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22253322 Popper e La Televisione

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INDICE 

INTRODUZIONE  3

CAP. I: IL PENSIERO DI POPPER  E LE SUE IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE 9 

I.1. Lineamenti generali del pensiero popperiano. 9

I.1.1. LA SOLUZIONE  DI POPPER  AI DUE PROBLEMI FONDAMENTALI   DELL’EPISTEMOLOGIA 9

I.1.2. CONTRO LE PROFEZIE STORICHE E I TOTALITARISMI.LA DIFESA  DELLA  DEMOCRAZIA E DELLA SOCIETÀ APERTA. 14

I.1.3. LA TEORIA INTERAZIONISTICA  DEI TRE MONDI E L’ EVOLUTIONARY    APPROACH  19

I.2. La teoria dell’apprendimento per prova ed errore. 24

I.2.1. CRITICA DELLA  BUCKET  THEORY  OF  MIND 24

I.2.2. IL LINGUAGGIO E LO SVILUPPO DELL’ EGO  NEL BAMBINO 26

I.2.3. LA TEORIA DEL  PROBLEM  SOLVING 31

I.3. Osservazioni sulla scuola e sugli insegnanti 39

I.3.1. FORMAZIONE

 UMANISTICA

 VERSUS 

  HABITUS 

 SCIENTIFICO

40I.3.2. U N  NUOVO LAVORO PER  GLI INSEGNANTI SVOGLIATI 42

CAP. II: IL PROBLEMA  TELEVISIONE E L’INSEGNAMENTO DELL’ULTIMO POPPER   44 

II.1. Gli “Appunti sulla televisione” di Umberto Eco 44II.2. L’analisi di Condry 51II.3. La tesi di Popper  60

CAP. III: UNA PATENTE PER  FARE TV NELLA “SOCIETÀ APERTA” :CONTRADDIZIONE IN TERMINI O CONDIZIONE  DI POSSIBILITÀ? 71

III. 1. Obiezioni alla tesi di Popper  71III.2.  La proposta di Popper e l’insegnamento generale del filosofo 79

CONCLUSIONE: TELEVISIONE E SCUOLA 83

BIBLIOGRAFIA 87

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INTRODUZIONE

Il pensiero di Karl Raimund Popper è ormai universalmenteconsiderato un classico pressoché in tutte le sue molteplici articolazioni, che

 possono così schematizzarsi:-   filosofia della scienza, metafisica e cosmologia: teoria

falsificazionista e fallibilista dello sviluppo della conoscenzascientifica e prescientifica; razionalismo critico; realismo metafisico;indeterminismo; teoria delle propensioni oggettive e dell’universoaperto1;

-   filosofia della storia: teoria antistoricistica della storia e dellaconoscenza storica2;

-  filosofia della politica: liberalismo e teoria della “società aperta”.3

-   filosofia della biologia  e della mente: approccio evoluzionistico ai  problemi della vita e della conoscenza, esteso “dall’ameba adEinstein”; soluzione interazionistica e (almeno) dualistica al

 problema mente-corpo; teoria dei tre Mondi.4 

1 I testi principali su questo aspetto del pensiero di Popper sono:   Die BeidenGrundprobleme der Erkenntnistheorie, Tübingen, J. C. B. Mohr, 1979 (ma scritto tra il1930 e il 1933) [tr. it.  I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Milano,Il Saggiatore, 1987]; Logik der Forschung , Wien, Springer, 1934 (con data 1935) [1a ed.ingl. The Logic of Scientific Discovery, London, Hutchinson, 1959; tr. it. della 2 a ed. ingl.(1968) Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970 & 1995]; Conjectures and 

 Refutations, London-New York, Routledge and Kegan Paul-Basic Books Inc., 1963 [2a

ed. 1965, 3a ed. 1969; tr. it. Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972 & 1985(rist. 1992)]; Postscript to the Logic of Scientific Discovery. Vol. I:  Realism and the Aimof Science. Vol. II:  The Open Universe. An Argument for Indeterminism. Vol. III:Quantum Theory and the Schism in Physics, a cura di W. W. Bartley, III, London,Hutchinson, 1982-1983 (ma in bozze sin dal 1957) [tr. it.  Poscritto alla Logica della

 scoperta scientifica.Vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza. Vol. II: L’universo aperto.Vol. III:  La teoria dei quanti e lo scisma della fisica, Milano, Il Saggiatore, 1984].2 Su questo tema il testo-base è  The Poverty of Historicism, I-II in “Economica”, 11(1944), pp. 86-103 e 119-137; III, ivi, 12 (1945), pp. 69-89; 1a ed. in volume London -Boston, Routledge & Kegan Paul - The Beacon Press, 1957 [1a tr. it. Miseria dello

 storicismo, Milano, Editrice L’Industria, 1954; poi Milano, Feltrinelli, 1975 (19934)]. Itemi principali di quest’opera saranno poi ripresi e sviluppati da Popper in innumerevoli

saggi e conferenze praticamente fino al 1994.3 Su questo punto cfr. il monumentale The Open Society and Its Enemies. Vol. I: TheSpell of Plato. Vol. II: The High Tide of Prophecy: Hegel, Marx and The Aftermath ,London, Routledge & Kegan Paul, 1945 [4a ed. 1962; 5a ed. 1966; tr. it. (basata sulla 5 a

ed.)  La società aperta e i suoi nemici , vol. 1:  Platone totalitario; vol. 2,  Hegel e Marx falsi profeti, Roma, Armando, 1973 (19945)].4 La svolta evoluzionistica nel pensiero popperiano, con la connessa teoria dei tre mondi,è documentata nei testi della seconda metà degli anni ’60 poi inclusi in Objective

  Knowledge. An Evolutionary Approach, Oxford, Clarendon Press, 1972 [tr. it.Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico , Roma, Armando, 1975 & 1983].Ma si vedano anche The Self and Its Brain. An Argument for Interactionism (con J. C.Eccles), Berlin - Heidelberg - London - New York, Springer Verlag, 1977 [tr. it.  L’Io e il 

 suo cervello, Roma, Armando, 1981, in 3 voll. corrispondenti alle tre parti dell’opera

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Quella che precede è solo una sintesi molto approssimativa deicampi di riflessione in cui Popper ha dato un contributo spesso decisivo. E

non è neanche la sola possibile. Massimo Baldini, alludendo evidentementealla celebre teoria dei tre Mondi e cercando soprattutto di mettere ordinealla vastissima produzione di Popper, ha proposto recentemente didistinguere tre Popper. Il “primo” Popper è il   filosofo della scienzarazionalista critico, fallibilista, antiinduttivista e difensore, contro ilrelativismo e il nichilismo, di una concezione oggettivistica della veritàcome ideale regolativo degli scienziati; il “secondo” Popper è il  filosofodella politica impegnato in una strenua difesa della società aperta contro isuoi nemici di destra e di sinistra (in vario modo tutti eredi di Platone,Hegel e Marx), fautore di un liberalismo non conservatore e di conseguenzaavversario implacabile di ogni forma di utopismo e di storicismo; il “terzo”

Popper è l’opinionista che, a partire dagli anni Ottanta del Novecento e connumerosi interventi sulla stampa, ha assunto il ruolo di vero e proprio“guru” e maître-à-penser nel dibattito internazionale sui temi più disparati,dal pacifismo al controllo delle nascite, fino, appunto, al problema dellaviolenza in televisione. Per la tesi, che sosterremo in questo saggio, dellacoerenza tra il pensiero generale di Popper e la sua posizioneapparentemente illiberale nei confronti della produzione televisiva, si rivela

  particolarmente interessante l’osservazione di Baldini in margine alla propria proposta di distinguere tre Popper: “tra il ‘primo’, il ‘secondo’ e il‘terzo’ Popper vi sono nessi particolarmente stretti. Se il Popper filosofodella scienza aveva attaccato induttivisti e osservativisti, essenzialisti e

strumentalisti, relativisti e nichilisti, e il Popper filosofo della politica avevacriticato utopisti e storicisti, marxisti e sociologi della conoscenza, il Popper opinionista si scaglia contro burocrati e pacifisti a senso unico, ecologisti efilosofi professionali, statalisti e femministe e prende posizione su tematiche

  particolarmente calde: dall’abbrutimento televisivo all’introduzione delsistema maggioritario”5.

La produzione di Popper, come detto, è vastissima, e copre un arcodi tempo di oltre sessant’anni. Una delle cose che più colpisce nel nostrofilosofo, nato a Vienna il 28 luglio del 1902 e morto a Kenley, Surrey(Inghilterra) il 17 settembre 1994, è non solo la precocità, ma anche la quasi

 prodigiosa creatività intellettuale, che non lo ha mai abbandonato per tutta

la sua lunghissima esistenza.6

La sua opera fondamentale, infatti, cioè la Logica della scoperta scientifica, una delle opere filosofiche più decisive di

originale: vol. I, K.R. Popper, L’Io e il suo cervello. Materia, coscienza e cultura; vol. II,J.C. Eccles,  L’Io e il suo cervello. Struttura e funzioni cerebrali ; vol. III , K.R. Popper eJ.C. Eccles,  L’Io e il suo cervello. Dialoghi aperti tra Popper ed Eccles] e  Knowledgeand the Body-Mind Problem. In Defence of Interaction (basato sulle Kenan Lecturestenute da Popper all’Università di Emory, Atlanta, nel 1969) a cura di M. A. Notturno,London-New York, Routledge & Kegan Paul, 1994 [tr. it.  La conoscenza e il problemacorpo-mente, Bologna, Il Mulino, 1996].5 Massimo Baldini, “Introduzione” a Karl R. Popper, Cercatori di verità. Dieci interviste(1970-1994), Roma, Armando, 1997, p. 15. Per la distinzione dei “tre Popper”, cfr. ivi, pp. 10-13.

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tutta la storia del pensiero occidentale, sebbene pubblicata nel 1934,derivava da uno scritto più ampio, I due problemi fondamentali della teoria

della conoscenza, scritto tra il 1930 e il 1932, cioè prima che egli compissei trent’anni; la prefazione al suo ultimo libro, invece, Tutta la vita èrisolvere problemi, una raccolta di scritti del periodo 1972-1993 sullaconoscenza, la storia e la politica, porta in calce la data del 12 luglio 1994!Del 1994, del resto, è anche l’ormai celebre intervento sulla televisione,Una patente per fare TV , su cui ruoterà gran parte del nostro lavoro.

Trattandosi, dunque, di un pensiero che già da parecchi anni gode persino della canonizzazione manualistica, noi eviteremo di entrare in uncompendio di tutte le sue componenti, giacché per i nostri scopi basteràtracciarne un quadro a due livelli. In primo luogo ne proporremo una sintesimolto generale per grandi linee (I.1), e in secondo luogo ne enucleeremo

quegli aspetti specifici che hanno una più stretta attinenza con il nostrotema, e cioè con il problema politico e psico-pedagogico della televisione,che ha così tanto assillato l’ultimo Popper (I.2 e I.3).

Come cercheremo di dimostrare in questo lavoro, la componente  pedagogica ha un ruolo di primo piano nelle riflessioni filosofiche(soprattutto quelle attinenti alla teoria della conoscenza e alla biologia) diPopper. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che il nostro filosofo ha lavoratodall’inizio degli anni ’20 - nel corso dei quali, tra il 1922, anno delconseguimento del “Matura”, e il 1928, anno del conseguimento dellalaurea in filosofia, ha conseguito anche l’abilitazione all’insegnamento nellescuole primarie (1924) -, oltre che come apprendista ebanista (1922-1924),

come assistente sociale presso la clinica di orientamento per bambiniabbandonati diretta dal grande psicologo Alfred Adler. Questa esperienza,cui è succeduta la frequentazione, a partire dal 1925, dell’IstitutoPedagogico della città di Vienna, che era legato all’Università e a cui si eraammessi anche in qualità di assistente sociale, si è rivelata per luiestremamente importante anche dal punto di vista intellettuale, come eglistesso ha ammesso.7 Questi contatti diretti avuti in gioventù con i bambini

 particolarmente disagiati, provenienti spesso da ambienti dominati dallaviolenza degli adulti (quasi sempre quella degli stessi genitori), devonoessere tenuti nella dovuta considerazione da chiunque voglia intendereappieno la vera e propria ossessione del Popper novantenne per gli effetti

negativi della televisione sulla formazione socio-psicologica dei bambini.

6 Popper stesso ha manifestato la propria riconoscenza al destino che gli ha riservato unalongevità lucidissima, nella prefazione alla 2a edizione italiana di Congetture econfutazioni, datata “settembre 1985”: “Ho 83 anni, e sono molto grato al destino che miconcede di essere ancora in grado di lavorare e di potere avere addirittura - talvolta -nuove idee” (cit., p. VII).7 Su queste notizie biografiche cfr. l’autobiografia di Popper, Unended Quest. An

  Intellectual Autobiography, London, Fontana-Collins, 1976; tr. it. La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Roma, Armando, 1976, in part. pp. 9-10, 41-43 e 75-77.D’ora in avanti citeremo questo testo semplicemente come Autobiografia.

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Come si evincerà da quanto diremo nel corso del primo capitolo, il  problema psico-pedagogico costituito dalla televisione, e in particolare

quello dell’influenza dannosa sulla formazione dei bambini dovuta alla loroesposizione eccessiva alla gran mole di violenza da essa esibitaquotidianamente, è in stretto contatto con le concezioni filosofichesull’apprendimento elaborate da Popper nel corso di tutta la sua vita.Tuttavia, né il testo principale di Popper sulla televisione, Una patente per 

  fare TV  - che, insieme a quello di John Condry,  Ladra di tempo, servainfedele, e a un breve scritto statistico di Charles S. Clark,  La violenza inTV , costituisce l’ormai celebre volumetto Cattiva maestra televisione, uscitonel dicembre del 19948  -, né gli altri suoi interventi affidati per lo più ainterviste, contengono una analisi dettagliata della televisione in quanto“mass communication medium”, cioè in quanto forma di linguaggio cui è

affidato il compito di veicolare informazioni e messaggi vari in alternativaal linguaggio parlato o scritto. Né, del resto, ci si poteva attendere unaanalisi di questo tipo da un epistemologo che per tutta la vita ha rivendicatoil proprio quasi esclusivo interessamento al linguaggio in quanto veicolo diargomentazioni e teorie oggettive sul mondo, prediligendo così su tutte lacosiddetta “funzione argomentativa”, in contrasto con tutti quegli approccial linguaggio (come ad esempio la Semiotica e la Linguistica) checonsiderano soprattutto quei suoi aspetti strutturali e pragmatici che nefanno un ‘codice’ destinato agli usi comunicativi descritti dalle tre funzionidi Bühler, e che quindi estendono le loro ricerche anche a quei sistemilinguistici non verbali che, come le immagini televisive, possono servire a

esprimere sentimenti, stimolare comportamenti e descrivere stati di cose. Lericerche sulla televisione come   particolare tipo di linguaggio, però,condotte sin dai primi anni della sua apparizione9, hanno raggiunto deirisultati che non possono essere ignorati, perlomeno nelle loro linee8 Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, a cura di Francesco Erbani,Introduzione di Giancarlo Bosetti, Roma, Reset (su servizio editoriale dell’editoreDonzelli), 1994.9 Su questo punto si vedano ad esempio l’ampia panoramica, corredata anche da una ricca bibliografia, di Mauro Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani,1985, nonché lo studio, basato su un approccio semiotico, di Gianfranco Bettini, L’occhioin vendita. Per una logica e un’etica della comunicazione , Venezia, Marsilio, 1985. Per gli aspetti più strettamente pedagogici connessi con il problema della comunicazione

audiovisiva, si vedano inoltre W. Schramm, J. Lyle, E. Parker, Television in the Lives of our Children, Stanford Junior University, Stanford (California), 1961 [tr. it.  La televisionenella vita dei nostri figli, Milano, Angeli, 1971], contenente diverse tabelle statistiche (tr.it., pp. 352-383) e una ricca bibliografia degli studi condotti negli anni ’50 sul problemadel rapporto bambini-televisione; AA.VV.,   I bambini e la TV. La prima ricerca

 sull’esperienza televisiva dai 3 ai 6 anni, Milano, Feltrinelli, 1976; AA.VV.,  Realtàantropologica e comunicazioni audiovisive, Palermo, Edikronos, 1981 (si tratta degli attidel convegno sull’omonimo tema realizzato a Palermo tra il 10 e il 13 maggio 1980); Nino Russo,  Educazione e mass-media, Catania, C.U.L.C., 1980, in part. il cap. sulla“Televisione”, pp. 45-72); Cosimo Scaglioso, Mass-media, Brescia, La Scuola, 1984;nonché Carlo Sartori,  La grande sorella. Il mondo cambiato dalla televisione, Milano,Mondadori, 1989 (un’ampia analisi critica dell’opera di “colonizzazione” del pianeta da parte della televisione e dei suoi modelli ideologico-culturali).

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generali, da qualsiasi discorso ‘pedagogico’ sulla televisione, se non altro per il semplice fatto che chi denuncia la televisione come ‘cattiva maestra’

non può non avere una qualche idea sul modo in cui la televisione funge dastrumento di comunicazione, cioè da linguaggio.Queste considerazioni sono alla base del tipo di ‘taglio’

metodologico-espositivo che abbiamo dato al secondo capitolo. Prima diaddentrarci nella specifica ‘proposta’ politico-amministrativa di Popper per regolamentare l’uso della televisione nelle moderne democrazie liberali,faremo due passi indietro. Il primo, compiuto in II.2, consiste in unaesposizione dell’analisi proposta da Condry nello scritto citato. Il motivo diquesta scelta è dovuto al fatto che, nell’economia del volumetto Cattivamaestra televisione, lo scritto di Popper costituisce quasi una ‘introduzione’e un ‘commento’ a quello di Condry (già apparso nel 199310). Il secondo

 passo, compiuto in II.1, consiste in un rapido sguardo a una vecchia (maancora validissima) analisi semiotica ed estetica del linguaggio televisivo proposta nel 1964 da Umberto Eco. La scelta dello scritto di Eco comeexemplum di tutto un filone di studi sul linguaggio televisivo, come sivedrà, si rivela particolarmente utile, perché esso, oltre a fornirci leopportune indicazioni tecniche sui pericoli comunicativi insiti nella tele-visione in sé (cioè, letteralmente, nella ‘visione di immagini a distanza’), siconcludeva con una proposta politico-pedagogica per un uso migliore delmezzo televisivo che per molti versi coincide con lo ‘spirito’ della propostadi Popper, esposta dettagliatamente in II.3.

 Nel terzo capitolo riesamineremo la proposta di Popper alla luce del

suo insegnamento filosofico generale, prendendo come spunto le treobiezioni più importanti che gli sono state mosse soprattutto in quantoteorico del progresso della scienza e filosofo liberale (III.1). La conclusionecui ci è parso di poter giungere è che l’idea popperiana che sia opportunoregolamentare il mondo della televisione attraverso il rilascio di una licenzaspecifica, dietro frequentazione di corsi psico-pedagogici e impegno diassunzione di responsabilità diretta, è perfettamente coerente con le sueconcezioni in materia di epistemologia, filosofia della biologia e teoria dellademocrazia (III.2).

 Nella Conclusione ripercorreremo le osservazioni sparse nel corsodel lavoro sul problema del rapporto scuola-televisione, abbozzando, sulla

scia delle analisi di Popper e Condry, un’idea di intervento pedagogico sugliattuali programmi della scuola basato sulla necessità che i bambiniacquisiscano al più presto possibile una consapevolezza adeguata del poteredi mistificazione e di persuasione occulta della televisione.

10 J. Condry, Thief of Time, Unfaithful Servant: Television and the American Child , in“Daedalus”, vol. 122, n. 1, inverno 1993, pp. 259-278.

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CAPITOLO PRIMO

IL PENSIERO DI POPPER  E LE SUE IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE

I.1. Lineamenti generali della filosofia popperiana.

I.1.1. LA SOLUZIONE  DI POPPER  AI DUE PROBLEMI FONDAMENTALI DELL’EPISTEMOLOGIA

L’attività filosofica di Popper comincia a Vienna agli inizi degli anni’30 con una intensa riflessione intorno a quelli che egli stesso definiva neltitolo del suo primo scritto “i due problemi fondamentali della teoria dellaconoscenza”, vale a dire il problema dell’induzione e il problema dellademarcazione (tra ciò che è scienza e ciò che non lo è). Questi due problemierano in quegli anni al centro delle riflessioni epistemologiche dei membri

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del cosiddetto Circolo di Vienna, cioè di quel gruppo di filosofi escienziati11 che, propugnando la superiorità della conoscenza scientifica (in

  particolare delle scienze naturali) su ogni altra forma di conoscenza(compresa la filosofia), si interrogavano da un lato sulle proceduremetodologiche grazie alle quali la scienza aveva raggiunto i suoi grandirisultati, e dall’altro (come conseguenza di questa indagine) sui criteri che ci

 possono permettere di ‘demarcare’ la scienza rispetto a ogni altra forma di(presunto) sapere, e in particolare rispetto alla metafisica ed alla teologia.Le soluzioni ai due problemi date dai neopositivisti (o positivisti logici),ispirate in gran parte al Tractatus logico-philosophicus (1921) di LudwigWittgenstein (1889-1951), si caratterizzarono per il richiamo ad unrigorismo logico-formale molto marcato: la scienza è tale perché le sueleggi sono ottenute per induzione a partire da una base empirica costituita

da resoconti osservativi (i famosi ‘protocolli’) universalmente accettati dallacomunità scientifica perché da chiunque verificabili; ed essendo quello dellaverificabilità empirica anche un criterio di senso (secondo quanto suggerivail cosiddetto “primo Wittgenstein” nel suo Tractatus), allora tutta lafilosofia tradizionale (etica, metafisica e teologia in particolare), essendocostituita da asserti non verificabili empiricamente, veniva tagliata fuoricome priva di senso. La demarcazione tra scienza e non scienza veniva cosìa coincidere con una demarcazione tra universi di discorso sensati (quellidelle varie scienze empiriche) e universi di discorso insensati (etichettatitutti come metafisica).

Ebbene, il primo a trovare insoddisfacenti (e soprattutto errate, sul

 piano sia storico che logico) queste soluzioni ai due problemi fondamentalidella teoria della conoscenza fu proprio Popper, il quale in quegli anni erain stretto contatto intellettuale con alcuni membri del Circolo. Innanzi tuttoPopper attacca l’induzione, dimostrando, attraverso una serratissima analisiepistemologica che lo impegnerà per decenni, non solo che essa, qualoraesistesse, non spiegherebbe affatto il modo in cui la scienza perviene allesue leggi e teorie,12 ma anche che, dal punto di vista strettamente logico,

11 I principali rappresentanti del ‘Circolo’ furono Hans Hahn (1879-1934), Otto Neurath(1882-1945) e Rudolf Carnap (1891-1970), i quali firmarono il famoso ‘manifesto’ delPositivismo Logico (cioè la corrente filosofico-scientifica cui essi hanno dato vita):Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis, Wien, 1929 (tr. it.  La concezione

 scientifica del mondo, Roma-Bari, Laterza, 1979).12 Ecco come egli presentava il problema dell’induzione nel celebre incipit della  Logicadella scoperta scientifica: “Secondo un punto di vista largamente accettato - a cui miopporrò in questo libro - le scienze empiriche possono essere caratterizzate dal fatto diusare i cosiddetti ‘metodi induttivi’. Stando a questo punto di vista la logica della scopertascientifica sarebbe identica alla logica induttiva, cioè all’analisi logica di questi metodiinduttivi. - Si è soliti dire che un’inferenza è ‘induttiva’ quando procede da asserzioni

 singolari (qualche volta chiamate anche asserzioni ‘particolari’) quali i resoconti deirisultati di osservazioni o di esperimenti, ad asserzioni universali, quali ipotesi o teorie. -Ora, da un punto di vista logico, è tutt’altro che ovvio che si sia giustificati nell’inferireasserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime;infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quantonumerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la

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l’induzione non esiste: lo scienziato (ma anche, come vedremo meglio inseguito, ciascuno di noi) non parte mai da osservazioni ‘pure’ - cioè

intraprese senza alcun interesse teorico preconcetto e selettivo - per  pervenire induttivamente a delle generalizzazioni teoriche legiformi (law-like); egli, al contrario, ha sempre un problema teorico o pratico da risolvere(che può sorgere ad esempio in seguito alla falsificazione di una teoria

 precedente) e intraprende l’osservazione sperimentale solo per controllare,ossia per mettere alla prova, il tentativo di soluzione, ovvero la congetturache ha avanzato per rimettere in un ordine logico la situazione problematicadi partenza, vale a dire per fornire una nuova spiegazione dei dati già adisposizione nell’ambito della vecchia teoria.

Poiché le procedure induttive, cioè le generalizzazioni da singoli casi particolari, non sono in grado di fondare o giustificare le nostre teorie, ci si

 potrebbe chiedere come faccia la scienza a pervenire a teorie (cioè adasserzioni universali) vere. La risposta a questo interrogativo ci porta alcuore di tutta l’epistemologia di Popper. Innanzi tutto, l’idea che la scienzasia in grado di pervenire a teorie giustificabilmente vere è un vecchio

 pregiudizio che non ha alcun fondamento e che il neopositivismo haacriticamente ereditato dal positivismo ottocentesco, il quale a sua volta loaveva rilanciato facendone anche uno dei suoi più incrollabili ed ottimisticiarticoli di fede.13 Secondo Popper, non esiste alcuna procedura, néinduttiva né deduttiva, che possa permetterci di fondare la verità dellenostre teorie empiriche, mentre è logicamente possibile dimostrarne la

 falsità. Le ragioni che stanno alla base di questa affermazione, su cui poggia

tutto il cosiddetto “falsificazionismo” popperiano, dipendono da un banalissimo fatto logico che riguarda le proposizioni universali. Una teoriao legge di natura - ad esempio: “Tutti i cigni sono bianchi” - è una

 proposizione universale (o un insieme di proposizioni universali) del tipo‘Ogni  x è  y’, che equivale a una congiunzione infinita di proposizionisingolari come:

‘( x1 è y) & ( x2 è y) & ( x3 è y) & ( x4 è y) & ... [all’infinito]’.

  Nel nostro esempio, l’asserzione “Tutti i cigni sono bianchi”equivale alla sequenza infinita di asserzioni singolari (tutte controllabili

empiricamente in linea di principio): “(Il cigno 1 è bianco) & (Il cigno 2 è bianco) & (Il cigno 3 è bianco) & .... [all’infinito]”, perché essa riguardanon solo i cigni che finora sono esistiti e quelli attualmente esistenti sullaterra (che sono certamente in numero finito), ma anche tutti i cigni che

conclusione che tutti i cigni sono bianchi. - La questione, se le inferenze induttive sianogiustificate, o in quali condizioni lo siano, è nota come il problema dell’induzione” (cit., pp. 5-6).13 Sull’ “ottimismo epistemologico”, ovvero sull’idea che la verità non solo esiste, ma èanche raggiungibile infallibilmente (perché manifesta ed evidente) da parte dellaconoscenza umana, una volta che questa si sia liberata dal pregiudizio e dall’errore che laottenebra, cfr. Popper, Congetture e confutazioni, cit., “Introduzione”, pp. 11-58.

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 potranno esistere in futuro (il cui numero è naturalmente illimitato). Ora, èevidente che per poter rendere vera una proposizione universale, noi

dovremmo poter verificare empiricamente ciascuno dei singoli casi cui essasi riferisce; ma essendo questi ultimi infiniti, l’impresa si rivela logicamente(oltre che praticamente) impossibile. Viceversa, se noi trovassimo un solo xche non fosse  y (ovvero un solo cigno che non fosse bianco) la nostra

  proposizione universale si rivelerebbe  falsa. E’ questa la cosiddettaasimmetria logica fra verificazione e falsificazione14 su cui Popper hafondato tutta la propria epistemologia: mentre un numero grande a piaceredi casi favorevoli, cioè di conferme empiriche, non può mai verificare unalegge generale, un solo caso contrario, cioè una sola smentita empirica,basta a falsificarla.

La soluzione puramente logica al problema dell’induzione consente

  poi a Popper di riformulare e risolvere a sua volta il problema dellademarcazione. Essendo i sistemi di teorie non verificabili, ma falsificabili,la falsificabilità, e non la verificabilità (come volevano i neopositivisti),diventa il criterio di demarcazione.15 

Una precisazione molto importante a tal riguardo è subito fatta daPopper, per distinguere il proprio criterio di demarcazione da quello deineopositivisti: «Si noti che io propongo la falsificabilità come criterio didemarcazione, ma non di significato [...] La falsificabilità separa due tipi diasserzioni perfettamente significanti: le falsificabili e le non falsificabili.Essa traccia una linea all’interno del linguaggio significante, non intorno adesso».16 

In tal modo non possono entrare a far parte del corpus delle teoriescientifiche tutta una serie di asserzioni (in particolare esistenziali, cioè deltipo “Esiste x”, che Popper chiama asserzioni ‘c’è’ 17 ) che, benché risultino

  perfettamente a posto in quanto a sensatezza, hanno la caratteristica o dinon poter venire falsificate, ma solo verificate, oppure di non poter esserené falsificate né verificate (è ovvio che le asserzioni verificabili efalsificabili, come ad esempio un’asserzione come “Qui c’è un gatto chedorme”, non costituiscono alcun problema per Popper, anche se dal punto divista scientifico non sono certamente fra le più interessanti). Un esempio diasserzione del primo tipo potrebbe essere la seguente teoria: “Esiste unasequenza finita di distici elegiaci latini che, se pronunciata in maniera

appropriata, in un certo tempo e luogo, ad essa segue immediatamentel’apparizione del Demonio - vale a dire, di una creatura dalle parvenze14 Cfr. Logica della scoperta scientifica, cit., p. 23.15 “Io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possaessere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criteriodi demarcazione, non si deve prendere la verificabilità , ma la falsificabilità di un sistema.In altre parole: da un sistema non esigerò che sia capace di essere valutato in senso positivo una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa esserevalutato, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico per essere scientifico deve poter essere confutato dall’esperienza” ( Ivi, p. 22).16  Ibidem, nota *3.17 Cfr. Ivi, pp. 54-55.

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umane, con due piccole corna e il piede caprino”.18 Come si vede, abbiamoqui un’asserzione che secondo il criterio di Popper risulta non-scientifica

non perché è priva di senso (comprendiamo abbastanza bene cosa vuol dire)ma perché è infalsificabile - nel senso che non riusciamo a immaginare inquale circostanza essa potrebbe essere dichiarata falsa (chi la sostiene puòsempre dire che noi non siamo ancora riusciti a trovare il Demonio nelmodo indicato) - e tuttavia verificabile (è logicamente possibile che ilDemonio prima o poi salti fuori). Un esempio di asserzione del secondo tipo

 potrebbe essere invece: “Esistono in natura delle regolarità”.19 Come è facileintuire, non è possibile addurre prove conclusive né a favore né contro unasimile asserzione, che pertanto risulta tipicamente metafisica.

