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COLPO I. 2011, Paesaggi dell'altrove, in Pittura ellenistica in Italia e in Sicilia. Linguaggi e tradizioni, Atti del Convegno di Studi (Messina, 24-25 settembre 2009), a cura di G.F

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(ESTRATTO)

Isabella Colpo

PAESAGGI DELL’ALTROVE

Iam silvae steriles et putres robore trunciAssaraci pressere domos et templa deorumiam lassa radice tenent, ac tota tegunturPergama dumetis: etiam periere ruinae.

Ma ora sterili arbusti e tronchi imputriditi di quercia crescono sul palazzo di Assara-co e occupano con stanche radici i templi degli dei, sterpaie riempiono l’intera Per-gamo; ormai anche le rovine sono perite 1

Quando il Cesare della Farsaglia giunge nella Troade, accompagnato da un monstrator percorre le vestigia della città in quella che è stata riconosciuta come la prima vera e propria visita ‘archeologica’ della letteratura: come già a suo tempo aveva fatto Alessandro 2, egli cerca le tracce delle mura edifi-cate da Apollo; vede quanto resta del palazzo di Assaraco e dei templi della città; visita i luoghi storici all’intorno, le rocce a cui era stata esposta Esio-ne, la selva degli amori di Anchise, dove Paride giudicò le tre dee e dove Ganimede venne rapito dall’aquila, lo Xanto ormai ridotto a un ruscello; e quando distrattamente sta per calpestare un rialzo erboso, la sua guida lo ammonisce dal profanare quanto resta della tomba di Ettore «Nullum est sine nomine saxum» (non c’è pietra priva d’un nome), dice Lucano 3

Quando Cesare visita Troia, della passata grandezza della città altro non restano che ruinae, rovine architettoniche tra le quali sono cresciuti silvae steriles et putres robore trunci, a testimoniare l’estremo abbandono e l’inelut-tabile trascorrere del tempo che coinvolge allo stesso modo natura e ope-re umane (etiam periere ruinae) 4

1) Lucan. bell. civ. IX, 966-969 Trad L Canali 2) Arrian. I, 11, 7-8; Plut. XV, 7-9; Strabo XIII, 1, 26. Cfr Zwierlein 1986, pp 466-

469; Vermule 1995, p 468; Schmitzer 2005, p 38 3) Lucan. bell. civ. IX, 961-999 Sul passo, cfr Zwierlein 1986; Orlando 1994, pp 278-

279; Gagliardi 1997; Schmitzer 2005, pp 38-39; Narducci 2007.4) Questo delle ruinae ricoperte di rovi quali immagine dell’estremo abbandono è un to-

pos assai diffuso: cfr ad esempio AP IX, 101, 103, 104; Prop. II, 6, 35-36 e IV, 10, 27-30; Ov. her. I, 47-56 Esemplare è la descrizione che Filostrato Maggiore fa di un ragno impegnato a tessere la sua tela tra le rovine dell’atrio di una casa abbandonata, con le mosche che vi

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e proprio sulla presenza di questi due elementi (ruinae e putres trunci) nella pittura di paesaggio romana tra tarda repubblica e primo impero vor-rei in questa sede presentare alcune suggestioni 5.

ruinae: paesaggi di rovine e rovine nel paesaggio

Le immagini di monumenti in rovina non sono moltissime. Il primo dato che merita sottolineare è che in tutti i casi le ruinae sono in connessio-ne con altri edifici, quindi inserite in paesaggi di tipo architettonico, mentre sono assenti immagini di rovine in paesaggi di carattere idillico-sacrale.

In alcuni casi, esse costituiscono proprio l’elemento principale della raf-figurazione, non una componente del quadro, quindi, bensì soggetto esse stesse: una struttura costituita da tre ali aperte anteriormente, con la som-mità dei muri sbrecciata 6; una torre in un monocromo rosso dal Museo di Napoli (inv. 9405); due colonne con architrave erette anteriormente a costruzioni poste sulle rive di uno specchio d’acqua 7 (Fig. 184 a). Questi quadri, che si possono identificare come i soli ‘paesaggi di rovine’ in sen-so proprio, presentano tutti un’estrema povertà di componenti: gli elementi architettonici si riducono alla rovina collocata in posizione nettamente pre-minente e rari altri edifici, poco o per nulla leggibili; del tutto assenti sono anche le componenti naturali, in un’ambientazione che viene tratteggiata in modo assolutamente sommario. Ad accentuare la generale atmosfera di abbandono concorre anche la totale assenza di figure umane.

