tenerla in potere detto Reverendo Padre di nostraCongregazione e l’altra il Superiore passato», il Capitolo approvato nel 1829 parlainvece di una «cassa con tre chiavi», rispettivamente custodite dal «Tesoriere oCassiere attuale», dal «Superiore attuale» e dal «Superiore passato»: la funzionedei Gesuiti è ormai soltanto quella di Cappellani, esautorati da ogni ingerenzanella vita materiale della Congregazione. Una vita che non si protrarrà comunqueancora per molto, giacché con l’impresa dei Mille e la seguente acquisizione delleproprietà ecclesiastiche da parte del nuovo Stato, giunge al termine anche la sto-ria della Confraternita dell’Immacolata Concezione de’ Ciechi, con il suo rigorosodisciplinamento del mestiere di cantastorie dettato dall’atrio di Casa Professa.

Le successive testimonianze relative all’attività degli orbi offrono un ampioquadro sia del loro repertorio (“storie” sacre e profane, musiche strumentali daballo, canzoni satiriche, canti d’amore e di “sdegno”, ecc.) sia delle occasioni in cuisi esibivano dietro compenso: celebrazioni devozionali (novene e ricorrenze variein tutta la Sicilia, “trionfi” per grazia ricevuta a Palermo e centri limitrofi), festeprivate (specialmente matrimoni e battesimi), serenate, spettacoli del teatro deipupi, pubblico intrattenimento all’aperto (piazze, mercati, ecc.) o presso locali divaria natura (dalle taverne ai postriboli). Il loro organico era di norma formatodalla coppia: un suonatore di violino e uno di citarruni (o chitarruni, bassetto a trecorde o violoncello adattato, talvolta anche contrabbasso, di solito suonati a pizzi-co) oppure di chitarra (in passato di liuto o colascione). A questi potevano aggiun-gersi, limitatamente al periodo del Natale, altri suonatori di vari strumenti (man-dolino, flauto di canna, cerchietto, triangolo, nacchere, ecc.).3

Nonostante la varietà delle prestazioni offerte, la specializzazione di questimusici ambulanti restò tuttavia soprattutto legata alla esecuzione di canti sacri. Inquesta prospettiva va compreso il duraturo rapporto intrattenuto dagli orbi con laChiesa e in particolare con i Gesuiti. Se la trasmissione del repertorio sacro (ora-zioni e storie agiografiche, litanie, canzonette devote, ecc.) garantiva ai cantastorieun guadagno certo e continuativo, la Chiesa poteva nel contempo avvalersi delloro servizio per operare una forma di catechesi assai efficace, diffondendo in unlinguaggio di immediata ricezione popolare temi e motivi religiosi secondo i cano-ni ufficiali. Oltre ai «fratelli poeti» appartenenti alla Congregazione dei Ciechi, gli

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3 Le più cospicue testimonianze relative all’attività degli orbi sono fornite da Pitrè (1870-71/I:38; 1881: 431-435; 1889/I: 127-128, 345-359; 1893), Salomone Marino (1873: 22-23, ried. 1926: 22-28), Arenaprimo (1896, 1897), Paternò Castello (1905), Ferrara (1908: 81-82) e Favara (1959: 81-83).Trascrizioni musicali corredano le opere di Meyerbeer (ms. 1816, ed. Bose 1993: passim), Pitrè(1889/I: tre tavole dopo p. 469), Ferrara (1908: 82-83, 85-86, 91-92, 95-96), Frontini (1904: 13-14;1938: 8-10) e Favara (1957/II: nn. 626, 643, 646, 649, 681, 683, 698, 754, 755)

autori che materialmente posero mano alla stesura dei componimenti – di normastampati in libretti o fogli volanti – furono sia laici, come Pietro Fullone (Palermo,XVII secolo) o Antonio La Fata (Catania, prima metà del XVIII secolo), sia eccle-siastici, come il canonico Antonio Diliberto (Monreale, XVIII secolo) o, nella faseappena seguente allo scioglimento della Congregazione, il sacerdote GiovanniCarollo (Carini, seconda metà del XIX secolo).4

È proprio padre Carollo a riorganizzare entro una dimensione confessiona-le l’attività dei “poveri ciechi”, attraverso l’istituzione a Palermo nel 1871 di unaScuola, ospitata nei locali di pianterreno dell’ex Collegio gesuitico: «Il pio sacer-dote veniva dunque a colmare un vuoto, creando per i ciechi, che avevano persoil loro punto di appoggio a Casa Professa, un nuovo centro di riunione nonché distudio» (Guggino 1980: 28).5 Questi si distinse tra l’altro come autore di due con-sistenti antologie di canti sacri in siciliano – stampate a Palermo presso laTipografia Pontificia nel 1883 e nel 1891 – specificamente rivolte agli allievi pro-pensi a intraprendere il mestiere di cantasto rie (cfr. Guggino 1988: 8-9). La politi-ca culturale perseguita da padre Carollo, pur mu tando lo “strumento di control-lo” (dalla Congregazione alla Scuola), si pone pertanto in diretta continuità con l’a-zione avviata dai Gesuiti più di due secoli prima, come appa re evidente dallaDedica d’apertura al volume Sacre canzoni siciliane sopra i principali misteri, titolie feste di Maria Vergine (1883), indirizzata all’Arcivescovo di Palermo:

Non può negarsi che la cecità degli occhi sia un male fisico ed una della maggiorisventure che ad un uomo possa accadere. Eppure Gesù Cristo ne fece uno strumento dellamanifestazione della gloria di Dio. «Né costui, né suo padre, né sua madre hanno pecca-to, rispose agli Apostoli, parlando del cieco-nato, anzi ciò è avvenuto, acciocché le operedi Dio sien manifestate in lui».

E se il Real profeta sposava al suono dell’arpa i sublimi e teneri canti della Religione,perché non potranno fare altrettanto i poveri ciechi, il cui mestiere è il vivere cantando perle pubbliche vie? Chi vieterà che questi miseri figli della notte possano divenire gli utilistrumenti della Provvidenza per diffondere nel volgo la luce delle celesti dottrine e la puramorale predicata da Gesù Cristo? Chi meglio di loro, senz’aver l’aspetto di religiosi

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4 Testi poetici di canti religiosi siciliani vennero raccolti nell’Ottocento principalmente daVigo (1870-74) e da Pitrè (1870-71). Per l’indicazione dei canti religiosi diffusi in stampe popolari,vedi in particolare Salomone Marino 1896-1901. Sulla poesia popolare religiosa in Sicilia si veda l’u-tile sintesi di Maria Tedeschi (1928-39) e per un quadro più ampio, relativo al territorio italiano, cfr.Toschi 1935.

5 Nel 1892 la Scuola di padre Carollo trova continuità in una più moderna struttura assisten-ziale, quando si inaugura a Palermo «l’Istituto dei ciechi, intitolato al suo benefattore Ignazio Florio.L’istruzione impartita era di tre specie: letteraria, musicale e tecnica […]. I ciechi imparavano a suo-nare vari strumenti: il violino, il pianoforte, l’organo, il mandolino. Nel 1894 l’Istituto si allargò,fruendo dei lasciti di Francesa e Anna Salamone, e si aprì anche alle cieche povere. La scuola musi-cale cessò di esistere nel 1933» (Guggino 1980: 28).

Missionari, potrà, mercé il diletto del suono e del canto, fare apprendere a quelle animesconsolate le ineffabili dolcezze e i soavi conforti della nostra Fede?

Con tale intendimento appunto sono state scritte queste Sacre Canzoni Siciliane inlode di Maria, affinché per mezzo de’ poveri ciechi fosse vie più diffusa nel popolo ladevozione e la pietà per l’augusta Madre di Dio, rifugio de’ peccatori e nostra potenteavvocata. [1883: 4-5]

Si tratta di una vera dichiarazione programmatica, che rivela gli obiettiviauspicati nella piena consapevolezza del metodo utilizzato («mercé il diletto delsuono e del canto», «senz’aver l’aspetto di religiosi Missionari») e in pieno accor-do con le più alte gerarchie ecclesiastiche, come testimonia la Risposta del -l’Arcivescovo Mi chelangelo Celesia (pubblicata nelle pagine seguenti alla Dedica),che non manca di porre in evidenza l’importanza del “dialetto” per un’ampia dif-fusione “popolare” dei canti:

Le Canzoni, che Ella in testimonianza di affetto alla gran Madre vuol pubblicare,tendono allo scopo sopraindicato, molto più che Ella, rendendoli popolari col nostro dia-letto, le usa a celebrare le lodi sotto il profilo di tutte le solennità, con le quali la Chiesa,mediante i suoi riti, la onora nel corso dell’anno. [1883: 9-10]

Nei Brevi discorsi dichiarativi che padre Carollo antepone ai componimentipoetici troviamo poi tutto il corredo dottrinale necessario a una “corretta” com-prensione dei testi. È difficile dire quanto di questo arrivasse alla percezione didevoti in larga maggioranza analfabeti, ma è tuttavia significativo che il contenutodei canti appartenenti al repertorio degli orbi sia sempre conforme ai principi cate-chistici. Il “breve discorso” che precede le strofe della Nuvena pri la festa di MariaImmaculata, inteso a illustrare il dogma dell’immacolato concepimento dellaVergine, offre un esempio della procedura seguita dal Sacerdote:

Era conveniente che la Figlia dell’Eterno Padre, la Sposa dello Spirito Santo, laMadre del Verbo incarnato fosse concepita nella pienezza delle grazie e senza ombraveruna di peccato. Iddio potea farlo, e lo fece: e Maria fu concepita Immacolata. Fu que-sta sempre la veneranda tradizione dei Padri, la ferma credenza della Chiesa, il senti-mento di tutti i Fedeli.

[…] Era serbato al nostro secolo, sotto il Pontificato del Grande Pio Nono, l’ele-vare a verità dommatica l’altissimo privilegio di Maria. Il Ponteficie dell’Immacolata,dietro l’Enciclica del 1847 diretta all’Episcopato cattolico, […], agli 8 Dicembre del1854, proclamò solennemente il domma dell’immacolato Concepimento di Maria. Lacristianità tutta fece plauso alla desiderata sentenza, e solennissime feste ne attestaronola gioia universale.

Ogni anno i fedeli, per lodevole consuetudine, oltre al digiuno di precetto nella vigi-lia, si preparano, già tempo prima, alla festa colla celebrazione de’ dodici sabati, con devo-ti digiuni e larghe elemosine e, più di tutto, facendo cantare nelle loro case innanzi l’im-

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magine di Maria Immacolata una sacra Novena in attestato della loro pietà e della filialedevozione. [1883: 14-16]

Il testo della novena è composto da ventisette strofe in sestine di ottonari(i primi quattro a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata). Ogni jornu(giorno) prevede l’esecuzione di tre strofe, seguite dalla sempre identica rispo-sta corale dei fedeli (Populu) contenuta in una terzina di quinari doppi. L’origineletteraria del com poni mento è demarcata dalla “sicilianizzazione” di svariateparole ed espres sioni proprie della lingua italiana. Per esemplificazione ripro-duciamo – secondo le con ven zioni grafiche adottate dall’autore – le strofe delprimu jornu (Carollo 1883: 17-18):

Diu ti salvi, o gran Riggina,Tutta pura, tutta santa;A lu nomu tò s’inchinaLa natura tutta quanta;’Ncelu e ’n terra venerata,O Cuncetta Immaculata.

’Ntra l’immagini chiù cari,Chiù sublimi ed eccellenti,Chi l’Eternu avia a criariCu la destra onnipotenti,Fusti Tu predestinata,O Cuncetta Immaculata.

Già nun cc’eranu l’abissi;Né li munti, né li prati;Né li stiddi erranti e fissi;Né funtani ’nnargintati;E Diu già t’aveva amata,O Cuncetta Immaculata.

Populu. China di grazii – fusti Cuncetta,O Matri amabili, – Virgini eletta,Specchiu purissimu – di santità.

Questa Nuvena di padre Carollo, ancora oggi ripetuta dai fedeli nel paese diAltofonte (cfr. infra), non compare nel repertorio degli ultimi cantastorie diPalermo, puntualmente rilevato da Elsa Guggino negli anni Settanta delNovecento (cfr. Guggino 1980; documenti sonori in Garofalo-Guggino d.1987).L’Antropologa ha tra l’altro registrato un canto dedicato all’Immacolata che gliorbi Rosario Salerno e Angelo Cangelosi eseguivano in occasione della rispettiva

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novena.6 Non si tratta di un componimento suddiviso in “giornate”, cioè di unanuvena in senso proprio, ma di un testo articolato in sette strofe (sei quartine dinovenari più una sestina a chiusura).7 Il contenuto si uniforma alle prescrizionicanoniche, insistendo sugli aspetti dogmatici del culto:

Maria vèrgini nascìu,di lu munnu fu ristoru.Suli e lluna cumparìu,tutti dui d’argent’e dd’oru.

Molta ggenti pi ddeccorucci la ìanu a vvisitarie Mmarìa, Vèrgini d’oru,nni facìa abbarruari.

Cci vedèvanu alzarili ucchiuzzi nta lu cielu.Li manuzzi mpettu staridi mustrari lu fangelu.

Nni lu rici la fangeluri ssa ggranni rraccamura:è dda Ddiu, stu granni vieru,chi nnascìu sta gran Signura!

Cu po’ ddiri quanti grazica cuncetta è nata?Chi a nnui lu cori sazi,ssa gran Vèrgini bbiata!

Ssa gran Vìrgini bbiataunni va ogni ddicoru,

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 81

6 Rilevamento: Palermo (rione Romagnolo), 24/10/1970. Esecuzione: Angelo Cangelosi (vocee chitarra) e Rosario Salerno, detto zzu Rusulinu (voce e violino). Ricerca: E. Guggino (Archivio delFolkstudio di Palermo, Nastroteca: bo-bina 83, brano 1). Si ringrazia l’Associazione Folkstudio peravere reso disponibile il documento sonoro.

