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SALERNO EDITRICE ROMA ANTOLOGIE D’AUTORE LA TRADIZIONE DEI FLORILEGI NELLA LETTERATURA ITALIANA Atti del Convegno internazionale di Roma 27-29 ottobre 2014 a cura di ENRICO MALATO e ANDREA MAZZUCCHI

Un florilegio landiniano: le postille alla 'Commedia' di Pierfrancesco Giambullari (S.D.I., Franchetti A 51)

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SALERNO EDITRICEROMA

ANTOLOGIE D’AUTORELA TRADIZIONE DEI FLORILEGINELLA LETTERATURA ITALIANA

Atti del Convegno internazionale di Roma 27-29 ottobre 2014

a cura di

ENRICO MALATO e ANDREA MAZZUCChI

ISBN 978-88-8402-999-7

Tutti i diritti riservati - All rights reserved

Copyright © 2016 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la ri produzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effet tuati, senza la preventiva autorizzazione scritta della Sa lerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

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Ciro Perna

Un florilegio landiniano: le postille alla Commedia di pierfrancesco

giambUllari (s.d.i., franchetti a 51)*

Seppure un florilegio del Comento sopra la ‘Comedia’ di Cristoforo Landino, una selezione delle sue fortunatissime glosse, le postille giambullariane al Dante aldino, segnato Franchetti A 51 alla Società Dantesca Italiana,1 possono testimoniare un superamento del ri-

* Questo studio è stato certamente agevolato dalla disponibilità mostratami dai funzionari della Biblioteca della Società Dantesca Italiana, a cui va il mio ringrazia-mento. Sono grato, inoltre, a Simone Albonico e Paolo Procaccioli per la lettura in bozze di queste pagine.

1. Ridotti e limitati gli studi relativi alle postille, che consistono sostanzialmente nelle segnalazioni di P. Colomb de Batines, Bibliografia dantesca […], Prato, Tip. Aldina, 1845-1846, 3 voll. [nuova ed. anastatica con una postfaz. e indici a cura di S. Zamponi, Roma, Salerno Editrice, 2008], ii pp. 359-60; M. Barbi, Lettori e commen-tatori della ‘Commedia’. Gli Accademici fiorentini, in Id., Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Pisa, Nistri, 1890, pp. 180-235, a p. 198; C. Valacca, La vita e le opere di messer Pierfrancesco Giambullari. Parte prima 1495-1541, Bitonto, Garofalo, 1898, p. 64; P. Fio-relli, Pierfrancesco Giambullari e la riforma dell’alfabeto, in « Studi di filologia italiana », xiv 1956, pp. 177-210, a p. 194 n. 80: « questo esemplare [scil. Franchetti A 51] essendo integro, è diverso da quello mutilo già esistente nella Palatina », su cui poco prima nella medesima n.: « il catalogo del fondo Palatino della Biblioteca Nazionale di Firenze registra di quell’edizione un prezioso esemplare senz’ancora, con com-mento ms. del Giambullari autografo, manca il primo foglietto; senonché alla se-gnatura indicata (C 10 2 2) il volume non si trova e ogni ricerca che ho fatto fare è risultata vana »; nonché nelle descrizioni contenutistico-strutturali offerte in N. Bianchi, Le stampe dantesche postillate delle biblioteche fiorentine, Roma, Salerno Editri-ce, 2004, pp. 80-81 (anticipata in Ead., Brevi note su alcuni postillati danteschi, in « Studi danteschi », lxvii 2002, pp. 201-18, alle pp. 217-18), e in S. Albonico, Pierfrancesco Giam-bullari, in Autografi dei letterati italiani, sez. iii. Il Cinquecento, a cura di M. Motolese, P. Procaccioli, E. Russo, consulenza paleografica di A. Ciaralli, ivi, id., ii 2014, pp. 201-16, a p. 205 num. 4: « Firenze, Biblioteca della Società Dantesca Italiana, Franchetti A 51 (olim Collezione Libri, olim Firenze, Biblioteca Palatina, olim Col-lezione Franchetti) ». Sui passaggi di mano dell’aldina, e in generale sulla non chia-ra storia della trasmissione dell’esemplare, Simone Albonico mi segnala che la prima affermazione sopracitata di Fiorelli può essere contestabile poiché – consi-derato che le postille vanno dalla c. C4r sino alla Y3v – se si osserva la c. C3, che tra

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corso esclusivo al metodo esegetico letterale – il « far piano et aper-to quel tanto che nella […] bella corteccia si contiene » –,2 in dire-zione di quella amplificazione delle prospettive di approccio critico agli endecasillabi danteschi, palesata poi dai suoi scritti piú maturi, in particolare a seguito dell’ingresso nell’Accademia Fiorentina.3

Sarà utile premettere che non nuova era per il canonico di San

l’altro è quasi staccata e mostra di essere stata incollata, si rileva che: 1) contraria-mente alla successiva, sbordata irregolarmente e con perdite di materiali, questa è perfettamente rifilata; 2) solo da c. C4 le carte sono numerate in alto a destra, mentre le precedenti non presentano numerazione; 3) a partire da c. C4 si rilevano vistose tracce di umidità, assenti invece nelle carte precedenti, brunite e con mac-chie ditate; 4) da c. C4r in poi sono aggiunte testatine manoscritte che numerano i canti, assenti invece nelle carte precedenti. Da questi rilievi si può concludere che l’esemplare Franchetti è stato completato con l’aggiunta (o la sostituzione?) delle carte fino alla C3: potrà dunque coincidere con l’esemplare Palatino? Allo stato attuale delle conoscenze, non essendo chiara l’entità della mutilazione di quest’ul-timo (il generico « primo foglietto » mancante rilevato nella descrizione del cata-logo Palatino può significare tutto e il contrario di tutto), non è possibile esclude-re alcuna ipotesi, nemmeno quella, invero poco economica, dell’esistenza di due stampe aldine con postille giambullariane nella medesima sezione Inf., viii-Par., iv (Franchetti e Palatina).

2. M. Barbi, Commento sopra il i canto dell’ ‘Inferno’ di Pier Francesco Giambullari, in Id., Della fortuna, cit., pp. 365-404, a p. 365.

