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Alle origini del documento mercantile. Postille intorno al Rendiconto navale pisano, in Filologia italiana, 6 (2009)

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Direttori · EditorsSimone Albonico (Lausanne) · Stefano Carrai (Siena)

Vittorio Formentin (Udine) · Paolo Trovato (Ferrara)

*

Comitato di lettura · RefereesGino Belloni (Venezia) · Saverio Bellomo (Venezia)

Lucia Bertolini (Chieti-Pescara) · Guido Capovilla (Padova)Paolo Cherchi (Chicago) · Claudio Ciociola (Pisa, «Normale»)

Luciano Formisano (Bologna) · Giorgio Inglese (Roma, «La Sapienza»)Guido Lucchini (Pavia) · Livio Petrucci (Pisa)

Marco Praloran (Lausanne) · Brian Richardson (Leeds)Francisco Rico (Barcelona) · Claudio Vela (Cremona-Pavia)

Massimo Zaggia (Bergamo) · Tiziano Zanato (Venezia)

*

Redazione · Editorial AssistantFabio Romanini (Novedrate, e-Campus)

*

«Filologia italiana» is a Peer-Reviewed Journal

*

Per la migliore riuscita delle pubblicazioni si invitano gli autori ad attenersi, nelpredisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme

specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali,Pisa-Roma, Serra, 20092 (ordini a: [email protected]).

Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabileOnline alla pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net.

ALLE ORIGINI DEL DOCUMENTO MERCANTILE.POSTILLE INTORNO AL

«RENDICONTO NAVALE» PISANO*

Antonio Ciaralli**Università di Perugia

Secolo xii, intorno o dopo la metà

endiconto di spese sostenute fra cui numerose registrazioni relative al pagamen-to per la fornitura di materie prime, manufatti e prestazioni d’opera per la costru-

zione (o la manutenzione) di una o più navi, ovvero parti di nave, ‹da guerra›.

O r i g i n a l e (?). Philadelphia, Free Library, Cod. Lewis European 136, c. I’ [A].Edd. Baldelli 1973, pp. 5-6 (Ba); Castellani 1973, pp. 128-130 = Castellani 1982, pp. 3-6 (edizione che,rispetto alla precedente, sopprime i doppi punti connotativi della cifra e introduce il punto altonella locuzione «A·restaiolo» di r. 1) (Ca); PetrucciL 2000, p. 19, per le prime 15 righe del testo (Pe).

Cfr. Mosino 1975 e 1976; Antoni 1977; Paglia 1979, pp. 1-6; Poggi Salani 1992, p. 405; Manni 1994,pp. 297-98; Bartoli Langeli 2000a, p. 15.

La pergamena, che misura mm 273/274 × 197/195, è di mediocre qualità, con un palese difetto diconcia nel margine destro in corrispondenza del quale lo scrittore ha accorciato le righe di scrit-tura. La cattiva lavorazione della pelle ha comportato anche un’ampia trasparenza del derma all’altezza della metà superiore estesa alle prime nove righe. Altri danni, fra cui ampie rifilaturedei margini superiore, sinistro ed inferiore e diffuse rasure sono dovute alle modalità di riutiliz-zazione e conservazione.

L’entità della rifilatura a sinistra, qui valutata per lo spazio occupato all’incirca da tre lettere –fatta esclusione delle due sicuramente integrabili –, lascerebbe la possibilità, in prima riga, di piùampie ricostruzioni. Si potrebbe così affiancare all’invocatio verbis una invocazione per signum cru-cis, se la documentazione pisana della seconda metà del secolo xii non risultasse spesso priva diinvocazioni simboliche.

Nell’edizione che segue sono in corsivo le lettere inespresse nel compendio abbreviativo, men-tre la punteggiatura originale, costituita da punto semplice, viene resa con un punto alto sul ri-go. A questo proposito si deve osservare che, nonostante la grande congruenza e solidità degliusi interpuntivi dello scrivente (punto a conclusione di unità sintagmatiche e per delimitare le ci-fre), l’esistenza di alcune eccezioni (si vedano, per es., le rr. 5, 6 e 7) impedisce di restituire il pun-to laddove poteva esistere, ma un guasto della pergamena, o la rasura di questa, non lo rende og-gi verificabile (dunque da r. 16 in poi vengono indicati solo i punti chiaramente visibili e non sono

* Le pagine che seguono costituiscono in primo luogo la fusione di interventi tenuti in due semina-ri svoltisi nei mesi di maggio degli anni 2001 e 2004 presso il Centro per lo studio della cultura medieva-le della Scuola Normale Superiore di Pisa per l’interessamento e la sollecitudine di Armando Petrucci:ringraziarlo non mi solleverà dai debiti con lui contratti, ma lo faccio con affetto profondo. Ragioni dispazio e di opportunità non mi consentono di trattare ora gli aspetti codicologici del documento che,già scritti, conto di pubblicare prossimamente. Nel corso degli anni il testo ha ricevuto miglioramenti damolte persone; fra tutti devo un particolare ringraziamento agli amici Attilio Bartoli Langeli, Massimi-liano Bassetti, Nello Bertoletti, Vittorio Formentin, Vincenzo Matera e Giuseppe Scalia. È mio deside-rio, infine, pubblicare queste postille in ricordo di Ignazio Baldelli.

** [email protected]

«filologia italiana» · 6 · 2009

R

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restituiti quelli indicati come presenti da Baldelli nella medesima area). L’assimilazione di l da-vanti a sonante è resa con trattino congiuntivo (a-restaiolo r. 1, a-maestro r. 12), una scelta con-venzionale motivata dalla necessità di dissimilare la registrazione del fenomeno fonosintattico eil segno grafico adottato per la punteggiatura (e ciò anche in contrasto con altri usi del trattinoin edizioni di testi in lingua e primo fra tutti quelli messi in atto da Gianfranco Contini nei Poetidel Duecento ove con lineetta è reso il raddoppiamento di n nelle proclitiche davanti a vocale, lagiunzione del verbo al soggetto posposto, ecc.).

Si rimane incerti su come sciogliere i compendi monetari, dallo scrivente resi o per tronca-mento (sol), o per contrazione e troncamento (dr) o, ancora, per contrazione (lis). Proprio que-st’ultima abbreviatura (con segno abbr. generico a forma di tilde), risolvibile unicamente nellasola forma latina li(bra)s (di cui più sotto), induce a usare anche per le altre il latino. L’impossi-bilità di proporre a r. 20 uno scioglimento del compendio viene indicata con asterisco sol*.

[I]n(ª) nomine D[omi]ni, ammen(b). ∙ A-restaiolo ∙ libras ∙vi∙, al marmuto [solidos(b)……………………………|2 di t]imone(c) ∙ solidos ∙xxv∙, in remora ∙ col(d) filio Orselli ∙ solidos[∙]xxx∙, alo ispornaio ∙ solidos ∙xxxx∙, in [……..|3 .. d]enarios(e) ∙iiii∙, in sorti ∙ denarios ∙iii∙, con-ciatura ∙ denarium ∙i∙, in canapi ∙ii∙ denarios ∙xvii∙, in sinopita ∙ denarium ∙i∙, serratura di ti-mo|4[n]e(f) ∙ solidos ∙iiii∙ e denarios ∙vii∙, al restaiolo ∙ solidos ∙xx∙, in timone ∙ libras ∙v∙, alo ispor-naio ∙ solidos ∙xx∙, a Gherardo Cigul[o(g)|5 in(h)] taule ∙ solidos xl∙, alo ispornaio ∙ solidos ∙xx∙, adAmico ∙ solidos ∙xx∙, iscaricatura(i) ∙ denarios ∙xii∙, intra guardatura|6 [e] discaricatura ∙ denarios∙xvii∙, a Bonacio ∙ solidos ∙xx∙, serratura ∙ di matieia ∙ denarios ∙xxviiii∙, a Ramondino ∙ filio Or-si(j)|7 [so]lidos xv e denarios ∙viii∙ di subielli, ∙ in corbella ∙ denarios ∙ii∙, intra marcho e(k) sorti eserra denarios ∙xv∙, serratura di cora|8[.]e(l) ∙ denarium ∙i∙, in legname da colonne ∙ denarios ∙xiii∙,ad Amico ∙ solidos ∙xxv∙, in coppi ∙ denarios ∙ii∙, adesatura di serra|9 denarios ∙iii(m), ad Amico ∙solidos ∙v∙, nelo lecio ∙ solidos ∙x∙, taliatur[a], d[olatur]a(n) e aducitura(o) ∙ denarios ∙xxi∙, inn agu-ti|10 denarios ∙iii∙, Anrigo fece dare alo(p) restaiolo ∙ solidos ∙xx∙, intra Oghicione e Pisanello ∙ li-bras ∙iii∙, inn amschcre(q) ∙|11 [d]enarios ∙xx∙, serratura di timone ∙ a Pilotto ∙ denarios ∙xxxiiii∙, invino denarios ∙iiii∙, pisone di boteghe ∙ denarios ∙xxxxi,|12 [i]n sorti ∙ denarios ∙v∙, inn aguti ∙ ispan-nali ∙ denarios ∙xii∙, in vino ∙ denarios ∙v∙, aductura di remora ∙ denarios ∙iiii∙, a-maestro|13 [d]i(r)mannaia ∙ denarios ∙vi∙, a Gualandello ∙ denarios ∙vi∙, a Oghicione ∙ solidos ∙xx∙, a Pilotto ∙ solidos∙iii∙ e denarios ∙v∙ serra|14[t]ura ∙ e dela pianeta ∙ denarios ∙xviiii∙, dispennatura di timone ∙ dena-rios ∙iiii∙, in pece ∙ solidos ∙xxvii∙,|15 [e] denarios ∙v∙, alo ispornaio ∙ solidos ∙xx∙, a Guala[ndellodenarios](s) ∙viii∙, disscaricatura di quatrati ∙|16 [………](t) denarios [.]ii(u), in trivelle ∙ denariosx[……….] denarios ii[..], [a](v) Martino testore ∙ denarios ∙v∙|17 [.. t]aul[e …….]xx[…](w), a pola-mari serratu[r]a [di matieia](x) ∙ denarios [.]xx, [in] sorti ∙ denarios ∙iiii∙|18 […]no[..] denarios ∙vii(y),in p[a]li(z) denarios vi, [serrat]ura(ªª) di [quat]rati ∙ denarios ∙xii∙, in pechi denarios ∙xii,|19 [……]denarios xiii(bb), a Mo[…] denarios(cc) […. a]ductura d[i] re[m]ora denarios v, a ma[noa]le(dd) de-narios ii(ee)|20 [………………………………………] solidos v, salvamento(ff) di taule sol*(gg)|21[……………………………………………………..] in ol[.]no[….](hh)|[…](ii).

(a) Si scorge il secondo elemento della n. (b) Si scorgono i tratti sul rigo di sol. (c) della i si scorge so-lo un modesto tratto di penna lungo il margine. (d) o scritta nell’interlinea. (e) Ba integra sorti in fi-ne della riga 2, ma si tratta di congettura non facilmente giustificabile sulla base dei pochi segni di pen-na che ancora si conservano all’altezza del rigo di scrittura. (f ) Si scorge il secondo tratto di n. (g) BaCiguli, ma l’integrazione di una i appare dubbia anche a Pe: offre particolare difficoltà l’andamento ricurvo del tratto ancora visibile, una caratteristica che si oppone alla secca verticalità della lettera i. (h)L’integrazione è proposta in nota in Ba, ma altrettanto legittima sarebbe l’integrazione di suggerita innota in Ca. (i) s corr. da r o da n principiata. ( j) r corr. da s con parziale rasura del tratto superiore.(k) Della e non è visibile l’occhiello. (l) Ba propone in nota la lettura corale, Paglia corabe. (m) La ter-za unità della cifra sembra aggiunta in un secondo momento, come pare per la forma ricurva (e dunqueanomala) che essa assume e per il fatto, meno significativo, che manca, dopo la cifra, il punto distintivo.(n) La lettu ra è realizzata in Ba con l’ausilio della lampada di Wood. (o) Nell’interlinea tra a e d è unbreve tratto di penna a forma di virgola interpretabile come l’inizio dell’asta della d incongruamente an-ticipata e quindi abbandonata. (p) l corr. su lettera principiata, forse d. (q) Così A; per Ba la parola è

postille intorno al «rendiconto navale» pisano 23

«di non facile soluzione», ammesso il significato di ‘cibo distribuito’ «sarà forse da spiegarsi con incrocie compresenze di derivati da (ad-)miscere, miscitare, misculare». (r) Si scorge l’asta della d. (s) Integrazione in Ba. (t) Ba […] in vino; Ca dr. xii. In vino. (u) Ba V.; Ca … e la nota «Si vedono due astic-ciole, a una certa distanza da dr.; forse la prima di esse terminava un u». (v) Integrazione proposta inBa. (w) Ba […] xxx; Ca in nota: «Non chiaro il terzo x». (x) Integrazione proposta in Ba che in notaosserva: «la lettura di matieia non è certa». (y) Ba vi. (z) Integrazione proposta in Ba; Ca in nota: «Nonsicure le due vocali». (aa) Ca Iscaricatura di quatrati con in nota: «Non sicuro “Is-”»; Ba […]. (bb) Caxii. (cc) Si scioglie al plurale il compendio visto lo spazio della successiva lacuna. (dd) Ba manoale, chein nota è dichiarata lettura «non certa»; Ca manoale e in nota: «Non sono sicure le lettere noa e l’e finale».(ee) Ca vi. (ff) Ca in nota: «La t di salvamento è aggiunta sopra il rigo, fra n e o». (gg) La lacuna ren-de impossibile lo scioglimento dell’abbreviazione. (hh) Lacuna non esattamente determinabile. (ii)Lacuna non esattamente determinabile.

