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22 » SECONDO TEMPO | IL FATTO QUOTIDIANO | Domenica 18 Agosto 2019 IL LUTTO È morto a 79 anni il protagonista di “Easy Rider” Addio a Peter Fonda: Capitan dell’altra America “S » ANNA MARIA PASETTI o cosa significa essere morto” aveva detto sotto LSD nell’a- gosto del 1965, e i suoi amici Beatles l’avevano preso alla lettera inserendo la frase (“I know what’s like to be dead”) nella canzone She Said She Said. Per fortuna sua, e di tutti noi, Peter Fonda è sopravvis- suto a quell’incidente che da bambino lo portò a spararsi un colpo nello stomaco: il mi- to di Easy Rider non sarebbe mai esistito. Alla morte, pur- troppo, non è sfuggito due giorni fa, lasciandoci a 79 anni dopo una lunga malattia. E quella frase di mortifera pre-conoscenza la ripeteva spesso, sempre rievocando l’episodio infantile, sempre sotto stupefacenti. Un desti- no segnato per un’esistenza sempre ai limiti quello che ha accompagnato il figlio di He- nry e il fratello di Jane: tanto da lì, prima o poi, non si scap- pa. D’altra parte la madre sui- cida l’aveva lasciato da picco- lo, e con quel cognome in- gombrante era necessario per lui trovare una strada diversa verso il successo. Non era fa- cile, in pochi “figli di papà” ce l’hanno fatta, ma Fonda jr. sul chopper a stelle&strisce più famoso di sempre, non solo ha sfiorato la popolarità pater- na, ma è riuscito a sovvertire per sempre lo sguardo sull’A- merican Dream. Era il 1969, Peter “Wyatt” Fonda caval- cava la sua Captain America in parallelo al buddy Dennis “Billy” Hopper: solcando le strade degli States erano in- tenzionati a lacerare il Paese nel suo cuore, estraendovi il pus di un’ipocrisia feroce, pronta a fagocitarli e a di- struggerli come dentro a un buco nero. Hipster iconici co- me nessun altro, i due “bifol- chi” dai capelli lunghi viag- giavano liberi al di là del bene e del male, perché loro erano “born to be wild”, nati per es- sere selvaggi. Dalla sua prima apparizio- ne sugli schermi, Easy Rider era già leggenda: il manifesto GRAZIA DI MICHELE La cantautrice ospite dello Sponz Fest il 21 agosto per una lezione sugli stereotipi femminili nella musica “Sono una Bambola, o almeno così mi descrivono gli autori delle canzoni” » GRAZIA DI MICHELE L e arti dello spettacolo hanno fortemente con- dizionato gli stereotipi di genere maschile e femmi- nile. Nulla di strano, se non che quello femminile è stato descritto da maschi. Provia- mo a leggere i nomi degli au- tori del cinema, della canzo- ne, dell’opera e della televi- sione: sono tutti, o quasi, ma- schi. Questa immensa opera popolare ha descritto l’uni- verso femminile in maniera silenziosa e potente, fornen- do un modello di comporta- mento a cui è stato facile con- formarsi anche per le donne stesse. QUANDO ERO ragazza, Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo, per citare le più trasgressive, mi affascinavano per il loro temperamento, eppure spesso persino nelle loro canzoni af- fioravano delle contraddizio- ni: le donne erano abbandona- te, tradite, arrendevoli, dispo- ste a perdonare sempre e co- munque l’uomo. Non vi era mai un accenno alla maternità, al fatto di essere figlie, sorelle, amiche, non vi era nessun ri- basta porta al primo posto in classifica la sua idea di donna senza mezzi termini: troia! Per questo ho ideato uno spettacolo, che poi è diventato un disco: “Sante Bambole Put- tane”, per liberare le donne dalla prigione dell’etichetta, e- saltandone la profonda uma- nità: la prostituta che trova l’a- more in età matura (Lora), la nomade che mette a nudo il nostro concetto di progresso (Irina), la kamikaze che si fa saltare in aria (Habi), indottri- nata da una religione sempre più strumento di odio, la bam- bina “strega” che ha delle vi- sioni e dei presentimenti (A- pollonia, che è anche la prota- gonista del mio primo roman- zo). Donne che si aggiungono alla nutrita fila di donne che ho raccontato nella mia carriera: dalle Ragazze di Gauguin, fino a Anja, Rudji, Caterina, Chia- ra... Eroine senza gloria e sen- za pretese, se non quella di rappresentare se stesse in ma- niera autentica, come donne, finalmente, libere. Vincenzo Micocci, invece, a- scoltava con attenzione. Nac- que così il mio primo album Cliché . Dentro c’era il tema dell’aborto, dell’omosessuali- tà, la condizione femminile, ma anche il mio contributo o- riginale sul genere maschile, superficiale o debole: “A gior- ni verrai a mettere la tua paura tra le mie gambe”, cantavo. In un tempo in cui passavano in radio canzoni tipo “Sono una donna non sono una santa” io mi sentivo Giovanna D’Arco. Il mio primo gruppo “Ape di vetro” formato da me, Chiara Scotti e Lella Lamorgese, ri- mediava a stento piccole feste di paese su palcoscenici im- provvisati, dove collezionava- mo fischi e inviti a spogliarci. D’altra parte erano tutti ben e- ducati al fatto che le donne ser- vissero solo a