3. Non esiste un quadro critico d’insieme sugli scritti danteschi di Giambullari, che, oltre al commento a Inf., i e alle postille inedite al Dante aldino, consistono in quattro lezioni accademiche (sul sito del Purgatorio, sulla carità, sugli influssi cele-sti e sull’ordine dell’Universo), pronunciate tra 1541 e 1548 e stampate in P.G., Lez-zioni lette nell’Accademia Fiorentina, Firenze, L. Torrentino, 1551, nonché nel pamphlet del 1544 De ’l síto, fórma et misúre dello ‘Inférno’ di Dánte, pubblicato in grafia ortofo-nica dal misterioso Neri Dortelata (forse alter ego dell’autore); l’unico contributo critico – tuttavia parziale e limitato alle prime due lezioni accademiche – rimane A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia Fiorentina: note alle lezioni su Dante di Pierfrancesco Giambullari, in « Medioevo e Rinascimento », n.s., xiii 2002, pp. 217-40. In relazione al dantismo cinquecentesco degli Accademici, invece, cfr. almeno Barbi, Lettori e commentatori, cit.; A. Vallone, L’interpretazione morale e filologica nel-l’età dell’Accademia Fiorentina, in Id., Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, nuova ed. a cura di A. Balduino, Milano, Vallardi, 1981, 2 voll., i pp. 385-439; G. Mazzacurati, Dante nell’Accademia Fiorentina (1540-1560). Tra esegesi umanistica e ra-zionalismo critico, in Id., L’albero dell’Eden. Dante tra mito e storia, a cura di S. Jossa, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 33-91, nonché, sulla pratica della lectura Dantis negli ambienti accademici, C. Perna, La « lectura Dantis » come genere boccacciano (un excursus diacronico), in Boccaccio editore e interprete di Dante. Atti del Convegno interna-

le postille alla commedia di p. giambullari

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Lorenzo la pratica di antologizzare testi: in gioventú, infatti, allestí una raccolta lirica, in massima parte contemporanea o recente, non senza recuperi della tradizione fiorentina e toscana piú antica, te-stimoniata dal ms. – in parte autografo – Magliabechiano VII 371.4 Accanto a 37 componimenti di stampo petrarchista – 15 sonetti, 13 madrigali, 6 canzoni, 3 sestine –, composti dallo stesso Giambullari, che si firma senza apparenti motivi « P. Lari » (ma compaiono anche altri autori designati con cognome abbreviato o addirittura in si-gla),5 sono reperibili nel codice, infatti, 248 testi dei vari Sannazzaro, Rucellai, Bembo, Gelli, Brevio, Alamanni, Michelangelo, ma an-che di Guittone d’Arezzo, Fazio degli Uberti, Cino da Pistoia, non-ché il sonetto attribuito a Dante Io son sí vago della bella luce, la cui pa-ternità, invece, è certamente dello stesso Cino.6

Se incerta è la datazione delle postille al Dante aldino – affinità grafiche nel modulo e nel ductus con una lettera a Pier Francesco Riccio del 2 febbraio 1541 lascerebbero propendere per una colloca-zione piú o meno coeva,7 anche alla luce della probabile destinazio-

zionale di Roma, 28-30 ottobre 2013, a cura di L. Azzetta e A. Mazzucchi, ivi, id., 2014, pp. 437-49, partic. pp. 441-43.

4. Una descrizione del ms. è reperibile in D. De Robertis, Censimento dei mano-scritti di rime di Dante (i), in « Studi danteschi », xxxvii 1960, pp. 141-273, alle pp. 204-5. Cfr., inoltre, I. Bonomi, Notizia bio-bibliografica, in P. Giambullari, Regole della lin-gua fiorentina, a cura di I.B., Firenze, Accademia della Crusca, 1986, pp. xi-xviii, alle pp. xiii-xiv; Dante Alighieri, Rime, a cura di D. De Robertis, Firenze, Le Lette-re, 2002, 3 voll., i. I documenti, pp. 235-36, e Albonico, Pierfrancesco Giambullari, cit., p. 204 num. 16.

5. Cfr. D. Moreni, Saggio di poesie inedite di Pierfrancesco Giambullari […], Firenze, presso la Stamperia Magheri, 1820, p. viii. Sui componimenti che Giambullari in-serisce nella raccolta magliabechiana e in particolare sul suo usus poetico mi ripro-metto di tornare in un prossimo contributo.

6. Per una definizione testuale del componimento entro le cosiddette “rime spurie” di Dante vd. A. Manzi, Le rime spurie di Dante. Studio ed edizione, Tesi di Dottorato in Filologia Moderna (xxvi ciclo), tutor Prof. C. Calenda, Università di Napoli « Federico II », 2014, pp. 252-62. Un regesto completo degli incipit e dei rispettivi autori di tutti i componimenti trascritti nel cod. Magl. VII 371 è in Inven-tari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, a cura di G. Mazzatinti, Forlí, Bordanini, vol. xiii 1905-1906, pp. 75-79.

7. Cfr. Albonico, Pierfrancesco Giambullari, cit., p. 210.

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ne d’uso di queste notule, quale strumento di servizio per il com-mento alla Commedia che Giambullari andava elaborando in quegli anni –,8 sicura invece è l’autografia, come dimostra la firma apposta in chiusura della prima cantica, a c. 80v (tav. 1), nonché il riscontro di quasi tutte le caratteristiche grafiche giambullariane, tra le quali vale la pena ricordare in questa sede la scarsa inclinazione, l’esiguo ricorso a legamenti tra lettere o, per quanto riguarda l’esecuzione di queste ultime, su tutte, la d di tipo onciale, con l’asta allungata a si-nistra e piegata verso il basso che si alterna con quella tendente alla verticalità.9 Caratteristiche queste, riscontrabili sia nelle (poche) po-stille vergate con un modulo piú arioso, come quelle a c. 34r per i primi versi di Inf., xv (tav. 2), sia nelle notule di modulo minore co-me nel margine inferiore e nell’interlinea a c. 75r per la parte con-clusiva di Inf., xxxii (tav. 3), dove per altro risulta contraddetto un altro marchio di fabbrica della grafia giambullariana, ovvero la scar-sa propensione a compendiare i tratti, in questo caso del tutto pre-vedibile, visto il ridotto specchio di scrittura offerto dai margini del-la tascabile aldina.