1.

Lo studio del Conto navale pisano (denominato da qui in avanti, per le ragioni che ver-ranno meglio precisate, Rendiconto) è rimasto, da quando venne scoperto nel 1973 ricicla-to come carta di guardia posteriore del codice European 136 della Free Library di Phila-delphia (Fig. 1),1 appannaggio quasi esclusivo degli studiosi di storia della lingua italiana.2Se bene si può comprendere l’interesse suscitato dal documento nei linguisti per l’anti-chità della testimonianza in volgare, risulta meno facile capire le ragioni del silenzio dispecialisti di altre discipline, i quali pure dovevano trovarvi spunti di notevole interesse.3

In verità, dopo il saggio di Ignazio Baldelli e le coeve precisazioni di Arrigo Castella-ni, non pare che vi sia molto da aggiungere. Si ricorderà che il primo, dopo avere datatolo scritto, su base paleografica e codicologica, tra la fine del secolo xi e i primi decennidel secolo seguente, individuò nel pisano l’ambito linguistico di appartenenza; circo-stanza che gli consentì di identificare uno dei personaggi menzionati (Gherardo Ciguli)4

1 Il ritrovamento, favorito dalla descrizione del manoscritto in de Ricci 1937 – «On the verso of thelast f. […] some accounts in Italian (sec. xii? including such items as in legnamine da colonne)», nº 125, p.2047 – e nel contemporaneo Wolf 1937 (p. 150), si deve a Ignazio Baldelli che ne pubblicò il testo accom-pagnandolo con un’accuratissima esegesi (Baldelli 1973). Arrigo Castellani poté inserire prontamente unasua edizione nel volume dedicato a I più antichi testi italiani (Castellani 1973 e 19762) ripubblicandone l’edizione in Castellani 1982, rispettivamente pp. 3-6 e tav. 1. Fugace il cenno in Bartoli Langeli 2000a, p.15 (vengono fornite due righe del testo), che si segnala qui per l’originale trascrizione di «i’scaricatura» e«in traguardatura».

2 Alcuni aspetti lessicali sono stati approfonditi da Mosino 1975, continuato da Mosino 1976 e da Paglia1979; ma nessuna storia della lingua italiana, o delle lingue più in generale romanze, tralascia di farnemenzione. Si vedano quindi Franceschini 1977 e 1985, Poggi Salani 1992, Manni 1994, PetrucciL 1994, Meneghetti 1997, PetrucciL 2000. Parte del lessico attestato dal Rendiconto è riportata in Tolaini 1999. Uni-ci a occuparsi del Conto pisano al di fuori dell’ambito linguistico – a parte una veloce segnalazione divul-gativa in Antoni 1977 con una riproduzione del documento – sono stati, a quanto mi è noto, gli storici della scrittura, e un’analisi paleografica dettagliata è in Miglio 1986, pp. 86-90; si veda ancora Mastruzzo2003. Veloce e tradizionale la citazione del documento in Nicolaj 2003, par. 4.

3 Analogo il rimprovero di Adolf Schaube a proposito dei frammenti del libro dei conti di mercantifiorentini: «Un residuo della tenuta di libri mercantili si è conservato nei frammenti del libro di commercio di una ditta fiorentina di cambiatori dell’anno 1211: le edizioni di questo antico monumento,che appartiene ai più antichi della lingua volgare italiana, hanno di mira l’interesse linguistico di esso epoco si è rivolta l’attenzione al suo contenuto»: Schaube 1915, p. 135. Per la valutazione di alcuni aspettidella produzione mercantile proprio con riferimento al Rendiconto e ai conti dei banchieri bolognesi siveda Bartoli Langeli 1989, p. 14.

4 «La datazione che si è proposta per la nostra carta – primi decenni del secolo xii – invoglia a iden-tificare il nostro Gherardo Ciguli con un Gherardo Ciguli indicato, in due documenti, uno del 1129 euno del 1142, come proprietario di terra in una zona fra la via comunale e l’Arno, a sud di Calci […]

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e di fornire una spiegazione del contenuto: una serie di registrazioni relative alle spesesostenute da una consorteria di mercanti per la costruzione di una galea, una nave – con-cludeva Baldelli – forse destinata a una delle imprese guerresche pisane dei primi decennidel xii secolo.1 Il fatto poi che le spese fossero state effettuate da più persone riunite inconsorzio è la necessaria conseguenza, osservava, della presenza di Anrigo che fece dareuna certa somma al restaiolo: «nominare un pagatore una sola volta vuol forse dire chedi solito i pagamenti venivano effettuati da qualcun altro di ciò espressamente incarica-to e che eccezionalmente e direttamente una volta è intervenuto un altro socio».2

Nel ripubblicare il testo Castellani puntualizzò alcuni aspetti osservando, tra l’altro,che proprio di navi da guerra (galee) doveva trattarsi, visti i numerosi pagamenti effet-tuati allo ispornaio, cioè all’artigiano che forniva lo sperone, che è, spiegava, quel «pez-zo aggiunto, utile a combattere e non a navigare». Tuttavia, «non concordando in tut-to e per tutto con l’amico Baldelli», propose anche un’interpretazione parzialmentediversa del Rendiconto. Nel rilevare, infatti, l’assenza «di pagamenti per parti di navi es-senziali e centrali» e, soprattutto, sulla scorta delle quattro menzioni proprio dello spe-

L’antroponimo Gherardo è uno dei più frequenti a Pisa nel secolo xii […] mentre Cigulo è bene atte-stato, ma, come si è visto, di non grande frequenza: l’ipotesi più economica a questo punto è che ilGherardo Ciguli della nostra carta e il Gherardo Ciguli delle due carte suddette siano la stessa persona»(Baldelli 1973, pp. 16-17).

1 Baldelli 1973, p. 31.2 Baldelli 1973, p. 12 (e prima, p. 11). «E si ricordi che la nostra carta allude chiaramente a una orga-

nizzazione consortile di mercanti che tenevano la direzione economica della costruzione» ha poi ribadi-to lo stesso in Baldelli 1978, p. 189.

Fig. 1. Philadelphia, Free Library, Lewis European 136, c. I’.

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ronaio (quando «Di speroni, per galea, ce n’è uno solo»), suppose che la lista di spesepotesse riguardare «piuttosto che la costruzione a cominciar dalla chiglia d’una sola ga-lea, il raddobbo e l’allestimento, per fini militari, d’un certo numero di galee (e forsed’altri legni) già esistenti». Ne conseguiva la possibilità che il documento fosse il «riepi-logo delle spese sostenute per l’armamento d’una squadra navale del Comune. Vien dapensare – concludeva – alla spedizione delle Baleari celebrata dal Liber Maiolichinus».1

Le interpretazioni proposte dai due studiosi, attente alla corretta comprensione deltesto, si fermano all’aspetto descrittivo/narrativo e nulla dicono sul perché sia statoscritto: dei suoi scopi, dunque, e delle sue funzioni. Chi ha realizzato (cioè chi ha ordi-nato di scrivere e chi ha materialmente scritto) quella pergamena, quali gli obiettivi chesi riprometteva di raggiungere e quali, infine, le funzioni assolte da quella scrittura, so-no domande che attendono ancora una compiuta risposta.

2.

Spesso il Rendiconto pisano è stato ritenuto un atto privo di concreto valore giuridico, inquanto si direbbe sprovvisto di quei formalismi necessari per ricondurre un genericoprodotto documentario entro le tradizionali categorie della prassi negoziale. Il conte-nuto e le modalità redazionali della preziosa testimonianza sembrano lasciare ampiospazio a interpretazioni meramente contabili, oppure, più genericamente, ad memoriamretinendam.2 Si tratta, infatti, di una scrittura che, pur giunta mutila della sua porzioneinferiore, non pare attribuibile (per ragioni grafiche e per modalità redazionali) alla pen-na di un notaio. Essa, peraltro, non sembra essere stata destinata a lunga conservazio-ne, visto che ben presto, si presume ancora entro quel medesimo secolo xii in cui ven-ne alla luce, fu impiegata come materiale di riuso. Tuttavia, al di là delle apparenze econtro una visione troppo statica e assoluta del principio di giuridicità, quello testimo-niato dal Rendiconto deve essere considerato come un documento giuridicamente rile-vante, anche se iuxta propria principia.

3.

La negazione del profilo giuridico del documento ebbe una prima formulazione, seb-bene in forma incidentale e sussidiaria, nella discussione sorta in merito alla scritturacon la quale il testo è vergato. Fu Baldelli, nel corso di un intervento al seminario pe-rugino su Alfabetismo e cultura scritta, a osservare che «L’assetto grafico del testo ci por-ta in ambienti diversi da quelli notarili e vescovili, in cui la scrittura di carattere librarionon veniva adibita a scopi documentari e legali», precisando che «La grafia […] si op-pone alla dominante notarile dei documenti del tempo».3 All’obiezione mossa allora daArmando Petrucci, per il quale si tratta, al contrario, proprio di una grafia simile allescritture dei coevi notai pisani,4 Baldelli replicò sostenendo l’appartenenza di quel testo

1 Castellani 1977, pp. 126-27 (l’impresa, com’è noto, avvenne tra il 1113 e il 1115).2 Alla categoria degli scritti ‘memorativi’ dedica lucide osservazioni PetrucciA 2002, pp. 119-21, senza

peraltro menzionare il documento in questione. 3 Baldelli 1978, p. 189.4 «È una scrittura certamente vicina alla carolina libraria, ma lo è in quanto nella zona pisana in quel

periodo anche coloro che rogavano atti notarili usavano una scrittura di quello stesso tipo» e dunque «chiha scritto la carta pisana ‹è› un laico, e un laico che ha imparato a scrivere a scuola di un notaio, o co-munque fuori di un ambiente tradizionale di scuola» (così PetrucciA 1978, p. 192). In seguito lo studiosopreciserà la sua posizione riferendo a un «ambiente artigiano-mercantile, e dunque laico» lo scriventedella carta: PetrucciA 1988, p. 1204.

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a un ambiente certamente laico, ma riconducibile a un ambito di cultura letteraria piut-tosto che notarile.1 L’argomento fu ripreso da Luisa Miglio, per la quale il Rendicontorappresenta «il primo testimone di una ‘coscienza del volgare’, di un uso della nuovalingua non episodico e funzionale ad esigenze giuridiche, ma autonomo».2 La studiosaprecisò, inoltre, che niente «richiama usi notarili proprii della documentazione latina»,a parte la scrittura e l’invocazione al nome di dio in latino e che, anzi, anche «quel-l’adusata invocazione iniziale si potrebbe interpretare non solo – o non tanto – come laconsapevole utilizzazione di una formula notarile, ma anche come un modo, molto me-dievale, di mettere se stesso e il proprio operare nelle mani del Signore usando quellepoche parole latine che lo scrivente aveva tante volte detto o sentito pronunciare […].Parole che gli erano note e familiari nel suono più che nella resa grafica se quando letraduce in segni non lo fa, come probabilmente avrebbe fatto chiunque avesse consue-tudine con la pratica notarile, usando le appropriate abbreviazioni, ma per intero».3

Anche Livio Petrucci, nella sua rassegna dei più antichi testi in volgare pisano, ha in-serito il Rendiconto nel novero dei «testi pratici» da lui definiti come quei «testi redatti dalaici o religiosi per le esigenze della vita economica di un singolo, di un gruppo o di unente religioso».4

Il costante richiamo alla produzione documentaria di tipo notarile spiega perché ilRendiconto non apparterrebbe a quella categoria: redatto da una persona di presumibi-le istruzione laica, dalla mano educata a un modello grafico librario (Baldelli), ovveroprovvista di atteggiamenti simili alle coeve scritture notarili (Armando Petrucci, Mi-glio); con contenuti di carattere contabile non facilmente riconducibili al contesto di piùconsueti rapporti contrattuali; privo di aspetti apertamente formulari atti a garantirnel’autenticità, esso sarebbe perciò stesso un ‘non documento’ e, di conseguenza, risulte-rebbe destituito di ogni forza legale, costitutiva o probatoria che fosse. Il tutto in per-fetta aderenza col tradizionale insegnamento ottocentesco incline a classificare tipi do-cumentari analoghi nella categoria delle scritte: documenti non notarili, diversi da questiultimi per natura e forme.5

1 «Che il conto navale pisano sia di ambiente laico, è il senso di tutto il mio discorso; ma la grafia delconto mi fa pensare più a un letterato che a un notaio: non quindi scuola notarile, ma libraria, e dunquemagari religiosa» (Baldelli 1978, p. 193).