7 Il canto non compare nei quaderni manoscritti in cui zzu Rusulinu conservava numerositesti legati alla propria attività di cantastorie (se ne veda l’edizione in Guggino 1981 e 1988). Uncanto dal titolo Nasci ta di Maria rientrava nel repertorio di Fortunato Giordano, cantore-suonatorepalermitano che per un cer to tempo aveva operato nella cerchia degli orbi (cfr. Garofalo 1998).Anche questo testo è in quartine di novenari, ma presenta una estensione più ampia rispetto a quel-lo eseguito da Salerno e Cangelosi (se dici strofe). Di tono simile è il contenuto, con una strofa quasiuguale: Nui «Maria Maria» chiamamu / nni lu cchiù mumentu estremu. / Sì! L’aiutu nui invucamu /pirchì figghi a tia ti semu (Garofalo 1998: 9).

e lu pòpulu chi ssatadi li grazi fa ristoru.

Si «Maria, Maria!» chiamamu nni li cchiù mument’estremie l’aiutu invucamu,i Maria cci affideremu,n-ciel’e n-terra venerata,Maria Cuncetta Immaculata!

(Maria nacque Vergine, / del mondo fu ristoro. / Apparirono sole e luna, /tutt’e due d’argento e d’oro. // Molta gente per omaggio / si recò a visitarla/ e Maria, vergine d’oro, / li faceva sbalordire. // Le vedevano alzare / gliocchietti verso il cielo. / Le manine teneva sul petto / per mostrare il vange-lo. // Ce lo dice il vangelo / di questo grande disegno: / È da Dio, tanto gran-de, / ch’è nata questa gran Signora! // Chi può dire quante grazie / che è nataimmacolata? / Che ci possa saziare il cuore / questa gran Vergine beata. //Questa gran Vergine beata / dove vada riceva ogni onore, / e il popolo cheesulta / possa essere ristorato di grazie. // Se chiamiamo «Maria, Maria!» /nei momenti più estremi / e invochiamo aiutu, / a Maria ci affideremo, / incielo e in terra venerata, / Maria Concetta Immacolata!)

L’esecuzione si fonda sull’iterazione del seguente schema: PRELUDIO STRU-MENTALE / STROFA CANTATA (primo cantore Angelo Cangelosi) / INTERLUDIO STRU-MENTALE / STROFA CANTATA (secondo cantore Rosario Salerno). L’accompagna -mento al canto e gli interventi strumentali sono eseguiti con violino (R. Salerno) echitarra (A. Cangelosi). Sei diverse melodie vengono impiegate nelle inserzionistrumentali e il canto dell’ultima strofa conclude l’esecuzione. Girolamo Garofaloe Gaetano Pennino offrono una puntuale analisi riguardo allo stile vocale e stru-mentale di questa coppia di “orbi”, facendo anche specifico riferimento agli inter-ludi della Nuvena râ Mmaculata:

[…] gli stili vocali di zu Rusulinu e Angelo […] sono collocabili in posizione inter-media fra gli estremi della recitazione e quelli della melodia vera e propria. […] Anche sottol’aspetto ritmico i percorsi melodici delle voci si snodano con estrema libertà, in contrastocon la scansione regolare e rigorosa dell’accompagnamento strumentale. […] La chitarra,sempre suonata con il plettro, non si limita a strappare accordi in stile battente, ma effettuasenza cedimenti un sottile contrappunto di bassi, alternati ad accordi e bicordi, in modo dagenerare una “falsa polifonia”. Anche in fase di accompagnamento al canto il violino siaffianca alla chitarra eseguendo bicordi o note singole. […] Negli interludi [della Novenadell’Immacolata] il violino disegna una trama di motivi assai vari nelle agogie, nelle melodie,nelle tonalità e anche nella tecnica, usata con un minimo impiego di mezzi e con risultatitematici ricchi e variegati. Tra tutti gli interludi trascritti si osservi in particolare il terzo, oveil violino imita il suono delle ciaramelle. [Garofalo-Pennino 1988: 171-173]

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La trascrizione musicale (ES. 1) si riferisce alla parte iniziale della “novena”:PRELUDIO / PRIMA STROFA / PRIMO INTERLUDIO. Il preludio presenta l’andamentotipico delle pastorali natalizie in 6/8, con alternanza tra tonica (DO) e dominante(SOL), secondo uno schema ricorrente anche nelle nuveni degli zampognari (cfr.infra). L’affinità con le musiche per zampogna è confermata dallo stile esecutivo diRosario Salerno, che sostiene costantemente la melodia con una nota di bordone(solo nella terza misura suona il do, mentre per il resto ribatte sempre il sol).8 Lachitarra apre con accordi “strappati” e prosegue alternando i bassi fondamentalial sol-croma, che scandisce il secondo levare di ogni tempo della misura. La stro-fa melodica è costituita da due frasi, ulteriormente distinguibili in quattro semi-frasi corrispondenti agli ottonari del testo poetico. Il canto procede liberamente instile recitativo, in prevalenza per gradi congiunti, estendendosi entro un ambito didecima (do-mi, ma le due note più acute vengono raggiunte una sola volta).L’accompagnamento, metricamente regolare rispetto all’andamento fluido delcanto, si basa sul giro armonico di DO, con modulazione di passaggio in SOL –attraverso il RE in funzione di doppia dominante – nella cadenza della prima frase.La chitarra si limita a strappare gli accordi, mentre il violino rafforza la melodiasoprattutto con bicordi, enfatizzando con un melisma la modulazione di passag-gio. L’interludio, in tonalità di LA minore, è semplicemente fondato sull’alternan-za tonica-dominante. Il violino assume ora fisionomia spiccatamente solistica, pro-ponendo un profilo melodico-ritmico più articolato e arricchito da preziose fiori-ture, mentre la chi tarra sostiene schematicamente l’armonia, toccando i bassi fon-damentali in alternanza alle note acute di ogni accordo (quasi sempre strappate neidue tempi deboli della misura).

Non diversamente dagli orbi palermitani, la cui attività si è sporadicamen-te protratta fino agli anni Ottanta del Novecento, anche i cantastorie di Messinausavano eseguire numerose novene e altre “funzioni” devozionali: dalle orazionicommemorative dei defunti alle novene «che ricordavano pubblici disastri, terre-moti, temporali, guerre ed altre grandi calamità come carestie, pestilenze, siccitàche nel passato avevano varie volte colpito la nostra città» (La Camera 1961: 8).Sebbene la tradizione degli orbi nella Città peloritana si sia interrotta negli anniSessanta del Novecento, è stato possibile documentare buona parte del reperto-rio attraverso le esecuzioni di Felice Pagano, figlio di mastru Vitu u sunaturi, uno

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 83

8 Gli stessi orbi consideravano d’altronde la ciaramedda connotativa del Natale, come attestauna testimonianza raccolta nel 1974 durante una novena da Elsa Guggino: «Angelo [Cangelosi]aveva con sè il violino e non la chitarra, suo abituale strumento, poiché, mi disse, serviva meglio adimitare il suono della zampogna nei canti natalizi» (1980: 34). Questa semplice ma efficace tecnica,comune a tante altre tradizioni “violinistiche” popolari, è stata documentata tra i suonatori sicilianidell’Ottocento sia da Giacomo Meyerbeer (documenti 12 e 15 riprodotti in Bose 1993: 110, 114-115)sia da Alberto Favara (documento 643 del Corpus, 1957/II: 378).

fra gli ultimi cantastorie ciechi messinesi. Da ragazzo Felice accompagnava ilpadre e, pur non avendo in seguito mai realmente esercitato la professione di can-tastorie, ha appreso numerosi canti che tuttora rammenta con precisione ed ese-gue accompagnandosi al violino.

Il testo della Nuvena dâ Mmaculata è composto da trentasette strofe in sesti-ne di ottonari (i primi quattro a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata).Ogni “giornata” comprende quindi quattro strofe, a eccezione dell’ultima che neprevede cinque. Il contenuto è di lode alla Madonna, con rievocazione deimomenti cruciali della vicenda mariana (Annunciazione, Natività, Ascensione) eriferimento al dogma dell’Immacolata Concezione. Riproduciamo le strofe checompongono la prima giornata, conclusa dall’accorata implorazione dei devoti aessere “scansati da ogni pena”:9

Lu gran Patri, Ddiu mmurtali,cuncipita, l’ammiraucomu spècchiu ddivinalie dd’assai si nni prigiau.L’accittau pi ffìgghia amata,Maria Cuncetta Immaculata.

Patri, Fìgghiu e Spiritu Santu,tutti tri si cuncittaru,pi cchiù glòria da vantu,a sta Vèggini mannaru.Senza macula criata,Maria Cuncetta Immaculata.

L’aduraru di lu cielu,prima già d’èssiri nata.Cun amuri e santu zelufu da tutti vinirata.Senza macula criata,Maria Cuncetta Immaculata.

O Cuncetta Immaculata,cu ti fa la tua nuvena,sta ddivota a ttia ti chiamamâ scansati da ogni pena.Gloriusa e risblennenti,o to nomi trema l’infernu.

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9 Rilevamento: Messina, 01/12/1991. Esecuzione: Felice Pagano (voce e violino); DomenicoSantapaola (chitarra). Ricerca: S. Bonanzinga e G. Giacobello. Edizione: Bonanzinga cd.1996b: brano 2.

(Il gran Padre, Dio immortale, / avendola concepita, l’ammirò / come spec-chio divino / e molto si compiacque. / L’accettò per figlia amata, / MariaConcetta Immacolata. // L’adorarono dal cielo, / ancora prima di essere nata./ Con amore e santo zelo / fu da tutti venerata. / Senza macchia creata, /Maria Concetta Immacolata. // O Concetta Immacolata, / chi fa la tua nove-na / è una devota che ti invoca / di scansarla da ogni pena. / O gloriosa erisplendente, / al tuo nome trema l’inferno.)

La trascrizione musicale (ES. 2) si riferisce alla parte iniziale della novena(preludio e prima strofa), secondo l’esecuzione di Felice Pagano (voce e violi-no) e Domenico Santapaola (chitarra). La melodia comprende tre frasi, ulte-riormente distinguibili in sei semifrasi corrispondenti agli ottonari del testopoetico. L’impianto tonale è in MI maggiore, ma la seconda frase presenta unamodulazione momentanea caratterizzata dal FA# minore in posizione cadenza-le, raggiunto attraverso una “dominante minore” (DO#) nella prima semifrase esuccessivamente confermato dal passaggio sul IV grado (SI minore) prima dicadenzare nuovamente sul FA#. La voce procede sillabicamente per gradi con-giunti in ritmo tendente al 2/4. Il violino esegue un preludio strumentale (benscandito in 6/8, ripreso tra le strofe con funzione di interludio) e per il resto silimita a raddoppiare la linea melodica del canto. La chitarra alterna i bassi fon-damentali agli ac cordi, strappati per intero quasi esclusivamente in coinciden-za delle cadenze conclusive.

Fino agli anni Trenta del Novecento i cantastorie “orbi” erano presentitanto nelle maggiori città siciliane quanto nei centri minori. A Catania gli ultimiovvi – detti anche nanareddi (nanareddi, o ninnareddi, sono le “ninnananne” offer-te a Gesù Bambino) – hanno smesso di operare intorno al 1985. Anche nella Cittàetnea vigeva la consuetudine di ampliare l’organico della coppia-base (violino echitarra) nel periodo di Natale, includendo un pueta stimpiratu (poeta “a braccio”)e altri suonatori di strumenti a corda (violoncello e/o conrabbasso, detti chitarru-ni). I nanareddi si esibivano davanti ad altari votivi intesi a rappresentare la “culla”(cona) del Bambino, decorati con panneggi multicolori, fronde cariche di agrumi(clementine, arance, mandarini), germogli di grano e con in cima una corona difronde di asparago selvatico (sparacogni):

U sonu [il suono], tanto popolare a Catania e provincia fino agli anni Quaranta,[…] diviene u sonu grossu [il suono grosso] quando vi si include il violoncello o il con-trabbasso o tutt’e due gli strumenti insieme. Tale compagine si completa con il poetaimprovvisatore.

Allora il poeta era l’elemento indispensabile in qualunque ricorrenza: matrimoni,battesimi, onomastici e, non ci si meravigli, anche in casi funesti era sempre gradito unsonetto, un’ottava o altra composizione poetica che metteva in risalto la bontà, i pregi ine-guagliabili di un caro estinto. Nelle ricorrenze festose, oltre ad avere il compito di canta-

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re le lodi, i pregi, le bellezze, secondo i casi, del festeggiando, aveva altresì l’obbligo difare da “giullare”. […]. Nelle novene, al poeta era devoluto il compito di cantare in versila storia della Natività e concludere con la richiesta del vino al devoto, ch’era di norma,come oggi si dà la mancia a chi fornisce un servizio. Tante volte il vino veniva accompa-gnato dall’offerta di spinnagghi (dolciumi fatti in casa) o da fave, ceci, carrubbe e semiabbrustoliti. […] Il poeta, di norma, concludeva la parte religiosa con versi che pressa-poco recitavano così: Ora ringraziamu lu Divinu, / tèrminu ccani la me puisìa. / Si lu divo-tu poi non si siddìa, / nni duna a tutti n-bicchieri di vinu. / N-bicchieri e nn’arrifrisca la vus-sica, / a st’orbi ci arrifrisca i balatari / e a mia pueta mi fa mpruvvisari! [Ora ringraziamoil Divino, / termino qui la mia poesia. / Se al devoto poi non dispiace, / ci offre a tutti unbicchiere di vino. / Un bicchiere ci rinfresca la vescica, / a questi orbi gli rinfresca il pala-to / e a me poeta mi fa improvvisare!]