8. Dagli Annali dell’Accademia Fiorentina, reperibili nel ms. Firenze, Bibl. Ma-rucelliana, B III 52, apprendiamo che il 14 gennaio 1542 veniva approvata la parte di commento relativa alla prima cantica (« fu approvato l’opera di M. Pierfrancesco Giambullari cioè il suo Comento sopra l’Inferno di Dante », c. 12r). Tracce di questo commento, che per esplicita volontà dell’autore mai arrivò ai torchi, sono reperi-bili nelle lezioni dantesche di Giambattista Gelli (per cui vd. Letture edite e inedite di Giovan Battista Gelli sopra la ‘Commedia’ di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze, Bocca, 1887, 2 voll.), che ricevette da Giambullari le carte con l’ordine di non pub-blicarle: il calzolaio fiorentino se ne serví comunque per le sue lecturae, citando, talvolta alla lettera, passi giambullariani, come dimostrato e ricostruito da Barbi, Lettori e commentatori, cit., p. 198 n. 2. Cfr., inoltre, V. Sorvillo, Pierfrancesco Giam bul-lari, in Censimento dei commenti danteschi. 2. I commenti di tradizione a stampa (dal 1477 al 2000) e altri di tradizione manoscritta posteriori al 1480, a cura di E. Malato e A. Maz-zucchi, Roma, Salerno Editrice, 2014, pp. 32-37. Nulla esclude, comunque, che le postille giambullariane potessero rappresentare, secondo un’ipotesi che mi segna-la Paolo Procaccioli, degli spunti finalizzati a una qualche pratica di lettura (o per-sino un corso). Se non esiste traccia, tuttavia, negli annali dell’Accademia di lecturae cicliche o isolate di Giambullari, salvo le già ricordate lezioni, è anche vero che il dantismo in quegli anni aveva trovato rinnovato vigore e le iniziative di cui non è rimasta memoria potrebbero essere molteplici.

9. Cfr. Albonico, Pierfrancesco Giambullari, cit., p. 206.

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Le ristrette dimensioni del libro imponevano al postillatore, per di piú, un’attenta gestione degli spazi, che si traduce non solo in talora drastiche modalità di escissione delle chiose scelte, ma so-prattutto in una irregolare o comunque mai univoca mise en page delle stesse, trascritte nei soli margini interni o esterni, come a c. 97v a proposito del primo canto della valletta antipurgatoriale (tav. 4), a cornice, come a c. 53r per le chiose della prima parte di Inf., xxiii (tav. 5), nell’interlinea, come a c. 120r per le glosse alle parole di Marco Lombardo (tav. 6), sino al caso limite, non raro, in cui la par-te iniziale della nota è nel margine e la parte finale nell’interlinea o viceversa, come a c. 134v per la glossa a Purg., xxii 130 (tav. 7).

Se non è difficile immaginare il motivo che spinse Giambullari a scegliere il commento landiniano, un must per i cultori primocin-quecenteschi dell’esegesi alla Commedia,10 meno comprensibile ap-pare la decisione di ripercorrerne la sezione da Inf., viii 116 a Par., iv 40, con estemporanee incursioni nel blocco paradisiaco x-xii:11 una selezione forse riconducibile al carattere stesso dell’operazione, che doveva verosimilmente rappresentare, come accennato, una sorta di prontuario esegetico – probabilmente anche “mobile” e aperto nel tempo a nuove integrazioni, sempre nei limiti degli spazi con-cessi dalla stampa aldina – funzionale al suo coevo commento alla Commedia. Nonostante questa destinazione, per cosí dire, “servile”, è possibile comunque individuare nelle postille un metodo di fon-do, un criterio, nell’antologizzazione di un imponente apparato di chiose come il Comento, e, nel risultato complessivo, una evoluzio-ne della prassi esegetica giambullariana, che, nel commento a Inf., i,12 puntava tutto, come anticipato, sull’interpretazione letterale.

10. Sulla fortuna cinquecentesca del Comento landiniano vd. P. Procaccioli, Introduzione, in C. Landino, Comento sopra la ‘Comedia’, a cura di P.P., Roma, Salerno Editrice, 2001, 4 voll., i pp. 9-105, alle pp. 92-104 (d’ora in poi Landino), nonché M. Barbi, Lettori e commentatori della ‘Commedia’. Cristoforo Landino, in Id., Della fortuna, cit., pp. 146-79, alle pp. 176-79.

11. Se dovesse essere confermata l’ipotesi già accennata di una sostituzione delle carte sino alla C3, ovvero sino a quella che precede l’attuale inizio delle postille, nulla escluderebbe che il lavoro giambullariano fosse stato esteso in origine anche a segmenti infernali precedenti.

12. Uno dei due manoscritti che tramandano il commento, il Venezia, Bibl.

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Se il primo livello di scelta nella pratica dell’allestimento del flo-rilegio attiene al piano macrostrutturale, ovvero alle cantiche e ai blocchi di canti selezionati, un secondo livello riguarda, invece, la tipologia delle chiose che Giambullari decise di trascrivere dall’ipo-testo landiniano: la scelta del postillatore è orientata in egual misu-ra verso quelle note che si soffermano sul chiarimento del senso letterale, della « sententia », e di quello allegorico, con una marcata (e prevedibile) prevalenza di quest’ultima tipologia in particolare nel segmento finale del Purgatorio, all’altezza della processione del paradiso terrestre; sbilanciate verso un quasi esclusivo ricorso alle glosse di chiarimento del letterale risultano, invece, le postille ai primi quattro canti paradisiaci (dato, questo, forse meno prevedibi-le). Vengono tralasciate, poi, tutte le digressioni del Landino (dot-trinarie, filosofiche, teologiche), mentre in diversi casi sono recupe-rate quelle storiche e mitologiche, soggette comunque, come le al-tre, a tagli piú o meno cospicui.

Alcuni esempi potranno chiarire meglio il modus operandi di Giambullari, alla luce naturalmente del testo landiniano: nella scel-ta delle chiose letterali il postillatore segue generalmente la via del taglio, sia esso della fonte citata a corredo dal Landino, oppure, ove presente, della parte allegorica, fatta seguire da quest’ultimo, come da prassi, al disvelamento della lettera. Per il primo caso valga la glossa a Purg., xv 16-24, dove è omessa la fonte esplicitamente citata dal commentatore, il Libro della proprietà degli elementi, mentre è re-cuperato piú o meno ad litteram e comunque non senza sfrondature, il chiarimento della « sententia »:13

Naz. Marciana, Marc. Ital. XIV 50, autografo, reca in testa la data 1538; l’altro testi-mone, il Firenze, Bibl. Riccardiana, 2115 (R II 4), di dubbia autografia, è di poco posteriore e databile comunque entro la prima metà degli anni ’40. Cfr. Albonico, Pierfrancesco Giambullari, cit., risp. p. 205 num. 23 e pp. 204-5 num. 22.