In altri casi questi elementi non sono il soggetto del quadro, bensì vi compaiono in qualità di componenti al pari degli altri edifici, che con essi si integrano nella raffigurazione: una delle torri che chiudono il porto nella celebre veduta dalla Casa della Fontana Piccola 8 (Tav. XLI a); un’altra torre accanto ad edifici sacri in una vignetta 9 (Fig. 184 b); in un medaglione da Stabia, una lunga arcata sullo sfondo e, forse, una torre a pianta quadrata in primo piano 10. Dato il ruolo che essi rivestono di componenti, e non sog-

si impigliano, giusta ricompensa alle sue fatiche (Fil. im. II, 28). Ancora nel V secolo Orosio descrive ville, campi e paesi abbandonati, al cui posto sono rovine e boschi (VII, 15, 5).

5) Questo mio intervento nasce da un più ampio lavoro, che nell’arco cronologico con-siderato esamina il ricorrere dei due elementi tanto nel repertorio paesaggistico quanto in quello mitologico; cfr. Colpo 2010.

6) Pompei, I 10, 8 Tessitoria di Minucius; cubicolo (3), parete ovest, tratto centrale, zona mediana; III stile; in situ (PPM II, p. 428, fig. 12).

7) IV stile (Antichità di Ercolano 1988, p. 186, fig. 87 e p. 296).8) Pompei, VI 8, 23.24; peristilio (10), parete sud, zona mediana; IV stile; in situ (PPM

IV, p. 644, fig. 37).9) IV stile (Antichità di Ercolano esposte, tomo 1, tav. VII, p. 33).10) Stabia, Villa di San Marco; portico (20); IV stile; oggi MNN, inv. 9409 (Antichità di

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getti delle raffigurazioni, possiamo definire a buon diritto tutti questi come ‘paesaggi con rovine’ E differentemente dai casi visti in precedenza, qui il paesaggio nel suo complesso è ben articolato: alberi si dispongono tra gli edifici, e all’intorno si muovono uomini e donne occupati nelle più comu-ni attività, come caratteristico nella pittura di III/IV stile 11

Passando ad interpretare le immagini di rovine, va notato in primo luo-go come i monumenti in rovina siano tutti civili, nessuno rimanda ad un ambito religioso/cultuale

Che si tratti di quadri ‘di rovine’ o piuttosto ‘con rovine’, le immagi-ni qui viste testimoniano una sorta di ‘abitudine’ alla presenza di monu-menti in rovina nel panorama quotidiano da parte di committenti e frui-tori: in una pittura di paesaggio costruita mediante giustapposizione di tipi architettonici e naturali 12, anche le ruinae rappresentano quindi suggestio-ni da parte del paesaggio (topia), senza avere con questo la pretesa di ri-conoscervi specifici monumenti; elementi ispirati al reale, ma resi ideali (o idealizzati) nella traduzione pittorica 13, non diversamente da quanto già di-mostrato nel caso di altre componenti del paesaggio, quali ad esempio giar-dini o ville marittime

D’altro canto, la tradizione letteraria di I secolo a C - I d C a più ri-prese documenta la presenza di monumenti in rovina, raccontando come, a Roma e nel Lazio, le recenti guerre civili, i frequenti cataclismi (incendi ed esondazioni del Tevere) 14 e il trascorrere ineluttabile del tempo avesse-ro lasciato pesanti tracce, disseminando il panorama di fana deserta e di ae-des vetustate dilapsae 15 In particolare, nel suo percorrere Roma alla ricerca di luoghi che ricordino l’istituzione dei culti nella città, Ovidio dà testi-monianza della rovina in cui essi erano caduti a causa della loro vetustà,

Ercolano 1988, p 196, fig 98 e p 297; Collezioni 1989, I, pp 166-167, n 311; Barbet, Mi-niero Forte 1999, fig 48)

11) Si tratta di quelle figure ricordate da Plinio nel celebre passo (nat. hist. XXXV, 116): «varias ibi obambulantium species aut navigantium terraque villas adeuntium asellis aut ve-hiculis, iam piscantes, aucupantes aut venantes aut etiam vindemiantes»

12) ‘Paesaggi tipizzati’ o ‘paesaggi della mente’, secondo le felici definizioni in La Rocca 2004, cui si rimanda da ultimo per una bella ripresa del problema della pittura di paesaggio nel mondo classico in generale, con particolare riguardo per la fase ellenistico-romana