Da tutto ciò emergono due conclusioni che caratterizzano la  posizione di Popper nei termini di un irrimediabile  fallibilismo

congetturalista:a) La verità è un qualcosa di assoluto e oggettivo, e consiste nellacorrispondenza di una teoria, o di un’asserzione ai fatti. Questa, però,avverte Popper, è solo una definizione, e non un criterio, di verità. Ciòsignifica che, pur sapendo cos’è la verità, noi non possiamo raggiungerlainfallibilmente  sapendo di averlo fatto, perché non ci è possibile dimostrarela verità di nessuna teoria, anche se per caso dovesse capitarci di avere tra lemani una teoria (per esempio una teoria fisica) vera: «anche se per casotroviamo una teoria vera, di regola potremo soltanto supporlo, e può restare

 per noi impossibile stabilire che è tale».20

 b) Noi, dunque, abbiamo solo e sempre congetture, e mai teorie di cui

 possiamo dimostrare la verità. Ma ciò non toglie che noi possiamo impararemolto dai nostri errori, cioè dalle nostre teorie falsificate. Infatti, anche senon abbiamo un criterio di verità, possiamo benissimo stabilire un ‘criteriodi verosimiglianza’ (verisimilitude), cioè un criterio di avvicinamento oapprossimazione alla verità, in base al quale poter decidere, tra due teorierivali (ad esempio quella di Newton e quella di Einstein), qual è quella che

 possiede un maggior contenuto di informazioni e consente spiegazioni piùampie e accurate dei fatti, e quindi costituisce un passo in avanti verso laverità oggettiva. In tal modo, questo criterio razionale di preferibilitàfornisce anche un criterio del progresso scientifico, che Popper, dopo varitentativi (compiuti negli anni ’60 specialmente nel capitolo di Congetture e

18 In Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, “Appendice”, p. 426.19 Cfr.  Logica della scoperta scientifica, cit., pp. 277-278 e  Poscritto alla Logica della

 scoperta scientifica, vol. I, cit., pp. 96-98.20 Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, p. 387. Poco più avanti, Popper chiarisce questo punto fondamentale con un esempio: “Lo  status della verità intesa in senso oggettivo,come corrispondenza ai fatti, con il suo ruolo di principio regolativo, può paragonarsi aquello di una cima montuosa, normalmente avvolta fra le nuvole. Uno scalatore può, nonsolo avere difficoltà a raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge, perché può non riuscire a distinguere, nelle nuvole, fra la vetta principale e un picco secondario.Questo tuttavia non mette in discussione l’esistenza oggettiva della vetta; e se lo scalatoreci dice: ‘dubito di avere raggiunto la vera vetta’, egli riconosce, implicitamente,l’esistenza oggettiva di questa” (ibid., p. 388).

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confutazioni da cui abbiamo citato i passi precedenti) di darne unadefinizione logico-formale rigorosa basata sul confronto tra il ‘contenuto di

verità’ (cioè la classe di conseguenze vere) e il ‘contenuto di falsità’ (cioè laclasse di conseguenze false)21 di ciascuna delle teorie in competizione, haformulato in tempi più recenti in maniera informale e intuitiva in questitermini:

Consideriamo che un’ipotesi - ad esempio una nuova ipotesi - sia miglioredi un’altra, quando soddisfa queste tre esigenze: in primo luogo la nuovaipotesi deve spiegare tutte quelle cose che la vecchia ha spiegato consuccesso. Questo è il primo punto e anche il più importante. In secondoluogo deve evitare almeno alcuni degli errori della vecchia ipotesi, ossiadeve, dove sia possibile, reggere ad alcune delle revisioni critiche cui nonaveva retto la vecchia ipotesi. In terzo luogo deve spiegare possibilmentecose che la vecchia ipotesi non poteva spiegare o prevedere.

Questo è dunque il criterio del progresso scientifico.22

21 Cfr. in part. ibid ., pp. 391-404, e 664-672. La famosa (e sfortunata) formalizzazione diPopper della verosimiglianza si basava sulla seguente idea di fondo: “ Assumendo che il contenuto di verità e il contenuto di falsità di due teorie t 1 e t 2 siano paragonabili,

 possiamo dire che t 2 è più vicina alla verità, ovvero corrisponde ai fatti meglio di t 1 , se, e solo se: a) il contenuto di verità, ma non il contenuto di falsità, di t 2 , supera quello di t 1;b) il contenuto di falsità di t 1 , ma non il suo contenuto di verità, supera quello di t 2” (ibid .,  pp. 400-401). I tentativi di giungere a una rigorosa traduzione logico-matematica diquesta idea verranno però abbandonati da Popper in seguito alle analisi logiche - da lui

accolte immediatamente - di alcuni epistemologi, in particolare David Miller e PavelTichý, i quali, intorno al 1974, dimostrarono che l’idea di Popper era logicamente errata,giacché era possibile dimostrare: 1) che una teoria (falsa) t 2 non può mai essere più‘vicina’ alla verità di un’altra teoria (falsa) t 1 nel senso del criterio di Popper; 2) che, seuna teoria t2 è più ‘verosimile’ di una teoria t1 nel senso del criterio di Popper, allora t2

deve essere vera e t1  falsa. Che tutto ciò distrugge il criterio di Popper lo si può vederesubito dal fatto che per Popper noi operiamo sempre con teorie quasi certamente false(dato che il numero di teorie possibili su un certo oggetto è infinito, mentre quella vera può essere una sola), e se per caso avessimo tra le mani quella vera, noi non potremmosaperlo (dato che la sua verifica sarebbe un compito infinito). Su questa vicenda cfr.Popper,  Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I, cit., “Introduzione 1982”, pp. 24-25 (qui Popper, fra l’altro, ammette: “accettai la critica della mia definizione pochiminuti dopo che mi fu presentata, chiedendomi come mai non avessi visto prima

l’errore”) e The Myth of the Framework. In Defence of the Science and Rationality,London-New York, Routledge & Kegan Paul, 1994; tr. it.  Il mito della cornice. Difesadella razionalità e della scienza, Bologna, il Mulino, 1995, cap. VIII, pp. 234-235 (dovePopper cita in nota i lavori di Miller e Tichý). Per una panoramica sul dibattitoepistemologico scaturito dalla ‘sfortunata’ definizione di Popper, cfr. G. Giorello (et al.),

 Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, Bompiani, 1994, cap. V, pp. 311-312 ecap. VI, pp. 350-351.22 Popper,  Auf der Suche nach einer besseren Welt. Vorträge und Aufsätze aus dreissig 

 Jahren, München, Piper, 1984; tr. it.  Alla ricerca di un mondo migliore. Conferenze e saggi di trent’anni di attività, Roma, Armando, 1989, cap. II, p. 50. I tre requisiti per l’accrescersi della conoscenza indicati nel passo citato sono spiegati più tecnicamente (econ qualche modifica nella formulazione) in Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, pp.412-426.

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I.1.2. CONTRO  LE  PROFEZIE  STORICHE  E  I  TOTALITARISMI. LA  DIFESA  DELLA  DEMOCRAZIA  E  DELLA SOCIETÀ APERTA.

Dopo la pubblicazione della Logica della scoperta scientifica, in cuiavanzava argomenti epistemologici distruttivi nei confronti delle tesineopositivistiche (e di gran parte delle concezioni tradizionali della logicadella scienza), Popper, austriaco di origini ebraiche, dovette fare i conti conil pericolo rappresentato dall’avvento al potere di Hitler in Germania.Com’è noto, l’annessione dell’Austria al  Reich era stata una delle prime e

  principali mire espansionistiche del Führer. Già nel 1934, infatti, il 25luglio, alcuni gruppi nazisti austriaci tentarono un colpo di mano a Viennacon l’intento di proclamare l’annessione dell’Austria alla Germania,arrivando persino ad assassinare il Cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss.Ma il tentativo fallì non solo perché le forze governative riuscirono aristabilire l’ordine, ma anche perché Mussolini, allora ancora timoroso ditrovarsi i nazisti a ridosso dell’Italia, si fece garante dell’indipendenzadell’Austria facendo persino schierare delle truppe al confine del Brennero.I tempi, evidentemente, non erano maturi, ma non occorreva certo arrivareal fatidico 13 marzo 1938 (giorno dell’ Anschluß) per rendersi conto del

 pericolo in cui si trovavano gli intellettuali austriaci di origine ebraica. Fucosì che Popper, dovendo scegliere tra un incarico alla Facoltà di ScienzeMorali dell’Università di Cambridge in qualità di profugo (con l’assistenzadell’Academic Assistance Council, che allora cercava di aiutare i tantiscienziati profughi dalla Germania e dall’Austria) e una cattedra di filosofiaal Canterbury University College di Christchurch (Nuova Zelanda) inqualità di docente “normale” (il telegramma di incarico, dietro risposta a unannuncio pubblicitario, gli era arrivato nella vigilia di Natale del 1936),optò per questa seconda alternativa.23 In Nuova Zelanda, dove giunge nelmarzo 1937, Popper rimarrà sino alla fine del 1945, mentre dal gennaio1946, finita la Seconda Guerra Mondiale, andrà a stabilirsi definitivamentein Inghilterra, dove insegnerà per parecchi anni alla London School of Economics and Political Science.

Le vicende che portarono Popper al suo soggiorno in Nuova Zelandaspiegano molto del contenuto (e soprattutto del carattere duramente

  polemico) delle due famose opere che scrisse lì, e cioè Miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici, che chiamerà “la mia fatica diguerra”24. In queste due opere Popper usa tutto il suo rigore logico difilosofo della scienza per smascherare l’inconsistenza epistemologica deifondamenti teorici di ciò che egli chiama lo “storicismo”, ovvero diqualsiasi «interpretazione del metodo delle scienze sociali che aspiri alla

 previsione storica mediante la scoperta dei “ritmi” o dei “ patterns”, delle“leggi”, delle “tendenze” che sottostanno all’evoluzione storica».25 Lostoricismo, quindi, indica per Popper, più che una precisa scuola di

23 Cfr. Popper, Autobiografia, cit., p. 114.24  Ibidem, p. 118.25 Popper, Miseria dello storicismo, cit., “Premessa”, p. 18.

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  pensiero, una serie di concezioni generali del metodo storico-sociologicoaccomunate dall’idea che lo studioso della società umana può fare

 previsioni più o meno precise del corso storico se solo riesce a individuarnele fondamentali e ineluttabili leggi di sviluppo, al pari dello scienziatonaturale che, utilizzando le leggi di Newton, è in grado di fare previsioniaccurate su certi stati futuri del sistema solare (quali la posizione relativa dei

 pianeti, le eclissi, ecc.). A questa idea, che, come vedremo, Popper associa atendenze irrazionalistiche sfocianti spesso in politiche totalitarie, eglioppone in Miseria dello storicismo un’ampia, complessa e serrataargomentazione, di cui, però, non rimane soddisfatto, tanto che sarà nelcorso della prima metà degli anni ’50 che egli giungerà ad elaborare quellache considera la sua confutazione definitiva dello storicismo. E’ opportunoa questo proposito leggere il seguente passo della “Prefazione” all’edizione

del 1957:

In questo libro [...] ho tentato di dimostrare, pur senza confutarloeffettivamente, che lo storicismo è un metodo povero, un metodo che non può portare ad alcun frutto. Ma non lo confutavo seriamente.

In seguito, riuscii a fornire una confutazione dello storicismo: hodimostrato che, per ragioni strettamente logiche, ci è impossibile predire il corso futuro della storia.

L’argomento è contenuto in un saggio,  Indeterminism in Classical Physicsand in Quantum Physics, pubblicato nel 1950. Di questo saggio sono peròtutt’altro che soddisfatto. Una trattazione più soddisfacente si può trovare inun capitolo sull’indeterminismo che fa parte del Postscript [...].Per informare il lettore dei miei risultati più recenti, mi propongo di fornire,

in poche parole, una traccia di questa confutazione dello storicismo.L’argomento può essere sintetizzato nelle cinque proposizioni seguenti:

1. Il corso della storia umana è fortemente influenzato dal sorgere dellaconoscenza umana [...]

2. Noi non possiamo predire, mediante metodi razionali o scientifici, losviluppo futuro della conoscenza scientifica [...]

3. Perciò, non possiamo predire il corso futuro della storia umana.

4. Ciò significa che dobbiamo escludere la possibilità di una storia teorica;cioè, di una scienza sociale storica che corrisponda alla fisica teorica. Non vi puòessere alcuna teoria scientifica dello sviluppo storico che possa servire di base per la previsione storica.

5. Lo scopo fondamentale dello storicismo [...] è, quindi, infondato. E lostoricismo crolla.26

Popper, inoltre, pone in luce il contrasto fondamentale - discusso piùampiamente nella Società aperta - tra l’“ingegneria sociale utopica”, basatasu un approccio ‘olistico’ che considera la società come un ‘tutto’ (ingl.whole, gr. ólos) unico e indivisibile e che propugna la pianificazione

26  Ibidem, pp. 14-15.

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  politico-economica “centralizzata” e “collettivistica” tipica dei regimitotalitari (nazifascisti e comunisti) e teorizzata per la prima volta da Platone

nella  Repubblica, e l’ “ingegneria sociale gradualistica”, basata sul  piecemeal tinkering  (‘intervento a spizzico’), che rifiuta per decretometodologico di perseguire l’attuazione di un modello o ideale di societàche - si suppone - renderà tutti gli uomini felici, e si preoccupa invece diintervenire settorialmente a correggere i mali evitabili col metodo per provaed errore.27  La differenza tra l’approccio tecnologico “a spizzico” e quelloutopistico “olistico” ai problemi della società e dello Stato, coincide quindi

 per Popper con la differenza tra l’atteggiamento democratico fallibilista(che, consapevole degli effetti imprevedibili di ogni intervento sulla società,evita di sacrificare gli uomini a un ideale che comunque non potrà mairealizzarsi compiutamente nonostante sacrifici immani: si pensi ai piani

quinquennali di Stalin o alla politica razziale e alla militarizzazione totale diHitler) e l’atteggiamento autoritario (che affida nelle mani di un Leader o diun gruppo ristretto di tecnocrati di regime il compito di plasmare ‘dall’alto’tutta la società sulla base della pretesa di conoscere infallibilmente le leggiineluttabili della storia: si pensi all’idea dell’avvento del comunismo, cioèdi una società senza classi nella profezia di Marx, a alla fede nel destino digrandezza che arride ai popoli giovani e razzialmente puri nelle mitologienazifasciste).

Su queste basi teoriche, Popper può allora delineare le caratteristichefondamentali di una società “aperta” e liberale “nella quale i singoli sonochiamati a prendere decisioni personali”, contrapposta alla “società magica

o tribale o collettivista”, cioè alla società “chiusa”.28

La pagina in cuiPopper ha elencato, negli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale, isette punti essenziali delle funzioni di una democrazia aperta costituisconouno dei vertici del pensiero politico di questo secolo (ancora oggi punto diriferimento irrinunciabile, perlomeno come ideale regolativo, nellecosiddette ‘democrazie occidentali’), e pertanto vale la pena leggerla per intero:

1. La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo comegoverno della maggioranza, benché l’istituzione delle elezioni generali siadella massima importanza. Infatti una maggioranza può governare inmaniera tirannica. (La maggioranza di coloro che hanno una statura

inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hannostatura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia, i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio di una democraziaè questo: in una democrazia i governanti - cioè il governo - possono esserelicenziati dai governati senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è unatirannia.

27 Cfr. Popper, ibid., pp. 71-72 e pp. 87-88 e La società aperta e i suoi nemici , vol. I, cit.,cap. IX, pp. 221-235, e in part. nota 4, pp. 385-387.28 Popper, La società aperta e i suoi nemici , vol. 1, cit., cap. X, pp. 244-245.

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2. Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo, cioèquello che possiede istituzioni di questo genere e tutti gli altri; vale a direfra democrazia e tirannide.

3. Una costituzione democratica consistente deve escluderesoltanto un tipo di cambiamento nel sistema legale, cioè quel tipo dicambiamento che può mettere in pericolo il suo carattere democratico.

4. In una democrazia, l’integrale protezione delle minoranze nondeve estendersi a coloro che violano la legge e specialmente a coloro cheincitano gli altri al rovesciamento violento della democrazia.

5. Una linea politica volta all’instaurazione di istituzioni intese allasalvaguardia della democrazia deve sempre operare in base al presuppostoche ci devono essere tendenze anti-democratiche latenti sia fra i governatiche fra i governanti.

6. Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti; anche sefossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governanti, essi losarebbero solo sulla base della rassegnazione.

7. La democrazia offre un prezioso campo di battaglia per qualsiasiriforma ragionevole dato che essa permette l’attuazione di riforme senzaviolenza. Ma se la prevenzione della democrazia non diventa la preoccupazione preminente in ogni battaglia particolare condotta su questocampo di battaglia, le tendenze anti-democratiche latenti che sono sempre presenti (e che fanno appello a coloro che soffrono sotto l’effetto stressantedella civiltà [...] ) possono provocare il crollo della democrazia. Se lacomprensione di questi principi non è ancora sufficientemente sviluppata, bisogna promuoverla. La linea politica opposta può riuscire fatale; essa puòcomportare la perdita della battaglia più importante, che è la battaglia per lastessa democrazia.29 

Come vedremo, tutto ciò costituisce una premessa imprescindibile

 per sciogliere l’apparente paradossalità (dal punto di vista di una concezioneliberale dello Stato e della società) della proposta di Popper di istituire una“patente” per ‘fare’ televisione oggi: si pensi solo allo stretto rapporto traciò che Popper dice nel primo punto sulla maggioranza e l’odierna idolatriadell’audience, spacciato per una sorta di inappellabile vox populi che ha

 sempre ragione30 (per esempio nello stabilire il carattere - violento, trash,sensazionalista, pornografico o altro - del prodotto televisivo daconfezionare e propinare a tutto il pubblico televisivo). La televisione, ineffetti, come il linguaggio scritto, le case editrici, i laboratori di ricerca, lascuola, l’università, ecc., è una di quelle istituzioni sociali che garantisconola libertà e la libera concorrenza del pensiero, e quindi il progresso

scientifico e in ultima analisi la stessa democrazia,31 e pertanto necessita diun controllo socio-politico che eviti che essa finisca nelle mani di gruppi di

29 Op. cit ., vol. 2, cit., cap. XIX, pp. 210-211.30 Sui pericoli per la democrazia liberale insiti nel “mito dell’opinione pubblica”, basatosull’assioma per il quale vox populi vox dei, sicché ogni decisione della maggioranza èconsiderata indiscutibilmente saggia e verace, cfr. Popper, Congetture e confutazioni, cap.17, pp. 589-600 (la conferenza su cui si basa questo capitolo di Congetture e confutazioni,tenuta a Venezia nel 1954, costituisce ora anche il cap. XI di Popper,  Alla ricerca di unmondo migliore, cit., pp. 151-161).31 Sulla “teoria istituzionale del progresso”, cfr. Miseria dello storicismo, cit., pp. 134-139.

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 potere (soprattutto economico) irresponsabili e nemici della democrazia.Come ha osservato Popper, infatti, «non si possono costituire istituzioni

infallibili, cioè istituzioni il cui funzionamento non dipenda in grandissima parte dalle persone che vi sono preposte, o che comunque vi partecipano;nella migliore delle ipotesi, si potrà ridurre l’incerto rappresentatodall’elemento umano prestando aiuto a coloro che lavorano per gli scopi per i quali furono progettate le istituzioni; è dalla loro iniziativa personale edalle loro conoscenze che dipenderà in larga misura il successo.(Leistituzioni sono come le fortezze: raggiungono lo scopo solo se è buona laguarnigione, cioè l’elemento umano.)».32  e l’‘elemento umano’ deve aver 

 ben presente la responsabilità sociale e ‘pedagogica’ di cui è investito nellagestione soprattutto di quei mezzi potentissimi come la televisione che, cosìcome possono salvare e mantenere, possono anche mandare in pezzi beni

tanto preziosi quanto fragili come la libertà e la democrazia.

I.1.3. LA TEORIA INTERAZIONISTICA DEI TRE MONDI  E L’ EVOLUTIONARY   APPROACH  

 Nel corso degli anni ’60, dopo la pubblicazione di Congetture eConfutazioni (1963), dove, come abbiamo visto a proposito della teoriadella verosimiglianza, i risultati della   Logica della scoperta scientificaricevono alcune importanti integrazioni, il pensiero di Popper si arricchiscedi almeno due nuove componenti strettamente connesse tra loro, che gliconsentono anche di inquadrare sotto una luce più ampia e comprensiva le

concezioni precedenti sulla realtà (metafisica) e sulla conoscenza(epistemologia). Queste due nuove componenti sono: 1) la cosiddetta ‘teoriadei tre mondi’ - in cui Popper propone di considerare la Realtà comesuddivisa in tre livelli, e cioè nel livello ‘fisico’ (Mondo 1), in quello‘mentale’ (Mondo 2) e in quello ‘culturale’ (Mondo 3) -, che gli consente

 peraltro di organizzare il proprio pensiero in una precisa e quasi sistematicaWeltanschauung ; e 2) l’‘approccio evoluzionistico’, cioè l’assunzionemetodologica del darwinismo (opportunamente modificato) come

 programma di ricerca per la spiegazione di come, nella storia evolutiva, sisia avuta in successione cronologica l’emergenza, da ogni stadio precedente,di ‘eventi’ quali la materia inorganica (da quark, forze, atomi e molecole),

la vita organica (dalla materia inorganica), la coscienza animale (dalla vitaorganica), la mente umana (dalla coscienza animale), il linguaggio (dallamente umana) e infine la cultura (dal linguaggio umano).

Questa nuova prospettiva del pensiero popperiano, ribadita poi inquasi tutti gli scritti dei decenni successivi, trova la sua prima espressionenei saggi di quegli anni che poi verranno raccolti in Conoscenza oggettiva(1972), mentre i suoi sviluppi e approfondimenti più importanti si trovanoin La conoscenza e il problema corpo-mente (un ciclo di lezioni tenute nella

 primavera del 1969 presso l’Università di Emory, ad Atlanta, ma pubblicate

32 Miseria dello storicismo, cit., p. 69; cfr. anche p. 138.

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solo nel 1994) e ne  L’io e il suo cervello (1977), scritto in collaborazionecon il neurofisiologo e premio Nobel John C. Eccles.

Per quanto riguarda la teoria dei tre mondi, possiamo partire da una pagina molto chiara ed esauriente di un saggio letto a una conferenzatenutasi ad Alpbach nell’agosto del 1982, che costituisce ora il primocapitolo del libro Alla ricerca di un mondo migliore:

Abbiamo dunque il Mondo 1, il mondo fisico, che noi suddividiamo incorpi animati e inanimati e che comprende anche, in particolare, stati e processi, come tensioni, moti, forze, campi di forza. E abbiamo il Mondo 2,il mondo di tutte le esperienze consce e, presumibilmente, anche di quelleinconsce.

Ciò che io chiamo Mondo 3, è il mondo dei prodotti oggettivi dello spiritoumano, il mondo dunque della parte umana del Mondo 2. Il Mondo 3, ilmondo dei prodotti dello spirito umano, contiene cose come libri, sinfonie,opere di scultura, scarpe, aerei, computer; e senza dubbio anche oggettimateriali che appartengono contemporaneamente al Mondo 1, come adesempio pentole e randelli. È importante ai fini della comprensione diquesta terminologia che tutti i prodotti dello spirito umano voluti o progettati vengano classificati come Mondo 3.

Secondo questa terminologia la nostra realtà consta pertanto di tre mondiconnessi tra loro e tra loro interagenti, che inoltre si intersecano parzialmente. (La parola “mondo” designa palesemente in questa sede nonil cosmo o l’universo, bensì degli elementi di cui questi si compongono )[...]

Vi furono e vi sono filosofi che ritengono reale  solo il Mondo 1, i cosìdetti materialisti o seguaci del fisicalismo, ed altri che reputano reale solo ilMondo 2, i così detti immaterialisti. Tra gli immaterialisti vi furono e vi

sono addirittura dei fisici. Il più celebre fu Ernest Mach (come già prima dilui il vescovo Berkeley), il quale riteneva vere solo le nostre sensazioni. Eraun fisico di rilievo, ma risolse le difficoltà della teoria della materia con lasupposizione che non esiste materia alcuna, dunque che non esistano in particolare né atomi né molecole.

Vi furono poi i così detti dualisti, che ammettevano la realtà tanto delMondo 1 fisico che del Mondo 2 psichico e perciò anche, naturalmente, dei  prodotti materiali dello spirito umano, come ad esempio automobili ospazzolini da denti o statue, ma anche dei prodotti spirituali che nonrientrano né nel Mondo 1 né nel Mondo 2. In altri termini, io ammettoanche l’esistenza di una parte immateriale del Mondo 3, che è reale e digrande importanza, di cui fanno parte ad esempio i problemi.

L’ordine in cui si susseguono i Mondi 1, 2 e 3 corrisponde alla loro età.

Allo stato attuale del nostro sapere congetturale la parte inanimata delMondo 1 è di gran lunga la più antica; segue poi la parte animata delMondo 1 e, contemporaneamente o un po’ più tardi, il Mondo 2, il mondodelle esperienze; e con gli uomini viene poi il Mondo 3, quello dei prodottidello spirito, il mondo dunque che gli antropologi chiamano “cultura”. 33 

Una tavola riassuntiva particolarmente efficace e dettagliata diquesta concezione importantissima di Popper si trova nel primo capitolo delsuo contributo al libro L’io e il suo cervello:

33 Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, cit., pp. 18-19.

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 MONDO 3 (6) Opere d’arte e di scienza (compresa la(I prodotti della mente umana) tecnologia)

(5) Il linguaggio umano. Teorie dell’io edella morte

MONDO 2 (4) Coscienza di sé e della morte(Il mondo delle esperienze soggettive) (3) Sensibilità (coscienza animale)

MONDO 1 (2) Organismi viventi  (Il mondo degli oggetti fisici) (1) Gli elementi più pesanti; liquidi e cri

stalli(0) Idrogeno ed elio

 

Gli elementi che stanno al lato destro vengono chiamati da Popper “stadi

dell’evoluzione cosmica”.34

La cosa importante da porre subito in luce è che con questatripartizione dei regni della Realtà Popper intende sottolineare soprattuttodue cose: 1) il Mondo 3 dei prodotti della mente umana è ‘emergente’rispetto al Mondo 2 (la cui funzione biologica è anche quella di  produrre35

alcuni degli oggetti del Mondo 3), e ciò vuol dire in particolare che esso èoggettivo - nel senso che esiste realmente, come prova ad esempio il fattoche noi (il nostro Mondo 2) agiamo su di esso, immettendovi nuovomateriale conoscitivo e quindi arricchendolo, e ne siamo agiti, modificati econtrollati, come possiamo vedere ad esempio dal fatto che lo sviluppocognitivo della nostra mente è un risultato del nostro ‘afferrare’,

comprendere e attualizzare oggetti del Mondo 3 - e soprattutto autonomo.Sull’autonomia del Mondo 3 Popper ha insistito forse più che su ogni altracosa:36 sebbene esso sia un prodotto della nostra mente, non tutto ciò che lo

  popola (soprattutto problemi) è opera nostra, perché è in gran parte uneffetto non intenzionale delle nostre teorie, allo stesso modo in cui i

34 Popper, L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. I, p. 29.35 Su questo punto cfr. ad es. ivi, cap. IV, p. 171; Conoscenza oggettiva, cit., cap. 4, p.212 e  Autobiografia, cit., p. 194.36 Cfr. ad es. Conoscenza oggettiva, cap. 3, pp. 161-166; cap. 4, pp. 212-217; L’io e il suocervello, vol. I, cit., cap. II, pp. 55-58; La conoscenza e il problema corpo-mente, cit.,cap. II, pp. 39-65.

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 problemi del traffico sorgono come effetto non intenzionale della nostrainvenzione delle automobili. A questo proposito l’esempio preferito da

Popper è quello della matematica. Se è vero che i numeri naturali sono unanostra invenzione, molti dei problemi e delle proprietà che li riguardano nonlo sono affatto, e noi possiamo magari scoprirli come oggetti autonomi delMondo 3: si pensi, ad esempio, alla loro quantità illimitata, alla lorodivisione in pari e dispari, o all’esistenza dei numeri primi, alle lorocaratteristiche e ai problemi cui danno luogo (Quanti sono? Si susseguonosecondo una legge?);2) I tre mondi interagiscono tra di loro, ma secondo una procedura peculiareche rende interessantissima la questione della funzione biologica dellamente umana nell’economia della storia evolutiva della specie umana e in

 particolare della formazione di un organo come il cervello. Il Mondo 2

interagisce infatti sia con il Mondo 1 (basti pensare all’azione delle nostredecisioni consce sui movimenti del nostro corpo da un lato, e a quella deglistati del nostro corpo sul nostro stato d’animo di gioia o di dolore dall’altro)che con il Mondo 3 (come abbiamo già visto nel punto precedente), mentreMondo 1 e Mondo 3 non possono interagire direttamente, ma solo tramite ilMondo 2. Questo si comprende facilmente se si pensa che l’enormeinfluenza del Mondo 3 delle teorie fisico-tecnologiche sulla realtà, in basealla quale l’uomo ha potuto plasmare il mondo producendo città, aerei,utensili ecc., passa sempre attraverso la mente umana. Il Mondo 2, quindi, siè evoluto grazie alla sua incessante e creativa doppia interazione col Mondo1 da un lato e col Mondo 3 dall’altro. Come osserva Popper, «non possiamo

comprendere il Mondo 2, cioè il mondo popolato dai nostri stessi statimentali, senza comprendere che la sua principale funzione è quella di produrre oggetti del Mondo 3, ed essere soggetto all’azione di oggetti delMondo 3. Il Mondo 2 interagisce infatti non soltanto col Mondo 1, come

 pensava Cartesio, ma anche col Mondo 3; e oggetti del Mondo 3 possonoagire sul Mondo 1 soltanto attraverso il Mondo 2, che funziona daintermediario».37

Tutto ciò ha importanti conseguenze relative a una vasta gamma diquestioni biologiche affascinanti, tra le quali, ad esempio, quella riguardantela storia evolutiva del nostro cervello e quella riguardante la nascita e lastrutturazione dell’io umano autocosciente dalla vaga e rudimentale forma

di coscienza animale. Vi accenneremo brevemente come conclusione diquesto primo paragrafo introduttivo sul pensiero generale di Popper.Per quanto riguarda la prima questione, Popper considera cruciale il

momento della nascita delle aree cerebrali preposte al linguaggio nel corsodelle antichissime mutazioni genetiche che hanno riguardato il cervellodegli antenati dell’uomo. La scelta comportamentale di dare importanza allacomunicazione linguistica per gli scopi della sopravvivenza ha poi creatouna forte pressione selettiva per quelle varianti anatomiche del cervello che

 possedevano i centri del linguaggio e ne consentivano quindi l’uso e lo

37  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, p. 17.

