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DI REPUBBLICA DOMENICA 9 AGOSTO 2015 NUMERO 544 P IPPI CALZELUNGHE sarebbe forse una pacifica signora d’età se non avesse ancora quelle corte treccine rosse dritte nell’aria, quella miriade di lentiggini su tutto il visino rotondo, e non sollevasse anco- ra il suo amato cavallo con una sola mano. Compie settant’anni, però solo in Svezia do- ve è nata nel 1945, e là si chiama Pippilotta Viktualia Rullgardina Krusmynta Efraim- sdotter Langstrump; mentre in giro per il mondo ha altri nomi sorprendenti nelle no- vantasei lingue in cui è stata tradotta, dall’hiddish al catalano, dallo zulu al curdo. In Italia è più giovane che nel suo paese, es- sendoci arrivata per la prima volta nel 1958, devotamente tradotta da Annuska Palme e da Donatella Ziliotto, con gli spiritosi disegni originali di Ingrid Vang Nyman. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE vaalla NATALIA ASPESI Cult 1 SETTEMBRE 1939 O H! OGGI È INIZIATA la guerra. Nessuno ci voleva credere. Ie- ri pomeriggio io ed Elsa Gul- lander eravamo sedute al par- co, mentre i bambini giocava- no, e in tutta tranquillità parlavamo di Hi- tler. Eravamo d’accordo sul fatto che non avrebbe mai iniziato la guerra — e invece oggi! Stamattina presto i tedeschi hanno bombardato diverse città in Polonia e avan- zano verso quest’ultima da tutti i fronti. Ho evitato fino all’ultimo di fare provviste, ma oggi ho comperato un po’ di cacao, del tè, un po’ di detersivo e poche altre cose. Una terribile sensazione si stende sopra tutto e tutti. La radio ha trasmesso comunicati du- rante tutto il giorno. Tanti uomini sono sta- ti chiamati al fronte. Che Dio aiuti il nostro povero pianeta, colpito com’è dalla follia! >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE ASTRID LINDGREN Pippi guerra La copertina. Benvenuti nell’accademia della saggezza Straparlando. Haim Baharier: “Un clochard mi disse” Mondovisioni. A Bled, nella suite dei sovrani Hitler,bombeepasticcini NeidiaridiAstridLindgren lastoriadellapiccolaribelle natasettant’annifa Il reportage. Vita quotidiana nella California della grande siccità L’immagine. Se la mamma si mette in mostra Spettacoli. Il roi du rock: “Essere Johnny Hallyday è un mestiere” L’incontro. Fernando Botero: “Ma quant’è intoccabile l’arte contemporanea” ASTRID LINDGREN CON I FIGLI LARS E KARIN FUORI DALLA LORO CASA A VULCANUSGATAN, STOCCOLMA, NEL 1940/FOTO RICARD ESTAY Repubblica Nazionale 2015-08-09

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DIREPUBBLICADOMENICA 9 AGOSTO 2015NUMERO544

PIPPI CALZELUNGHE sarebbe forseuna pacifica signora d’età senon avesse ancora quelle cortetreccine rosse dritte nell’aria,quella miriade di lentiggini su

tutto il visino rotondo, e non sollevasse anco-ra il suo amato cavallo con una sola mano.Compie settant’anni, però solo in Svezia do-ve è nata nel 1945, e là si chiama PippilottaViktualia Rullgardina Krusmynta Efraim-

sdotter Langstrump; mentre in giro per ilmondo ha altri nomi sorprendenti nelle no-vantasei lingue in cui è stata tradotta,dall’hiddish al catalano, dallo zulu al curdo.In Italia è più giovane che nel suo paese, es-sendoci arrivata per la prima volta nel 1958,devotamente tradotta da Annuska Palme eda Donatella Ziliotto, con gli spiritosi disegnioriginali di Ingrid Vang Nyman.

>SEGUENELLEPAGINESUCCESSIVE

vaalla

NATAL I A ASPES I

Cult

1 SETTEMBRE 1939

OH! OGGI È INIZIATA la guerra.Nessuno ci voleva credere. Ie-ri pomeriggio io ed Elsa Gul-landereravamosedutealpar-co,mentre ibambini giocava-

no, e in tutta tranquillità parlavamo di Hi-tler. Eravamo d’accordo sul fatto che nonavrebbe mai iniziato la guerra — e inveceoggi! Stamattina presto i tedeschi hannobombardatodiversecittà inPoloniaeavan-

zano verso quest’ultima da tutti i fronti. Hoevitato fino all’ultimo di fare provviste, maoggi ho comperato un po’ di cacao, del tè,un po’ di detersivo e poche altre cose. Unaterribile sensazione si stende sopra tutto etutti. La radio ha trasmesso comunicati du-rante tutto il giorno. Tanti uomini sono sta-ti chiamati al fronte. Che Dio aiuti il nostropovero pianeta, colpito com’è dalla follia!

>SEGUENELLEPAGINESUCCESSIVE

ASTR I D L I NDGREN

Pippi

guerra

Lacopertina.Benvenutinell’accademiadellasaggezzaStraparlando.HaimBaharier:“Unclochardmidisse”Mondovisioni.ABled,nellasuitedeisovrani

Hitler,bombeepasticciniNeidiaridiAstridLindgrenlastoriadellapiccolaribellenatasettant’annifa

Ilreportage.VitaquotidiananellaCaliforniadellagrandesiccitàL’immagine.SelamammasimetteinmostraSpettacoli. Il roidurock:“EssereJohnnyHallydayèunmestiere”L’incontro.FernandoBotero:“Maquant’èintoccabile l’artecontemporanea”

ASTRIDLINDGRENCONIFIGLILARSEKARINFUORIDALLALOROCASAAVULCANUSGATAN,STOCCOLMA,NEL1940/FOTORICARDESTAY

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 26LADOMENICA

IDIARI

NELLAFOTOASTRIDLINDGRENNEGLIANNI ’40.INALTO, LAPRIMAPAGINADIDIARIODELPRIMOSETTEMBRE1939.ACCANTOUNRITAGLIODIGIORNALEDEL1941CONHITLEREUNALTRODEL ’43.ASINISTRA, LACESTA INCUISONOSTATI TROVATI IDIARI.I “DIARIDIGUERRA”DELLALINDGREN,DACUISONOTRATTIGLI STRALCIQUIPUBBLICATI, ÈAPPENAUSCITO INSVEZIA

LasignoraCalzelunghe

MENTRE TENEVA IL SUO QUOTIDIANO DIARIO di guerra, diciassette qua-derni riempiti dalla sua scrittura regolare e completati da fotogra-fiee ritagli digiornale, ritrovati dalla figlia dentroun vecchiocesti-no, Astrid Lindgren lavorava nell’ufficio di censura della posta mi-litare; e la sera, alla figliolina malata, raccontava di questa buffabimbafelice inventandolaalmomentoperpoi scriverla: l’ispirazio-ne le veniva dalla sua stessa magica infanzia rurale nel sud dellaSvezia, e riuscì a pubblicarla contemporaneamente alla fine dellaSeconda guerra mondiale, e quindi del diario. Improvvisamente ibambini di tutto il mondo, dalla Finlandia alla Cina, dalla Russiaall’Armenia, si innamorarono di Pippi, questa strana bambina dinove anni, che viveva sola a Villa Villekulla, con una sacca piena di

monete d’oro, il suo cavallo senza nome e l’amata scimmietta Mr. Nilsson. Pip-pi è figlia di un capitano di nave scomparso nei Mari del Sud (che lei è sicurasia diventato il re di qualche isoletta lontana), quindi senza genitori a cuisottostare, niente scuola, disubbidiente, di dubbie maniere. Però ottimacuoca, sapiente nell’aggiustare tutto e, malgrado la sua ignoranza, abile nel

curare i suoi affari. Spesso, per certi lettori adulti è insopportabile, i bambiniinvece ovunque l’adorano, sia Tommy e Annika, i suoi compagnidi giochi, che

i piccoli lettori in ogni angolo del mondo, anno per anno, per decenni. In Italia ri-sveglia i bambini del Dopoguerra ancora affamati, quelli del primo benessere e

dei primi consumi, quelli delle nuove ribellioni giovanili, e ha certo contribuito adaccendere la rivoluzione del femminismo, accompagnando le ragazzine dell’opu-lenza e della crisi.

OggiPippinonè statasconfitta daigiochielettronicie continuaa essere la inimi-tabile compagna della breve infanzia che pare non finire mai: si leggono i suoi libri,

si guardano i suoi cartoon e film in dvd, o le serie televisive tuttora in onda (ades-so sul canale Cartoonito). Bambine di dieci anni, ragazze di venti, madri di tren-ta, nonne e bisnonne, condividono da decenni la scoperta e il ricordo di questabambina libera, indipendente, allegra, sapiente, generosa, forte, coraggiosa.

La prima bambina nata per gli altri bambini, diversa da tutte le protagoni-ste di racconti infantili: non dolciastra, non pia, non sottomessa ai ma-

schi e addirittura più sveglia di loro, capace di farsi ubbidire e di ca-varsela senza l’aiuto di adulti, un modello di femminilità non solo

infantile, impensabile settant’anni fa.“La guerra è finita! La guerra è finita! LA GUER-

RA È FINITA!”. Scrive Astrid Lindgren il 7 maggiodel 1945, in quei quaderni su cui ha incollato le foto

dell’odiato Hitler. Ma in novembre, quando Pippiè già in libreria e lei va a comprarsene una co-

pia, il suo pensiero di pacifista e socialista vaagli sconfitti: “Non credo che dagli articoliche ho tenuto si possa capire sino in fondo laterribile miseria in cui è sprofondata la Ger-mania. Si dice che quest’inverno a Vienna eBerlino moriranno tutti i neonati”.

Astrid ha trentasette anni quando la suaPippi, partendo dalla Svezia, inizia il suo inter-minabile viaggio nel cuore dei bambini delmondo, dove si sono vendute più di centocin-quantamilioni dicopie.L’infanziadellascrittri-

ce è stata felice, nel villaggio contadino di Villerby,inuna casina rossacome quelle dipinteda Carl Lars-son, nella semplicità di una famiglia molto unita. Adiciotto anni deve abbandonare la sua amata cam-pagna perché è incinta e non sono quelli anni in cuiuna ragazza madre viene accettata, neppure inScandinavia. Va a partorire in Danimarca dove la-scia il bambino in adozione temporanea. A Stoccol-ma trova un impiego di segretaria, il padrone si in-namora di lei e la sposa. Va a riprendersi il suo picco-lo Lars e poi nasce Karin, per la quale inventerà Pip-pi. Quando esce il primo volume (alla fine sarannoquattro) scandalizza i pii educatori e molti genitoriche definiscono la bambina dalle calze lunghe e di-verse l’una dall’altra, sostenute dalle giarrettiere,«una disgustosa monellaccia», ma anche «qualcosadi sgradevole che graffia l’anima». Durante la sua

Labambinadalletreccinerossecompiesettant’anni.“Ènatagrazieallaguerraeaunacavigliaslogata”

scopriamooraleggendoperlaprimavoltaidiaridellasuacreatrice

Lacopertina.BuoncompleannoPippi

<SEGUEDALLACOPERTINA

NATAL I A ASPES I

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 27

2 SETTEMBRE 1939

CHE GIORNATA TRISTE! Holetto i comunicati diguerra e ho temuto chemio marito sarebbe statomandato al fronte, ma

non è stato così dopotutto. Matantissimi altri tra oggi e domanilasceranno le loro case. Nel negozio ogginon si trovava un chilo di zucchero.Ovunque si parla della guerra, anche trapersone che non si conoscono.