13) Grimal 1981, p 321 14) Cfr in particolare Gros 1976, pp 18-20 con l’elenco dei disastri che interessaro-

no Roma in quest’arco di tempo È soprattutto Lucrezio a trattare diffusamente gli agenti naturali (terremoti, inondazioni, fulmini ecc ) quali causa di rovine Il dramma delle rovi-ne causate dallo scatenarsi della natura è d’altronde ben attestato dai due rilievi che deco-ravano il sacrario collocato nell’atrio della Casa di L. Caecilius Secundus, con la raffigura-zione dei monumenti di Pompei danneggiati dal terremoto; da ultimo cfr Bassani 2008, pp 122-123

15) Liv. IV, 20, 7 Sull’argomento, cfr Gros 1976, pp 18-52, con particolare attenzio-ne all’età di Augusto.

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come accade per il tempio di Giunone Salvatrice 16, e parimenti per l’altare ai Lari Tutelari a suo tempo innalzato da Manlio Curio Dentato 17

Ma se in Roma l’evocazione delle rovine diventa oggetto di una cele-brazione dell’opera di rifondazione della città e dei suoi culti, nel Lazio di contro le città distrutte sono ricordo tangibile del secolo di guerre civili, come documenta Lucano nel descrivere con toni vivi la devastazione che segue la battaglia di Farsalo, a seguito della quale le città italiche saranno per lungo tempo dei luoghi fantasmi, spopolate e diroccate:

Le rovine coperte di polvere potranno appena attestare Gabi, Veio, Cora, e con esse i Lari albani e i Penati laurentini, campagna deserta, frequentata nelle notti d’obbli-go, da un senatore riluttante che imprecherà alle prescrizioni di Numa […] Uno zap-patore in catene coltiva le messi d’Esperia; con i tetti aviti fatiscenti, la casa crolle-rà su nessuno 18

E già in apertura del poema Lucano evoca il panorama desolante suc-cessivo alla lotta tra Cesare e Pompeo: visione enfatizzata ad arte, se si con-sidera che gran parte degli scontri avvenne su suolo non italico; eppure testimonianza anch’essa di una realtà di distruzione ben viva all’epoca, se quello delle rovine di guerra verrà eletto a topos per indicare il genere let-terario dell’epica 19

E non è pertanto un caso che proprio nel corso del I secolo a C si assista al fiorire di una ricca legislatura sul riuso dei terreni che ospitano monumenti diroccati e sul materiale stesso di recupero, legislazione volta a contenere le dilaganti speculazioni edilizie, che vede frequenti richiami e revisioni per tutto il secolo successivo 20

Quadri ‘di’ rovine, quadri ‘con’ rovine, dunque, come traduzione figu-rativa della poetica sulle rovine che nasce sempre, nel mondo romano, dal

16) Ov fast. II, 57-59: «Nunc ubi sunt illis quae sunt sacrata Kalendis templa deae? Lon-ga procubuere die» Il passo presenta qualche difficoltà di interpretazione: il tempio dovrebbe a rigore essere quello del forum holitorium votato dal concole C Cornelio prima di una bat-taglia contro i Galli Insubri, nel 197 a C , e dedicato nel 194 a C ; tuttavia l’indicazione di Ovidio sembra invece suggerirne una collocazione sul Palatino; cfr Gros 1976, p 21; Zan-ker 1989, p 118; Coarelli 1996a e 1996b

17) Ov fast. V, 131-132, 143-144: «voverat illa quidem Curius: sed multa vetustas de-struit, et saxo longa senecta nocet… bina gemellorum quaerebam signa deorum viribus an-nosae facta caduca morae...» L’altare era probabilmente collocato in summa via Sacra, tra la Casa delle Vestali e la basilica di Massenzio (Coarelli 1996c) Di santuari in rovina e statue lorde di fumo parla anche Orazio (III, 6, 1-4)

18) Lucan. bell. civ. VII 392-396, 402-404: «Gabios Veiosque Coramque pulvere vix tec-tae poterunt monstrare ruinae Albanosque lares Laurentinosque penates, rus vacuum, quod non habitet nisi nocte coacta invitus questusque Numam iussisse senator [ ] Vincto fossore coluntur Hesperiae segetes, stat tectis putris avitis in nullos ruitura domus»

19) Ad esempio, Prop. II, 1, 29: «eversosque focos antiquae gentis Etruscae» 20) Sull’argomento si vedano le esaustive trattazioni in Phillips 1973; Zaccaria Rug-

giu 1990 e 1995, pp 199-219; Anguissola 2002.