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sviluppo. In tal modo si è venuta a creare una interazione a spirale per cui,nel momento in cui il cervello produceva il linguaggio, questo a sua volta

‘creava’ il cervello indirizzandone l’evoluzione anatomica nella direzioneche favoriva l’uso sempre più specializzato del linguaggio.38 Per quanto riguarda, infine, la seconda questione, relativa

all’emergenza e allo sviluppo dell’autocoscienza, o dell’ego, o ancora del sédell’uomo, Popper avanza una teoria che dipende in gran parte da quantodetto sopra al punto 2). Questa teoria è sintetizzata nella quinta conferenzadi La conoscenza e il problema corpo-mente in cinque tesi, che riportiamosenza ulteriori commenti (ma vi ritorneremo nel corso del paragrafosuccessivo):

1) La piena coscienza è ancorata nel Mondo 3 - vale a dire, è strettamente

collegata con il Mondo del linguaggio umano e delle teorie. Non possonoesservi processi di pensiero senza contenuti di pensiero, e i contenuti di pensiero appartengono al Mondo 3.2) Il sé, o l’ego, è impossibile senza la comprensione intuitiva di alcuneteorie del Mondo 3 e, di fatto, senza intuitivamente dare per scontate questeteorie. Le teorie in questione riguardano lo spazio e il tempo, i corpi fisiciin generale, le persone e i loro corpi, i nostri corpi particolari che siestendono nello spazio e nel tempo, e certe regolarità della veglia e delsonno. Oppure, per metterla in altro modo, il sé, o ego, è il risultato delraggiungimento di una visione di noi stessi dall’esterno, e del successivocollocamento di noi stessi in una struttura oggettiva. Una visione delgenerale è possibile soltanto con l’aiuto di un linguaggio descrittivo.3) Il problema cartesiano della collocazione della piena coscienza o del sé  pensante è lontano dall’essere privo di senso. La mia congettura è che

l’interazione del sé col cervello sia localizzata nei centri del linguaggio [...]4) Il sé, o la piena coscienza, esercita un controllo plastico su alcuni deinostri movimenti che, così controllati, sono azioni umane. Molti movimentiespressivi non sono controllati in modo cosciente, così come non lo sonomolti movimenti che sono stati appresi tanto bene da essere sprofondati nellivello del controllo inconscio.5) Nella gerarchia dei controlli, il sé non rappresenta il centro di controllo più alto, poiché è a sua volta controllato in modo plastico dalle teorie delMondo 3. Tuttavia questo controllo, come tutti i controlli plastici, è unasorta di interazione, o di feedback . Ciò vuol dire che possiamo - e di fatto lofacciamo - cambiare le teorie del Mondo 3 che esercitano il controllo. 39

38

Su questo punto estremamente interessante della teoria di Popper, cfr. ad es.  L’io e il  suo cervello, vol. I, cit., cap. I, p. 23 e p. 45 (in quest’ultimo luogo, ad es., Popper scrive:“In che modo è emerso il cervello? Possiamo solo avanzare delle ipotesi. Io suppongo che[...] sia stato l’emergere del linguaggio umano a creare la pressione selettiva sotto la qualesi è formata la corteccia cerebrale e, con essa, la coscienza umana di sé”); OffeneGesellschaft - Offenes Universum, Wien, Deuticke, 1983, rist. München, Piper, 1986 [tr.it. Società aperta universo aperto, Roma, Borla, 1984, pp. 108-109]; K.R. Popper e K.Lorenz,  Die Zukunft ist offen, München, Piper, 1985 [tr. it.   Il futuro è aperto, Milano,Rusconi, 1989, pp. 52-54 e 116-117].39  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. V, pp. 153-154. Su questa teoriacfr. anche Conoscenza oggettiva, cit., cap. 2, p. 104; cap. 6, pp. 326-328; e soprattutto leampie esposizioni in  L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. IV, pp. 126-181 e nei Tre

 saggi sulla mente umana, Roma, Armando, 1994.

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I.2. La teoria dell’apprendimento per prova ed errore.

I.2.1. CRITICA DELLA  BUCKET  THEORY  OF  MIND.

Una delle conseguenze più rilevanti dell’epistemologia di Popper èuna nuova teoria dei processi cognitivi dell’apprendimento, ovverodell’acquisizione delle conoscenze, che si oppone a una parte considerevoledi tutta la gnoseologia tradizionale. Come vedremo, la teoria difesaappassionatamente e insistentemente da Popper costituisce quella

componente del suo pensiero i cui risvolti di carattere psico-pedagogicosvolgono un ruolo di primissimo piano nella sua analisi apocalittica delleinfluenze negative che un certo tipo di televisione (nonché l’approcciorelazionale che essa stessa richiede per sua natura) può avere sullaformazione intellettuale e morale dei bambini.

Com’è noto, la gnoseologia moderna è stata caratterizzata, fino aKant escluso, dalla contrapposizione tra due scuole filosofiche: da un latoavevamo il cosiddetto ‘empirismo classico’ (britannico) di Bacone, Locke,Berkeley e Hume, per il quale la fonte prima di ogni nostra conoscenza ècostituita dall’osservazione, e dall’altro avevamo il cosiddetto‘intellettualismo’ o ‘razionalismo classico’ (continentale) di Cartesio,

Spinoza e Leibniz, per il quale invece l’uomo è in possesso di una facoltàintuitiva intellettuale che gli consente di cogliere a priori i principigeneralissimi della conoscenza, ovvero, nella terminologia cartesiana, leidee chiare e distinte.40 Ora, secondo Popper, il trionfo teorico-applicativodella scienza nell’età contemporanea ha sancito il successo della scuolaempirista su quella razionalista, e ciò spiega perché la filosofia della scienzadi questo secolo, col positivismo logico in testa, sia caratterizzata dalrichiamo quasi feticistico ai resoconti osservativi come fonte e fondamentodi tutta la conoscenza. Ma l’osservativismo, basato poi sulla fede nellavalidità dei metodi induttivi, costituisce agli occhi di Popper uno dei piùradicati e inconsistenti miti filosofici della nostra epoca, depositato persino

nella teoria della conoscenza del common sense. Ed è proprio da un attaccodistruttivo nei confronti di quest’ultima che Popper, il quale peraltro si

40 Questa impostazione teoretico-storiografica ormai canonica è seguita in primaapprossimazione anche da Popper: cfr. ad es. Congetture e confutazioni, cit.,“Introduzione”, p. 12 e sgg. Tuttavia, in questo importante saggio che funge daintroduzione al libro, egli dimostra, con argomentazioni in cui non ci addentreremo, “chele differenze fra la scuola empirista e la scuola razionalista sono molto minori delle lorosomiglianze, e che sia la prima che la seconda sono erronee” (p. 13). Diciamo solo che,secondo Popper, la somiglianza principale sta in un pregiudizio condiviso da entrambe lescuole, e cioè nell’idea erronea che la verità non solo esiste ed è raggiungibile, ma èanche manifesta ed evidente per chiunque la guardi con la mente purgata dall’errore edall’ignoranza.

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dichiara “un empirista e un razionalista”41 (ma in un senso preciso ealquanto diverso da quello attribuito dalla tradizione a questi due termini,

come più avanti vedremo), può arrivare persino a ‘uccidere’ il positivismologico42 minandone le basi epistemologiche.La critica di Popper alla teoria della conoscenza del senso comune è

incentrata sulla confutazione della concezione che a suo giudizio ne sta alla base, e cioè l’idea che la nostra mente sia una tabula rasa sulla qualel’esperienza empirica effettuata tramite i vari organi di senso traccia icaratteri che poi, opportunamente ordinati mediante associazioni, confrontianalogici ed estrapolazioni induttive, andranno a costituire il corpussoggettivo della conoscenza. Popper ha ironicamente chiamato questa idea“bucket theory of mind ”, cioè “teoria della mente come secchio” (orecipiente), e l’ha illustrata con un disegno come il seguente43:

 

Secondo Popper, questa teoria è insostenibile soprattutto da quando,con le scoperte di Darwin e delle leggi dell’ereditarietà, sappiamo che letutte le strutture viventi, e gli animali in particolare, sono tutt’altro che una

tabula rasa che l’ambiente esterno deve istruire con i suoi inputs sensoriali;anzi, per molti versi gli animali sono una tabula plena, piena soprattutto didisposizioni ereditarie innate, cioè di aspettative e di schemi di azione ereazione, che rappresentano un bagaglio di ‘conoscenze’ così ampio che ilsuccessivo apprendimento ne rappresenterà soltanto una quasi trascurabilemodificazione. Ciò significa in particolare che in genere vale il contrario diquanto sostiene l’osservazionismo: non sono le osservazioni ripetute che

  precedono le aspettative (ovvero le generalizzazioni teoriche), ma alcontrario sono le aspettative che precedono le osservazioni, nel senso cheesse hanno la funzione biologica di guidare come un ‘faro’ (Searchlight )44

l’organismo verso le osservazioni rilevanti (ad es. per cercare il cibo, per 

41 Ibidem, p. 13.42 “Chi ha ucciso il positivismo logico?” - si chiede Popper in un paragrafo celebredell’ Autobiografia. E risponde: “Credo di dover ammettere la mia responsabilità. Ma nonlo feci di proposito: la mia unica intenzione era di mettere in luce quelli che misembravano alcuni errori fondamentali” (cit., p. 91).43 Cfr. ad es. Conoscenza oggettiva, cit., cap. 2, p. 89 e  La conoscenza e il problemacorpo-mente, cit., cap. I, p. 26 e cap. II, p. 40.44 Sulla “ searchlight theory of science” di Popper, contrapposta alla “bucket theory of mind” delle varie concezioni empiristiche, cfr. Conoscenza oggettiva, cit., “Appendice:Il recipiente e il faro. Due teorie della conoscenza”, pp. 445-473; La società aperta e i

  suoi nemici, vol. II, cit., cap. XXIII, p. 281 e cap. XXV, p. 343; Congetture econfutazioni, cit., cap. 4, p. 220.

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fuggire, per ripararsi ecc.). A questo proposito una pagina molto importanteè costituita dal § 18 del secondo capitolo di Conoscenza oggettiva, in cui

Popper azzarda persino un termine come “teorema” in materia di teoriadell’apprendimento:

Se non fosse assurdo fare qualsiasi stima, direi che 999 parti contro 1000della conoscenza di un organismo sono ereditate o innate, e che solo una parte consiste delle modificazioni di questa conoscenza innata; e suggeriscoinoltre che è innata anche la plasticità necessaria per queste modificazioni.

Da ciò segue il teorema fondamentale:Tutta la conoscenza acquisita, tutto l’apprendimento, consiste nella

modificazione (anche il rigetto) di qualche forma di conoscenza, odisposizione che vi era prima, e in ultima istanza di disposizioni innate.

Da ciò segue subito un secondo teorema:Tutto lo sviluppo della conoscenza consiste nel miglioramento della

conoscenza esistente che è mutata nella speranza di avvicinarsi di più al vero.Poiché tutte le nostre disposizioni sono in qualche senso adattamenti acondizioni ambientali invarianti o in lento mutamento, esse possono esseredescritte come impregnate di teoria, assumendo un senso sufficientementeampio del termine “teoria”. [...] E penso che possiamo asserire anche di più:non vi è organo di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorieanticipative . [...] Il fatto che tutti i nostri sensi siano in tal modo impregnatidi teoria mostra molto chiaramente il fallimento radicale della teoria delrecipiente e con essa di tutte quelle altre teorie che tentano di far risalire lanostra conoscenza alle osservazioni, o all’input  dell’organismo. Alcontrario, ciò che può essere assorbito (o reagito) come input rilevante e ciòche è ignorato come irrilevante, dipendono completamente dalla struttura

innata (il “programma”) dell’organismo.45

Come vedremo nel corso del prossimo capitolo, allorché Popper, inUna patente per fare TV , imposterà la questione urgente del rapporto dei

 bambini con la televisione nei termini di un “problema evolutivo”, non faràaltro che richiamarsi esattamente a quest’ordine di idee psico-gnoseologiche, con le connesse implicazioni pedagogiche che è compito edovere degli educatori (e quindi anche degli operatori televisivi) non soloconoscere, ma anche gestire nel modo più umano e responsabile possibile.

I.2.2. IL LINGUAGGIO E LO SVILUPPO DELL’ EGO  NEL BAMBINO

  Nel paragrafo precedente abbiamo avuto modo di accennare di  passaggio all’importanza che riveste nel pensiero di Popper il linguaggiointeso come organo biologico esosomatico di adattamento all’ambiente.Questo approccio biologico al linguaggio, evidentemente, distingue

 profondamente Popper da tutta quella vasta corrente di pensiero di questosecolo che ha preso il nome di “filosofia del linguaggio” e che ha

45  Conoscenza oggettiva, cit., pp. 101-102. Su questo punto cfr. anche  L’io e il suocervello, vol. I, cit., cap. IV, pp. 150-152.

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riconosciuto come suo padre ispiratore il cosiddetto “secondo Wittgenstein”(cioè, in particolare, il Wittgenstein delle  Ricerche filosofiche, scritte negli

anni ’40 e pubblicate postume nel 1953), con le sue minuziose analisi delsignificato delle parole e degli usi linguistici. Anzi, dal momento che glistavano a cuore soprattutto le questioni relative alle teorie e al controllodella loro pretesa di verità, Popper ha più volte tenuto a precisare che eglinon attribuiva alcun rilievo a tutta la “filosofia del linguaggio”, nella misurain cui questa rimaneva legata a un interesse esclusivo per il  significato(meaning , Bedeutung ) delle parole.46 

L’approccio popperiano al linguaggio è soprattutto guidatodall’interesse sulle  funzioni del linguaggio dal punto di vista biologico ecognitivo. Il suo punto di partenza è costituito dalle analisi sulle funzionidel linguaggio compiute dal grande psicologo Karl Bühler (1879-1963), che

fu anche suo professore di psicologia a Vienna. Ecco come Popper ricorda isuoi rapporti col maestro e col suo pensiero nel corso della seconda metàdegli anni ’20:

  Solo di recente Bühler era stato chiamato a Vienna per insegnarvi psicologia, e in quel periodo la sua fama era legata soprattutto al libro  Lo  sviluppo mentale del bambino [1922]. Era stato anche uno dei primi  psicologi della Gestalt . Fu della massima importanza per i successivisviluppi del mio pensiero la sua teoria dei tre livelli delle funzioni dellinguaggio [...]: la funzione espressiva ( Kundgabefunktion), la funzione disegnalazione o di stimolazione ( Auslösefunktion) e, a un livello più alto, lafunzione descrittiva ( Darstellungsfunktion). Egli spiegava che le duefunzioni inferiori erano comuni al linguaggio umano e al linguaggioanimale ed erano sempre presenti, mentre la terza funzione era caratteristicadel solo linguaggio umano e in certi casi (come nelle esclamazioni) eraassente perfino da questo.Questa teoria divenne per me importante per tante ragioni. [...] E micondusse - anni dopo - ad aggiungere alle tre funzioni di Bühler quella cheio chiamai funzione argomentativa. La funzione argomentativa dellinguaggio divenne per me particolarmente importante, perché in essa vidila base di ogni pensiero critico. 47

Dunque, ricapitolando, nella sua analisi della comunicazionelinguistica, Bühler 48 aveva individuato tre funzioni principali dellinguaggio:

1)  funzione espressiva o sintomatica, mediante la quale noi manifestiamo inostri stati interiori (si pensi a una espressione come: “Oggi sonoeuforico”);

46 Su questo punto cfr. ad es. Congetture e confutazioni, cit., “Introduzione”, pp. 36-42;Conoscenza oggettiva, cit., cap. 3, pp. 171-172 e cap. 8, pp. 406-409;  Autobiografia, cit., pp. 20-33.47  Autobiografia, cit., p. 77.48 Cfr. in part. K. Bühler, Sprachtheorie: die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, 1934, pp. 25-28 (tr. it. Teoria del linguaggio, Roma, Armando, 1983).

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2) funzione  segnaletica o stimolativa, mediante la quale noi liberiamo certereazioni verbali o comportamentali nel destinatario (si pensi a un ordine

come: “Confessa!”);3)  funzione  descrittiva, mediante la quale noi trasmettiamo informazioniintorno a qualcosa (si pensi a un enunciato come: “Roma è la capitaledell’Italia”).

Ma le tre funzioni individuate da Bühler, ad avviso di Popper, nonrendono conto della specificità del linguaggio umano. Egli ha ritenutonecessario aggiungerne una quarta, e cioè quella argomentativa oesplicativa, mediante la quale noi possiamo discutere pro o contro unaqualche proposizione (che di solito è di tipo descrittivo) servendoci di criteridi controllo come la ‘verità’ (che già pertiene propriamente alla funzione

descrittiva), il ‘contenuto’, la ‘verosimiglianza’ e soprattutto la ‘validità’.Per esempio, è solo grazie alla funzione argomentativa che noi possiamoconfrontare la teoria di Newton e quella di Einstein sulla base di unesperimento che falsifica le predizioni della prima e conferma le predizionidella seconda.

La comparsa della funzione argomentativa nella storia evolutiva dellinguaggio umano, inoltre, ha due conseguenze che Popper consideraimportantissime:

1. Senza lo sviluppo di un linguaggio descrittivo esosomatico - unlinguaggio che, come uno strumento, si sviluppa al di fuori del corpo - non può darsi nessun oggetto   per la nostra discussione critica. Ma con lo

sviluppo di un linguaggio descrittivo (ed inoltre, di un linguaggio scritto) può emergere un terzo mondo linguistico; ed è solo in questa maniera, edunicamente in questo terzo mondo, che possono svilupparsi i problemi e glistandard della critica razionale.2. E’ a questo sviluppo delle funzioni superiori del linguaggio che noidobbiamo la nostra umanità, la nostra ragione. Difatti, i nostri poteriraziocinativi non sono altro che i poteri della nostra argomentazionecritica.49

Le quattro funzioni vengono così suddivise in due gruppi ben distintidal punto di vista biologico e cognitivo: a un livello evolutivamente più

 basso abbiamo le funzioni inferiori (quella espressiva e quella segnaletica),

 presenti negli animali (ma in parte anche nelle piante) e nell’uomo, e a unlivello evolutivamente più alto abbiamo le funzioni  superiori (quelladescrittiva e quella argomentativa), presenti  solo nell’uomo. (Basandosi suinoti studi di Karl von Frisch, Popper è disposto a considerare la danza delleapi come una forma rudimentale della funzione descrittiva, dato che le api

  possono sì fornire informazioni sulla localizzazione del cibo, ma non

49 Conoscenza oggettiva, cap. 3, pp. 167-168. Gli altri luoghi più notevoli in cui Popper tratta dellequattro funzioni del linguaggio sono: ivi, cap. 6, pp. 307-315; Congetture e Confutazioni, cit., cap.4, pp. 231-233 e cap. 12, pp. 502-503;  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. 4, pp.113-124;  L’Io e il suo cervello , vol. I, cit., cap. III, pp. 76-79.

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 possono mentire deliberatamente, ciò che invece è tipico degli uomini edella loro capacità di raccontare favole).

La teoria delle quattro funzioni del linguaggio viene utilizzata daPopper, oltre che a sostegno della sua concezione generale della crescitadella conoscenza scientifica (su cui torneremo in I.2.3), anche per giustificare la propria congettura relativa alla nascita ed alla formazionedell’io cosciente nei primi stadi dello sviluppo dell’uomo inteso sia comespecie che come individuo. Riprendendo i cinque punti di tale congetturariportati alla fine del paragrafo precedente, ecco come egli applica la

 propria teoria del linguaggio (ovvero dei suoi due livelli superiori) al casospecifico del bambino:

l’ego o sé è strettamente connesso con le nostre funzioni linguistiche più

alte. E ciò suggerisce che la piena coscienza interagisce con i centrilinguistici del nostro cervello. Formulerò adesso alcune di queste idee,insieme ad altre, sotto forma di tre tesi.1) Nell’evoluzione della  specie, l’ego o sé o autocoscienza emerge insiemealle funzioni più alte del linguaggio - vale a dire, le funzioni descrittiva eargomentativa - e interagisce con queste funzioni.2) Nello sviluppo del bambino, l’ego o sé o autocoscienza si sviluppa con lefunzioni più alte del linguaggio, e, quindi, dopo che il bambino ha imparatoa esprimersi, a comunicare con altre persone, a comprendere la suarelazione con le altre persone e ad adattarsi al proprio ambiente fisico.3) Il sé o ego è connesso con la funzione centrale di controllo del cervelloda un lato, e interagisce con gli oggetti del Mondo 3 dall’altro. Nella misurain cui interagisce con il cervello, il luogo dell’interazione potrebbe essereanatomicamente localizzabile. La mia opinione è che l’interazione sialocalizzata nel centro linguistico del cervello.50

Tutto ciò ha delle conseguenze davvero sorprendenti. Due in particolare meritano di essere messe in rilievo. Come Popper ripete spessone   L’io e il suo cervello, per il fatto che la nostra mente si sviluppaattraverso il contatto - mediato dalle funzioni superiori del linguaggio - conil Mondo 3, noi 1) dobbiamo letteralmente imparare51 ad essere dei soggetticoscienti del nostro ego, sviluppando teorie su noi stessi formulatelinguisticamente, e di conseguenza 2) noi stessi siamo in ultima analisi dei

 prodotti52  del Mondo 3, cioè dei prodotti del nostro prodotto culturale, e

50  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. VI, p. 174.51 “Mi sembra di notevole importanza il fatto che noi non nasciamo come io, madobbiamo imparare che siamo degli io; in effetti, dobbiamo imparare ad essere degli io.Questo processo di apprendimento si realizza nell’apprendere dal Mondo 1, dal Mondo 2,e soprattutto dal Mondo 3. [...] Un bambino quindi è un corpo - un corpo umano che si vasviluppando - prima di diventare una persona, un’unità di corpo e mente” ( L’io e il suocervello, vol. I, cit., cap. IV, p. 136 e p. 143).52 “Il carattere sociale del linguaggio insieme con il fatto che noi dobbiamo il nostro

 status di io - la nostra umanità, la nostra razionalità - al linguaggio, e quindi agli altri, ame sembrano aspetti importanti. Come io, come esseri umani, noi tutti siamo prodotti delMondo 3, il quale è a sua volta un prodotto di innumerevoli menti umane. [...] Nellamisura in cui siamo i prodotti di altre menti e delle nostre stesse menti, possiamo dire che

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quindi, in quanto persone consapevoli di noi e del mondo che ci circondagrazie alle nostre stesse teorie, degli oggetti del Mondo 3. Nel caso del

 bambino, queste conseguenze assumono il seguente aspetto:

Possiamo dire, quindi, che il bambino è, in parte, il prodotto della suaimpresa. Egli stesso è, in qualche modo, un prodotto del Mondo 3. Cosìcome la padronanza e la coscienza che il bambino ha del suo ambientemateriale risulta ampliata dalla sua capacità di parlare recentementeacquisita, un analogo effetto si verifica anche per la sua coscienza di sé.L’io, la personalità, emerge nell’interazione con gli altri io, con i manufattie gli altri oggetti del suo ambiente. Su tutto ciò influisce profondamentel’acquisizione del linguaggio, specialmente quando il bambino diventacosciente del suo nome e quando impara a nominare le varie parti del suocorpo, e, cosa più importante di tutte, quando impara ad usare i pronomi personali.

Il diventare un essere umano, nella pienezza delle sue prerogative,dipende da un processo di maturazione nel quale una parte enorme vienesvolta dall’acquisizione del linguaggio. Si impara non solo a percepire e adinterpretare le proprie percezioni, ma anche ad essere una persona e adessere un io. Reputo erronea la concezione secondo cui le nostre percezionici verrebbero “date”: esse vengono “fatte” da noi, sono il risultato di unlavoro attivo.53

A questo punto, possiamo sollevare due interrogativi: 1) In chemodo l’io è ancorato al Mondo 3? Ovvero: Come fa il nostro Mondo 2 ad‘afferrare’ un oggetto del Mondo 3? 2) Essendo la percezione una attivitàesplorativa mediante la quale il bambino (e poi l’adulto) interagiscecriticamente e costruttivamente con il proprio ambiente, che cosa accade sequesto ambiente è costruito in modo tale da essere in grado non solo di“dare”, ma addirittura di “imporre” contro ogni difesa critica gli inputs

  percettivi? In al-tre parole: Che cosa può accadere dello sviluppo del bambino se il suoambiente principale è costituito dalla televisione, la quale tende a

 passivizzarlo e nel contempo bombardarlo inarrestabilmente di immagini emessaggi di ogni tipo?

Alla prima domanda risponderemo verso la fine della prossimasezione di questo paragrafo, mentre la seconda sarà il problema intorno alquale ruoterà il prossimo capitolo.

I.2.3. LA TEORIA DEL  PROBLEM  SOLVING

Come risulta chiaramente da quanto visto fin qui, la questionecentrale attorno alla quale ruota quasi tutto il pensiero di Popper (diciamodall’epistemologia ‘pura’ - cioè limitata alle scienze naturali e soprattuttoalla fisica teorica - della Logica della scoperta scientifica, all’epistemologia

noi stessi apparteniamo al Mondo 3” (ibid ., p. 179).53 Ivi, cap. II, p. 68.

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‘evoluzionistica’ - cioè estesa a ogni altro strumento biologico diadattamento all’ambiente - di Conoscenza oggettiva 54) è una sola: Come

nasce, e soprattutto, come cresce la nostra conoscenza? La risposta a questointerrogativo consiste in una originale rielaborazione da parte di Popper delcosiddetto metodo di soluzione dei problemi ‘per prova ed errore’ (trial and error ), ovvero ‘per tentativi ed eliminazione dell’errore’, od ancora ‘per congetture e confutazioni’:

Il mio problema è: come cresce la nostra conoscenza? La mia soluzione èuno schema tetradico molto semplificato del metodo di eliminazione per  prova ed errore:

P1  → TT → EE → P2

P1 denota qui il problema dal quale partiamo e può trattarsi di un problema pratico o teorico; TT è una teoria provvisoria [tentative theory]che proponiamo per risolvere il problema; EE denota un processo dieliminazione degli errori, attraverso controlli critici, o un processo didiscussione critica; P2 denota infine i problemi con i quali concludiamo - i problemi che emergono dalla discussione e dai controlli.

L’intero schema indica che partiamo da un problema, pratico o teorico.Tentiamo di risolverlo creando una teoria provvisoria come nostra soluzione provvisoria: questa è la nostra prova. Sottoponiamo poi la nostra teoria alcontrollo, tentando di falsificarla: questo è il metodo critico di eliminazionedegli errori. Il risultato di tutto questo è l’emergere di un nuovo problema,P2 (o magari di svariati nuovi problemi). Il progresso compiuto, o la crescitadella nostra conoscenza, può normalmente essere stimato in base alladistanza tra P1 e P2, e sapremo allora se abbiamo fatto qualche progresso. In  breve, il nostro schema dice che la conoscenza parte da problemi e siconclude con problemi (se mai si conclude).55

  Naturalmente, come  avverte anche lo stesso Popper all’inizio del passo, lo schema tetradico è una rappresentazione molto semplificata dellasituazione reale. Spesso, infatti, nella realtà noi avanziamo diverse teoriecome tentativi di soluzione a un dato problema, e ciascuna di esse porta adaltrettanti controlli, e cioè a tentativi di falsificarle per poterle eliminare dalgioco, e quindi ad altrettanti nuovi problemi. In una “discussione valutativacritica” (DVC), infine, si cercherà di decidere quale fra le teorie incompetizione ha superato meglio i controlli, risultando così abbastanza

valida per continuare asopravvivere, e quali invece andranno subito eliminate perché rivelatesiinadeguate già ai primi controlli. Questa situazione più articolata portaevidentemente a una rielaborazione dello schema del seguente tipo56:

54 Si veda a tal proposito lo “schizzo di un’epistemologia evoluzionistica” in Conoscenzaoggettiva, cit., cap. 2, pp. 96-100.55  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, pp. 21-22.56 Cfr. ibid ., p. 23. Per le versioni più elaborate dello schema, cfr. anche Conoscenzaoggettiva, cit., cap. 6, p. 318 e cap. 8, p. 380.

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TTa  →EEa  → P2a

P1 TTb  → EEb → P2b DVCTTn  → EEn → P2n

A questo punto Popper può estendere l’applicazione dello schema aqualsiasi livello dello scala evolutiva, ovvero, com’egli stesso ha detto conuna formula efficace divenuta celebre, “dall’ameba ad Einstein”, e tracciarecosì un quadro generale del proprio approccio evoluzionisticoall’epistemologia:

Lo schema mostra che possiamo considerare la crescita della conoscenzacome una lotta per la sopravvivenza che si svolge tra teorie incompetizione. Soltanto le teorie più adatte sopravvivono, pur essendo anchequeste in pericolo di vita in ogni momento.

Se facciamo un paragone con la selezione naturale darwiniana, siamosubito in grado di cogliere l’enorme vantaggio biologico dell’evoluzione diun Mondo 3 di conoscenza oggettiva.

Un individuo o una specie verranno eliminati se si presentano con lasoluzione sbagliata a un problema. Questo vale le mutazioni sbagliate (lecosiddette mutazioni letali), e per la conoscenza sbagliata in sensosoggettivo: un cosiddetto “errore di giudizio” può facilmente portareall’eliminazione della persona che lo ha commesso (e anche di altre personese, per esempio, si tratta di un autista). Una storia che racconto spesso èquella di una comunità indiana che riteneva la vita sacra, anche quella delletigri. Di conseguenza la comunità scomparve e insieme ad essa la teoria chela vita delle tigri è sacra. Ma la conoscenza oggettiva è diversa:  possiamo

 sacrificare le nostre teorie oggettive al nostro posto. In realtà, noi facciamodi tutto per eliminarle, sottoponendole a severi controlli prima di utilizzarle.

In questo modo migliaia di teorie possono essere eliminate ogni giornosenza che alcuno ne soffra minimamente.57

Come si vede, la selezione critica delle teorie, resa possibile dallosviluppo di un organo esosomatico come il linguaggio (che ci permette dioggettivarle e di metterle per iscritto), non diventa altro che un ulteriore

 passo compiuto dalla selezione naturale degli organismi. Come le mutazionigenetiche negli individui possono essere considerate dei tentativi compiutidalla specie di appartenenza per migliorare il proprio adattamentoall’ambiente, le nostre teorie sono mutazioni nel nostro repertoriocomportamentale che vanno nella direzione del sempre maggiore

adattamento alla situazione problematica, e cioè, considerando che la veritàè corrispondenza ai fatti, del sempre maggiore avvicinamento alla verità. Intal senso, Popper può istituire una proporzione del tipo: “Comportamento :individuo = individuo: specie”58:

Per riassumere [...] la nostra teoria - basata sul nostro schema tetradico -essa è una teoria dell’evoluzione emergente mediante  problem-solving .L’emergere di novità evoluzionistiche viene spiegato dall’emergere dinuovi problemi. La teoria considera tutti gli organismi e le specie (e anche

57  La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, pp. 23-24.58  Ivi., cap. III, p. 82.

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tutti i  phyla) come costantemente impegnati a risolvere problemi. I  problemi vengono risolti a vari livelli: l’individuo inventa nuovi schemicomportamentali col metodo dell’eliminazione per prova ed errore; la razzao  phylum inventa, per così dire, nuovi individui inventando nuovi schemigenetici, che sono nuove composizioni genetiche, comprese nuovemutazioni.59

Tuttavia, a differenza delle mutazioni genetiche inadatte, le teorieinadatte, se eliminate col metodo della discussione critica pubblica, nonsaranno letali per l’individuo, il quale potrà sopravvivere ad esse e magari

 provarne di nuove. In tal modo, se è pur vero che “vi è per così dire solo un passo dall’ameba ed Einstein”60, perché sia lo scienziato che qualunque altraforma di vita procedono secondo il metodo per prova ed errore, «ladifferenza principale fra Einstein e un’ameba [...] è che Einstein cerca

coscientemente l’eliminazione degli errori. Egli cerca di uccidere le sueteorie: è coscientemente critico delle sue teorie che, per questa ragione, eglicerca di  formulare esattamente piuttosto che vagamente. Ma l’ameba non

 può essere critica riguardo alle sue aspettative o ipotesi; non può esserecritica perché non può fronteggiare le sue ipotesi: esse sono parte di sé».61 

59 Ibidem, p. 86. Per una esposizione più dettagliata di questa teoria, cfr. Conoscenzaoggettiva, cit., cap. 6, pp. 316-319. Se si pensa poi alla gerarchia dei controlli di cui si parlava al punto 5 del passo riportato alla fine del paragrafo precedente, la catena della proporzione può essere ulteriormente analizzata e ‘allungata’ verso sinistra, includendoviil controllo per prove ed errori esercitato dal Mondo 3 sul Mondo 2, e da questo (inquanto coscienza) sui movimenti del nostro corpo (Mondo 1). Si potrebbe quindi scrivere:

‘Mondo 3 : Mondo 2 = Mondo 2 : comportamento = comportamento : individuo =individuo : specie’ (questa estensione della proporzione è giustificata da Conoscenzaoggettiva, ibid ., p. 327). In questo modo, considerando la spirale di interazioni chesussiste tra un membro e l’altro, si può vedere come il  problem solving agisca di volta involta ad ogni livello della scala evolutiva. Percorrendo la catena dei termini da destra asinistra, abbiamo che la  specie esplora e occupa la nicchia ecologica servendosi delrimescolamento genetico degli individui (tentativi) e della loro selezione (eliminazionedell’errore); gli individui esplorano e si adattano al loro ambiente mettendo alla prova illoro repertorio comportamentale ed eliminando i comportamenti inadatti; il repertoriocomportamentale anticipa tentativamente i propri successi o insuccessi elaborando pianidi comportamento a un livello sempre più conscio nel Mondo 2; il Mondo 2, infine,esplora e impara a conoscere il mondo (ben al di là della nicchia ecologica) elaborando emigliorando teorie, cioè oggetti del Mondo 3. Percorrendo invece la catena da sinistra a

destra, abbiamo una successioni di sistemi di controllo: il Mondo 3 controlla lo sviluppodel Mondo 2; il Mondo 2 guida i movimenti e i comportamenti del corpo dell’individuo;il repertorio comportamentale dell’individuo influisce sulle possibilità di sopravvivenzadell’individuo; l’individuo, a sua volta, a seconda del suo successo o insuccesso adattivo,controlla il destino biologico della propria  specie. Come si vede, dunque, in questo casorisulta chiaro come il Mondo 3 umano finisca alla fine per esercitare indirettamente uncontrollo sulla specie umana: per fare un esempio, si consideri come una decisione  politica planetaria (Mondo 2) a favore del controllo delle nascite, dettata daconsiderazioni di carattere economico, energetico, alimentare ecc., cioè su proiezionistatistiche basate su determinate teorie (Mondo 3), possa regolare l’equilibriodemografico della specie umana (Mondo 1).60 Conoscenza oggettiva, cit., “Appendice”, p. 453. Cfr. anche cap. 6, p. 321.61  Ivi, cap. 1, p. 46. Cfr. anche cap. 2, p. 100 e cap. 7, p. 347.