2 E così continua: «È verosimile perciò che chi scrisse l’elenco delle spese navali non appartenesse agliambienti cui, per tradizione, era riservato l’uso della scrittura e del latino; non un notaio […] né tanto-meno un ecclesiastico, ma un laico attivo in una città che tra xi e xii secolo fu una delle più fiorenti po-tenze marittime del Mediterraneo» (Miglio 1986, pp. 86-87).

3 «In nomine Domini, amen comincia il documento, ma non è assurdo credere che in questa stereoti-pata formula si condensasse tutto il bagaglio latino dello scrivente; niente altro, nella Carta, richiama usinotarili proprii della documentazione latina, a parte la scrittura – una carolina ancora eseguita con pen-na a punta sottile – che riecheggia modi che furono proprii dei contemporanei notai pisani» (Miglio 1986,pp. 87 e 88). Tuttavia, come si può verificare dall’edizione qui proposta, il nome della divinità è espressoproprio nel consueto compendio abbreviativo.

4 Condividono la medesima categoria il testo di Pietro Corner, le Decime di Arlotto, l’inventario di beni e decime della chiesa di Santa Maria di Fondi, la Memoria di Coltibuono, i cosiddetti Ricordi veronesie i Conti di banchieri fiorentini (PetrucciL 1994, pp. 60-64: in particolare le pp. 60-61 per il Rendiconto, mentre la citazione è tratta da p. 50).

5 La scritta è «un atto di buona fede tra privati in forma privata; è un ricordo di un’azione di caratte-re legale, ma non ancora legalmente autenticata, ovvero di un accordo fatto a voce, che comunementedicesi ‘mercato’: è, in generale un atto preparatorio del documento notarile […]. Anche nelle caratteri-stiche estrinseche la scritta differisce dal documento notarile: ché non v’è intervento né sottoscrizionedi rogatario; è in carta e non in pergamena; ed è scritta, fino dagli ultimi decenni del secolo decimose-

postille intorno al «rendiconto navale» pisano 27

Tuttavia, uno sguardo alla più antica documentazione mercantile (intendendo conciò quella prodotta, realizzata, eseguita da mercanti) dovrebbe suggerire maggiore ela-sticità (e prudenza) nella valutazione della funzione – e di conseguenza delle forme –da questa assunta, e ciò soprattutto per il secolo xii, l’epoca del suo primo apparire.1 Sivedano, per esempio, i più antichi rendiconti mercantili noti: tre foglietti scritti proba-bilmente a Genova da mercanti genovesi e databili agli anni 1156/1158, illustrati con pe-rizia da Guido Astuti.2 A essi converrà dedicare qualche attenzione.

4.

Scritti in latino (prima e grande differenza col documento conservato a Philadelphia),3i tre rendiconti mercantili genovesi aderiscono, nella loro parte non strettamente con-tabile, al modello notarile, dal quale però si discostano per l’assenza di qualsiasi formadi corroborazione, per la mancanza della datatio e per il fatto, piuttosto insolito perl’epoca, di essere redatti su carta (dunque, su supporto per eccellenza effimero).4 I trefogli (denominati A, B e C), testimonianza di un fitto intreccio di relazioni economiche,sono in parte stesi dalla mano di Ansaldo Baialardo, portator di due contratti ivi docu-mentati e poi impresario egli stesso, mentre la minuta di un altro contratto con il me-desimo Ansaldo, insieme a una fitta serie di conti relativi ai precedenti rapporti econo-mici, è scritta da Ingo de Volta, probabilmente il socio stans.5 Nel contratto più antico(recto del foglio C), redatto secondo le modalità della carta partita, oltre al ricordo diuna precorsa accomandita di cui si fornisce una «specie di relazione consuntiva», si leg-gono le clausole per un’altra commenda, ovvero la «minuta con le condizioni del nuo-vo contratto».6 Di questo si trova l’imbreviatura nel cartulare del notaio Giovanni Scri-ba e, soprattutto, sopravvive la contabilità resa al termine del contratto e stesa nel recto

condo, e poi sempre, in lingua volgare» (Paoli 1942, pp. 45-46). E ancora: «Le scritte infatti, che sono attidi carattere assolutamente privato, senza valore legale, e conseguentemente senz’obbligo dello stile edella formula degli atti legali, cominciarono prestissimo a essere dettate in dialetti volgari» (Paoli 1890,p. 278). Rinvia a Paoli da ultimo PetrucciL 1994, p. 55.

1 Una prudenza e una sensibilità che non sono mancate ad Armando Petrucci, per il quale l’uso deltestamento olografo «va inquadrato nell’ambito del vasto processo di documentazione privata in linguavolgare prodotta dalle classi dirigenti mercantili e borghesi che vide allora la nascita della ricevuta, dellacambiale, della ‘scritta’ privata e di molte altre forme documentarie private valide all’interno del mon-do mercantile anche se prive di vera e propria fides publica», PetrucciA 1985, p. 13. L’esistenza di «formedocumentarie private valide all’interno del mondo mercantile», sia detto per inciso, va esattamente nel-la direzione qui intrapresa.

2 Astuti 1933, non per caso intitolato Rendiconti mercantili. Rinvenuti sfusi all’interno del cartolare diGiovanni Scriba, i tre foglietti furono classificati dapprima con le tre lettere alfabetiche maiuscole, clas-sificazione adottata nel lavoro di Astuti e qui seguita, quindi nuovamente numerati come carte a parte164-166. L’edizione anche in Chiaudano, Moresco 1934.

3 Ma con qualche contaminazione volgare: per es., molo, staçon, aductura nel testo citato alla nota successiva.

4 Ne riporto uno, a modo di esempio, tratto da A: « In nomine Domini, amen. Recordacionem admemoriam retinendam facio ego Ansaldus Baialardus de racione quam feci con domino Ingo quandoveni in nave de Ospitale. Habui de indico lib. .xc. ½ s. .iiii.; habui de cexeri lib. .iiii. et s. .vi.; habui dePetro Ustachio lib. .lxxxvii. ½; habui de nave lib. .xc. de quibus despendidi in nave lib. .xi. ½; habui deFredençone lib. .xviiii. et s. .viii.; habui de lucro de saie s. xx.; habui de grano lib. .ccxlv. et s. .vi. dequibus dedi in molo et in staçon et aductura lib. .iiii.».

5 Membro di una delle più importanti famiglie mercantili di Genova, fu più volte console di quellacittà; se ne veda il breve profilo in Astuti 1933, p. 14, nota 2; si veda anche Krueger 1962, ad indicem.

6 Astuti 1933, pp. 19 e 20. Sulla carta partita si veda Zagni 1980.

28 antonio ciaralli

del foglio A e nel recto e nel verso del medesimo foglio C. I lucri scaturiti dalle diverseoperazioni consentirono ad Ansaldo di stipulare una societas maris con Ingo da cui rice-vette in commenda, inoltre, il capitale e l’eccedenza dei propri lucri (recto del foglio A).Nel verso del medesimo foglio sono annotati dallo stans i termini pattuiti: l’itinerariocirca et ultra mare, la clausola della cessione della quarta superflui in proficuum societatis,l’indicazione dell’avvenuta stipula del relativo contratto innanzi a notaio (probabil-mente lo stesso Scriba), nonché altre annotazioni contabili relative al patrimonio socia-le. Di particolare interesse risulta la facoltà concessa al capitalista di esigere un rendi-conto delle spese sostenute: «Si ei Ingo voluerit demandare de expensis quas ante istuditer fecerit, ipse Ansaldus ei debet inde respondere racionabiliter et componere quid ra-cio erit».1 Parziali rendiconti complessi (liquidazione dell’attivo e riparto del lucro) so-no stesi ancora in A e in B.

Le testimonianze genovesi sono i più antichi rendiconti mercantili noti; a insidiare illoro primato c’è solo il Rendiconto pisano. Sebbene questo mostri una semplicità benmaggiore rispetto ai coevi documenti genovesi, sia sotto il profilo formale, sia sottoquello sostanziale, non si deducano, per ciò, argomenti in favore di una sua precocitàcronologica. Negli inventari e nei conti di riparto genovesi, infatti, non figurano mai de-biti. Scrive al proposito Astuti: «sembrami per questo doversi ritenere che le annotazionicontabili relative al denaro contante […] si riferiscano alle somme residue esistenti incassa […] dopo il pagamento o la deduzione dei debiti».2 Il Rendiconto pisano è, al con-trario, precisamente relativo alla deduzione di questi ultimi e proprio in ciò dovrà esse-re individuata la sua maggiore originalità. Le rendicontazioni, infatti, riguardano di nor-ma il profitto al netto delle spese (deducto aere alieno) ed è perciò raro rinvenirne nelladocumentazione mercantile che non sia quella tarda e ormai strutturata nelle forme dellibro del dare e dell’avere.3 È bene non dimenticare, infine, che operazioni onerose co-me la costruzione o anche il riassetto di naviglio, per le quali l’impegno economico eratanto considerevole da richiedere la partecipazione di più investitori, vennero per tem-po formalizzate, come attestato già nel giustinianeo Corpus iuris civilis, nell’impresa diarmamento destinata a costituire uno speciale rapporto di società.4 Essa crea, come s’èvisto, molteplici vincoli giuridici che hanno nel mandato e nella locazione i contrattipiù frequenti:5 per rapporti di questo tipo, la rendicontazione (in attivo e passivo) co-stituisce l’atto conclusivo della società.

5.

Il Rendiconto, s’è detto, tramanda l’elenco di spese sostenute nel raddobbo di più navi,quasi certamente galee, navigli veloci, a propulsione mista (umana e velica), destinatiin prevalenza a compiere azioni di carattere militare. In esso è testimonianza della par-tecipazione di più artigiani e manovali, tutti pagati per prestazioni d’opera o per la for-nitura di materiali; l’esborso di somme per l’acquisto di vino e, probabilmente, di ali-menti (l’amschcre di r. 10); il pagamento, infine, di canoni per locazioni di botteghe.

1 Astuti 1933, pp. 28 e 47. 2 Astuti 1933, p. 45.3 Si veda anche Calleri, Puncuh 2002, pp. 326-27. 4 Goldschmidt 1913, pp. 264-65.5 Zeno 1936, p. lxiii. Si prenda il caso di Anrigo. Il costrutto causativo sottointende la collaborazio-

ne dei due soggetti: quello della principale (Anrigo ha fatto che) e quello della subordinata (qualcuno desse).Nell’ordine impartito si può riconoscere la fattispecie del mandato (eventualmente orale) e, di conse-guenza, sull’esecutore ricade l’onere della rappresentanza.

postille intorno al «rendiconto navale» pisano 29

Per l’aspetto testuale, l’osservazione di Baldelli, per cui il «conto è stato messo insie-me avendo davanti una serie di cedole» su ognuna delle quali era segnata la nota dei sin-goli pagamenti, è suggerita dal ricorrere di alcune partite di spesa come, per esempio,le quattro menzioni dello ispornaio, le tre del restaiolo e di Amico, le due, rispettiva-mente, di Oghiccione, di Pilotto e Gualandello, i tre pagamenti in sorti. La ripetitivitàdelle registrazioni dimostra che le spese sono avvenute in tempi diversi, sebbene da ciònon derivi necessariamente che si dovessero anche presentare nella veste autonoma diuna singola cedola. Come si può essere certi, infatti, che esse non fossero scritte su unfoglio e poi che questo, invece che sciolto, non si trovasse rilegato in un quaternus?

Fu forse solo l’inerzia del copista (così dovrà essere inteso) ad averne serbata invo-lontaria memoria. Infatti, poiché il Rendiconto è scritto in un unico tempo e senza in-terruzione, come dimostra l’uniformità della scrittura e l’omogeneo colore dell’in-chiostro, egli avrebbe avuto tutto l’agio di accorpare le voci identiche. Nel non averlofatto deve scorgersi, o il semplice segnale di un atteggiamento passivo nei riguardi del-l’opera che veniva compiendo, oppure la necessità di tenere distinte le singole registra-zioni (magari perché così computate nei registri dei riceventi?).

Ma è proprio la natura di copia ad attirare la nostra attenzione. Se, infatti, il conto èstato messo insieme sulla scorta di precedenti redazioni scritte delle singole partite dispesa, la questione si sposta sul perché qualcuno abbia deciso di ricomporre il tutto en-tro una cornice organica di modello documentario. Nella risposta a tale quesito è la ci-fra migliore per intendere il profilo francamente giuridico dell’atto.

6.