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preciso intento di fotografare una realtà concreta, testimonianza del tem-po passato; così, anche nelle immagini sembra doversi riconoscere non tan-to la volontà di indugiare sull’aspetto estetico delle rovine, quanto piutto-sto l’intento di richiamare nella sua espressione più drammatica un passato (in quanto tempo passato o in quanto passato di guerra), che si contrap-pone al contemporaneo, rappresentato dal restante corpus di immagini di paesaggio. rovine nel paesaggio come immagine di un ‘altrove nel tem-po’, quindi, tanto più marcato quando le rovine stesse diventano il sog-getto del quadro, e a disegnare un contesto di abbandono concorrono an-che l’assenza di figure umane e la resa di un paesaggio del tutto privo di elementi naturali; vi si riconosce quasi un’evocazione pittorica delle de-scrizioni lucanee delle città latine con le case che crollano, i terreni inara-ti, spopolate: «Ma, mentre nelle città d’Italia le mura minacciano di cadere sui tetti diroccati ed enormi macigni giacciono tra le pareti crollate, e nes-suno custodisce le case, e rari abitanti vagano per le antiche città, ora che irta di rovi l’esperia rimane inarata per anni, e mancano braccia ai campi che le reclamano …» 21.

Putres trunci nel paesaggio

Nettamente più diffuse sono le immagini di putres trunci inseriti quali componenti del paesaggio; la lettura della presenza degli alberi secchi all’in-terno di questi quadri è legata ad un primo livello alla scelta degli elemen-ti che vi sono associati, quindi ai reciproci rapporti tra di essi, basati su un gioco di contrapposizioni e/o giustapposizioni.

Quanto alla scelta degli elementi, putres trunci appaiono sia entro com-posizioni paesaggistiche a ‘prevalenti elementi architettonici’, sia in quadri più propriamente definibili come idillico-sacrali. Di fatto, anche nei qua-dri in cui predominano le strutture architettoniche la tipologia degli ele-menti associati connota la composizione in senso sacrale: naiskoi, oggetti di culto, statue, unitamente a velaria stesi a coprire strutture costituite da tor-re e porticus, colonne, a volte associate a torri ovvero collocate entro recin-ti 22 (Fig. 184 c; Tav. XLI b).

21) Lucan. bell. civ. I, 24-29: «At nunc semirutis pendent quod moenia tectis urbibus Italiae lapsisque ingentia muris saxa iacent nulloque domus custode tenentur rarus et anti-quis habitator in urbibus errat, horrida quod dumis multosque inarata per annos Hesperia est desuntque manus poscentibus arvis ...».

22) Pompei, I 10, 10.11 Casa degli Amanti; atrio (1), parete nord, tratto ovest, zona me-diana; IV stile (PPM II, p. 443, fig. 13). Pompei, I 10, 10.11 Casa degli Amanti; cubicolo (4), parete ovest, zona mediana, tratto centrale; IV stile (PPM II, p. 461, fig. 34). Pompei, VII 4, 31.51 Casa dei Capitelli colorati; esedra (22), parete sud, pinax collocato sulla sommità del pannello laterale sinistro; IV stile (PPM Disegnatori, p. 549, fig. 80; PPM VII, pp. 1037-1038, figg. 55-56). Pompei, IX 1, 22.29 Casa di M. Epidius Sabinus; atrio (b); IV stile (PPM VIII, p.

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Nettamente più numerose sono invece le ‘composizioni di carattere idillico-sacrale’, nelle quali cioè sono dominanti gli elementi che riman-dano ad una sacralità rustica, che non prevede l’esistenza di strutture tem-plari propriamente dette: altari, porte sacre, edicole con statua, recinti, tra i quali sono colonne, erme, statue e si muovono offerenti, pescatori, pastori con le greggi 23 In tutti i casi le componenti del paesaggio si distribuisco-no attorno ad un elemento centrale che occupa per intero l’asse mediano del quadro e ne veicola l’interpretazione 24 mediante le relazioni che stabi-lisce attorno a sé, a seconda che esse siano collocate in stretta connessione, ovvero nelle zone circostanti, quindi in contrapposizione