5 SETTEMBRE 1939

Sul fronte occidentale non succedeancora nulla. Ma la Polonia si stafrantumando. Ho comperato scarpe perme e per i bambini prima che salgano iprezzi: due paia per Karin, uno per Larse un paio per me.

3 OTTOBRE 1939

La Polonia si è arresa. È il caos. Russiae Germania si sono divise il paese. Uno sirifiuta di credere che una cosa similepossa succedere nel Ventesimo secolo.A casa bisogna sopportare alcuni fastidiminori. Non si trova filo bianco, peresempio. Il detersivo viene distribuitopoco per volta. Un sacco di gente haperso il lavoro. Peccato che nessunospari a Hitler.

30 NOVEMBRE 1939

Sarebbe meglio non esistere più! Oggii russi hanno bombardato Helsinki ealtri posti in Finlandia. Non ricordo ungiorno così nero! Come andrà a finire,quale destino ci sta aspettando?

13 OTTOBRE 1940

La Svezia è il paese della cuccagnadove ancora si trovano cibo e pasticcinie cioccolato. Più miserabile di quanto sipossa esprimere a parole è la condizionedei poveri ebrei. Vagano per il pianeta,da quel che riesco a capire. È stranoleggere le lettere di chi parla di donne ebambini conosciuti di persona chehanno perso la vita nei bombardamentiaerei. Finché si leggono notizie simili suigiornali, si può quasi credere che nonsiano vere. Povero genere umano!

Ma la famiglia Lindgren sta bene!Oggi sono andata al cinema con i mieibambini ben nutriti. Viviamo nellanostra confortevole casa, ben riscaldata.Ieri a cena abbiamo mangiato aragostae paté di fegato, oggi lingua di manzo ecavolo rosso; e sandwich con uova sodee fegato d’oca. Grazie alla guerraguadagno 385 corone al mese. Sturedirige l’Associazione nazionale deicommercianti automobilistici. Viviamoun’esistenza fin troppo agiata. E io cercodi convincere Dio che gli sonosommamente grata, così che continui aessere buono e a tenere me e i miei carinel palmo della mano.

15 NOVEMBRE 1940

Ieri ho compiuto trentatré anni. Ibambini e mio marito mi hannoregalato una borsetta e una scatola per ilcucito. A cena abbiamo mangiatoanatra, cavolo rosso e dolce, senzatraccia di austerità. Da casa ho ricevutouna scatola di vari prodotti, tra cui duechili di burro. Di questi tempi non c’èregalo più gradito.

28 DICEMBRE 1940

Natale è arrivato ed è già passato. Ed èil secondo Natale di guerra! Ma la vigilianon c’è stata nessuna bomba! Neppureallarmi o sirene per raid aerei, né aBerlino né a Londra.

9 SETTEMBRE 1943

Ieri sera ero seduta accanto a Karinsul letto e le leggevo “I figli del CapitanoGrant” quando Lars è venuto a dirmiche l’Italia ha accettato di firmare unaresa incondizionata. Ce lo aspettavamo,ma abbiamo provato la sensazione divivere una giornata speciale in questaguerra, e ho voluto dare a ognuno deibambini una moneta percommemorarla.

7 MAGGIO 1945

Oggi è VE Day, il Giorno della vittoriain Europa! La guerra è finita! La guerra èfinita! LA GUERRA È FINITA! EStoccolma è invasa da festeggiamentisfrenati. Tutti si comportano come sefossero letteralmente impazziti. Chegiornata splendida!

15 AGOSTO 1945

Oggi è finita la Seconda guerramondiale. Tra il Giappone e gli Alleatic’è l’armistizio, così hanno detto questamattina al notiziario. Abbiamo sentitoparlare Attlee, e poi canzoni inglesi,americane, russe e cinesi.

20 NOVEMBRE 1945

Gli inglesi guidano più piano di noi ePippi Calzelunghe è un vero spasso. Conqueste dichiarazioni idilliache terminoqui la mia raccolta di articoli di giornale,che per altro contengono notizie atroci.Non credo che dagli articoli di giornaleche ho tenuto si possa comprenderefino in fondo la terribile miseria in cui èsprofondata la Germania. Si dice chequest’inverno a Vienna e Berlinomoriranno tutti i neonati.

25 NOVEMBRE 1945

Ieri sono andata in una libreria e hocomprato una copia di PippiCalzelunghe, questo libro così insolito edivertente che quasi certamente nonavrebbe mai visto la luce se all’iniziodella primavera del 1944 non mi fossislogata la caviglia. Naturalmente, puòanche darsi che ciò non avrebbe avutoimportanza alcuna!

CAPODANNO 1946

La mia carriera “letteraria” è andatain crescendo durante l’anno, ma disicuro in futuro andrà calando. Pippi èstata accolta con particolareentusiasmo dalla critica e anche dalpubblico, credo. Aspetto il 1946 congrande eccitazione per molti motivi. Inparte perché il 1945 è stato un annomolto difficile. Il mio lavoro per lacensura postale si è concluso con ladichiarazione di pace. Dal 10 settembrelavoro come stenografa. Karin haultimato il suo primo semestre allascuola superiore femminile diStoccolma e sta andando bene. Lars haavuto un brutto voto in inglese, ma èandato bene in chimica e in un’altramateria, il che è magnifico per lui. Hamolti amici di entrambi i sessi, ed esceparecchio. Sture, da parte sua, trascorremolto tempo a casa.

Auguro a me stessa un felice annonuovo! Per me e per i miei cari! Epossibilmente anche per tutto il mondo,sebbene chiederlo forse sia troppo. Eanche se forse non potrà essere un buonanno nuovo, che possa essere almenoun anno nuovo migliore.

©SalikonEditrice,Stoccolma

(TraduzionediAnnaBissanti)

©RIPRODUZIONERISERVATA

‘‘lunga vita (muore a novantaquattro anni, nel2002) circondata da nipoti e pronipoti, scrive unacinquantina di libri per una infanzia libera e intelli-gente. In Italia, Vallecchi Mondadori, ma soprattut-toSalanine pubblicanotredici, ristampandoli conti-nuamente, anche storie di piccoli maschi ironici eforti come Pippi: l’orfanello Rasmus, Mio, figlio dire.Emil l’incorreggibile, Karlsson che puòvolare. Lanostra scrittrice per l’infanzia Bianca Pitzorno, inun articolo del 2002 su questo giornale, ricorda cheAstrid «nel bellissimo I fratelli Cuordileone rompecon una metafora piena di dolente poesia, l’ultimotabù, quello del suicidio infantile». Non solo Pippimerita quindi una torta con le candeline, ma tutti isuoi fratellini e sorelline nati dal cuore di mammaLindgren.

©RIPRODUZIONERISERVATA

<SEGUEDALLACOPERTINA

ASTR I D L I NDGREN

SIDICECHEQUEST’INVERNOABERLINOMORIRANNOTUTTI INEONATI.QUIDANOIINSVEZIASEMBRAINVECEDISTARENELPAESEDELLACUCCAGNA. ILLIBROÈDAVVEROUNOSPASSOESELAMIACARRIERÀLETTERARIAORASTACRESCENDOSOBENECHETRAPOCOCALERÀ

“Scoppialapacevadoinlibreria”

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 28LADOMENICA

L’attualità.Dustbowl

L’exterrapromessa

oggimuoredisete

Enell’estatepiùcalda

disempresiprepara

all’Apocalisse

Comeottant’anni fa

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 29

SAN FRANCISCO

DICONO CHE SIA L’ESTATE più calda disempre. Non piove da quattro anni,la terra riarsa si spacca e luccica di sa-le, i laghi sono vuoti, le acquedel Paci-fico sono troppo calde. Ora sono scop-piati gli incendi. Dicono che siano ipreparativi dell’Apocalisse.

Eppure, questa era la Terra pro-messa: «E quando venne il giorno, iJoad videro finalmente, nella sotto-stante pianura, il fiume Colorado…Il babbo esclamò: “Eccoci! Ci siamo!

SiamoinCalifornia!”.Tuttisivoltaronoindietroperguardare imae-stosi bastioni dell’Arizona che si lasciavano alle spalle».La citazioneèdaFurorediJohnSteinbeck.Nel1935,quando duemilionatediame-ricani,bianchipoveri inmaggioranza, lasciarono leGrandiPianure al-laricerca dellamiticaCalifornia, la terradell’acqua,del latteedelmie-le. Dove stavano loro, il topsoil, lo strato superficiale dei campi, esau-sto per lo sfruttamento degli uomini, si era sollevato nella più grandecatastrofe ecologica dell’era moderna, ildust bowl. Un’immensa col-tre nera — che ristagnava all’orizzonte, per muoversi improvvisa-mente come un sicario — fece per un anno tenebra del giorno, apoca-lisse avvolgente degna di un dipinto di Goya. Steinbeck, per scrivererealisticamente, visse per un anno insieme a quei migranti poveri eoggettodirazzismo.Avevanoperso laterraperchénon avevanopaga-to il mutuo e le banche li avevano sfrattati. Intono al fuoco parlavanocosì: «Vi ripetoche labancaèqualcosadipiùdiunessereumano.È ilmostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non lapossonoteneresottocontrollo». Nel1940sifece il film,conHenry Fon-da che diventò l’americano più popolare al mondo. Un proletario da-gli occhi azzurri che quasi quasi diventava un bolscevico. Erano i tem-pidiRoosevelt cheinCaliforniafece costruire le grandi dighe. Dellefo-tografie di Walker Evans e di Dorothea Lange, cui si deve la successi-va moda dei jeansàsalopette.

Ottant’anni dopo, la California è pur sempre il luogo più ricco delmondo,ma il Colorado River è diventato rigagnolo e il suo fratello SanJoachim conta i suoi salmoni morti. L’uomo (e le sue banche) hannocostruito il futuro radioso di Los Angeles, della Silicon Valley, dell’a-grobusiness dei pesticidi e delleserre, ma la terra, adessocome ottan-ta anni fa, sta chiedendo il conto. Si spacca, si sgretola, muore. I mera-vigliosi reservoir, costruiti come templi egizi di cemento, sono ormaiquasi vuoti e le turbine pompano schiuma; il riscaldamento globaleporta sempre meno neve sulla Sierra; e quella neve era il principalenutrimento per il territorio californiano che, geologicamente parlan-do, non è altro che un enorme deserto.