[…] Così si andava avanti, secondo le circostanze e il tempo disponibile. C’è datener presente che, per il popolo, la sacralità dell’immagine veniva data dalla lampadavotiva accesa e, nel caso della novena di Natale, dalle nove candele poste a semicerchiosu di una mensola, legate insieme dal tipico nastro rosso davanti all’immagine dellaNatività. La novena non poteva aver luogo se prima non erano state accese tutte le can-dele, ma dovevano essere subito spente non appena il poeta concludeva i versi dedicatialla Natività e si apprestava a dare libero avvio alle sue improvvisazioni. Infine venivarichiesta a gran voce a junta, u bbon pisu (l’aggiunta, il di più), cioè una sonata extra.L’orchestrina si compiaceva ad improvvisare una musichetta ballabile che veniva ballatasolo da uomini; le donne, a loro volta, si limitavano ad assistere divertite, battendo le maniper segnare il tempo. [Danese 1996: 2-4]

Tra i canti eseguiti dai nanareddi quello che presentava il più diretto legamecon la devozione mariana era la Litanìa, basata sui versi canonici delle Litaniae lau-retanae variamente “riplasmati” dalla tradizione orale. Il testo qui riportato è statotrascritto dal musicista catanese Puccio Castrogiovanni (1995: 19), che ha ancherealizzato la docu mentazione sonora di alcune tra le ultime novene degli ovvi dellasua città (nel rione periferico di San Giovanni Galermo). I versi sono raggruppatiin base alla strofa musicale, costituita da una vivace melodia in tempo di valzer ese-guita con violino, chitarra e chitarruni, «un violoncello a cui erano state sostituitele corde originali con quelle del contrabbasso (la qual cosa consentiva una mag-giore agilità nel trasporto)» (Castrogiovanni 1995: 11):

Kirie Eleiso, Cristi Eleiso. Patri de celi addevu, ora pro nòbbisi.Santa Maria, Santa di Genotri, Santa Viggo vìggini, ora pro nòbbisi.

E Matri intemerata, Matri amabili, Matri ammirabili, ora pro nòbbisi.Matri del Sarvaturi, Viggo potentissima, Viggo viniranna, ora pro nòbbisi.

Viggo potenti, Viggo climenti, Viggo fideli, ora pro nòbbisi.Sali e sapienza, Causa nostra litìzia, Massi spirituali, ora pro nòbbisi.

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Nzìgnici a rucazioni, Rosa e rosa mustica, Turi stravvidica, ora pro nòbbisi.Domus e domus aria, Fede ri sacca, Ianu va n-celi, ora pro nòbbisi.

Saleso infimmorumu, Refugium peccatoru, Cunsola st’afflittoru, ora pro nòbbisi.Riggina e l’angiloru, Riggina patri a càrricu, Riggina profitaru, ora pro nòbbisi.

Riggina màttiru, Riggina confessoru, Riggina vìgginu, ora pro nòbbisi.Santa Maria mirabili cuncetta, Maria avvucata nostra, ora pro nòbbisi.

Santu e santu Giobbi, O Patriacca santu, patri di pruvurènzia, ora pro nòbbisi.Agnus e agnus Dei, (s)Dei cu tolli, Tolli peccata mundi, Angeloru Dòmini.

Miserere nòbbisi. Ebbiva Gesù Bamminu!

(TESTO CANONICO: Kyrie, eleison. / Christe, eleison. / Kyrie, eleison. /Christe, audi nos. / Christe, exaudi nos. // Pater de caelis, Deus, misererenobis. / Fili, Redemptor mundi, Deus / Spiritus Sancte, Deus / SanctaTrinitas, unus Deus, miserere nobis. // Sancta Maria, ora pro nobis. / SanctaDei Genitrix / Sancta Virgo virginum / Mater Christi / Mater Ecclesiae /Mater divinae gratiae / Mater purissima / Mater castissima / Mater inviola-ta / Mater intemerata / Mater amabilis / Mater admirabilis / Mater boniconsilii / Mater Creatoris / Mater Salvatoris / Virgo prudentissima / Virgoveneranda / Virgo praedicanda / Virgo potens / Virgo clemens / Virgo fide-lis / Speculum iustitiae / Sedes sapientiae / Causa nostrae laetitiae / Vas spi-rituale / Vas honorabile / Vas insigne devotionis / Rosa mystica / Turrisdavidica / Turris eburnea / Domus aurea / Foederis arca / Ianua caeli /Stella matutina / Salus infirmorum / Refugium peccatorum / Consolatrixafflictorum / Auxilium christianorum / Regina Angelorum / ReginaPatriarcharum / Regina Prophe tarum / Regina Apostolorum / ReginaMartyrum / Regina Confessorum / Regina Virgi num / Regina Sanctorumomnium / Regina sine labe originali concepta / Regina in caelum assumpta/ Regina sacratissimi Rosarii / Regina familiae / Regina pacis, ora pro nobis.// Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine. / Agnus Dei,qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine. / Agnus Dei, qui tollis pec-cata mundi, miserere nobis.)

Se rientra nella “norma” la sicilianizzazione di termini ed espressioni latine (aesempio Matri per ‘Mater’, Riggina per ‘Regina’, la contrazione in u delle desinen-ze del genitivo, ecc.), in alcuni versi le trasformazioni operate dai cantori assumonofisionomie affatto singolari. Talvolta tendono a riportare l’ignoto al noto, come aesempio: «Sedes sapientiae», Sali e sapienza (Sale e sapienza); «Vas insigne devotio-nis», Nzìgnici a rucazioni (Insegnagli l’educazione); «Regina sine labe originali con-cepta», Santa Maria mirabili cuncetta (Santa Maria mirabilmente concepita). In altricasi propongono invece espressioni improbabili, semplicemente basate su assonan-

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ze o sul rilievo assunto dai termini più comprensibili: «Sancta Dei Genitrix» diven-ta Santa di Genotri (forse pensando al nome di una città); «Foederis arca», Fede risacca (qualcosa che riguarda la “fede”); «Ianua caeli», Ianu va n-celi; «Turris davi-dica», Turi stravìddica; «Regina patriarcharum», Riggina patri a càrricu o Rigginapatri pàrrucu. Del tutto estranei al testo canonico risultano infine i riferimenti al“santo Giobbe” e al “santo Patriarca”, ovvero san Giuseppe, che compaiono nellastrofa conclusiva.

Poche testimonianze abbiamo dell’attività degli orbi nei centri minoridell’Isola. L’unica attestazione fotografica di valore “storico” riguarda una coppiadi suonatori (violino e citarruni) ritratti intorno al 1900 nel paese di Montedoro(prov. di Caltanissetta). L’immagine è stata scattata con una «piccola Kodak» dallagentildonna inglese Louise Hamilton, trasferitasi in Sicilia dopo avere sposatoEugenio Caico, un facoltoso proprietario terriero del Nisseno. A lei si deve un pre-zioso volume, corredato da notevole documentazione fotografica, interamentededicato agli usi tradizionali del piccolo centro rurale (1910, trad. it. 1996).Questo il puntuale commento all’immagine dei suonatori (riprodotta a p. 130),riferito alle modalità con cui si svolgeva la novena di Natale:

Il 15 dicembre calarono in paese due uomini provenienti da un ancor più remotovillaggio, per cantare ogni giorno la novena accompagnandosi con un violino e con un vio-loncello. Il più giovane era cieco, e i due, insieme, recitavano, in uno stile da cantastorie,una vecchia cantica di nove strofe che narrava il viaggio e la nascita di Gesù. Lo stile ricor-da le vecchie carole che si cantano in Inghilterra a Natale, ma la melodia è in tonalità mino-re, l’accompagnamento è sfumato, il motivo è triste e tutto l’insieme assai commovente. Idue uomini andavano di casa in casa cantando il loro melanconico lamento che – e nientelo lascia indovinare, a meno che non si conoscano le parole – porta la lieta novella dellanascita di Gesù. Cominciavano all’alba e, tranne brevi pause, continuavano fino al tra-monto. Tutto il giorno il villaggio, casa dopo casa, risuonava della triste nenia, i cui versicambiavano ogni giorno svolgendo l’intera narrazione durante i nove giorni. I cantatorierano seguiti nel pellegrinaggio da una folla di bambini avvolti nei loro scialletti.Continuavano il loro giro senza fermarsi a chiedere denaro; alla fine della novena, il gior-no di Natale, avrebbero raccolto l’obolo per aver portato in ogni casa la storia di GesùBambino. […] Nelle case dove i cantatori si fermano a cantare, le donne della famiglia, aiu-tate dalle vicine, allesticono con grande amore un altarino […]. A sera le donne si accal-cano nella stanza e, dinanzi all’altare illuminato da candele, si canta la novena.

Una sera andammo anche noi – ci dicevano che sarebbe stata una serata ecceziona-le – in una casa del paese. […] Il punto di attrazione, l’altare, verso il quale tutti gli occhiadoranti erano rivolti, era costruito a forma di piramide con in cima un piccolo BambinoGesù di cera. Lo sfondo, un telo di stoffa bianca che cadeva giù a pieghe, era punteggiatodi carta colorata ritagliata in varie sagome, dorate immagini di santi, rose e coccarde dinastri, lustrini, fiori artificiali di carta crespa dei più sgargianti colori. Proprio alla sommitàil Bambino di cera era sormontato da un tralcio di asparagus intrecciato a rami di aranciocoi loro frutti dorati e spruzzato di batuffoli di bambagia. Innumerevoli ceri ardevano

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intorno. Accanto all’altare il gruppo dell’orchestra – due violini, un violoncello, una chi-tarra, un tamburello – dinanzi, pigiate le une sulle altre, le donne in ginocchio con l’im-mancabile mantellina nera. Attaccarono subito le prime note della novena del giorno; laprima metà della strofa seguiva un ritmo piuttosto veloce e un motivo gaio, la secondametà era lenta e triste come un canto funebre. Il contrasto era evidenziato dal tamburello,le voci erano buone nei toni alti, i pochi uomini presenti cantavano a più voci: i sicilianihanno generalmente orecchio per la musica ma non hanno nessuna educazione musicale.Finita la novena si attaccò una litania alla quale i bambini rispondevano Ora pro nobis, conle loro vocine acute. Poi una vecchia intonò un’Ave Maria e un Paternoster “per il benes-sere fisico e spirituale dei presenti” e invitò a ripeterli per le anime del purgatorio e anco-ra per la padrona di casa. Con un brioso svolazzo finale del violoncello, dei violini e deltamburello, la novena ebbe termine. [Hamilton Caico 1910, trad. it. 1996: 128-130]

Anche nei centri dell’entroterra la struttura delle novene degli orbi resta-va invariata: dalla modalità di allestimento dell’altare (centrata sulla presenza dielementi vegetali) alla sequenza dei brani musicali (canto narrativo, litania,musica da ballo), fino all’estensione del gruppo strumentale in occasione dellericorrenze più importanti.

Sotto il profilo musicale, la più cospicua attestazione dell’attività degli orbinei centri di provincia è stata fornita dal “musicista-etnografo” Corrado Ferrara,autore di due volumetti dedicati alle tradizioni musicali del suo paese natale(Noto, nel Siracusano): La musica dei vanniaturi o gridatori di piazza noti giani(1896); L’ignota provenienza dei canti popolari in Noto (1908). Le due pubblica-zioni assommano settantasette trascrizioni musicali relative a ri chiami di vendito-ri, canti di car rettieri e contadini, ninnenanne e ritmi infantili, lamenti funebri,musiche strumentali e novene degli “orbi” (cfr. Bonanzinga 1995: 24-26). È inte-ressante notare come, nell’opinione di questo musicista di formazione classica (futra l’altro direttore di banda), la condizione di “cecità” tradizionalmente attribui-ta ai suonatori ambulanti non sia da riferirsi a una menomazione fisica quantopiuttosto a “ignoranza musicale”:

Quelli che noi chiamiamo suonatori ambulanti, altrove vengono chiamati uòrivi(orbi). I nostri suonatori ambulanti non sono del tutto ignari di musica, ma nella gerarchiadei suonatori o professori di musica, essi occupano il posto più umile e quindi, per tradi-zionale abitudine, vengono chiamati uorivi, cioè ciechi in fatto di musica o, più propria-mente, orecchisti ignoranti. […].

I nostri suonatori ambulanti non vanno di paese in paese a lucrarsi il pane, né fannopietà a vederli. Si permettono, è vero, qualche scappatina a Pachino, a Rosolini, aPalazzolo, a Spaccaforno [Ispica], ad Avola; ma, al di là di questa orbita, se ne stanno nelnostro Paese a farsi i purpi in Carnevale [feste da ballo]. Essi non suonano davanti a qual-che edicola e tabernacolo o nicchia come fanno, nelle provincie di Catania e di Girgenti[Agrigento], coloro che suonano la ciaramedda (cornamusa); ma vanno a portare la nove-na davanti le porte e, non di rado, dentro le case di coloro che pagano. Un mese prima di

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cominciare la novena spàrtinu (dividono): portano di casa in casa l’effigie del santo che sideve festeggiare. E ciò è per farsi gli abbonati. I loro strumenti sono un violino e un vio-loncello; colui che suona quest’ultimo strumento la fa, inoltre, da cantante. [1908: 81-82]

Ferrara trascrive le melodie delle più importanti novene celebrate a Noto:san Corrado (festa patronale), Immacolata, Natale e Settimana Santa (1908: 81-99). Anche nel commento alla Novena dell’Immacolata manifesta l’orientamentosegnata mente “culto-centrico” del proprio giudizio, giungendo a valutare le va -rianti esecutive, normalmente caratterizzanti la trasmissione orale dei pro dottipoetico-musicali, quali corruzioni – dovute all’arbitrio di “impenitenti e orec-chianti rapsodi” – di un presunto originario componimento “d’autore”:

La novena dell’Immacolata precede quella di Natale ed è aspettata con ansia, comepreludio della festa che commemora la Madre del Divino Figliuolo. Durante i nove giorniche precedono la festa, la Chiesa della Gran Madre di Dio è piena zeppa, ogni sera, difedeli devoti. L’ultimo giorno poi, oltre la novena, è caratteristica la comparsa di tanti pic-coli rivenditori di cubaita (cobata – fettine di dolci di ceci fritti e miele) che offrono dicen-do: Na sulina n-sordu (Un colletto un soldo), Cianciti picciriddi ca la mamma vi l’accatta(Piangete ragazzini che la mamma ve la compra). […] Il motivo [della novena] è molto alle-gro, molto vivace. Chi sa quante note ci sono non messe dall’A., aggiunte solo dagli esecu-tori per vaghezza, per desiderio innato dell’uomo di voler dare sempre l’impronta propriaanche al lavoro degli altri e perché il depravato gusto degli orecchianti, credendo di non tro-vare tanto bello il motivo, aggiungono o tolgono note come lor talenta… Ma… questi impe-nitenti rapsodi di musichette popolari se ne impipano dell’A. e tiran sù un frego sopra quan-to v’ha di sacro e d’intagibile, purché guadagnino un pane. Compatibilissimi! Giacché igno-rano quel che fanno e quale insulto atroce recano all’A. p. e. che ha composto questa musi-ca, che doveva essere ab inizio tanto bella e caratteristica, facendole subire sempre dei cam-biamenti. [1908: 85-87]

Il severo Musicista notigiano riporta anche alcune strofe di questa novena(tra cui la prima e l’ultima), annotando in calce: «Poesia datami da C. Muscarà,suonatore ambulante di novene e bandista». Anche a Noto troviamo quindi l’in-tersezione tra oralità e scrittura che in generale connota la circolazione dei cantisacri in Sicilia. Questi i versi del componimento, secondo la grafia originale, segui-ti dalla traduzione fornita dallo stesso Ferrara (1908: 86):

Li gran meriti diviniQuannu a Vui bedda SignuraE stu Diu cca’ ’nn’havi finiV’annutau Virgini e pura.