Ogni voce del Rendiconto si configura come l’attestazione scritta del pagamento diun’obbligazione pecuniaria; obbligazione in precedenza contratta sia come corrispetti-vo per la fornitura di materiali o derrate (in remora, in canapi, in legname da colonne, in vino ecc., tutte configurabili come emptiones), sia per la prestazione di opere (a restaiolo,al marmuto, ai vari nomi propri o di mestiere, tutti i deverbali in -ura, da ricomprender-si nella categoria della locatio operarum), sia, infine, per contratti di altro genere (comela locazione per le botteghe). La soluzione di tali debiti è, tranne in un caso, espressacon formula generica, senza cioè specificazione di chi abbia sborsato i denari. L’ecce-zione riguarda l’unica posta nella quale viene invece menzionato il nome di chi ha materialmente impartito un ordine di pagamento (non tuttavia di chi lo ha eseguito):«Anrigo fece dare alo restaiolo solidos xx». Ma se le obbligazioni risultano essere stateestinte, tanto che «Anrigo fece dare», per quale scopo si è avvertito il bisogno di ricom-porle in uno spazio fisico unitario? Risulta evidente che al Rendiconto navale, proprio nel-la forma in cui ci è pervenuto, sia stata attribuita una specifica funzione, tanto rilevan-te da non dissuadere i committenti dall’onere aggiuntivo, anche economico, di allestireuna pergamena e farvi copiare sopra testi di cui essi già possedevano sufficiente (se fos-sero stati appunti destinati solo a serbare memoria) registrazione scritta.

Il Rendiconto sarà quindi da intendere come la copia a buono di dichiarazioni per speseliquidate, il che, vòlto in termini diplomatistici (e azzardando una conclusione destina-ta a rimanere pur sempre congetturale visto il pessimo stato di conservazione), signifi-ca ricomprenderlo nella categoria diplomatistico-giuridica del mundum.

Si rileggano ora quegli atteggiamenti di chiara ispirazione giuridico-documentariafin qui, forse con eccessiva semplicità, trascurati. Di schietta matrice documentaria ri-sultano infatti essere:

30 antonio ciaralli

1. il modello scelto per veicolare il testo: un foglio di pergamena scritto a piena pagi-na su un solo lato, quello carne, e nella forma tradizionale della charta transversa;

2. il contenuto: non semplice narrazione di eventi, ma testimonianza di atti dotati diuna efficacia giuridica (anche passata: non si può disconoscere alle precedenti singoleregistrazioni il valore di dichiarazione di spesa e a monte di questa si può immaginarela fitta trama di contratti, anche orali, che ne sostanzia la struttura);

3. la motivazione che ha guidato la mano del suo anonimo estensore.Inforcate queste lenti, anche l’invocazione iniziale conclusa da un’altrettanto usuale

apprecazione, nella quale è conservato almeno il nomen sacrum nella forma compen-diata del tutto tradizionale dni, rispettosa com’è del canonico precetto paolino di prin-cipiare tutte le cose nel nome di dio, perde la propria genericità e inconsistenza, per ac-quistare invece la fisionomia di un preciso, anche se limitato, intervento formulare.1 Sidirà che questa, se anche la si voglia considerare così, è l’unica formula presente e chedel documento, inteso in senso tradizionale, mancano elementi essenziali e, primo fratutti, che non è manifesto l’autore dell’azione giuridica. Quand’anche tutto ciò corri-spondesse al vero, non si potrà tuttavia revocare in dubbio che, nello scegliere la formascritta per il Rendiconto, siano state ritenute non sufficienti le scritture già possedute (leminute) e sia stato invece ritenuto utile di ricavare un testo unitario e continuo, inseri-to in una cornice di tipo documentario: impossibile pensare a una registrazione effi-mera e personale, a puro scopo memorativo.

7.

A guardare meglio si potranno leggere, tra le righe dell’ellittico testo, molte più infor-mazioni di quante non appaiano. Per quel che concerne le persone, per esempio, sem-bra lecito supporre che autore e destinatario possano coincidere. È chi ha pagato, in-fatti, a nutrire interesse perché rimanga memoria precisa dell’esborso. Per inquadraremeglio la sua figura bisogna guardare alla res oggetto di tali obbligazioni: la nave.

Poiché la natura militare del cantiere navale appare indubitabile,2 verrebbe da pensa-re, con Castellani, che la guerra sia questione di Stato, cioè del Comune, e non occu-pazione di mercante. In effetti, la costruzione delle galee rientrava tra i compiti degliamministratori della res publica pisana. Espliciti al proposito risultano i Brevia giurati daiconsoli di Pisa, nelle due redazioni che ci rimangono del 1162 e del 1164.3 Alle necessitàlegate a fatti bellici o contingenti,4 i consoli, e con essi il Comune, cumulavano ancora,

1 Per conclusioni opposte, ma scaturite da una lettura a piene lettere di Domini, si veda sopra il testocorrispondente alla nota 3 di p. 26.

2 Oltre alle opere di storia della marineria citate da Baldelli, si veda Di Tucci 1933a, p. 17. L’autore, chepiù volte richiama la funzione prettamente militare della galea, ha basato il suo studio sul cartulario del notaio genovese Lanfranco (ultimo quarto del secolo xii). Al termine di un attento esame della formadelle navi così come attestate dalla sua fonte, concluse che, «fatta eccezione per la galea, nave, sicura-mente, di carattere e di impostazione guerresca, la galiota, la ganciera, la coca, la saettia […] in via nor-male erano mezzi di commercio marittimo», sebbene in determinate circostanze anch’esse potevanosvolgere altre funzioni (ivi, p. 20). Si vedano ora Unger 1980, e Krueger 1985, pp. 26-27.

3 Edizione in Banti 1997, pp. 45-69 e 73-101, e, prima, Bonaini 1854, pp. 3-15 e 24-40. Sulla datazione delprimo, da collocare tra il 25 marzo 1162 e il 24 marzo 1163, si vedano le osservazioni di Banti alle pp. 14-16.

4 Nel cap. 10 del Breve del 1162 si legge: «Ut gale facte de armamentis omnibus sibi necessariis prepa-rentur, et que incepte sunt et non facte compleantur, studium et opera dabo» con la contingente, ma in-teressante aggiunta: «Ante festum sancti Petri de mense iunio galeas viginti fieri faciam, nisi quantummaioris partis senatorum parabola remanserit». Osserva al proposito Ottavio Banti che «Questa disposi-zione […] si direbbe aggiunta […] sotto la spinta di necessità urgenti del momento», necessità che forse

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nei mesi aperti alla navigazione e sicuramente dalla metà del xii secolo,1 la custodia maris e la scorta dei convogli mercantili.

Ma è la presenza di quell’Anrigo a ricondurre il discorso nei limiti dell’ipotesi for-mulata da Baldelli secondo la quale l’onere economico dell’operazione doveva essere acarico di una ‘consorteria’ mercantile.2 Pensare, infatti, che a redigere il documento siastato un rappresentante del Comune e dunque immaginare in Anrigo un messo o unincaricato del Comune, sembra difficile, vista l’epoca così alta alla quale il Rendicontoviene attribuito e l’organizzazione ancora embrionale della burocrazia comunale deltempo.3

I mercanti, si diceva, di norma non fanno la guerra, ma con la guerra, è ben noto,spesso essi trafficano. Sulle modalità di questa partecipazione non siamo sempre beneinformati; una, tuttavia, abbastanza tipica, è il ricorso al prestito obbligazionario attra-verso il quale il comune impegnava diritti e rendite di sua esclusiva competenza.4 Èquanto sembra avvenire a Pisa, proprio nel 1162, un anno formidabile per l’industria can-tieristica pisana.5 Nel maggio, infatti, racconta il Maragone, «Pisani consules pro ho-

sono da collegare «con l’episodio raccontato da Bernardo Maragone […] quando, appunto nel mese digiugno di quello stesso anno 1162, i Genovesi, rompendo la pace, assalirono all’improvviso i Pisani cheper rispondere all’attacco – racconta il cronista – dovettero provvedere con sollecitudine ad armare unaflotta». E poi ancora nel capitolo 11: «Guardiam maris cum duabus galeis a kalendis ap(ri)lis usque ad ka-lendas octubris fieri faciam, nisi quantum parabola maioris partis senatorum qui in consilio per sonumcampane fuerint congregati remanserit». In questo secondo documento la datatio è più completa: «annoincarnati[onis … mille]simo centesimo sexagesimo quinto, indictione tertiadecima» e quindi la stesuradel testo sarà da collocarsi tra il 24 settembre e il 31 dicembre del 1164. I due Brevia dovrebbero essere quel-li che verranno giurati dai consoli degli anni 1163 e 1165 (Banti 1997, p. 48).

1 Pryor 1988, pp. 3-4. Analoghe disposizioni si leggono nel cap. 19 del Breve del 1164 (ed. Banti 1997, pp.83-84).

2 «L’armatore era di solito tutt’uno col mercante: i mercanti, uniti in consorterie familiari, tenevanola direzione economica della costruzione, fornendo direttamente agli artigiani le materie prime, e pa-gando direttamente i singoli artigiani»: Baldelli 1973, p. 11, con rinvio a Lane 1965, pp. 111-13 (ma si veda-no le considerazioni per Genova di Krueger 1985, pp. 30-34). È però impossibile pensare ad un solo mer-cante a capo dell’operazione, giacché questa rappresentava un onere economico certamente notevole:«L’iniziativa di gestire un cantiere – notiamo che nessun documento del tempo ci è giunto per dimo-strarci che i proprietari dei cantieri lavorassero in proprio, mentre pare, invece, che i maestri d’ascia, co-me si chiamavano i costruttori del tempo, crea[ssero] le navi su commissione – o di impostare un navi-glio non poteva essere assunta da una persona singola, perché nessuna persona privata possedeva tantimezzi finanziari da realizzarla» (Di Tucci 1933a, p. 28).

3 Sarà, per usare le parole di Banti, «intorno alla metà del secolo xii (poco prima o poco dopo)» chePisa avrà «una prima sembianza di organizzazione […] addetta alla registrazione, alla documentazione,e alla conservazione dei propri atti di governo»; «Registrazione e documentazione affidata a notai, qua-lificantisi d’ora in poi come scribae publici» (Banti 1989, p. 133). Con l’instaurarsi del regime podestarile,nella prima metà del secolo xiii, «La documentazione, negli atti anche di semplice amministrazione, di-venne norma e fu poi resa obbligatoria per legge in ogni caso in cui ci fosse gestione di denaro pubbli-co» (ivi, p. 136); con la fine di quel secolo aumentò di molto il numero degli ufficiali del comune incari-cati di gestire le risorse pubbliche, ma tutti quelli che «per un motivo o per l’altro maneggiavano pubblicodenaro, dovevano avere a fianco […] un notaio-scriba publicus, nominato appositamente per tenere l’am-ministrazione» (ivi, p. 147).

4 Si veda sull’argomento Violante 1980, pp. 67-100, nonché, sebbene per un’epoca più tarda, Gina-tempo 2000.

5 Veramente non mancarono a Pisa, fra xi e xii secolo, occasioni per allestire una flotta militare. Dap-prima la tenace lotta contro gli arabi, scandita da continui successi militari, che culminerà con la parte-cipazione alla prima crociata e con la conquista di Maiorca, quindi, nel contesto di una costante disputasui diritti metropolitani in Corsica, la guerra, oggi si direbbe ‘a bassa intensità’ sebbene non priva di mo-menti di acuto scontro, con Genova.

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nore Frederici et imperii et Pisane urbis, galeas xl facere inceperunt et per totum mensem martium complete fuere». Nel luglio i Genovesi, rompendo la pace stipulatatredici anni prima a Portovenere, «cum periuro nefandissimo, crudelissimam guerram»portarono ai pisani che, «in pace commorantibus et nullum apparatum triremium habentibus», approntarono rapidamente «x galeas et xi sagittias ad modum galearum»e poi «pro navali bello faciendo» sembra che costruissero altre 34 galee e 30 saettie armate sempre ad modum galearum. Fu per sovvenzionare uno sforzo tanto ingente eper sopperire ad altre spese cittadine che, ci informa ancora il cronista, «consules duanam salis et ripam et ferri venam pro libris quinquemilibus quingentis in xl annis[…] vendiderunt».1

Il Rendiconto pisano, dunque, che per mole e qualità dell’impresa presuppone a mon-te una committenza pubblica e istituzionale, deve indirizzarsi verso altri destinatari. Sel’unico referente fosse stato il Comune, infatti, sarebbe stata probabilmente richiesta (oanche necessaria) una documentazione di carattere più ufficiale, notarile e in latino eforse realizzata in forme cancelleresche.2 È più probabile invece, visti gli esiti finali, cheesso sia stato diretto alle private persone (i capitalisti) che investirono nell’impresa ilproprio peculio, lasciando così un più ampio margine di libertà esecutiva al suo redat-tore. Potrebbe insomma essersi verificato a Pisa quanto avvenne a Genova ove prende-vano piede, nello stesso periodo, modi originali di partecipazione mista (pubblica e pri-vata) all’attività cantieristica.3 Il Rendiconto, insomma, potrebbe essere quanto avanza diun’attività che dovette essere certo frequente anche nella Pisa del xii secolo: il raddob-bo di navi, adatte al combattimento, eseguito su commissione del Comune, ma con finanziamenti e per opera di armatori privati.4 Esso si presenta, in definitiva e in una prospettiva meramente diplomatistica, come una delle più antiche e rare testimonian-ze negoziali dell’attività cantieristica navale che ci siano pervenute, nonché come unotra i primi frutti dell’attività documentaria del ceto mercantile italiano.