Sopravviverà, la California? Se stiamo a quanto dice Hollywood,(che tende ad anticipare), non se ne parla neanche. In Interstellar ègià spacciata quando i nostri eroi cercano riparo nello Spazio; inMadMax:FuryRoad, in undesertopopolatodiguerrierisuicidi,undittato-rerazional’acquaperilpopolodall’alto diuntempio checopia lagran-de diga Hoover sul Colorado; in SanAndreas arrivano insieme incen-di, siccità, the “big one” e lo tsunami con un’onda immane che faschiantare una nave portacontainer cinese sul Golden Gate e som-merge la città (segue lenta e dolorosa ricostruzione, come quella, gui-data da un redento Clark Gable dopo il terremoto del 1906).

Strani presagi, nell’ultimo avamposto dell’occidente, da sempre fi-ducioso nella capacità dell’uomo di domare una natura comunqueamica. Nei grandi affreschi di Diego Rivera, la California anni Trentaè una divinità sotto forma di donna monumentale ingioiellata dalgrande seno che regala frutta dalle sue grandi mani; nelle tele di Da-

vid Hockney, fine del Ventesimo secolo, sono colline pettinate e onni-presenti, limpide piscine dove si immergono corpi armonici. Ma que-staè anche la stessaterra in cui sono state distrutte foreste immani disequoie per costruire città di legno e una valle di seicento chilometri èdiventata la maggior produttrice mondiale di frutta e verdura con illavoro di messicani semischiavi, oltre che il califfato dei pesticidi. LosAngeles ha dieci milioni di automobili che tendono a muoversi tutteinsieme; per quanto riguarda le piscine, ne conta 43mila, di cui 2.500solo nel quartiere dei divi a Beverly Hills e zero nel ghetto nero diWatts. L’uomo, qui, è stato titano e smodato; ora si sta pentendo: habandito il fumo, la plastica, ha dichiarato guerra all’energia fossile eal petrolio, ma che potesse arrivare un redde rationem sull’acqua,proprio non ci aveva pensato nessuno. Si contava sulle virtù dellegrandi dighe, del governo e del buon Dio.

A mettere il dito nella piaga, trent’anni prima che si parlassedell’attuale disastro ecologico, ci era arrivato il capolavoro di Roman

Polanski. La sua Chinatown (1974) si dipanava in una violenta LosAngeles, dove il possesso dell’acqua era l’origine del male. Nella sce-na clou un giardiniere cinese, a mollo nel laghetto artificiale di unagrande villa, borbotta: “Acqua salata no buona pel elba…”, offrendo lasoluzionedel delittoa undistratto JackNicholson.Già.Chi avevapom-pato acqua salata e cadaveri nell’acquedotto di Los An-geles fino a farla arrivare sulle colline a strapiom-bo su Malibù? Il problema dell’acqua e del sale èritornato in forza oggi. Un po’ perché, pur difar scorrere un po’ d’acqua nei tubi, si è sco-perto che lo Stato della California ha pompa-toacquatropposalatadalla baiadiSanFranci-sco, con danni irreparabili; un po’ perché i cer-velloni della Silicon Valley non riescono a desali-nizzare l’oceano Pacifico, le cui onde si infrangonoa dieci metri dalle loro ville. Sono bravi a far twittare ognigiorno un miliardo di persone centoquaranta caratteri di stupidaggi-ni, ma non hanno una app per togliere il sale dall’acqua di mare. Ci so-no due esperimenti in corso (uno a San Diego, uno a Monterey), ma icosti di pompaggio e filtraggio sono enormi, e quelli dello smaltimen-todelsale marino accumulato— selosi vuolefare insicurezzaecologi-ca — ancora di più.

In assenza della salvezza data dalla tecnologia, in casi di siccità ingenere si invoca Dio. Nelle manifestazioni dei contadini degli anniSessanta, il grande sindacalista messicano César Chávez apriva i cor-tei con lo stendardo della Vergine di Guadalupe; ancora oggi nellaCentral Valley, dove si estirpano centinaia di ettari di mandorleti or-mai seccati, i braccianti sono ripresi dalle televisioni in ginocchio apregare Dio. «Agua! Basta ya!»; il governo (dove siede quel comuni-sta di Obama) viene accusato di usare la poca acqua per proteggere isalmonidelSan JoachimRiver piuttostocheil postodi lavorodei brac-cianti.«Ibraccianti votano»,spiegano alle telecamere,«i salmonino».Non ci sono però invocazioni a papa Francesco, né suoi ritratti. La suaenciclica sulle responsabilità dell’uomo nei confronti della naturasembra fatta apposta per non piacere ai padroni dell’acqua da questeparti.Compresa lapostillasul fatto chei disastrinaturali alla fine lipa-gano i poveri.

È strana, questa estate dei record. Ambigua, senza colpevoli. Di chila colpa se il Pacifico davanti al Perù è quattro gradi più caldo di quan-to dovrebbe? Il governatore Jerry Brown ha ordinato di ridurre alme-no del dieci per cento il consumo d’acqua e la popolazione ha rispostobene. Sul sito del quartiere ci scambiamo idee sul risparmio, che poisono sempre le solite (e chi viene dalla Sicilia le conosce bene). Mette-re la bacinella (purtroppo di plastica) sotto il getto della doccia e usa-re quell’acqua per bagnare le piante. Chiudere il rubinetto mentre cisi lava i denti. Per quanto riguarda il water, si torna al vecchio e volga-rotto: If it is yellow, let it mellow... Lavare meno l’auto. Nei ristorantil’acqualadevichiedere, nonte laportano più.Labolletta èsalita. Avo-cado, pomodori, pesche, costano più cari. Sugli scaffali c’è un’invasio-ne di acqua minerale italiana. Ha fatto un po’ scandalo Tom Selleck, aLos Angeles, che si attaccava alla cisterna pubblica per rubare l’ac-qua e annaffiare il suo ranch. Sì, propriolui, Magnum PI. Quello che adessofa il capo della polizia di New Yorkin una serie tv. Siamo in guerra,ma forse un nemico sta emer-gendo. L’agrobusiness. Le noti-ziecircolano suisocial.L’agrobu-siness consuma l’80 per centodell’acqua della California. Un mi-lione di ettari è coltivato ad “alfalfa”,un’erba pregiata che viene venduta ai cinesi e agli sceicchi di Dubai,succhia tutta l’acqua e manda profitti solo a loro. E le mandorle? Losai quanta acqua ci vuole per far maturare una singola mandorla? Cene vogliono quattro litri. E per fare un hamburger? Da domani solopollo, che ne consuma la metà.

Soluzioni? Il governatore ha sottoscritto un patto con i grandi pro-prietari della Central Valley per una riduzione del 25 per cento delconsumodiacqua. Ilrisultato ècheognisettimanasparisce ilmandor-leto di un piccolo proprietario e si salvano quelli immensi, che posso-no gestire pozzi privati. Il secondo risultato è che i prezzi al supermer-cato salgono. Il terzo è che si affacciano con un po’ più di coraggio i col-

tivatori biodinamici, con i loro pomodoripiccoli e sgraziati, ma finalmen-

te saporiti.Siamo in guerra. Fine

del verde pubblico. Allamia fermata del bus c’e-ra un triangolo verdecongeranieoleandri.So-nostatisostituitidapian-te grasse. “Brown is thenew green” è scritto sul

cartello. Ci messicanizzere-mo. Il verde pubblico non è

più previsto.Però, per adesso, davvero non c’è nulla

di tragico o di epico. E poi contiamo in ElNiño, che peraltro vuol dire il Bambin Ge-sù. Ogni giorno ci dicono che il fenomenoprende forza, che le acque calde dell’ocea-

no lo renderanno minaccioso, con terribiliuragani.Eperò,unpo’ci fapiacere,perchéal-

meno si riempiranno i reservoir. A questo sia-mo ridotti, noi borghesi, ottant’anni dopo quei

morti di fame portati daldust bowl. Per quanto riguarda i braccian-ti, fannoquellochehannosemprefatto.Comprano l’acquapotabileal-lo spaccio del padrone.

TisognoCalifornia

ENR I CO DEAGL I O

©RIPRODUZIONERISERVATA

LAPERCENTUALEDIACQUADESTINATA INCALIFORNIAADUSOAGRICOLO (PERCHÉUNAMANDORLAMATURINESERVONO4LITRI)

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I CALIFORNIANICOLPITIDALLAGRANDESICCITÀCHESTAMETTENDOINGINOCCHIOOLTREMETÀDELLOSTATO

LARIDUZIONENEICONSUMIDIACQUA IMPOSTAPERLAPRIMAVOLTADALGOVERNATOREJERRYBROWN

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ALCUNEVILLECONPISCINAAPALMSPRINGS,LACELEBREOASINELDESERTOCALIFORNIANOCHEINESORABILMENTEAVANZA.QUIOGNIABITANTECONSUMAALGIORNOCIRCA800LITRID’ACQUA,ILDOPPIODELLAMEDIANAZIONALE.ALORODAL2015TOCCARIDURREICONSUMIPERLEGGENONDEL25MADEL50%

FOTODAMONWINTER/THENEWYORKTIMES/CONTRASTO

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 30LADOMENICA

Lamadreditutte

lemadri

FRANCESCO MERLO

ÈMADRE LA LINGUA, è ma-drela terra,èmadrelacit-tà che è metropoli e nonpatropoli ed è madre lanatura benigna che pertutti i Leopardi del mon-do diventa matrigna, co-melastregadiCenerento-la. Ma che davvero dimamma ce n’è una sola losi capisce bene al PalazzoReale di Milano dove dal

26agosto sarannoin mostra tutte le mammedel Nove-cento, e sarà la più affascinante mostra dell’anno, “laGrandeMadre” appunto,un milionedimammeche so-no un milione di volte la stessa mamma.

Edunque nelPaesedellemamme, deigattimammo-ni, delle mammole, delle mammane e dei mammasan-tissima, la mostra di Milano esibisce le Madonne colbambino, anche quelle magnificamente parodiate daCindy Sherman, l’altra faccia della Croce, della Santa“Madre” Chiesa, la natalità appunto che, sia pure “de-formata” dall’arte contemporanea, prevale sul marti-rio.La sacrafamiglia,nellaversione i figli so’piezz’eco-re, ha conquistato anche le neoavanguardie, il femmi-nismo e il futurismo che pure aveva a modello quellaCaterinaSforza che,sulle muradella Rocca di Forlì, sol-levò la gonna e al nemico che minacciava di ucciderle ifigli mostrò sfacciatamente il pube: «Fatelo, se volete:impiccateli pure davanti a me, qui ho quanto basta perfarne deglialtri». È la “matrice” che dà la forma a tutto,anche ai concetti perché la matrice è ideologica oltreche matematica. E se “materna” è la scuola al suo ini-zio, Alma Mater Studiorum è il nome dell’universitàpiù antica del mondo.

