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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, Milano | www.fondazionefeltrinelli.it
ACQUA RISORSA COMUNE, RESPONSABILITA’ DI TUTTI
UNA GUIDA PER GLI INSEGNANTI E GLI STUDENTI
Il progetto “Acqua: risorsa comune, responsabilità di tutti” nasce dalla collaborazione tra Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli e Metropolitana Milanese. Il progetto ha finalità didattica e si prefigge di
accompagnare gli studenti in un percorso esplorativo che vede l’acqua al centro di una riflessione su
diversi livelli. L’obiettivo è quello di fornire spunti e strumenti funzionali a diffondere una conoscenza
articolata del tema al fine di creare una maggiore consapevolezza circa il valore ambientale e sociale
della risorsa acqua, sottolineando il contributo che ciascuno può dare a preservarne la qualità e
disponibilità per sé e per gli altri.
Introduzione
L’inizio del ventunesimo secolo è stata caratterizzato dall’avvio di un crescente dibattito sul tema della
sostenibilità perché è emerso sempre più chiaramente che la possibilità per la popolazione umana di
continuare a coesistere con gli ecosistemi terrestri usufruendo degli importanti servizi che questi ci
offrono era – ed è – in serio pericolo. Tra le varie risorse che risultano particolarmente vulnerabili alla
pressione esercitata dall’uomo c’è l’acqua, fonte di vita ed elemento imprescindibile per lo sviluppo
di ogni attività umana.
Prima degli inizi del ‘900 la domanda globale di acqua dolce era molto ridotta rispetto ai flussi naturali
dei cicli idrologici che ne regolano la presenza sul nostro pianeta. La crescita della popolazione, i
processi di industrializzazione e l’espansione dell’agricoltura basata sull’irrigazione hanno, insieme,
contribuito nel tempo ad aumentare la domanda per tutti i beni e servizi legati all’acqua in maniera
drammatica, mettendo a rischio gli ecosistemi che ne sostengono il ciclo e, di conseguenza, le attività
umane e le persone che dipendono da essi. Oggi, sulla base dei più recenti dati a disposizione, gli
esperti prevedono che la domanda di acqua continui ad aumentare in tutti i settori nei quali viene
utilizzata. La sola agricoltura è responsabile di circa il 70% del prelievo di acque dolci a livello mondiale,
mentre le attività industriali, tra cui rientrano quelle finalizzate alla produzione di energia, ne usano
poco più del 20%. Il rimanente è dedicato all’uso domestico. Tali percentuali sono molto variabili (per
esempio nei Paesi in via di sviluppo l’acqua dedicata all’agricoltura è molto di più rispetto ai Paesi
industrializzati!) ma sono tutte destinate a salire e a mettere sotto crescente pressione le risorse
idriche che al momento abbiamo. È stato calcolato che entro il 2030, se il nostro modo di produrre e
consumare non cambierà, la popolazione mondiale dovrà fronteggiare un deficit idrico globale del
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40%, il che significa che quasi la metà delle risorse idriche di cui avremo bisogno non saranno
disponibili! Nell’affrontare queste problematiche, poi, bisognerà anche tenere conto degli aspetti
legati alla qualità delle acque, non solo alla loro quantità. Un’adeguata qualità delle risorse idriche,
infatti, non è solo un prerequisito per il benessere delle comunità umane, ma anche per quello degli
ecosistemi naturali che svolgono funzioni essenziali per la nostra esistenza e per la vita sulla terra nel
suo insieme.
Lo stato delle risorse idriche a livello globale è una questione assai complessa di cui è difficile avere
consapevolezza a partire dall’uso quotidiano che facciamo dell’acqua: la usiamo per lavarci, per
dissetarci, per preparare gli alimenti di cui ci nutriamo ma, spesso, non siamo del tutto consapevoli di
quanto importante sia questa risorsa e di quanto lo sarà ancor di più negli anni a venire. Eppure le
problematiche che stanno emergendo in merito alla disponibilità e all’accesso di acqua salubre per
tutti ci riguardano tutti da vicino, dal momento che ciascuno di noi può dare il proprio contributo a
diffondere una cultura dell’acqua orientata a una sua saggia gestione. È importante, quindi, fermarsi
a riflettere adottando una prospettiva più ampia, che vada ben oltre la nostra esperienza diretta e ci
porti a focalizzare la nostra attenzione sulla provenienza delle risorse idriche di cui disponiamo, sulla
loro qualità e sul diritto ad accedervi, nostro e degli altri.
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PRIMA PARTE | L’acqua per l’uso domestico: qualità e impronta idrica
La qualità dell’acqua potabile
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l'acqua per uso domestico come "l'acqua
utilizzata per gli abituali scopi domestici inclusi il consumo diretto, l’igiene personale e la
preparazione del cibo" e considera 20 litri di acqua per persona al giorno come la quantità
minima per soddisfare tali bisogni. La qualità dell'acqua destinata al consumo alimentare deve
essere tale che il suo consumo non costituisca un rischio per la salute umana. Pertanto, l’utilizzo
di acqua sicura dal punto di vista microbiologico e con composizione chimica bilanciata è molto
importante per evitare di correre rischi per la salute. Tuttavia, questo non significa che per l’uomo
sia salutare consumare acqua pura: gli elementi chimici quali sali minerali e ioni di diversa natura
di cui si arricchisce l’acqua durante il suo percorso naturale attraverso il suolo e le rocce sono
importanti per gli organismi viventi perché regolano il corretto andamento delle funzioni del
corpo.