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Si comprende allora in che senso Popper possa dire, come abbiamovisto sopra nella prima sezione di questo paragrafo, di considerarsi  sia un

‘razionalista’ che un ‘empirista’, anche se in un senso diverso da quelloassunto da questi due attributi nella gnoseologia classica. La teoria del problem solving , infatti, per la quale noi impariamo soprattutto dai nostrierrori, cioè dai nostri tentativi fallimentari di risolvere un certo problema, èdi per sé «una teoria della ragione che assegna agli argomenti razionali lafunzione modesta, e tuttavia importante, di critica dei tentativi, spessosbagliati, che compiamo per risolvere i problemi. Ed è una teoriadell’esperienza che assegna alle osservazioni la funzione altrettantomodesta, e altrettanto importante, di controlli che possono aiutarci nellascoperta degli errori».62 Popper, quindi, è un razionalista che attribuisce allaragione una funzione critica o confutativa, e non  fondativa o dimostrativa;

ed è un empirista che considera le osservazioni non la  fonte dellaconoscenza, ma lo strumento empirico di cui ci serviamo per controllare laveridicità delle conseguenze osservabili deducibili dalle teorie.

Una conseguenza particolarmente interessante dell’epistemologiaevoluzionistica di Popper riguarda la valutazione del ruolo della violenzadal punto di vista biologico. Questo aspetto è importante perché ci

 permetterà di comprendere meglio le ragioni che hanno spinto Popper ascagliarsi in maniera così decisa e dura contro l’abnorme esibizione dellaviolenza nella televisione del nostro tempo.

La selezione naturale darwiniana è stata associata più o menogiustamente al carattere spesso violento e sanguinario della “lotta per la

vita” nel mondo animale (ciò ha poi condotto, com’è noto, le ideologienazifasciste a trasferire il darwinismo sul piano socio-politico per giustificare l’aggressione colonialista dei popoli ‘giovani e forti’ ai danni diquelli ‘vecchi e deboli’). A questa visione fosca della realtà naturale, Popper ha opposto, sulla base della propria teoria dell’emergenza delle funzionisuperiori del linguaggio e quindi della  possibilità dell’uso sempre piùallargato della critica e della eliminazione non violenta delle teorieinadeguate, una visione più ottimistica e fiduciosa, che lo ha portato adenunciare spesso l’irresponsabilità e la disonestà intellettuale di chidiffonde, specialmente tra i giovani, visioni apocalittiche del mondo, e aripetere innumerevoli volte nel corso di tutta la sua vita che noi dobbiamo

essere ottimisti almeno per due motivi: 1) perché viviamo - perlomeno nelledemocrazie occidentali - nel migliore dei mondi di cui si abbia notizia, cioènella società più democratica, più giusta, più ricca e meno crudele (cioè ingrado di garantire il maggior numero di individui, anche grazie ai progressidella medicina, contro le sofferenze evitabili), che si sia finora avuta nellastoria dell’umanità; e 2) perché solo questa consapevolezza puramentestorica che il miglioramento è possibile perché c’è già stato, ci può spingerea ricercare un mondo ancora migliore e a lottare contro le emergenze piùgravi del nostro tempo cui si può ovviare (come la fame, la disoccupazione,

62 Congetture e confutazioni, cit., “Prefazione”, p. 3.

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la sofferenza, la violenza, ecc.63). Sulla base di queste considerazioni,Popper ha potuto dire che, con l’emergenza del Mondo 3 nella storia

dell’evoluzione della vita, la selezione naturale ha superato se stessa, passando dal livello ‘animale’ della violenza cieca a quello ‘umano’ dellacritica razionale non violenta. Le parole conclusive del suo contributo a

 L’io e il suo cervello sono proprio un richiamo all’idea che la non violenzasia un prodotto dell’evoluzione, e non un sogno utopistico:

Di solito la selezione naturale, e la pressione selettiva, sono pensate comei risultati di una lotta più o meno violenta per la vita.

Ma con l’emergenza della mente, del Mondo 3 e delle teorie, questocambia. Noi possiamo far sì che a combattersi fino alla fine siano le nostreteorie - possiamo far sì che le nostre teorie muoiano al nostro posto. Dal punto di vista della selezione naturale, la funzione principale della mente e

del Mondo 3 è quella di rendere possibile l’applicazione del metodo deitentativi e dell’eliminazione dell’errore senza l’eliminazione violenta di noistessi: in questo risiede il grande valore di sopravvivenza della mente e delMondo 3. Pertanto, nel determinare l’emergenza della mente e del Mondo3, la selezione naturale trascende se stessa e il suo carattere originariamenteviolento. Con l’emergenza del Mondo 3, non occorre più che la selezionesia violenta: possiamo eliminare le teorie false con la critica non violenta.L’evoluzione culturale non violenta non è solamente un sogno utopistico; è  piuttosto, un risultato possibile dell’emergenza della mente attraverso laselezione naturale.64

Concluderemo quest’ultima sezione del paragrafo 1) accennando almodo in cui la teoria del  problem solving consente a Popper di formulare

una risposta al primo interrogativo che abbiamo sollevato alla fine dellasezione precedente, e 2) riportando un’osservazione di Popper del 1974 sulrapporto bambini - TV dal punto di vista di una pedagogia basata sullateoria del problem solving .

1) La teoria dei tre mondi, e soprattutto quella della loro interazione,  pone un problema filosofico tanto urgente quanto antico: “Come fa ilMondo 2 ad ‘afferrare’ un oggetto del Mondo 3?”. Che questo sia un

 problema antico lo si può vedere subito dal fatto che esso si poneva anche per Platone, per il quale la verità, cioè il mondo delle idee, si trovava in unregno separato e trascendente rispetto alla mente umana. Di conseguenzaPopper accetta di partire dalla soluzione di Platone:

Platone descrisse il modo di afferrare le forme o le idee come una speciedi visione: il nostro occhio mentale (nous, ragione), l’“occhio dell’anima” èdotato di intuizione intellettuale e può vedere un’idea, un’essenza, un

63 Per un analogo elenco di mali cui è possibile porre rimedio cfr. ivi, cap. 19, p. 627.64  L’io e il suo cervello, vol. I, cit., “Riepilogo”, p. 254. Cfr. anche la ripresa di questo passo nell’ultima pagina del primo capitolo di  Alla ricerca di un mondo migliore, cit., p.39, che si conclude con le seguenti parole: “la critica a metà violenta, oggi ancora usuale,  potrebbe rappresentare uno stadio passeggero nello sviluppo della ragione. [...]Un’organizzazione del nostro ambiente sociale che si prefigga come meta la pace e la nonviolenza non è solo un sogno. Si tratta di una meta possibile per l’umanità e, dal punto divista biologico, chiaramente necessaria”.

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oggetto che appartiene al mondo intelligibile. Una volta che siamo riusciti avederla, ad afferrarla, noi conosciamo quest’essenza: possiamo vederla “allaluce della verità”. Una volta che sia stata raggiunta, questa intuizioneintellettuale è infallibile.

E’ stata questa una concezione che ha esercitato una grandissimainfluenza su quanti accettano, come peraltro faccio io, il problema: “In chemodo possiamo comprendere o afferrare una teoria?”. Pur accettando il  problema, io non ne condivido però la soluzione data da Platone - o perlomeno solo in una forma notevolmente modificata. 65

Innanzi tutto, Popper osserva che, seppure è ammissibile una formadi ‘intuizione intellettuale’ (a questo proposito si può pensare all’insight dicui parlano gli psicologi della Gestalt ), essa è tutt’altro che infallibile; anzi,molto spesso, le soluzioni raggiunte col lampo dell’intuizione si rivelanoerronee. Inoltre, anche se esiste qualcosa come l’intuizione intellettuale, ciònon vuol dire che possediamo un “organo di senso intellettuale” (quello chealcuni una volta chiamavano l’oculus mentis): ciò che abbiamo è la facoltàdi argomentare e di ragionare servendoci delle funzioni superiori dellinguaggio. Ma ciò che gli preme di più sottolineare, è che il problema dicome ‘afferrare’ (espressione metaforica troppo meccanica e concreta) o‘comprendere’ (termine psicologico troppo vago) un oggetto del Mondo 3,dev’essere ridotto al problema di come riproduciamo (nella memoria),

 produciamo attivamente e operiamo con oggetti del Mondo 3. Tutto ciò nonrichiede alcun oculus mentis, ma solo la capacità innata di  fare cose, come

 parlare, leggere, argomentare, ecc.:

Secondo la mia concezione, possiamo intendere l’atto di afferrare unoggetto del Mondo 3 come un processo attivo. Dobbiamo spiegarlo comel’atto di produzione di quell’oggetto, la sua ri-creazione. Per comprendereuna difficile frase latina, dobbiamo costruirla: vedere come è fatta, cioè ri-costruirla, ri-produrla. Per capire un  problema, dobbiamo tentare almenoalcune delle soluzioni più ovvie, per scoprire che falliscono; in questo modonoi riscopriamo che c’è una difficoltà - un problema. Per capire una teoria,dobbiamo prima capire il problema che ci si proponeva di risolvere conquella teoria e poi vedere se la teoria va meglio di qualsiasi altra soluzione  più ovvia. Per capire una argomentazione piuttosto difficile, come ladimostrazione data da Euclide del teorema di Pitagora (ci sonodimostrazioni più semplici di questo teorema), dobbiamo noi stessi fare illavoro, prendendo pienamente atto di ciò che è assunto senza

dimostrazione. [...]  Noi impariamo quindi come produrre gli oggetti del Mondo 3, comecomprenderli e come “vederli”, non per visione o per contemplazionediretta, bensì con la pratica, mediante la partecipazione attiva. 66 

Anche la comprensione, dunque, è   problem solving , cioè èun’attività ancorata al Mondo 3, nel senso che gli atti che ne costituiscono letappe operano sempre con oggetti del Mondo 3:

65  L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. II, p. 61.66 Ibid., p. 62 e p. 64.

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Il processo o l’attività di comprensione consiste essenzialmente in unasequenza di stati di comprensione. (Se uno di essi sia o meno uno stato“finale” può dipendere spesso soggettivamente da qualcosa non piùinteressante di un sentimento di soddisfazione). Solo se si è raggiunto unargomento importante o qualche nuova evidenza - cioè qualche oggetto delterzo mondo - se ne può dire di più. Fino ad allora, è la sequenza degli stati precedenti che costituisce il “processo”, ed è il lavoro di criticare lo statoraggiunto (cioè, di produrre argomenti critici da terzo mondo) checostituisce l’“attività”. O, per metterla diversamente: l’attività del comprendere consiste essenzialmente, nell’operare con oggetti del terzomondo.67 

Tutto, insomma, è  problem solving , e a casi particolari di  problem solving  Popper riduce anche le forme di apprendimento apparentemente

alternative, cioè l’imitazione e la ripetizione. La vera scoperta, infatti, si hasolo al livello dei tentativi audaci (che possono essere teorie sul mondooppure forme di comportamento, come abilità pratiche quali il suonare il

 pianoforte, il guidare l’automobile, ecc.) che poi vengono sottoposti alla prova della selezione, e quindi solo nel  problem solving abbiamo crescitadella conoscenza. L’imitazione, del resto, è un’abilità che dev’essereappresa e perfezionata, e ciò può avvenire solo per prove ed errori (il

 bambino, ad esempio, impara ad imitare i genitori sbagliando e riprovando).Per quanto riguarda invece la ripetizione, Popper osserva che essa serve soloa rendere automatico e inconscio ciò che abbiamo appreso per prova ederrore (ad esempio, l’esercizio ripetuto dell’uso dell’automobile fa sì che la

coordinazione dei movimenti degli arti, appresa per prova ed errore, diventiautomatica e investa livelli di coscienza e attenzione sempre più bassi). Inultima analisi, egli articola così i tre tipi di apprendimento, sottolineandoche il primo è il più importante:

1.Apprendimento nel senso di scoperta: formazione (dogmatica) delleteorie o aspettazioni, o comportamento regolare, controllato dall’eliminazione (critica) degli errori.

2. Apprendimento per imitazione. Si può dimostrare che questo è un casospeciale di (1).

3. Apprendimento per “ripetizione” o “esercizio”, come nell’imparare asuonare uno strumento o a condurre un’automobile. La mia tesi è qui che(a) non esiste un’autentica “ripetizione”, ma piuttosto (b) il cambiamento

attraverso l’eliminazione degli errori (in seguito alla formazione dellateoria) e (c) un processo che aiuta a rendere automatiche certe azioni oreazioni, permettendo così che esse scendano a un livello puramentefisiologico, e che vengano eseguite senza attenzione. 68

67 Conoscenza oggettiva, cit., cap. 4, pp. 219-220.68  Autobiografia, cit., p. 51. Per una trattazione più ampia e dettagliata delle tre forme diapprendimento cfr. Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I, cit., cap. I, pp.66-71, dove fra l’altro si legge: “Solo il primo di questi tre modi di apprendere,l’apprendimento per prova ed errore, o per congetture e confutazioni, è rilevante per lacrescita della conoscenza; esso solo è “apprendimento” nel senso dell’acquisizione dinuove informazioni: della scoperta di nuovi fatti e nuovi problemi, sia pratici che teorici,e di nuove soluzioni ai nostri problemi, a quelli vecchi come a quelli nuovi. Questo tipo di

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2) Che la teoria del   problem solving come unica procedura per 

l’acquisizione e lo sviluppo della conoscenza (tanto per l’umanità quanto per il singolo individuo) abbia una stretta relazione con le preoccupazioni  pedagogiche di Popper per l’uso sempre più massiccio e passivo dellatelevisione da parte dei bambini, è dimostrato da un passo su bambini,televisione e scuola risalente al 20 settembre 1974, che fa parte del primodei suoi dodici “dialoghi aperti” con Eccles:

Penso che sia terribilmente importante per noi evitare di essere per tuttol’arco della nostra vita dei meri recettori passivi di informazione. Si correun pericolo particolare durante l’infanzia; ed è che le nostre scuole possanotrattare i bambini come il gattino della gondola. Questo era particolarmentevero quando i bambini dovevano stare seduti in uno spazio limitato - in un

  banco che era stato creato apposta per ridurre la loro possibilità dimovimento, cosicché non dovessero disturbare gli altri bambini e,soprattutto il maestro. In altre parole, i nostri bambini una volta erano igattini della gondola. Mentre non è un gran problema se le persone dellanostra età passano il tempo immobili davanti allo schermo televisivo,ritengo che non sia davvero auspicabile l’uso della televisione o dimacchine per insegnare come mezzi di istruzione, costringendo i bambiniad avere un ruolo passivo, che consiste esclusivamente nello stare seduti adimparare. Non nego che la televisione abbia i suoi lati positivi, se l’uso chese ne fa è molto moderato; ma un giovane durante la crescita dovrebbeessere stimolato ad avere problemi e a cercare di risolverli, e dovrebbeessere aiutato nella soluzione di questi problemi solo nel caso in cui unaiuto sia necessario. Egli non dovrebbe essere indottrinato e non dovrebbe

essere imbottito di risposte laddove non venissero avanzate richieste, nelcaso in cui i problemi non nascessero dall’interno.69

 

I.3. Osservazioni sulla scuola e sugli insegnanti.

Se, per riprendere il titolo del saggio eponimo dell’ultimo libro diPopper, tutta la vita è risolvere problemi (“alles Leben ist Problemlösen”);se il cimentarsi con problemi di natura pratica o teorica (oggetti del Mondo3) è una condizione indispensabile per la crescita della nostra conoscenza(di noi in quanto specie e di noi in quanto individui), e se quest’ultima non è

apprendimento implica la scoperta di nuove abilità e di nuovi modi di fare le cose. Nei processi di apprendimento così intesi, la ripetizione (come quella della goccia che scavala pietra) non ricopre alcun ruolo. Non è l’impatto reiterato sui nostri sensi che porta aduna nuova scoperta, ma una cosa del tutto diversa: i nostri vari e ripetuti tentativi dirisolvere un problema che, insoluto, continua a irritarci”. Si noti che negando allaripetizione qualsiasi valore nella scoperta delle conoscenze (la ripetizione, cioèl’esercizio, serve al massimo a trasformare una  scoperta effettuata per tentativi ed erroriin una abilità automatica), Popper sferra una critica ulteriore all’induttivismo, basato sullacredenza nel valore delle esperienze ripetute come base per le generalizzazioni teoriche o per le aspettative comportamentali.69 Popper - Eccles, L’io e il suo cervello, vol. III, cit., “Dialogo I”, pp. 532-533.

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altro che la somma delle soluzioni via via tentate e scartate, cioè la memoriadei nostri errori,70 allora si comprendono certe osservazioni di Popper sul

disastro pedagogico e formativo cui possono condurre certe disfunzionidella scuola, dovute a) all’errata (o perlomeno obsoleta) concezione difondo che sta alla base della sua istituzione, oppure b) alla cattiva qualitàdell’elemento umano che dovrebbe contribuire a realizzarne gli scopieducativi.71 

In quest’ultimo paragrafo del capitolo metteremo in evidenzaseparatamente questi due punti basandoci su due importanti ‘digressioni’

 pedagogiche di Popper.

I.3.1. FORMAZIONE UMANISTICA  VERSUS   ‘HABITUS’ SCIENTIFICO 

 Non esistono testi del Popper ‘noto’ specificamente dedicati alla pedagogia. Come abbiamo già avuto occasione di ricordare, però, negli annidegli studi universitari egli ebbe modo di confrontarsi con problemitipicamente pedagogici sia sul piano pratico (l’assistenza ai bambiniabbandonati) che su quello teorico (la frequentazione dell’Istituto diPedagogia di Vienna). Si comprende allora perché le bibliografie piùdettagliate degli scritti di Popper riportino all’inizio alcuni titoli di

argomento strettamente pedagogico risalenti agli anni 1925-1932, tra i qualiricorderemo solo il primo, Über die Stellung des Lehrers zu Schule und Schüler. Gesellschaftliche oder individualistische Erziehung?, pubblicatosulla rivista viennese «Schulreform» nel 1925, e la tesi (incompiuta)

  presentata nel 1927 all’Istituto di Pedagogia, “Gewohnheit” und “Gesetzerlebnis” in der Erziehung . Già i titoli di questi scritti, che nonverranno mai più pubblicati da Popper, testimoniano un interesse per questioni che troveranno ampia eco nei suoi scritti di epistemologia e difilosofia della politica, quali ad esempio quella del rapporto tra ‘collettività’e ‘individuo’ (con la difesa della priorità di quest’ultimo nella Societàaperta), e quella dell’influenza dell’‘abitudine’ e della ‘ripetizione’ nei

  processi di apprendimento. Anzi, nel primo capitolo di Congetture econfutazioni Popper dirà che la sua critica al valore euristico dell’induzione  per ripetizione (cioè all’idea che le nostre aspettative di regolaritàdipendano dall’abitudine ingenerata dalla ripetizione di esperienze

70 A questo proposito Popper amava citare una battuta tratta dall’atto III del  LadyWindermere’s Fan di Oscar Wilde: “Esperienza è il nome che ognuno dà ai propri errori”(cfr. ad es.  La società aperta e i suoi nemici, vol. 2, cit., “ Addendum”, p. 514;  Poscrittoalla logica della scoperta scientifica, vol. I, cit., p. 71; Alla ricerca di un mondo migliore,cit., cap. XVI, p. 232).71 Cfr. sopra, in 1.2, quanto detto da Popper a proposito delle istituzioni come fortezze edell’elemento umano come guarnigione.

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identiche) è stata elaborata “per la maggior parte”72 proprio nella sua tesiincompiuta. Ma la svolta ‘epistemologica’ (cioè orientata alla logica,

 piuttosto che alla  psicologia, della scoperta scientifica73) subita dal suo pensiero alla fine degli anni ’20, determinò l’abbandono tanto degli studispecificamente pedagogici quanto di quelli psicologici (sui quali verteva lasua tesi di dottorato in filosofia,  Zur Methodenfrage der Denkpsychologie,

 presentata nel 1928 alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Vienna).Questo fatto, però, non deve far pensare che la pedagogia sia in

Popper un ‘atto mancato’, ovvero una possibilità sfumata. Per lui vale ciòche vale per ogni altro grande filosofo che ha creato una nuova visionedell’uomo e del mondo: il pensiero di questi filosofi (come Platone,Aristotele, Kant e, appunto, Popper), ha inevitabilmente ripercussioni sul

 piano pedagogico, e anzi fornisce spesso dei paradigmi concettuali sui quali

è possibile fondare un pensiero pedagogico caratteristico. Per dirla con unaformula, ogni grande filosofia crea il suo ‘Emilio’; e come la metafisica platonica, connessa con l’ideale politico del filosofo-re, richiede una certaorganizzazione degli studi e un certo ideale di ‘formazione’, in modoanalogo, l’epistemologia evoluzionistica di Popper, basata sul ruolofondamentale del   problem solving e connessa con il fallibilismo e conl’ideale regolativo della società aperta, implica una ben precisa concezionedella natura e del valore dell’educazione umana.

A questo proposito è significativa la densa digressione ‘pedagogica’che si trova nella nota 6 al cap. XI della Società aperta. Le osservazioni chevi sono contenute - risalenti, ricordiamolo, agli anni ’40 - sono oltremodo

interessanti e frustranti per chi, come noi in Italia, solo da pochi anni siaccinge a superare il modello gentiliano-crociano di organizzazione dellascuola e della cultura, basato su uno storicismo e uno spiritualismohegeliano che privilegia la formazione storica e letteraria su quellascientifica, dopo aver creato una netta separazione - su fondamentiepistemologici che Popper, in Miseria dello storicismo, ha smascheratocome inconsistenti - tra ‘scienze della natura’ ( Naturwissenschaften) e‘scienze dello spirito’ (Geisteswissenschaften). A questo tipo di modello delsapere (che, come ben sappiamo, ha precise ripercussioninell’organizzazione degli studi), Popper, nell’ambito di una discussionedella distinzione platonico-aristotelica tra educazione liberale, cioè

filosofico-letteraria, degna del gentiluomo libero, ed educazione tecnico- professionale, propria del βαναυσος  74, cioè del ‘meccanico’ che vive del proprio lavoro, oppone l’idea del carattere fondamentalmente unitario dellaconoscenza umana, e insiste, contro ogni principio di autorità, sul valoredella discussione aperta e della libera critica:

72 Congetture e confutazioni, cit., cap. 1, p. 90, nota 21.73 Su questo punto cfr. Autobiografia, cit., pp. 79-81.74 Per un’ampia discussione del senso di questo termine, variamente usato da Platone eAristotele per designare in generale chi fa un lavoro pratico e degradante, cfr. Popper,  La

 società aperta e i suoi nemici, vol. 2, cit., cap. XI, p. 12 e soprattutto nota 4, pp. 373-374.

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ai nostri giorni nessun uomo dovrebbe essere considerato colto se non hainteresse per la scienza.. L’abituale argomentazione che un interesse per l’elettricità o la stratigrafia non risulta necessariamente più illuminante diun interesse per gli affari umani tradisce soltanto una totale mancanza dicomprensione degli affari umani. Infatti, la scienza non è soltanto unaraccolta di fatti intorno alla elettricità ecc; essa è uno dei più importantimovimenti spirituali dei nostri tempi. Chi non si sforza di acquisire unacomprensione di questo movimento si taglia fuori dal più rilevante sviluppoche si è registrato nella storia degli affari umani. Le nostre cosiddetteFacoltà di Lettere, fondate sulla teoria che per mezzo di un’educazioneletteraria e storica si può introdurre lo studente nella vita spiritualedell’uomo, sono quindi diventate obsolete nella loro forma attuale. Non ci  può essere storia dell’uomo che escluda la rievocazione delle sue lotte econquiste intellettuali; e non ci può essere storia delle idee che escluda larievocazione delle idee scientifiche. Ma l’educazione letteraria ha anche unaspetto più grave. Non solo essa non riesce a educare lo studente, che

spesso poi diventerà un insegnante, alla comprensione del più grandemovimento spirituale del proprio tempo, ma spesso non riesce neppure aeducarlo all’onestà intellettuale. Soltanto se lo studente fa la direttaesperienza di quanto facile sia errare e di quanto difficile sia fare anche un piccolo progresso nel campo della conoscenza, soltanto in tal caso egli puòfarsi un’impressione vissuta dei criteri di onestà intellettuale, può giungereal rispetto della verità e al disprezzo dell’autorità e della presunzione. Manulla è oggi più necessario della diffusione di queste modeste virtùintellettuali. 75 

E dopo aver citato un passo tratto da  A Liberal Education di T.H.Huxley, in cui si afferma che, mentre la cosa più importante nello sviluppointellettuale di un uomo è la mancanza di riguardo per ogni tipo di autorità,nella scuola e nell’università si viene addestrati a non riconoscere altra fontedi verità che l’autorità, Popper conclude:

Riconosco che, disgraziatamente, questo è vero anche di molti corsiscientifici, che da alcuni insegnanti sono ancora trattati come se la scienzafosse un “corpo di conoscenze”, per usare una vecchia espressione. Maquesta idea, almeno lo spero, finirà un giorno con lo sparire; infatti lascienza può essere insegnata come un’affascinante parte della storia umana,come un insieme, in rapido sviluppo, di audaci ipotesi controllatedall’esperimento e dalla critica. Insegnata in questo modo, come parte dellastoria della “filosofia naturale” e della storia dei problemi e delle idee, essa  può diventare la base di una nuova educazione universitaria, liberale; di

un’educazione il cui scopo, quando non può produrre degli esperti, siaquello di produrre almeno uomini che sappiano distinguere fra unciarlatano e un esperto. Questo obiettivo modesto e liberale trascenderà digran lunga tutto ciò che oggigiorno le nostre Facoltà di Lettere riescono arealizzare. 76

I.3.2. U N  NUOVO  LAVORO  PER   GLI  INSEGNANTI  SVOGLIATI

75  Ibid ., pp. 374-375.76  Ibid., p. 375.

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Concludiamo questo capitolo ricordando una più recente (benchédalle origini molto lontane) e provocatoria ‘proposta’ di Popper per 

migliorare la scuola, da cui traspare con tutta evidenza la sua preoccupazione di garantire ai bambini un ambiente formativo dotato diquegli educatori e di quegli inputs idonei a liberare e attualizzare nel modo

  più creativo e moralmente ‘positivo’ possibile tutte le loro disposizioniinnate ad apprendere e ad adattarsi all’ambiente in cui vivono. Non saràsuperfluo far osservare che nella pagina precedente a quella in cui si trova il

 passo che citiamo si trova un’allusione proprio al luogo della Società apertariportato nella sezione precedente:

Fui tra i primi studenti dell’Istituto di Pedagogia di Vienna, era il primoanno accademico, 1925-1926 [...] Ero anch’io un entusiasta riformatoredella scuola. Contrariamente alla prassi dei riformatori scolastici ho semprediffidato delle teorie sulla riforma scolastica, e sono sempre stato critico neiloro confronti. Ho riflettuto, a quel tempo, su cosa sia più importante in unariforma scolastica. Come si può riformare davvero la scuola? Poichériflettevo sulle mie esperienze come giovane insegnante in cattive scuole,sono arrivato alla conclusione che la cosa più importante sia di dare aicattivi insegnanti la possibilità di lasciare la scuola. Ho visto che solo persone che hanno una certa dote - non si tratta di una dote propriamenteintellettuale, si tratta di un rapporto interiore con i bambini - possono essere buoni insegnanti. Molti insegnanti vengono, per così dire, fatti prigionieridalla scuola, vi stanno dentro da infelici e non possono più uscirne. Ho fattouna proposta molto semplice: a queste persone, che non sono affatto peggiori delle altre, bisogna costruire ponti d’oro perché se ne possanoandare dalla scuola; al loro posto verranno dei giovani che in parte sono

insegnanti nati. Fino a quando molti insegnanti sono insegnanti amareggiati,amareggeranno i bambini e li renderanno infelici. Rimangono nella scuolafino al pensionamento, e tirano un sospiro di sollievo quando la pensionearriva. Fintantoché nella scuola restano insegnanti amareggiati, e moltiinsegnanti amareggiati, che per comprensibili motivi terrorizzano i bambini- anche perché essi stessi vengono intimoriti dai loro superiori, ad esempiodagli ispettori -, la scuola non potrà diventare migliore. 77

Queste parole (pronunciate a un simposio organizzato a Vienna nelmaggio del 1983 per celebrare i suoi 80 anni), unitamente a quelle del 1974sui bambini e la televisione (citato alla fine del § 2), costituiscono un’ottimaintroduzione al prossimo capitolo. Vedremo, infatti, che per gli operatori e i

 produttori televisivi, in considerazione del loro enorme potere pedagogico(oggi addirittura superiore a quello della scuola), Popper avanza una proposta pressoché identica a quella avanzata per i cattivi insegnanti: poichéla televisione si sta trasformando in una ‘cattiva maestra’, allora chi ne èresponsabile dovrebbe essere invitato a cambiare mestiere in nome dellasalute mentale e morale dei bambini.