13. Le frecce nella colonna di sinistra indicano la dislocazione spaziale delle postille sui vivagni dell’aldina e il simbolo ≠ denota il posizionamento interlineare, mentre nella colonna destra si fa riferimento al testo procurato in Landino, Co-mento sopra la ‘Comedia’, cit. Le postille saranno trascritte con criteri marcatamente conservativi, laddove i miei interventi sono limitati allo scioglimento, senza segna-lazioni, della scriptio continua e delle abbreviature.

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Giambullari (c. 116v)

← La sententia è che tale luce re-fleza parve a Dante che gli percotes-si la faccia. → Idest riflecte nella parte oposita, perché ritorna in su nel modo che escie. ← Idest dife-rente dal cadere della pietra imperò che la pietra cade con distantia. Di-mostra che e’ razi della luce che lo ferirono erono per reflezione et di-ce che la luce che veniva da l’angelo in lui era razo, el quale dalla divina grazia percoteva l’angelo et quivi reflexo percoteva lui. Questi angeli e quali truova ha ogni balzo sieno le divine grazie.

Landino (p. 1272)

La sententia è che tale luce refle­xa parve a Danthe, che gli per­cotessi la faccia, quale è el razo el quale scende dal sole nell’acqua o nello spechio, et riflectesi nella parte opposita, perché ritorna in su per pari modo, che scese. Imperoché chome el raggio del so-le scende sanza distantia di tempo, chosí sanza distantia sale questa re-flexione; et tanto, cioè in tanto, si par-te, i. è differente dal cader della pietra, imperoché la pietra cade con distantia, in equal tracta, i. in pa-ri tracto. Imperoché se una pietra in pari tempo scendessi dal sole, che scende el razo, molto piú tardi giu-gnerebbe la pietra, che el razo. El caso della pietra secondo Alberto, nel Libro della proprietà degl’elementi, è decta per certa translatione una li-nea indocta a piombo dal centro del sole sopra e nostri capi, perché la pietra, che cade, viene al basso a piombo. Il perché vuole nel mede-simo libro, che gl’Ethiopi, che habi-tano tra ’l tropico estivo et lo equi-noctiale, habbino due ardentissimi stati, perché el sole passa due volte el caso della pietra sopra e lor capi. Adunque inferisce Danthe, che e razi dell’angelo a piombo gli venno-no; chome mostra experientia, la quale è manifesta, et arte, i. la prospectiva, che di questo assegna la ragione. La prospectiva è parte di philosophia, et parte di geometria. Et non sanza cagione dice, che e razi della luce,

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che lo ferieno, erono per refle­xione; imperoché vuol dimostrare, che la luce, la quale veniva dall’angelo in lui era razo, el quale dalla divina luce percotea l’angelo, et quivi riflexo perco­tea Danthe. Et noi intenderemo che questi angeli, e quali truova a ogni balzo, sieno le divine gra­tie, cioè la preveniente, la illumi-nante, la cooperante, et la consu-mante. Mediante le quali l’huomo conosce la bruttura del peccato, et la belleza della virtú, et nascegli vo-lontà di fuggir quella, et seguir que-sta, et in tal volontà diventa forte, et corroborato, et costante; et che Danthe faccia tecto agl’ochi con le mani, per poter sostener tanto splendore, che la sensualità si fa avanti con le buone opere, le quali son significate per le mani.

Sono reperibili, comunque, casi in cui Giambullari sceglie di al-legare alle sue postille anche le fonti direttamente menzionate da Landino, sempre al netto di talvolta considerevoli recisioni, come a proposito della dote costantiniana in Inf., xix 115-17, dove dell’ultima terzina del sonetto petrarchesco Fiamma del ciel su le tue treccie piova (Rvf, cxxxvi) citata da Landino,14 Giambullari trascrive esclusiva-mente il v. 12, « Già non fustú nudrita in piume al rezzo », o come per l’interpretazione del « suppe » di Purg., xxxiii 36, dove, a seguito dell’esposizione letterale, il postillatore trascrive verbatim la glossa del suo ascendente in cui è riportata una nota de « lo Imolese » (Ben-venuto da Imola), nonché, con interventi per sottrazione, la parte in cui è citato il « figliuolo di Danthe » (Pietro Alighieri, iii red.):

14. « con giusta indegnazione insurge el Petrarcha contro alla chiesa apostolica dicendo: “già non fustú nutrita in piume al rezo, Ma nuda al vento et scalza tra gli stecchi; Hor vivi sí che a Dio ne vengha lezo” » (Landino, p. 765).

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Giambullari (c. 160r)

↓ Suppe, idest vane defentione de-gl’huomini. Dice lo Immolese che in Firenze era opinione che chi ha-vessi comesso omicidio et mangias-si sopra al corpo del morto una zup-pa, non poteva di poi per vendetta esere morto. Et poi figliuolo di Dante nel comento di questa Come-dia lo raferma et dice che e parenti del morto guardavano la sepoltura 9 giorni.

Landino (p. 1545)

I. vane difensione degl’huomi­ni. Riferisce lo Imolese che in Fi­renze era oppinione che chi ha­vesse conmesso homicidio et mangiassi sopra el corpo del morto una zuppa, non potea di­poi per vendecta esser morto. Et el figliuolo di Danthe, el quale comentò questa Comedia, afferma che in questi tempi quando alchuno de’ grandi cittadini era stato ucciso nella nostra città, e propinqui guar­davono la sepultura insino in no­ve giorni che alchuno non vi man-giassi su zuppa.