questo. Sono passati tanti anni, ep- pure la situazione è sempre critica. Qualche tempo fa in ra- dio ho ascoltato un brano in cui lei supplicava un lui ripetendo “Umiliami!”, mentre Sfera Eb- mo portato il nostro piccolo contributo. Cominciammo a scrivere per la prima volta in Italia canzoni scritte da donne per le donne, che facevano storcere il naso a qualcuno, che non sarebbero mai passate in radio ma che il discografico ferimento a tutto il tumulto di sentimenti “generazionali” dell’epoca. Erano gli anni 70, il femminismo era maturo, l’Ita- lia approvava il divorzio e l’in- terruzione di gravidanza, ma a Sanremo era una carrellata di amori sdolcinati, proiettati al- la costruzione della famiglia e di donne imploranti perdono. Al festival del 1970, mentre in Italia veniva approvato il di- vorzio, la canzone più tra- sgressiva, cantata da una gio- vanissima Nada, parlava di u- na fuga d’amore, ma che si nor- malizzava subito: “c’è un velo bianco che m’aspetta /che posso chiedere di più /il dolce sogno di ogni notte /per me di- venta verità”. Cinque gli auto- ri: Franco Migliacci, Roberto Gigli, Jimmy Fontana, Mario Cantini, Italo Greco. Forse il sogno era il loro. Io e mia sorella Joanna in- tanto traducevamo i testi di Joan Baez e Joni Mitchell, le nostre ispiratrici d’oltreocea- no. I tempi stavano cambian- do, pensavamo, e noi avrem- Spregiudicato e anticonformista Era l’alter ego del padre. Rivendicava di appartenere a un mondo diverso, ribelle. Si identificava con la controcultura, anche contro la legge perfetta come Henry (o come la sorella Jane/Barbarella, anche lei all’epoca icona “se- xy fantascientifica” d’eman- cipazione femminile) ma del padre proponeva il rovescio della medaglia: l’anticonfor- mismo, l’identificazione con la controcultura, il profondo senso di appartenenza a un mondo diverso, certamente più spregiudicato e intima- mente ribelle, anche andando contro la legge. “Non voglio essere nessun altro” faceva dire non casualmente al suo Wyatt in una sequenza di Ea- sy Rider in cui sia davanti che dietro la macchina da presa col giovane Dennis fumava erba per davvero. Con parec- chi film interpretati e un paio diretti, Peter ha sempre scel- to il lato B dell’America incar- nato da registi indie o innova- tivi come Roger Corman, John Carpenter, Steven So- derbergh, la nostra Asia Ar- gento. Ancor più che il figlio di una royal family cinemato- grafica, Peter Fonda è stato il figlio del suo tempo, di un preciso tempo della Storia, della quale è stato anche, e forse soprattutto, “profeta”. Omaggiarlo con le parole del vate dell’America che amava e incarnava è doveroso: “Qual è la tua strada amico?.. La strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell’arcoba- leno, la strada dell’imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per gli uo- mini in tutti i modi” (Jack Ke- rouac, On the Road). © RIPRODUZIONE RISERVATA tando il western – e dunque l’ontologica natura conqui- statrice degli USA – il Fonda junior omaggiava a modo suo il Fonda senior, fra i volti più riconoscibili nell’oli mpo della grande narrazione del cinema americano. In altre parole la nuova contro la vec- chia Hollywood, o meglio, la prima che – assorbendola – metteva in discussione il mo- dello della seconda. Con quella “solida reputa- zione da rinunciatario”, Pe- ter non era dotato di bellezza va i cavalli con le motociclet- te ma vi mantenesse “ on board” la memoria eroica di due icone del genere più clas- sico di Hollywood: Wyatt Earp e Billy the Kid. Rivisi- della New Hollywood, il we- stern lisergico di riders stra- fatti, il road movie per eccel- lenza dove tempo e spazio s’abbracciavano dentro a un nuovo paradigma. E, per quanto diretto dall’esordien- te Hopper (che per il film vin- se come miglior opera prima a Cannes), il film è soprattutto frutto della volontà di Peter Fonda. È stato lui a produrlo, co-sceneggiarlo e natural- mente co-interpretarlo da protagonista sull’idea inizia- le di un western che sostitui- In sella Fonda e Jack Nicholson nella scena simbolo del film Ansa L’album ”Sante Bam- bole Puttane” è l’ultimo la- voro di Grazia Di Michele Pillola n RITORNO IN SALA Dopo aver realizzato, in collaborazio- ne con Sony Pictures En- tertainment, il restauro di “Easy Rider” e averlo pre- sentato al Fe- stival di Can- nes in mag- gio e al festi- val Il Cinema Ritrovato a giugno, la Ci- neteca di Bo- logna distri- buirà la pel- licola nelle sale italiane dal 9 settem- bre (in ante- prima dal 31 agosto al Cinema Lumière di Bologna) Condividi n AL VIA Da domani al 25 agosto a Calitri e in al- tri Comuni dell’Alta Irpi- nia torna lo Sponz Fest, ideato e di- retto da Vini- cio Caposse- la. Tema di quest’anno “Sottaterra”: il ritorno al luogo da dove tutti veniamo Trova questo quotidiano e tutti gli altri molto prima,ed in più riviste,libri,fumetti, audiolibri,e tanto altro,tutto gratis,su:https://marapcana.surf