77 Karl R. Popper - Konrad Lorenz, Il futuro è aperto, cit., pp. 153-154.

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CAPITOLO SECONDO

IL PROBLEMA TELEVISIONE E L’INSEGNAMENTO DELL’ULTIMO POPPER 

 

II.1. Gli “Appunti sulla televisione” di Umberto Eco

“Appunti sulla televisione” costituisce un capitolo di  Apocalittici e

integrati, uno dei libri giovanili più famosi di Umberto Eco, uscito nel1964.78 Da giovane studioso di estetica e di teoria della comunicazione, maanche da collaboratore, sin dal 1955 (quand’ancora era appenaventitreenne), ai programmi culturali della RAI-TV, Eco era già intervenutoaltre volte sulla televisione come fenomeno “estetico” e di costume. Adesempio nel capitolo “Il caso e l’intreccio. L’esperienza televisiva el’estetica” di Opera aperta, del 1962. Riflettendo sulle implicazioniestetiche della ripresa diretta, tecnica di ‘racconto’ che caratterizza latelevisione rispetto a qualsiasi altro mezzo di comunicazione, Eco facevaosservare in questo scritto che un regista televisivo può fare ‘arte’ solo seintroduce nella ripresa diretta degli avvenimenti un elemento di

‘interpretazione’ che aiuti a sviluppare nel pubblico il senso critico e lacreatività, per esempio comunicando la consapevolezza della casualità edella “indeterminatezza profonda degli eventi quotidiani” (tipico messaggioartistico delle ‘opere aperte’ come l’Ulysses di Joyce) attraverso un‘montaggio’ in cui la ripresa dell’evento principale, come una partita dicalcio o una gara ciclistica, eseguita con la tecnica classica dell’intreccio edello sviluppo logico degli avvenimenti, sia arricchita mediante “rapideispezioni su aspetti della realtà circostante, inessenziali ai fini dell’azione

78 U. Eco,  Apocalittici e integrati , Milano, Bompiani, 1964 (noi citeremo dalla riedizionedel 1990).

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  primaria, ma allusivi perché dissonanti, come altrettante prospettive su possibilità diverse, su direzioni divergenti, su di un’altra organizzazione che

  potrebbe essere imposta agli eventi”.79 Si comprende, pertanto, laconclusione ‘pedagogica’ di queste riflessioni teoriche sulle tecniche dicomposizione artistica:

Allora, effetto pedagogico non trascurabile, lo spettatore potrebbe avere lasensazione, sia pur vaga, che la vita non si esaurisce nella vicenda che essosegue con avidità, e che egli quindi non si esaurisce in quella vicenda.Allora l’annotazione diversiva, capace di sottrarre lo spettatore allafascinazione ipnotica cui l’intreccio lo sottopone, agirebbe come motivo di‘straniamento’, rottura improvvisa di una attenzione passiva, invito algiudizio - o comunque stimolo di liberazione dal potere persuasivo delloschermo.80

Un altro precedente intervento di Eco sulla televisione  è costituitodal celebre “Fenomenologia di Mike Bongiorno” del 1961, un breve scritto

 poi incluso nel Diario minimo (1963). In questo scritto, Eco tracciava, tra ilserio e il faceto, un impietoso ritratto dell’italiano medio di allora “circuitodai mass media”, attraverso una descrizione ‘fenomenologica’ - basata cioèsulle sole caratteristiche esteriori, quali il comportamento piccolo borghese,ossequioso con l’autorità e paternalistico con i più deboli, e il modo diesprimersi banalmente referenziale e stereotipato - dell’idolo televisivo cuiall’epoca si tributava la massima gloria: il ‘personaggio’ assolutamentemediocre Mike Bongiorno, in cui “lo spettatore vede glorificato e insignitoufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti”.81

Gli “Appunti sulla televisione” costituiscono invece una sorta dilibero resoconto delle riflessioni emerse nell’ambito di una tavola rotondasu “Influenze dirette fra Cinema e TV”, che precedette l’assegnazione delPremio Grosseto del 1962, e alla quale era presente, fra gli altri, anche Pier Paolo Pasolini, che, com’è noto, aveva sulla televisione opinioni che, nellaterminologia di Eco, si possono classificare come irrimediabilmente“apocalittiche”.82 Noi qui non ci soffermeremo naturalmente sulle parti

79 U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962 (2a ed. 1967), ried. 1995, pp. 208-209.80  Ibid ., p. 209.81

In U. Eco, Diario minimo, Milano, Mondadori, 1963, ried. Bompiani 1992, p. 47).82 Si consideri, ad es., quello che avrebbe scritto qualche anno dopo (28 dicembre 1968) inun articolo su “Giornalisti, opinioni e TV” nella sua rubrica “Il Caos”, tenuta sulsettimanale  Il Tempo dall’agosto 1968 al gennaio 1970: “Il rapporto della televisione coni suoi spettatori è esattamente quello che non dovrebbe essere. Esso è: a) Tipicamenteautoritario: infatti tra video e spettatore non c’è la possibilità di dialogo. Il video è unacattedra, e parlando dal video si parla, necessariamente, ex cathedra. [...] Insomma, ilvideo rappresenta l’opinione e la volontà di un’unica fonte d’informazione, che è quella,appunto, genericamente, del Potere. E tiene così in soggezione l’ascoltatore. b) E’ unmedium di massa: essa, infatti, quale fonte di informazione centralistica, è manipolata per ragioni extra-culturali, e la sua diffusione deve tenere anticipatamente conto del bassissimo livello medio della cultura dei destinatari, a cui si asserve per asservirli” (orain P.P. Pasolini,  Il Caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1979, ried.

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iniziali dello scritto, dove si affrontano questioni strettamente estetichelegate al tema della discussione, incentrata sul rapporto tra arte

cinematografica ed (eventuale) arte televisiva. Nelle sezioni successive,invece, Eco si sofferma più specificamente sulla televisione in quantolinguaggio e fenomeno di costume che richiede, a motivo del suo enorme

 potere di influenza e quindi dei pericoli antidemocratici che essa porta consé, un’attenzione politica e culturale da parte sia degli intellettuali che delloStato.

Richiamandosi agli studi condotti all’inizio degli anni ’60 da GilbertCohen-Séat sulla ‘information visuelle’, Eco esplora il problema delrapporto tra vigilanza critica e partecipazione emotiva dello spettatoretelevisivo che, immerso sin da bambino in una sorta di avvolgente“iconosfera”, si trova nella particolare condizione di fruitore in gran parte

 passivo di un linguaggio dell’immagine (o iconico). A tal proposito, eglisottolinea il significato politico-culturale che storicamente ha caratterizzatola distinzione tra linguaggio verbale e linguaggio iconico:

Forse la TV ci sta portando soltanto a una nuova civiltà della visionecome quella che vissero gli uomini del medioevo di fronte ai portali dellacattedrale. [...] Ma il linguaggio dell’immagine è sempre stato lo strumentodi società paternalistiche che sottraevano ai propri diretti il privilegio di uncorpo a corpo lucido col significato comunicato, libero dalla presenzasuggestiva di una “icone” concreta, comoda e persuasiva. E dietro ad ogniregia del linguaggio per immagini c’è sempre stata una élite di strateghidella cultura educati sul simbolo scritto e sulla nozione astratta. Una civiltàdemocratica si salverà solo se farà del linguaggio dell’immagine una provocazione alla riflessione critica, non un invito all’ipnosi.83

Dalle ricerche di Cohen-Séat emerge però che l’“invito all’ipnosi” èquasi insito nella natura stessa del rapporto fisico e intellettuale che lospettatore è portato a instaurare col mezzo televisivo, poiché il porsi difronte a uno schermo dà luogo a una esperienza nuova rispetto a quella - piùconsapevole e carica di attese intellettuali - che si crea nel rapporto, adesempio, con un libro: il telespettatore, infatti, nel preciso momento in cuiaccende l’apparecchio televisivo, fa inevitabilmente i conti con ciò cheCohen-Séat chiama “fortuitismo iniziale”, e che consiste sostanzialmentenell’attesa di “qualcosa che non si sa ancora cosa sia, e che comunque è

1995, pp. 86-87). Come si vedrà, la visione ‘apocalittica’ pasoliniana, benché fondata suragioni ideologiche (per lui marxista, la televisione era uno strumento di ‘omologazione’delle masse nelle mani del Potere capitalistico), anticipa alcune questioni pedagogicheche ritornano nell’analisi di Popper.83 In Eco,  Apocalittici e integrati, cit., pp. 345-346. Sul concetto di “iconosfera”, cfr. G.Cohen-Séat,   Problèmes du Cinéma et de l’Information Visuelle, Paris, P.U.F., 1961 e

  L’Action sur l’Homme: Cinéma et Télévision, Paris, Denoël, 1961. Sullo specifico problema del rapporto bambino-iconosfera, cfr. anche Evelina Tarroni,   Psicologia ecomunicazioni di massa, Teramo, E.I.T., 1974, in part. cap. IV, pp. 105-133, intitolato proprio “Il bambino e l’iconosfera” (nel cap. I, p. 13 e sgg., il concetto di “iconosfera” èdefinito proprio in riferimento agli studi di Cohen-Séat).

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desiderato e valorizzato dalla nostra tensione”.84  Non appena ha inizio lafruizione vera e propria, possono darsi varie modalità di coinvolgimento

emotivo, che dipendono soprattutto dal grado di acculturazione e diautodifesa critica del telespettatore. Si può andare, così, dal “distaccocritico più totale” al “  giudizio critico che accompagna la fruizione”, e

 passando attraverso uno stato di “evasione irresponsabile”, si può arrivare“sino alla  partecipazione, alla  fascinazione o (in casi patologici) all’ipnosivera e propria”.85 

La cosa importante, poi, è che la vigilanza critica di fronte allinguaggio televisivo è in genere piuttosto scarsa (per i motivi che subitovedremo), e persino i professionisti che vedono un film da criticicinematografici raggiungono il dovuto distacco critico solo a partire dallaseconda visione:

di fatto lo spettatore culturalmente dotato si trova ad oscillare abitualmentetra una blandissima vigilanza e la partecipazione, mentre le masse sispostano subito dal fortuitismo iniziale a uno stato di partecipazione-fascinazione.86 

Questo fatto, che ha una importanza fondamentale per la questionedella violenza in TV che ha così tanto preoccupato Condry e Popper (e chené Cohen-Séat né Eco potevano ancora valutare nella sua reale portataall’inizio degli anni ’60), non è stato rilevato solo mediante osservazionisociologico-comportamentali, ma è stato anche appurato con esperimentielettroencefalografici:

Le esperienze fatte portano a ritenere che l’immagine in movimentoinduca lo spettatore a coagire con l’azione rappresentata, attraverso ilfenomeno di induzione posturomotrice: in altri termini, se sullo schermo un personaggio dà un pugno, l’elettroencefalogramma rivela nel cervello dellospettatore una oscillazione equivalente a un “comando” che l’organocentrale, per una sorta di istintiva mimesi, dà all’apparato muscolare;comando che non si traduce in azione solo perché nella maggioranza deicasi il comando è più debole di quanto occorrerebbe per passare dallareazione nervosa all’azione muscolare vera e propria.87

Questo tipo di ricerche trovano anche riscontro nell’analisi psico-

linguistica dei processi cognitivi di comprensione del significato deimessaggi. La comprensione del significato di un messaggio verbale si attuasecondo procedure cognitive dove prevale il fattore della ricerca attiva edella selezione consapevole, mentre la ricezione di un messaggio iconico ingenere non lascia spazio ad alternative e il significato dell’immagine si

84 In Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 332.85  Ibidem.86  Ibidem.87 Ibid ., pp. 332-333.

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impone alla nostra coscienza con una immediatezza tale da non richiederealcuna forma di attività critica da parte del destinatario:

La comunicazione di una parola mette in attività, nella mia coscienza,tutto un campo semantico che corrisponde all’insieme delle diverseaccezioni del termine (con le connotazioni affettive che ciascuna accezionecomporta); il processo di comprensione esatta si attua perché, alla luce delcontesto, il mio cervello, per così dire, ispeziona il campo semantico eindividua l’accezione voluta escludendo le altre (o tenendole sullo sfondo).L’immagine invece mi coglie proprio nel modo inverso: concreta e nongenerale come il termine linguistico, mi comunica tutto il complesso diemozioni e significati ad essa connessi, mi obbliga a cogliereistantaneamente un tutto indiviso di significati e di sentimenti, senza poter discernere ed isolare ciò che mi serve.88

Alla luce di queste considerazioni, si può comprendere quanto siafondata la preoccupazione pedagogica di Condry e Popper nei confronti dei bambini, la cui “iconosfera” è oggi dominata dal cumulo di violenza cheogni giorno passa attraverso gli schermi televisivi. D’altra parte, èinteressante in questo contesto rilevare che già nel 1969 Popper aveva

 potuto collegare le modalità della ricezione dei messaggi iconici alla propriateoria evoluzionistica delle funzioni del linguaggio (di cui ci siamo occupatinel capitolo precedente), osservando che la capacità di liberare reazioniemotive da parte del linguaggio iconico, e quindi la sua capacità dicommuovere e impressionare (si pensi al processo di immedesimazione, cuigià Aristotele faceva riferimento nell’ambito della propria teoria della

‘catarsi’), nonché quella di persuadere (si pensi agli spot pubblicitari), potevano essere spiegate col fatto che tra le quattro funzioni del linguaggiosolo le prime due (cioè quella espressiva e quella comunicativa) hanno una

 base  genetica negli essere umani, mentre le due funzioni superiori (cioèquella descrittiva e soprattutto quella argomentativa) hanno ancora sul pianoevolutivo lo status di comportamenti complessi che possono essere appresisolo mediante un certo esercizio e una ricerca critico-culturale pienamenteconsapevoli:

Poiché le funzioni espressiva e comunicativa sono più profondamenteradicate dal punto di vista genetico rispetto alla funzione descrittiva,l’ascoltare una storia - e, ancora di più, vederla recitata come una

commedia - ha ancora una forte tendenza a trasportarci emotivamente, e aindurre in noi un qualche tipo di accettazione, anche se siamoassolutamente coscienti del fatto che la storia è soltanto una storia. La pubblicità si basa quasi completamente su questo effetto comunicativo. 89 

Rilevati i pericoli per uno sviluppo intellettualmente sano e criticodei fruitori dei messaggi televisivi insiti negli stessi meccanismi psico-fisicidella ricezione del linguaggio iconico, Eco propone una soluzione‘politica’ al problema pedagogico e culturale rappresentato dalla televisione,88  Ibid ., p. 333.89 Popper, La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. IV, p. 118.

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nella persuasione che essa sia ormai “uno dei fenomeni base della nostraciviltà”, e che pertanto occorra anche “incoraggiarla nelle sue tendenze più

valide”.90  In accordo con l’impianto del suo libro, che in relazione ai varifenomeni della comunicazione e della cultura di massa cerca di proporre un punto di vista che si collochi in una posizione intermedia tra quello degliintellettuali “apocalittici”, cioè chiusi in una posizione di aristocratico e

 pessimistico distacco nei confronti di ogni nuovo prodotto del progressotecnologico, e quello degli intellettuali “integrati”, cioè entusiasticamente edogmaticamente favorevoli a ogni portato della modernità, Eco prende ledistanze sia dal “manicheo” che (come Pasolini e altri) giudica il mezzotelevisivo “irrimediabilmente cattivo”, sia dall’“irresponsabile tecnolatrache giudica buono il nuovo mezzo per il semplice fatto che è e prospera”91:

In realtà non vi è nessun portato della tecnica umana che non possa esserestrumentalizzato quando si abbia davvero una ideologia in base alla quale programmare le nostre operazioni; e quanto alla televisione non sono rari icasi in cui ci si è resi conto che una saggia strutturazione dei programmi ha prodotto mutamenti assolutamente positivi.92

Sulla base di questo assunto, per cui un qualsiasi mezzo della tecnicanon è intrinsecamente intriso di ideologia (buona o cattiva), ma è in séneutrale e può essere piegato a usi e scopi scelti dagli uomini di governosulla base di programmi ideologici ben precisi e chiaramente esibiti (cheinvestono anche la cultura e la pedagogia), Eco accoglie la propostaavanzata da Adriano Bellotto nel suo   La televisione inutile (Milano,

Comunità, 1962), difendendo un punto di vista ispirato a “una forma diresponsabile ‘dirigismo’ culturale”, volto a fare della televisione un veicolodi “democratizzazione e diffusione della cultura”:

Strumentalizzazione delle tecniche alla luce di chiare prospettive culturalie ideologiche. Anche perché i famosi effetti negativi della TV non vannointesi troppo disinvoltamente in assoluto, ma variano a seconda dellesituazioni sociologiche e spesso appaiono coinvolti in radicalicontraddizioni; per cui uno spettacolo che alla luce di una certa indagineappare, per esempio, fomite di delinquenza minorile, alla luce di una nuovainchiesta presenta altri effetti. [...]

Ma bisogna stare attenti a un problema: ci si possono proporre imprese delgenere solo se si crede che sia possibile una “cultura democratica”, solocioè se non si è segretamente persuasi che la cultura sia un fattoaristocratico, e che di fronte alla repubblica degli uomini colti si ergano lemasse, incorreggibili e irrecuperabili, per le quali al massimo si puòallestire una sotto-cultura (la cultura di massa), salvo poi deprecarne i modie gli effetti.93

90 In Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 317.91  Ibid ., p. 353.92  Ibid ., p. 351.93  Ibid., pp. 352-353.

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Le conclusioni cui Eco perveniva all’inizio degli anni ’60 - quandola televisione viveva la sua fase aurorale e non esercitava quella pressione

così massiccia, babelica e minacciosa che esercita oggi, e che ha finito per togliere il sonno persino a un filosofo dichiaratamente ‘ottimista’ comePopper, il quale ha conosciuto da vicino tutti gli orrori di questo secolo,dalle due guerre mondiali ai regimi totalitari - sono dunque improntate a uncauto ottimismo, non disgiunto da una piena consapevolezza dei pericolosilimiti strutturali che ineriscono alla televisione in quanto mero strumento dicomunicazione:

Le indagini degli psicologi e dei sociologi ci hanno mostrato le forzeimmense che ci troviamo a dover addomesticare, pena la distruzione dellanostra cultura; la TV ci è apparsa qualcosa come l’energia nucleare; e comel’energia nucleare può essere finalizzata solo sulla base di chiare decisioni

culturali e morali. [...] Se le conclusioni alle quali ci è parso di poter giungere via via sono sostanzialmente ottimistiche, non si debbono peraltrointerpretare - lo si è detto - come abbandoni a una mistica del laissez faire.Anche quando si convenga che in questo terribile e potente mezzo di massasi assommano le varie possibilità di diffusione culturale per il prossimofuturo, non bisogna dimenticare la natura emozionale, intuitiva, irriflessivadi una comunicazione per l’immagine.

Ricordiamo che una comunicazione attraverso le immagini è stata tipicadi ogni società assolutistica o paternalistica; dall’antico Egitto al Medioevo.L’immagine è il riassunto visibile e indiscutibile di una serie di conclusionia cui si è giunti attraverso l’elaborazione culturale; e l’elaborazioneculturale che si avvale della parola trasmessa per iscritto, è appannaggiodell’élite dirigente, mentre l’immagine finale è costruita per la massa

soggetta. In questo senso hanno ragione i manichei: c’è nellacomunicazione per l’immagine qualcosa di radicalmente limitativo, diinsuperabilmente reazionario. E tuttavia non si può rifiutare la ricchezza diimpressioni e di scoperte che in tutta la storia della civiltà i discorsi per immagini hanno dato agli uomini.94

Una politica culturale saggiamente e democraticamente dirigistica,sarebbe dunque quella di incoraggiare nel pubblico la ricerca di unequilibrio intellettualmente fertile tra la ricezione d’immagini e quella diinformazioni ‘scritte’, in modo da evitare che l’iconosfera finisca per fagocitare l’universo del libro (e oggi, nell’epoca di internet  e della TVselvaggia, possiamo valutare appieno la lungimiranza e l’attualità di questa

 proposta). Dovrebbe allora essere compito della stessa televisione quello distimolare la vigilanza critica e consapevole del telespettatore, al punto chenon dovrebbe essere “utopistico proporre alla TV una serie di trasmissionididattiche volte a ‘scondizionare’ il pubblico, a insegnare a non vederela televisione più del necessario, ad ammaestrare a identificare da soli ilmomento in cui l’ascolto non è più volontario, l’attenzione si fa ipnosi, laconvinzione assentimento emotivo”.95 

94  Ibid ., p. 356.95 Ibid ., p. 357.

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Si comprende, allora, non solo quanto sia vivo ancora oggil’avvertimento lanciato da Eco più di trentacinque anni fa, ma anche che la

sua proposta del “cauto dirigismo culturale”, ispirata dalla consapevolezzadella enorme responsabilità pedagogica di cui è investito tanto chiamministra quanto chi fa televisione, presenta delle notevoli affinità con la

 provocatoria e quasi disperata invocazione da parte dell’ultimo Popper diuna  patente per fare televisione nell’epoca del suo massimo potered’influenza e della sua più vasta diffusione.

II.2. L’analisi di Condry

  Nei termini dell’impostazione di Eco, l’analisi del problema del

rapporto bambini-televisione offerta da Condry in Ladra di tempo, servainfedele, che costituisce il presupposto della proposta di Popper,   può bendirsi ‘apocalittica’. La cosa non può sorprendere, visto che nel corso deglianni ’80 e dei primi anni ’90, con la proliferazione incontrollata delle TV

  private e della cosiddetta TV via cavo, l’universo sempre più babelicodell’“iconosfera”, oltre a realizzare in parte le possibilità dell’usoculturalmente positivo del linguaggio delle immagini auspicato da Eco (si

 pensi ai vari programmi destinati esplicitamente a uno scopo educativo einformativo che sono stati realizzati soprattutto dalla televisione pubblica),ha dispiegato in maniera vertiginosa tutte quelle potenzialità negative cheall’inizio degli anni ’60 potevano a mala pena essere intraviste. In tal senso,

uno dei fattori più preoccupanti non è più, o non è tanto, il pericolo dilivellamento dei gusti e di omologazione dei comportamenti e dei consumiche la televisione generalista porta con sé, e che le vecchie analisi -compresa quella di Eco - denunciavano, ma l’irruzione sugli schermitelevisivi di una quantità abnorme di violenza (sia vera che sceneggiata). Edè proprio l’eccessiva esposizione dei piccoli telespettatori alla violenza diogni tipo che oggi preoccupa psicologi, sociologi, filosofi ed educatori.

L’analisi di Condry parte da una considerazione puramentequantitativa relativa all’impiego del tempo da parte dei bambini:96

Per comprendere il ruolo della televisione nella vita dei bambini [...] è

importante cominciare da un’ampia panoramica delle loro esigenze. Comefa un bambino a diventare un componente utile della società? In che modosi lavora sulla sua immaturità per prepararlo alla vita adulta? Come passa iltempo? Il tempo è un’unità di misura assai utile perché, a differenza dellericchezze e delle opportunità, è un bene identico per tutti. Se la giornata èfatta di 24 ore, e se di queste 24 ore molti ne trascorrono 16 svegli, il totale

96 Condry fa riferimento ai bambini americani, perché è ad essi che si riferiscono gli studida lui citati; ma per i nostri scopi noi possiamo omettere tale restrizione e intendere per “bambini” più generalmente i bambini che vivono nelle società cosiddette ‘occidentali’,comprendendovi anche quelli che vivono nei paesi in via di sviluppo, che di quellioccidentali assorbono soprattutto i modelli (positivi e negativi) veicolati proprio dallatelevisione.

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delle 112 ore settimanali di veglia costituisce un oggetto di studioappropriato. Come trascorrono quelle 112 ore i bambini [...] di oggi, speciequelli di età compresa fra 3 e 11 anni? [...]

Si sa che nella settimana-tipo i bambini [...] trascorrono all’incirca 40 oreguardando la televisione e giocando con i videogiochi. Se a queste siaggiungono le 40 ore di scuola, compreso il tempo per andarvi e tornarvi e per fare i compiti a casa, restano soltanto 32 ore per avere rapporti con icoetanei e i familiari. Se vogliamo capire che cosa sanno i bambini sulmondo e su se stessi, occorrerà esaminare con attenzione l’ambiente creatodalla famiglia, dalla scuola, dai coetanei e in particolare dalla televisione. Ilruolo svolto da quest’ultima nel creare un ambiente in cui i bambinisocializzano merita di essere studiato.97 

Questi calcoli del tempo, apparentemente aridi, sono di sommaimportanza, perché delineano un quadro sociologico nuovissimo che

naturalmente non ha alcun equivalente in tutta la storia dell’umanità. Finoalla prima metà di questo secolo, infatti, gli esseri umani crescevano in gran  parte in un ambiente statico costituito dal luogo in cui erano nati eapprendevano mediante un’osservazione e una partecipazione dirette “lecapacità e le attitudini necessarie ad inserirsi in una società che conoscevanoed avevano a portata di mano”.98 In tal modo ciò che essi apprendevano infamiglia da piccoli poteva essere messo in pratica successivamente unavolta diventati adulti. La rivoluzione industriale aveva già cominciato amutare questa pratica millenaria creando famiglie e individui sradicati dalloro ambiente famigliare e proiettati di peso nei nuovi centri cittadini dilavoro. L’epoca del ‘villaggio globale’, poi, ha fatto sì che la componente

localistica dell’educazione, costituita dalla famiglia, dalla scuola e dalla piccola comunità di appartenenza, si riducesse al rango di aspetto quasitrascurabile del processo formativo, perché l’individuo si è sempre più vistoimmerso in un ambiente formativo contemporaneamente pluralistico (per lavarietà di dimensioni culturali cui è in grado di far accedere) e universale(perché condiviso con individui lontanissimi per radici culturali ecollocazione spaziale).

In questo nuovo ambiente formativo multidimensionale, latelevisione gioca un ruolo di primo piano, già per il semplice fatto chel’esposizione ad essa copre ormai, come abbiamo visto, un arco di temporelativamente molto ampio, sottratto soprattutto a quello dedicato una volta

ai contatti diretti con l’ambiente d’origine e allo studio.Ora, osserva Condry, l’influenza esercitata dalla televisione dipendeda due fattori: 1) dal tempo di esposizione ad essa e 2) dai suoi contenuti.E’ stato rilevato, però, che il peso del primo fattore è superiore a quello delsecondo, per cui, anche se in certa misura i contenuti proposti dallatelevisione (che possono essere liberamente scelti da un tipo di uso che oggidiremmo ‘intelligente’) influenzano lo spettatore orientandone le scelte

97 Condry, Ladra di tempo, serva infedele, in K. Popper - J. Condry, Cattiva maestratelevisione, cit., pp. 28-29.98  Ibid ., p. 28.

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consumistiche, i gusti, i costumi e spesso persino le idee politiche,“l’esposizione basta da sola ad influenzare lo spettatore”99, e questa

influenza può coinvolgere i comportamenti sociali e culturali, se nonaddirittura la salute:

Indipendentemente da ciò che vedono, i bambini che guardano molto latelevisione tendono a leggere di meno, a giocare di meno e ad essere obesi.[...] Un’occupazione passiva sul piano fisico come guardare la televisione èspesso accompagnata dall’assunzione di cibo, e gli studi mostrano un calodel tasso metabolico fra i telespettatori, specie per quanto riguarda i bambini già obesi. E’ possibile che i cibi reclamizzati sul piccolo schermostimolino lo spettatore a mangiare e il cibo è il prodotto più reclamizzato.

La televisione è una ladra di tempo. Quando i bambini la guardanoininterrottamente per ore, non fanno molte cose che sul lungo periodo possono essere assai più importanti dal punto di vista del loro sviluppo. Ma

non c’è solo questo; il contenuto di programmi e di pubblicità dellatelevisione influenza profondamente atteggiamenti, credenze e azioni dei bambini.100

L’influenza negativa della televisione sui bambini, secondo Condry,  prescinde persino dai contenuti pericolosi (violenza, scabrosità, ecc.) cheessa giorno per giorno propina, perché è insita addirittura nella stessa logicanarrativa dei cosiddetti programmi ‘per bambini’ (come i cartoni animati,che si cominciano a guardare a partire dai due anni di età) o ‘per ragazzi’(come le   situation comedies, o  sitcom, che si cominciano a guardare inmedia a partire dai sei anni di età). In genere, infatti, ‘la storia’ narrata in

questi programmi è costruita in modo tale da richiedere una scarsaattenzione e un basso grado di capacità di comprensione per essere seguita,e questo risultato è ottenuto tramite un ricorso massiccio agli effetti sonori(come le musichette e le risate preregistrate) e alla ‘marcatura’ delle azioni,cioè alla sottolineatura delle reazioni comportamentali ed emotive dei

 personaggi mediante espressioni fisionomiche (di paura, allegria, sorpresa,ecc.) fortemente standardizzate. Tutto ciò ha spesso conseguenze disastrosesulla formazione del bambino, perché la televisione lo abitua a risponderequasi esclusivamente a stimoli sonori e visivi e ad esercitare in maniera

  blanda e discontinua l’attenzione e la comprensione. In ciò la logicanarrativa dei programmi televisivi porta alle sue conseguenze estreme uno

dei difetti tipici e strutturali della scuola:La televisione è governata dall’orologio. Qualsiasi elemento drammatico

e qualsiasi incertezza che vengono introdotti debbono essere risolti esoddisfatti entro la fine del programma. Ci sono i prodotti da vendere. E’ iltempo che detta il passaggio ad un altro programma, ad altri prodotti.Almeno sotto questo profilo la televisione assomiglia alla scuola. Se unallievo s’interessa ad uno specifico argomento, se una discussionerivelatrice e coinvolgente inizia appena prima della campanella, non c’èscampo alla tirannide dell’orologio. La campanella suona: è ora di cambiare

99  Ibid ., p. 30.100  Ibid ., pp. 31-32.

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argomento. Atteggiamenti del genere banalizzano l’interesse e ostacolanol’apprendimento; dicono ai bambini di non lasciarsi coinvolgere troppo danulla. C’è forse da stupirsi se gli insegnanti riferiscono che l’attenzionedegli alunni è discontinua, che non si soffermano mai a lungo su nulla,neppure sugli argomenti che hanno scelto loro stessi? Né la televisione né lascuola promuovono l’interesse verso le materie di studio al di là di quel checonsente l’orologio; questo banalizza la ricerca del sapere.101 

Se questi effetti negativi sulla formazione dei bambini dipendonoquasi esclusivamente dalla loro mera esposizione ai programmi televisivi,cioè dal semplice fatto che la guardano, non è difficile immaginare cosa puòaccadere quando l’esposizione prolungata è associata a contenuti violenti o

 più genericamente diseducativi. A tal proposito, oltre che sulla violenzamostrata in televisione, che può ingenerare a seconda dei soggetti o una

eccessiva sensibilizzazione (i bambini possono diventare sempre più paurosi, perché tendono ad interpretare le situazioni incerte che vivono intermini di pericolo) o una graduale desensibilizzazione (i bambini tendonoad essere sempre meno colpiti dalla violenza reale che accade nel mondoche li circonda, perché la loro “iconosfera” è piena di immagini violente equindi vi si sono assuefatti e a loro volta possono diventare piùaggressivi)102, Condry insiste sul tipo di scala di valori che la televisioneinculca nella coscienza dei bambini a partire dai programmi esplicitamentedestinati a loro.

Questa scala di valori è individuata da Condry sulla base di unaanalisi prima delle ‘storie’ e delle situazioni sociali proposte nei cartoni

animati e nelle sitcom e poi dei valori veicolati negli spot pubblicitari (il cui‘bacino d’utenza’ di riferimento è notoriamente costituito soprattutto daigiovani).

Tutti sappiamo che i cartoni animati preferiti dai bambini sono quellicosiddetti di “azione-avventura” (basti pensare a quelli giapponesi chehanno per protagonisti i robots d’acciaio). Ebbene, uno dei principi che i

 bambini possono introiettare dalla frequentazione prolungata e insistente diquesto tipo di programmi, notoriamente dal contenuto molto violento, è che“il più forte ha ragione” (e non importa se, nella maggior parte dei casi, il

  più forte sta dalla parte dei ‘buoni’, in un mondo quasi sempremanicheisticamente e semplicisticamente presentato come diviso tra ‘buoni’

da una parte e ‘cattivi’ dall’altra), da cui consegue che “se uno vuole unacosa e ha più potere di un altro, la ottiene”. 103 Come si vede, un principiodel genere, anche se, come detto, è spesso associato a un’etica in cui il

 bene trionfa sempre, abitua l’individuo all’idea che il potere e la forza sianorequisiti indispensabili per avere successo nella vita, il che non è

101  Ibid ., pp. 36-37.102 Cfr. ibid ., pp. 33-34. Qui Condry ricorda che uno studio condotto sui programmi per   bambini nei primi anni ’90 dimostrava che in essi figurava una media di 25 atti diviolenza l’ora, contro i 5 l’ora dei programmi di prima serata (destinati a un pubblicoadulto).103  Ibid ., p. 33.