8.

Nel documento, giunto mutilo, sembra mancare una precisa azione giuridica, in quantosi ha piuttosto l’attestazione di eventi già trascorsi (dunque non si tratta di quietanza,né altre forme di securitates) dotati, questi sì, di riconoscibile valenza giuridica. Tutta-via, se la fattispecie entro cui lo si dovrà inquadrare è quella del rendiconto economico,allora la sua efficacia sarà da ricercare nella funzione di testimonianza da esso esercita-ta, ovvero nella sua capacità probatoria. A questo proposito è bene sottolineare come

1 Maragone 1930-1936, p. 27.2 Si prenda, per fare un esempio, la sentenza di interdizione comminata il 28 ottobre 1154 dai consoli

del Comune contro Alberto Visconti e i suoi figli (la si veda riprodotta in Federici 1964, tav. xxxii).3 «La repubblica di Genova solo raramente aveva avuta una propria marineria da guerra: di regola i

costruttori e gli armatori di galee […] erano cittadini genovesi privati, che si mettevano con patti deter-minati e per un certo tempo al servizio dello Stato» (Di Tucci 1933b, p. 332). Fu qui che, oltre alla vendi-ta del sale, la partecipazione mercantile prese anche strade diverse, sviluppando quei «Contratti colletti-vi in partecipazione per armamento e navigazione in rapporto ad una concessione statale» che assunseroil nome di maone e che sono, certo, cosa del tutto peculiare e tarda, ma che dimostrano pienamente l’in-traprendenza e l’inventiva, anche giuridica, di questo tipo di transazioni. Sulle maone si veda Cessi 1919(la citazione è tratta da p. 8). Ad altri tipi di contratto, ma sempre relativi a Genova, fa riferimento DiTucci 1933b.

4 Che a Pisa si sia sviluppata ben presto una classe di armatori navali, intesa anche in senso modernodel termine, è opinione espressa da Luzzatto 1963, p. 139.

postille intorno al «rendiconto navale» pisano 33

non serva fare ricorso alla rapida deperibilità dimostrata dal Rendiconto per avallare unrifiuto della sua giuridicità. La natura effimera di siffatte scritture è, al contrario, circo-stanza usuale e lo sottolineava Astuti ricordando la prassi costante «di distruggere i ti-toli relativi ad obbligazioni commerciali all’atto della loro estinzione».1

Quanto alle forme, ovvero alla struttura formulare, del Rendiconto, ha rilevanza la suanatura di scrittura contabile. Per quanto la mutilazione della pergamena nulla consen-ta di concludere intorno a una sua possibile destinazione consuntiva, non può negarsil’appartenenza del documento a quella categoria di scritture commerciali che FederigoMelis definì «conti personali», quelli cioè riservati ai crediti e ai debiti dell’azienda, a pro-posito dei quali rinviava ai conti svolti nel 1211 da banchieri fiorentini probabilmente aBologna, rilevanti perché anch’essi scritti in volgare.2 Il documento pisano riguarda lasola componente relativa alla liquidazione dei debiti. Tutte le voci che esso contiene, in-fatti, hanno sottointesa una specifica azione, il dare, e solo una volta il verbo è manife-stato. Scrive ancora Melis, descrivendo il più tardo ‘Libro delle entrate e delle uscite’ delmercante, che esso risulta «diviso in due settori, nel primo si riportano le ‘entrate’ e nelsecondo, le ‘uscite’, identificandole con le preposizioni che precisano il senso del movi-mento, cui si faceva seguire il nome della persona dalla quale l’azienda aveva riscosso oalla quale aveva pagato, la causale e la somma», e cita: «‘da Manno d’Albizo, per un pan-no pisano…’, oppure, ‘a Francesco di Giovanni, per suo salario…’», e si può prosegui-re: «a Ramondino filio Orsi [so]lidos xv e denarios viii di subielli», oppure «serratura ditimone a Pilotto denarios xxxiiii», per citare solo alcune delle voci più esplicite del con-to navale. Queste sono le formule del conto pisano e la sua forma giuridica è precisa-mente quella del rendiconto.

L’ostacolo maggiore che si oppone alla precisa identificazione del formulario propriodi tali documenti è in parte costituito dalla rarità delle testimonianze pervenute (e dun-que è lacuna delle nostre conoscenze), in parte deriva dalla naturale esigenza di estra-polare dai casi meglio noti di Genova e Venezia un paradigma di evoluzione. Schema-tica e semplificatrice (a meno che non si voglia riferire anche alle transazioni mercantilialto medievali), perché generalizzante e basata su proiezioni posteriori, risulta esserequindi la posizione di Ugo Tucci, per il quale «trattando del documento del mercantedobbiamo … considerare un iniziale periodo di monopolio notarile nella rappresenta-zione dei rapporti tra i vari operatori, accanto a scritture liberamente articolate che almercante servivano soltanto per memoria propria», mentre solo in un secondo tempo«la canonizzazione dei singoli atti prepara la nuova fase, nella quale alcuni di essi assu-mono valore probatorio proprio, diventando insomma documenti nel senso diploma-tico del termine, senza le garanzie di credibilità richieste dal sistema di rapporti postoin essere».3 Già Enrico Besta aveva posto in termini più appropriati la questione, osser-vando che il conflitto tra formalismo negoziale e libertà di negoziare fu risolto, dappri-

1 Sarà utile riportare l’intero monito: «l’uso di distruggere i titoli relativi ad obbligazioni commercialiall’atto della loro estinzione, privandoci di tutta una massa di documenti di primaria importanza, ci po-ne nella necessità di ricercare testimonianze e notizie relative alla nascita e allo svolgimento di rapporticontrattuali mercantili nelle fonti più varie e disparate» (Astuti 1934, p. xviii). Alla stessa conclusione ègiunto Baldelli: «i documenti navali (conti, patti di navigazione, carature sulle navi, impegni di com-mercio, di pirateria, di guerra) cadevano con la fine della nave cui si riferivano. È ragionevole insommal’ipotesi che il nostro conto navale sia il relitto del naufragio – è proprio il caso di dirlo – che ha inghiot-tito la documentazione di questo tipo» (Baldelli 1973, p. 31).

2 Melis 1972, p. 50. 3 Tucci 1989, pp. 545-46.

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ma, in favore della seconda con l’aequitas mercatoria e solo poi fu orientato a vantaggiodel primo con l’adozione di un più rigoroso formalismo.1

Parole che Vito Piergiovanni integra ricordando come «il passo successivo di questoprocesso sarà l’autoreferenzialità con l’accresciuta importanza delle registrazioni mer-cantili come mezzo di prova. È il punto di arrivo di un processo che esalta la creativitàe la capacità del ceto mercantile che crea nuovi schemi contrattuali, risistemando an-che il diritto processuale».2 Ma ciò che avverrà in seguito è tutto insito nelle premessee la rarità della documentazione non può valere come prova del contrario.

A conclusione di un capitolo dedicato alle Informal commercial papers, Roberto Lopeze Irving Raymond scrivevano che «the history of informal commercial papers is a battlefield of historians, economists, and lawyers» e, si può tranquillamente aggiunge-re, di diplomatisti.3 Il fatto è che, almeno nei primi tempi della prassi giuridica com-merciale, il notariato si trovò largamente impreparato ad assolvere la propria funzionea fronte di un interesse delle parti rivolto più che alla forma dei contratti, all’elementopsicologico, prima che materiale, ad essi sotteso: quel fine di lucro che costituisce la spina dorsale dei nuovi rapporti.4 Di qui il ricorso, abbondante soprattutto in Toscana,alle scritture olografe, ovviamente redatte in volgare;5 di qui anche la necessità, e il privilegio, di una curia separata e di una giurisdizione volontaria.6

Persino là dove sembra dominare incontrastata anche nel campo del commercio laprassi notarile, e cioè tra i mercanti delle città sorelle e rivali di Pisa, Venezia e Geno-va, emergono, incerte e rapidamente soffocate, prassi documentarie alternative chehanno nell’autografia e in una controllata libertà di forme il loro punto di forza. Co-

1 Scrive Besta che «contro il formalismo reagì la aequitas mercatoria. Dalla vita rampollano semprenuovi rapporti che non possono svolgersi nelle strette forme tradizionali», tuttavia «quasi per una inti-ma contraddizione il commercio ha bisogno che l’applicazione dei contratti non sia abbandonata all’ar-bitrio di troppo sottili investigazioni sulla volontà» e perciò «il commercio diventa proclive ad un rigo-roso formalismo. Mentre aveva combattuto gli antichi negozi formali, quando si trattò della scrittura, fuproprio essa a fare di taluna fra esse dei negozi astratti. La causa dell’obbligazione fu messa nella stessascrittura» (Besta 1936, pp. 160-61). 2 Piergiovanni 2001, p. 66.

3 Lopez, Raymond 1955, a proposito del quale si veda Baldinger 1961; densa di significato la liquida-zione del volume in Calleri, Puncuh 2002 (p. 273, nota 1), uno studio che del resto è programmaticamenteindirizzato all’indagine dei «principali contratti commerciali medievali di area mediterranea» e cioè ilmutuo, il prestito marittimo, la commenda, il cambio e l’assicurazione e, per programma, solo «finchésono riconducibili all’ambito della documentazione notarile prodotta per il mercante» (ivi, p. 277).

4 Lattes 1935, pp. 607-8.5 «In the later Middle Ages, Tuscan merchants relied upon holograph records to a larger extent than

did merchants of the other Mediterranean regions; but this tradition can hardly be connected with anygreater diffusion of literacy in Tuscany […]. Genoese, Venetian, or Marseillais merchants also were literate and sometimes quite learned; but they usually preferred notarial instruments, probably becausethey wanted the legal form of the record to be impeccable and irrefutable. Yet even in Genoa and Venicecertain records which were not notarized, such as bank ledgers and chartularies of ship, had the samelegal authority as notarial records» (Lopez, Raymond 1955, p. 228). Per queste ragioni non può essere sottoscritta l’equivalenza tra “scritta in volgare” e “documento privo di valore legale”, neppure alla lucedell’osservazione, sviluppata per il caso veneziano cui più congruamente si attaglia, che «quei contratti,nei quali erano in gioco capitali ingenti, col frequente coinvolgimento di mercanti di diversa nazionalità,dovevano essere di univoca e non discutibile interpretazione, sottratti alla babele linguistica del mondomercantile»: Stussi 1989 (1993), p. 115. Per Tucci, al contrario, l’uso del volgare era conseguenza dell’evo-luzione degli istituti, «la quale ricercava locuzioni non ambigue che non sempre l’eredità romana era ingrado di fornire, e il volgare eludeva le insidie di una terminologia aperta ad interpretazioni che eranopiù familiari agli uomini di legge che non a quelli d’affari» (Tucci 1989, p. 549).

6 Conclusioni simili si leggono in Nicolaj 2006, pp. 23-24.

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sì, per fare un esempio, dalla Venezia di fine xii secolo, l’epoca – come scrive AlfredoStussi – «in cui comincia la documentazione scritta (contratti, quietanze, obbligazio-ni, procure) del commercio veneziano»,1 giunge l’eco della voce di Piero Corner, affi-data, non certo per caso, ad un breve recordacionis scritto di proprio pugno in una lin-gua ibrida di latino e volgare.2

9.

Quanto fin qui esposto intende ricordare la complessità di rapporti e di strutture (eco-nomiche in primo luogo, ma anche giuridiche e sociali) celati tra le righe di ciò che so-pravvive del Rendiconto e introduce alla questione di più ardua soluzione: quella dellasua funzione, parola che in termini più generici potrebbe tradursi con scopo.

Risulta difficile stabilire le precise funzioni svolte da documenti del tenore del Rendi-conto pisano, soprattutto perché non si è in grado di definire con esattezza le garanzieche essi potevano offrire in un giudizio (il ruolo svolto nel processo) senza gettare unosguardo ai modi della procedura e alla parte, storicamente determinata, che in essa ladocumentazione può assolvere.3 Occorre comprendere, insomma, quale tutela potevaessere offerta dall’ordinamento a una pergamena, come quella del Rendiconto, estraneacon tutta verisimiglianza alla prassi notarile, e individuare quale ordinamento potevadare riconoscimento e quindi garantire un documento redatto secondo quei modi.