Tra le madonne col bambino ci sarà anche la signoraFreud, nel famoso ritratto del 1905 con il suo già vec-chioSigmud, perché il Novecento èil secolo della psica-nalisiedunquelamamma diPalazzo Realeèladomina-tricecheancora anovantadueanniobbligava il suopic-cologenio adeipranzetti domenicalichegli provocava-no terribili, ma psicosomatici e dunque istruttivi, maldi pancia.

Per Freud ledonne erano «un continente nero»,sfin-gi misteriose come nella litografia di Munch o negli in-cubi di Alfred Kubin che a Palazzo Reale ci ricordanoche è “mammamia!” anche lo spavento che toglie il re-spiro, ed è madre la scena che dà il senso alle cose, co-me quel ragno arrampicato sull’origine del mondo diCourbet, o quel cavalluccio marino che accudisce conmascolina maternità alla gestazione.

Dipendesse da me diffonderei per i duemila metriquadri della mostra loStabatMaterdi Rossini, che nonè la colonna sonora della Pietà di Michelangelo ma è,tra tutti i canti sacri alla madre, il più adatto alle folies

dell’arte contemporanea: le mamme macchine, il da-daismo, la guerra, le mamme suffragette, la mammadi Andy Warhol, le mani giunte di Cattelan... La mam-ma dell’arte contemporanea è un crescendo appuntorossiniano, birichino, laico, irriverente e senza confini.

E senza bisogno delle nuove madri di Rineke Dijk-stra(1994) basta da solo il bellissimo ritrattodella ma-dre di Boccioni (1911), che somiglia al già modernoMadre migrante (1936) di Dorothea Lange per ricor-darci quanto sia affascinante la Puella che diventa Ma-ter, la bellezza che diventa fascino, la fragilità che di-venta potere, e quanto sia istituzione femminile il ma-

trimonio che infatti non è patrimonio. C’è anche unamamma con il bambino morto del 1903 (Käthe Kollwi-tz) che nella Milano del Manzoni non può non ricordar-ci la madre di Cecilia che durante la peste “portava es-sa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; matutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte,con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’a-vesseroadornataperuna festapromessa datanto tem-po, e data per premio”. E meglio ci starebbe una delletante madonne nere col bambino sbarcate a Lampedu-sa. Quelle, però, sono mamme che non hanno ancoratrovato i loro artisti.

DaquellapopdiCindySherman

all’imbalsamatadiPsyco.AMilano

unagrandemostracelebra

lamamma.Lofa intrecentomodi

(anchesealla finecen’èunasola)

L’immagine.Sacroeprofano

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 31

©RIPRODUZIONERISERVATA

Anche l’ebraismo, che è il più antico dei monotei-smi, è la religione delle madri. «Dio è madre» disse perprimo papa Luciani. Dopo di lui l’ha ripetuto Woityla eora papa Francesco sembra addirittura immaginareun Dio-mamma postmoderno come le neoavanguar-die che qui raccontano la confusione della sacra fami-glia in resina e in silicone, copie senza più originali:«Dio è la mamma — dice il Papa — che canta la ninnananna al bambino e prende la voce del bambino e si fapiccolacome il bambinoe parlacon il tono delbambinoal punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c’è lìdi grande».

Edèsorprendentenotareche lemamme postmoder-ne con il pene in erezione (Lynda Benglis) e i bronzi ele gomme falliche di Louise Bourgeois somigliano alleimmagini delle antichissime mamme di OlgaFröbe-Kapteyn che ispirarono Jung, e chissà che nonsia vero chemater, provenendo dall’accadico, signifi-chi sporgenza, prominenza e sia parente di venter. Si-curamente è mamma la mammella che è la nutrizione,la fertilità, il cibo a cui è dedicato tutto l’Expo. Si chia-ma madre il lievito naturale del pane e della pasta. E l’I-talia, che forse non è mai stata Patria, è sicuramenteMatria, laMutterland che Junger contrapponeva allaVaterland, non l’inno, il tricolore e la nazione ma la re-gione, il paese e il campanile. Molto prima che Jungerinventasse la Matria, la lingua italiana aveva risolto ilproblema con il geniale ossimoro Madrepatria, che èl’appartenza organica ed etnica, non la Nazionale, po-co vissuta e poco pagata, ma la Juventus, il Milan, laFiorentina, la squadra del cuore, il luogo d’origine enonil luogo d’arrivo. E infatti, a ricordarci che la ragiondi mamma è stata la nostra ragion di Stato qui ci sonoin mostra Anna Magnani, che fu laMamma Roma diPasolini, e Sofia Loren, che fu la Ciociara di De Sica; e,ovviamente, l’Anita Ekberg di Fellini.

Ma c’è anche lo scheletro di Psyco di Hitchcock, lamammache persinodamortanonmolla il figlioe lotra-sforma in assassino. Hitchcock fu mammone per tuttala vita al punto che chiese (senza ottenerlo) il seguen-te epitaffio sulla lapide: “Ecco, questo è quello che suc-cede ai bambini cattivi”. Ebbene, forse con Pysico, perunavolta,sivendicò dellasuamamma,perchécomedi-cevaSimonedeBeauvoir «nonesistonoribelli eribellio-ni che non comincino maltrattando la madre». Più mo-destamente gli Skiantos cantavano: «Sono un ribelle,mamma. Non insistere, non torno a casa questa sera».E Gaber: «Chissà nel socialismo, che mamme!».

Ecumenica, la mostra ha la sua forza e il suo limitenel non avere scelto. Il non picciol catalogo, centoqua-ranta artisti e trecento mamme, è come quello deldonGiovanni: “Non si picca — se sia ricca, / se sia brutta, sesiabella/ purchéporti lagonnella”.C’èdunque troppo,come aprendo una matrioska. Ma c’è anche troppo po-co per raccontare il secolo. Non c’è per esempio quellasignora che nel ‘35, incontra il suo Soso: «Iosif, adessoche cosa sei diventato?». «Sono segretario del Comita-to centrale, mamma. Ricordi il nostro zar?». «Comeno». «Ecco, io sono una specie di zae». La madre si strin-senelle spalle:«Sarebbestato megliochetufossidiven-tato prete». E non c’è la mamma di Winston Churchillche da giovane irritava tutte le sue amiche dicendo lo-ro:«Dovrestiandare damiamadre.Ti insegnerebbeco-me vestirti». E la prima volta che vide la sua futura,amatissima moglie: «Se non ci fosse mia madre, tu sa-resti la più bella donna d’Inghilterra». Insomma, noncisonole mammedellastoriadelNovecentoenon ciso-no la poesia e neppure le canzoni: “Mamma, solo per tela mia canzone vola”. Ci sono le mamme di piazza deMajo ma non le mamme carnefici della mafia...

Lamostraèecumenica perchéèorganizzatadaMas-similiano Gioni, che a soli quarantuno anni è lanouvel-le vague dei curatori d’arte italiani, senza mai polemi-che né alla Sgarbi né alla Bonami, più mamma che pa-pà degli artisti che sceglie, non patriarca creativo allaBonito Oliva (padre della Transavarguardia) o alla Ce-lant (padre dell’arte povera), non profeta che accendegli animi delle tifoserie alla Mourinho, ma selezionato-re materno e dunque tecnico, alla Zoff.

Oltre alla Fondazione Trussardi, che organizza que-sta mostra di Milano, Gioni, che è nato a Busto Arsizio,dirige il New Museum di New York, in Bowery street,una serie di scatole sovrapposte in modo irregolare difronteallapizzeriaForcelladovevaamangiareil sinda-co De Blasio. La mamma di Gioni è un’insegnante inpensione. La moglie, al nono mese di gravidanza, di-venterà mamma negli stessi giorni della mostra sullamamma. E qui non può mancare l’esclamazione di iro-nica meraviglia: bedda matri!

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LEOPERE

1.CINDYSHERMAN,“SENZATITOLO#205”, 1989(PERSKARSTEDT) ;2.NIKIDESAINTPHALLE,“MODELLOPERHON”, 1966(©2015NIKICHARITABLEARTFOUNDATION,FOTOKATRINBAUMANN);3. “NORMA.LOSCHELETRODELLAMADREDINORMANBATESNELFILMPSYCODIALFREDHITCHCOCK”,USA1960(©1960SHAMLEYPRODUCTIONS,INC);4. “ THEWOMANCITIZEN”,BOSTON,27OTTOBRE1917(COURTESY IOWAWOMEN’SSUFFRAGECOLLECTION,STATEHISTORICALSOCIETYOF IOWA,DESMOINES );5. JEFFKOONS,“BALLOONVENUS(RED)”, 2008-2012(©JEFFKOONS);6.ANNAMARIAMAIOLINO,“PERUNFILO”,1976 (COURTESYGALLERIARAFFAELLACORTESE,MILANO);7.RINEKEDIJKSTRA, “SASKIA,HARDERWIJK,THENETHERLANDS,MARCH16, 1994”,DALLASERIE“NEWMOTHERS”,1994 (COURTESYRINEKEDIJKSTRAEMARIANGOODMANGALLERY);8.KETTYLAROCCA,“SANACOMEILPANEQUOTIDIANO”, 1965(ESTATEKETTYLAROCCABYMICHELANGELOVASTA);9.SOPHIALORENCONELEONORABROWNNELFILMDIVITTORIODESICA“LACIOCIARA”(ITALIA, 1960)

LAMOSTRA

“LAGRANDEMADRE”, ACURADIMASSIMILIANOGIONI,PROMOSSADALCOMUNEDIMILANO, IDEATAEPRODOTTADALLAFONDAZIONETRUSSARDI,SI INAUGURAALPALAZZOREALEDIMILANOIL26AGOSTOERESTERÀAPERTAFINOAL15NOVEMBRE2015

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Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 32LADOMENICA

JohnnyHallyday

Spettacoli.Avolteritornano

Meglio

Lungatournéeenuovodisco

per il redel rockfrancese

Chequi racconta

isuoisettantadueanni

un’infanziadifficile

eunamortedapocosfiorata

“Eccoperchésorrido”

restarevivi

FOTOMAARTENDEBOER/CONTOURBYGETTYIMAGES

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 33

PARIGI

GIÀ NEL TITOLO IL SUO NUOVO ALBUM è un riscatto, una sfidaaperta: Rester vivant, restare vivi. Una resurrezione, nonsolo dal coma lungo tre settimane, sei anni fa, seguito a uncomplesso intervento chirurgico, ma da una tragica maci-na di negazioni e rifiuti. Che cominciano da subito. Daquando, settantadue anni fa, il piccolo Jean-Philippe Smeta sei mesi di vita viene abbandonato dal padre attore, e al-colizzato, e la madre,modella, non potendo occuparsene loaffida agli zii a Londra. È da lì che Johnny Hallyday comin-cia, giorno dopo giorno, a restare vivo. Oggi, nell’asetticocamerino della sua «astronave musicale» di Bercy, con gliamici Eddy Mitchell e Jacques Dutronc, Johnny sta scal-

dando le corde vocali per il tour-maratona attraverso la Francia cominciato il mese scorsoe che si concluderà nel febbraio 2016. Sguscia lo sguardo animale di lupo ferito portandoalle labbra l’ennesima sigaretta, stavolta elettronica («ho preso il vizio in America, dovefumareè tabù,maalmeno horecuperatoil fiatoperduto»)ecomunque subitocontraddet-tada mozziconi di Gitanes brune nel portacenere. S’infiamma sulrock, cui ha deciso di de-dicarsi in modo esclusivo: «Un rocker è come un pugile: lo fa perché viene da nonsi sa dovee ha fame. Il rock è testa bassa, è lotta: per me ancora oggi è un combattimento. Non po-trei cantare con la stessa foga senza il groviglio di vita da cui sono uscito». Discreto, pudi-co, Hallyday parla raramente di sé. Stavolta lo fa. Con candore e franchezza disarmanti.