Quannu Aramu puoi piccau,Cu la curpa originali

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Li so’ figghi l’ammazzau:Erunu miseri e mortali.

E maschetti priparatiFannu simili sparati;Quannu nesci la RiginaLa dduviemu vinirari.E Maria, nostra abbucataMaria Cuncetta ’Mmaculata.

(I gran meriti divini / Quando a Voi, bella Signora / E questo Dio che nonha fine / Vi notò Vergine e pura. // Quando Adamo poi peccò / Con la colpaoriginale / Uccise i suoi figli (che) / Divennero miseri e mortali. // E petardipreparati / Fanno simili spari; / Qunado esce la Regina (del cielo) / La dob-biamo venerare. / E Maria, nostra avvocata, / Maria Concetta Immacolata.)

Metro poetico (quartine di ottonari a rima alternata, con aggiunta di disticorimato nella strofa conclusiva), struttura melodica (forma bipartita, impianto tona-le in FA maggiore, ritmo in 6/8, andamento sillabico) e modalità esecutiva (carat-terizzata dall’alternanza tra canto e interludio strumentale) appaiono sostanzial-mente conformi agli analoghi canti rilevati a Palermo e a Messina (cfr. ES. 3).

Gli orbi non erano i soli a officiare riti musicali dietro compenso negliambienti popolari. Nel periodo che va dall’Immacolata all’Epifania anche i suo-natori di zampogna (ciaramiddara) erano – e sono ancora, se pure con intensitàassai minore rispetto al passato – impegnati nella celebrazione delle tradizionalinovene domiciliari. Il repertorio può essere di tipo solistico, e limitarsi quindi alletipiche sonate strumentali natalizie (pasturali, nuvena, parafrasi del Tu scendi dallestelle, ecc.), oppure prevedere una “coppia” – suonatore e cantore (come per gliorbi) – in grado di effettuare anche prestazioni vocali. Il secondo caso risulta spe-cialmente attestato nel territorio di Palermo-Monreale, unica area della Siciliadove è presente una zampogna “a chiave” (ciaramedda) di notevoli dimensioni(molto simile agli analoghi strumenti dell’area campano-lucana), mentre nel restodell’Isola si trova una diversa varietà di zampogna: la ciaramedda a pparu, di misu-ra più contenuta, senza chiavi, con le due canne melodiche di eguale lunghezza eper questo denominata “a paro”.

Tra le rare attestazioni riguardanti la zampogna “a chiave” palermitana,spicca la descrizione fornita dal pittore inglese Arthur John Strutt, che visitò ilCapoluogo siciliano nel dicembre del 1841. Non solo si tratta della più anticatestimonianza che si riferisce con certezza a questo strumento (con chiave sco-perta, senza quindi la “fontanella” che caratterizza gli analoghi modelli di areaitaliana), ma ne viene anche rilevato l’uso proprio in relazione alla festadell’Immacolata:

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 91

Domenica scorsa, 8 dicembre, vi fu una grandiosa festa in onore della SantissimaMadonna Immacolata, e il duca di Serradifalco ebbe la bontà di invitarmi ad assistere allaprocessione dai suoi balconi. Di mattina andai alla chiesa di San Francesco, dove vidi unagrande statua d’argento posta al centro del tempio per l’adorazione dei fedeli.

[…] I primi segni della processione furono offerti da torce, alte da quindici a ventipiedi [tra cinque e sette metri circa], fatte con canne secche e recate in mano accese lungola strada. Seguivano contadini che suonavano zampogne, tamburelli e nacchere. Le zam-pogne sono molto grandi: la canna maggiore misura tre o quattro piedi [tra 105 e 140 cm.circa]. Alcune sono di un bel legno nero, con chiavi argentate. I tamburelli, al contrario,sono molto piccoli e privi di pelle, essendo semplicemente cerchietti muniti di sonagli.Sono impugnati con la mano destra e vengono percossi, a tempo, sul polso sinistro e l’a-vambraccio. Dopo questi rustici musicanti, sfilò una confraternita di penitenti, scalzi e acapo scoperto, con corde intorno al collo e corone di spine in testa, ciò nonostante accom-pagnati e allietati da zampogne, tamburelli e nacchere. [Strutt 1842: 334; ns. trad.]

Qualche decennio più tardi sarà il demologo Giuseppe Pitrè a segnalarepreziosi dettagli riguardanti il modo di operare di questi zampognari palermitani:10

La novena non la fanno solamente i cantastorie, ma anche i ciaramiddari ed altrisonatori. I ciaramid dari, sonatori di ciannamelle, vanno in giro di giorno e di sera, ma nondi notte. Chi vuole la loro sonata, se gl’impegna qualche dì innanzi il novenario; ed essidevono sonare a una Madonna (per lo più un quadro rappresentante Gesù, Maria,Giuseppe) parata con fronde d’aranci, cariche di frutti: sono gli aranci di man ciari (aranciforti). Stanno accese davanti le immagini nove candele di cera, numero de’ giorni della no -vena, e mentre i monelli fan corona e ressa al sonatore, egli suona e suona, modulando coitasti del piffero il suono uniforme, monotono e pur gradito della cornamusa. La sua sona-ta è divisa in quattro pezzi, detti caddozzi, che non duran più di dieci minuti ciascuno. V’èun pezzo detto di S. Antuninu, che è la melodia popolare dell’orazione di Santo Antonino;ve n’è uno di S. Giuseppi; l’ultimo è delle Litanie. Al suono della ciannamella s’associa talo-ra quello delle scattagnetti (castagnette) e del cerchietto pieno di sonagli, come a quello delviolino il suono dell’acciarino [triangolo]. [Pitrè 1878: 9-10]

Le modalità contestuali e le indicazioni relative al repertorio, con la tipica arti-co lazione in caddozzi, sono analoghe a quelle tuttora osservabili. Questa prestigiosatradizione musicale si è tuttavia esaurita nella città di Palermo, dove le ultime fami-glie di zampognari hanno smesso di operare tra gli anni Sessanta e Settanta delNovecento. A Monreale sono invece ancora oggi in attività quattro-cinque coppieche continuano a eseguire le novene presso famiglie e botteghe sia a Monreale chein alcuni rioni popolari di Palermo (Villa Ciambra, Brancaccio, Cuba-Calatafimi,

92 Sergio Bonanzinga

10 Queste notizie sul Natale vengono riprese da Pitrè in altri scritti successivi (cfr. a es. 1881:431-462).

Mezzomonreale, Boccadifalco, Guadagna, Uditore). Dal 29 novembre al 7 dicembresi svolge la novena dell’Immacolata (nuvena râ Madonna), seguita dalla novena diNatale (nuvena i Natali) che va dal 16 al 24 dicembre. Il ciclo si chiude con l’ottavadell’Epifania (detta semplicemente ottava) che si celebra dal 29 dicembre al 5 gen-naio. Il triduo (triinu) consiste in una prestazione musicale limitata ai tre giorni con-clusivi dell’ottava (3-5 gennaio), e viene richiesto dalle famiglie meno ab bienti o daquanti, se pure in ritardo, non vogliono rinunciare al “suono” della zampogna.Novene, ottave e tridui si celebrano di mattina (a partire dalle sette) e di sera (dal-l’imbrunire). Le esibizioni avvengono all’interno delle abitazioni o delle botteghe deicommittenti (davanti al presepe o a immagini sacre) oppure all’esterno se vi si trovacollocata un’edicola votiva (cappilluzza, cupulìcchia), che nei vicoli di Monreale si usaancora talvolta decorare se condo consuetudine con fronde d’agrumi cariche di frut-ti. I tre brani (tri caddozzi) in cui normalmente si articola ogni esibizione variano infunzione delle occasioni e delle richieste dei committenti (parrucciani).

È stato ipotizzato che la zampogna a chiave sia giunta in Sicilia da Napolitra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. Il territorio del Palermitano rap-presenterebbe quindi «le propaggini più periferiche ed isolate della sua espansio-ne», dove potrebbe essersi conservata quella «impronta “urbana” e semiculta»caratterizzante lo strumento sviluppatosi nell’originario centro di irradiazione(Guizzi-Leydi 1983: 108). L’assenza di attestazioni non permette tuttavia di accer-tare né gli itinerari né le dinamiche relative alla presenza di questo strumento inSicilia. La documentazione relativa alle tradizioni musicali di orbi-cantastorie e cia-ramiddara-cantori nell’area del Capoluogo conferma tuttavia la parziale sovrappo-sizione tra le due professioni: entrambe tipicamente “urbane”, hanno condiviso unrepertorio poetico-musicale in gran parte analogo. Questi zampognari-cantori delcircondario palermitano, più sensibili a contesti semiculti e chiesastici, si sonoposti, non diversamente dai cantastorie ciechi, come gli attori e i mediatori di unimmagi nario sacro ancora oggi in parte funzionale.

Se la presenza dello strumento sulla scena rituale si pone in continuità rispettoal passato, lo stesso non può dirsi per la relativa prassi esecutiva. Questa zampogna,tuttora impiegata sia in forma solistica sia come accompagnamento al canto, era difat-ti originariamente provvista di una doppia chiave sulla canna melodica sinistra e di unultimo foro doppio sulla destra, secondo un sistema analogo a quello adottato inepoca barocca sull’oboe (doppia chiave) e sul flauto a becco (doppio foro). Il gra-duale abbandono della funzionalità della seconda chiave – una chiave “chiusa” (foroaperto a chiave attivata) che permetteva di innalzare di un semitono il terzo gradoottenendo l’intervallo maggiore anziché minore – ha implicato anche l’otturazionedell’ultimo foro “piccolo” sulla canna melodica destra, semplificando la diteggiaturae riducendo quindi le risorse melodiche dello strumento, che oggi suona pertantoesclusivamente in minore. Nelle trascrizioni musicali eseguite tra fine Ottocento eprimo Novecento da Alberto Favara – unica testimonianza per ciò che riguarda la

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dimensione performativa dello strumento – ricorre infatti la terza maggiore suentrambe le canne e i brani sono caratterizzati dalla modulazione maggiore-minore(cfr. Favara 1957/II: nn. 749-752). Questa singolare vicenda di “contrazione musica-le” emerge sia dall’attento esame degli strumenti ancora in uso, che recano tracce evi-denti della chiave rimossa e, talvolta, del foro otturato, sia da quanto osservabile suuno strumento ritrovato nei magazzini del Museo Etnografico Siciliano “GiuseppePitrè”, che conserva l’originaria disposizione di fori e chiavi.11 Si può ipotizzare chela progressiva diminuzione dei suonatori, verosimilmente coincisa con la crisi provo-cata dalla Seconda Guerra Mondiale, abbia determinato l’impoverimento delle com-petenze che caratterizzavano questo particolare aerofono policalamo, come dimostraanche il totale abbandono di strumenti ritmici di accompagnamento (cerchietti e nac-chere), documentati per il passato anche attraverso fotografie (cfr. immagine 4) e tra-scrizioni musicali (cfr. Favara 1957/II: n. 637).

La zampogna a chiave siciliana è costituita da quattro canne di misura dise-guale dotate di ancia doppia (pipita): due melodiche e due di bordone. La cannamelodica destra (canta) ha quattro fori digitali anteriori e uno posteriore; la cannamelodica sinistra (trummuni) ha tre fori anteriori più una chiave che agisce sulquarto foro (chiavinu). Quest’ultima canna, che misura intorno a 140 cm. neimodelli attualmente in uso, è anche più lunga dei due bordoni: il maggiore (quàit-ta, intorno a 70 cm.) e il minore (fasettu, intorno a 30 cm.). Le canne melodichesono in rapporto di ottava e hanno estensione di una sesta minore (canta) e di unaquinta giusta (trummuni). I bordoni, pure in rapporto d’ottava, sono intonati sulladominante. L’altezza dei suoni può lievemente variare in funzione dell’accordatu-ra, ma si è comun que osservata la tendenza a intonare lo strumento in LA (conescursioni calanti o crescenti inferiori al semitono). L’otre (utri) è realizzato, comeper la zampogna “a paro”, con una pelle di capra rovesciata.12

Il repertorio comprende canti di argomento devozionale analoghi a quelligià ampia mente attestati in Sicilia nei secoli scorsi (cfr. nota 4). Come normal-mente accade nella musica di tradizione orale, un ridotto numero di melodie vieneadattato a testi di versi. Il materiale melodico delle canzuni viene anche proposto

94 Sergio Bonanzinga

11 Il ritrovamento è avvenuto nell’ambito di un progetto rivolto alla catalogazione ed esposi-zione dei materiali “musicali” custoditi nelle collezioni del Museo Pitrè, condotto nel 2000 da chiscrive per incarico della stessa Istituzione (grazie in particolare al Direttore del Museo ElianaCalandra che ha promosso e sostenuto l’iniziativa). La zampogna “a chiave”, che non risultava inven-tariata, è incompleta. Sono tuttavia presenti, oltre al bordone minore e al “blocco”, l’intera cannamelodica destra e i due segmenti inferiori della canna melodica sinistra, ovvero tutte le parti che pre-vedevano la presenza di fori digitali o di chiavi.