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esattamente il tipo di etica richiesta in una civiltà democratica, ovvero in ciòche Popper chiama una ‘società aperta’.

D’altra parte, e ciò avviene soprattutto nelle  sitcom, oltre che neicartoni animati, “il contenuto della televisione destinata ai bambini presenta personaggi maschili e femminili in ruoli stereotipati”104, e questo determinain chi guarda troppo la televisione una visione distorta, perchéultrasemplificata, delle reali situazioni sociali. Oltre che dei ruoli sessuali, latelevisione diffonde immagini fortemente stereotipate anche delle categoriesociali (ricchi, poveri, medici, poliziotti, malati mentali ecc.), ciò checontribuisce notevolmente alla percezione statica e distorta della vita realedi cui si parlava. Secondo Condry, la sempre più diffusa crudeltà dei

 bambini, il loro scarso senso di solidarietà, il fatto che tendano ad assumereun atteggiamento di scherno nei confronti dei poveri e di chi ha bisogno di

aiuto, può essere connesso con il tipo di codice etico-sociale propagandatoda certa televisione (si pensi alle telenovelas, ai serials e alle soap operas):

I poveri e i meno fortunati sono rappresentati di rado in televisione, equando ciò accade vengono additati per lo più al ridicolo. La ricchezza è lachiave per passarsela bene in TV; i più ammirati sono ricchi, vivono indimore sontuose e vanno in giro a bordo di limousine lunghe come treni. 105

La cosa assurda, prosegue Condry, è che questo tipo di televisione (peraltroseguitissima) non mostra mai nessuno impegnato nel lavoro effettivo che gli

 permette di guadagnare le ricchezze che ostenta, e ciò per il semplice fattoche la rappresentazione del lavoro umano non è televisivamente spendibile

 perché inevitabilmente lenta e noiosa, e quindi inconciliabile con le leggidella rapidità e del sensazionalismo a tutti i costi che regolano gli spettacolitelevisivi. In questo modo il mondo della  fiction televisiva esibisce unmondo possibile in cui non sussiste alcun legame tra vita e lavoro, sicché itelespettatori (e soprattutto i più giovani) rischiano di crescere nel miraggiodi una “dolce vita” di cui ignorano totalmente le condizioni materiali di

 possibilità, e ciò, come ben sappiamo dalla cronaca di tutti i giorni, porta afrustrazioni sociali che talvolta sfociano nella delinquenza e nellacriminalità.106 

104  Ibid ., p. 34.105

  Ibid ., p. 38.106 A questo proposito vale la pena rilevare che lo stesso Popper, in una intervistarilasciata alla fine del 1991, ricordava e leggeva proprio in questa chiave l’efferatauccisione di entrambi i genitori da parte di Pietro Maso, avvenuta nell’aprile dello stessoanno nell’operosa e apparentemente tranquilla provincia dell’Italia settentrionale, nonchéla sconcertante fondazione di veri e proprio   fans club da parte degli ammiratoridell’assassino: “Ho letto sui giornali di un ragazzo, in Italia, che, insieme ad altri dueamici, ha ucciso il padre perché voleva il suo denaro. Ancor più che il fatto in sé, mi hacolpito il fiume di lettere di sostenitori che ha ricevuto dopo quello che aveva fatto.Allora io chiedo: non è questa una prova che avevo ragione quando mettevo in guardiacontro la tendenza a educare i bambini alla violenza? Le lettere di sostenitoridell’assassino arrivano ovviamente da gente che sta tutto il giorno davanti allatelevisione, da quei ragazzi che passano ore e ore a guardare la TV” (in K.R. Popper,  La

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Il meccanismo di distorsione messo in pratica dalla televisione èsmascherato da Condry attraverso il riferimento ad altre analisi statistiche

che riguardano da un lato la peculiarità degli ‘insegnamenti’ che provengono dalla televisione e dall’altro la stessa “struttura dei valori inTV”.

Per quanto riguarda gli ‘insegnamenti’ che provengono dalla TV,Condry prende come esempio quelli relativi alla droga e al sesso. Da unaindagine condotta da lui e da altri ricercatori sul contenuto di un campionedi programmi (compresa la pubblicità) del 1989, è emerso che, sebbene ilgoverno degli Stati Uniti fosse impegnato in una campagna anti-droga esvariate organizzazioni finanziassero spot pubblicitari rivolti ai giovani per esortarli a non fare uso di droghe, i messaggi pro-droga disseminati nellevarie trasmissioni televisive sotto forma di incitamento al consumo di

sigarette e di alcool erano tali che per ogni messaggio anti-droga ce n’erano6 pro-droga, e in alcuni casi (come per l’alcool), il rapporto saliva a 10 a1107:

Molti messaggi “pro-droga” erano inseriti in annunci pubblicitari relativi afarmaci, birra o vino, e nelle caratterizzazioni in cui erano contenuti, i personaggi utilizzavano allegramente droghe legali - alcool e sigarette - per sentirsi meglio, per festeggiare un successo, per tirarsi su dopo unasconfitta, per rilassarsi dopo una giornata dura.108 

A proposito degli insegnamenti sulla sessualità, Condry fa notareinnanzi tutto che, a differenza che negli anni ’60 (quando le statistiche

rilevavano che per i bambini e gli adolescenti le principali fonti diinformazione sulla sessualità erano i genitori e i coetanei), a partire daglianni ’80 il ruolo di fonte di informazione principale sul tema è stato assuntosenz’altro dalla televisione. Ma come rappresenta la televisione lasessualità?

In un sondaggio del 1986, a 1100 adolescenti di età compresa fra i 10 e i14 anni è stato chiesto quali programmi televisivi preferissero. E’ seguitaun’analisi dei contenuti dei ruoli sessuali così com’erano presentati inquelle trasmissioni. La maggior parte dei riferimenti alla sessualità eranoverbali e non visivi. Il rapporto sessuale in genere era fra coppie nonsposate. I programmi in cui il sesso era raffigurato più comunemente erano

le telenovelas del pomeriggio. Negli spettacoli serali, il comportamentosessuale era largamente rappresentato in chiave umoristica, mentre leraffigurazioni in chiave seria erano circoscritte ai programmi della tardaserata, come  Dallas. L’omosessualità, menzionata di rado, figurava spessocome tema umoristico. Infine in quei programmi non era comunementerappresentata la normale gamma di comportamenti sessuali di tipo amoroso.

Lo spettatore televisivo adolescente veniva dunque esposto in media acirca 2500 riferimenti al sesso in un anno. [...] C’è forse da stupirsi cheoggigiorno i bambini abbiano problemi con l’intimità? Il comportamento

lezione di questo secolo, intervista di Giancarlo Bosetti, Venezia, Marsilio, 1992, p. 36).107 Cfr. Condry, op. cit ., p. 39.108  Ibid ., p. 40.

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sessuale non si può imparare dalla televisione, e questo per due motivi:  primo, le rappresentazioni sono generalmente false e distorte; secondo,nulla ci viene detto su quel che potremmo preferire nella gamma di possibilità che esistono.109

Per quanto riguarda invece la struttura dei valori trasmessi dallatelevisione, Condry si basa su una ricerca condotta nel 1993 sui valoriespressi negli spot pubblicitari. Facendo riferimento a una scala chedistingue tra valori  strumentali (cioè valori che vengono considerati mezzi

 per raggiungere determinati fini, come ad esempio il lavoro, inteso comemezzo per raggiungere la stabilità economica) e valori terminali (cioè valoriche sono fini in se stessi, come la sicurezza economica dell’esempio

 precedente), è emerso il seguente profilo di come dovremmo essere secondola pubblicità:

I valori strumentali citati più frequentemente negli spot pubblicitari sonostati: “essere capaci”, “essere d’aiuto agli altri”, “essere furbi”; i meno citatisono stati “essere coraggiosi” e “saper perdonare”. Fra i valori riferitiall’aspetto esteriore della persona, i più citati sono stati “essere belli” e“essere giovanili”. [...]

Di contro a questi valori strumentali, un solo valore terminale domina tuttigli altri: “la felicità”. [...] Il secondo dei valori terminali più menzionati èstato “il riconoscimento da parte della società”. I valori terminali egoistici oauto-orientati (ad esempio la felicità personale, una vita intensa o ilriconoscimento sociale) si registrano con maggiore frequenza di altri valori più altruistici come l’“uguaglianza” o l’“amicizia”.110

Gli spot esplicitamente destinati ai bambini presentano un’analoga prevalenza dei valori egoistici su quelli altruistici.

Ma la cosa più inquietante che emerge dalle analisi sui campioni ditelespettatori è che la struttura dei valori morali da essi accolta si intrecciaambiguamente con il tipo di rapporto emotivo instaurato con i personaggidella fiction. Inconsciamente il telespettatore è portato a valutare le azioni -rispetto a una scala che va dal ‘buono’ al ‘cattivo’ - a seconda se chi lecompie sia presentato come simpatico o antipatico, buono o cattivo. Ciò

 prefigura un’etica tribale dell’eroismo incompatibile con la moderna culturaoccidentale del diritto. Molti comportamenti di per sé ‘immorali’ secondo il

 più comune buon senso etico, come il ricatto, la rapina e persino l’omicidio,

vengono giudicati accettabili se a compierli è il personaggio che gode delfavore sentimentale del pubblico:

Questa dunque è la struttura morale della maggior parte dei programmianalizzati, sia di quelli per adulti che di quelli per bambini. Dunque il fattoche una cosa sia giusta o sbagliata dipende - almeno in televisione - da chila fa, non dalla cosa stessa. I valori della televisione sono riferiti ai personaggi. Ci sono buoni e cattivi; i buoni non possono fare nulla di male;

109  Ibid ., pp. 41-42.110 Ibid., pp. 42-43.

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i cattivi non possono fare nulla di buono. Questa è la concezione morale diun bambino di 5 anni.111

Tutto ciò indica chiaramente che la televisione ‘selvaggia’, che hacome unico sistema di valori coerente quello della vendita e del consumo dimerci, costituisce un grave pericolo per la formazione degli individui, iquali diventano il bersaglio di una propaganda occulta in favore diun’ideologia distorta e asservita solo al potere economico dellemultinazionali e dell’industria di una pseudo-cultura di massa.

Una via d’uscita, osserva Condry, potrebbe essere la famiglia, in cuii genitori si assumano il difficile compito di vigilare sul consumo ditelevisione dei figli e di discutere con essi dei contenuti specifici con i qualivengono a contatto. Ma questa, a ben vedere, si rivela un’impresa quasi

impossibile, se si pensa da un lato al fatto che i genitori danno per scontatoche la televisione per i ragazzi sia davvero buona per i ragazzi (e quindi nonhanno difficoltà a lasciarli per ore davanti al video nel corso del

 pomeriggio, affollato di cartoni animati e di sitcom, in cui, come abbiamovisto, si annidano messaggi distorti e standardizzati), e dall’altro al fatto chegli stessi genitori spesso sono tele-dipendenti.

Un’altra via d’uscita sarebbe un intervento che provenisse conmaggior impegno dalla televisione stessa, e cioè dal senso di responsabilitàdei produttori della televisione pubblica, i quali dovrebbero finanziare

 programmi istruttivi e veramente utili per i bambini. Ma anche questasoluzione si rivela difficilissima, se si pensa che anche la televisione

 pubblica deve concorrere sul mercato con quelle commerciali e che quindianche per essa la parola d’ordine dell’audience, al di là della retorica e dei  buoni propositi dichiarati al momento del rastrellamento del canonetelevisivo, vale più della salute sociale, fisica e mentale dei bambini. 112

L’ultima speranza, secondo Condry, è invece da riporre nella pur disastrata scuola:

Occorre che la scuola insegni ai bambini qualcosa sulla televisione, per quanto riguarda sia i programmi che la pubblicità. E’ necessario istruire i bambini sull’uso che si può fare della televisione e sulle cose per le quali latelevisione non serve. Se i bambini imparano che l’acquisizione dei benimateriali non è lo scopo supremo della vita e che molti dei valori ches’insegnano nei programmi e negli spot televisivi contraddicono ciò che siinsegna a scuola, sarà un guadagno netto. Anziché ignorare la televisione, lascuola dovrebbe incoraggiare i bambini a discutere i programmi e le idee - buone e cattive - che essa comunica. La scuola dovrebbe elaborare dei programmi pedagogici per insegnare ai bambini ad essere telespettatoricritici, e questo in età assai precoce. Lasciamo che i bambini usinoapparecchiature video per realizzare loro stessi dei piccoli spettacoli e spot  pubblicitari: che capiscano da soli quant’è facile per una telecameradistorcere la realtà.113

111  Ibid ., p. 45.112 Cfr. ibid ., p. 46.113  Ibid ., p. 47.

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Le conclusioni di Condry, alla luce dei risultati apocalittici delle sue

stesse analisi sullo stato della televisione dei primi anni ’90, sonoimprontate a un pessimismo quasi senza speranza. La televisione non puòmai diventare una buona maestra per i bambini, perché i fini che essa per sua stessa natura persegue non prevedono affatto la crescita critico-intellettuale del suo pubblico. Essa è uno strumento commerciale il cuiunico scopo è quello di intrattenere (ovvero di trattenere) il pubblico conqualsiasi pretesto, informazione, fiction, varietà, ecc., in vista del momento

 più importante per la sua sopravvivenza, i “consigli per gli acquisti”; e per raggiungere questo fine essa deve stimolare continuamente l’attenzione per evitare ogni assuefazione distratta e desensibilizzata del telespettatore,ricorrendo in maniera sempre più massiccia alla spettacolarizzazione di

tutto, si tratti della realtà o della finzione, e usando come ingrediente tuttociò che contemporaneamente turba e coinvolge morbosamente, per cui ilsesso e la violenza vengono a essere investiti di una funzione insostituibile

  proprio in ragione dei meccanismi più elementari e primordiali difunzionamento della psiche umana. Tuttavia, nota Condry, “pur essendoresponsabile dei suoi contenuti, la televisione non può essere incolpata delmodo in cui la gente la usa”.114 Una parte della responsabilità di questo usoalienato e acritico della televisione è da attribuire alla scuola, la quale,abbandonando i bambini all’ignoranza dei rischi insiti nell’abuso di unmezzo così pericoloso, è venuta meno a uno dei suoi compiti più importanti,che è appunto quello “di insegnare qualcosa della nostra cultura”, 115 e quindi

di uno dei suoi derivati dagli effetti sui comportamenti collettivi tra i piùrivoluzionari in tutta la storia del genere umano.Da tutto ciò emerge che la televisione, pur essendo destinata ancora

  per molto tempo ad occupare un posto assolutamente invadentenell’ambiente formativo degli esseri umani, non potrà mai insegnare nulladi veramente importante e utile ai bambini. E se è pur vero che i suoicontenuti possono essere notevolmente migliorati, questo non deveingenerare l’erronea convinzione che in tal modo essa potrà trasformarsi inuna guida valida per la crescita umana e intellettuale dei bambini:

Possiamo modificare i contenuti, migliorare la qualità dei programmi adisposizione dei bambini, ma l’esigenza più importante è scoraggiare i  bambini dall’usare la televisione come fonte di informazioni sul mondo.Però se insistiamo con i nostri figli affinché guardino meno la televisione,dobbiamo offrir loro altre idee su come passare il tempo. I bambini hanno bisogno di conoscere se stessi tanto quanto hanno bisogno di conoscere ilmondo; e queste informazioni si ottengono soltanto agendo nel mondo, cioètramite l’interazione reale fra esseri umani. I bambini hanno bisogno di piùesperienza e meno televisione.116 

114 Ibid ., p. 49.115  Ibidem.116  Ibid ., p. 50.

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II.3. La tesi di Popper Come abbiamo visto, la preoccupazione pedagogica di Popper nei

confronti della capacità che ha la televisione di influenzare e plasmare inmaniera preoccupante i comportamenti degli individui, e dei bambini in

 particolare, ha radici piuttosto antiche, che risalgono almeno alla primametà degli anni ’70. Tuttavia, nel paragrafo precedente abbiamo avutomodo di osservare che è solo a partire dagli anni ’80 che la televisione èentrata in una fase nuova e inquietante, caratterizzata dall’entrata in scenadei canali privati commerciali e dalla conseguente competizione selvaggia

  per gli ascolti (che poi è una competizione puramente economica,

considerato che maggiori ascolti = maggiori contratti pubblicitari), checomporta il ricorso a qualsiasi mezzo di ‘intrattenimento’, compresal’esibizione scioccante della violenza. Ed è proprio nell’abuso dirappresentazioni violente, utilizzate solo per catturare la morbosa attenzionedei telespettatori, che Popper intravedeva un pericolo enorme. Nella giàcitata intervista del 1991, egli osservava:

Su questo ho tenuto, anni fa, una lezione alla Camera dei Lords surichiesta del partito socialdemocratico britannico. La mia tesi era, ed è, chenoi stiamo oggi educando i nostri bambini alla violenza attraverso latelevisione e gli altri mezzi di comunicazione. Dissi allora, e penso tuttora,che purtroppo noi abbiamo bisogno della censura.117

Da questo punto di vista, dunque, si comprende perché agli occhi diPopper la televisione sia diventata “un grande orrore, anche se avrebbe

  potuto essere una benedizione”.118 In una intervista rilasciata a RiccardoChiaberge, apparsa a pagina 7 del Corriere della Sera del 16 luglio del1992, Popper ha addirittura indicato nella televisione una delle tre “bombe”(le altre due essendo la bomba atomica vera e propria e la crescitaincontrollata della popolazione mondiale) che minacciano l’esistenza stessadella nostra civiltà, e che occorre a tutti i costi disinnescare al più presto:

I mass media hanno un potere illimitato e irresponsabile [...] un potere chesi esercita sui nervi e sulle coscienze delle giovani generazioni. Le

immagini e i film trasmessi dalla TV sono un continuo incitamento allaviolenza. La censura, ecco cosa ci vorrebbe ...119 

L’idea di fondo della posizione di Popper - che, come vedremo, pone delle difficoltà notevoli, dal momento che ha condotto il teorico della“società aperta” e del liberalismo a invocare la pratica antiliberale per 

117 In Popper,  La lezione di questo secolo, cit., p. 35 (subito dopo ricorre la menzione delcaso di Pietro Maso, per cui cfr. supra, nota 106).118  Ibid ., p. 49.119 Ora in K.R. Popper, Come io vedo il Duemila. Sedici interviste 1983-1994, Roma,Armando, 1998, p. 106.

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eccellenza della censura - è che la televisione, diffusa ormai praticamente intutte le case del pianeta, riversa indiscriminatamente attraverso il tubo

catodico una quantità inaudita di immagini violente in ambienti familiaridove l’esperienza della violenza è una rarissima eccezione nella vita degliindividui. Questa idea è al centro di un’intervista rilasciata a GiancarloBosetti e apparsa a pagina 3 dell’Unità del 25 gennaio 1994 col titolo “Latelevisione corrompe l’umanità”. La corruzione morale che ha in mentePopper quando si parla di televisione riguarda soprattutto la crescita dellacriminalità minorile e l’assuefazione alla violenza (con la conseguenteaccettazione della violenza come fatto normale) da parte delle giovanigenerazioni; e quando gli viene chiesto come faccia ad attribuire tuttoquesto all’influenza negativa della televisione, egli osservasemplicemente che non può esserci altra causa che questa, dal momento

che, anche se è vero che la grande responsabile dell’immissione dellaviolenza nella società è la guerra, è altrettanto vero che l’ultima guerramondiale è finita da mezzo secolo. Per esemplificare la sua idea, Popper racconta un’esperienza personale:

  Nel 1920 ero responsabile di un asilo nido ed accadde una cosainteressante. La cuoca aveva un marito, di cui si diceva (non ne avevo lacertezza, ma lo sapevo soltanto per sentito dire) che in guerra era statoferito gravemente, che gli era rimasta in testa una pallottola e che era unviolento. Di fatto una volta arrivò e successero cose orribili. Si infuriò conla moglie brandendo un coltello da cucina lungo così. Io intervenni e, conuna certa audacia, riuscii a portarglielo via. [...] Presi quell’uomo e lo portaifuori dalla stanza. Feci allontanare subito i bambini, anche se non avevoalcun adulto a cui affidarli, dal luogo dove avevano visto un essere umanominacciare con un coltello un altro essere umano.120 

L’episodio di violenza cui quei bambini assistettero, spiega Popper,rappresentò senza dubbio un evento “eccezionalissimo”121 nella loro vita, efu dovuto in gran parte al fatto che l’uomo era un reduce squilibrato della

 prima guerra mondiale. Per converso, la vista e la mente dei bambini dioggi sono costantemente esposte alla violenza rappresentata in TV, e per di

 più confezionata da individui (produttori, registi, attori, ecc.) il cui unicoscopo è il tornaconto economico, col risultato che “oggi, 50 anni dopo laguerra, dei bambini vengono trovati morti, massacrati, violentati”.122 Di

fronte a questo dilagare della violenza nella società, provocato dalla suamartellante esibizione e spettacolarizzazione nella televisione, nél’opposizione dei genitori, né tantomeno quella della scuola, sono in gradodi costituire un argine valido:

La televisione è sempre molto più interessante, più elettrizzante, piùcoinvolgente, più capace di sedurre l’innocenza dei piccoli, più capace diagire anche sulle loro doti migliori, in particolare sul loro interesse per la

120 Ivi, p. 126.121  Ibidem.122  Ibidem.

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vita. La TV ha una formula imbattibile, quella dell’“azione”. «Azione,azione», è questa l’intera filosofia dei produttori TV. E che cosa puòcontrapporre un insegnante? Soltanto razionalità. Questa opposizione,dall’inizio della storia della TV, ha impiegato un tempo considerevole per svilupparsi, e ha raggiunto il suo pieno impatto solo negli ultimi dieci-quindici anni. Poi è venuta giù come una valanga. L’opposizione degliinsegnanti è senza speranza.123 

L’opposizione razionale cui pensa Popper è una regolamentazione,un codice di comportamento per chi produce televisione, istituiti sulla basedel senso di responsabilità e della consapevolezza dei danni che essa può

 provocare. Da qui, subito dopo il passo appena citato, l’analogia con ilcodice della strada e il conseguente utilizzo, del termine “patente”:

io voglio introdurre per coloro che fanno televisione una forma di disciplinae di autodisciplina come quella che regola il traffico stradale. Per guidare civuole la patente, no? Bene, facciamo la stessa cosa per la TV.

Le ragioni di una proposta così provocatoria sono esposte con piùampiezza nello scritto Una patente per fare TV , che, come abbiamo giàdetto, prende le mosse dall’analisi di Condry.

Va subito detto che Popper, a differenza di Condry, non è un‘apocalittico’; anzi, è proprio il suo inguaribile ottimismo che dovrebbefarci riflettere sui toni indubbiamente ‘apocalittici’ della sua crociata controla televisione.124 L’atteggiamento di Popper, pertanto, nella misura in cui

 prevede dei rimedi che possano mettere la televisione nelle condizioni di

dispiegare tutto il suo potenziale positivo per il miglioramento dell’umanitàe del suo rapporto con il mondo, è simile a quello di Eco; la differenza èche, mentre la vecchia proposta di Eco del “cauto dirigismo culturale” era

 per lo più la profezia di un giovane studioso di estetica e di mass media sui possibili abusi di una televisione che allora era ai suoi albori e aveva unadiffusione limitata, l’idea popperiana della “patente” è ormai il disperatogrido di allarme di un vecchio e venerabile saggio di fronte alle effettivedegenerazioni della televisione nell’epoca della sua massima espansione

 planetaria.L’analisi di Condry, dice Popper, è molto ben informata e

improntata alla chiarezza e all’oggettività; tuttavia essa ci lascia senza

123  Ibid ., p. 127.124 “E’ vero, sono un ottimista [...] ho detto che il nostro è il migliore dei mondi esistitifinora, nonostante le terribili guerre attraverso le quali siamo passati. Nessuno ignoranaturalmente che l’esperienza della violenza dovuta alle guerre abbia avuto effetti moltogravi. Ciononostante nella nostra epoca il mondo occidentale ha compiuto un gigantescosforzo di miglioramento, che ha avuto successo. Ma adesso il deterioramento è evidente e, per chi abbia gli occhi aperti, è chiaro a che cosa è dovuto: alla esposizione costante dellanostra vista e delle nostre menti alla violenza. [...] Ecco perché ritorno sulla mia tesi: latelevisione ha un enorme potere sulle menti umane, un potere che non è mai esistito prima. La sua influenza, se non la limitiamo, ci sta conducendo lungo un pendio che ècontro la civilizzazione, che rende impotenti gli insegnanti: in fondo a questo tunnel c’èsoltanto violenza” (ibid ., pp. 125 e 128).

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speranza, perché basata sull’assunto psico-pedagogico che “la televisionenon può insegnare ai bambini ciò che debbono sapere via via che crescono e

diventano adolescenti e poi adulti”125:

Io direi diversamente: non può farlo la televisione per come è organizzataadesso. Io sarei piuttosto dell’opinione che la televisione, potenzialmentecerto, così come è una tremenda forza per il male potrebbe essere unatremenda forza per il bene. Potrebbe, ma è assai improbabile che questoaccada. La ragione è che il compito di diventare una forza culturale per il bene è tremendamente difficile. Per dire la cosa nel modo più semplice, nonabbiamo gente che possa realizzare, per più o meno venti ore al giorno,materia buona, programmi di valore. E’ molto più facile rimediare genteche produce venti ore al giorno di materia buona e cattiva, e forse una o dueore al giorno di buona qualità.  126

La difficoltà, ad avviso di Popper, è ormai diventata interna,strutturale alla televisione. La proliferazione incontrollata di stazionitelevisive diminuisce automaticamente le probabilità di trovare dei

 professionisti responsabili in grado di produrre una televisione di qualità;questo fa sì che per mantenersi sul mercato della pubblicità una televisionedeve a tutti costi trovare la via  più facile per catturare audience; e la via piùfacile, come sappiamo bene, è quella del sensazionalismo, coniugato conuna materia inevitabilmente scadente perché confezionata da operatoritelevisivi improvvisati. “Il punto essenziale” - conclude Popper - “è chedifficilmente la materia sensazionale è anche buona”.127 

A tal proposito è da tenere presente che per “buono” e “cattivo”

(concetti che peraltro egli, com’è suo costume, si rifiuta di definire inmaniera precisa128), Popper intende ciò che “ogni persona realmenteresponsabile e dotata di intelletto”129 intende quando usa tali termini, e in

 particolare ciò che con essi intende chi si occupa seriamente ai problemidella pedagogia. Il problema fondamentale, allora, è per Popper quello difar tesoro della gran mole di conoscenze che si sono raggiunte nel campodelle questioni teoriche e pratiche connesse con l’educazione, riversando talicompetenze dalle università a dei programmi politico-culturali ben precisi

  per un miglioramento della produzione televisiva (tenendo presente

125 Popper  , Una patente per fare TV , in K. Popper - J. Condry, Cattiva maestra

televisione, cit., p. 14.126  Ibidem.127  Ibidem.128 Uno dei bersagli polemici più costanti di Popper è stata l’idea, di origine aristotelica eda lui stesso definita “essenzialismo metodologico”, che prima di avviare una discussionerigorosa bisognerebbe dare definizioni univoche e definitive che fornissero la descrizionedell’essenza (per Aristotele), o perlomeno del reale significato (ad esempio per ineopositivisti), dei concetti indicati da certi termini fondamentali (ad esempio “uomo =animale razionale”, oppure “scienza = classe di tutte le proposizioni vere”). Su questo punto cfr. soprattutto Popper, Miseria dello storicismo, cit., pp. 37, 43;  La società apertae i suoi nemici, cit., vol. 1, cap. III, pp. 56-59 e vol. 2, cap. XI, pp. 10-34;  Autobiografia,cit., § 7, pp. 20-33.129 Popper, Una patente per fare TV , in op. cit ., ibidem.

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naturalmente che si tratta di un compito difficile, da affidare a persone ditalento in grado di realizzare cose interessanti e buone):

Questo è il problema fondamentale, ma ce n’è un secondo, altrettantoimportante: quello che vi sono troppe stazioni emittenti in competizione.Per che cosa competono? Ovviamente per accaparrarsi i telespettatori e noncompetono, mi si lasci dire così, per un fine educativo. Non fannocertamente a gara per produrre programmi di solida qualità morale, per  produrre trasmissioni che insegnino ai bambini qualche genere di etica.Questo aspetto è importante e difficile, perché l’etica si può insegnare ai bambini soltanto fornendo loro un ambiente attraente e buono e fornendoloro, soprattutto, buoni esempi.130

Ma se così stanno le cose, allora bisognerebbe convenire con Condryche davvero la televisione di oggi non lascia alcuna speranza di essere

migliorata? Popper ammette che in effetti un confronto con la televisionedei primi anni mostra che l’unico fattore che consentiva a quest’ultima diessere più selettiva, e di poter proporre quindi programmi discreti e buonifilm, era la quasi totale assenza di competizione per il mercato pubblicitario,e cioè esattamente quel fattore che per la televisione di oggi appareassolutamente ineliminabile e imprescindibile. Da una conversazione avutacon un responsabile televisivo tedesco131, egli ha potuto appurare cheaddirittura il sistema televisivo si regge su una ideologia pseudodemocratica, tanto più pericolosa in quanto mascherata dietro l’imperativodemagogico dell’essere a ogni costo dalla parte della gente. Ritenendo chela televisione deve “offrire alla gente quello che la gente vuole”132, e che si

  possa scoprire quello che la gente vuole semplicemente leggendo i datistatistici sugli ascolti (i famigerati auditel e share), il responsabile televisivomostrava di non tener assolutamente conto dell’enorme differenza che passatra ciò che il pubblico è costretto a scegliere tra una gran mole di offertamediamente scadente e ciò che il pubblico potrebbe scegliere se gli si

 proponessero molte più trasmissioni di qualità. I dati auditel (cioè il numeroassoluto di telespettatori per programma) e lo  share (cioè il numero

  percentuale di telespettatori per programma in una determinata fasciaoraria), infatti, indicano solo ciò che il pubblico ha preferito tra quello chegli è stato proposto, ma non danno alcuna indicazione su come dovrebberoessere i programmi televisivi per non risultare dannosi allo sviluppo dei

 bambini. Naturalmente è nell’interesse - tutto economico - del responsabiletelevisivo (in definitiva un responsabile aziendale che deve difendere gliinteressi del suo padrone) sostenere che la televisione dovrebbe essere comedi fatto  sono i programmi più seguiti, e considerare questa la politicatelevisiva più democratica che si possa immaginare. “Ora”, nota Popper,130 Ibid ., p. 15.131 E’ inutile dire che quanto diremo del responsabile televisivo tedesco vale anche per iresponsabili e gli operatori televisivi italiani, i quali non fanno altro che stracciarsi levesti coram populo e dire che loro fanno solo la televisione ‘della gente’, ‘per la gente’,‘con la gente’, ecc. ecc.132  Ibid ., p. 16.

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“non c’è nulla nella democrazia che giustifichi le tesi di quel capo della TV,secondo il quale il fatto di offrire trasmissioni a livelli sempre peggiori dal

 punto di vista educativo corrispondeva ai principi della democrazia ‘perchéla gente lo vuole’. Ma in questo modo saremo costretti ad andare tutti aldiavolo!”133.