Canzoni in cui ritorna alla sua infanzia odove celebra le gioie della paternità(“Te voir grandir”, guardarti crescere)sono la resa dei conti verso un passatotormentato?«In parte. È tutta la vita che sono osses-

sionato dalla mancanza di un padre. LéonSmet è morto nell’89, era un grande attoree un regista di talento, come mi ha confida-toSergeReggianicheneerastatoallievoal-lascuola d’artedrammatica.Maerasoprat-tutto un alcolizzato, un seduttore invetera-to, uno assolutamente ingestibile: ogni vol-ta che trovava lavoro, lo perdeva. Io nonl’ho conosciuto, se non nei frangenti piùsgradevoli: le fatture da pagare, e poi il de-clino. Lo trovavano ubriaco fradicio, diste-so in mezzo alla strada. È duro da accettareche di lui mi rimanga soltanto questo. Alsuo funerale c’ero solo io. Non una donna.Non un amico. Solo io, suo figlio, cui era ri-masto un estraneo. Ho percepito allora lasolitudine assoluta: che non è vivere soli,ma morire soli».

La solitudine, altro tema feticcio nellesue canzoni.«Chedirle.Da bambinononavevo amici,

edelrestonon andavoascuola. Misono abi-tuato presto alla vita solitaria: non mi hamai spaventato, anzi, è davvero diventatala mia migliore amica. Il che ovviamentenon mi impedisce di essere felice, oggi, conla mia famiglia: con Laeticia e con le nostredue bambine, Jade et Joy, di dieci e sei an-ni. È per loro che ho cominciato a frenare lamia febbredi nomadee aregalarmi lunghepausedomestiche,nel nostrochalet inSviz-zera, a Gstaad, o nella casa di Pacific Palisa-des a Los Angeles, dove viviamo soprattut-to d’inverno. È meraviglioso veder cresce-re da un giorno all’altro le proprie bambi-ne. Le vado a prendere a scuola, loro con lozainetto a quadretti, io sulla mia Rolls Roy-ce azzurra. La Harley la lascio in garage, lainforco solo quando voglio perdermi a tut-ta velocità nelle strade di Los Angeles. Daquandohosfiorato la mortesentounafurio-sa voglia di vivere. È bello il sole la mattinaquando ci si sveglia».

Avere oggi una sua famiglia è un modoper compensare gli anni di una infanziasenza radici, sballottata qua e là?«Probabile. Da quando avevo tre anni

nonho mai avuto un posto stabile incui sta-re. Bisognava ogni volta ripartire, lasciarsitutto alle spalle. Con mia zia, suo marito ele due figlie, ho girovagato per l’Europa,mascotte al seguito. È da mio zio, che hopreso il mio nome d’arte: era un ballerinoamericano dall’andatura da cowboy, uomodi grande fascino, si faceva chiamare Lee

Halliday. Con un musical, Oklahoma, mihannoportato in tutta Europa: Spagna, Ita-lia, Danimarca, Germania. A otto anni suo-navo la chitarra, avevo imparato da un in-terprete di flamenco, in Italia, e poi da An-drés Segovia, pensi, al Conservatorio di Gi-nevra».

Che musica ascoltava da bambino?«Elvis Presley e tutti i primi rocker, tutta

roba che ci arrivavava dai genitori di miozio. E tutti colpi di fulmine. Come il primofilm di Elvis che ho visto, Loving you. Cosìho iniziato,cantandoElvis nelle basi ameri-cane in Francia, loro mi pagavano con i Le-vi’s, rarissimiall’epoca.Arrotondavofacen-do lo strillone di France Soir e rubando di-schi alle Galeries Lafayette (non andavo ascuola, ma avevo una cartella molto capa-ce). La domenica, al Moulin Rouge, un po’ballavo e un po’ cantavo, lo facevo per pa-garmi i corsi d’attore. L’attore era quelloche avrei voluto fare, non mi aspettavo cheil successo mi sarebbe piovuto addosso cosìpresto: quando nel 1961 sono entrato allaPhilips ero ancora minorenne. Sono dovutoandareaGrenobleafarmifirmare l’autoriz-zazione da mia madre. L’ho vista allora perlaprima volta.Poi ho dovuto attendere finoa quando avevo cinquantacinque anni perpoterla rivedere e poterla chiamarla mam-ma: fu quando lei, paralizzata, è venuta astabilirsi da noi a Parigi, l’abbiamo circon-data di cure e di affetto, Laeticia e io, e que-sto mi ha permesso di recuperare tutto iltempo perduto».

Possiamo dunque dire che Johnny Hally-

day è nato a diciott’anni?«Sì, le cose stanno proprio così. Fu a di-

ciott’anni che mi pareva fosse cominciatala mia vita reale. Tutto quello che era acca-duto prima l’avevo cancellato con un colpodi spugna. Nessuna voglia di ricordare: sol-tanto,di tanto in tanto, flash, lame. Hoavu-to una carriera che molti mi invidiano, sache ho fatto duecento tournée dal ’60 a og-gi? Ho composto centinaia di canzoni, ven-duto più di cento milioni di dischi, e tuttoquesto svanisce in un soffio davanti alla te-nerezza di una madre ritrovata, sia pureper poco».

La popolarità, oltre a molte soddisfazio-ni, le ha anche dato amici nuovi, comeJacques Brel. Quali sono stati gli incon-tri più coinvolgenti?«Brel? Brel mi ha distrutto! Bastò una so-

lo settimana con lui. Senta questa. Era unqualche anno degli anni Settanta. Era capi-tato da me in pienatournée pilotando il suoaeroplanino.Sveglia allenove, pranzoe,do-po ogni show, notti brave con le ragazze.Lui non ne ha mai toccata una, ma offrivachampagne a tutte, e beveva con tutte. Nelgiro delle entraîneusesnon ce n’era una inFrancia che non lo conoscesse. Poi birre incamera per il resto della notte e, il mattino,alle nove in punto, la sua telefonata: allorasei sveglio? Un altro completamente mat-to era Bob Dylan. Suonava all’Olympia nel’66: incamerinomidicecheal GeorgeV,do-ve lo avevano alloggiato, non fanno che di-sturbarlo e mi chiede di venire a stare dame. Così sbarca a Neuilly, sottobraccio lasua discografia completa: per tutta la not-te, ogni santa notte, non ha fatto che ria-scoltare i suoi dischi. Tutte le notti, appenarientrato dall’Olympia. Quando mi alzavolui andava a dormire. Poi un mattino pouf,non c’è più, sparito senza neanche un gra-zie. Mai più rivisto. Ma per completare il gi-rodeigeni imprevedibili lasci cheleraccon-ti anche di Godard. In Detective, nell’85, èstato il primo a prendermi come attore enoncomeJohnnyHallyday:primadi Lecon-te, di Johnnie To, prima di Lelouch. Con luinon c’era copione: arrivava, scarabocchia-vaperdieciminutienoi lìa imparare idialo-ghi di corsa. Ma già i due incontri a tavola acui ero stato invitato per l’eventuale ingag-gio sono puro Godard: nel primo mi ha deltutto ignorato. Nel secondo, dopo due so-gliole e un mutismo infinito, si alza e mi di-ce: cominciamo tra due settimane».

Lei è un monumento vivente della Fran-cia. Le risulta?«Essere Johnny Hallyday è un mestiere

eio lopraticose-riamente. Maquando non la-voro, torno mestesso.Dicodav-vero. Ho impa-rato a dissociar-mi. InUne lettreà l’enfant quej’étais, nata daun giornalettoin cui avevo rac-colto ricordid’infanzia,c’èquesta frase:re-ste fidèle à qui

tues. È la più bella definizione della libertà.Perciò quando voglio sentirmi libero, an-che da Johnny Hallyday, torno quel chesonsemprestato, Jean-Philippe Smet : il co-gnomedimiopadre, ilnomeche imieigeni-tori hanno scelto per me il giorno in cui so-no nato».

LASCICHEORALERACCONTIDIQUELLAVOLTA

CONBOBDYLAN,UNMATTOVERO.ERAIL ’66EDERAAPARIGI.MICHIESESEPOTEVAVENIREASTAREDAME.GLIDISSIOK.OGNINOTTESIRIASCOLTAVATUTTIISUOIDISCHI.OGNISANTANOTTE.POIUNMATTINO,POUF,SPARITO,NEANCHEUNAPAROLA,NEPPUREMIRINGRAZIÒ.DAQUELMATTINOMAIPIÙRIVISTO

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©RIPRODUZIONERISERVATA

LE IMMAGINIDALL’ALTO:HALLYDAYNELMAGGIO1966

CONBOBDYLAN;NEL1974CONSYLVIE

VARTAN,SUAPRIMAMOGLIE, ECON

ILLOROFIGLIODAVID;CONCATHERINE

DENEUVENELFILM“LESPARISIENNES”;

AFIANCO INVERSIONESIXTIESENELLA

FOTOGRANDEOGGI, ASETTANTADUEANNI

MAR IO SERENEL L I N I

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 34LADOMENICA

Professionefuturologo

“Ilnostroprimosummitsi terrà inautunnoaTrentoEalmenoquestoècerto”

SI PUÒ PREVEDERE TUTTO tranne il futuro, direbbe Oscar Wilde.Ma la futurologia è una scienza, la Scienza dell’Anticipazio-ne, e non c’entrano sfere di cristallo e rughe nella mano. Infondo, è una scienza che conosciamo tutti, quotidiana: nonusciremmodi casa lamattina se nonavessimo un’idea di quelche può accaderci, nel bene e nel male, nel corso della giorna-ta. Le cose si complicano, ovviamente, quando è un’intera so-cietà che vuol capire cosa sarà di lei fra qualche decennio. «Eio ovviamente non posso dire cosa accadrà il 9 agosto del2035», mette le mani avanti (cioè fa il suo mestiere) il profes-sor Roberto Poli, docente di Sistemi Anticipanti a Trento, lacittàdovesi svolgerà anovembre(questa èunaprevisionera-

gionevolmente certa) la prima conferenza mondiale sull’Anticipazione, con il patrociniodell’Unesco, già trecentopaperpresentati. «Ma posso costruire scenari che, quel giorno,non ci trovino disarmati».