12 Sulla zampogna “a chiave” siciliana si vedano: Guizzi-Leydi 1983: 86-98 e passim; Staiti1986: 216-217, 1989: 84-86, 1997: 152-158; Bonanzinga 1991: 307-308, 2005b; Garofalo 1997: 29-30. Tra le an tologie discografiche che contengono documenti relativi a questo tipo di zampogna sisegnalano: Garofa lo d.1990/II: A, brano 2; Leydi cd.1995: brano 13; Bonanzinga cd.1996b: brani 3-4, cd.2004: brano 28.

in forma strumentale, nel l’ambito di estemporanei componimenti in cui si usa fon-dere più melodie. Specificamente strumentali sono invece la Pasturali e la Litania.La struttura della Pasturali, fondata su progressive variazioni di una frase espostain apertura, rivela con evidenza il nesso fra la tradizione della zampogna a chiavesiciliana e la musica strumentale di ambiente colto dei secoli XVII e XVIII, conspeciale riferimento ai repertori organistici (cfr. Staiti 1997: 154-158). Vengonoinol tre eseguiti adattamenti strumentali di celebri canzoni religiose (Tu scendi dallestelle, Mira il tuo po polo, Noi vogliam Dio, La Madonna di Fatima), di marce(Bersagliera) e di canzonette (Calabrisella, Lazzarella, Turidduzzu), oltreché alcuniritmi di danza (valzer, tarantella).

L’esecuzione dei canti si svolge in base a uno schema ricorrente, identico aquella adottato anche dai cantastorie orbi: PRELUDIO / STROFA POETICA / INTERLUDIO

/ STROFA POETICA. I moduli vocali procedono in senso discendente, prevalentemen-te per gradi congiunti, senza mai superare l’estensione di ottava. Una più spiccatatendenza all’ornamentazione si riscontra nelle melodie corrispondenti a testi poeticiin endecasillabi. L’accompagnamento strumentale segue sostanzialmente lo sviluppovocale, ma mentre alla canta è affidata la parte melodica e ornamentale, al trummu-ni spetta di norma una funzione di sostegno ritmico-armonico. Sotto il profilo metri-co si rileva l’evidente contrapposizione tra l’andamento assolutamente libero deipreludi (varianti più o meno estese della medesima struttura melodica) e il tenden-ziale assestamento delle parti cantate. Va infine segnalata la propensione dei cantoria ricercare la massima “consonanza” tra l’emissione vocale e il timbro dello stru-mento, tanto che può a volte risultare arduo comprendere il significato dei versi.

Un caddozzu (brano) specificamente connesso alla “novena della Madonna”è la Sarvi Riggina râ Mmaculata (Salve Regina dell’Immacolata). Il testo, compostoda cinque quartine di versi brevi a rima irregolare, è una accorata supplica allaVergine per ottenere protezione in vita e conforto in morte:

(e) Ssarvi Riggina,Matri di Mmaculata,vu siti l’avvucatai l’aimma mia.

Na gràzia iò vurrìa,pi tutt’i me piccati,pi cchianciri e scuntari(o) li me errura.

Stu cori cu ddulurispizzatimillu vui,piccà nun vògghiu cchiui,chiuttostu mortu.

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 95

A mmia rati cunfortupî l’uittim’agunìae ccomu Matri miaun m’abbannunati.

L’aimma ncelu puittatie ncelu quannu arriva,viva la Matri vivar’Ammaculata!

(Salve Regina, / Madre Immacolata, / voi siete l’avvocata / dell’anima mia. //Una grazia vorrei / per tutti i miei peccati, / per piangere e scontare / i mieierrori. // Questo cuore con dolore / spezzatemelo voi, / peccare non vogliopiù, / piuttosto la morte. // Datemi conforto / per l’ultima agonia / e comeMadre mia / non mi abbandonate. // L’anima portate in cielo / e quandoarriva in cielo, / viva, viva la Madre / dell’Immacolata!)

La trascrizione musicale (ES. 4) si riferisce alla parte iniziale del canto (pre-ludio, prima strofa e interludio), rilevato nel 1987 secondo l’esecuzione diSebastiano Davì (voce) e Girolamo Patellaro (zampogna).13 Il modulo melodicobipartito suddivide in distici la strofa poetica. Il canto, impreziosito da melismi,portamenti e glissandi, si estende entro un ambito di sesta (fa3-la2) in tonalità di LA

minore. La voce procede in prevalenza per gradi congiunti, con profilo melodicodiscendente e ritmo tendente al 6/8. La zampogna è intonata in LA (leggermentecalante): canna melodica destra, mi3-sol#2; canna melodica sinistra, mi2-la2; bordo-ne maggiore, mi2; bordone minore, mi3. Nell’accompagnare il canto le due cannesi muovono parallelamente a distanza di ottava in corrispondenza degli ultimi treversi di ogni strofa. Per il resto l’andamento e quello usuale, con il trummuni chemarca il metro suonando i bassi fondamentali.

Come esempio di brano strumentale più direttamente associato alla figuradella Madonna si può considerare la Litania, le cui note in passato accompagna-vano il canto – eseguito spesso anche in coro dai devoti – delle Litaniae lauretanae(cfr. supra). La Litania non presenta lo stesso tipo di elaborazione compositivadella Pasturali, es sendo chiaramente fondata su moduli vocali di più semplice

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13 Rilevamento: Scala Torregrotta (ME), 28/02/1987. Esecuzione: Sebastiano Davì (voce),Girolamo Patellaro (zampogna). Ricerca: S. Bonanzinga (registrazione effettuata durante un incon-tro tra suonatori popolari). Sebasiano Davì (zzu Nenè), defunto nei primi anni Novanta, viene ricor-dato dagli attuali suonatori di Monreale come un vero maestro, sia nel canto sia nella pratica stru-mentale. Un’arte che ha tramandato al ni pote Benedetto Miceli (figlio della sorella), tra i più com-petenti esponenti della tradizione odierna. Girolamo Patellaro, che con Davì faceva coppia, è oggi,insieme a Salvatore Carrozza, il decano tra gli zampognari in attività (il secondo si dedica però ormaiquasi esclusivamente a costruire le ance e ad accordare lo strumento per il figlio Bernardo).

struttura (si tratta di tre sezioni ritmico-melodiche variamente iterate). Anche inquesto caso appaiono tuttavia evidenti i referenti “extra-popolari” della melodia,che presenta i tipici tratti stilistici e formali del la produzione musicale di originechiesastica. Nel documento sonoro qui considerato, ri le vato nel 1998 grazie all’e-secuzione di Girolamo Patellaro,14 la forma è A A' B A" C A" B A' B A. La tra-scrizione (ES. 5) si riferisce al preludio e alle sezioni principali (A B C).

Nel caso della zampogna “a paro”, oggi soprattutto presente nella provinciadi Messina e in alcune aree del Catanese e dell’Agrigentino, non si sono rilevatidocumenti sonori che presentano un diretto riferimento alla figura dell’Im -macolata. Il repertorio eseguito durante il ciclo delle festività natalizie contienedifatti sonate strumentali e canti genericamente legati al tema della Natività, da cuii suonatori attingono a piacimento nel corso delle novene, comunque limitateormai quasi esclusivamente alla ricorrenza del Natale.15 Le Litaniae lauretane ven-gono intonate con accompagnamento di zampogna durante le novene di Nataleche si svolgono presso le chiese di alcune frazioni di Messina (cfr. a esempio LoCastro-Sarica cd.1993: brano 23). A Licata, popoloso centro costiero dell’Agri -gentino, gli zampognari, oltre a eseguire numerose novene domiciliari dal 16 al 24dicembre e le Pasturali (sacre rappresentazioni della Natività) da Santo Stefanoall’Epifania (cfr. Bonanzinga cd.1996a: brano 3, cd.1996b: brano 5), si esibisconoanche nel corso della processione dell’Immacolata. L’accompagnamento ritmicoviene qui tuttora fornito dal cìmmulu (cerchietto, munito di piattini e sonagli), chei suonatori percuotono su polso e avambraccio, esattamente come descrive JohnStrutt in riferi mento alle grandi zampogne palermitane (cfr. supra).

Se le esibizioni degli orbi cantastorie e dei ciaramiddara rinviano a unadimensione professionale del fare musica (con preventiva regolazione del sistemaprestazione-offerta), altre pratiche espressive, caratterizzate da un minore grado dicompetenza esecutiva, venivano e vengono agite direttamente dai devoti. Si trattadi un vasto repertorio formato da rosari, litanie, orazioni e canzonette di argo-mento religioso, magari originariamente diffuse dagli stessi orbi, che entravano incircolazione dando vita a tradizioni autonome, attuate sia nei contesti domestici(ancora oggi gruppi di donne si riuniscono all’interno o all’esterno delle proprieabitazioni per ripetere i tradizionali rosari) sia nelle paraliturgie che si svolgononelle chiese. Non di rado questi prodotti poetico-musicali, derivati da testi scritti

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14 Rilevamento: Monreale (PA), 05/12/1998. Esecuzione: Girolamo Patellaro. Ricerca: S.Bonanzinga.

15 Sulla zampogna “a paro” siciliana si vedano: Guizzi-Leydi 1983: 55-86; Staiti 1986, 1989;Corsaro 1992; Sarica 1994: 61-105. Tra le antologie discografiche che contengono brani di questotipo di zampogna si segnalano: Garofalo d.1990/II: A, brani 1, 3; Sarica cd.1992: brani 1-10; LoCastro-Sarica cd.1993: brani 1, 23, 31; Bonanzinga cd.1995: brano 31; Bonanzinga cd.1996a: brano3, cd.1996b: brano 5, cd.2004: brani 7, 11, 22.

e perlopiù eseguiti secondo melodie di influenza chiesastica, si legano a specifichetematiche locali: dalle leggende di fondazione dei culti (prodigiosi ritrovamenti diquadri, statue o reliquie) a miracoli che potevano riguardare singoli individui (aesempio guarigioni) o intere collettività (liberazione da carestie, pestilenze, guer-re, predazioni o calamità naturali).

Un esempio di canto in onore dell’Immacolata che contiene espliciti riferi-menti alla “storia” locale è stato rilevato a Messina, nel casale di GiampilieriSuperiore (situato alle pendici del versante ionico dei Peloritani). Fino agli anniSessanta del Novecento la Raziuni dâ Mmaculata (Orazione dell’Immacolata) veni-va cantata durante la processione dell’8 dicembre. In seguito è stata ripresa soloper particolari occasioni celebrative presso la chiesa di San Nicola di Bari. Il testoè costituito da cinque ottave di endecasil labi a rima alternata (il metro della cosid-detta canzuna siciliana). La prima strofa del canto fa riferimento a una vicendarisalente – secondo la tradizione – all’epoca dei Vespri:

Messina ha seguito l’iniziativa dell’Isola, ha cacciato i francesi, s’è chiusa nelle suemura turrite, e siccome dalla sua resistenza dipendono i destini della Sicilia tutta, compieatti di valore inauditi. […] Il duca Roberto D’Angiò è alle porte: ha devastato tutti i pode-ri, già ben poco coltivati per l’incrudelire della guerra, egli assedia e travaglia la città perterra e per mare, le impedisce qualsiasi rifornimento di vettovaglie, l’affama.

Messina è agli estremi: la mancanza di nutrimento indebolisce i corpi, ed allora reFederico […] si rivolge a frate Alberto, monaco di santa vita nel convento del Carmine,perché implorasse l’aiuto divino in tanta deficienza e in tanto pericolo.

E qui la leggenda ci narra che, appena frate Alberto finiva di celebrare la messa,sbarcarono dal Faro tre navi cariche di frumento, che a vele gonfie passando senza con-trasto in mezzo alle navi nemiche, che tenevano assediato il porto; giunsero al lido, scari-carono il grano e, quel ch’è più, senza richiedere alcun pagamento, e senza che i marinai epadroni fossero d’alcuno conosciuti, né sapendosi da dove venissero, o chi il soccorsoinviato avesse, di nuovo si partirono… Lo stupore sorprese l’animo non meno dei cittadi-ni e del Re, ma pur anche degli stessi nemici, che tolsero l’assedio e si ritirarono a Catania.Ciò avvenne nell’anno 1302. [La Corte Cailler 1928]

La soluzione di carestie grazie all’arrivo di vascelli carichi di alimenti, comu-ne a numerose città marinare del Mediterraneo, viene dai Messinesi rievocata nellafesta del Corpus Domini. In questa occasione si reca in processione un piccolo fer-colo sormontato da una nave d’argento finemente cesellata: è il Vascidduzzu(“Vascelluzzo”), realizzato intorno alla metà del Cinquecento per simboleggiare lenavi giunte a salvare miracolosamente Messina dalla carestia. «Per dare un crismareligioso indiscutible al rito del Vascelluzzo, venne inserita, nel modello del navi-glio d’argento […], la teca preziosa contenente un capello della Madonna» (cfr.Conti-Corsi 1980: 21). I versi della Raziuni cantata a Giamplieri rappresentano undiverso modo di rievocare il prodigioso evento, intesi comunque a ribadire l’asso-

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luta centralità mitico-rituale della Madonna: come recita la stro fa conclusiva, «l’u-nica cosa che il Padreterno non potrebbe rifare è un’altra Madre Vergi ne Maria».Riportiamo la prima e l’ultima strofa del componimento:16

I che bbella Maria nta lu so mantu / …antuie caricata d’oru ie dd’aggentu / …entu.Tuttu Missina iera misa a cchiantu,non c’era non ffarina e non fummentu / …entu.Sona la llòria di lu Sabbutu Santu / antu,puttaru tri ggaleri (e) di fummentu / …entu.Quant’u parrinu isa lu càlici santu,ladatu sempri sia lu Sacramentu! / Viva Maria!

Fici l’atennu Ddiu quantu vosi fari / …ari,si cchiù vulìa fari cchiù facìa / …ia.Fici lu celu, la terra ie lu mari,fici la sò ddivina prufizìa / …ia.Si ddonn’all’atra lu vurrìa fari / …ari,centu e mmilli voti lu farrìa / …ia.Na sula cosa nun putissi fari,n’autra Matri Vèggini Maria! / Viva Maria!