Non dovrà inoltre essere taciuto, ancora a proposito del rapporto tra il postillatore e le fonti citate piú o meno esplicitamente nel commento del Landino, un caso ben noto nel panorama degli anti-chi commentatori, ovvero una sorta di appropriazione indebita di dati esegetici preesistenti.15 È il caso della glossa a Inf., xiii 151, rela-tiva all’identificazione del suicida fiorentino in Rocco de’ Mozzi, a proposito della quale Landino riporta l’interpretazione di un gene-rico « alchuni »,16 mentre Giambullari la riferisce in prima persona, seppure attenuando la certezza dell’informazione mediante il ver-bo in apertura (« Credo »):

15. Cfr. ad es. il caso dell’ “Amico dell’Ottimo”, discusso in C. Perna, Prolegomena all’edizione della « terza redazione » dell’ ‘Ottimo commento’: ‘Purgatorio’ e ‘Paradiso’. ii. Esege-si tra compilazione e riscrittura, in « Rivista di studi danteschi », xi 2011, pp. 63-108, alle pp. 67-69, o l’esempio di Serravalle con la fonte benvenutiana, evidenziato in G. Ferrante, Il commento dantesco di Giovanni da Serravalle e l’ascendente benvenutiano: tra compilatio “d’autore” e riproduzione inerziale, in La filologia dei testi d’autore. Atti del Semi-nario di Roma, 3-4 ottobre 2007, a cura di S. Brambilla e M. Fiorilla, Firenze, Cesati, 2009, pp. 47-71.

16. Sui precedenti esegetici dell’identificazione vd. la nota ad loc. proposta da Procaccioli in apparato (Landino, p. 658).

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Giambullari (c. 31v)

→ Credo che il poeta voglia dire di Rocco de’ Mozi, il quale, consuma-te le sue ricchezze, s’impichò.

Landino (p. 658)

Ma alchuni vogliono che intenda di messer Rocco de’ Mozzi, el quale consumate le sue ricchez­ze molte e varie, per fuggir gli sten-ti della povertà s’impiccò.

Ancora connessa ad un tentativo di appropriazione della propo-sta esegetica landiniana è l’operazione rinvenibile nella chiosa a Purg., xxvii 97, dove, in riferimento alla figura di Lia, il commenta-tore si palesa in prima persona (« stimo »), mantenuta dal postillato-re con una adiaforia verbale (di nuovo « credo »), prova di un delibe-rato atto di manipolazione e personalizzazione della fonte:

Giambullari (c. 146r)

→ Credo in questo luogo ponga Lia per dinotare l’huomo che è già pur-gato da vitii ↓ si exserciti nel paradi-so tereste […].

Landino (p. 1447)

In questo luogo stimo ponga Lya per dinotare che l’huomo già purga-to da’ vitii s’exerciti nel paradiso ter-restre […].

Per quanto riguarda il taglio della esegesi allegorica, poi, è em-blematica la chiosa a Purg., xx 100-2, in cui Giambullari sceglie di trascrivere esclusivamente la parte iniziale che spiega la « senten-tia », relativa agli uffici diurni degli avari purganti sulla quinta corni-ce, omettendo appunto la lunga coda allegorica offerta da Landino:

Giambullari (c. 129r)

→ idest quanto dura el dí, tanto so-no occupate queste anime in referi-re gli exempli di Maria et de gl’altri liberali et spezatori delle riccheze.

Landino (p. 1357)

La sententia è che quanto dura el dí, tanto sono occupate que­ste anime in riferire gl’exempli di Maria et de gl’altri liberali, et sprezatori delle riccheze; […] né è sanza allegoria questo luogho. Im-peroché come piaccion gl’exempli già detti a chi si purga dell’avaritia, chosí gli dispiaccion quegli, che al presente si pongon […].

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Piú rari gli esempi in cui il postillatore copia, quando disponibili, entrambe le parti della glossa, letterale e allegorica; si tratta, per al-tro, di casi che appaiono quantitativamente contenuti e molto piú gestibili entro gli spazi offerti dall’aldina, come la nota a Purg., xiii 76-78, relativa alle capacità di Virgilio di prevenire i desideri di Dan-te lungo il cammino sulla cornice di Sapia:

Giambullari (c. 112v)

← Idest intendeva Virgilio quello che io volevo dire benché io nol di-cessi, idest la ragione intende l’ape-tito benché non parli.

Landino (p. 1250)

Intendea Virgilio quello che io vo-levo dire benché io nol dicessi. Et certo la ragione intende l’appetito benché esso non parli.

Numerosi, invece, i casi in cui, di fronte a una chiosa costruita sulla doppia linea letterale e allegorica, Giambullari sceglie solo la seconda interpretazione, tralasciando la prima generalmente per-ché « il velo è […] tanto sottile » e il « trapassar dentro è leggero » (Purg., viii 20-21), come per la glossa a Inf., xviii 70-72, a proposito della salita sul ponticello della prima bolgia, dove vengono omesse le stringate parti relative alla « lectera »:

Giambullari (c. 41v)

← Allegoricamente dice che haven-do avuto cognitione della fraude in genere ↓ facile cosa era conoscere questa spetie et chi cercha la cogni-tione delle cose sempre va a dextra.

Landino (p. 740)

Quanto alla lectera dimostra el ca-mino non essere faticoso; et alle­goricamente significa che ha­vendo havuto la cognitione del­la fraude in genere, facile chosa era conoscere questa spetie; a man dextra: secondo la lectera era necessario tenere in su la man dex-tra, ritta, volendo salire al ponte; et allegoricamente sempre va a ma-no dextra chi cerca la cognitio­ne delle cose.

Il taglio della lunga digressione sulle sirene e sul relativo episodio di Ulisse, offerta dal Landino nella glossa a Purg., xix 19-21, a propo-sito della femmina balba, « dolce sirena », andrà verosimilmente ri-

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condotto, piuttosto, alla sfera quantitativa, allo sforzo cioè del po-stillatore di una piú agevole e razionalizzata gestione degli spazi, che ha determinato la sola trascrizione del breve epilogo allegorico sui « marinari », che « sono quelli che si lasciano trasportare dall’ap-petito et questi son quelli che l’apetito e piaceri mondani lusingano et alettano a sé » (c. 125v ←).17

Di non modesta quantità, come accennato, le digressioni di ca-rattere storico trascritte nelle postille, tuttavia soggette in manie-ra ancora piú evidente alla pratica del taglio. È il caso, ad esempio, della chiosa relativa a Capocchio in Inf., xxix 133, nella quale Giam-bullari omette per amputazione tutta la seconda parte su un aned-doto tra il personaggio infernale e Dante in vita, nonostante avesse