La classe mercantile – italiana, per lo più, ma non solo – fu l’artefice, dal xii secolo inpoi, contestualmente alla rivoluzione commerciale di cui fu l’indiscussa protagonista ein dipendenza da quella, di una rivoluzione politica che la portò ben presto ad assume-re posizioni dominanti nella vita cittadina e, fatto forse di maggiore rilievo, di una verarivoluzione giuridica.4 Essa fu l’indiscussa creatrice dello ius mercatorum, un diritto chesi strutturò al di fuori della mediazione della società politica, come espressione degli in-teressi di una parte imposti all’intero corpo sociale, e che manterrà per secoli la propriaspiccata autonomia.5 È un diritto che nasce rebus ipsis, che attinge alle fonti della con-suetudine mercantile e della giurisprudenza della curia dei mercanti e che trova, di nor-ma, la sua prima codificazione negli statuti corporativi. Solo all’interno di una costru-

1 Stussi 1995, p. 785; e si veda anche Stussi 1977, pp. 545-48.2 Edizione in Stussi 1980, p. 88; Tucci 1989, p. 553.3 Ancora più ampio il dominio del documento mercantile in Nicolaj 2003, par. 5: «Per inciso, la do-

cumentazione dei mercanti presenta caratteri molto interessanti anche dal punto di vista diplomatisti-co: si tratta di scritti a funzione rappresentativa e ricognitiva e in forma di brevi – elenchi, inventari, contio rationes private o pubbliche –, o di scritti a funzione sia negoziale (obbligatoria, dispositiva) sia proba-toria ed esecutiva e in forma di chirografo o di epistola». Più in generale sulle funzioni dei documenti siveda Nicolaj 2007, pp. 51-88.

4 La bibliografia sull’argomento è naturalmente enorme, soprattutto per quel che riguarda la nasci-ta dei singoli istituti e non mette conto qui di riferirla. Tuttavia per un inquadramento storico generalerimane insuperato Goldschmidt 1913. Un tentativo di sintesi più recente, dal quale si può risalire a ulte-riori studi, è quello di Galgano 1993, con gli aggiornamenti che si reperiscono in Legnani 2005, pp. 42-45.Insiste sulla valenza rivoluzionaria Piergiovanni 2001, p. 60, con rinvio ai lavori di Roberto S. Lopez e Mar-co Tangheroni.

5 «Il problema – come scrive Piergiovanni a proposito degli specifici organi giudiziari mercantili genovesi e veneziani – risiede nella diversità del diritto mercantile, il quale ha origine e sviluppo in unorizzonte economico e geografico che non può essere risolto in quello politico individuale dei singolimercanti. Alla sua base ci sono comportamenti consuetudinari sovranazionali, a cui il diritto comune deve adattarsi e non viceversa. L’approccio al diritto mercantile con gli stessi strumenti ermeneutici dellesuccessioni o dei contratti agrari può essere fuorviante» (Piergiovanni 2001, p. 71).

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zione del genere il Rendiconto poteva ottenere riconoscimento e di conseguenza tutelain quanto documento destinato alla messa in atto di precisi effetti giuridici (fossero sta-ti questi relegati anche alla mera funzione testimoniale).1

A Pisa, com’è noto, la situazione si presenta, da questo punto di vista, assai comples-sa. La struttura e le caratteristiche dell’ordinamento giudiziario dello stato pisano si distinguono, infatti, sin dal loro primo nascere, per la straordinaria ricchezza di fonti eper la grande oscurità della loro tradizione; oscurità che solo oggi comincia in parte aessere chiarita.2 Senza voler entrare in argomenti che da soli richiederebbero lunghe di-gressioni, è bene ricordare due cose. La prima è che, come già messo in evidenza daFrancesco Bonaini, la materia commerciale sembra essere di specifica pertinenza del Costitutum usus che, difatti, nel capo v della redazione del 1233, nel disciplinare «que questiones ad usum et que ad leges mittantur», annovera per il primo, tra l’altro, «omnes compagnias ad negotiationes vel ad operas pertinentes».3 La seconda riguardal’epoca nella quale tali fonti assunsero una prima sistemazione scritta e cioè intorno allametà del secolo xii, epoca alla quale rimonta anche la più antica documentazione notadi giurisdizione mercantile (1162) e le prime menzioni esplicite di consules mercatorum.4È a quell’epoca e a quel contesto che si deve guardare una volta riconosciuta la funzio-ne giuridica del Rendiconto.

10.

Rimane da vedere chi lo ha scritto. L’unica traccia sicura in nostro possesso per rico-struirne un profilo è proprio la scrittura. Ma questo è anche uno degli aspetti più con-troversi di tutta la vicenda. Secondo Baldelli «il testo volgare è in un’accurata minusco-la carolina di carattere librario senza alcun legamento della gotica; l’andamento dialcune lettere (la i iniziale, la r, la a) e l’aspetto generale ne fanno giudicare la mano deiprimi decenni del secolo xii; anche la mancanza della d onciale, in una scrittura di ca-rattere librario, assolutamente non notarile, può portarci piuttosto ai primi decenni delsecolo xii. La mano del nostro testo non è infatti avvicinabile a nessuna delle molte dinotai pisani operanti tra la fine del secolo xi e il secolo xii, mentre invece appare assaivicina al tipo di scrittura di alcune sottoscrizioni di carte pisane redatte tra la finedell’xi e i primi decenni del xii».5 Un giudizio che veniva ribadito in occasione del Con-vegno su Alfabetismo e cultura scritta del 1977. A questa ultima occasione risale anche ilprimo intervento di Armando Petrucci sull’argomento. «Secondo me – egli osservava –non si tratta di una scrittura minuscola carolina di tipo librario opposto a quello nota-rile. È una scrittura certamente vicina alla carolina libraria, ma lo è in quanto nella zo-na pisana in quel periodo anche coloro che rogavano atti notarili usavano una scritturadi quello stesso tipo» e aggiungeva: «la natura stessa di questo testo, privo di latinismi,

1 Individuare e qualificare il ruolo svolto all’interno di un ordinamento giuridico, anche separato, dauna scrittura non significa, questo sia chiaro, confinarla al mero aspetto probatorio, pur essendo meri-tevole quest’ultimo di attenta considerazione. Livio Petrucci non manca di cogliere la sollecitazioneavanzata da Ugo Tucci a proposito dei conti di banchieri fiorentini: la formularità che quei conti mo-strano si spiega anche «con l’incipiente riconoscimento di un valore probatorio alle scritture extra-nota-rili dei mercanti» (PetrucciL 1994, p. 64), il che è ovviamente esatto, ma merita di essere storicizzato equindi calato nelle cronologie dei singoli ordinamenti.

2 Storti Storchi 1998 per quanto riguarda i Costituti, e Ticciati 1998 per la corporazione dei mercanti.3 Bonaini 1870, p. 834. 4 Ticciati 1998, pp. 69-100.5 Baldelli 1973, pp. 8-9.

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che ha un sistema abbreviativo, per quello che se ne può capire, completamente diversoda quello normale, fa pensare a un ambiente di formazione scolastica diverso da quellireligiosi tradizionali. Non può che essere evidentemente – concludeva – un ambientelaico».1 A un ambito non librario sembra aver pensato anche Emanuele Casamassima,la cui opinione è riferita da Castellani: «Circa la data del nostro testo, che è in una mi-nuscola carolina (littera antiqua) molto accurata, i limiti estremi sono costituiti dalla me-tà del secolo xi ‹prima di tale secolo non si potrebbe trovare la littera antiqua adoperatain un documento senza residui delle legature proprie della corsiva precedente› e dallametà del secolo xii ‹in quanto manca ogni elemento del nuovo sistema (littera moderna)in particolare il d onciale›».2

Modello librario, dunque, o modello notarile? Dall’opposizione non si esce, se non os-servando, come ha fatto la Miglio, che la minuscola di modello carolino è tra l’xi secoloe ancora per buona parte del secolo seguente «scrittura ‘normale’ usata sia per la docu-mentazione che per la copia di libri e probabilmente insegnata ai primi gradini del-l’educazione».3 Anzi, per meglio porre i termini della questione, si dovrebbe dire che le‘scritture elementari delle scuole primarie’4 sono tra xi e xii secolo costituite proprio datipi di minuscole che dal modello carolino traggono ispirazione e sostanza. La scritturacon cui è vergato il Rendiconto è la restituzione, a un livello di non mediocre capacità gra-fica, di quel modello elementare5 e dunque non è definibile né libraria né documenta-ria, in quanto precede, nella fisionomia dei segni, sia l’una sia l’altra resa grafica.

11.

La situazione è resa possibile, come si diceva, dal trovarsi l’Italia settentrionale di xii secolo in una condizione di «monografismo assoluto»,6 nella quale la minuscola, pureavviata a subire serie trasformazioni e articolata in differenti tipizzazioni, era ormai datempo padrona incontrastata del campo grafico, il che implica la sua elevazione a mo-dello grafico di riferimento in ogni contesto scolastico: ecclesiastico, notarile e (perchéno?) anche mercantile. Se pure la scrittura del Rendiconto fosse un riflesso di quella appresa nei gradi dell’istruzione primaria, sarebbe tuttavia un errore attribuirle la definizione di «elementare di base». Non solo, infatti, essa appare priva di alcuni requi-siti tipici di tale categoria,7 ma aggiunge anche, di suo, elementi ornamentali capaci diconferirle quell’originale carattere ibrido che volentieri le riconosciamo. La si guardi davicino.

È una minuscola dritta e rigida, di modulo piuttosto grande, anche se soggetto a va-riazioni. Si parte, infatti, dalle prime righe scritte con lettere di media grandezza (in pri-ma linea la media non ponderata del corpo delle lettere è di 2,5 mm; quella delle aste

1 PetrucciA 1978, p. 192.2 Castellani 1973, p. 124; la citazione è un collage tra corpo dell’articolo e note (inserite tra parentesi

aguzze). 3 Miglio 1986, p. 87.4 Sono scritture destinate all’insegnamento: si veda PetrucciA 1972, pp. 316-20.5 Signorini 1999, p. 266.6 Si tratta di situazioni nelle quali si è «alla presenza di un unico sistema grafico (per es. della scrittu-

ra latina) e, all’interno di esso, della varia, ma limitata articolazione di un unico genere di scrittura» (PetrucciA 1979, p. 21).

7 Le scritture elementari sono caratterizzate «dalla identificazione autonoma dei singoli elementi,dalla conseguente assenza di legamenti corsivi o di nessi fra loro, dal parco o nullo uso di abbreviazioni,dalla mancanza di elementi di inquadramento, separazione ed esplicitazione del discorso (uso di maiu-scole, punteggiatura, segni diversi, ecc.)» (PetrucciA 1979, p. 25 e si veda anche p. 26)

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alte di 6,8), per poi dilatarsi e ingrandirsi a mano a mano che procede l’operazione discrittura (già in seconda riga si passa, rispettivamente, a 2,8 e 7,3 e quindi alla settima cisi attesta tra i 3,1 e i 7,7) e mantenersi più o meno costante fino alle ultime righe, nellequali però il corpo delle lettere è leggermente più grande (3,3 mm).1 Una simile espan-sione sembra alludere a un processo di messa in pagina che accerta ben presto una di-sponibilità di spazio maggiore di quanto preventivato. È come se lo scrivente, accorto-si di avere superficie sovrabbondante per il testo ancora da inserire, abbia, da un certomomento in poi, dilatato la propria scrittura quasi a tentare l’occupazione dell’interapagina.

È stato notato che la penna impiegata era a punta sottile,2 ma si tratta di un’impres-sione determinata dall’imponenza della scrittura e dal suo slancio (r. 14 dela pianeta, conl alta 9,5 mm e le lettere sul rigo 3,5/4; r. 7 in corbella, con b alta 8,5 le due l 7,5, mentre lelettere sul rigo 2,6/3,1), perché se si guarda al peso emerge sicuro il contrasto tra i trat-ti di massimo spessore (di norma diagonali discendenti da sinistra verso destra) e quel-li più sottili (ascendenti da sinistra verso destra: il segno abbr. di sol e le parti di n e r conidentico andamento).3

Fra le lettere degne di rilievo vanno certamente segnalate la r, dal disegno caratteri-stico con il secondo tratto fortemente spezzato in tre segmenti dei quali il primo e il ter-zo obliqui ascendenti e il secondo discendente con andamento verticale; la g in quattrotratti, con l’occhiello superiore chiuso da tratto orizzontale ondulato.4 Ancora interes-santi sono la a leggermente inclinata, con tratto sporgente in alto e occhiello acuto; lad con occhiello chiuso da un tratto arcuato ovvero ondulato analogo a quello della g(notevole, come più volte sottolineato, l’assenza della d di modello tondo); la e esegui-ta in tre tempi (r. 11 timone); la u eseguita col primo tratto arcuato e tendente a chiudersi

1 I sostenitori della misurazione calibrata vorranno scusare la mia approssimazione: mi sembra suffi-ciente fornire un’idea, ancorché generica, dell’espansione della scrittura e mi è impossibile aspirare aesattezza scientifica. Ciò nonostante le misurazioni sono prese su immagine digitale (sorgente 8 Mp, conformato di compressione jpeg) 1:1 in elaborazione con programma Adobe®-Photoshop® e considerano:per i corpi tutte le lettere, per le aste le lettere b, h ed l, essendo le altre (cioè quelle della d e soprattuttodella s) ferme, di norma, a un’altezza inferiore. La media è semplicemente compiuta tra misura massi-ma e minima, non considerando gli estremi e avendo tolti due decimi di millimetro per la diffusione delcontorno in pixel (si tratta, in buona sostanza, di stime al ribasso).