«I casi in cui l’albero secco intrattiene una stretta relazione di prossimità con l’elemento centrale della composizione», innanzitutto Il tipo di strut-tura più semplice è creato mediante giustapposizione di un albero frondo-so, una colonna e un’erma, elementi tutti che, unitamente all’albero secco, possono essere collocati su un rialzo roccioso, ovvero entro un basso recin-to; l’intero contesto rimanda al mondo pastorale, come attestano tanto la presenza di pastori e greggi, quanto la divinità venerata, ossia Priapo, sim-boleggiato dall’erma, al quale si aggiunge Ecate L’albero secco è collocato non solo in stretta connessione con l’elemento centrale del quadro, ma più precisamente sempre in riferimento all’erma di Priapo 25 (Fig 185 a)

Altre immagini inseriscono invece i «putres trunci nel paesaggio che cir-conda una vistosa struttura centrale di carattere sacro», sempre connota-ta in senso dionisiaco dalla presenza della statua del dio, dei suoi attribu-ti e/o di baccanti; di contro, gli alberi secchi (anche replicati) sono sempre collocati nel paesaggio circostante, popolato da pastori, greggi, viandanti, e dominato dal simulacro di Priapo, cui può essere associata Ecate 26 (Fig 185 b; Tav XLII a)

961, fig 10) Pompei, IX 8, 1 e 2; bottega al n 2; ambiente (1), parete ovest; IV stile (PPM IX, p 901, fig 11) Ercolano, Villa dei Papiri; IV stile; oggi MNN, inv 9458 (Antichità di Er-colano 1988, p 105, fig 14 e p 286; Collezioni 1989, I, pp 166-167, n 303) Paesaggio con pescatori da Ercolano; IV stile (Antichità di Ercolano 1988, p 189, fig 92 e p 296) Stabia; ve-duta fluviale (Antichità di Ercolano 1988, p 41, fig 7 e p 285)

23) Cfr La Rocca 2004, p 37 24) Su questo tipo di costruzione delle immagini di paesaggio, cfr Zanker 1989, p 303 25) Pompei, V 1, 18 Casa degli Epigrammi; esedra (y); II stile (PPM III, p 569, fig 60;

PPM Disegnatori, pp 869-870, figg 43 e 45) Pompei, I 7, 19 Casa di P. Cornelius Tages; cu-bicolo (f), alcova, parete est, zona mediana; III stile; in situ (PPM I, p 782, fig 54) Pompei, I 12, 8 Officina del garum degli Umbricii; cubicolo (12), parete sud, zona mediana, edicola centrale; III stile (PPM II, p 780, fig 27) Pompei, VII 2, 18 Casa di C. Vibius Italus; cubicolo (i); III stile tardo (PPM VI, p 597, fig 17) Pompei, VII 16 (Ins. Occ.), 22 Casa di M. Fabius Rufus; ambiente (82), parete sud, tratto centrale; III stile (PPM VII, p 1123, fig 341) Pom-pei, VIII 2, 39 Casa di Giuseppe II; tablino (r), parete ovest, pannello centrale; IV sile (PPM VIII, p 333, fig 48) Pompei, VIII 2, 39 Casa di Giuseppe II; cubicolo (l) al primo piano sottostante; IV stile; oggi MNN, inv 9858 (PPM VIII, p 344, fig 67)

26) Pompei, VII 3, 25; oecus (i); III stile (PPM VI, p 901, fig 1) Pompei, VII 15, 12-13

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La stessa modalità di costruzione del quadro si riscontra anche nelle ampie vedute paesistiche provenienti dall’ekklesiasterion del tempio di Isi-de: attorno ad una struttura sacra centrale connotata in senso isiaco per la presenza di specifici elementi del culto (l’hydria d’oro posata sulla coro-na di rose; l’arula sorretta da statue di sacerdotesse isiache; una porta sacra con pilastri a forma di sarcofagi antropoidi; un sarcofago aperto di Osiri-de sormontato da una fenice; un sacerdote con corona di piume di struz-zo intento a compiere un rito) si articola un paesaggio montuoso, nel qua-le compaiono anche alberi secchi 27 (Tav. XLII b).

La rassegna delle immagini che presentano raffigurazioni di putres trunci evidenzia alcuni dati interessanti. In primo luogo, contrariamente a quan-to avviene nel caso delle rovine, che sembrano connotare sempre lo spa-zio umano riportandolo alla storia recente, è chiara invece una pertinenza preferenziale degli alberi alla sfera del sacro.

L’analisi della disposizione delle componenti nei quadri suggerisce che la funzione svolta dai putres trunci sia sempre quella di segnalare la presen-za di un culto, ossia di definire uno spazio sacro all’interno della compo-sizione, sia che esso venga a coincidere con l’elemento mediano, sia che si tratti di uno spazio secondario, altro rispetto all’architettura sacra che co-stituisce il perno dell’intera composizione.