Spiegare cosa siano i Future Studies, alla Reunion mondiale dell’Università di Bolo-gna, non è stato facile. L’associazione di idee più banale è con le previsioni del tempo. Magli algoritmi del meteo non sono Anticipazione: sono ipotesi basate su dati. La vera Anti-cipazione comincia quando, sulla base delmeteo, decido se prendere o no con me unombrello. Insomma, la futurologia è lascienza delle decisioni che il presente deveprendere per prepararsi al futuro. E se poinon piove, nessuno (tranne gli albergatoridella Riviera) può permettersi di dire chenonsi tratta discienza,ediunascienzauti-le, perché lo scopo è prepararsi, non vince-reunascommessa.QuandolaShell,neipri-mianniSettanta,commissionòaunbizzar-ro manager del petrolio, Pierre Wack, unoscenario di previsione sui mercati, lui av-vertì che non era affatto certo che i paesiarabi avrebbero tagliato la produzione e iprezzisarebbero impazziti: maerapossibi-le.Così, laShell preparòun pianoB: e quan-do la crisi petrolifera esplose, fu la meglioattrezzata delle “sette sorelle”. Sarebbestata la scelta giusta anche se la crisi nonfosse scoppiata.

Come tante altre cose imprevedibili,per esempio internet, anche la futurologiaviene dalla guerra. Quella fredda. Ma a for-te rischio di riscaldamento improvviso. Co-sì nel 1948 il Pentagono chiese profeziecredibili alla Rand Corporation, dove lavo-rava un uomo, Herman Kahn, che poi fon-dò il primo think tank futurista, lo HudsonInstitute, ma è famoso per essere stato ilprobabile modello ispiratore del DottorStranamoredi Kubrick. Ci pensarono peròdue italiani a convertire la futurologia alpacifismo ecologista: Eleonora BarbieriMasini, docente alla Gregoriana, e AurelioPeccei, il manager Fiat e Olivetti che fondòil Club di Roma, il cui celebre rapporto suiLimiti della crescita, del 1972, è l’atto dinascita della moderna scienza anticipato-ria. Quanto poi la futurologia di oggi sia fi-glia della fantascienza di un secolo fa, è unproblema interessante. Nel suoAnExperi-ment in Profecy (1901) H.G. Wells avevaprevisto per il 2000 lanascita diun’Europaunita dopo una disastrosa avventura mili-tare tedesca, mica male. Ma come gli scet-

tici del Ci-cap ci inse-gnano, è più fa-cile stupirci per le previ-sioniazzeccatecheperquel-le cannate. I visionari dell’Ot-tocento, come Verne, tendeva-no a immaginare il futuro comeun presente dopato, anabolizza-to, esagerato. Nelle cartoline fanta-siose di un secolo fa, quando imper-versava la moda del ciclismo, i cielidelle città del futuro erano pienidibiciclettevolanti. Enel filmRi-

L’attodinascitadellaFuturologiacomescienzadelleprevisioni sociali è il 1972quando ilClubdiRoma,con il rapporto“Limiti dellacrescita”,prevedeunacrisiplanetariasenonsarannomodificati imacrotrend(produzionedicibo, inquinamento,crescita

dellapopolazione).MagiàdalDopoguerra,ascopimilitari, laRandOrganizationavevasviluppatopercontodelgovernoUsametodi

dianticipazione.Nataperprevisionisu temiglobali (sostenibilitàambientale,energeticaedeconomica)sioccupaanchediwelfare, impresa,

cultura.Cattedre insistemianticipatorisonodiffusenelleuniversitàdi tutto ilmondo.

Next.Anticipazioni

M ICHELE SMARG I A S S I

Ènataunanuovascienzaesi insegnaall’università:eccocomedevefare ilpresenteanonfarsi trovare impreparatoinfuturo

Previsioniazzeccateenon

DOMANI

INREPTVNEWS

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SMARGIASSI

RACCONTALANUOVA

PROFESSIONE

CHEAVANZA:QUELLA

DELFUTUROLOGO

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 35

tornoal futuro2di Zemeckis, benché gira-to nel 1985, il mondo del 2015, l’anno chestiamo vivendo, non prevede i telefonini.

No, la scienza dell’Anticipazione non facopioni di film. Costruisce scenari. Parten-do dai dati, certo. Poli: «Se devo prevederecome sarà il mercato dei frigoriferi in Polo-nia fra venticinque anni, devo studiare co-me ha funzionato nei venticinque anniscorsi». Ma i dati possono essere una trap-pola. Funzionano su previsioni a breve ter-mine, come quelle finanziarie. Oppure alunghissimo termine, come le evoluzionidel clima. Il vero rebus sono le previsioninell’ordinedei decenni: quelle che servono

alle aziende che investono, ai pro-grammatori del welfare. Lì, più che i

dati certi, serve una scienza dell’incertez-za. Difficilissima da far capire ai “clienti”della futurologia. Sempre a Trento sta perpartireunmasteruniversitario in previsio-ne sociale riservato non ai neolaureati, maa persone già inserite da anni nel mondodel lavoro. Per convincerli ad accettare l’i-dea che bisogna prepararsi a essere impre-parati. La nemica di ogni buona anticipa-zione è l’inerzia dei grandi sistemi: se ètroppocostosocambiarestrada,miconvin-cerò che non c’è altra strada. Così è esplosalacrisi deisubprime, che stiamoancorapa-gando: i dati per immaginare l’esplosionedella bolla c’erano tutti, ma nessuno pote-va permettersi che esplodesse, e nessunolavolleprevedere.

Dunque, il buon futurologo traccerà di-versiscenari,manonattribuiràpercentua-li di probabilità a nessuno di essi: perché,inevitabilmente, l’utente sceglierebbe ilpiù probabile, che quasi certamente non siavvererà. Fornirà invece livelli diversi diprevisioni. Il forecasting, basato sui dati,come il meteo. Il foresighting, che contrad-dice la rassicurazione dei dati introducen-do l’improbabile. E, più preziosa di tutte,l’Anticipazione Retrospettiva: che è, di fat-to, una proiezione a ritroso, del futuro sulpresente, cioè il contrario di quel che ci siaspetterebbe. Ce la spiega sempre Poli:«Se ipotizzo per il 2050 un mondo senzapiù automobili, cosa dovrà essere successonel 2030 per arrivare a quel punto? E nel2020?».

No, non potremo mai sapere cosa pro-durrà il famoso battito d’ali della farfalla.Ma il futuro non è più un tabù cognitivo, seaccettiamo l’idea che l’incertezza è una ri-sorsa e non più un problema. «Se tutto fos-se certo», conclude il futurologo, «vorreb-be dire che qualcuno ha già preso tutte ledecisioni: vivremmo in un mondo senza li-bertà».

ELEONORABARBIERIMASINI

NATA INGUATEMALANEL1929,DOCENTEPERTRENT’ANNIALLAPONTIFICIAUNIVERSITÀGREGORIANA,MEMBRODELCLUBDIROMA,ÈLA “MADRE” ITALIANADEGLISTUDISULFUTURO.SIÈCONCENTRATASUIMUTAMENTI SOCIALIE IL LOROPOSSIBILEEPROBABILEEVOLVERSINELFUTUROAMEDIOELUNGOTERMINE

HERMANKAHN

AMERICANO (1922-1983)FONDATOREDELL’HUDSONINSTITUTE,ÈTRA I FONDATORIDELLASCIENZADELLEPREVISIONI.ÈUNODEIPADRIDELPROGRAMMANUCLEAREAMERICANO.VIENERITENUTOILMODELLOACUISI È ISPIRATOSTANLEYKUBRICKPER ILPERSONAGGIODELDOTTORSTRANAMORENELL’OMONIMOFILM

AURELIOPECCEI

(1908-1984),MANAGERFIATEOLIVETTI,HAFONDATOILCLUBDIROMACHENEL1972ELABORÒUNCLASSICODEGLISTUDISULFUTURO,IL “RAPPORTOSUILIMITIDELLOSVILUPPO”,CHEHAPREDETTOLECONSEGUENZEDELLACONTINUACRESCITADELLAPOPOLAZIONESULL’ECOSISTEMATERRESTREESULLASOPRAVVIVENZADELLASTESSASPECIEUMANA

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Ipionieri

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 36LADOMENICA

Sapori.Ontherocks

Brrrrr.Vodka,

L’anniversario

Per il settantesimoanniversariodiHiroshima, la distelleria

Bottegadi Treviso ha realizzatouna serie di bottiglie in vetrosoffiato con l’immagine di unacolomba. Parte del ricavatodella vendita andrà alMuseo

della Pace della città giapponese

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limoncellootequila

TEORIA DEL cicchetto freddo. Da gustare a fine pasto, al massimodel relax vacanziero o come rito consolatorio alla fine di una gior-nata massacrata dal caldo e dal lavoro. Spalmati su un’amaca osulla poltrona preferita, seduti intorno a un tavolo chiacchieran-do o giocando a carte, il bicchierino ghiacciato è una tentazionedifficile da respingere, anche solo per il piacere del brivido imme-diato, aromatico, gelatamente alcolico su labbra e palato.

Certo, moltiplicare i gradi alcolici del vino al culmine dell’esta-tenonsembraunapraticaraccomandabile.Mailmalintesoalcoli-co regna sovrano. Negli ultimi anni, medici ed esperti hanno de-molito la secolare convinzione che si potesse combattere il gran-de freddoa suon di grappini,perché lavasodilatazione provocata

dall’alcol è un effetto immediato e transitorio a cui segue la reazione opposta, con percezionedel freddo perfino aumentata. Chissà allora, se vale anche il caso opposto, con il termometroabbondantementesopraitrenta gradi,quandopassata laprima sensazione dicalore, il nostrocorpo — come accerta la scienza — si raffredda...