22 23 6S IL LUTTO I disegni di Disegni Addio a P eter Fonda: … · 2019. 9. 5. · IL LUTTO § morto a 79 anni il protagonista di 6Easy Rider7 Addio a P eter Fonda: Capitan dell3altra

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Page 1: 22 23 6S IL LUTTO I disegni di Disegni Addio a P eter Fonda: … · 2019. 9. 5. · IL LUTTO § morto a 79 anni il protagonista di 6Easy Rider7 Addio a P eter Fonda: Capitan dell3altra

22 » SECONDO TEMPO | IL FATTO QUOTIDIANO | Domenica 18 Agosto 2019

IL LUTTO È morto a 79 anni il protagonista di “Easy Rider”

Addio a Peter Fonda:Capitan dell’altra America

“S» ANNA MARIA PASETTI

o cosa significa essere morto”aveva detto sotto LSD nell’a-gosto del 1965, e i suoi amiciBeatles l’avevano preso allalettera inserendo la frase (“Iknow what’s like to be dead”)nella canzone She Said SheSaid. Per fortuna sua, e di tuttinoi, Peter Fonda è sopravvis-suto a quell’incidente che dabambino lo portò a spararsiun colpo nello stomaco: il mi-to di Easy Rider non sarebbemai esistito. Alla morte, pur-troppo, non è sfuggito duegiorni fa, lasciandoci a 79 annidopo una lunga malattia.

E quella frase di mortiferapre-conoscenza la ripetevaspesso, sempre rievocandol’episodio infantile, sempresotto stupefacenti. Un desti-no segnato per un’e s i s t en z asempre ai limiti quello che haaccompagnato il figlio di He-nry e il fratello di Jane: tantoda lì, prima o poi, non si scap-pa. D’altra parte la madre sui-cida l’aveva lasciato da picco-lo, e con quel cognome in-gombrante era necessario perlui trovare una strada diversaverso il successo. Non era fa-cile, in pochi “figli di papà” cel’hanno fatta, ma Fonda jr. sulchopper a stelle&strisce piùfamoso di sempre, non solo hasfiorato la popolarità pater-na, ma è riuscito a sovvertireper sempre lo sguardo sull’A-merican Dream. Era il 1969,Peter “W y at t” Fonda caval-cava la sua Captain Americain parallelo al buddy Dennis“Bi lly” Hopper: solcando lestrade degli States erano in-tenzionati a lacerare il Paesenel suo cuore, estraendovi ilpus di un’ipocrisia feroce,pronta a fagocitarli e a di-struggerli come dentro a unbuco nero. Hipster iconici co-me nessun altro, i due “b i f o l-ch i” dai capelli lunghi viag-giavano liberi al di là del benee del male, perché loro erano“born to be wild”, nati per es-sere selvaggi.