Per leggere quindi con chiarezza la presenza dei putres trunci è necessa-rio riconsiderarne la collocazione nel quadro in relazione alle divinità che vi compaiono: l’albero secco è sempre messo in connessione con i culti di Priapo, presente sotto forma di erma itifallica, di statua, ovvero di idolo in legno, ed ecate simboleggiata dalla tre statuette femminili, divinità che so-vente in queste immagini appaiono associate.

Divinità che rimanda ad una religiosità rustica, Priapo, «agreste figlio di bacco, il dio armato di falce ricurva» 28; lo spazio che gli pertiene è caratte-rizzato come extra-urbano, selvaggio, è il mondo della pastorizia (da cui la frequente presenza nei quadri di pecore al pascolo), nel quale il dio è pre-sente sotto forma di una statuetta di solito lignea, o di un’erma. Si tratta, be-

Casa di A. Octavius Primus; triclinio (d), parete nord; III stile tardo (PPM Disegnatori, p. 858, fig. 27; PPM VII, p. 833, fig. 15). Pompei, VII 16 (Ins. Occ.), 17 Casa di Ma. Castricius; calida-rium (33), parete nord, tratto centrale, entro una nicchia; III stile finale (PPM VII, pp. 934-935, figg. 107 e 109). Pompei, VII 4, 31.51 Casa dei Capitelli colorati; triclinio (25), parete sud, zona mediana, tratto centrale; IV stile; oggi MNN, inv. 9486 (PPM Disegnatori, p. 206, fig. 92; PPM VI, p. 1052, fig. 78).

27) Pompei, VIII 7, 28 Tempio di Iside; ekklesiasterion (6); IV stile; oggi MNN, inv. 1265, 8570 8574, 8575 (Alla Ricerca di Iside 1992, pp. 55-59, nn. 1.62, 1.66, 1.68, 1.70; PPM VIII, pp. 824-840, figg. 187, 189, 205, 211; Sampaolo 2006, pp. 106-109, nn. II.40, 1.62, II.46, 1.68, II.48, 1.70).

28) Tib. I, 4, 7-8. Si vedano anche, ad esempio, Tib. I, 1, 11-12 e 17-18; Verg. ecl. VII, 33-34.

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ninteso, come più volte riscontrato dalla critica, di un contesto rustico che in età augustea – quando cioè si datano le attestazioni che vedono gli alberi associati al dio – è venato di raffinate connotazioni letterarie, un otium agre-ste che si pone come antitetico rispetto all’impegno politico e militare 29; è quella stessa vita agreste profondamente intrisa di religiosità ancestrale che è protagonista di parte della poesia di Virgilio e dei Fasti ovidiani

Pure i culti di Ecate hanno luogo nel contesto extra-urbano, boschivo in «un bosco ombroso, in una macchia appartata» 30: ma rispetto all’otium agreste dominato da Priapo, Ecate evoca il mondo della magia e presenta forti connotati inferi, è divinità liminale Ed al proposito mi permetto una breve digressione, ricordando che tradizionalmente Medea, che compie i suoi riti proprio sotto l’egida della dea, è solita preparare i suoi incanta-menti malefici mescolandoli arenti ramo, «con un ramo ben secco» (Ov. met. VII, 277) ovvero tristis Stygia ramus ab unda, «un ramo funesto proveniente dall’onda dello Stige» (Sen. Medea 804-805)

Torniamo ai putres trunci: divinità alle quali l’albero secco non appare invece mai associato, bensì definisce sempre uno spazio altro, contrapposto rispetto al temenos centrale della raffigurazione, sono Dioniso e, in una fase cronologica leggermente seriore, Iside La costruzione dei quadri per spazi distinti in questo caso è particolarmente marcata figurativamente: l’area sa-cra della divinità non solo è costituita da una vistosa architettura colloca-ta al centro del quadro, ma uno specchio d’acqua che vi corre tutt’attor-no ritaglia il suo spazio dal resto del quadro, al quale questa sorta di isola centrale può essere collegata mediante un ponte L’area sacra, l’isola, il te-menos è lo spazio cui possono accedere solo gli iniziati, ed infatti in que-sti quadri talora compaiono sacerdoti intenti a compiere riti (Fig 5; Tav I, 4) I putres trunci di contro si collocano esclusivamente nello spazio esterno al temenos, uno spazio che è di pertinenza delle divinità rustiche che non prevedono un rituale di iniziazione ma accettano una forma di partecipa-zione collettiva, ossia Priapo ed Ecate, visivamente segnalati nei quadri; non è un caso, quindi, che di contro ai sacerdoti/iniziati intenti a compiere riti per le due divinità misteriche, nel caso di Priapo o Ecate si ritrovino solo immagini di offerenti, a testimoniare una partecipazione spontanea legata a culti e credenze ancestrali