Come abbiamo visto nel primo capitolo, l’idea di democrazia su cuisi basa la filosofia popperiana della politica comprende solo il principioregolatore della difesa dalla dittatura, ma ciò non toglie che sia anchecompito di una democrazia far sì che chi dispone di più conoscenza possaoffrirne a chi ne ha di meno.

la democrazia ha sempre inteso far crescere il livello dell’educazione; èquesta una sua vecchia, tradizionale aspirazione. Le idee di quel signorenon corrispondono per niente all’idea di democrazia, che è stata ed è quelladi far crescere l’educazione generale offrendo a tutti opportunità sempremigliori. Invece i principi che lui mi ha illustrato hanno come conseguenzache si offrono all’audience livelli di produzione sempre peggiori e chel’audience li accetta purché ci si metta sopra del pepe, delle spezie, deisapori forti, che sono per lo più rappresentati dalla violenza, dal sesso e dalsensazionalismo. Il fatto è che più si impiega questo genere di spezie più sieduca la gente a richiederne. E dal momento che questo tipo di intervento èil più facile a capirsi da parte dei produttori e quello che produce una piùfacile reazione da parte dell’audience, si determina una situazione per cui sismette di pensare a interventi più difficili. Basta prendere la scatola del  pepe e metterlo nelle trasmissioni. Così un responsabile televisivo può pensare che il problema sia risolto.134 

In questo modo i governi e i responsabili televisivi non si accorgono,o fanno finta di non accorgersi, che la televisione, con un condizionamentostrisciante e continuo, sta educando i bambini alla violenza. Qui Popper fanuovamente riferimento alla sua lezione alla Camera dei Lords tenuta ottoanni prima, già richiamata nel passo dell’intervista del 1991 citato all’iniziodi questo paragrafo. E come lì il ricordo andava per associazione a unrecente fatto di cronaca (il delitto di Pietro Maso), adesso egli prende adesempio un terribile episodio di delinquenza minorile che ha sconvoltol’Inghilterra nel febbraio del 1993, e cioè il caso dei due bambini di diecianni che a un supermercato hanno rapito e poi trucidato, senza alcun motivo

apparente, un bambino di due anni (la scena del rapimento è stata addiritturafilmata dalle telecamere a circuito chiuso del supermercato, e poi puntualmente trasmessa dalle televisioni di tutto il mondo). Come in altricasi, anche su questo si stese l’ombra dell’emulazione di imprese violenteviste in TV. Ma, ricorda Popper, “sono venuti diversi esperti a sostenereche, psicologicamente, era un errore fare quel collegamento”. 135 Ebbene, è

  proprio per rispondere a questi superficiali interventi degli immancabili

133 Ibidem.134  Ibid ., p. 17.135 Ibid ., p. 19.

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“esperti” intervistati in televisione, che Popper ricollega il problematelevisione con le sue teorie di psicologia cognitiva e di biologia

evoluzionistica elaborate soprattutto negli anni ’60 e ’70. In tal modo eglivuole prendere una posizione “molto semplice e molto netta” nell’ambitodell’annosa questione della “psicologia della relazione tra i bambini e laTV”136. Il lungo passo che segue (di importanza cruciale per capire

 pienamente il senso della preoccupazione pedagogica e della proposta etico-amministrativa di Popper) va letto, dunque, alla luce del terzo paragrafo delcapitolo precedente, dove le idee psico-biologiche cui in esso si fariferimento sono state esposte con la dovuta completezza:

Tra le altre cose, quando parliamo di pensiero dobbiamo riferirciall’“orientamento nel mondo”, una capacità che di fatto è fondamentale perché possa esserci il pensare. Che cos’è? E’ la capacità di trovare lanostra strada nel mondo. Questo argomento mi riporta indietro nel tempo.Si tratta di qualcosa che mi è abbastanza famigliare e, anche se non hoscritto molto di specifico su questo punto, se ne può trovare traccia in variemie opere sulla teoria della conoscenza. Nel rapporto tra bambini etelevisione noi ci troviamo di fronte a un problema evolutivo: i bambinivengono a questo mondo strutturati per un compito, quello di adattarsi alloro ambiente. Per quanto ne so io, questa formulazione, molto semplice,non era stata finora portata dentro la discussione sul problema della TV. Inaltre parole, nel loro intero equipaggiamento per la vita, i bambini sonoattrezzati in modo da potersi adattare ai diversi ambienti che troverannointorno a loro. Essi sono perciò dipendenti, in misura considerevole, nellaloro evoluzione mentale dal loro ambiente e ciò che chiamiamo educazioneè qualcosa che influenza questo ambiente in un modo che giudichiamo

 buono per lo sviluppo di questi bambini. Noi mandiamo i bambini a scuola  perché possano imparare qualcosa. Ma che cosa significa realmente“imparare”? E che cosa significa “insegnare”? Significa influenzare il loroambiente in modo che possano prepararsi per i loro futuri compiti: ilcompito di diventare cittadini, il compito di guadagnare denaro, il compitodi diventare padri e madri per una nuova generazione e così via. Perciò tuttodipende dall’ambiente, vale a dire che, come generazione precedente, noiabbiamo la responsabilità di creare le migliori condizioni ambientali  possibili. Ora, il punto è che la televisione è parte dell’ambiente dei  bambini ed una parte per la quale noi siamo ovviamente responsabili, perché si tratta di una parte dell’ambiente fatta dall’uomo.137

L’essere umano, dunque, si adatta, cioè si forma, nell’ambiente che

trova. Un’iconosfera onnipervasiva in cui il Mondo 3 dei prodotti culturalisi sia materializzato in immagini e contenuti in gran parte violenti e volgari,costituisce un ambiente peculiare (per giunta fatto dall’uomo) in cui il

 bambino imparerà ad apprendere che la soluzione più eccitante e appagantea certi problemi della vita è fornita da sanguinosi regolamenti di contiingaggiati con le armi da fuoco più improbabili e distruttive (si pensi a“Rambo”, solo per fare un esempio - peraltro addirittura superato). Se un

 bambino che cresce e si forma un io, come abbiamo visto, è in gran parte un

136  Ibidem.137  Ibid ., pp. 19-20.

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  prodotto del Mondo 3, e se la regione del Mondo 3 con cui entra ininterazione non è quella che contiene i problemi più importanti per la

formazione umana e intellettuale e le soluzioni più adatte, né quella delleteorie scientifiche, delle opere d’arte, e degli altri prodotti culturali piùevoluti, ma quella presentata sotto la forma visibile della truculenza e dellavolgarità, espressioni della dimensione biologica più primitiva della specieumana, allora si comprende che i bambini sono costretti dall’attualetelevisione a passare gran parte del loro tempo e ad impegnare le propriecapacità di apprendimento con i sottoprodotti di un cascame culturale che faappello più alla morbosità degli istinti che alla ragione e ai sentimenti diumanità. Ecco perché Popper giunge persino a paragonare la televisione auna bomba che minaccia la nostra specie: dal momento che essa rispondesolo alla logica dell’intrattenimento, spregiudicatamente inseguito mediante

il ricorso a ogni mezzo in grado di ipnotizzare l’attenzione e di inibire lecapacità di reazione critica (le sole che hanno permesso all’umanità dievolversi creando il linguaggio argomentativo e il Mondo 3 delle teoriescientifiche), essa è semplicemente in grado di far percorrere all’umanità alcontrario tutto il percorso della civilizzazione.

Subito dopo il passo citato, e prima di venire “al problema di checosa fare”, Popper ricorda ancora una volta il suo passato di giovaneeducatore dei bambini provenienti da famiglie tormentate dalla violenza edall’alcolismo dei padri, e fa osservare che dal punto di vista del bambino, ilquale non ha la capacità di distinguere tra finzione e realtà, non c’è moltadifferenza tra la violenza vera vissuta in famiglia e quella finta vista in

televisione. Ecco perché la situazione dei suoi bambini di Vienna finitiall’Istituto per il recupero, il cui ambiente era dominato dalla violenza degliadulti, è del tutto simile a quella dei bambini di oggi, i quali, vivendo per lo

 più in ambienti familiari pacifici, assistono giornalmente a una quantitàenorme di crimini e atti violenti a causa della loro esposizione allatelevisione.138

Se ora ci si chiede se si possa fare qualcosa per porre inqualche modo rimedio a questo stato di cose, si devono fare i contisoprattutto con le obiezioni che sottolineano le difficoltà per gli statidemocratici derivanti dall’ipotesi di ricorrere alla censura, sicché il

  pessimismo e il senso di impotenza alla Condry sembrano inevitabili.

Infatti, ammettendo pure di introdurre la censura (che inevitabilmente sisposa male con il liberalismo e la democrazia), essa sarebbe praticamenteinefficace “perché arriverebbe sempre in ritardo e sarebbe praticamenteimpossibile da organizzare il lavoro di un censore preventivo sulletrasmissioni”.139 

Con questa argomentazione, come si vede, Popper abbandonal’ipotesi della censura che egli stesso, come abbiamo visto all’inizio diquesto paragrafo, aveva invocato fino al 1992. Altrettanto inefficaci

138 Cfr. Ibid ., p. 20.139  Ibidem.

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sarebbero degli interventi disciplinari a posteriori nei confronti di queglioperatori televisivi che fanno largo uso della violenza. La proposta che egli

ha avanzato tra il 1993 e il 1994 si basa, oltre che su quello già menzionatodel codice della strada, “sul modello fornito dai medici e dalla forma dicontrollo generalmente istituita per la loro disciplina”.140 Poiché èriconosciuto che i medici detengono un grandissimo potere sulla vita e sullamorte degli individui, essi sono controllati in maniera democratica daun’organizzazione gestita da loro stessi e dalle leggi statali che definisconole funzioni di tale organizzazione:

Io propongo che una organizzazione simile sia creata dallo Stato per tutticoloro che sono coinvolti nella produzione di televisione. Chiunque siacollegato alla produzione televisiva deve avere una patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora agisca in contrasto con

certi principi. Questa è la via attraverso la quale io vorrei che siintroducesse finalmente una disciplina in questo campo. Chiunque facciatelevisione deve necessariamente essere organizzato, deve avere una patente. E chiunque faccia qualcosa che non avrebbe dovuto fare secondo leregole dell’organizzazione, e sulla base del giudizio dell’organizzazione, può perdere questa patente. L’organismo che avrà la facoltà di ritirare la patente sarà una sorta di Corte. Perciò tutti, in un sistema televisivo cheoperasse secondo la mia proposta, si sentirebbe sotto la costantesupervisione di questo organismo e dovrebbe sentirsi costantemente nellecondizioni di chi, se commette un errore, sempre in base alle regole fissatedall’organizzazione, può perdere la licenza.141

Ad avviso di Popper, una supervisione che operasse in questo modo

sarebbe molto più efficace della censura, non solo perché avrebbe unafunzione preventiva, ma anche perché il rilascio della patente dovrebbeseguire la frequentazione di un corso di formazione ben preciso e ilsuperamento degli esami relativi:

Uno degli scopi principali del corso sarà quello di insegnare a colui che sicandida a produrre televisione che, di fatto, gli piaccia o no, sarà coinvoltonella educazione di massa, in un tipo di educazione che è terribilmente  potente e importante. Di questo si dovranno rendere conto, volenti onolenti, tutti coloro che sono coinvolti nel fare televisione: agiscono comeeducatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambinie ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver parte

nella educazione degli uni e degli altri. [...] Ritengo che i corsi debbanoessere basati sull’insegnamento dell’importanza fondamentale dellaeducazione, delle sue difficoltà e del fatto che il punto centrale del processoeducativo non consiste soltanto nell’insegnare fatti, ma nell’insegnarequanto sia importante l’eliminazione della violenza.142

L’ultima osservazione del passo citato richiama un’idea importantedella filosofia popperiana della biologia evoluzionistica, che abbiamo

140  Ibid ., p. 21.141  Ibid ., pp. 21-22.142  Ibid ., p. 22.

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illustrato nella sezione 2.3 del capitolo precedente (si veda in particolare lacitazione del passo conclusivo del primo volume de  L’io e il suo cervello,

nel testo relativo alla nota 54 del primo capitolo). Si tratta dell’idea che ilsuperamento dei meccanismi violenti della selezione naturale darwiniana -reso possibile dall’emergenza del linguaggio argomentativo e del Mondo 3umano, che consentono di eliminare pacificamente le teorie inadatte (cioèfalsificate) formulate linguisticamente e oggettivate (ad esempio nei libri),

 piuttosto che i loro portatori biologici (cioè i corpi umani), come inveceaccade ancora per gli animali, i quali hanno raramente il tempo e il modo diapprendere dai loro errori, essendo questi quasi sempre letali - può benconsiderarsi un importantissimo passo in avanti nella storia evolutiva,

 perché in questo modo è come se la selezione naturale avesse superato sestessa. Di conseguenza per Popper il grado di civilizzazione di una società è

inversamente proporzionale al grado di violenza che essa tollera sottoqualsiasi forma, compresa naturalmente quella simulata nella  fictiontelevisiva:

in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di comportarsi?Consiste nel ridurre la violenza. [...] Nel corso si dovrà insegnare come i  bambini ricevono le immagini, come assorbono quello che la televisioneoffre e come cercano di adattarsi all’ambiente influenzato dalla televisione.Si dovranno insegnare i meccanismi mentali attraverso i quali sia i bambiniche gli adulti non sono sempre in grado di distinguere quello che è finzioneda quello che è realtà. [...] I procedimenti mentali che distinguono osovrappongono realtà e finzione devono essere conosciuti dai lavoratoridella televisione perché per molti di loro sono una novità. Molti di loroignorano le conseguenze subconsce che il loro lavoro ha sia sui bambini chesugli adulti. E’ evidente che questo genere di effetti della televisionedipende dal livello di intelligenza degli ascoltatori e da altri fattori: tuttoquesto dovrà essere oggetto dei corsi, nei quali si metterà una particolareattenzione al rischio di mescolare realtà e finzione e agli effetti diconfusione che ne possono derivare sui soggetti esposti. [...] E laconcessione della patente dovrà essere subordinata a un esame con il quale icandidati dimostrino non soltanto di avere appreso la materia, ma anche diessere consapevoli della loro responsabilità educativa nei confrontidell’audience. E dovranno promettere di tenere fede a questa responsabilitàagendo di conseguenza. Chi fa televisione dovrà saper bene quali sono lecose da evitare in modo da impedire che la sua attività abbia conseguenzeantieducative.  143 

Per concludere questo capitolo, e anticipando il tema del prossimo,osserviamo che un tale organo di controllo, secondo Popper, agirebbe

  plasticamente nella gerarchia delle strutture del sistema della produzionetelevisiva. Poiché infatti l’esame per il rilascio della patente dovrà esseresostenuto a tutti i livelli, da quello dei dirigenti a quello dei tecnici e deicameramen (i quali potranno rifiutarsi di lavorare a certi programmi per tenere fede all’impegno assunto e per evitare di perdere la patente e illavoro), verrebbe a crearsi “una situazione in cui il produttore è sottoposto

143  Ibid ., pp. 22-24.

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di fatto al controllo della gente che lavora alle sue dipendenze”144. Solo inquesto modo il controllo e l’autocontrollo della televisione ne ricondurranno

il potere di influenza entro una dimensione compatibile con la democrazia,la quale può esistere solo a condizione che qualsiasi tipo di potere, da quello  politico a quello economico, da quello giudiziario a quello dei massmedia, sia posto sotto controllo e sia pertanto suscettibile di essere criticatoed eventualmente eliminato, se dovesse arrivare al punto da minacciaredirettamente la sopravvivenza stessa della democrazia.

CAPITOLO TERZO

UNA PATENTE PER  FARE TV NELLA “SOCIETÀ APERTA”: CONTRADDIZIONE IN TERMINI O CONDIZIONE DI POSSIBILITÀ? 

III.1. Obiezioni alla proposta di Popper 

La proposta di regolamentazione amministrativa del sistema dellatelecomunicazione, avanzata da Popper sulla base di preoccupazionisoprattutto pedagogiche, etico-politiche e antropologico-culturali, hasuscitato naturalmente una serie di obiezioni da parte di chi si sentivachiamato direttamente in causa. Gran parte di tali obiezioni eranoimprontate a una faziosità così ottusamente arroccata in una mera difesa

corporativa, che meritano appena di essere menzionate.A tal proposito basta riportare quanto scriveva Giancarlo Bosettinella sua “Introduzione” al volumetto:

Esemplare per chiusura mentale la reazione di un alto dirigente dellatelevisione italiana: “... adesso apprendo che la televisione più della guerra,della scuola, del lavoro e di tutto il resto ... influisce sulla formazione dellamente umana a partire da quella fragile (manco a dirlo) dei bambini ...effetti nefasti della televisione. Ma quali effetti nefasti? Non vorremo micadire che in Jugoslavia si stanno ammazzando sulla televisione!”. La battutafinale rivela una tale ignoranza della funzione della TV in generale e neiBalcani in particolare, dove il martellamento razzista via video ha preparatoi soldati ai massacri, da farci pensare ai corsi di addestramento allecomunicazioni di massa suggeriti da Popper come qualcosa diassolutamente urgente.145

Le obiezioni più importanti che sono state mosse alla proposta diPopper sono naturalmente quelle che la collegano al pensiero complessivodel suo autore (apparentemente rivolto a tutt’altro), perché naturalmente il 

 problema  sta proprio qui.

144  Ibid ., p. 24.145 In Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, cit., p. 11, nota 4.

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Gli attacchi alla televisione, infatti, risalgono ai primi giorni dellasua nascita e, come abbiamo ricordato nel primo paragrafo del capitolo

 precedente, è esistita ed esiste tutta una schiera di intellettuali ‘apocalittici’o ‘manichei’, come direbbe Eco, alcuni dei quali di ispirazione marxista e  pregiudizialmente ostili al progresso tecnologico, che considerano latelevisione come negativa in sé, in quanto prodotto (o sottoprodotto) dellaciviltà della tecnica, organico con gli interessi economici del sistemacapitalistico euro-americano e utilizzato come strumento propagandistico diomologazione all’Ideologia Unica del consumismo. In questo senso, la

 posizione di Popper non sarebbe altro che una delle tante voci di un coro dicui si conosce già la canzone.

Il problema, invece, è che il grido di allarme proviene da uno deimassimi teorici del liberalismo politico e del liberismo economico, dal

critico implacabile del marxismo e di tutti gli idealismi storicistici (per definizione denigratori della conoscenza scientifica e dei suoi ‘cascami’tecnologici), nonché dal più appassionato difensore del valore della scienzae delle sue applicazioni tecnologiche quali  strumenti biologici esosomaticidi adattamento e di progresso civile e culturale. Come fa, dunque, Popper a

 prendersela con la televisione di oggi, la quale in fin dei conti è il risultatodella scienza applicata, del liberismo economico e della libertà diespressione, tutte componenti che sono state da lui sempre difese? In effetti,come nota Bosetti, “il problema televisione si presentava, nel camminodella società aperta verso un mondo migliore, come un terribile inciampo,dal momento che la TV è figlia, oltre che del progresso tecnologico, anche

della libertà”.146

 Come si vede, sembrerebbe che a voler coniugare l’idea di una‘patente’ per fare televisione con quella della ‘società aperta’, si cada in unasorta di insuperabile contraddizione in termini. E’ da questa difficoltà prima

 facie, allora, che bisogna partire per comprendere appieno il senso politico,oltre che psico-pedagogico, della proposta di Popper.

  Noi qui cercheremo di enucleare distintamente le obiezioni piùimportanti che possono essere mosse ad essa, ricostruendo puntualmente lecontro-argomentazioni di Popper, al fine di dimostrare che in effetti, sotto lasuperficie della contraddittorietà, la patente per fare televisione eraconcepita dal nostro filosofo addirittura come una sorta di condizione a

 priori di possibilità per la stessa democrazia (fondamento della societàaperta) nell’era del villaggio globale.Le tre obiezioni che prenderemo in considerazione, tutte presentate

direttamente allo stesso Popper da Bosetti nel corso delle interviste giàricordate del 1991 e del 1994, investono tre campi diversi, ma tra lorocollegati, degli interessi del filosofo: 1) l’evoluzione biologica; 2) il

 progresso tecnico-scientifico; 3) il liberalismo politico.1) La prima obiezione collega il problema del rapporto televisione-

 bambini a quello più generale dell’adattabilità degli organismi viventi al

146  Ibid ., p. 9.

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loro ambiente naturale. Essa può essere formulata nel modo seguente: Se,come Popper ha spesso sottolineato, tutti gli esseri viventi, e soprattutto

l’uomo, vengono al mondo dotati di un bagaglio considerevole didisposizioni o capacità adattive innate, perché allora il bambino nondovrebbe riuscire a dominare (e quindi a vivere bene in) un ambiente in cuiè presente un oggetto pur complesso e insidioso come la televisione?147 

La premessa teorica della risposta a questa prima obiezione èimplicita nel passo di Una patente per fare TV citato nel testo relativo allanota 60 del capitolo precedente. A Bosetti Popper replicava: “Sì, i bambinisi adattano, se esposti costantemente a situazioni estreme, ma l’adattamentoalla violenza è proprio il problema di cui stiamo parlando. La conseguenza

 più coerente dell’adattamento è un futuro in cui anche loro comprerannouna pistola”.148 L’adattamento all’ambiente, in effetti, è un processo per cui

l’organismo apprende a riprodurre delle risposte comportamentali che possono considerarsi come delle aspettative, e cioè, nella terminologia diPopper, delle vere e proprie ipotesi o teorie sul modo di presentarsi infuturo di certe situazioni dell’ambiente. Gli organismi, infatti, “sono inattesa di regolarità e di legalità nel loro ambiente, e la maggior parte diqueste attese sono [...] condizionate geneticamente, cioè innate”.149 Inquesto modo, un organismo è portato biologicamente, oltre che a imparare adifferenziare le risposte a seconda delle diverse sfumature degli stimoli (per esempio distinguendo un frutto edule da uno letale e di aspetto molto simileal primo), anche a generalizzare le risposte comportamentali, cioè a reagireallo stesso modo di fronte a stimoli interpretati come simili. Questo

 processo di generalizzazione, ben noto agli psicologi, fa sì ad esempio che i  bambini sovraesposti a immagini televisive violente apprendano dellerisposte comportamentali (come la paura e l’aggressività) adeguate allesituazioni ambientali, finendo addirittura non solo con l’assuefarsi ad essema a considerarle del tutto naturali, cioè tipiche del loro ambiente. In questomodo è giocoforza che la violenza finisca con il costituire una dellecomponenti strutturali della loro formazione umana e intellettuale:

Sono stato un educatore di bambini e so che non amano la violenza.Quando ci capita di vedere al cinema con dei bambini film di avventura conqualcuno che muore, sappiamo bene che i piccoli chiudono gli occhi appenala situazione si fa pericolosa. Ma questo accade fino a quando qualcosa non

si spezza in questo loro atteggiamento. E come i cavalli, che vengonoaddestrati ad affrontare la violenza, così anche i bambini finiscono per chiedere sempre più violenza perché l’abitudine prevale sui loro sentimentidi paura e di avversione.150

147 Cfr. Popper, Come io vedo il duemila , cit., p. 126. Ho parafrasato la prima obiezione diBosetti nell’intervista del 25 gennaio 1994.148  Ibidem.149 Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, Milano, Rusconi, 1996, cap. 1, p. 22.150 Popper, La lezione di questo secolo, cit., pp. 36-37.

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Come si vede, la prima obiezione non coglie nel segno, anzi finiscecol rafforzare la posizione di Popper con argomenti di carattere psico-

  biologico basati su teorie del comportamento animale (alcune delle qualielaborate dallo stesso Popper per superare quelle della scuola behaviourista)ormai ampiamente accettate.

2) La seconda obiezione chiama in causa il progresso della scienza edella tecnica, che Popper ha sempre auspicato e difeso, inserendolo nelquadro più generale dell’evoluzione e dell’adattamento biologico. Se, comeegli stesso ha detto e ripetuto innumerevoli volte, dal punto di vista

  puramente adattivo qualunque invenzione tecnologica (resa possibiledall’emergenza evolutiva delle funzioni superiori del linguaggio e dalleteorie che costituiscono la “provincia logica” del Mondo 3) sta all’uomocome un nuovo organo (o un nuovo comportamento) sta agli altri animali151,

allora, rileva Bosetti, “non si può fermare la televisione. E’ assurdo, è come pensare a un mondo senza elettricità, senza telefono ...” 152.

Il contro-argomento di Popper a questa obiezione (che nei termini diEco si potrebbe chiamare ‘l’obiezione del tecnolatra’, e che lo stesso Popper non prende molto sul serio) è incentrato sul concetto di regola:

Elettricità, telefono, automobili. Ma che cosa significa questa obiezione?Tutte queste cose non sono regolate? Il traffico automobilistico non èregolato da norme molto precise? Ma pensiamo a quale incredibile pericoloci esporrebbe un uso delle automobili senza il codice della strada. Ah, trovoquesto genere di obiezioni davvero perfetto! 153

All’osservazione di Popper, che chiama in causa il ruolofondamentale delle regole che governano qualsiasi tipo di istituzionesociale, possiamo aggiungerne un’altra, basata sul significato adattivo da luiattribuito alle invenzioni tecnologiche. Dal fatto che la tecnologia siaconsiderata da Popper un prodotto dell’evoluzione assimilabile a unamutazione genetica, non si può dedurre automaticamente (come fa iltecnolatra) che qualsiasi nuova invenzione sia da prendere comunque per 

 buona, cioè come un qualcosa che non può non essere efficace dal punto divista dell’adattamento. Infatti, come una mutazione genetica che modifica151 Si legga per esempio il passo seguente, tratto da uno dei saggi fondamentali del Popper ‘evoluzionista’,  Nuvole ed orologi (Of Clouds and Clocks, 1966), che ora costituisce il

cap. 6 di Conoscenza oggettiva: “L’evoluzione animale procede in larga misura, se nonesclusivamente, attraverso la modificazione degli organi (o del comportamento) oattraverso l’emergere di nuovi organi (o di certi comportamenti). L’evoluzione umana procede, in larga misura, attraverso lo sviluppo di nuovi organi al di fuori dei nostri corpio persone: ‘esosomaticamente’, come dicono i biologi, o ‘extra-personalmente’. Questinuovi organi sono strumenti, o armi, o macchine, o case. Gli inizi rudimentali di questosviluppo esosomatico possono ovviamente rintracciarsi tra gli animali. Fare tane, covi onidi è un’antica conquista. E mi si permetta di ricordare che i castori costruiscono delledighe veramente ingegnose. Ma l’uomo, invece di sviluppare migliori occhi e miglioriorecchie, produce occhiali, microscopi, telescopi, telefoni e cornetti acustici. E invece disviluppare gambe sempre più veloci, produce automobili sempre più rapide” (cit., p. 312).152 Popper, Come io vedo il Duemila, cit., p. 127.153  Ibidem.

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uno o più organi o ne crea di nuovi (o come una modificazione nelrepertorio comportamentale che comporti, ad esempio, nuove preferenze

alimentari), può essere letale   per un singolo individuo o per l’intera popolazione animale, allo stesso modo una nuova invenzione tecnologica  può comportare conseguenze impreviste in grado di minacciare lasopravvivenza della specie umana, o perlomeno delle sue conquiste civili eculturali. Il grado di imprevedibilità di tali conseguenze, naturalmente, variaa seconda dei casi. Nel caso della bomba atomica, ad esempio, ladistruttività è stata in gran parte  programmata, anche se poi la corsa

 planetaria all’armamento nucleare ha reso chiaro a tutti che una terza guerramondiale a colpi di bombe atomiche non avrebbe avuto vincitori, ma solo lascomparsa del genere umano (e non solo) dalla faccia della terra. Nel casodella televisione, invece, il pericolo che essa può costituire per l’umanità, a

causa dei suoi effetti psico-pedagogico incontrollabili, è andato emergendolentamente nel corso degli ultimi due decenni, e molti ancora non ne hannoun’adeguata consapevolezza. Come osserva Bosetti, Popper “sembra trattarel’invenzione della TV e i suoi effetti sociali come qualcosa di cui la nostraepoca non è ancora pienamente cosciente”154. E come vedremo nel prossimo

  punto, neppure i nemici della democrazia hanno ancora compreso benequale strumento di “potere infinito” può essere la televisione.

3) La terza obiezione è certamente la più importante, perché mette indiscussione le fondamenta stesse del pensiero politico di Popper. Come glidiceva Bosetti, “le viene fatta anche un’obiezione di tipo liberale. Lei è il teorico della “società aperta”, lei sostiene la funzione dell’economia di

mercato e poi, quando si parla di TV, vuole imporre regole di ferro”155

. E’ parso infatti (ovviamente a commentatori alquanto superficiali) che l’autorede La Società aperta e i suoi nemici avrebbe incluso quello di Una patente

 per fare TV nella schiera dei “nemici” della “società aperta”, capeggiata daPlatone, Hegel e Marx. Come poteva difendersi Popper da una taleobiezione? Dalla sua risposta si deduce che essa potrebbe essere mossa soloda chi non abbia compreso né la Società aperta né Una patente per fare TV :

Ma anche questa obiezione che cosa significa? Il mercato non ha le sueregole? E allora se un editore italiano pubblica un mio libro, non mi deve pagare i diritti d’autore? E questa sarebbe contro la “società aperta”? Inogni campo della vita sociale ci sarebbe il caos se non avessimo introdotto

delle regole. Ma non soltanto: per funzionare il mercato ha bisogno di uncerto ammontare di fiducia, di autodisciplina, di cooperazione oltre che diregole.156

154 G. Bosetti, “Introduzione” a Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestratelevisione, cit., p. 10.155 Popper, Come io vedo il Duemila, cit., p. 127.156  Ibid ., pp. 127-128. Cfr. anche la risposta data da Popper nel 1992 a Riccardo Chiaberge(il quale, subito dopo il passo dell’intervista riportato nel testo relativo alla nota 42 delcapitolo precedente, gli obiettava: “La censura, professore? Le sembra un’idealiberale?”): “A me la censura non piace, ma bisogna scegliere tra vari poteri, e i poteri sidevono controllare tra loro. Oggi chiunque può andare a lavorare in televisione. Io pensoinvece che uno che fa un mestiere così delicato dovrebbe avere quanto meno una licenza,

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Già nell’intervista del 1991, subito dopo l’affermazione di Popper 

che, di fronte all’incontrollato dilagare della violenza in televisione,“purtroppo noi abbiamo bisogno della censura”, Bosetti gli facevaosservare: “Colpisce che questa affermazione la faccia un liberale come lei.Il tema della degradazione dei mezzi di comunicazione di massa è infattiuna obiezione che viene rivolta spesso, soprattutto negli stati Uniti, maanche dalla cultura critica tedesca, al permissivismo dei liberali. Ladenuncia dei guasti della pornografia e della violenza è un cavallo di

 battaglia degli avversari del liberalismo”157. Come abbiamo già avuto mododi rilevare, infatti,  prima facie Popper si trova schierato con i più tipicinemici del liberalismo e del progresso tecnico-scientifico, ovvero, nella suaterminologia, con i falsi profeti nemici della società aperta. Popper 

naturalmente, sa benissimo che la censura sulla televisione è incompatibilecon la libertà di espressione su cui si fonda una democrazia; nonostante ciò,egli è pronto a bere il calice di una limitazione della libertà di espressione(attuata magari con l’istituto della licenza, anziché con quello dellacensura), in nome della salute mentale dei bambini:

Mi dispiace dirlo proprio perché sono un liberale e non sono favorevolealla censura. Il fatto è che la libertà dipende dalla responsabilità. Se tuttifossero pienamente responsabili per il modo in cui vivono - in cuidovrebbero vivere - e considerassero gli effetti delle loro azioni sui bambini, non avremmo bisogno della censura. Ma purtroppo le cose nonstanno così e la situazione è andata sempre peggiorando: la gente vuolesempre più violenza, chiede alla televisione di mostrare più violenza. Non possiamo accettare che si vada avanti così.158

Tutto ciò richiede una riflessione attenta e pacata sulla nozione dilibertà da assumere nell’ambito di uno Stato democratico, ovvero di una“società aperta”. Negli ultimi dieci anni della sua vita Popper è tornatoinstancabilmente sul tema della libertà, esplicitando quegli aspetti inerentialla ‘gestione’ di essa negli Stati democratici che nella Società aperta eranorimasti in gran parte impliciti.