Dalla sua prima apparizio-ne sugli schermi, Easy Riderera già leggenda: il manifesto

GRAZIA DI MICHELE La cantautrice ospite dello Sponz Fest il 21 agosto per una lezione sugli stereotipi femminili nella musica

“Sono una Bambola, o almeno cosìmi descrivono gli autori delle canzoni”» GRAZIA DI MICHELE

Le arti dello spettacolohanno fortemente con-dizionato gli stereotipi

di genere maschile e femmi-nile. Nulla di strano, se nonche quello femminile è statodescritto da maschi. Provia-mo a leggere i nomi degli au-tori del cinema, della canzo-ne, dell’opera e della televi-sione: sono tutti, o quasi, ma-schi. Questa immensa operapopolare ha descritto l’u ni-verso femminile in manierasilenziosa e potente, fornen-do un modello di comporta-mento a cui è stato facile con-formarsi anche per le donnestesse.

QUANDO ERO ragazza, Mina,Ornella Vanoni, Patty Pravo,per citare le più trasgressive,mi affascinavano per il lorotemperamento, eppure spessopersino nelle loro canzoni af-fioravano delle contraddizio-ni: le donne erano abbandona-te, tradite, arrendevoli, dispo-ste a perdonare sempre e co-munque l’uomo. Non vi eramai un accenno alla maternità,al fatto di essere figlie, sorelle,amiche, non vi era nessun ri-

basta porta al primo posto inclassifica la sua idea di donnasenza mezzi termini: troia!

Per questo ho ideato unospettacolo, che poi è diventatoun disco: “Sante Bambole Put-t an e ”, per liberare le donnedalla prigione dell’etichetta, e-saltandone la profonda uma-nità: la prostituta che trova l’a-more in età matura (Lora), lanomade che mette a nudo ilnostro concetto di progresso(Irina), la kamikaze che si fasaltare in aria (Habi), indottri-nata da una religione semprepiù strumento di odio, la bam-bina “strega” che ha delle vi-sioni e dei presentimenti (A-pollonia, che è anche la prota-gonista del mio primo roman-zo). Donne che si aggiungonoalla nutrita fila di donne che horaccontato nella mia carriera:dalle Ragazze di Gauguin, finoa Anja, Rudji, Caterina, Chia-ra... Eroine senza gloria e sen-za pretese, se non quella dirappresentare se stesse in ma-niera autentica, come donne,finalmente, libere.

Vincenzo Micocci, invece, a-scoltava con attenzione. Nac-que così il mio primo albumC l ic h é . Dentro c’era il temadell’aborto, dell’omosessuali -tà, la condizione femminile,ma anche il mio contributo o-riginale sul genere maschile,superficiale o debole: “A gior-ni verrai a mettere la tua pauratra le mie gambe”, cantavo. Inun tempo in cui passavano inradio canzoni tipo “Sono unadonna non sono una santa” iomi sentivo Giovanna D’A rc o.Il mio primo gruppo “Ape divetro” formato da me, ChiaraScotti e Lella Lamorgese, ri-mediava a stento piccole festedi paese su palcoscenici im-provvisati, dove collezionava-mo fischi e inviti a spogliarci.D’altra parte erano tutti ben e-ducati al fatto che le donne ser-vissero solo a questo.

Sono passati tanti anni, ep-pure la situazione è semprecritica. Qualche tempo fa in ra-dio ho ascoltato un brano in cuilei supplicava un lui ripetendo“Umiliami!”, mentre Sfera Eb-

mo portato il nostro piccolocontributo. Cominciammo ascrivere per la prima volta inItalia canzoni scritte da donneper le donne, che facevanostorcere il naso a qualcuno,che non sarebbero mai passatein radio ma che il discografico

ferimento a tutto il tumulto disentimenti “g en er az io na li ”dell’epoca. Erano gli anni 70, ilfemminismo era maturo, l’Ita -lia approvava il divorzio e l’in -terruzione di gravidanza, ma aSanremo era una carrellata diamori sdolcinati, proiettati al-la costruzione della famiglia edi donne imploranti perdono.Al festival del 1970, mentre inItalia veniva approvato il di-vorzio, la canzone più tra-sgressiva, cantata da una gio-vanissima Nada, parlava di u-na fuga d’amore, ma che si nor-malizzava subito: “c’è un velobianco che m’aspetta /cheposso chiedere di più /il dolcesogno di ogni notte /per me di-venta verità”. Cinque gli auto-ri: Franco Migliacci, RobertoGigli, Jimmy Fontana, MarioCantini, Italo Greco. Forse ilsogno era il loro.