Connesso a questo aspetto ne va tenuto presente un secondo: come noto infatti, Dioniso svolge nel mito anche una funzione civilizzatrice de-terminando tra l’altro, mediante l’istituzione della ritualità, il passaggio da

29) « un mondo utopico di otium e di sereni piaceri» per citare Zanker 1989, pp 303-309

30) Ov. met. VII, 75 Properzio (II, 32, 9-10) descrive Cinzia che corre nel bosco con le torce accese per attendere ai riti della dea

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una religiosità spontanea, rustica e non normata, al culto degli dei median-te offerte e sacrifici 31 La contrapposizione di spazi di culto all’interno dei quadri può quindi essere letta anche come un’antitesi nella cultualità tra un prima rustico, spontaneo ed un dopo normato, anche attraverso l’inizia-zione degli adepti (altrove nel culto, altrove nel tempo)

Analogamente, nel caso delle pitture dal Tempio di Iside – a cui si pos-sono affiancare anche i paesaggi nilotici con pigmei parimenti caratteriz-zati dal frequente ricorrere di alberi secchi 32 – i putres trunci non compor-tano solo un riferimento al contesto nilotico, per dirla con I Bragantini «un ‘mondo altro’, la cui funzione nel sistema decorativo della casa roma-na è affidata proprio alla sua ‘alterità’, che ribadisce la ‘distanza dal mon-do reale’ ...» 33 (altrove nello spazio); essi, per contrapposizione, sottolinea-no anche l’aspetto iniziatico, simboleggiato nelle immagini dall’isolamento del luogo sacro e dalla presenza di tutti gli elementi caratteristici della ri-tualità isiaca e quindi di un culto cui è intimamente connessa l’idea della rinascita 34 (altrove nel culto)

Ruinae e putres trunci: tra senso delle rovine e oggetti desueti

Vado a questo punto a chiudere, proponendo alcune riflessioni Figurativamente, la comparsa dei due elementi nel paesaggio si collo-

ca in momenti differenti: le ruinae, attestate solo dal repertorio di IV stile, sembrano essere tema tipicamente romano, funzionale ad esprimere il disa-gio di un’epoca che portava vive le tracce di un recente passato di guerre Di contro, l’albero secco è ampiamente attestato già in età tardo-repubbli-cana, con alcuni esempi di II stile, trovando poi massima diffusione nel pae- saggio di III stile, quando il portato simbolico è molto marcato dal gioco di associazioni/contrapposizioni all’interno dei quadri; viene quindi ripre-so nell’ultima fase di vita della città, quando diventa funzionale nei con-testi isiaci

31) Ov. fast. III, 727-728: «ante tuos ortus arae sine honore fuerunt, Liber, et in gelid-is herba reperta focis»

32) Pompei, VIII 7, 24 22 Casa dello Scultore; peristilio (12); le immagini sono distri-buite lungo un fregio di ca 50 m (se ne conserva poco meno della metà), che correva sul pluteo; età tardo repubblicana o primo-augustea (PPM VIII, pp 719-726, figg 1, 3, 4, 14) Pompei, VII 7, 32 Tempio di Apollo; peristilio (A); IV stile, età neroniana (PPM Disegnatori, p 114, fig 56; PPM VII, p 295, fig 15) Pompei, VIII 5, 24 Casa del Medico; peristilio (g), lato nord del pluteo; IV stile; oggi MNN, inv 113196 (PPM VIII, p 606, fig 5) Pompei, IX 5, 9; ambiente (l), parete nord; IV stile (PPM IX, pp 504-509, figg 34-41)

33) Bragantini 2006, pp 161-163 34) Cfr de Vos 1994, pp 155-159 Proprio in uno dei paesaggi qui considerati sul sar-

cofago posa uno sparviero – o una fenice –, simbolo della rinascita di Osiride, come anche delle piene del Nilo (Sampaolo 2006, p 106)