(Quant’è bella Maria con il suo manto / e coperta d’oro e d’argento. / TuttaMessina era in pianto, / non c’era né farina né frumento. / Suona il gloria delSabato Santo, / hanno porta to tre galee di frumento. / Appena il prete innalzail calice santo, / lodato sempre sia il Sa cramento. // L’eterno Dio fece quel chevoleva fare, / se più voleva fare più faceva. / Fece il cielo, la terra e il mare, / fecela sua divina profezia. / Se un’altra volta lo volesse fare, / cento e mille volte lofarebbe. / Una sola cosa non potrebbe fare, / un’altra Madre Vergine Maria!)

L’esecuzione responsoriale del canto presenta una certa originalità: mentrela parte narrativa è interamente svolta da una voce solista (maschile), l’interventodel coro (composto soprattutto da donne) si limita alla ripresa delle due sillabeconclusive della parola che chiude ogni verso (eccettuati il terzo e il settimo), for-

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16 Il rilevamento è stato effettuato il 29 novembre 1974 da Salvatore Bottari – appassionatocultore di storia patria messinese che ringraziamo per avere reso disponibile la registrazione – inoccasione del terzo centenario del miracolo relativo al quadro della “Madonna della Pietà” custodi-to nella chiesa di san Nicola: «La più importante opera d’arte che arricchisce la chiesa, per la repu-tazione del suo autore e per la tradizione a cui è legata, è una tela raffigurante la Deposizione dallaCroce di Antonio Alberti Barbalonga (1601-1649). […] La tradizione vuole che, nel 1674, duranteil sacco del casale, un soldato spagnuolo vibrò sulla tela un colpo di alabarda e subito ne uscì un rivo-lo di sangue, che il soldato, spaventato, cercò istintivamente di bloccare con un pugno di calce sullaferita. L’episodio, narrato anche dal Gallo, è ancora ricordato ogni anno con una clebrazione litur-gica il 29 novembre» (Foti 1992: 53).

mando una specie di eco sulla rima. La melodia, in tonalità di SOL maggiore, copreuna quartina del testo poetico. Il profilo melodico è discendente e il ritmo piutto-sto libero. La voce procede in stile sillabico (a eccezione del melisma che si ripetenella cadenza della prima frase), muovendosi in prevalenza per gradi congiunti(con insistenza su tonica e sensibile che assumono quasi funzione di “corde di reci-ta”). L’intervento del coro consiste esclusi vamente nel ribattere il primo grado(nella costante figurazione semiminima-croma), raf forzando l’elementare strutturaarmonica del canto (tonica-dominante-tonica). Ogni strofa si conclude con il gridocorale di acclamazione a Maria (cfr. ES. 6).

Assai meno contenute di quelle espresse nei riti musicali finora illustrati,potevano e possono ancora essere le manifestazioni popolari del culto mariano. Lastraordinaria irruenza della festa tributata dai Palermitani all’Immacolata vieneper esempio stigmatizzata nel 1789 dal conte Leopoldo Cicognara. Il perplessoimbarazzo del l’Aristocratico ferrarese – infastidito da una così “indecente” esube-ranza devozionale, che sembrava invece non disturbare affatto il clero e la nobiltàdel luogo – nulla toglie all’interesse della testimonianza, che costituisce un prezio-so termine di confronto rispetto a quanto è ancora oggi possibile osservare aPalermo e in alcuni centri limitrofi:

Io dirò quel che vidi della festa dell’Immacolata, che cade l’otto dicembre, e sisolennizza con gran pompa nel tempio di S. Francesco. Per questa occasione hanno ilprivilegio di una messa di mezzanotte, entrando il dì della festa, come la notte diNatale, e non sono esprimibili né sarebbe decente descrivere via via tutte le orgie e idisordini, cui è pretesto ed occasione la festa; basti dire che tutte le vie della città sonocoperte di tavole imbandite, di dolci e di liquori, e la gozzoviglia è il minore onore chefacciano alla Madonna. Così passano la notte: quando spunta il giorno s’adunano incompagnia per fare il viaggio che farà poi più tardi processionalmente la statua dellaMadonna, e fanno quella strada strillando ad alta voce dei rosari, taluni anche a piediscalzi. Altri in gran numero formano compagnie di suonatori di cem bali, di piatti, dicornamuse e altri simili strumenti, e suonando senz’ordine e senza accordo, e gridandoda forsennati certe laudi, vanno scorrendo tutta la città come invasati da religioso furo-re, ed entrano volta a volta ad assordare con questo selvaggio baccano anche la Chiesa,e nessuno vi trova da ridire.

[…] La messa è cantata a cappella, e in materia di liturgia e di cerimonia io non homai veduto cose più strane. Tutto si fa senz’ordine e in gran confusione, e finita la messa,ciascuno se ne va, compresi il Vicerè e l’Arcivescovo, in confuso con la gente.

La processione ha luogo nel dopopranzo e consiste nel portare la statua della Vergineda S. Francesco a un’altra chiesa. La calca della gente è immensa; il Vicerè assiste e segue laprocessione, e nondimeno l’impeto della folla, il disordine, la confusione, le grida, sonoqualche cosa d’infernale. Non vi è ombra di decoro e di dignità, di divozione sincera. Inogni altro paese un forestiero crederebbe che questa solennità, queste processioni, non sifanno per devozione, non sono atti di culto, ma parodie e dispregi. Se ciò si fa nella capita-le che sarà nelle città minori e nelle campagne? A Ferrara e ne’ nostri paesi, quantunque

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non manchino le bigotterie, e le superstizioni popolari, siamo ben lontani dal formarci un’i-dea di ciò che accade nelle vicinanze di Napoli e qui in Sicilia. [Memorie del conte LeopoldoCicognara, a cura di V. Malamani, Venezia 1888, cit. in Musumarra 1953: 82-83]

Il conte Cicognara non fa altro che rilevare la dimensione orgiastica e sin-cretica che caratterizza le manifestazioni della religiosità popolare non solo sicilia-na (non a caso accomuna Napoli a Palermo). L’intensa partecipazione dei devoti aifesteg giamenti, attraverso modalità che l’aristocratico osservatore qualifica «gozzo -viglia», «invasamento» e «selvaggio baccano», riflette viceversa le ragioni di uncodice rituale arcaico, compiutamente strutturato e tuttora applicato nelle pratichefestive attuate in molte aree del mondo cristiano-cattolico. È pertanto la radicaleestraneità del conte ai linguaggi espressivi popolari a orientare affermazioni quali idevoti «strillano dei rosari», oppure compagnie di musici (con zampogne e percussio-ni varie) vanno per la città «suonando senz’ordine e senza accordo, e gridando da for-sennati certe laudi». Una estraneità che tanto meno può consentirgli di compren-dere il reale valore dei banchetti allestiti lungo le vie, segno pregnante di una allean-za con le entità sacre che tuttora i Siciliani periodicamente rinnovano, dedicando“tavole” imbandite ai santi per grazia ricevuta (cfr. Giallombardo 2003).

Un rito in cui permangono – se pure in misura notevolmente attenuata –alcuni dei tratti segnalati dal Nobile ferrarese, si svolge ancora oggi ad Altofonte.In questo centro collinare, distante pochi chilometri da Palermo, la festa maria-na è animata in ogni sua fase dalla confraternita di Maria SS. Immacolata. Nellesere precedenti alla ricorrenza, i fedeli partecipano alla “santa novena” che sisvolge all’interno della chiesa dell’Incorona zione di Maria. La paraliturgia pre-vede una serie di preghiere e canti canonici (in italiano) e si conclude con la«novena pri la festa di Maria Immaculata», come indica il libretto ciclostilatoche ne contiene il testo suddiviso in “giornate”. Si tratta dell’esatta riproduzio-ne della Nuvena composta nel 1883 da padre Carollo (cfr. supra), probabilmen-te “importata” in passato da qualche sacerdote locale, ma di cui si è perso ogniriferimento all’autore originario, fino a essere assunta dalla comunità come “pro-pria” tradizione. La nuvena non viene però cantata, ma un devoto ne declama iltesto, con il supporto corale dei fedeli che ne ripetono le parole seguendo illibretto diffuso in chiesa. Queste le strofe del nonu jornu, registrate durante lafunzione del 7 dicembre 1992 (come nel componimento di padre Carollo, unaterzina fissa conclude la parte stabilita per ogni giornata):

A lu corpu ddilicatuveru spècchiu di bbiddizza,Gabrieli cci sta a llatue lu guarda cu alligrizza.Fusti a iddu cunsignatao Cuncetta Immaculata. [rip. tre volte]

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 101

È cchiù fàcili cuntariquantu fogghi su a li pianti,stiddi n-celu e rrina a mmari,ca li grazii tutti quantidi cui fusti sublimatao Cuncetta Immaculata. [rip. tre volte]

Bbasta dirti di lu Patrifìgghia bbedda e graziusa.Di lu Fìgghiu vera Matri,di lu Santu amuri spusa.Gran riggina e avvucatao Cuncetta Immaculata. [rip. tre volte]

China di grazii fusti Cuncetta,o Matri amabili, Virgini eletta,spècchiu purissimu di santità.

(Al corpo delicato / vero specchio di bellezza, / Gabriele sta a lato / e lo guar-da con allegria. / Fosti a lui consegnata / o Concetta Immacolata. // È più faci-le contare / quante sono le foglie sulle piante, / le stelle in cielo e la sabbia amare, / che tutte quante le grazie / di cui sei stata sublimata. // Basta dirti delPadre / figlia bella e graziosa. / Vera Madre del Figlio, / del Santo amore sposa./ Gran regina e avvocata / o Concetta Immacolata. // Piena di grazie sei stataconcepita, / o Madre amabile, Vergine eletta, / specchio purissimo di santità.)

Appena conclusa la novena si porta in processione una piccola statua dellaMadonna Immacolata: la Mmaculatedda (“Immacolatella”), addobbata con arancee fronde di alloro. In due punti del percorso (piazzetta Sala e incrocio tra le vie B.Croce e A. Gramsci) vengono allestiti grandi falò con mazzi di ampelodesma appo-sitamente predisposti da alcuni confrati (mazzuna). Fino a un recente passato eranogli stessi devoti a recare in mano le torce di ampelodesma (bbusi) poi utilizzate peralimentare i falò. Intorno al fuoco i devoti intonano canti sacri in italiano con l’ac-compagnamento strumentale della banda. Verso le due del mattino i confrati ini-ziano il rito itinerante della chiamata. Un corteo si forma davanti alla chiesadell’Immacolata (nella parte alta del centro) e inizia a percorrere le vie del paese,raccogliendo tutti i “fratelli” per partecipare alla prima messa della giornata. Il cor-teo termina alle sei presso la chiesa dell’Incorazione di Maria. Dopo avere assistitoalla celebrazione, i confrati si spostano in un locale attiguo alla chiesa (appartenen-te all’ex-collegio), dove è stata frattanto allestita una tavola per la distribuzione divino e vasteddi (soffici pagnotte condite con olio, ricotta, caciocavallo grattuggiatoe, talvolta, salsiccia tritata). Durante la chiamata si eseguono canti devozionali in ita-liano, con l’accompagnamento di un ridotto complesso bandistico. Voci e strumen-

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ti tacciono però al momento dell’appello, preannunciato dal risuonare di una cam-panella. Il nome di ogni confrate viene “gridato”, gli altri rispondono in coro (E ch’èbella questa chiamata di Maria Immacolata!) e concludono intonando l’acclamazio-ne alla Madonna, su una melodia di tipica inflessione chiesastica (cfr. ES. 7):17

Solo: Fratello Giuseppe La Barbera, Maria Immacolata ti chiama!Coro: E ch’è bbedda sta chiamata ri Maria Mmaculata!

Evviva Maria, Maria evviva,evviva Maria e chi la creò,e ssenza Maria sarvari nun si pò!

Anche a Palermo diverse confraternite usano tuttora effettuare cortei mat-tutini nell’imminenza di particolari ricorrenze. L’antica congregazione diSant’Anna al Borgo (un tempo rione marinaro “fuori porta”), praticava fino apochi anni fa il mattutino itinerante per l’Immacolata, con il confrate “nunzio” cheripeteva il tradizionale richia mo, secondo una intonazione melodica quasi identi-ca a quella documentata all’inizio del Novecento da Alberto Favara (1957/II: n.887, variante). Si tratta di un modulo tetracordale bipartito, caratterizzato daandamento sillabico (con insistenza su primo e secondo grado) e melismi in caden-za. Nell’appello conclusivo la voce si dispiega invece su un registro declamato,chiamando via via per nome tutti i confrati (cfr. ES. 8):18

Fratelluzzu nostru di Gesù e Maria,a matri sant’Anna vi chiama ca taiddu è, ca taiddu è.Fratelli i Sant’Anna, susìtivi ca taiddu è!

Fratelluzzu nostru di Gesù e Maria,a matri sant’Anna vi chiama ca taiddu è, ca taiddu è.Fratellu Romeu (Cirrincione, Lipari, ecc.), susìti ca taiddu è!

(Fratelluccio nostro di Gesù e Maria, / la madre sant’Anna ti chiama che ètardi. / Fratelli di Sant’Anna, alzatevi che è tardi. // Fratello Romeo, alzatiche è tardi!)

Tuttora vitali a Palermo, come in numerosi altri centri della Sicilia, sono leprocessioni che si svolgono per la ricorrenza dell’Immacolata. Diverse sonoritàcaratterizzano i riti processionali: da quelle più “misurate”, rappresentate dalle

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17 Rilevamento: Altofonte (PA), 8/12/1992. Esecuzione: confrati di Maria SS. Immacolata(voci e campanella). Ricerca: S. Bonanzinga e F. Giallombardo. Edizione: Bonanzinga cd.1996a:brano 27.