L’acqua pura, cioè priva di queste sostanze, non è in grado di soddisfare i fabbisogni del nostro
organismo; è necessario, però, che la quantità di elementi e di eventuali contaminanti che vi sono
disciolti sia continuamente controllata in modo da assicurarsi che l’acqua che utilizziamo sia
idonea per il consumo umano e non rechi danni all’ambiente. Ricordiamo, infatti, che tutte le
attività che l’uomo compie prelevano nell’ambiente acqua di buona qualità e la restituiscono a
esso in forma di acqua di scarico che può contenere agenti inquinanti. Pensate, per esempio, a uno
dei vostri primi gesti mattutini: aprire il rubinetto dell’acqua in bagno, lavarvi e vedere l’acqua
che va allo scarico mischiata a una certa quantità di detergenti contenuta nei saponi e nei
dentifrici che usate. Siamo noi, con le nostre abitudini, a contribuire primariamente allo stato
dell’acqua che utilizziamo!
Per garantire la qualità e la salubrità dell’acqua e tutelare la salute dei consumatori, l’acqua
erogata in case, uffici e locali pubblici è costantemente analizzata dal punto di vista chimico, fisico
e batteriologico: un’acqua per essere definita potabile deve, infatti, poter essere bevuta o
impiegata nella preparazione degli alimenti senza che la sua composizione arrechi un danno al
consumatore. Sono numerosi i parametri che sono controllati quando si analizzano le acque per
il consumo umano, sia che si tratti di acque minerali, sia dell’acqua potabile (la cosiddetta acqua
del rubinetto). Quest’ultima, in particolare, avendo origine da falde superficiali, soggette
maggiormente a contaminazione sia batteriologica sia chimica, o essendo captata da fiumi e da
laghi da cui viaggia per chilometri nelle condutture fino ad arrivare alle nostre case, viene
analizzata in maniera più dettagliata includendo il controllo di alcuni parametri che non sono
previsti per l’acqua minerale. Tra questi i più importanti sono:
Il residuo fisso, che esprime la quantità di sali disciolti in un'acqua;
Il pH, che è un parametro per misurare quanto un'acqua è acida (caratteristiche dell'aceto e
del limone) o basica (caratteristiche della soda;
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La conducibilità elettrica, che è un parametro che indica indirettamente il contenuto di sali
disciolti in un'acqua: l'acqua distillata, per esempio, presenta una conducibilità elettrica
molto bassa;
La durezza, che dipende dal contenuto
di calcio e magnesio;
La concentrazione di cationi, che sono gli ioni aventi
carica positiva: sodio, potassio, calcio, magnesio;
La concentrazione di anioni, che sono gli ioni aventi
carica negativa: cloruri, solfato, bicarbonato,
fluoruri, nitrati.
A questi parametri di tipo chimico si aggiungono, poi,
quelli microbiologici, in particolare i cosiddetti “batteri
indicatori”, che assumono grande importanza nella
determinazione della qualità delle acque e per definirne
la potabilità. La presenza di batteri indicatori (tra cui
Escherichia coli, batteri coliformi, enterococchi) rivela una contaminazione dell’acqua potabile.
Se in un’acqua potabile vengono rilevati questi microrganismi, si presume la presenza anche di
microrganismi patogeni che causano la diffusione di malattie.
Per questo l’acqua degli acquedotti, delle fontane e delle casette dell’acqua viene controllata
regolarmente, in modo da intervenire tempestivamente per ripristinare la qualità, laddove
compromessa, o nel caso si evidenzino situazioni di rischio.
La durezza si esprime in gradi
francesi: 1 grado francese corrisponde
a 10 mg/L di carbonato di calcio. Il
termine "durezza" ha radici lontane,
quando si usava per quantificare la
maggiore o minore capacità di
un'acqua nel produrre schiuma
quando si aggiungeva una certa
quantità di sapone. La presenza di
calcio e magnesio ne riduce infatti la
formazione e quindi limita il "potere
lavante" dell'acqua.
Lo sapevi che…?
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1. Per ridurre i rifiuti di plastica Gli italiani bevono una media di 195 litri a testa all’anno di acqua minerale (primi in Europa e terzi nel mondo) producendo 100 mila tonnellate di plastica da smaltire
2. Per non inquinare L’imbottigliamento e il trasporto di 100 litri d’acqua che viaggiano per 100 km producono emissioni di gas nell’atmosfera almeno pari a 10 kg di anidride carbonica: questo contribuisce all’effetto serra!
3. Perché costa meno Consumare l’acqua del rubinetto abbatte la spesa: 1.000 litri di acqua del rubinetto a Milano costano solamente 60 centesimi. Sapresti quantificare quanto costerebbero 1.000 litri di acqua imbottigliata comprata nella tua città?
4. Perché è controllata e garantita L’acqua del rubinetto è sottoposta a controlli severissimi, sia da parte dei laboratori delle aziende che ne hanno in carico la distribuzione, sia da parte delle Aziende Sanitarie Locali
5. Perché è “a km Ø” L’acqua del rubinetto non deve fare lunghi viaggi, ma solo alcune centinaia di metri, dalla falda sotto la città al rubinetto della nostra casa
6. Perché è fresca Non viene conservata nei magazzini per lungo tempo e non rischia di essere sottoposta a condizioni ambientali (luce e calore), che ne alterano l’odore e il sapore
7. Perché è sana L’acqua del rubinetto contiene una giusta quantità di sali necessari all’equilibrio salutare dell’organismo
8. Perché è sempre disponibile Non deve essere trasportata, è sempre a portata di mano nella tua casa
Bere l’acqua del rubinetto conviene! Ecco perché:
Adattato da La tua acqua, Milano Blu. Disponibile al link:
http://www.milanoblu.com/la-tua-acqua/bere-lacqua-del-rubinetto/
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La nostra impronta idrica: quanta acqua consumiamo e per fare cosa?
Le risorse idriche globali sono attualmente in una fase di
forte stress, sia in termini di qualità, sia di quantità. La
quantità di acqua che utilizziamo, infatti, è cresciuta a un
ritmo di gran lunga maggiore rispetto a quanto è
cresciuta la popolazione mondiale nell’ultimo secolo.