  Nella “Postfazione” a Il futuro è aperto, scritta nel dicembre del1984, Popper riprendeva e approfondiva il tema della “società aperta” (dicui si era discusso nel corso della terza giornata del simposio per i suoi

ottant’anni tenutosi a Vienna nel maggio dell’anno prima) proprio dal puntodi vista del problema della libertà e delle sue inevitabili limitazioni:

Tutti i nostri valori hanno dei limiti. Ed è difficile tracciare questi limiti.Così è con la libertà. E’ chiaro che la mia libertà deve avere dei limiti.

Come disse una volta un giudice americano: “Il limite della tua libertà di

frequentare dei corsi di psicologia, passare un esame. E se dimostra di non sapere usare inmodo irresponsabile il proprio potere, bisognerebbe ritirargli la licenza” (ivi, p. 106).157 In Popper, La lezione di questo secolo, cit., p. 36 (cfr. anche  supra, cap. II, § 3, testorelativo alla nota 40).158  Ibidem.

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muovere i tuoi pugni come ti pare e piace è il naso del tuo vicino”.Arriviamo così a ciò che il grande filosofo Kant ha descritto come leinevitabili limitazioni della libertà dovute alla convivenza umana.159 

Considerazioni analoghe si trovano nel paragrafo 6, “La libertà e ilimiti della libertà”, della conferenza Osservazioni sulla teoria e sulla prassidello Stato democratico, tenuta da Popper a Monaco di Baviera il 9 giugno1989, e pubblicata prima in traduzione spagnola su “La Nación” delsettembre 1990, poi nel 1992 in traduzione italiana come Appendice I a  Lalezione di questo secolo, e infine nel 1994 come capitolo 10 di Tutta la vitaè risolvere problemi:

in una certa misura siamo tutti corresponsabili col governo, anche se non partecipiamo direttamente al governo. Ma la nostra corresponsabilità esige

libertà - molte libertà: la libertà di parola, la libertà di accesso alleinformazioni e la libertà di dare informazioni, la libertà di  pubblicazione emolte altre. Un “eccesso” di statalismo porta alla illibertà. Ma c’è anche un“eccesso” di libertà. C’è purtroppo un abuso di libertà, analogo a un abusodel potere statale. Si può abusare della libertà di parola e di stampa che, adesempio, possono essere usate per dare false informazioni e per sobillare. Inmodo del tutto analogo il potere statale può abusare di ogni limitazionedella libertà.

Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà.Questo è un problema che chiaramente non può mai essere risoltoastrattamente e in linea di principio con delle leggi.

E’ necessaria una corte costituzionale e, più di ogni altra cosa, una buonavolontà. [...] Dobbiamo accontentarci di soluzioni parziali e dicompromessi, e non ci è consentito farci indurre dalla nostra inclinazionealla libertà a trascurare i problemi del suo abuso. 160

E’ in quest’ottica, allora, che bisogna leggere gli ultimi duecapoversi di Una patente per fare TV . La preoccupazione politico-

 pedagogica di Popper è che la televisione si stia configurando sempre piùcome un potere ‘assoluto’, cioè propriamente ‘sciolto’ (ab-solutus) da ognicontrollo democratico, e in tal senso la sua presenza minaccia le basi stessedella democrazia:

La proposta che io ho qui avanzato non è soltanto molto urgente, ma dal punto di vista della democrazia è anche assolutamente necessaria. E spiego perché in poche parole conclusive. La democrazia consiste nel mettere sottocontrollo il potere politico. E’ questa la sua caratteristica essenziale. Non cidovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora,è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come sefosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirnel’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si

159 Karl R. Popper - Konrad Lorenz, Il futuro è aperto, cit., pp. 177-178.160 Popper,  La lezione di questo secolo, cit., pp. 68-69 (in Tutta la vita è risolvere

 problemi il passo è alle pp. 207-208).

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mette fine. In questo momento se ne abusa sicuramente, per esempio, inJugoslavia, ma l’abuso può avvenire dovunque. Se ne fece ovviamenteabuso in Russia. In Germania non c’era la televisione sotto Hitler, anche sela sua propaganda fu costruita sistematicamente quasi con la potenza di unatelevisione. Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere infinito.161

Come si vede, dunque, la proposta di Popper è lungi dall’essere incontrasto con il suo liberalismo. Anzi, possiamo dire che se davvero latelevisione avesse un potere anche soltanto lontanamente simile a quellotemuto da Popper, allora indubbiamente l’idea di istituire a tutti i livelli una

  patente per chi fa e produce televisione sarebbe non solo sensata, mastabilirebbe una delle regole-base di limitazione della libertà nel giocodemocratico, un’autentica condizione di possibilità:

Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo latelevisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il  potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto. Dico così  perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tuttoconsapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi contofino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anchenelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi. Noi dobbiamosaper vedere ora questa possibilità e controllare la televisione con i mezziche qui ho proposto. Naturalmente io credo che essi siano i migliori e forseanche gli unici. E’ ovvio che qualcun altro può avanzare proposte migliori,ma finora non mi pare di averne sentite .162

III.2. La proposta di Popper e l’insegnamento generale del filosofo 

Possiamo concludere questo capitolo elencando in alcuni punti leconnessioni sussistenti tra la tesi di Popper sulla televisione e gli aspetti delsuo pensiero che abbiamo evidenziato nel primo capitolo. In tal modorisulte-rà chiaro come la sua idea della “patente” sia non tanto l’espressione di una

idiosincrasia bizzarra e in contrasto con le idee filosofiche elaborate e difesenel corso di tutta la sua vita (come potrebbe sembrare a prima vista), quanto

 piuttosto l’inevitabile conseguenza del suo insegnamento generale.

a)   L’introduzione di una patente per fare televisione è un esempio di“piecemeal tinkering” (nel senso in cui Popper usava questa espressioneoltre mezzo secolo fa in Miseria dello storicismo). Poiché infatti la

161 Popper   , Una patente per fare TV , in K. Popper - J. Condry, Cattiva maestratelevisione, cit., pp. 24-25.162  Ibid ., p. 25.

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televisione è un’istituzione sociale, e tutte le istituzioni sociali sonofallibili e possono raggiungere il loro scopo solo se la componente

umana che le fa funzionare è dotata di buona volontà e di senso diresponsabilità (come accade alle fortezze, che funzionano solo se è buonala guarnigione), allora la patente funge da misura di interventotecnologico “a spizzico” mirato alla selezione e al miglioramento (dal

  punto di vista della consapevolezza democratica e pedagogica) del personale che la gestisce. In questo senso Popper si distingue dagli‘apocalittici’, i quali da parte loro auspicherebbero un intervento‘olistico’ mirato o alla trasformazione globale delle condizioni politicheed economiche che fanno da contesto al modo della produzionetelevisiva, o addirittura all’abolizione stessa della televisione (Cfr. supra,I.1.2, testo relativo alle note 17 e 22).

 b)  L’introduzione di una patente per fare televisione realizza una forma dicontrollo democratico della televisione in quanto potere. Per quantoriguarda il potere politico Popper ha auspicato, a partire dal celebre

 primo paragrafo del capitolo VII della Società aperta (e fino agli ultimiscritti di filosofia della politica), che alla vecchia domanda “Chi devegovernare?”, formulata per la prima volta da Platone e considerataancora oggi fondamentale, ne venisse sostituita un’altra, ben piùimportante, del tipo: ‘Come possiamo organizzare le nostre istituzioni inmodo che i governanti cattivi e incapaci possano fare il minor danno

 possibile e possano essere licenziati senza spargimento di sangue?’163. La  prima domanda, infatti, consente solo una risposta intrinsecamente

antidemocratica, qualunque essa sia: “i filosofi” (come voleva Platone), o“la volontà generale” (come voleva Rousseau), o “il proletariato” (comevoleva Marx), o “i capitalisti e gli scienziati” (come voleva Saint-Simon), o “la razza pura” (come voleva Hitler), o “la maggioranza del

  popolo” (come vogliono le democrazie plebiscitarie), e così via. Il  problema politico vero, invece, è per Popper quello di costruireistituzioni che consentano il ricambio pacifico della classe dirigente.Questo approccio, dunque, può essere esteso alla televisione e al suogoverno. Infatti, come in politica il nostro compito non può essere quellodi addestrare leaders infallibili (come pretendeva di fare il Platone della

 Repubblica), dal momento che non abbiamo, né possiamo avere, la

ricetta dello stato ideale sul cui modello forgiarli (ricetta che invecePlatone pensava di avere), allo stesso modo nella gestione della163 Cfr. ad es., oltre a  La società aperta e i suoi nemici, vol 1, cit., pp. 173-174, anche ilsaggio Libertà e responsabilità intellettuale, letto a una conferenza tenutasi all’Universitàdi San Gallo nel giugno del 1989 e pubblicato prima come Appendice II a  La lezione diquesto secolo, cit., pp. 81-96 e poi come cap. 11 di Tutta la vita è risolvere problemi, cit.,  pp. 219-232. In questo saggio, fra l’altro, Popper, in accordo con la sua metodologiafalsificazionista (che considera possibile solo l’eliminazione critica di ciò che non va),contrapposta a quella verificazionista (che insegue la fondazione stabile e definitiva di ciòche  si vorrebbe che andasse), osserva: “Questa domanda pone l’accento non sul modo dieleggere un governo, ma sulla possibilità della sua destituzione” ( La lezione di questo

 secolo, cit., p. 84; in Tutta la vita è risolvere problemi il passo è a p. 222).

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televisione il compito di un governo non può essere quello di costruirel’operatore televisivo modello. E d’altra parte, come in politica ciò che

 possiamo fare è selezionare per tentativi ed errori una classe dirigentesempre migliore attraverso lo strumento del voto, allo stesso modo nellagestione della televisione il governo deve creare un meccanismoattraverso il quale sia possibile rimuovere dall’incarico chi non rispetta ilcodice di comportamento che ha sottoscritto al momento del rilasciodella licenza. Tutto ciò mostra che la soluzione avanzata da Popper per il

 problema televisione è coerente con la sua teoria della “società aperta”,che a sua volta è in perfetta consonanza con l’epistemologiafalsificazionista e col razionalismo critico.

c) Un mondo della televisione regolato dall’istituto della patenteassomiglierebbe, oltre che a una “società aperta”, anche a una “scuola

aperta” regolata dal principio per cui lo Stato deve garantire un’altraoccupazione agli insegnanti incapaci e svogliati. Come abbiamo visto inI.3.2, Popper aveva un’idea ben precisa sul modo di migliorare la scuola,elaborata sin dagli anni ’20 (quando era ancora un giovane insegnante), eriproposta ancora negli anni ’80. Questa idea, anche se provocatoria e per certi versi quasi paradossale, derivava dalla consapevolezza dell’enormeimportanza che rivestono gli insegnanti nella formazione umana eintellettuale dei bambini. L’insegnante, naturalmente, ha già una sua‘patente’, costituita dal titolo di studio. Ora, secondo Popper, uninsegnante che si rivelasse un educatore incapace e infelice dovrebbeessere aiutato dallo Stato a cambiare mestiere e a lasciare così il suo

  posto a un altro insegnante più giovane e motivato. Un insegnantefrustrato e costretto a rimanere al suo posto solo perché non saprebbecos’altro fare, infatti, non farebbe altro che formare allievi svogliati,timorosi e ostili allo studio, cioè individui destinati all’infelicità eall’emarginazione civile e culturale. La stessa situazione si presenta per gli educatori televisivi nella proposta di Popper: a chi si rivelasseresponsabile di una televisione diseducativa, dovrebbe essere ritirata la

 patente e offerta l’opportunità di un lavoro diverso e più innocuo dal punto di vista delle ripercussioni socio-psico-pedagogiche soprattutto sui bambini.

d)   L’analisi della psicologia del rapporto bambini-TV è strettamente

connessa con l’“evolutionary approach” ai problemi della conoscenza edell’apprendimento, elaborato e difeso da Popper a partire dalla seconda metà degli anni ’60. Su questo punto lo stesso Popper è statochiarissimo. Infatti, come abbiamo visto in II.3 (cfr. in particolare il testorelativo alla nota 60), in Una patente per fare TV  egli si richiamaesplicitamente ai suoi studi precedenti sulla teoria della conoscenza (ecioè, soprattutto, a Conoscenza oggettiva, a  L’io e il suo cervello e allelectures del 1969 che costituiscono La conoscenza e il problema corpo-mente, di cui noi ci siamo ampiamente serviti in I.3), e subito dopoafferma che “nel rapporto tra bambini e televisione noi ci troviamo di

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fronte a un problema evolutivo”, con tutto ciò che ne segue in termini di psico-biologia dell’apprendimento e dell’adattamento all’ambiente (cfr.

anche il punto 1 del primo paragrafo di questo capitolo).e)   L’’intervento polemico e propositivo sul problema pedagogicorappresentato dalla televisione non rappresentò per l’ultimo Popper un’occupazione dell’ultima ora della sua vita, ma fu un recupero dei

  suoi originari interessi teorici di giovane studioso di questioni pedagogiche, peraltro connessi con la parallela attività di educatore inun centro di recupero per bambini vittime della violenza. Naturalmentequesto ritorno alle origini ebbe modo di passare attraverso tutta una vitadi riflessioni sull’epistemologia, sull’apprendimento, sull’evoluzione

  biologica e sui problemi  della teoria e della prassi dello Statodemocratico; componenti, queste, che, come abbiamo visto, fanno parte

integrante della riflessione popperiana sulla televisione.Da ultimo, possiamo rilevare come la nostra indagine confermi e

approfondisca notevolmente la considerazione di Bosetti, posta in aperturaalla propria “Introduzione” a Cattiva maestra televisione, secondo la qualela tesi di Popper “non era l’invettiva di un misantropo o una pur rispettabileidiosincrasia, ma la tappa di una riflessione molto ben ponderata intorno aimeccanismi di riproduzione della cultura e della civiltà, di affermazione econsolidamento dello stato di diritto, di funzionamento della democrazia”164.In effetti, è indubbio che, al di là della sua prima vasta ma alquantosuperficiale ricezione da parte dell’opinione pubblica, dei governanti e dello

stesso mondo della televisione, ancora oggi, come tutti possiamo verificareimmediatamente accendendo la TV e facendo un rapido  zapping , la tesi diPopper è lungi dall’essere pienamente recepita in tutta la sua portata

 politica, pedagogica e antropologico-culturale. 

164 In K. Popper - J. Condry, Cattiva maestra televisione, cit., p. 7.

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CONCLUSIONE

TELEVISIONE E SCUOLA

 Nel corso del nostro lavoro abbiamo spesso focalizzato l’attenzionesul problema del rapporto che oggi esiste tra la televisione e la scuola,ovvero sulla questione riguardante il ruolo che la scuola svolge, o potrebbesvolgere, per arginare l’influenza negativa sulla formazione dei bambiniesercitata dalla “cattiva maestra” televisione. Naturalmente, a noi qui noninteressano nel dettaglio le problematiche strettamente amministrative dellaquestione, la cui soluzione spetta alla politica scolastica dei governi. Gliautori di cui abbiamo parlato, però, ci forniscono delle indicazioni generaliassai significative, che costituiscono in un certo senso la premessa teorica e

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metodologica per qualsiasi intervento strettamente tecnico e organizzativoda parte delle autorità competenti.

Per quanto riguarda Eco - che peraltro negli anni scorsi è stato unodei consulenti speciali (i cosiddetti “saggi”) del Ministro della PubblicaIstruzione in materia di riforma scolastica (in particolare per quantoriguarda la diffusione e l’istituzionalizzazione nelle scuole degli strumentididattici multimediali) -, la sua vecchia analisi non offriva indicazionispecificamente dirette al ruolo che la scuola dovrebbe assumere neiconfronti della televisione. Ovviamente ciò è dovuto al fatto che all’iniziodegli anni ’60 la televisione non aveva ancora assunto quelle dimensioni didiffusione e di ‘invadenza’ nell’ambiente quotidiano della collettivitàmondiale che la caratterizzano oggi; sicché la sua proposta, partendo da unaanalisi della televisione come mero fenomeno di costume e come potente

strumento di comunicazione di massa, si rivolgeva soprattutto al ruolo chenei suoi confronti dovevano assumere i governi e gli intellettuali. Tuttaviaabbiamo potuto osservare che la sua idea di un “cauto dirigismo culturale”,

 per cui il governo, tramite una élite intellettuale illuminata e accuratamenteselezionata, avrebbe dovuto piegare il mezzo televisivo a un’opera didiffusione della cultura sulla base di una chiara ed esplicita prospettivaideologica di stampo democratico, poteva risultare ancora valida soprattuttoalla luce dello stato della televisione dei primi anni ’90 fotografato daun’analisi apocalittica come quella di Condry, in gran parte condivisa ancheda Popper. Oggi, infatti, limitandoci alla televisione pubblica italiana, quella

  proposta è quasi una realtà, perché la commissione parlamentare di

vigilanza, unitamente al consiglio d’amministrazione della RAI da essanominato, esercita una funzione non molto dissimile da quella auspicata daEco. Naturalmente non occorre essere troppo ottimisti, se consideriamo ilfatto che anche la televisione pubblica, malgrato il finanziamento statale equello derivante dal canone, deve sottostare alle leggi del mercato

 pubblicitario, e quindi a quelle dell’audience. Un discorso a parte andrebbefatto per le televisioni private, il cui impianto quasi esclusivamentecommerciale, con la conseguente necessità di una ricerca ossessivadell’audience, del sensazionalismo e del livellamento verso il basso(finalizzati a un intrattenimento puramente quantitativo, in quanto unicocriterio di investimento pubblicitario ammesso dagli  sponsor ), rende

difficilissima una loro uscita da quella condizione di cattive maestredenunciata da Popper e Condry, malgrado gli sforzi dichiarati dimiglioramento e di adeguamento agli  standard  normali di gusto e dimoralità.

  Nei decenni scorsi, dunque, il rapporto televisione-scuola noncostituiva un problema particolarmente urgente. La televisione era vista solocome luogo di potere politico e come centro di interessi economici, e solonegli ultimi anni ci si è resi conto che essa è andata sempre più sottraendospazio di azione pedagogica e formativa non solo ai normali rapporti umaninell’ambito familiare e sociale, ma anche alla scuola. Naturalmente, è quasi

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inutile ricordare che a non aver mai avuto dubbi sulle capacità persuasivedella televisione è stato il potere economico, il quale, tramite le agenzie

 pubblicitarie, a loro volta coadiuvate da esperti di psicologia e strategiadella comunicazione, l’ha utilizzata come canale privilegiato per la venditadelle merci, al punto che oggi, come sappiamo, quasi tutte le trasmissionitelevisive (compresa l’ora esatta e le previsioni del tempo) sono solo un

 pretesto per piazzare il marchio dello sponsor .Un riferimento ben preciso alla scuola si trova invece nel saggio di

Condry. A questo proposito la posizione di Condry è curiosa. Comeabbiamo visto, dapprima egli attribuisce alla televisione uno dei difetti tipicidella scuola, e cioè il fatto di soggiacere alla tirannia del tempo. A suoavviso ciò pregiudica la reale crescita culturale degli tanto degli alunniquanto dei telespettatori: se, infatti, l’informazione e la discussione sono

scandite dall’interruzione pubblicitaria o dal suono della campanella, il  bambino comincerà lentamente ma inesorabilmente a convincersi che ilsapere non è particolarmente importante, o che perlomeno non è piùimportante di valori quali il divertimento (promosso dalla ricreazione edagli spettacoli televisivi) e l’essere alla moda (promosso soprattutto dalla

 pubblicità). In linea di principio, dunque, Condry si augura che i bambinivengano tenuti il più lontano possibile dalla televisione. Tuttavia, egli

 prosegue, poiché allo stato attuale dei fatti questa è quasi un’utopia, è allascuola, più che alla famiglia, che spetta il compito fondamentale di limitareil più possibile la sfera di influenza culturale della televisione, e soprattuttodella struttura dei valori da essa veicolata e inculcata. Per espletare un

compito tanto importante e difficile, la scuola dovrebbe insegnare ai  bambini qualcosa della televisione, facendo in modo che essi prendanocoscienza soprattutto dei meccanismi attraverso i quali essa mette in operala mistificazione della realtà e siano così in grado di valutare la discrepanzatra realtà e finzione televisiva, tra vita reale e vita artificiale, tra valoriumani e valori funzionali all’ideologia del consumismo. Secondo Condry,quindi, la scuola dovrebbe dotarsi di programmi pedagogici finalizzati aun’educazione all’uso critico della televisione, e comprendenti anche prove

 pratiche di ripresa televisiva che abbiano per effetto secondario quello di far  prendere atto della facilità con cui la televisione è in grado di distorcere larealtà.

Paradossalmente, alla proposta concreta dell’apocalittico Condry sulrapporto televisione-scuola, fa da contraltare la resa incondizionatadell’ottimista Popper, il quale, nell’intervista del gennaio 1994 rilasciata aBosetti, riconosceva che contro il potere ipnotico della televisione cosìcom’è “l’opposizione degli insegnanti è senza speranza”, dal momento chela razionalità critica e discorsiva cui questi possono ricorrere non può nulladi fronte a uno strumento che coinvolge, intrattiene e plasma facendo levasulla sfera più emotiva, morbosa e irrazionale degli individui. SecondoPopper (il quale, in materia di riforma della scuola, preferiva che siintervenisse non tanto sui programmi scolastici quanto sugli insegnanti

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svogliati) occorre invece intervenire urgentemente sulla televisione stessa,regolamentando l’accesso alla sua gestione nella maniera di cui abbiamo

diffusamente detto in questo lavoro.Per finire, vale la pena accennare brevemente alle conclusioniottimistiche circa il problema del rapporto tra televisione e scuola e tralinguaggio iconico e linguaggio verbale, cui pervenivano due studiosiitaliani rispettivamente negli anni ’70 e ’80.

Secondo Evelina Tarroni, il linguaggio iconico della televisione haun effetto positivo sullo sviluppo delle capacità creative dei ragazzi(soprattutto per quel che riguarda il disegno). Ciò è dovuto al fatto che “iragazzi di oggi sono assai più condizionati dai loro insegnantinell’espressione verbale scritta di quanto non lo siano nel loro linguaggioiconico. Lì sono costretti a imitare un modello, qui sono liberi di trovare

soluzioni originali e perciò creative ai problemi rappresentativi cheautomaticamente si pongono. In altre parole, malgrado la deprecatainfluenza passivizzante dei mass-media, i ragazzi di oggi scelgono comeloro linguaggio il linguaggio iconico, e questo linguaggio non lo assumono

 per imitazione, ma se lo creano” 165.Secondo Cosimo Scaglioso, d’altronde, “bisogna sgombrare il

terreno da alcuni idola, come quello della contrapposizione e dellainconciliabilità della cultura di massa e della cultura scolastica, e soprattuttoquello dell’onnipotenza dei media e della debolezza senza rimedio degliutenti di fronte al loro strapotere”166. In realtà, egli prosegue, l’uso deimedia nella scuola è legittimato dalla necessità che la scuola viva la vita dei

giovani e faccia tesoro della loro esperienza.167

Queste due posizioni, che sono frutto di indagini socio-psicologichemolto serie e accurate, risultano interessanti dal nostro punto di vista per almeno due motivi. Innanzi tutto, esse rappresentano la posizione chestoricamente è risultata ‘vincente’, nel senso che la scuola degli ultimi duedecenni ha fatto un uso largo e incondizionato dei supporti audiovisivi,dando per scontata la loro utilità didattica. Inoltre, esse sono latestimonianza di un ottimismo che non aveva ancora fatto l’esperienza dei

  pericoli insiti nella degenerazione dei media, e della televisione in  particolare; degenerazione che invece è al centro delle preoccupazioni pedagogiche di Condry e Popper. In questo senso il loro significato va letto

e valutato alla luce di ciò che è venuto dopo, e che esse non solo non hannosaputo intravedere, ma non hanno neppure contribuito ad arginare. E a tal proposito non possiamo che ricordare la considerazione fatta da Popper nelsuo scritto sulla televisione: ancora nel 1993, il governo britannico nonconsiderava un problema l’influenza della televisione sui bambini,semplicemente perché all’epoca delle prime trasmissioni televisive unadocente di psicologia, da esso incaricata per una ricerca sull’impatto

165 E. Tarroni, Psicologia e comunicazioni di massa, cit., cap. IV, p. 133.166 C. Scaglioso, Mass-media, cit., p. 7.167 Cfr. ibidem.

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 psicologico della televisione (e con la quale Popper aveva avuto un’accesadiscussione), aveva trovato che essa non rappresentava alcun pericolo per i

 bambini.

 

BIBLIOGRAFIA

La bibliografia più completa degli scritti di Popper fino al 1974 è quella compilata da Troels EggersHansen per il volume The Phylosophy of Karl Popper , tomo II, pp. 1199-1287 (v. sotto, Popper 1976). Popper 1976 ripropone (alle pp. 233-240 della tr. it.) quasi tutta la “Bibliography of the Writings of Karl Popper” diHansen, aggiornandola al 1976. La tr. it. di Popper 1994b contiene (alle pp. 191-201) un’ampia bibliografiaaggiornata al 1994 per quanto riguarda gli scritti originali, e al 1996 per quanto riguarda le traduzioni italiane;mentre Popper 1994f contiene (alle pp. 81-88) un elenco accurato degli scritti di e su Popper reperibili in linguaitaliana, aggiornato rispettivamente al 1994 e al 1992.

Qui noi ci limiteremo a elencare i testi di Popper e degli altri autori citati almeno una volta nel corso delnostro lavoro (le date tra parentesi quadra, nella bibliografia popperiana, indicano gli anni in cui i testicorrispondenti sono stati scritti).

TESTI DI POPPER 

1925: Über die Stellung des Lehrers zu Schule und Schüler. Gesellschaftliche oder individualistische Erziehung?, in «Schulreform», Vienna, n. 4, pp. 204-208.

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1927: “Gewohnheit” und “Gesetzerlebnis” in der Erziehung  (inedito), Tesi incompiuta presentata all’Istituto di Pedagogia di Vienna.

1928: Zur Methodenfrage der Denkpsychologie (inedito), Tesi di dottorato presentata allaFacoltà di Filosofia dell’Università di Vienna.

1934:  Logik der Forschung , Wien, Springer (con data 1935); 1 a ed. ingl. The Logic of Scientific Discovery, London, Hutchinson, 1959; tr. it. della 2a ed. ingl. (1968)

 Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970 & 1995.

1944 -1945: The Poverty of Historicism, I-II in “Economica”, 11 (1944), pp. 86-103 e119-137; III, ivi, 12 (1945), pp. 69-89; 1a ed. in volume London,

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1972: Objective Knowledge. An Evolutionary Approach, Oxford, Clarendon Press; tr. it.Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Roma, Armando, 1975 &

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[1930-1932], 1979: Die Beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie, Tübingen, J. C. B.Mohr; tr. it.   I due problemi fondamentali della teoria dellaconoscenza, Milano, Il Saggiatore, 1987.

[1956], 1982a: The Open Universe. An Argument for Indeterminism. From the  Postscript to the Logic of Scientific Discovery, a cura di W. W. Bartley III,

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[1956], 1982b: Quantum Theory and the Schism in Physics. From the Postscript to the  Logic of Scientific Discovery, a cura di W.W. Bartley III, London,Hutchinson; tr. it.  Poscritto alla Logica della scoperta scientifica. III:

 La teoria dei quanti e lo scisma della fisica , Milano, Il Saggiatore,1984.

[1956], 1983a: Realism and the Aim of Science. From the Postscript to the Logic of Scientific Discovery, a cura di W.W. Bartley III, London, Hutchinson;

tr. it.  Poscritto alla Logica della scoperta scientifica. I: Il realismo elo scopo della scienza, Milano, Il Saggiatore, 1984.

1983b: Offene Gesellschaft - Offenes Universum, Wien, Deuticke; rist. München, Piper,1986; tr. it. Società aperta universo aperto, Roma, Borla, 1984.

1984: Auf der Suche nach einer besseren Welt. Vorträge und Aufsätze aus dreissig  Jahren, München, Piper; tr. it.  Alla ricerca di un mondo migliore. Conferenze e saggi di trent’anni di attività, Roma, Armando, 1989.

1985: (con Konrad Lorenz),  Die Zukunft ist offen, München, Piper; tr. it.  Il futuro è

aperto, Milano, Rusconi, 1989.

1988: Osservazioni sulla teoria e sulla prassi dello Stato democratico, testo di unaconferenza tenuta a Monaco di Baviera il 9 giugno; pubblicato prima in traduzionespagnola su “La Nación”, settembre 1990, poi in traduzione italiana comeAppendice I a Popper 1992a, pp. 57-80, e infine come capitolo 10 di Popper 1994c, tr. it. pp. 197-218.

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1989: Libertà e responsabilità intellettuale, testo di una conferenza tenuta all’Universitàdi San Gallo nel mese di giugno; pubblicato prima come Appendice II a Popper 1992a, pp. 81-96, e poi come cap. 11 di Popper 1994c, tr. it. pp. 219-232.

1992a: La lezione di questo secolo, intervista di Giancarlo Bosetti, Venezia, Marsilio.

1992b: “Il Novecento che abbiamo attraversato”, intervista di Riccardo Chiaberge,Corriere della sera, 16 luglio, p. 7.

1994a: The Myth of the Framework. In Defence of the Science and Rationality, London- New York, Routledge & Kegan Paul; tr. it.  Il mito della cornice. Difesa dellarazionalità e della scienza, Bologna, il Mulino, 1995.

[1969],1994b: Knowledge and the Body-Mind Problem. In Defence of Interaction(basato sulle Kenan Lectures tenute da Popper all’Università di Emory,Atlanta, nel 1969), a cura di M. A. Notturno, London-New York,Routledge & Kegan Paul; tr. it.   La conoscenza e il problema corpo-mente, Bologna, Il Mulino, 1996.

1994c: Alles Leben ist Problemlösen. Über Erkenntnis, Geschichte und Politik , München,Piper; tr. it. Tutta la vita è risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storiae la politica, Milano, Rusconi, 1996.

1994d: Una patente per fare TV , in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestratelevisione, a cura di Francesco Erbani, Introduzione di Giancarlo Bosetti, Roma,Reset (su servizio editoriale dell’editore Donzelli), pp. 13-25.

1994e: “La televisione corrompe l’umanità”, intervista di Giancarlo Bosetti, l’Unità, 25gennaio, p. 3.

1994f: Tre saggi sulla mente umana, Roma, Armando, 1994.

1997: Cercatori di verità. Dieci interviste (1970-1994), Roma, Armando, 1997

1998: Come io vedo il Duemila. Sedici interviste 1983-1994, Roma, Armando.

ALTRI TESTI CITATI

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Bellotto A., La televisione inutile, Milano, Comunità, 1962.Bettini G., L’occhio in vendita. Per una logica e un’etica della comunicazione, Venezia,Marsilio, 1985.Bosetti G., “Introduzione” a Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione,cit., pp. 7-12.Bühler K ., Sprachtheorie: die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, 1934; tr. it.Teoria del linguaggio, Roma, Armando, 1983.Clark C.S., La violenza in TV , in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestratelevisione, cit., pp. 51-59; originariamente uscito su “CQ-Researcher”, CongressionalQuarterly Inc., vol. 3, n. 12, Marzo 1993.Cohen-Séat G., Problèmes du Cinéma et de l’Information Visuelle, Paris, P.U.F., 1961.Cohen-Séat G., L’Action sur l’Homme: Cinéma et Télévision, Paris, Denoël, 1961.Condry J., Thief of Time, Unfaithful Servant: Television and the American Child , in“Daedalus”, vol. 122, n. 1, inverno 1993, pp. 259-278; tr. it.   Ladra di tempo, servainfedele, in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, cit., pp. 27-50.Eco U., Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962 (2a ed. rivista 1967; 19953).

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