17. Di seguito la chiosa del Landino: « Questa donna cantando dicea esser sire-na. Il che accioché apertamente s’intenda, fingono e poeti, che le sirene furono tre figluole d’Acheloo fiume, et di Calliope, chosí decte da un verbo greco, che signi-fica “collegare” et “ritenere”, et non “tirare” chome molti dicono, perché e poeti le pongono per le voluptà corporee, et pe’ dilecti delle chose mondane, e quali in forma intrigano et legano e nostri sensi, che non ce ne sappiamo partire. Et benché molta varietà sia nel numero di queste et ne’ nomi, nientedimeno e piú docti pon-gono tre sirene, Parthenope, Leucosia, et Ligia; voglono che habitassino in certi scogli in Sicilia appresso al monte Peloro, le quali cantavano sí dolcemente, che tiravano a sé e navicanti con la dolceza del canto; et dipoi gli divoravono in forma, che non ne rimaneva se non l’ossa. Et agiungne Homero che Ulixe navigando per que’ mari, temendo che el canto non lo tirassi andare a lloro, si fece legare all’albe-ro della nave, et per non udire si turò gl’orecchi con la cera. Et certo è vero, che e falsi dilecti delle chose mondane, et transitorie, con lor dolci lusinghe ci tirono ad amargli, et dipoi ci divorano, perché tali voluptà ci tolgono le forze del corpo et e beni della fortuna, et la sapientia dell’animo. Il perché ne rimagnamo mal sani, poveri, infami, sanza riputation, et sanza doctrina. Ma Ulixe, cioè l’huomo savio, accioché le lusinghe di queste voluptà non lo tirino, si fa legare all’albero della na-ve, che significa la temperantia dell’animo, la quale lo ritiene, che non caggia nelle voluptà, et la cera con che si tura gl’orecchi, è la forteza, che l’arma contro agl’em-piti furiosi della sensualità. Onde passa appresso alle sirene; né è preso da lloro, perché el savio havendo già facto habito nelle virtú non può essere coinquinato da’ vitii. Vedi adunque perché Danthe chiama questa sirena, et perché cagione essen-do questa brutta, quando Danthe, i. la sensualità, la guata, diventa bella; ch’e marina-ri in mezo el mar dismago: el mare ponemmo disopra per l’appetito; adunque e ma­rinari sono quegli, che si lasciano trasportare dall’appetito, et questi son quegli, che e piaceri mondani lusingono et allectono a sé » (Landino, pp. 1337-38).

le postille alla commedia di p. giambullari

535

a disposizione, nel margine inferiore di c. 68r, lo spazio potenziale per trascriverla:

Giambullari (c. 68r)

→ Dicono costui fu sanese et studiò con Dante in filosofia naturale et divenne dottisimo et per ½ di quella ↓ s’afaticò in trovare la vera archi-mia et non potendo trovarla si dette alla sofisticha et falsò gli metalli.

Landino (p. 952)

Havea Capocchio dimostro molti altri Sanesi, et hora vuol dire di sé. Chostui fu sanese et dicono che insieme con Danthe studiò in philosophia naturale, et diven­ne doctissimo, et per mezo di quella molto s’affaticò in volere trovare la vera alchimia, et non potendo trovarla finalmente si decte alla sophistica, et falsò soctilmente e metalli. Dicono al-cuni che el giorno del venerdí san-cto lui abstracto in meditatione di-segnò nelle sue unghie tutto il pro-gresso della passione di Christo; et sopragiugnendo Danthe, con la lingua la cancellò. Il che fu molesto a Danthe, perché gli parea piú mira-bile opera che di colui che scripse sí sobtilmente la Iliade d’Homero che la mettea in uno guscio di noce.

O ancora come per la chiosa a Purg., vii 94, relativa a Rodolfo d’Asburgo, prima anima del catalogo di principi negligenti men-zionata nella Spoon River sordelliana sul « fianco de la lacca » (v. 71), in cui Giambullari riassembla in una concisa postilla le poche noti-zie ereditate dalla ricca e approfondita nota landiniana:

Giambullari (c. 98v)

← Costui fu tedescho et acquistò el ducato di Svevia et fu huomo potente in militia al tempo di papa Gregorio X.

Landino (p. 1159)

Chostui fu tedescho, et acqui­stò el ducato di Svevia, et con-cedectelo ad Alberto suo figluo-lo. Et facto imperadore regnò .xx. anni. Uccise in battagla el re di Boe-

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mia, el qual non si degnava ubbi-dirgli. Questo fu negl’anni della salute .m.cc.lxxvii. Ma dipoi si ri-conciliò col figluolo, et elesselo in genero, et ristituigli el regno di Boemia. Fu huomo giusto et reli-gioso; et molto potente in mili­tia. Et se fussi venuto in Italia, la riducea tutta al suo imperio. Il perché il poeta l’accusa di negli-gentia, perché papa Gregorio decimo l’havea electo, perché ri-correggessi Italia. Et dipoi andassi all’acquisto di Terra sancta. Ma lui cupido di signoria oltramontana non volle passare. Ma concedecte a papa Nicola de gl’Orsini Bolo-gna et la Romagna. Il che significa el poeta dicendo « et non muove boccha a gl’altrui canti ».

Alla luce di queste glosse sarà necessario indugiare sul terzo livel-lo nella pratica antologizzante di Giambullari, ovvero le modalità con cui trascrive ed eredita le glosse landiniane che ha scelto di in-serire nel suo florilegio. Al grado zero si pongono naturalmente quelle chiose riprodotte alla lettera e che, innanzitutto per motivi di spazio, sono in genere quelle piú brevi, come nel caso di diverse note introduttive ai canti integralmente trascritte. Emblematica, ad esempio, la nota in apertura di Purg., xxxi:

Giambullari (c. 154v)

≠ Contiene questo trigesimo primo canto come da Beatrice fu doman-dato el poeta se l’acusa sua era vera. Di poi la confesione del poeta con somma contrittione per la quale meritò potere pasare el fiume et di quello gustare; et finalmente fu condotto nel cospetto di Beatrice.