Questo non solo perché ci sono più persone che
consumano acqua per bere, mangiare e lavarsi, ma,
anche, perché queste persone hanno assunto nel tempo
comportamenti e stili di vita diversi, più esigenti in
termini di fabbisogno idrico.
A ciò si aggiunge un aumento della domanda globale di
energia, per la cui produzione l’acqua è un fattore
fondamentale: sia la richiesta di energia idroelettrica, sia
quella di biocarburanti ottenuti, cioè, da piante coltivate,
sono destinate ad aumentare nei prossimi anni. Non
bisogna inoltre dimenticare che anche la domanda di
acqua che alimenta le attività industriali è in continua
crescita, soprattutto nei Paesi emergenti che stanno
gradualmente sviluppando questo settore.
In questo quadro, quanta acqua consuma ciascuno di noi? Come le nostre scelte di consumo
determinano l’acqua che consumiamo? Per rispondere a queste domande e renderci conto del
nostro impatto sulle risorse idriche disponibili è stato elaborato il concetto di impronta idrica:
questa è un indicatore che ci dice quanta
acqua dolce è stata utilizzata per
produrre un certo determinato bene o
servizio di cui usufruiamo. Non ci dice
soltanto in termini quantitativi
quanta acqua è servita, ma tiene
anche conto di una componente
qualitativa relativa all’acqua che viene
inquinata durante il processo di
produzione.
Si può calcolare l’impronta idrica di
un determinato territorio andando a
calcolare quanta acqua viene
consumata a produrre e/o consumare
tutti i beni che su questo territorio
sono prodotti e/o consumati. Per
L’abitante medio del nostro pianeta
consuma 1.240 metri cubi di acqua
all’anno; un italiano ogni giorno usa in
media 380 litri di acqua solo per gli
scopi domestici, quantitativo che
aumenta di 17 volte se si considera
anche l’acqua impiegata per produrre
ciò che mangiamo e indossiamo. Si
arriva a 6.400 litri a testa ogni giorno,
2.334 metri cubi l'anno: quest’ultimo
valore è l’"impronta idrica" di
ciascuno di noi, che ci fa guadagnare il
4° posto per più elevato il consumo
individuale, preceduto solo dagli
abitanti di Usa, Grecia e Malesia.
Sai quanta acqua
consumiamo?
Da Antonelli e Greco, 2014.
L’impronta idrica dell’Italia
Quando mangiamo un uovo consumiamo 200 litri d'acqua,
per un chilo di pasta i litri diventano 1924. Per indossare
una maglietta di cotone servono 2700 litri; per un
hamburger da 150 grammi i litri sono 2400.
Anche quando beviamo, consumiamo molta più acqua di
quanto ci sembri! Per una tazza di tè (da 250 ml) l’acqua
che consumiamo è in realtà data da 27 litri e per un
bicchiere di vino (da 125 ml) i litri diventano 110.
A cosa serve tutta quest’acqua? Anche se non lo vedi, è stata
l’acqua necessaria a crescere la gallina, a coltivare il grano,
il cotone, il foraggio per sfamare il manzo, per il coltivare il
tè e la vite di cui abbiamo assaggiato il vino.
Da Antonelli e Greco, 2014. L’impronta idrica dell’Italia Aldaya e Hoekstra, 2009. The water needed to have Italians eat pasta
and pizza
Sai quanta acqua costano
gli alimenti che mangi?
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quanto riguarda l’Italia, l’impronta idrica totale del consumo nazionale corrisponde a 132.466
milioni di metri cubi all’anno che significa che ciascuno di noi consuma 6.309 litri di acqua al
giorno. Questa quantità può sembrare enorme ma, se andiamo nel dettaglio a capire da cosa è
data, ci accorgiamo che effettivamente il consumo di acqua di cui siamo responsabili va ben oltre
quella quantità minima di acqua che usiamo per scopi domestici (cioè per bere, mangiare, pulire,
etc) di cui siamo consapevoli. Infatti, dobbiamo considerare che quando mangiamo un alimento,
ingeriamo virtualmente anche tutte le risorse che sono servite a produrlo.
Per quanto riguarda l’acqua, in particolare, il conteggio si riferisce al volume di acqua che serve a
produrre tale alimento lungo tutte le fasi della catena di approvvigionamento: dalla produzione,
alla lavorazione, alla distribuzione, alla vendita al dettaglio fino all’arrivo sulla nostra tavola e al
consumo finale. Da diverse analisi compiute in diverse parti del mondo, è stato calcolato che una
mela “costa” circa 125 litri di acqua, una tazza di caffè 132 litri, una pizza margherita 1.260 litri,
un chilo di carne di manzo oltre 15.000 litri. Come appare evidente, i prodotti di origine animale
sono quelli per la cui produzione si consuma più acqua. Non è certo facile pensare che dietro a
una bistecca di carne di manzo ci sia una così grande quantità di acqua consumata: l’impronta
idrica, però, ci aiuta ad avere ben presente il consumo invisibile di quell’acqua che si cela nelle
nostre scelte di consumo alimentare, così come nel nostro stile di vita.
Il concetto dell’impronta idrica mette in luce il ruolo che l’acqua possiede per la nostra sicurezza
alimentare. L’acqua utilizzata per produrre il cibo costituisce, infatti, la stragrande maggioranza
dell’acqua consumata dalle persone - circa il 90% del consumo giornaliero di ognuno. La
protezione delle risorse idriche e la sicurezza alimentare sono, quindi, strettamente legate per cui
meno acqua sarà disponibile in futuro, meno cibo saremo in grado di produrre. D’altro canto, è
vero anche che consumare cibo in maniera inappropriata o sprecarlo, implica una ingente perdita
di acqua a livello globale.
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Scegliere consapevolmente che cibi mangiare, così come quali abitudini adottare all’interno delle
proprie mura domestiche, può fare una grande differenza che ci vede tutti protagonisti: infatti,
ciascuno di noi, in qualità di cittadino, ha un ruolo importante nel promuovere la sostenibilità
ambientale degli alimenti che consuma, così come di tutti i prodotti e servizi di cui usufruisce.