Io e mia sorella Joanna in-tanto traducevamo i testi diJoan Baez e Joni Mitchell, lenostre ispiratrici d’oltreocea -no. I tempi stavano cambian-do, pensavamo, e noi avrem-

Spregiudicato e anticonformistaEra l’alter ego del padre. Rivendicavadi appartenere a un mondo diverso,ribelle. Si identificava con lacontrocultura, anche contro la legge

perfetta come Henry (o comela sorella Jane/Barbarella,anche lei all’epoca icona “s e-xy fantascientifica” d’e m a n-cipazione femminile) ma delpadre proponeva il rovesciodella medaglia: l’a n t i c o n f o r-mismo, l’identificazione conla controcultura, il profondosenso di appartenenza a unmondo diverso, certamentepiù spregiudicato e intima-mente ribelle, anche andandocontro la legge. “Non voglioessere nessun altro” facevadire non casualmente al suoWyatt in una sequenza di E a-sy Rider in cui sia davanti chedietro la macchina da presacol giovane Dennis fumavaerba per davvero. Con parec-chi film interpretati e un paiodiretti, Peter ha sempre scel-to il lato B dell’America incar-nato da registi indie o innova-tivi come Roger Corman,John Carpenter, Steven So-derbergh, la nostra Asia Ar-gento. Ancor più che il figliodi una royal family c i n e m a t o-grafica, Peter Fonda è stato ilfiglio del suo tempo, di unpreciso tempo della Storia,della quale è stato anche, eforse soprattutto, “p r o fe t a”.Omaggiarlo con le parole delvate dell’America che amavae incarnava è doveroso: “Qualè la tua strada amico?.. Lastrada del santo, la strada delpazzo, la strada dell’a r c o b a-leno, la strada dell’imbecille,qualsiasi strada. È una stradain tutte le direzioni per gli uo-mini in tutti i modi” (Jack Ke-rouac, On the Road).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

tando il western – e dunquel’ontologica natura conqui-statrice degli USA – il Fondajunior omaggiava a modo suoil Fonda senior, fra i volti piùriconoscibili nell ’oli mpodella grande narrazione delcinema americano. In altreparole la nuova contro la vec-chia Hollywood, o meglio, laprima che – assorbendola –metteva in discussione il mo-dello della seconda.

Con quella “solida reputa-zione da rinunciatario”, Pe-ter non era dotato di bellezza

va i cavalli con le motociclet-te ma vi mantenesse “onboard” la memoria eroica didue icone del genere più clas-sico di Hollywood: WyattEarp e Billy the Kid. Rivisi-

della New Hollywood, il we-stern lisergico di riders stra-fatti, il road movie per eccel-lenza dove tempo e spazios’abbracciavano dentro a unnuovo paradigma. E, perquanto diretto dall’e s o r d i e n-te Hopper (che per il film vin-se come miglior opera prima aCannes), il film è soprattuttofrutto della volontà di PeterFonda. È stato lui a produrlo,co-sceneggiarlo e natural-mente co-interpretarlo daprotagonista sull’idea inizia-le di un western che sostitui-

In sellaFonda e JackNichols onnella scenas i m b olodel film Ansa

L’al bum”Sante Bam-bole Puttane”è l’ultimo la-voro di GraziaDi Michele

P illola

n R I TO R N OIN SALADopo averrealizzato, inco l l a b o ra z i o -ne con SonyPictures En-ter tainment,il restauro di“Easy Rider”e averlo pre-sentato al Fe-stival di Can-nes in mag-gio e al festi-val Il CinemaRitrovato agiugno, la Ci-neteca di Bo-logna distri-buirà la pel-licola nellesale italianedal 9 settem-bre (in ante-primadal 31 agostoal CinemaL u m i è redi Bologna)

C ond iv id i

n AL VIADa domani al25 agosto aCalitri e in al-tri Comunidell’Alta Irpi-nia torna loSponz Fest,ideato e di-retto da Vini-cio Caposse-la. Tema diquest’anno“S o t t a te r ra ”:il ritorno alluogo dadove tuttive n i a m o

Domenica 18 Agosto 2019 | IL FATTO QUOTIDIANO | SECONDO TEMPO » 23

I disegni di Disegni

‘N’ARTRA GIORNATA AR MARE DEL 28/7/19

Si sa, gli anni finiscono a luglio e ricominciano a settembre. In mezzo, per i comuni i mortali, una vacanzella. Essendo anch’io della categoria…Ma non vi disperate (certo,come no), c’è l’ Antologia d’Agosto, per ricordare i momenti top dell’anno appena concluso, come dicevasi. Trionfale fu l’accoglienza per questa strip, forse perché sapevad’estate e di mare. O forse perché la ducetta che reclama un posto al sole fa già ridere da sola.

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