Landino (p. 1509)

Contiene questo trigesimo primo canto come da Beatrice fu doman-dato el poeta se l’accusa sua era vera. Dipoi la confessione del poeta con somma contritione, per la quale meritò potere passare el fiume et di quello gustare; et finalmente fu condocto nel conspecto di Beatrice.

le postille alla commedia di p. giambullari

537

Vale la pena menzionare, inoltre, la chiosa a Par., iii 127, unica della terza cantica trascritta ad litteram, tutta focalizzata sul disvela-mento dell’allegoria sottesa alla sfolgorante luce dell’anima di Bea-trice nel cielo della Luna, a conferma di quell’ampliamento dell’o-rizzonte esegetico giambullariano verso un altrove, una « veritade ascosa »,18 raggiungibile oltre l’evidenza letterale del testo:

Giambullari (c. 170r)

→ Quanto piú alto c’inalziamo nel-la contemplatione della teologia, tanto magio splendore delle cose di-vine apare in quella, in forma che da prima lo inteletto humano v’abaglia come l’ochio a’ razi del sole.

Landino (p. 1612)

Quanto piú alto c’innalziamo nella contemplatione con la theologia, tan-to maggiore splendore delle chose divine appare in quella, in forma che da prima lo intellecto humano v’abbaglia chome l’occhio a’ razzi del sole.

A gradi superiori di intervento sono collocabili, invece, le nume-rosissime glosse in cui Giambullari opera delle manipolazioni, che, come anticipato, si traducono innanzitutto in vere e proprie sforbi-ciate, non di rado orientate, comunque, verso una piú o meno ra-gionata escissione della sua fonte, come per la glossa a Inf., xvi 118, che conserva tutta la sua funzionalità pur essendo considerevol-mente snellita rispetto al modello landiniano:

Giambullari (c. 38r)

← Otimo precepto che quando sia-mo apreso de gl’huomini savi, do-biamo non solamente notare e fatti e le parole, ma ogni minimo gesto et cenno.

Landino (p. 715)

È optimo precepto che quando siamo appresso de gl’huomini savi et licterati, et e quali stimiamo niente fare a chaso o sanza exquisita ragione, dobbiamo con somma at-tentione observare et notare non solamente e facti et le parole, ma ogni minimo gesto et cenno, per-ché chostoro non veggono solamen-te l’opra, cioè quello che è presente, ma con gl’occhi della mente mirano l’effecto che ne debba sequire.

18. Cfr. Conv., ii 1 3.

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O ancora come per la nota a Purg., vi 28-33, sulla « quistione » del-l’efficacia delle preghiere negata dalla Sibilla al Palinuro virgiliano, che sembra allo stesso modo mantenere la sua efficacia esegetica, no-nostante il taglio della citazione virgiliana e una marcata, quanto ine-vitabile, frantumazione della linearità e fluidità sintattica:

Giambullari (c. 95r)

→ Muove Dante uno dubio ha Vir-gilio, dicendo: « Costoro hanno spe-ranza che ’ prieghi fatti a Dio per loro facinno che el termine della pena s’abrievii ». Idest che Idio non si pieghi per prieghi. Idest conchiu-de che non dubitando lui che Virgi-lio erri o costoro habin vana speran-za, riman dubio.

Landino (p. 1135)

Muove Danthe una quistione a Virgilio dicendo: « Costoro han­no speranza, che e prieghi facti a Dio per loro, faccino, che el termine della pena s’abbrevii. Et tu in alchun tuo texto dimostri che Idio non si pieghi per prieghi ». Imperoché nel sexto preghando Pa-linuro, che Enea lo passi Acheron-te, la Sybilla risponde: « Desine fata deum flecti sperare precando ». Et conchiude che non dubitando lui, che Vir. erri o costoro hab­bin vana speranza, riman du­bio.

Si rileva per di piú in questa chiosa la presenza di una variante lessi-cale (« dubio » versus « quistione »), secondo un modus operandi non raro nell’operazione giambullariana (ritornando, infatti, alla chiosa a Purg., xv 16-21, si rintraccia un « escie » versus « scese » del testo lan-diniano, o a Purg., xxxiii 36 « parenti » contro il « propinqui » dell’a-scendente): varianti che, tra l’altro, non interessano soltanto le glos-se del Landino ma talvolta, ed è questo un importante elemento che testimonia anche le velleità filologiche di Giambullari, il testo della Commedia stampato nell’aldina. È il caso, ad esempio, di Inf., xxxiii 86 (« D’haver tradita te de le castella », c. 77r), ove il secondo emistichio, lezione vulgata, è corretto da Giambullari in « colle ca-stella », ripristinando cosí la forma riprodotta nel Dante del Comen-to.19 In Inf., xvi 88 (« Un amme non saria potuto dirsi », c. 37v), invece,

19. Cfr. Landino, p. 1006, e Dante Alighieri, La ‘Commedia’ secondo l’antica vul-

le postille alla commedia di p. giambullari

539

il postillatore emenda per integrazione, apponendo un titulus sul lemma « amme » – attestato in diversi codici della vulgata, « forma popolare, quindi ammissibile » –,20 ancora allineando il verso alla lezione del Dante landiniano.

Al limite di questa tipologia di operazioni di natura interventista si pongono da un lato una riduzione estrema, laddove la glossa del Comento è addirittura prosciugata, divenendo variante sinonimica del dettato dantesco, e dall’altro una manipolazione volta alla con-densazione della fonte, che quasi subisce un intervento di riscrittu-ra.21 Per il primo caso è significativa la nota a Inf., viii 124, trascritta da Giambullari nell’interlinea e ridotta a un lemma alternativo a « tracotanza »:

Giambullari (c. 20r)

≠ idest presuntione.

Landino (p. 541)

Adunque non è nuova, cioè inusitata, questa lor tracutanza, cioè presump­tione et impudente audacia. Onde di sobto dice « la tracutata schiatta », cioè baldanzosa et temeraria.

O ancora le scarne glosse paradisiache nel blocco dei canti x-xii, in cui il postillatore si limita a trascrivere nei margini cursorie infor-mazioni, come in Par., xi 44, dove accanto al nome « Ubaldo » re-periamo la postilla « heremita » (c. 187v →), o al v. 107 dello stesso canto la notula « le stigmate » accanto al sintagma « l’ultimo sigillo » (c. 188v →), entrambe estrapolate dalle corrispondenti, ma piú am-pie e articolate, chiose landiniane.22

gata, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Lettere, 1994 (2a rist. riveduta), 4 voll., ii p. 572. Sul Dante del Comento vd. Procaccioli, Introduzione, cit., pp. 74-77, nonché, per la prima cantica, Id., Filologia ed esegesi dantesca nel Quattrocento. L’ ‘Inferno’ nel ‘Comento sopra la Comedia’ di Cristoforo Landino, Firenze, Olschki, 1989, pp. 38-129.