In cucina:
1. Sei sicuro che ogni volta che hai sete devi utilizzare un bicchiere pulito? In realtà no, potresti usarne
uno per tutto il giorno così, a fine giornata, ci saranno meno stoviglie da lavare.
2. Quando lavi la frutta e la verdura, non serve farlo sotto l’acqua corrente: puoi raccogliere un po’
d’acqua in una bacinella e lavarle lì dentro.
3. Quando fa caldo si ha voglia di acqua fresca: evita, però, di lasciare scorrere a lungo quella del
rubinetto. Basta che ti ricordi di riempire una bottiglia d’acqua e di lasciarla sempre a disposizione
nel frigorifero.
4. Non buttare l’acqua di cottura della pasta: la puoi usare per lasciare in ammollo i legumi secchi e
anche per il prelavaggio di piatti e stoviglie sporche. Sale e amido hanno, insieme, un ottimo potere
sgrassante.
5. Non strofinare i piatti difficili da pulire sotto l’acqua corrente: basta lasciarli in ammollo per
qualche tempo e sarà poi semplici pulirli senza inutili sprechi di acqua.
6. Se usi la lavastoviglie, usala sempre a pieno carico!
In bagno:
7. Quando ti lavi i denti, non farlo lasciando scorrere l’acqua per tutto il tempo: aziona il rubinetto
solo quando devi inumidire o lavare lo spazzolino;
8. Quando comprate una lavatrice sceglietene una a basso impatto energetico e idrico: consentirà di
risparmiare acqua ed energia!
9. Riutilizzate i vestiti e gli asciugamani: non c’è bisogno che li laviate dopo un solo utilizzo! Ogni tanto
basta lasciare gli abiti all’aria e i cattivi odori andranno via senza dovere azionare la lavatrice.
10. E se vi macchiate la maglietta? Cercate di lavare la macchia immediatamente: le macchie ostinate
più rimangono, più risultano difficili da togliere il che significa usare più detergente o lavarle più
volte, con un conseguente maggiore consumo idrico.
Ecco cosa puoi fare tu per risparmiare acqua!
Adattato da Berni, 2014. The Water Saving E-book – Volume 2
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SECONDA PARTE | Acqua per lo sviluppo rurale e urbano
Anche se la relazione tra città e campagna è cambiata notevolmente nel corso dei secoli, questi
due ambiti sono stati da sempre fortemente legati l’uno all’altro dai flussi di beni e persone che si
muovevano in entrambe le direzioni. Il cibo ha, da sempre, costituito un elemento attraverso il
quale città e campagna erano in continuo contatto: in campagna, infatti, era prodotto il cibo che
si consumava in città e proprio in città si trovavano i mercati dove i prodotti della terra potevano
essere venduti e scambiati. La città, dunque, offriva delle possibilità agli abitanti delle campagne,
anche in termini di opportunità di lavoro, e, allo stesso tempo, dipendeva dalle aree rurali
circostanti per l’approvvigionamento di risorse preziose per i suoi abitanti: in primo luogo il cibo,
ma anche, altrettanto importante, l’acqua.
Al pari delle attività agricole che si realizzano in campagna e che necessitano di grandi quantità
di acqua per l’irrigazione (in alcuni Paesi la quantità d’acqua destinata all’uso agricolo arriva fino
al 90% del totale dell’acqua consumata), anche le città necessitano di ingenti risorse idriche per
funzionare, ovvero per consentire ai propri abitanti di bere, nutrirsi e lavarsi ma, anche, alle
proprie industrie di produrre quei beni e servizi di cui disponiamo tutti i giorni. Questo è il motivo
per il quale l’acqua è stato uno, se non il principale, fattore intorno al quale sono nate e si sono
poi sviluppate le città. La relazione tra l’acqua e gli ambienti urbani è antichissima e si può dire
che proprio la capacità tecnica dell’uomo di sapere individuare e realizzare soluzioni alle molte
questioni legate all’acqua, siano esse relative al suo approvvigionamento, alla sua salubrità o alla
difesa del centro abitato, ha determinato lo sviluppo delle città e di intere civiltà.
In molte realtà che ci sono familiari, oggi, l’importanza della risorsa acqua nel disegnare il
paesaggio sia urbano sia rurale tende a sfuggirci perché non è più evidente così come era un
tempo. Esistono però dei casi molto interessanti che, a questo proposito, hanno molto da
raccontarci.
Milano, città d’acqua
L’odierna campagna urbana milanese si sviluppa prevalentemente nella zona meridionale del
Comune di Milano e si estende oltre gli attuali confini comunali. Se andiamo a ritroso fino alla fine
dell’ottocento e osserviamo le mappe dell’epoca, risulta evidente che la crescita della città e la
conseguente riduzione e dei terreni agrari circostanti siano un fenomeno relativamente recente:
la storia di Milano, infatti, riporta che l’area esterna al di fuori delle mura della città per secoli fu
destinata alla produzione agricola e all’allevamento.
Proprio queste attività che ora ci risultano meno familiari hanno costituito la prima vera ricchezza
di Milano e hanno permesso nel corso del novecento la crescita economica e produttiva della città,
di cui lo sviluppo industriale sarebbe stato solo l’ultima fase. Se, poi, si osserva la carta
ottocentesca, si può vedere chiaramente il fitto reticolo dei canali, delle rogge, e la presenza di
fontanili, che allora segnavano il paesaggio agricolo, al pari dei camminamenti e delle strade che
collegavano le cascine e i borghi presenti sul territorio.