2 Così Miglio 1986, p. 87: «una carolina ancora eseguita con penna a punta sottile» e più avanti «si trat-ta di una carolina assolutamente priva di corsività e di legamenti (è presente solo il falso legamento st)vergata separando con cura le singole lettere ma non altrettanto le parole che sono scritte, spesso, di se-guito, uniforme nel chiaroscuro e arricchita al termine delle aste alte di un triangolino ornamentale».

3 I tratti di massimo spessore (schiena della a e assimilabili) con larghezza 0,6/0,8 mm; quelli di me-dio spessore (verticali) con larghezza 0,4/0,5 mm; quelli minimi non superano i 0,3 mm, con un rappor-to che è superiore al doppio. La larghezza della punta della penna è dunque di circa 0,7 mm, uno spes-sore non attribuibile a una punta acuminata.

4 Si tratta di un modello che ha precedenti e continuatori. Tra i primi si può annoverare il breve de-gli uomini di Casciavola databile a dopo il 24 luglio 1098 e prima del 19 marzo 1106: si veda PetrucciA ea., pp. 151-57, r. 7 Langubardi; tra i secondi la canzone Quando eu stava in le tu cathene, attribuita agli ultimidecenni del xii secolo e ai primi del successivo, r. 21 tego teve prego: Stussi 1999, pp. 1-68; ultima edizione,anch’essa con riproduzione, in Formentin 2007, pp. 139-77. Un simile tratteggio, più frequente di quantonon si possa pensare anche se non sempre con gli esiti formali presenti nel Rendiconto, è possibile rinve-nire anche nelle ben più strutturate scritture notarili pisane: si veda la sottoscrizione di «Bartholomeusmagistri Bifulci filius imperialis aule notarius» (Arch. di Stato di Pisa, Primaziale, 1205 giugno 19), o lascrittura di «Pastanellus quondam Guidonis Marronis de Pungna aule imperialis notarius» responsabiledi un’aggiunta in data 1228 maggio 26 in calce al doc. Arch. di Stato di Pisa, Sant’Anna, 1221 gennaio 10.Ma una ricerca sistematica potrebbe con facilità moltiplicare le ricorrenze.

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in alto, con netta distinzione rispetto alla cifra per cinque che è invece aperta. Da ri-marcare ancora il pesante e talvolta maldestro ritocco aggiunto di frequente alle aste al-te (Fig. 2a): si tratta di un atteggiamento ricercato e insistito che dà luogo a molteplici-tà di esiti e che rimanda decisamente a modelli grafici di ambientazione libraria.Sebbene manchino lettere maiuscole, mette conto di segnalare la i che, in posizione ini-ziale, discende sempre sotto il rigo con leggera curvatura a sinistra, differenziandosinettamente rispetto alla lettera all’interno di parola1 e, quel che più conta, secondo unmodello che contrasta con i prevalenti usi notarili. I notai, per quanto mi è noto, eranosoliti riservare al segno i prolungato sotto il rigo il compito di indicare l’unità in ultimaposizione, proprio per marcare la fine della cifra (del tipo xviij).

La presenza di legature, i cui esiti non incidono sulla morfologia delle lettere, è unfatto accertato (Fig. 2b): la t lega a destra con a (r. 9 taliatura); i (r. 3 sorti); u (r. 9 talia-tura), ma anche con r (rr. 2 e 5 intra, 12 maestro, 15 quatrati). La particolare struttura diquest’ultima lettera favorisce il legamento con i (r. 6 discaricatura e r. 10 Anrigo), oppu-re con n (r. 15 ispornaio). Con la r la a non lega, anche se talvolta certe sovrapposizionisono interessanti, come a r. 12 aductura o all’inizio di r. 14 la fine della parola serra|tura.La e lega con la r (r. 11 serratura). La f, nelle due occasioni della sequenza fi, lega con la i(r. 2 e r. 6 filio), come anche sembra talvolta incline a legare il tratto orizzontale di chiusura dell’occhiello della g, ad es. con u (lettera peraltro molto disponibile) nel Gua-la[ndello] di r. 15. Si noti come in tutte le occorrenze esaminate la legatura si costituiscecon l’assimilazione di un tratto proveniente da destra con andamento orizzontale (t, e,f) o con inclinazione verso l’alto (r) e trattino di attacco a sinistra della successiva lette-ra (a, i, r, u). Ben attestato è il legamento st, che però l’attuale critica paleografica ten-de a considerare come grafema stereotipo e autonomo.2

Insomma, nelle situazioni esposte, lo scrivente mostra di essere in grado di costruireuna limitata, ma concreta, catena grafica, mentre in altri punti si riscontra una conti-

1 Compare 24 volte su 28, le quattro eccezioni essendo costituite dalla sequenza aloispornaio (rr. 2, 4, 5,15) che lo scrivente intendeva, evidentemente, come un’unità grafica (e infatti la racchiude tra due punti).

2 È un «falso legamento» per Miglio 1986, p. 87, mentre di «grafema autonomo dell’alfabeto minu-scolo» scrive Bartoli Langeli 2000b, p. 22.

Fig. 2a. Il trattamento delle aste alte. Prima colonna (prive di ritocco): d r. 15 di quadrati, l r. 2 alo;seconda colonna (con ritocco ben eseguito, ma non inchiostrato): d r. 14 dr, l r. 11 pilotto; terza colonna

(con esecuzione incompleta o imperfetta): d: r 11 dr, l r. 1 lis.

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nuità di tratti tanto significativa che, se pure non vi è stata vera e propria legatura e si ètrattato piuttosto di una semplice sovrapposizione, questa è talmente spontanea e na-turale che si dovrà riconoscere allo scrivente almeno una intentio ligandi di non minoresignificato, da un punto di vista della struttura e del modello, di una legatura effettiva-mente condotta a termine.

Altro aspetto caratteristico della scrittura del Rendiconto è l’assenza di tratti di staccosul rigo per alcune delle lettere che pure li ammetterebbero, com’è il caso di m e n (ul-timo elemento), h (secondo tratto) ed i, mentre per la u si ha una certa oscillazione. Unamancanza, questa, che, unita all’andamento acuto di m ed n, contribuisce a dare l’im-pressione di una certa rigidità della scrittura.

Il sistema abbreviativo è ridotto all’osso,1 ma non ci si può stupire. È condizione nor-male, in un testo in volgare, la forte riduzione e la deformazione del sistema abbrevia-tivo. Più opportuno segnalare l’incongruenza dell’abbreviazione lis che, «alla lettera li-bras, sarà da considerare una formula adottata in questa forma data la frequenza del

1 «Nessuna abbreviazione (se si escludono le indicazioni monetarie), ed anche questo è segno di arcaicità» (Baldelli 1973, p. 14).

Fig. 2b. Prospetto di alcune legature (le lettere che legano sono scritte in corsivo).Prima riga: fi (r. 2, filio); gu (r. 15, Guala[…]); ri (r. 6, discaricatura); rn (r. 15, ispornaio);

seconda riga: erra (r. 7, serra); resta (r. 4, restaiolo); rar (r. 4, Gherardo);terza riga: uatrati (r. 15, quatrati); tali (r. 9, taliatura); tura (r. 5, guardatura).

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plurale accusativo in cui veniva a trovarsi il termine nei documenti latini»1 (nei quali pe-rò è preferita la forma tradizionale lb) e dunque fa bene la Miglio a sottolineare che sitratta dell’unico caso di questo tipo di abbreviazione tra i primi testi pratici. Consuete,ma notarili, le abbreviazioni sol per i soldi e dr per i denari, mentre non si può lamenta-re l’assenza della nota tironiana per et in un testo che scrive la congiunzione costante-mente e.2

Due i segni abbreviativi: a tilde per dr e lis, a linea retta diagonale per sol (da osserva-re la forte identità che caratterizza questo compendio: in tutte le occorrenze il segnoabbreviativo parte dalla o e si prolunga con angolo di inclinazione analogo).

La punteggiatura è rigorosa e funzionale «chiudendo ogni unità fonosintattica» e in-dividuando con precisione le singole cifre.3

L’allineamento delle lettere sul rigo risulta incostante, anche se nel complesso la te-nuta appare buona, aiutata, ma solo per le prime dieci righe, da una rigatura eseguitasul verso con l’impiego di una punta a secco che ha inciso profondamente la pergame-na. Tale operazione potrebbe far pensare ad una cura particolare nella preparazione delsupporto, circostanza vera solo in parte. La pergamena utilizzata, infatti, appare di me-diocre qualità, con difetti nella concia e con vistosi ispessimenti lungo il margine destro.Le righe tracciate, inoltre, non sono rettilinee, ma a circa 3/4 della pagina hanno un bru-sco scarto verso l’alto (valutabile tra i 4 e i 5 gradi), fatto che contribuisce non poco adare l’impressione di una forte inclinazione della scrittura. Questa, per suo conto, sem-bra reagire alla deviazione cercando di mantenere un assetto più ortogonale, come puòvedersi dalla parte finale delle righe 6, 7, 8 nelle quali la scrittura si dispone a cavallo del-la rigatura. Dalla preparazione del supporto provengono, dunque, informazioni appa-rentemente contraddittorie: sembra di dovervi riconoscere un tentativo di predisposi-zione secondo modelli accurati e librari, ma con risultati piuttosto scadenti.

Merita infine di essere sottolineato il fatto che lo scrivente commette un discreto nu-mero di errori prontamente corretti: dalla o di col a r. 2 interpretato come ‘integrazio-ne’ da Baldelli, alla r di Orsi a r. 6 e alla t del quasi illeggibile salvamento r. 20 segnalati dalCastellani fino alla s di iscaricatura a r. 5 menzionato da Livio Petrucci, ai quali possonoaggiungersi la l di alo di r. 10, l’apparente integrazione di una terza unità alla cifra iii dir. 9, l’erroneo anticipo, corretto per tempo, della d, della quale rimane l’inizio dell’astanell’interlineo, in aducitura alla medesima r. 9.

L’analisi delle caratteristiche grafiche del Rendiconto sembra indirizzare alle medesi-me conclusioni ambigue suggerite dalla preparazione della pergamena e conferma pie-namente la fisionomia ibrida di tale scrittura. Non si può infatti negare allo scriventeuna certa familiarità con lo scrivere qual è testimoniata dalle legature, dalle frequentisovrapposizioni fra lettere e dalla capacità di non seguire il percorso stabilito dalla riga-tura, né possono passare inosservati lenocinii esornativi come il pesante ritocco delleaste alte. Ma non si può parimenti negare la sostanziale rigidità, l’invariabilità dei segnialfabetici, l’assenza di armonia del risultato d’insieme. Non ci troviamo, insomma, in-

1 Baldelli 1973, p. 14.2 Miglio 1986, p. 88 e nota 15. A uno spoglio certamente occasionale e non esaustivo non ho rinvenuto

altre occorrenze di lis neppure in fonti più tarde.3 Baldelli 1973, p. 20. Delle 52 cifre presenti nelle quindici righe che precedono la rasura manca il punto

a sinistra solo per xl di r. 5, in xv di r. 7 e i di r. 8, mentre è irregolare per le cifre in fine di rigo. L’assenzadi punto dopo iii di r. 9 è probabilmente dovuta alla correzione (si veda la nota m all’edizione); al contrario dell’edizione di Baldelli, il punto non viene reintegrato.

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nanzi alla produzione di un tecnico della scrittura, di uno scriba professionista (un no-taio oppure un calligrafo), bensì, a me pare plausibile, al cospetto dell’attività di un espo-nente di quella classe mercantile e artigiana direttamente coinvolta nell’impresa can-tieristica.1

12.

È opportuno allora volgersi a considerare come scriveva nel xii secolo questa classe, equi il discorso si fa nuovamente spinoso e complesso, sia per l’esiguo numero delle te-stimonianze antiche, sia, spesso, per l’impossibilità di ricostruire con certezza la matri-ce economica e sociale di personaggi che per funzione politica e amministrativa hannolasciato testimonianza scritta del loro alfabetismo.