18 Rilevamento: Palermo, 07/10/1993. Esecuzione: Onofrio Auccello (voce). Ricerca: S.Bonanzinga. Edizione: Bonanzinga cd.1996a: brano 28.

musiche bandistiche e dai canti sacri (inni, lodi, litanie, rosari, ecc., oggi perlopiùeseguiti in italiano), ad altre più eccessive e pervasive, come i suoni “a distesa”delle campane, i ritmi dei tamburi e, soprattutto, le acclamazioni gridate dai devoti.

Con il termine “acclamazione” i liturgisti definiscono quelle formule devozio-nali costituite da una sola parola o da più frasi, modulate con adeguata inflessionesia in continuazione sia alternativamente, che presentano contenuto di invocazio-ne, augurio o saluto (cfr. Stefani 1967: 57 e passim; Grandi 1992). Si tratta delmodo più efficace e immediato di manifestare il sentimento religioso: non neces-sita di particolari specializzazioni tecniche e garantisce un contatto diretto colsacro. La formula fissa nell’identità della ripetizione le aspettative salvifiche deifedeli. È la parola rituale che dispiega tutto il suo potenziale evocativo e dunque,nella concezione popolare, realmente operativo. Assai spesso queste formule con-tengono generiche richieste di “grazia” o esplicitamente implorano la concessionedella salute. Le acclamazioni possono avere struttura responsoriale (dove la pro-posta del solista varia entro uno spettro di formule note, mentre sempre identicaresta la risposta dei fedeli), oppure corale (iterazione di un’unica formula).

Modalità espressive caratterizzanti le processioni palermitane per l’Imma -colata sono proprio le acclamazioni, eseguite sia dai portatori del simulacro argen-teo nel pomeriggio del’8 dicembre (Confraternita del Porto e Riporto di Maria SS.Immaco lata), sia da quelli che la domenica successiva recano in processione la sta-tua che si venera nella chiesa della Pietà alla Kalsa (Confraternita di Santa Rosaliadei Sacchi). Il contenuto delle grida devozionali allude alla protezione da malattie,epidemie o cataclismi assicurata dalla Vergine. La struttura delle acclamazioni pre-vede una proposta solista variabile («Colera o temporale ti invochiamo! I malativogliono la tua grazia! Non è confrate chi non grida con me!»), cui fa seguito lasempre uguale risposta del coro: «Viva Maria!». Il potere salvifico dell’Immacolatasi estrinseca potentemente anche all’inferno (metafora forse del malessere dell’al-diqua), come recita una delle acclamazioni: «Scendi all’inferno e ti chiamiamo!».Di particolare rilievo è infine la litania alla Madonna gridata con ritmo incalzantedai confrati. Si tratta della versione italiana di alcuni versi delle Litaniae lauratenae(cfr. supra), evidente permanenza di quegli strepiti devozionali che tanto avevanoscandalizzato il conte Cicognara due secoli prima. Questo il testo di una sequenzarilevata nel corso della processione che si è svolta nell’antico quartiere palermita-no della Kalsa il 15 dicembre 1992 (cfr. ES. 9):19

Culera, timpurali e cchiamamu a ttia! / Viva Maria!I malatieddi vonnu gràzia di tia! / Viva Maria!

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19 Rilevamento: Palermo, 15/12/1992. Esecuzione: confrati di Santa Rosalia dei Sacchi, por-tatori del fercolo dell’Immacolata (voci). Ricerca: S. Bonanzinga e G. Giacobello. Edizione:Bonanzinga cd.1996a: brano 29.

E nun è cunfrati c’ un u dici cu mmia! / Viva Maria!Scinni all’infernu e cchiamamu a ttia! / Viva Maria!

E come regina degli angeli, / viva Maria!E come stella mattutina, / viva Maria!E come rifugio dei peccatori, / viva Maria!E come consolabile degli afflitti, / viva Maria!E come madre di Dio, / viva Maria!E come madre di tutti noi, / viva Maria!In ogni passo, in ogni via, / viva Maria!

A Ciminna, un centro dell’entroterra palermitano a prevalente economiaagro-pastorale, distante una quarantina di chilometri dal Capoluogo, la devozionepopolare per l’Immacolata si manifesta principalmente attraverso il Triunfu(Trionfo). Si tratta di una singolare processione mattutina in cui si festeggia unapiccola statua della Madonna: a Mmaculatedda (l’Immacolatella), altrimenti deno-minata Marunnuzza dâ sasizza (Madonnina “della salsiccia”), poiché il gustoso ali-mento veniva utilizzato fino a pochi anni addietro per adornare la sacra effigie.L’iter rituale, con puntuale attenzione per i vari “eccessi” che ne caratterizzano losvolgimento, è stato così descritto da Ignazio E. Buttitta (1999: 100-102):

Il periodo festivo si apre l’8 dicembre con la processione della vara dell’Immacolata.Fra le 17 e le 18, la vara, che normalmente risiede nella chiesa di San Francesco d’Assisi,viene trasferita alla Matrice. Il pomeriggio della domenica seguente, con una processionesolenne che ha inizio alle 16, rientra nella chiesa di San Francesco. Sono questi gli atti pro-mossi dal clero locale. Ma è nelle primissime ore del mattino della stessa domenica che haluogo la più avvertita espressione dell fede popolare: la celebrazione del Triunfu. Un pic-colo simulacro dell’Immacolata, a Mmaculatedda, viene portato per le vie del paese. Lavara esce alle 4 dalla chiesa di San Francesco, per rientrarvi alle 7 in punto. In quel momen-to ha inizio una messa in Chiesa Madre. Lungo l’itinerario processionale, fino a pochi annifa, venivano accese numerose vampi, composte da fascine di legna (prevalentemente ulivo)e paglia. […] Delle molte vampi di un tempo oggi se ne contano appena tre: una dinanzialla chiesa di San Giovanni, una lungo il percorso processionale sotto la casadell’Arciprete, una, la più grande, dinanzi alla Chiesa Madre. Si bruciano prevalentemen-te fascine, cui si aggiungono vecchi mobili e infissi rotti.

In precedenza le famiglie si riuniscono a mangiare salsiccia arrostita e nfriulata,sorta di focaccia di farina farcita con salsiccia tritata e polpa di pomodoro, riccamentespezziata. Gli uomini, per ingannare il tempo che li separa dall’inizio della processione,si abbandonano ad abbondanti libagioni. Litri e litri di vino vengono bevuti sino a rag-giungere l’ebbrezza. E sono proprio ubriachi, o comunque segnalati e atteggiati cometali, coloro cui spetta portare a Mmaculatedda in processione. L’Immacolata è dettaanche Marunnuzza dâ sasizza, e fino a non molti anni fa (finché il nuovo parroco ne hapribito l’uso considerato blasfemo, insieme a quello di far “ballare” la vara) venivano

Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia 105

disposti al collo del simulacro nodi di salsiccia. La vara è accompagnata dalla banda cheintona allegre marce e da una moltitudine di fedeli tra cui numerosi giovani. Durante ilpercorso si assiste a frequenti soste durante le quali coloro che recano l’Immacolatalevano ripetute acclamazioni: Riggina di li grazî siti, e grazî aviti a fari, nuatri piccaturiaviti a pirdunari, e cu voli grazî cchiù forti l’av’a chiamari sta Matri amurusa, dicennu:viva! [Siete regina delle grazie, e grazie dovete fare, noialtri peccatori dovete perdona-re, e chi vuole grazie più forte deve chiamare questa Madre amorosa dicendo: viva!]; Echiamamu la nostr’avvucata, viva Maria Mmaculata! [E chiamiamo la nostra avvocata,viva Maria Immacolata!]; Ma cu è ca nascìu? La riggina di tutti li malati, chidda chi faguariri i ciechi, i sordi e i muti! Emu a l’infernu chiamannu stu beddu nomu ri Maria,dicennu: viva! [Ma chi è uscita? La regina di tutti i malati, quella che fa guarire i ciechi,i sordi e i muti! Andiamo all’inferno chiamando questo bel nome di Maria, dicendo:viva!]. E di seguito: Ievviva a Marunnuzza rû Triunfu! Viva! Ievviva u Triunfu râMarunnuzza! [Evviva la Madonnina del Trionfo! Evviva il Trionfo della Madonnina]; Edi cu iè sta Marunnuzza? Nostra! E cu nnâ pò livari? Nuddu! Evviva a Marunnuzza rûTriunfu! Viva! Evviva u Triunfu râ Marunnuzza! [E di chi è questa Madonnina? Nostra!E chi ce la può togliere? Nessuno!]. E a volte: Evviva a Marunnuzza dâ sassizza! [Evvivala Madonnina della salsiccia!]. Per segnalare che è giunto il momento di ripartire, ilcapovara, ammiccante, fa il verso della campanella processionale (nichi, nichi, nichi!),assente dal rito al pari di ogni altro segno dell’ufficialità ecclesiastica. Sorretta da brac-cia malsicure la Madonna oscilla pericolosamente, procede a passo di danza, corre, alsuono della musica; viene lambita dalle fiamme dei falò, seguita da un’immane folla tracui alcuni sono armati di torce. Continui sono i diverbi tra i portatori e tra questi e ifedeli, a causa del comportamento e del contenuto delle acclamazioni (che fanno rife-rimento, appunto, alla salsiccia) ritenuti irreligiosi, ma che tuttavia continuano a esserereiterati negli anni, tanto da far pensare questi “scontri” parte integrante e necessariadel rito. Inoltre i numerosissimi gruppi di ragazzi (molti dei quali vestiti in tute milita-ri) e ragazze (la cerimonia oggi vede una larga partecipazione femminile, ma era in pas-sato riservata ai soli uomini) che seguono la processione, agitano il già movimentato ritofacendo esplodere in continuazione botti e petardi.

Se nei contesti domestici gli orbi si potevano ritenere gli officianti di unaliturgia parallela a quella ufficiale e sostanzialmente improntata al medesimo“decoro” (anche perché più direttamente controllata dalla Chiesa), in questi ritua-li pubblici, magari agiti in tempi “liminari” di norma dedicati al riposo, le comu-nità continuano a testimoniare una concezione arcaica del sacro. Gli elementi checaratterizzano il Triunfu di Ciminna – e in misura minore quelli riscontrati nelleprocessioni di Altofonte e di Palermo – ripropongono difatti l’arcaico codice del-l’orgia festiva (alimentare, sonora, gestuale), simbolicamente riplasmato per adat-tarsi ai diversi destinatari del culto cristiano-cattolico: in questi casi la Madonna,in altre circostanze i santi o il Cristo (valga a ri guardo segnalare, per la specificaattenzione al contesto siciliano, Giallombardo 1990). Questo stesso codice trovaanche applicazione in numerose altre pratiche devozionali tributate all’Imma -

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colata, come ampiamente rileva Ignazio E. Buttitta – nel quadro di una indaginecentrata sull’uso rituale del fuoco (1999) – in svariati centri dell’Isola: Canicattì,Casteltermini, Ravanusa, San Biagio Platani (prov. di Agrigento); Mazzarino,Milena (prov. di Caltanissetta); Saponara (prov. di Messina). Lo studioso pone par-ticolarmente in evidenza come in alcuni paesi, per la festa dell’Immacolata, ven-gano «bruciati, secondo diverse modalità, dei fantocci. Così è a Bisacquino,Contessa Entellina e Caltabellotta» (1999: 103).

I roghi dei fantocci sono tuttora diffusi in Sicilia principalmente nelle ceri-monie in cui si rappresenta la “morte” del Carnevale, personificato in un “vec-chio” Nannu (Nonno) o, talvolta, in una coppia di Nanni (uomo-donna). Si trattadi un tipico rituale propiziatorio destinato a marcare la transizione stagionale dal-l’inverno alla primavera. Il fantoccio acquista valore di “capro espiatorio” e la suadistruzione giova a liberare la comunità da ciò che è “vecchio”, “negativo” e “con-sumato”. Il rogo apre simbolicamente il nuovo ciclo vitale, garantendo la rigene-razione del tempo (cosmico, naturale, umano) nel segno del benessere e della pro-sperità (cfr. I. E. Buttitta 1999: 119-138). I fantocci dati alle fiamme per l’Imma -colata a Caltabellotta e a Contessa Entellina – centri non distanti tra loro apparte-nenti, rispettivamente, alle provincie di Agrigento e Palermo – assumono l’esplici-ta identità del demonio, ovvero del “negativo assoluto”. A Contessa, la sera dellavigilia della festa, «presso la chiesetta dedicata a San Rocco, si effettua il rogo deiDiàvuli, fantocci costituiti da vecchi abiti imbottiti di paglia. I fantocci tradizio-nalmente sono due ma, in realtà, il loro numero varia di anno in anno» (I. E.Buttitta 1999: 105). A Caltabellotta, nel corso della processione dell’Immacolatache inizia verso le 18 dell’8 dicembre, si brucia invece il Diavulazzu (Diavo laccio),«un grande fantoccio, alto 7-8 metri circa, […] innalzato su un’alta trave fissatasull’inferriata prospiciente la piazza Leone XIII. Qui sorge la chiesa dellaMadonna dell’Itria, dove durante l’anno resta custodita la statua dell’Immacolata»(I. E. Buttitta 1999: 106-107). Nella percezione comune attraverso queste azionirituali si intende rap pre sentare la sconfitta del diavolo a opera della Madonna, enon è un caso che i roghi si ano costantemente accompagnati dal festoso scampa-nio proveniente dalle chiese vicine.