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Proprio la ricchezza d’acqua ha da sempre
contraddistinto il territorio milanese, sia
quello rurale, sia quello urbano. È tra il
1100 e il 1200 che questa ricchezza inizia a
essere compresa e sfruttata. Questa è,
infatti, l’epoca in cui a Milano si iniziano a
scavare i Navigli che costituiscono le vie
d’acqua che, dalle campagne circostanti,
consentono di raggiungere il centro della
città. Alla stessa epoca risalgono gli
interventi a opera dei monaci cistercensi
che, raccolti nelle abbazie di Chiaravalle e
Morimondo, si adoperarono per usare in
maniera intelligente l’acqua che affiorava
naturalmente dal terreno dalle risorgive.
Alla fine del 1300, ad opera del Ducato di Milano, la campagna circostante la città fu ampiamente
bonificata e grande attenzione venne data alla
sistemazione dei corsi dei fiumi. A
quest’epoca risale lo scavo del canale della
Martesana, per condurre le acque dell’Adda
da Trezzo a Milano. Furono i più illustri
scienziati e tecnici del tempo a lavorare alla
progettazione delle opere necessarie: primo
fra tutti Leonardo da Vinci, di cui
fortunatamente abbiamo ancora numerosi
studi, progetti, disegni per opere di bonifica,
irrigazione e navigazione interna. Milano, le
sue vie d’acqua e le sue campagne
suscitavano ancora nella prima metà
dell’800, l’ammirazione di viaggiatori di altre
parti d’Italia, ma anche stranieri.
L’efficiente rete di canali che raggiungeva il
centro di Milano costituivano una importante
fonte di rifornimento d'acqua, sia per le
industrie, sia per le operazioni come il lavaggio
della biancheria e ritardarono in qualche modo la costruzione di un vero e proprio acquedotto
cittadino fino alla fine dell’800, quando già altre città europee se ne erano dotate. Nel 1888, dopo
alterne vicende che impedirono lo sviluppo di un sistema idrico milanese, finalmente fu dato
La marcita è un particolare sistema colturale tipico
della pianura padana. In quest’area in diversi punti
l’acqua sgorgava naturalmente dal terreno a una
temperatura costante di 10-12°C, anche in inverno.
Attraverso interventi di sistemazione del terreno, i
monaci furono in grado di fare percorrere quest’acqua
sui prati in maniera uniforme e in continuo movimento
grazie alla loro pendenza. In questo modo. Lo sviluppo
della vegetazione proseguiva così anche durante
l'inverno, rendendo possibile effettuare annualmente
più tagli di foraggio che andava ad alimentare gli
animali. In questo modo, quindi, i monaci cistercensi
introdussero un sistema integrato di agricoltura e
allevamento che fece fiorire le campagne intorno a
Milano.
Cosa sono le marcite?
Segre, Storia dell’agricoltura e del paesaggio agrario milanese
Leonardo rimase per ben 25 anni a Milano,
lavorando, per buona parte di essi, alla corta degli
Sforza. Egli fu uno – forse il più geniale – ingegneri
e uomini di scienza che contribuirono al
miglioramento del funzionamento dei Navigli. Tra
il 1506 e il 1513 Leonardo da Vinci lavorò alla
conca del naviglio di S. Marco. Il suo progetto
consisteva nell'allacciare il Naviglio Martesana alla
cerchia interna dei Navigli attraverso due chiuse, a
S. Marco e all'Incoronata; in questo modo si
sarebbe potuta attraversare la città via acqua, e, in
prospettiva, collegare l'Adda al Ticino. La sua
innovazione consistette nell’introdurre un piccolo
sportello a chiavistello, manovrabile dall'alto, che
permetteva un afflusso di acqua sufficiente per
equilibrare la pressione ai due lati della porta
principale agevolando, così, l'apertura della chiusa.
Leonardo da Vinci a Milano
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
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avvio ai lavori per la costruzione di due pozzi sperimentali che semplicemente avrebbero
riprodotto la modalità di approvvigionamento già in uso dai cittadini milanesi: l’acqua si attingeva
dalla falda freatica sottostante Milano a una profondità tale da garantirne purezza e salubrità. Il
primo acquedotto milanese fu denominato Arena ed entrò in funzione nel 1889, alimentando il
quartiere residenziale che allora andava formandosi fra Piazza Castello, Foro Bonaparte e via
Dante. Questo primo impianto ebbe una grande rilevanza: esso, infatti, permise un progressivo e
costante sviluppo del servizio di distribuzione dell’acqua potabile che doveva fare fronte al
continuo aumento dei consumi che si innescò via via che
i cittadini milanesi presero coscienza della
comodità dell'avere acqua in abbondanza nelle
proprie case. Da allora furono costruiti una serie di
altri impianti che servivano a coprire diverse aree
della città di Milano: nel 1910 le centrali idriche
erano già diventate 10, con un totale di 87 pozzi.
La costruzione di questi edifici ha, a poco a poco,
modificato il paesaggio urbano milanese,
arricchendolo di manufatti che ancora oggi sono
ben visibili tra le case. In genere, le centrali sono
ancora riconoscibili per le semplici architetture di
mattoni a vista, testimonianza della pianificazione
urbana sobria ed elegante caratteristica del secolo
scorso. Alcuni esemplari, poi, furono progettati in
maniera da confondersi nel tessuto urbano,
attraverso la realizzazione di strutture quasi
completamente sotterranee o perfettamente
mimetizzate nel verde dei parchi cittadini.
Alla modifica del profilo urbano conseguente alla
costruzione dell’acquedotto della città di Milano e
delle strutture a esso associate ha contribuito
anche la progressiva copertura dei numerosi canali
d’acqua che da secoli solcavano la città, tra i quali i Navigli. Tra la fine degli anni venti e l’inizio
dei trenta del novecento, la stragrande maggioranza delle vie d’acqua di Milano, divenute ormai
canali di scolo e non più di approvvigionamento idrico, furono interrati.