20. Dante Alighieri, La ‘Commedia’, cit., ii p. 269; cfr. Landino, p. 710. 21. Per la terminologia adottata in riferimento al trattamento riservato da

Giambullari all’ipotesto landiniano (« escissione », « amputazione », « condensazio-ne ») rimando naturalmente a G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, trad. it., Torino, Einaudi, 1997, partic. pp. 273-98.

22. Queste le corrispondenti glosse landiniane: « Costui fu prima heremita in

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540

Piú rari ma altrettanto rilevanti gli esempi di riscrittura, come nella chiosa a Purg., xxi 7-9, sulla prima apparizione dell’anima di Stazio, ove, insieme all’omissione della fonte neotestamentaria ci-tata da Landino (Luca), risulta piuttosto marcato il riassetto sintat-tico e strutturale che Giambullari conferisce al suo ascendente (pre-servandone, tuttavia, la significazione e il movimento di insieme):

Giambullari (c. 130r)

→ Dimostra qui che Statio aparse et fa la comparatione di Cristo quando risuscitò et aparse a dua discepuli et mostra lui Statio le cagioni di quelli acidenti già detti.

Landino (p. 1363)

Et per comparatione dimostra, se-condo che scrive Luca al .xxiiii. cap., chome Christo di proximo ri-sucitato, et già surto, i. elevato, fuori della buca sepulcrale, i. del sepolcro, apparendo in via a due discepoli, e quali andavano in Emau, sotto for-ma di peregrino, dichiarò molte cho-se della sacra scriptura, chosí Statio dimostrò a Danthe le cagioni de-gl’accidenti già decti.

Non è questa la sede, infine, per discutere delle (pochissime) postille singolari rinvenibili nella stampa Franchetti,23 ovvero quei luoghi che si discostano dalla fonte landiniana. Valga a titolo esem-plificativo la nota a Inf., xvi 82-84, dove a proposito del topos già omerico del ricordare le fatiche (Od., xv 400-1), Giambullari alle-ga una citazione senechiana (Herc. Fur., 656-57),24 divergendo dalla

questo monte, di poi fu vescovo d’Agobbio » (p. 1727); « Tornato in Italia si riduxe nell’aspro monte della Vernia el quale è tra Tevere et Arno, nel quale faccendo gran-dissima penitentia, ricevette le stigmate da Christo, le quali el poeta chiama sug-gello. Sono decte stigmata, perché “stigin” in greco significa “bactere, et bactendo lasciare el segno” » (p. 1733).

23. Ne ho individuate in un primo spoglio solo due oltre a quella citata, entram-be nella prima cantica, ovvero Inf., x 112 (c. 24r →) e xi 96 (c. 26r ≠), ove il postilla-tore propone rispettivamente una breve nota sulle ultime parole rivolte da Dante a Farinata e una variante sinonimica al lemma « groppo », non rinvenibili nelle chiose landiniane. Sulla questione mi riservo di tornare eventualmente in un altro contributo, se a seguito di una sistematica collazione tra le postille giambullariane e il Comento dovessero presentarsi dati piú cospicui.

24. « quae fuit durum pati, / meminisse dulce est ». Per una discussione delle

le postille alla commedia di p. giambullari

541

glossa del Landino, che a sua volta menziona un generico Cicerone (verosimilmente De fin., ii 105):25

26

Giambullari (c. 37v)

← Item quod fuit durum pati me-minisse dulce est.26

Landino (p. 710)

Cioè quando uscito di sí pericolosi luoghi et ridocto in luogo sí chiuso ti gioverà narrare le cose passate. Imperoché chome dice Cicerone, ricordarsi del passato pericolo poi che siamo ridocti nel sicuro ci dà vo-luptà e piacere.

Se queste postille sembrano offrire, tutto sommato, pochi pro-gressi nell’ambito degli studi sulla esegesi alla Commedia, dovranno comunque considerarsi un documento di rilievo nell’attività dante-sca di Giambullari, meritevole – e in attesa – di uno studio critico complessivo, oltre che una traccia inedita della fortuna cinquecen-tesca del Comento landiniano, di cui potranno persino essere consi-derate una sorta di testimone indiretto e parziale.

fonti del passo cfr. Seneca, Hercules furens, Einleitung, Text, Übersetzung & Kom-mentar von M. Billerbeck, Leiden-Boston-Köln, Brill, 1999, pp. 423-24.

25. « Quid, si etiam iucunda memoria est praeteritorum malorum? Ut prover-bia non nulla veriora sint quam vestra dogmata. Vulgo enim dicitur: “Iucundi acti labores”, nec male Euripides (concludam, si potero, Latine; Graecum enim hunc versum nostis omnes): “Suavis laborum est praeteritorum memoria” ». Ma cfr. an-che Cicerone, Ep. ad Fam., v 12 4 (« habet enim praeteriti doloris secura recordatio delectationem »).

26. La citazione allegata da Giambullari è reperibile anche nella Nova esposizione di Vellutello, che vedeva la luce nel 1544: « onde Sen. ne le tragedie: “Que fuit du-rum pati meminisse dulce est” » (A. Vellutello, La ‘Comedia’ di Dante Aligieri con la Nova esposizione, a cura di D. Pirovano, Roma, Salerno Editrice, 2006, 3 voll., i p. 470). Vista la fortuna dei versi senechiani, intesi come una sorta di espressione proverbiale e sentenziosa (tanto piú che se ne registra la presenza anche in alcuni commenti anteriori – le Chiose Filippine, le Chiose Ambrosiane, Serravalle e Nibia –, e successivamente in Daniello, sui quali vd. la nota in apparato fornita nell’ed. Pi-rovano a p. 470), pare ardito – e non necessario – ipotizzare per la glossa singolare giambullariana un rapporto di parentela con la piú o meno coeva esegesi del com-mentatore lucchese o con gli altri esempi appena citati.

1. Società Dantesca Italiana, ms. Franchetti A 51, c. 80v.

3. Iv

i, c.

75r

.2.

Ivi,

c. 3

4r.

4. Iv

i, c.

97v

.5.

Ivi,

c. 5

3r.

6. Iv

i, c.

120r

.7.

Ivi,

c. 13

4v.