ISABELLA COLPO580

E che proprio nel caso dei putres trunci la pittura romana recepisca il motivo iconografico dal mondo ellenistico è provato dalla loro ben nota presenza tanto nell’affresco dalla tomba di Filippo II, dove, con funzione deittica, circondano il personaggio a cavallo al centro della composizione, quanto nel mosaico con la battaglia di Alessandro e Dario

Ancora qualche riflessione sul significato degli elementi analizzati Ad un primo livello di lettura, abbiamo visto come tanto le ruinae quanto i putres trunci non siano da considerare elementi di pura invenzione, ma fa-cessero parte di una realtà ben presente allo spettatore dell’epoca, al con-tempo committente e fruitore delle immagini: la riflessione condotta sulle fonti tra I secolo a C e I d C 35 dimostra chiaramente come all’epoca fos-se già vivo quello che potremmo a ragione definire un ‘senso delle rovine’, che coinvolgeva opere umane e natura (è il senso dell’etiam periere ruinae di Lucano), nel quale era chiara una ‘distanza’ rispetto all’integritas che quelle rovine aveva generato 36, ed era proprio questa ‘distanza’ che ne garantiva (in letteratura, come anche nella resa pittorica) un significato simbolico 37

Ruinae e putres trunci sono, per dirla con la felice definizione di France-sco Orlando 38, «oggetti desueti», ossia ‘cose’ in senso materiale che hanno perso la loro reale funzione nella vita reale in quanto ‘inutili, invecchiate o insolite’ (defunzionalizzazione), ma per il rapporto privilegiato che, nella memoria collettiva, essi rivestono con la dimensione temporale, metastori-ca, veicolano sentimenti, atteggiamenti mentali (rifunzionalizzazione, fun-zione secondaria)

In quest’ottica, tanto il monumento in rovina quanto il vegetale ormai disseccato, persa la loro finalità primaria, assumono nelle rappresentazioni (ma questo vale anche in letteratura) una funzione ‘deittica’, segnalando in maniera semanticamente forte un concetto di ‘diversità’, un ‘altrove’, che a seconda del contesto può assumere connotati differenti: richiamano spe-cifiche caratterizzazioni geografiche legate al soggetto rappresentato (altro-ve nello spazio), ovvero indicano uno scarto temporale rispetto all’‘adesso’ del fruitore (altrove nel tempo); ancora, spostano la lettura del contesto su un piano più prettamente religioso (altrove nel culto) Si tratta, beninteso, di significati che non sono mai antitetici, ma spesso convivono all’interno

35) In questa sede ho dovuto per ovvi motivi presentare solo poche suggestioni fretto-lose e superficiali; rimando ora anche a Papini 2009 e Colpo 2010

36) Settis 1986, pp 377-380; Orlando 1994, p 269; Azzarà 2002, p 1 37) Di qui, il ricorrente uso delle rovine come exemplum filosofico, in particolare quale

ammonimento sulla ineluttabile caducità delle umane sorti, come ad esempio nella celebre lettera in cui Sulpicio Rufo addita la condizione di rovina delle grandi città della Grecia a consolazione del dolore di Cicerone per la morte dell’amata figlia (Cic. ad fam. IV, 5)

38) Orlando 1994: per quanto il libro volutamente si concentri soprattutto sulla let-teratura degli ultimi secoli, a partire dalla fine del Settecento, quando sembrano intensificar-si le ricorrenze di ‘oggetti desueti’, non mancano ricchi e ben commentati riferimenti alla tradizione precedente

PAESAGGIO DELL’ALTROVE 581

dello stesso contesto: in un ambito sociale e culturale in cui l’abitudine alla funzione semantica delle immagini era ben radicata, la piena comprensione di queste sfumature chiamava in campo la ‘memoria’ dell’osservatore, met-tendone alla prova la cultura in senso lato, al fine di storicizzare il messag-gio veicolato dalle scelte iconografiche operate

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FIGURE

a)

b)

c)

a) Ercolano, medaglione con paesaggio di rovine; b) Paesaggio con rovine; c) Pompei, I, 10,10.11 Casa degli Amanti; atrio (1), parete nord, tratto ovest, zona mediana. Paesaggio a

prevalenti elementi architettonici, con albero secco

FIG. 184

FIG. 185

a)

b)

a) Pompei, VII 2, 18 Casa di C. Vibius Italus; cubicolo (i). Paesaggio idillico-sacrale conalbero secco nei pressi dell’elemento centrale della composizione. Disegno DAI; b) Pompei,VII 3, 25; oecus (i). Paesaggio idillico-sacrale con putres trunces nel paesaggio che circonda

l’elemento centrale della composizione