L’impianto di via Cenisio è la centrale di
pompaggio delle acque di falda più antica tra
quelle ancora esistenti a Milano: è entrato in
funzione nel 1906. L’edificio occupa un’area
rettangolare, all’angolo tra via Cenisio e
piazza Diocleziano, ed è caratterizzato da una
struttura in muratura continua con grandi
finestre. Nel 1989 venne restaurato in
occasione del centenario dell’acquedotto di
Milano. I locali conservano tuttora le
attrezzature per l’estrazione, la depurazione
e l’immissione dell’acqua resa potabile nella
rete idrica milanese.
Centrale di via Cenisio
TurismoMilano/Arte e Cultura
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È possibile oggi trovare nelle nostre città delle tracce del legame tra il contesto rurale e quello
urbano che ha così tanto caratterizzato la storia di Milano? In altre parole, esistono tracce di campagna
nella tua città? Prova a scoprirlo lavorando in gruppo con i tuoi compagni e le tue insegnanti.
La classe viene suddivisa in gruppi di lavoro di 4/5 studenti l’uno. A ogni gruppo è assegnato un quartiere
della città in cui vive.
Per prima cosa, l’insegnante distribuisce agli studenti la mappa della città o del quartiere e stabilisce -
possibilmente con l’aiuto della classe - i limiti geografici di lavoro di ogni gruppo, cosicché tutti possano
avere dei riferimenti precisi e lavorare esattamente sulla stessa area. Gli studenti prendono confidenza
con la mappa (in versione cartacea o digitale) su cui prenderanno nota durante l’esplorazione sul campo.
Gli studenti, accompagnati dall’insegnante o autonomamente in orario extrascolastico, esplorano il
quartiere, osservano le contaminazioni tra paesaggio urbano e rurale e raccolgono la documentazione.
Esistono dei grandi parchi dove le persone possano beneficiare di un po’ di verde? Esistono degli orti
urbani in cui qualcuno coltiva degli alimenti freschi? Ci sono dei mercati in cui gli agricoltori delle
campagne circostanti vengono a vendere i loro prodotti? Esistono dei corsi d’acqua che attraversano la
città? Se risulta difficile trovare questi elementi, gli studenti possono raccogliere le informazioni
attraverso il racconto di alcune persone per comprendere come è cambiato il paesaggio urbano nel
tempo (es. genitori/nonni). La memoria storica è un’importante fonte di informazioni!
Nota operativa per gli studenti. Quando vedi un fattore di interesse (per esempio un orto coltivato in
città) fai una foto e segnati su una mappa dove si trova! Allo stesso modo, quando parli con qualcuno,
raccogli tutte le informazioni utili. Unendo le informazioni che raccoglie il tuo gruppo di lavoro con quelle
raccolte dagli altri compagni, avrete ritratto una versione della tua città che non conoscevate ma che è
molto importante tenere presente.
Dopo aver lavorato in autonomia ogni gruppo ha a disposizione circa 5 minuti condividere con la classe
la sua osservazione. L’insegnante può stimolare una discussione e il confronto.
Materiale utile: Materiale carta e penna, macchina fotografica (o smartphone), registratore vocale (o
smartphone), mappa del quartiere (cartacea oppure digitale)
E ora tocca a te!
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TERZA PARTE | Acqua per la cooperazione e lo sviluppo dei popoli
La quantità d’acqua utilizzata dall’uomo è cresciuta più del doppio rispetto a quanto sia
aumentata la popolazione mondiale nell’ultimo secolo e molte zone nel mondo si trovano a
dovere far fronte a una riduzione dell’acqua tale da mettere a rischio la possibilità di accedere a
servizi di base come quelli igienico-sanitari, ma anche di coltivare cibo nutriente e sicuro. Questa
erosione delle riserve idriche cui stiamo assistendo è dovuta a diversi fattori tra cui i più rilevanti
sono l’aumento della popolazione totale, lo sviluppo economico e il cambiamento climatico.
Immaginare che più persone ci sono sulla terra, più acqua viene consumata per i loro bisogni è
abbastanza intuitivo, ma bisogna considerare che il consumo dell’acqua aumenta anche via via
che l’economia di un Paese cambia, così come a seconda dei bisogni di una popolazione che
cambia necessità e stili di vita. Diversi elementi, quindi, hanno un peso considerevole nel
determinare la domanda idrica a livello globale e rendono complessa la definizione del concetto
di scarsità idrica.
Esiste una scarsità idrica di tipo ambientale in quelle aree dove le risorse idriche disponibili non
sono in grado di soddisfare la domanda della popolazione locale né in termini di quantità né di
qualità (evidenziate in colore azzurro scuro nella mappa). Oggi sono circa 1,2 miliardi le persone
che vivono in queste condizioni. Tali aree sono destinate ad aumentare nei prossimi anni,
coprendo, come evidenziato in colore azzurro chiaro nella mappa, tutto il Medio Oriente, parte
del Centro America, del Sud Africa e dell’Asia Centrale. Esiste poi una scarsità idrica di tipo
economico che interessa quelle aree dove non ci sono le strutture necessarie a rendere
effettivamente disponibile l’acqua che pure può essere presente in grandi quantità (colore blu
scuro). Questo può essere dovuto alla mancanza di risorse economiche per costruire pozzi,
acquedotti e altre strutture per la distribuzione dell’acqua, oppure alla debolezza delle
amministrazioni locali per cui queste risorse non sono gestite in maniera adeguata. In questo caso
Poca o nessuna carenza d’acqua
Scarsità d’acqua ambientale
Prossima scarsità d’acqua
ambientale secondo stime recenti
Scarsità d’acqua economica
Dati non disponibili
UNESCO, 2012. World Water Development Report
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sono circa 1,8 miliardi le persone che non riescono ad accedere a risorse idriche salubri in
quantità sufficiente.
I numeri che descrivono la scarsità d’acqua allo stato attuale indicano, quindi, un fenomeno di
portata globale che, però, può risultare difficile da immaginare se non se ne comprende la
dimensione pratica.
Cosa significa, quindi, non avere acqua?