Il suono delle campane è stato d’altra parte sempre associato a pratiche nonneces sariamente connesse alla liturgia, rivestendo funzioni scongiuratorie (controil maltempo, i terremoti, le carestie, le pestilenze), propiziatorie (per invocare lapioggia in tempo di siccità o impetrare grazie di ogni genere) e perfino esorcisti-che (in molte feste e pellegrinaggi siciliani gli spiritati, ossessi, venivano liberati alritmo delle campane). Il riconoscimento di una così grande efficacia protettiva alsuono delle campane ha determinato anche la stabilizzazione di usi decisamentenon canonici, come a esempio accadeva a Sciacca (prov. di Agrigento) in coinci-denza delle messe celebrate nella chiesa del Giglio per i dodici Sabati che prece-devano la festa dell’Immacolata:

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[...] dopo la consacrazione della messa che ivi si dice, cominciano a suonarsi alcunitocchi con la campana maggiore. Ed a questa suonata segue un bussamento improvviso,subitaneo e quasi generale che si fa con pietre o martelli sopra incudini o dischetti ed anchead imposte, lo che si dice la tuppuliata di li sabati. [Ciaccio 1900-04, ried. 1988/II: 28]

La tuppuliata (da tuppuliari, ‘bussare’) di Sciacca rientra nella tipologia espres-siva del “frastuono rituale”, in questo caso destinato ad assumere valore devoziona-le entro la cornice del culto mariano. La produzione di frastuoni ritualmente forma-lizzati ha tuttavia caratterizzato in ogni tempo e luogo situazioni assai diversificate:nascite, matrimoni, funerali, profilassi, guarigioni, iniziazioni, acquisizioni di cariche,sacrifici, feste calendariali, dichiarazioni di guerra, accoglienza di stranieri, inaugura-zione di case o edifici pubblici, spedizioni di pesca e di caccia, seminagioni, raccolti,eclissi, ecc. Ciò che accomuna tutti questi eventi è l’appartenenza alla categoria diquelli che Van Gennep ha definito riti di passaggio (ed. or. 1909, trad. it. 1981).L’universalità della connessione tra frastuono e transizione, con specifico riguardo perle sonorità provocate mediante percussione, è stata posta in evidenza dall’antropolo-go inglese Rodney Needham (1967). Questi ha in particolare osservato che intensisuoni percussivi risultano funzionali a permettere o accompagnare la comunicazionecon il mondo ultraterreno, sia per attivare il contatto con le entità che vi risiedono siaper allontanarne l’influsso quando questo sia ritenuto nefasto. Tra gli “strumenti delfrastuono” spesso ricorrono oggetti che non rientrano nella norma del fare musica:dalle stoviglie ai martelli, dalle zappe ai bastoni da lavoro. In Sicilia, l’associazione diquesto genere di “strumenti” alle campane, come appunto rilevato nella tuppuliataper l’Immacolata di Sciacca, si verificava anche durante la messa della Resurrezione– che fino alla riforma conciliare del Vaticano II (1962-1965) si svolgeva il sabato amezzogiorno – al momento del Gloria: mentre le campane annunciavano il ritornoalla vita del Cristo, nelle case, per le strade e nelle campagne uomini e donne per-cuotevano oggetti vari (mattarelli, scope, bastoni, pentole, verghe, ecc.), pronun-ciando formule per scacciare il demonio o, più generica mente, le entità malefiche(cfr. Bonanzinga 2000: 36-40). Lo scampanio del Gloria era inoltre atteso dai pasto-ri per appendere al collo degli animali i campani, che così “contagiati” dal sacrosuono acquisivano una maggiore efficacia protettiva (cfr. Bonanzinga 2005a: 1488).

L’uso di questi dispositivi sonori legati alla gestione delle attività pastorali nonsi limitava però ai contesti del lavoro. I campani e le sonagliere per animali d’alleva-mento (capre, pecore, vacche) e da soma (buoi, equini) costituiscono infatti parteessenziale del costume di svariate maschere, di gruppo o individuali, attive preva-lentemente nel pe riodo invernale-primaverile in tutta l’area euromediterranea.Queste rappresentano le forze ctonie che periodicamente tornano sulla terra perinstaurare il caos originario in modo da rinnovare la fertilità naturale e umana. I lorocostumi e i loro atteggiamenti rispondono all’arcaico codice del basso-corporeo (cfr.Bachtin 1979): elementi animale schi nel travestimento (corna, pelli di capra, code di

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cavallo, campanacci e sonagliere ap punto), produzione di frastuoni (grida, fischi,percussioni), eccessi del gesto (corse, sal ti, balli, aggressioni, percosse, mimiche osce-ne) e della parola (ingiurie, scurrilità, paro die). Entro questo sfondo simbolico si col-loca anche la cerimonia itinerante dei Pidduzzi di Bisacquino (prov. di Palermo):

Sin dalle prime ore del mattino gruppi di ragazzi, non più grandi di 12-13 anni, tra-sportano a braccia pupazzi di paglia, rivestiti di stracci e carta e distesi su lettighe, per lestrade del paese. I gruppi sono numerosi e prevalentemente maschili. Ho visto solo unPidduzzu, isolato, trasportato da quattro bambine. In alcune lettighe trovano posto 3, 4, 5fantocci (talvolta rappresentano una famigliola), chiamati tutti indistintamente Pidduzzi.Non diversamente da quanto accade nei rituali carnevaleschi di bruciamento del Nannu, iPidduzzi vengono “pianti” come se si trattasse di personaggi ormai defunti o prossimi amorire. I ragazzi singolarmente o in coro gridano continuamente: E u Pidduzzu murìu!Uuuuh, ahiahiii! Murìu, e u Pidduzzu murìu! Oltre che da queste lamentazioni il corteo èaccompagnato dall’incessante suono di lattine piene di pietre, campanacci, fischi, altre urlalamentose, sparo di petardi (osservo un gruppo isolato armato anche di bastoni che servo-no: p’ammazzari u Pidduzzu). Inoltre, per rendere più evidente il loro passaggio, i ragazzi-ni suonano ai campanelli dei portoni o vi battono i pugni fragorosamente. Tutti devonosvegliarsi e sapere che u Pidduzzu murìu. Durante il percorso, segnato da brevi soste, acca-de che ci si fermi più a lungo per appiccare il fuoco a qualche fantoccio. È però in pienasera (tra le 19 e le 20) che tutti i Pidduzzi, portati in aree libere (preferibilmente in prossi-mità delle chiese o in zone periferiche), vengono dati alle fiamme dopo essere stati cospar-si di alcool. Mentre il fantoccio brucia s’ode qualcuno dire: Poveru Pidduzzu, poveru picci-riddu, picchì avist’a moriri! Murìu u picciriddu, murìu! Mi l’ammazzaru mischinu, l’ammaz-zaru mischinu! La cerimonia ha sostanzialmente mantenuto immutati i suoi tratti peculia-ri negli ultimi ottanta anni. Tutti gli anziani intervistati hanno detto di essersi comportatianalogamente ai loro nipoti o bisnipoti. Così come i loro nonni i ragazzini affermano chebruciare i Pidduzzi è «per la festa dell’Immacolata, una tradizione di Bisacquino: viene bru-ciato e si dice che il diavolo è morto; u Pidduzzu è il diavolo, e ogni anno, in questo gior-no, bruciamo il diavolo». [I. E. Buttitta 1999: 104]

Questa “frastornante” azione rituale rappresenta un corteo funebre parodi-co non molto diverso da quelli inscenati per i Nanni del Carnevale (cfr. Bonanzinga2003: 82-84). La sostanziale differenza è che i Pidduzzi assumono nel sentire popo-lare una specifica connotazione demoniaca, legata all’azione esorcistica esercitatadalla Madonna “per mezzo” dei bambini che invadono con la loro energia vitale lospazio urbano. Proprio ai bambini, d’altra parte, spetta spesso di assumere i ruolidei santi o dei personaggi della Sacra Famiglia in svariate rappresentazioni dram-matiche (cfr. Giallombardo 1990), oppure di caratterizzare con la loro presenza iriti per invocare la pioggia (cfr. I. E. Buttitta 2002: 223-232) e certe pratiche tera-peutico-divinatorie (cfr. Giacobello 1997). Le ragioni di questa ricorrente media-zione col sacro vanno ricercate nella posizione liminare che i gruppi infantili-ado-lescenziali – non meno degli “stranieri” – assumono rispetto alla «norma socio-eco-

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nomica codificata» (Giallombardo 2003: 81) e, in senso più ampio, nel nesso chenelle culture agrarie si istituiva tra la vitalità infantile e la prosperità naturale eumana.20 I bambini possono per questo assumere anche ruoli diametralmenteopposti, divenendo all’occorrenza “agenti del caos”, come si osserva nelle azioni diquestua tuttora praticate per il Capodanno in alcune località (cfr. Bonanzinga 2006:94-95), oppure “vicari dei defunti”, come ancora accade nella fe sta dei Morti inmolte aree della Sicilia (cfr. A. Buttitta 1962). In questa prospet tiva si può com-prendere la natura sincretica della cerimonia dei Pidduzzi, permeata di suoni e gestiuniversalmente funzionali a rappresentare l’espulsione delle forze negative e la rige-nerazione dell’ordine sociale, naturale e cosmico, qui simbolicamente riplasmati adaffermare la potenza della Madre di Cristo per la sconfitta di ogni “male”.

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20 Nelle conce zioni arcaiche, i bambini, come i morti, si situano in posizione marginale rispet-to alla col lettività e ven gono simbolicamente rappor tati alla rinascita della vegetazione. Il vigore ger -minativo delle se menti (nuovi nati) può determinarsi soltanto nel sotterraneo domi nio dei defunti.Sulla questione la letteratura è ampia, valga pertanto segnalare: Buttitta 1962 e 1995: 21-26; Eliade1976: 342-376; Lombardi Satriani-Meligrana 1982: 107-116; Lévi-Strauss 1995: 60-64.

ESEMPI MUSICALI

Le trascrizioni musicali – eseguite da Santina Tomasello (ESS. 4, 6; con la collabo-razione di S. Bonanzinga ESS. 2, 5, 7-9) e Alessandro Giordano (ES. 1) – sono stateeffettuate ricorrendo alle normali risorse del pentagramma, opportunamente inte-grate dalla indicazione cronometrica della durata di ogni frase e dai seguenti segnidiacritici: ↑ (più acuto della nota segnata); ↓ (più grave della nota segnata); → (piùveloce del valore segnato); ← (più lento del valore segnato); , (presa di fiato);¿ (nota a intonazione non ben determinata). La disposizione grafica di ogni tra-scrizione segue la struttura fraseologica. Ogni frase melodica corrisponde a un rigodi pentagramma: senza divisione in battute per andamenti ritmici liberi; utilizzan-do la mezza stanghetta per segnalare i ritmi tendenzialmente mantenuti e le barredi misura canoniche nei casi di ritmi rigidamente rispettati. Gli esempi 1-7 presen-tano struttura armonica tonale e pertanto le alterazioni sono indicate in chiave.Negli esempi 8 e 9 le alterazioni valgono per tutte le note della stessa altezza pre-senti nella frase. Per semplificare la lettura si è operata in due casi (ESS. 6 e 9) la tra-sposizione in sol3 (l’indicazione dell’effettiva finalis precede la trascrizione).

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1. Novena dell’ImmacolataEsecuzione: Angelo Cangelosi (voce e chitarra), Rosario Salerno (voce e violino).

Rilevamento: Palermo (rione Romagnolo), 24/10/1970.Ricerca: Elsa Guggino (Folkstudio di Palermo, bobina 83, brano 1).

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2. Novena dell’ImmacolataEsecuzione: Felice Pagano (voce e violino), Domenico Santapaola (chitarra).Rilevamento: Messina, 01/12/1991. Ricerca: S. Bonanzinga e G. Giacobello.

Edizione: Bonanzinga cd.1996b (brano 2).

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3. Novena dell’ImmacolataEsecuzione: suonatori ambulanti di Noto (Siracusa).

Fonte: Ferrara 1907: 85-86.

4. Salve Regina dell’ImmacolataEsecuzione: Sebastiano Davì (voce), Girolamo Patellaro (zampogna “a chiave”).

Rilevamento: Scala Torregrotta (ME), 28/02/1987. Ricerca: S. Bonanzinga.

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5. LitaniaEsecuzione: Girolamo Patellaro (zampogna “a chiave”).

Rilevamento: Monreale (PA), 05/12/1998. Ricerca: S. Bonanzinga.

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6. Orazione dell’ImmacolataEsecuzione: voce maschile e coro dei fedeli in chiesa.

Rilevamento: Messina (Giampilieri Superiore), 29/11/1974. Ricerca: S. Bottari.

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7. Richiamo itinerante dei confrati per la festa dell’ImmacolataEsecuzione: confrati di Maria SS. Immacolata.

Rilevamento: Altofonte (PA), 08/12/1993. Ricerca: S. Bonanzinga e F. Giallombardo.Edizione: Bonanzinga cd.1996a (brano 27).

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8. Richiamo itinerante dei confrati per la festa dell’ImmacolataEsecuzione: Onofrio Auccello.

Rilevamento: Palermo, 07/10/1993. Ricerca: S. Bonanzinga.Edizione: Bonanzinga cd.1996a (brano 28).

9. Acclamazioni processionali per l’ImmacolataEsecuzione: confrati di Santa Rosalia dei Sacchi.

Rilevamento: Palermo, 15/12/1992. Ricerca: S. Bonanzinga e G. Giacobello.Edizione: Bonanzinga cd.1996a (brano 29).

IMMAGINI

Referenze fotografiche: S. Bonanzinga (6, 8-11), Giuseppe Giacobello(13), Gaetano Pagano (2, 3), Ignazio E. Buttitta (12); Le foto 4 e 5appartengono a Giovanni Ciprì. L’elaborazioe digitale delle immaginiè stata realizzata da Pino Aiello. A tutti gli amici e colleghi menzionativa il mio più affettuoso ringraziamento.

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1. Montedoro. Coppia di orbi con violino e citarruni (in Hamilton Caico 1910)

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2. Palermo 1970. Rosario Salerno (zzu Rusilinu)

3. Palermo 1975. Angelo Cangelosi

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4-5. San Giuseppe Jato (contrada Zabbìa) 1972. Rosario Salerno (violino),Angelo Cangelosi (chitarra) e Salvatore Rizzo (fisarmonica)

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6. Messina 1997. Felice Pagano (violino) e Domenico Santapaola (chitarra)

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8. Palermo (Villagrazia) 1998. Benedetto Miceli

7. Palermo, inizio Novecento. Suonatori di zampogna a chiave e cerchietto

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9. Palermo (Guadagna) 1998. B. Miceli (canto) e Girolamo Patellaro (zampogna)

10-11. Altofonte 1992. Mmaculatedda e “chiamata” dei confrati

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12. Bisacquino 1996. I Pidduzzi

13. Palermo 1992. Processione dell’Immacolata alla Kalsa

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