Anche col poco che si ha, tuttavia, pare possibile istituire interessanti paragoni.2 Pos-sono trovarsi in sei pergamene (quattro sentenze, un mutuo stipulato dal Comune, unbreve memoriale) conservati presso l’Archivio di Stato di Pisa e distribuite lungo un ar-co cronologico che va dal 1142 al 11733 e sottoscritte da almeno quarantuno consoli e duearbitri. Alcune sottoscrizioni mostrano un grado di educazione grafica alto o altissimo(Fig. 3): è il caso di Ildebrando Ildebrandi (1152) o quello di Ildebrando Gualfredi e PietroAlbizonis (1155), tutti capaci di scrivere una composta, minuta, educata minuscola ade-rente al modello carolino. Pietro Vicecomes (1142) manifesta invece, sin dalla scrittura,una rozza elementare di base lontana dagli atteggiamenti che qui si cerca di descrivere,la propria appartenenza a un mondo destinato a sparire. Altri si distinguono per solu-zioni personali, come Sismondo Enrigi (1142) o Lamberto de Santo Casiano (1155). Ma lapiù gran parte dei sottoscrittori mostrano di condividere un modello grafico comune,

1 Veramente sorprendenti sono le analogie che si possono istituire tra la scrittura del Rendiconto equella descritta da Bartoli Langeli per Francesco d’Assisi. Anche in questa si riscontrano frequenti lega-ture «ma in molti casi si deve parlare di legatura apparente, ossia di un tracciato continuo, senza staccodi penna, ma di puro contatto»; tra le lettere caratteristiche si possono annoverare «la e eseguita in tretempi […] la r, con il secondo tratto spezzato in tre segmenti […], la g […] il legamento st…» e ancora«grossezza e separazione delle lettere, allineamento incerto». «La norma grafica sottesa a queste scrit-ture è quello che si può dire il ‘canone alfabetico’: ossia l’invarianza e separatezza degli elementi alfabe-tici, la ripetizione costante delle stesse forme di lettera a prescindere dal contesto grafico. Le lettere hanno sempre, quale che sia la loro posizione, la stessa forma – il che è indice di un rapporto rigido conla scrittura appresa». Non crei scandalo il paragone: «Quella minuscola semplificata», infatti, «la trovi inaltri luoghi e in altri tempi» e non soltanto nell’Umbria e nelle Marche di xiii secolo. E anzi «la docu-mentazione umbro-marchigiana si rivela come la specificazione di un fenomeno più largo e diffuso, siacronologicamente sia geograficamente sia infine sociologicamente». Cosicché «Francesco, come gli al-tri scriventi che gli fanno compagnia in questo capitolo minore e oscuro della storia della scrittura, sonoindividui semicolti, appena alfabetizzati. Essi ‘scrivono male’: ma non, si badi, per una presunta incom-piutezza del curriculum scolastico […] quanto perché strutturalmente elementare era la loro formazio-ne grafico-culturale: una alfabetizzazione condannata all’immobilità, incapace di progressione autono-ma» (Bartoli Langeli 2000b, pp. 23-28). E, infatti, Francesco era per nascita e formazione un mercante.

2 Meno congruenti paiono i confronti suggeriti da Baldelli 1977, p. 9.3 Si tratta delle pergamene dell’Arch. di Stato di Pisa (le date sono riportate al computo moderno):

Primaziale, 1142 ottobre 27; S. Michele, 1152 novembre 18; Roncioni, 1155 maggio 26; Atti pubblici 1166marzo 7; Coletti, 1173 luglio 13. Lo spoglio dell’Archivio di Stato, facilitato dalla presenza di microfilm, èstato completo. Con Armando Petrucci abbiamo compiuto dei sondaggi presso l’Archivio arcivescoviledove abbiamo visto del fondo San Matteo i ni 9, 10, 12-25, mentre nel fondo Arcivescovile presentano sot-toscrizioni autografe (che non siano di giudici, notai o causidici) le pergamene ni 247, 275, 284, 291, 299,304, 305, 309, 326, 332, 333, 343, 353, 354, 376, 400, 404, 407, 412, 424, 427, 430, 431, 445. Di queste non appar-tengono a mani di ecclesiastici le sole sottoscrizioni alle pergamene: 332, 400, 404 e 427 corrispondenti aScalfati 2006/2, nº 124 e 2006/3, ni 26, 30 e 50.

postille intorno al «rendiconto navale» pisano 43

Fig. 3. Sottoscrizioni di consoli e arbitri pisani:Ildebrandus Ildebrandi (1152), Ildebrandus Gualfredi (1155), Petrus Albizonis (1155),

Petro Vicecomes (1142), Sismundus Enrigi (1142), Lambertus de Santo Casiano (1155),Maimone (1152), Glandulfus Rodulfi (1152).

44 antonio ciaralli

anche se eseguito con capacità più o meno abili: si passa da scritture elementari e in-certe, come quelle di Rigano e di Maimone (1152) o di Eriso (1155), ad altre più ordinatee di migliore esecuzione, sul tipo di quelle di Glandulfo Rodulfi e di Rustico (1152), di Buiti e Sigismondo (1155), o ancora di Vetrulario e di Erro (1166). Si tratta di un model-lo caratterizzato da un modulo spesso grande ed esecuzione dritta e rigida, di normaprivo di tratti di stacco sul rigo per quelle lettere che li consentirebbero, con a dall’oc-chiello acuto, aste slanciate, d nelle due forme tonda e dritta ([…]volus Rodulfi del 1142,Sigismundo del 1155, Sinibaldo del 1165); un modello nel quale assumono particolare rilievo la g in tre o quattro tempi, ma con occhiello superiore sempre chiuso da un uni-co tratto di frequente ondulato; la r larga e dal tratteggio caratteristico, spesso appog-giata alla lettera che segue (come con a ed e) altre volte in legamento; la u col primotratto ondulato e quando possibile in legamento anteriore, ed il secondo dritto; dal se-gno abbreviativo generico, infine, a forma di tilde. Sono tutte caratteristiche, queste oraelencate, che tornano nella mano che ha scritto il Rendiconto pisano. Una mano, comesi diceva, capace di tradurre in una sequenza omogenea e razionale la serie di segni iso-lati e convenzionali dell’apprendimento primario. Un operatore capace di utilizzare concriterio e coerenza un elementare, ma razionale sistema interpuntivo. Proprio comefanno Glandulfo Rodulfi, Gerardo, Gerardo Episcopi, Enrigo, tutti enumerabili, da unpunto di vista grafico, tra i migliori rappresentanti della classe di governo e di poteredella Pisa di xii secolo.

13.

La migliore comprensione del Rendiconto pisano è un problema che il solo studio delleforme grafiche e della veste linguistica potrebbe non bastare a risolvere. L’ambiente di

Fig. 3. Sottoscrizioni di consoli e arbitri pisani:Rustico (1152), Buiti (1155), Vetrularius (1166), Rodulfus (1173).

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insegnamento, il luogo e le modalità di apprendimento costituiscono fattori determi-nanti nel conferire alla scrittura nella quale è vergato caratteristiche peculiari che ren-dono problematico applicare ad essa i tradizionali criteri di interpretazione e datazio-ne. Né meglio può valere l’esperienza: di scritture così, per epoche tanto remote, se nevedono poche. Ci troviamo, infatti, solo all’inizio di una tradizione di scrittura econo-mica di matrice esclusivamente mercantile; il bello si vedrà col secolo seguente.1 Neconsegue l’utilità di precisare, meglio di quanto non sia stato fatto, tutti quegli aspettiche sono di cornice al mero fatto linguistico e a quello grafico. Lo studio delle forme edelle funzioni del documento, perché proprio di documento formalizzato e giuridica-mente connotato si tratta, è uno tra questi: che un non tecnico della documentazioneabbia preso la penna e scritto e che al risultato di tale iniziativa potesse essere conferitoun significato rilevante per l’ordinamento, questo è un fatto, dal punto di vista della di-plomatica (e della storia del diritto), sorprendente. Tanto più sorprendente per il seco-lo xii, quanto più si percorra a ritroso quel secolo. Del resto le fonti note, pisane e non,lasciano intravvedere un netto intensificarsi dell’attività documentaria della classe mer-cantile italiana solo dalla metà del Cento in poi. Certo, il Rendiconto potrebbe rappre-sentare il primissimo, miracoloso germoglio di un futuro che sarà, ma se il paradigmaproposto (abile resa di un modello elementare) corrisponde al vero, allora ne risulta chead esso non sono automaticamente applicabili i parametri di databilità cui normal-mente si è soliti fare ricorso. La dinamica interna di tipi grafici del genere, infatti, è ten-denzialmente volta alla staticità (riflesso del modello) e alla lenta permeabilità rispettoalle innovazioni nella morfologia e nel disegno quali sono invece ammesse, con mag-giore libertà, nelle coeve produzioni anche di impronta calligrafica e formale (e fra que-ste si devono includere anche le scritture notarili, almeno quelle pisane, che dal quar-to/quinto decennio del Cento assumono una marcata impronta cancelleresca). Unanatura come quella descritta potrebbe così non contraddire un possibile slittamentocronologico in avanti del Rendiconto fin oltre la metà del secolo, potendosi alla sua scrit-tura attribuire i connotati di un comprensibile arcaismo.2

1 È una rinuncia che pesa quella di Marta Calleri e Dino Puncuh, i quali nell’ammirevole loro studiodedicato al documento commerciale si sono arrestati, come si diceva, agli atti «riconducibili all’ambitodella documentazione notarile prodotta per il mercante», escludendo così il documento in volgare: «lad-dove, infatti, già a partire dal primo Trecento in area Toscana, alcune forme contrattuali si configure-ranno come private, prodotte dal mercante, espresse per lo più in forma volgare – l’epistola, l’apodisia,il suo cartulare o quello del banchiere – al diplomatista non resterà che seguire le linee di sviluppo di unprocesso che verrà estendendo la publica fides alle private scritture mercantili e conseguentemente daràinizio a giurisdizioni proprie […] e mollare la presa» (Calleri, Puncuh 2002, pp. 277-78). Qualora avesse-ro raccolto la sfida, avrebbero certamente incontrato sulla loro strada anche il Rendiconto pisano insiemealle rare, ma eloquenti testimonianze in volgare che accompagnano e scandiscono, ben prima del xiv se-colo, l’affermazione di quella autonomia.

2 A ciò non è ostacolo l’identificazione, proposta da Baldelli e a mio parere plausibile, di GherardoCigulo giacché, se anche di questi non si hanno più notizie dopo il 1140, la circostanza non implica cheegli sia scomparso proprio intorno a quella data. Del resto, se agisce già nel 1127, avendo a quell’epocamaturato la maggiore età (18 o 25 anni), può bene avere condotto una vita tranquilla fino, diciamo perrimanere nell’ipotetico più plausibile, al sessantesimo anno d’età e avere con ciò valicato la fatidica me-tà del secolo. Si tenga tuttavia presente che la prudenza di Baldelli e di Castellani intorno all’identifica-zione del Cigulo del Rendiconto con l’omonimo della documentazione preveniente da Calci riceve nuo-vo alimento dall’esistenza di un Gerardus Cigulini attestato, come confinante di un bene in Orticaia, in unatto rogato a Pisa il 18 marzo 1197: Scalfati 2006/3, nº 141, pp. 293-94.

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Wolf 1937 = A descriptive Catalogue of the John Frederick Lewis Collection of European Manuscripts inthe Free Library of Philadelphia, compiled by Edwin Wolf II, Philadelphia, [s.n.].

Zagni 1980 = Luisa Zagni, Carta partita, sigillo, sottoscrizione nelle convenzioni della repubblica di Genova nei secoli xii-xiii, «Studi di storia medievale e di diplomatica», 5, pp. 5-14.

Zeno 1936 = Riniero Zeno, Documenti per la storia del diritto marittimo nei secoli xiii e xiv, Torino,Lattes («Documenti e studi per la storia del commercio e del diritto commerciale italiano», 4).

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SOMMARIO

Stefano Carrai, La filologia di Dante Isella 9

Antonio Ciaralli, Alle origini del documento mercantile. Postille intorno al «Rendi-conto navale» pisano 21

Vittorio Formentin, Noterelle sulla tenzone tridialettale del codice Colombino diNicolò de’ Rossi 51

Giorgio Inglese, Crocco in «Purgatorio» xxiv 30? 75

Anna Bettarini Bruni, Paolo Trovato, Dittico per Antonio Pucciii. Paolo Trovato, Di alcune edizioni recenti di Antonio Pucci, del codice Kirkup

e della cladistica applicata alla critica testuale 81ii. Anna Bettarini Bruni, Esercizio sul testo della «Reina d’Oriente»: è possibile

un’edizione neolachmanniana? 98

Denis Fachard, «A maggiore vostra cognizione, mi farò un poco da lato, e voi aretepazienza a leggerla». Appunti su inediti machiavelliani riguardanti l’attuazione del-l’Ordinanza 129

Patrizia Arquint, Di un repertorio di briglie cinquecentesco falsamente attribuito aCesare Fiaschi 147

Annalisa Cipollone, Una ghirlanda fiorentina. 1938. Autografi novecenteschi nellaNational Library of Scotland (con lettere inedite di Saba e Ungaretti) 171

Davide Checchi, L’architettura dei «Versi livornesi» di Giorgio Caproni 201

Indici, a cura di Fabio Romaninii. Indice dei nomi 213ii. Indice dei manoscritti e dei postillati 223iii. Indice dei nomi delle lettere machiavelliane 227

Sigle impiegate in questa rivista 229