Incurantidi alchimiechimiche e reazioni fisiche, gli appassionati del cicchetto freddo persi-stono nella piccola trasgressione figlia del boom economico, certificata dal lancio sul mercatonel 1965 del Brancamenta, versione estiva del classico Fernet Branca. Un prodotto limitatonell’impatto(intorno aiventi gradi) spintonell’aromatizzazionecon lamentapiperita,perfet-topersimbolizzareleprimevacanze dimassa, conil suoclaimonomatopeico“Brrrrrrrr....Bran-camenta!”rinforzatodall’immaginedel liquoreservito inun tumblerdighiaccio.Cinquant’an-ni più tardi, il liquore dell’azienda milanesecontinua il suo successo, in purezza o combi-nato nei cocktail, così come altri cicchettidall’impronta alcolica più marcata, ma im-mancabili nelle chiacchiere del dopo cena,che rendono il senso del tempo sospeso dellavacanza: per finire, gradite un Limoncello?

A fare la differenza, la qualità dei liquori.Gli habitué dei drink sanno bene come distri-carsi tra un brand e l’altro, tra un locale e l’al-tro. La pratica truffaldina ma piuttosto diffu-sa di riempire bottiglie e dispenser di pessi-mo alcol — soprattutto in discoteche e affini— è responsabile del classico giorno dopo in-tossicato da mal di testa, fegato dolorante etorpori malati. Ben diverso e benemerito è

l’approcciodel cicchettofai-da-te,con ivirtuo-si del liquore fatto in casa impegnati in scam-bi di ricette più o meno segrete e ricerchepuntigliose, in cercadelleverefragolinedi bo-sco e dei limoni più profumati della costieraamalfitana. Il tutto, in attesa che venga il mo-mento delle noci (e quindi del nocino).

Tra produzioni artigianali e marchi seriali,trovate il giusto liquore per il vostro sorso al-colicamente gelato di fine pasto, magari de-clinato al femminile, dal Fragolino delle ra-gazze Nonino all’Anice delle signore Varnel-li. Usate i bicchierini freddi di freezer e brin-date al Ferragosto imminente.

perrompereilghiaccio

INPRINCIPIOFUILBRANCAMENTA.CONILTERMOMETROCHENONACCENNA

ASCENDERENONC’ÈNIENTEDIMEGLIODIUN“CICCHETTO”

GELATOAFINEPASTO.BASTA

SCEGLIEREOTTIMOALCOLEBRINDAREALFERRAGOSTO

IMMINENTE

L’appuntamento

Per gli amanti dimusica&vino,domani serate a tema

in tutta Italia per Calici di Stelle,a cura delMovimento Turismodel Vino. AContessa Entellina,

Palermo, la cantinaDonnafugataoffre visite e degustazioni

durante la vendemmia notturna

Lacuriosità

La distilleria giapponese Suntoryinvierà bottiglie dei suoimiglioriwhisky sulla Stazione spazialeinternazionale, per cominciareun invecchiamento in assenzadi gravità (che proteggerebbe

lemolecole responsabilidel sapore dai danni del tempo)

L I C I A GRANEL LO

Repubblica Nazionale 2015-08-09

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 37

DICIAMOCELO: IN QUESTA

nostra societàdell’immagine il nomeconta, e molto.Impressionanti

campagne di marketing, sanguinoseconcorrenze si giocano sul filo deidecimali e su caratteristicheminimamente differenti, e quindi unfattore primario quale la denominazioneche compare sull’etichetta diventaaltamente strategico. Chissà come sisarebbe chiamato il vecchio, carolimoncello se invece di nascere ai primidel Novecento fosse il frutto di unobrainstorming all’ultimo piano delgrattacielo di una modernamultinazionale del liquore. Se invece divedere la luce, in un tempo in cui sicercava attinenza tra parole e cose, dallemani di una suora o di una massaiaamalfitana o caprese o sorrentina chedecideva di riutilizzare le inutili scorze deilimoni, fosse stato invece sintetizzatodopo un’accurata indagine sul gusto deglistrati abbienti della popolazione etilica.Magari avrebbero aggiunto colorantiglamour per evitare quel giallo paglierinotorbido che sembra disegnato a pastello,lo avrebbero imbottigliato in 33 cl. e loavrebbero chiamato Minispritz oLemonfist. Ma tutto ciò non è accaduto e ilpovero, vecchio limoncello continua asopravvivere alle infinite varianticremose o meno, imponendo la propriapotenza digestiva e la dolce autorevolezzache lo fa preferire ai più reclamizzatiamari. Capita perciò che il distillato giallovenga ancora consumato a litri d’estate,ghiacciato e dolce e forte com’è, emantenga a fine pasto il proprio primatotra consumatori di grigliate di pesce e dispaghetti alle vongole, nonostante ilnome da gelato da passeggio e la vetustàche sa di antichi rosoli. E che ancheragazzi palestrati e tatuati e ragazzinepunk con creste multicolore e decine dipiercing sussurrino al ristoratore,guardandosi attorno per essere certi dinon attirare l’altrui attenzione, quelridicolo nome da elfo dei boschi.Insomma, un nome improponibilemediaticamente, ma resistente al tempoche passa. Certo, al liquore è impeditol’accesso a romanzi e film di successo:Bond non avrebbe potuto chiedere unlimoncello agitato e non mescolato senzaperdere il proprio fascino, e Bogart colliquido giallo nel bicchiere largo e con duecubetti di ghiaccio avrebbe interpretatoun “Casablanca” di minor impatto; edentrambi avrebbero evitato quel vagobruciore di stomaco che gli rendeval’espressione vagamente imbronciata eperciò più misteriosa. Eppure garantiamosulla nostra parola di aver cenato aEdimburgo, patria dell’ambrato liquido difuoco scozzese che scorre a fiumi nellepellicole; e che a fine pasto il fulvo oste,furtivamente, ha tirato fuori dal freezeruna bottiglia dal lungo collo, ammettendoa bassa voce di avere tra gli amici unospacciatore di Maiori. E poi, sorridendocomplice, ha sospirato: ”ah, Surriento”.

L’ultimo librodell’autore

èAnime di vetro (Einaudi, 2015)

Liquoreal cioccolatoLatte, cacao,zuccherodi cannaealcol dadolcisonogli ingredientidelsuperalcolicopiùgoloso,daservireben freddoinsiemeascorzecandited’aranciaopasticceriasecca

ChartreuseCentotrentaerbeequattrocentoannidi storiaper il liquorefrancesedallaricettasegretissima,custoditadaimonacidiVoiron,concuibattezzareunottimogelatoallacrema

ZabaioneDaimarchiindustriali—Vov,Zabov—allaricettacasalinga,il liquoredi rossi d’uova,zucchero,latte, panna,Marsalaealcolsi centellinafreddocolbudinoal cioccolato

TequilaIl superalcolicomessicano—ottenuto,come il fratelloMezcal,dalladistillazionedell’agave—sioffre inpurezzaocomecocktail(Margaritainprimis)con tacosesalsepiccanti

8

Laricetta.

Cannolo, basilicoecamomillaconunbicchierinoall’albicocca

SeBogartfossetornatoaSurriento

MAUR I Z I O DE G IO VANN I

SakeNonsupera i ventigradialcolici,labevandanazionaledelGiappone,figliadiunafermentazionemultiplaeservitaa temperaturediverse.Laversione freddaèperfettaper il sushi

drink&bar

Per il biscuit: montare le uova con lo zucchero. Incorporare lemandorle tritate miscelate con farina, buccia di limone e lie-vito. Emulsionare latte, extravergine e basilico frullato e fil-

trato. Stendere il composto su una teglia rivestita di carta forno ecuocere dodici-quindici minuti a 180 gradi.

Per la crema al basilico: mettere in infusione basilico e zeste di li-mone nella panna, sciogliere il cioccolato bianco a ba-gnomaria e emulsionare il latte portato a bollore conlo sciroppo di glucosio a cui è stata unita la gelatina.Unire le due preparazioni e mixare con il minipimer,filtrare e lasciar riposare una notte. Per la mousse al-lacamomilla: bollirepanna, zucchero, camomilla. In-tiepidito il composto, aggiungere la gelatina, poi lapanna semi montata. Fare dei cilindretti e metterein freezer. Arrotolare il biscuit attorno ai cilindridi mousse, nappare il fondo del piatto con la cre-ma. Servire infine con un bicchierino ghiacciatodi Berola, distillato di albicocche Pellacchielledel Vesuvio.

VodkaSiversainbicchieriniabocca svasataeghiacciati,il liquoreottenutodistillandocereali opatate(ricchidi amidoezucchero)dasorseggiareconuncrostinoallearinghe

LimoncelloSolobucciadi limonirigorosamentebio,perpreparareil liquorecheprofumad’estate,daconservarein frigoo freezeregustarea finepastocondelizieal limoneebabà

FragolinoDoppiadeclinazione:fragolinediboscoin infusionenell’alcolconaggiuntadisciroppodizuccheroodistillazionedell’uvaomonima.Daabbinarecondolci di cremae frutta

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

PER IL BISCUIT: 190 G. DI ZUCCHERO; 110 G. DI UOVA; 100 G. DI LATTE;

175 G. DI FARINA; 50 G. DI MANDORLE; 5 G. DI LIEVITO;

90 G. DI EXTRAVERGINE; 50 G. DI BASILICO; 1 G. DI BUCCIA DI LIMONE

PER LA CREMA: 90 G. DI BASILICO; 10 G. DI ZESTE DI LIMONE; 420 G. DI PANNA;

330 G. DI CIOCCOLATO BIANCO; 210 ML. DI LATTE; 6 G. DI GELATINA;

10 G. DI SCIROPPO DI GLUCOSIO

PER LA MOUSSE ALLA CAMOMILLA: 900 G. DI PANNA; 250 G. DI ZUCCHERO;

50 G. DI CAMOMILLA; 30 G. DI GELATINA;1 KG. DI PANNA SEMI MONTATA

LOCHEF

LINOSCARALLOÈ ILCUOCODELLOSTELLATOPALAZZOPETRUCCIAFFACCIATOSUPIAZZASANDOMENICOMAGGIOREANAPOLI, DOVESIMISCELANOTRADIZIONEEMODERNITÀ,COME INQUESTARICETTA IDEATAPERREPUBBLICA

BARCELLONADryMartiniAribau162Tel.+34932-175080

NEWYORKPeguClub77WestHoustonStreetTel.+1212-4737348

SHANGHAIMint24/F318FuzhouLu(ShandongZhongLu)Tel.+8621-63912811

PARIGIExperimentalCocktailClub37RueSt-SauveurTel.+331-45088809

ISTANBULMiklaMarmeraPeraHotelMesrutiyet15Tel.+90212-2935656

SYDNEYEaudeVie229DarlinghurstRoadTel.+61422-263226

LONDRAArtesianLanghamHotelPortlandPlaceTel.+4420-76361000

RIODEJANEIROQuiosquedoPortuguêsAv.BorgesdeMedeirosLocalitàLagoaTel.+5521-22399936

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la RepubblicaDOMENICA 9 AGOSTO 2015 38LADOMENICA