Acqua, servizi igienico sanitari e salute
L’acqua associata ai servizi sanitari e igienici è una componente essenziale affinché ciascuno di
noi possa condurre una vita sana, attiva e dignitosa.
Proprio per questo motivo l’accesso all’acqua e a
servizi igienico-sanitari adeguati è stato riconosciuto
quale diritto fondamentale da parte delle Nazioni
Unite nel 2010. La possibilità di lavarci le mani sotto
l’acqua corrente e di disporre di servizi igienici
funzionali e sicuri è cosa scontata per noi ma
tutt’altro che diffusa a livello mondiale. Questo ha
implicazioni importanti perché proprio l’igiene
personale è strettamente correlata alla prevenzione
di malattie, così come all’utilizzo di acqua pulita e
sicura da bere e per la preparazione del cibo.
I dati disponibili a questo proposito indicano ancora
una realtà preoccupante se pensiamo che nel solo
continente africano ogni anno poco meno di un
milione di persone muore proprio a causa di malattie
dovute alle scarse condizioni igienico-sanitarie. I bambini e le madri che hanno partorito, poi,
sono i soggetti più vulnerabili in questo senso e sono, quindi, quelli che più risentono della
problematica dell’accesso all’acqua.
A questo si aggiunge spesso una disinformazione diffusa circa le buone pratiche che si dovrebbero
seguire per minimizzare i rischi per la salute. Lavare le mani, per esempio, è un gesto comune per
noi. Eppure ricerche scientifiche dimostrano che moltissime persone non lo fanno neppure dopo
avere usufruito dei servizi igienici, laddove disponibili. Anche la gestione delle acque reflue
contaminate con le deiezioni umane è molto importante perché, se non tenute ben separate dalle
acque destinate direttamente o indirettamente all’uso alimentare, possono contaminarle con alti
rischi per la salute delle persone.
A complicare il quadro globale c’è, inoltre, una grande disparità tra Paesi ma anche tra regioni,
tra campagna e città e tra diversi gruppi di persone che usufruiscono dei servizi basati
sull’accesso all’acqua. La sola predisposizione di strutture adeguate, infatti, non implica
Sono relativamente poche le persone che
nel mondo si lavano le mani: è stato
osservato che in momenti critici come, per
esempio, prima di maneggiare il cibo e
dopo aver usato la toilette, solo poco più di
un terzo delle persone si lava le mani con
il sapone! Eppure usare il sapone è
davvero molto importante perché l'acqua
da sola non è sufficiente. Oltre a essere
importante, poi, è anche possibile perché
anche in molti Paesi in via di sviluppo il
sapone non manca, eppure lavare gli abiti
e le stoviglie o fare il bagno sono visti come
usi prioritari a scapito del lavaggio delle
mani nell’arco della giornata.
Lo sapevi che…?
UNESCO, 2015. World Water Development Report
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necessariamente che tutti possano averne accesso. Allo stesso modo, l’assenza di servizi adeguati
penalizza di più alcuni gruppi di altri: è questo, per esempio, il caso di molte ragazzine in Africa,
così come in Sud America e in estremo Oriente che, non potendo accedere a servizi igienici
dedicati, si vedono costrette a rinunciare ad andare a scuola.
Acqua per la produzione di cibo
L’agricoltura e l’allevamento sono le attività per le quali è consumata oggi nel mondo la maggiore
quantità di acqua. A esse, infatti, è destinato mediamente il 70% delle acque che sono estratte dai
fiumi e dalle riserve d’acqua dolce disponibili e tale percentuale raggiunge il 90% nei Paesi dove
l’agricoltura è ancora la principale attività economica: è questo, per esempio, il caso di alcuni
Paesi dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud Est dell’Asia. Acqua e attività agricole sono, dunque,
strettamente connesse, da cui risulta evidente la forte dipendenza della disponibilità di risorse
alimentari dalla disponibilità di acqua.
È stato calcolato che, alla luce dell’aumento della popolazione previsto per i prossimi decenni, la
produzione di cibo dovrà aumentare di oltre il 60%, in alcuni Paesi persino raddoppiare, ma come
sarà possibile questo se già l’agricoltura assorbe così tanta acqua? Ci sono alcuni Paesi che stanno
esaurendo le proprie risorse idriche per i quali in futuro sarà sempre più difficile produrre cibo
sufficiente e nutriente. L’impossibilità di accedere a fonti d’acqua che possano essere utilizzate
per le attività agricole colpisce più severamente coloro per i quali proprio l’agricoltura costituisce
il principale – se non l’unico – mezzo di sussistenza. Ecco, quindi, che le comunità che risiedono
nelle aree rurali dove si concentra la maggior parte della produzione di cibo a livello globale
saranno le più vulnerabili a mano a mano che la disponibilità di acqua andrà riducendosi. Se poi
consideriamo che circa il 75% delle persone povere a livello globale si concentra proprio nelle
aree rurali, di nuovo, vediamo che saranno i più deboli a risentire maggiormente delle criticità
che si profilano nei prossimi decenni.
La vulnerabilità di questi soggetti è data da una serie di fattori diversi tra cui la mancanza di
infrastrutture adeguate a garantire la distribuzione di acqua anche in aree remote, l’impossibilità
di accedere a fonti di acqua pulita per il consumo domestico e l’assenza di servizi igienico-sanitari
adeguati. A ciò si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico per i quali si prevede che
l’andamento delle piogge si farà sempre più irregolare e probabilmente caratterizzato da eventi
estremi (per esempio, lunghi periodi di siccità o, al contrario, alluvioni) che possono arrivare a
compromettere interi raccolti e causare la morte dei capi di bestiame che sono la primaria fonte
di sostentamento di moltissimi piccoli allevatori nei Paesi in via di sviluppo.
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La condizione delle donne, poi, merita un’attenzione particolare: esse costituiscono oltre il 40%
della forza lavoro impiegata nel settore agricolo ma hanno minore accesso a fattori quali terra
coltivabile, acqua, sementi, capi d’allevamento e servizi di assistenza tecnica rispetto agli uomini.
Su di loro, inoltre, ricade la cura dei figli che richiede molto tempo, limitando al minimo, quindi,
le loro possibilità di imparare, conoscere e crescere professionalmente.
È stato calcolato che se le donne avessero uguali opportunità di accedere a risorse e conoscenze
applicate all’agricoltura sarebbero in grado di produrre una quantità di cibo tale da sfamare 150
milioni di persone a livello globale.
Per cambiamento climatico si intende il cambiamento di quelle condizioni che definiscono il clima in
una certa area come, per esempio, la temperatura e l’andamento delle precipitazioni. Il clima si
differenzia dal tempo atmosferico perché mentre quest’ultimo riguarda un periodo limitato nel tempo
(per esempio, una giornata o un mese), il clima invece è proprio di una determinata regione su un arco
di tempo molto lungo, pur comprendendo delle variazioni che si ripetono di anno in anno (pensa, per
esempio, ai cambiamenti di temperatura che osservi tra una stagione e l’altra).
Il clima tende naturalmente a cambiare e, infatti, è cambiato nel corso dei secoli: il mondo ha avuto
glaciazioni a cui sono seguiti periodi caratterizzati da temperature più alte. Nella storia recente
dell’uomo, però, il clima sta cambiando a una velocità molto più elevata di quanto non sia mai stato
osservato: nel corso di poco più di 100 anni, infatti, la temperatura media terrestre è aumentata di
circa mezzo grado. Sembra poco, ma questo ha conseguenze importanti sulle forme di vita che
popolano la terra, così come sull’ambiente e gli ecosistemi.
Ci sono cause naturali all’origine di questo fenomeno, ma la quasi totalità della comunità scientifica
mondiale ora conviene sul fatto che le attività dell’uomo hanno un peso importante nell’indurre questo
cambiamento al quale possono essere attribuiti i fenomeni cui assistiamo ogni giorno: episodi di
siccità, alluvioni, tifoni. L’utilizzo dei carburanti derivati dal petrolio, infatti, produce dei gas che si
concentrano nell’atmosfera e ne provocano il surriscaldamento (si chiamano gas a effetto serra) e sono
le attività industriali e l’utilizzo dei veicoli a motore a essere i principali responsabili dell’emissione di
questi gas.
Cos’è il cambiamento climatico?
NASA, 2011. NASA audiences/for Students
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Alla luce delle forti interconnessioni tra acqua e
agricoltura, occorre ripensare a questo settore
in modo che il suo impatto sulla futura
disponibilità idrica sia ridotto, lavorando al
contempo in stretta collaborazione con le
popolazioni più svantaggiate per garantire loro
la possibilità di continuare a produrre le risorse
di cui vivono e che possano consentire loro di
condurre una vita sana e attiva.
A questo proposito è molto importante, quindi,
ridurre al minimo le perdite di acqua dovute a
inefficienze delle reti di approvvigionamento e
distribuzione, anche nelle aree più remote, ma,
soprattutto, bisogna puntare al miglioramento
delle attività produttive in modo tale che sia
necessaria meno acqua per produrre un
quantitativo maggiore di cibo. Questo significa
scegliere le colture più adatte alle
caratteristiche di un territorio, coltivarle con le tecniche più appropriate rispettando l’ambiente
e valorizzando le conoscenze delle popolazioni locali.
Le donne e i bambini sono i soggetti ai quali
spetta primariamente la raccolta dell’acqua.
Questo è un compito che i bambini svolgono
sin da quando sono molto piccoli che, talvolta,
impedisce loro di andare a scuola. Sommando
tutto il tempo che donne e bambini in tutto il
mondo dedicano ad andare a prendere
l’acqua, si arriva a 200 milioni di ore ogni
giorno. In Africa e Asia bambini e ragazze
percorrono una distanza media di quasi 6 km
al giorno per portare a casa l’acqua necessaria
ai fabbisogni delle loro famiglie.
Nella tua città ci sono le ‘casette dell’acqua’? Ti
è mai capitato di andare a riempire delle
bottiglie lì e portarle a casa? Che distanza hai
percorso? È stato faticoso?
Donne e acqua
UNESCO, 2015. Water for Women World Water Assessment Programme
Per noi che viviamo in Italia capire davvero cosa significhi non avere accesso all’acqua è molto difficile
perché siamo abituati a poterne disporre facilmente in maniera pressoché illimitata. Per cosa e quanta
ne usiamo esattamente?
Prova a fermarti a pensare alla tua giornata e prendi nota di tutte le operazioni che fai che
necessitano di acqua. Facendoti aiutare dai tuoi insegnanti, chiedendo ai tuoi genitori e cercando
informazioni su internet, prova a quantificare quanta acqua consumi in ciascuna di queste operazioni
e calcola il totale.
Ora prova a immaginarti nei panni di un tuo coetaneo in Africa: sarà possibile per lui accedere alla
quantità d’acqua di cui necessiti tu nell’arco di una giornata? Riuscirà ad andare a prendere tutti quei
litri magari camminando per km? Probabilmente no, perché sarà troppo faticoso per lui. Prova allora
ad immaginare il peso che saresti in grado di trasportare tu per una distanza – anche breve – e risali
alla quantità d’acqua a cui corrisponde: ecco l’acqua che avresti a disposizione nel corso della tua
giornata, confrontala ora quella che normalmente usi e avrai una misura della differenza che esiste tra
te e il tuo coetaneo africano.
A quali attività dovresti rinunciare? E poi: prova a immaginare delle alternative al tuo comportamento
che ti consentirebbero di ridurre l’acqua consumata (per esempio, fare la doccia invece che il bagno):
quanta potresti risparmiarne?
Ora che hai fatto questi ragionamenti sapresti dire qual è, quindi, il reale peso dell’acqua che usi?
E ora tocca a te!