SPOLETO

ORA CHE BAFFI E CAPELLI SONO CANDIDI ha perso l’aspetto autorita-rio di quand’era brizzolato. A osservarlo, mentre sistema i qua-rantottogessi inmostra finoal20 settembrealPalazzo Comuna-le di Spoleto, Fernando Botero ha un aspetto familiare con que-gliocchipiccolicomepuntedispilli daricamatriceel’impercetti-

bile strabismo. Sono gli stessi dell’umanità extralarge che dipinge e scolpisce,pingui famigliole in posa e infante obese, tangueros e toreador smisurati, put-tane e ballerine e Cristi e Madonne e Luciferi e Gioconde e travestiti barbuti eamanti ignudi e musicisti e giocolieri e cani e gatti e cavalli pasciuti, agilissimie leggiadri pur nelle elefantiache proporzioni. Ottantatré anni ma, noncuran-te del clima torrido del primo pomeriggio, scorrazza per le sale dello Spagna,dei Duchi e della Prigione, nel suo completo di lino bianco, charmant come unmaturo Rubirosa che la bella moglie (la terza) Sophia Vari (scultrice greca emagrissima) non perde mai d’occhio. «Ho la stessa energia che avevo a qua-rant’anni. Continuo a lavorare moltissimo e con grande soddisfazione perchéil mio scopo è sempre stato quello di dialogare con la gente». Dai finestroni siscorge la lunga fila di visitatori che sfidano la canicola aspettando l’aperturadavanti al torso femminile di tre metri e mezzo rivolto verso il Duomo, il bron-zo che è l’orgoglio della città del Festival dei Due Mondi. «Oggi vedere che lagente ha una reazione così entusiastica mi riempie di gioia. Ho dedicato all’ar-te tutta la mia vita», aggiunge commosso l’artista colombiano che ha firmatopiù di 4500 dipinti a olio, 2500 disegni e almeno 350 sculture. Accarezza

quei gessi che sono la versione disinfettata della sua riconosci-bilissimaopulenza: qui il colore non c’è, è scivolatovia, sono pu-re volumetrie, le anime candide delle sue donne cannone. «Ilgesso, l’inizio di qualsiasi opera scultorea, è un calco che rima-ne sempreall’artista. Nel mio studiodi Pietrasanta ne conservouna serie che ora il comune di Spoleto mi ha dato l’opportunitàdi far conoscere. Non ho mai pensato che il gesso sia un materia-le meno nobile di marmo e bronzo. Le sculture mi permettono dicreare il vero volume, posso toccare le forme, posso dar loro lamorbidezza, la sensualità che desidero».

L’Italia è una delle sue residenze preferite. «Già da trentacin-que anni ho un laboratorio a Pietrasantadove sono state realizza-te quasitutte le opere inmarmo. Inoltre quie in Franciaci sonolemigliori fonderie, dunque per me è una posizione strategica. Ma

a dir la verità mi sposto incessantemente in cinque o sei posti, Bogotá, Monte-carlo, New York e la Grecia. Vivo un po’ dappertutto». Non fu solo una questio-ne di opportunità ad averlo guidato in Toscana. Non sarebbe diventato l’arti-sta figurativo contemporaneo più famoso al mondo se non fosse stato sedottodalla pittura volumetrica del Trecento e Quattrocento fiorentino. Giotto e Ma-sacciosopra tutti. «Arrivai inItalia adiciannoveanniper frequentarel’Accade-mia delle belle arti di Firenze», racconta. «Fu uno choc culturale, anche se ave-vo incominciato a visitare il paese molto prima, quand’ero studente in Spagnae avevo sfogliatoLastoriadell’arte italianadel Venturi, il libro che mi ha cam-biato la vita — diversamente sarei finito a Parigi, che all’epoca era il sogno ditutti gli artisti». In Francia ci sarebbe andato più tardi, dopo quattordici annivissuti a New York. «Il periodo più difficile della mia vita», sospira. «A Manhat-tan, un artista figurativo era come un lebbroso in quegli anni in cui trionfaval’espressionismo astratto di De Kooning e Franz Kline. Io, con le mie fortissi-me convinzioni sulla pittura, non trovai una sola galleria disposta a esporre lemie opere, mi scontrai con una totale indifferenza del pubblico. Fu durissimaanche dal punto di vista economico. Un giorno bussò al mio studio un mercan-te d’arte che aveva una galleria accanto al MoMa. “Ti do dieci dollari per ognitela”, disse. Ce n’erano ingiro una settantina; settecento dollari erano una for-tunaperme.Anche inquegliannidifficili rimasi fedelealprincipiochelagran-de arte deve essere figurativa».

Erano lontani i tempi in cui lo avrebbero chiamato ad allestire mostre «chenon hanno mai fatto neanche i più grandi artisti della storia», veri e propri ar-redi metropolitani: trentadue sculture monumentali sugli Champs-Élysées, aParigi, nel 1992, altrettante a Park Avenue, a New York, poi in Piazza della Si-gnoria, a Firenze, al Paseo de la Castellana di Madrid, in Michigan Avenue, aChicago, e Tokyo, Berlino, Singapore e Stoccolma. Per i galleristi americaniera poco più di un caricaturista. L’hanno salvato l’acclamazione popolare e latenacia con cui ha continuato nel suo percorso sfidando la derisione degliastrattisti. Quasi non riusciva a crederci quando, nel 1966, ricevette la telefo-nata dal Milwaukee Art Museum. «Era la prima volta che in America avevo unriconoscimento. Ma fu la Germania il paese che abbracciò con entusiasmo lemie opere, dal 1970, quando scoprirono un mio quadro alla Carnegie Interna-tional(l’annuale mercatod’arte cheha svelatoMagrittee Pollock, Giacomettie Warhol, ndr) e m’invitarono per cinque mostre in musei tedeschi. A quelpunto gallerie e mercanti, anche americani, fecero a gara per avere i miei qua-dri». A quelli che ancora minimizzano la portata artistica di Botero ha rispostoJuan Carlos, lo scrittore cinquantenne terzogenito dell’artista di Medellín edellaprimamoglieGloria Zea:«Inrealtà lostile dimiopadre nonhanulla a chevedereconquello per cui lagentepiù lo identifica: l’obesità.Dire che Botero di-pingepersonegrasse ècomedirelo stessodiPaoloUccellooRubens,o sostene-re che El Greco dipingeva persone magre. La sua proposta estetica consistenell’esaltare il volume delle forme per conferire magnificenza e plasticità».

Il suo senso di abbondanza suggerisce ottimismo, ma l’artista schiva anchequestadefinizione. «Lo stileè il medesimo anche quandodipingo lesofferenzedei prigionieri di Abu Ghraib», precisa Botero seduto in un ufficio che il sinda-

co gli ha messo a disposizione a Spoleto. «Il dovere dell’artista è quello di pro-durre arte di qualità. Non ha obblighi morali, la denuncia è una libera scelta,anche se a volte la Storia è così drammatica da indurci prepotentemente a unconfronto, che sia Guernica o Abu Ghraib». Quando nel 1979 il figlioletto Pe-dro di cinque anni (avuto dalla seconda moglie Cecilia Zambrano) morì in unincidente stradale in cui anche lui rimase ferito, continuò a dipingerlo e dipin-gerlo annientando la sofferenza nell’estasi della pittura. «In quei momenti miha salvato il lavoro; la catarsi dell’arte», mormora. «È stata un rifugio, una via

d’uscita, una fuga culturale, mi ha catapultato in un mondo parallelo, incon-taminato, calmo, piacevole. Ecco, il compito dell’artista è quello di riusci-

re a creare una dimensione che dia alla gente una boccata d’ossigeno eunsegno disperanzaanche quandoilquotidianoèspietato.Maoggiqua-si sempre tradisce questa funzione, è fatta solo per scioccare».

È stato lungo, laborioso, faticoso, dice, il percorso dalla volumetria delQuattrocento italiano, da Leonardo, Velazquez, Rubens, Goya, Tiziano,

Manet, Bonnard alla florida opulenza del suo segno. «Quel che vede èfrutto di una riflessione molto profonda sull’arte e sulla pittura,

non c’è maturità senza coerenza. Ho osservato molto, accumula-to una grande quantità di informazioni e di immagini, vissutoesperienze speciali: tutto questo confluisce in un lavoro che hauna personalità unica». S’illumina quando parla di Jan VanEyck (e della sua interpretazione degli Arnolfini), ma sull’ar-te contemporanea neanche una parola. «Non mi interessa»,tagliacorto. «L’arte soffre disgraziatamente di unaforte deca-

denza, speriamo in un Rinascimento che non perda di vista que-gli elementiche sono rimastisempre viviattraverso isecoli— l’arti-gianalità prima di tutto. La maggior parte dell’arte oggi invece èhands off, come se toccare il prodotto artistico corrispondesse asminuirlo. Io sono fedele al pennello, alla tavolozza, ai colori. Pitto-re al cento per cento, ventiquattr’ore su ventiquattro».

È celebre in tutto il mondo per il suo segno extralarge, tanto nei

suoi quadri che nelle sue sculture in gesso. Ma l’artista colombia-

no rifiuta l’etichetta: “Sono solo uno che a diciannove anni venne

a studiare a Firenze sedotto dalla pittura volumetrica di Giotto e

del Masaccio. E anche l’ottimismo non c’entra nulla: il mio stile è

sempre lo stesso, sia quando raffiguro una bella famigliola sia

quando dipingo le sofferenze di un detenuto di Abu Ghraib”. E se

gli si chiede dell’arte contempo-

ranea lui taglia subito corto:

“Non mi interessa. È tutta roba

hands off, roba che non si fa

mettere le mani addosso. Buo-

na solo per scioccare”

DATRENTACINQUEANNIHOUNOSTUDIOINTOSCANA,APIETRASANTA,ÈQUICHECISONOLEMIGLIORIFONDERIE.UNAPOSIZIONESTRATEGICA,MICONSENTEDISPOSTARMIINCESSANTEMENTE:VIVOTRABOGOTÀ,MONTECARLO,NEWYORKELAGRECIA

Fernando

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ILNOSTRODOVEREÈPRODURREOPERE

DIQUALITÀ.NONABBIAMO

OBBLIGHIMORALI,LADENUNCIA

ÈUNALIBERASCELTAQUANTOAME

CERCOSOLODIDAREUNABOCCATAD’OSSIGENOALLAGENTE

QUANDOINUNINCIDENTEMORÌMIOFIGLIOPEDRODICINQUEANNI,CONTINUAIADIPINGERLO. INQUEIMOMENTI ILLAVORODIVENTÒPERMEUNRIFUGIO,UNMONDOPARALLELOCALMOEPIACEVOLE

BoteroG I U SEPPE V I DETT I

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L’incontro.Curvy

Repubblica Nazionale 2015-08-09