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Rachele Nardini AFFRESCHI DI EPOCA GOTICA NELLA BASILICA DI AQUILEIA La decorazione pittorica medievale della basilica, incentrata princi- palmente nel maestoso affresco dell'abside centrale e nel ciclo decorativo della cripta non si esaurisce con questi capitali cicli pittorici ma presenta tutta una serie di riquadri sui quali l'attenzione della critica non si è sof- rmata più di tanto. Compresi in un arco di tempo che va dall'XI al XIV secolo si concentrano per la maggior parte nel periodo gotico, nel corso del Trecento quindi, secolo di rmenti culturali ed artistici, soprattutto grazie alla venuta di Vitale da Bologna ad Udine nel 1348, anno che segna un discrimine nell'evolversi della pittura e di un'epoca che da questo momento in poi, in Friuli, si connoterà come "post-vitalesca". Un'accurata analisi stilistica delle varie decorazioni ad affresco spar- se presuppone un esame di ogni momento pittorico, preso singolarmente, poiché un collegamento tra di essi risulterebbe improbabile, essendoci una diversità esistente sul piano stilistico, cronologico, tecnico, e funzionale. Nel tracciare una linea cronologica ideale nella quale inserire le varie decorazioni disseminate in basilica, va inserito al primo posto il Cristo benedicente (fig. 1) affrescato nella nicchia della controfacciata. Pur essendo molto rovinato si riesce ugualmente a leggerne lo stile che si richiama alle pitture absidali nel modulo rigido in cui viene impostata la figura, nella forma ovale del volto e nel modo con cui sono resi i tratti somatici (ombreggiatura nel contorno degli occhi, naso lungo e dritto, sopracciglia grosse). Tenendo presente il tto che la decorazione dell'ab- side centrale appartiene ad una cultura figurativa occidentale, di tradizio- ne ottoniana, datata al 1031, rse non è il caso di allontanarsi troppo da questa data per il nostro lacerto, che parrebbe essere assegnato alla prima metà dell'XI secolo. Proseguendo in questo percorso di sistemazione cronologica delle nostre opere, si potrebbero inserire a questo punto gli affreschi della Chiesa dei Pagani, andati in gran parte perduti ma tramandatici dai disegni del canonico Gian Domenico Bertoli, raffiguranti gli Evangelisti (figg. 3- 4) e una Crocefissione (fig. 2). Non risulta possibile proporre una datazione, per questi affreschi perduti, derivante dall'analisi stilistica di queste incisioni. Gli studiosi infatti sono molto cauti nel suggerire date, e situano in ogni caso questi disegni in un arco di tempo che va dal IX all'XI secolo per svariati motivi: lavori di ristrutturazione e ampliamento effettuati all'epoca del patriarca 521

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Rachele Nardini

AFFRESCHI DI EPOCA GOTICA NELLA BASILICA DI AQUILEIA

La decorazione pittorica medievale della basilica, incentrata princi­palmente nel maestoso affresco dell'abside centrale e nel ciclo decorativo della cripta non si esaurisce con questi capitali cicli pittorici ma presenta tutta una serie di riquadri sui quali l'attenzione della critica non si è sof­fermata più di tanto. Compresi in un arco di tempo che va dall'XI al XIV secolo si concentrano per la maggior parte nel periodo gotico, nel corso del Trecento quindi, secolo di fermenti culturali ed artistici, soprattutto grazie alla venuta di Vitale da Bologna ad Udine nel 1348, anno che segna un discrimine nell'evolversi della pittura e di un'epoca che da questo momento in poi, in Friuli, si connoterà come "post-vitalesca".

Un'accurata analisi stilistica delle varie decorazioni ad affresco spar­se presuppone un esame di ogni momento pittorico, preso singolarmente, poiché un collegamento tra di essi risulterebbe improbabile, essendoci una diversità esistente sul piano stilistico, cronologico, tecnico, e funzionale.

Nel tracciare una linea cronologica ideale nella quale inserire le varie decorazioni disseminate in basilica, va inserito al primo posto il Cristo benedicente (fig. 1) affrescato nella nicchia della controfacciata. Pur essendo molto rovinato si riesce ugualmente a leggerne lo stile che si richiama alle pitture absidali nel modulo rigido in cui viene impostata la figura, nella forma ovale del volto e nel modo con cui sono resi i tratti somatici ( ombreggiatura nel contorno degli occhi, naso lungo e dritto, sopracciglia grosse). Tenendo presente il fatto che la decorazione dell'ab­side centrale appartiene ad una cultura figurativa occidentale, di tradizio­ne ottoniana, datata al 1031, forse non è il caso di allontanarsi troppo da questa data per il nostro lacerto, che parrebbe essere assegnato alla prima metà dell'XI secolo.

Proseguendo in questo percorso di sistemazione cronologica delle nostre opere, si potrebbero inserire a questo punto gli affreschi della Chiesa dei Pagani, andati in gran parte perduti ma tramandatici dai disegni del canonico Gian Domenico Bertoli, raffiguranti gli Evangelisti (figg. 3-4) e una Crocefissione (fig. 2).

Non risulta possibile proporre una datazione, per questi affreschi perduti, derivante dall'analisi stilistica di queste incisioni. Gli studiosi infatti sono molto cauti nel suggerire date, e situano in ogni caso questi disegni in un arco di tempo che va dal IX all'XI secolo per svariati motivi: lavori di ristrutturazione e ampliamento effettuati all'epoca del patriarca

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Fig. 2.

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Fig. 3. Fig. 4.

Fig. 5.

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Massenzio (IX secolo) nella Chiesa dei Pagani, analogia iconografica con miniature di epoca carolingia, un'affermazione del Bertoli riguardo uno strato sottostante questi affreschi riferibile al IX secolo, infine vicinanza di stile con le figure dell'affresco absidale (datato al 1031).

Lo schema iconografico e il tipo di concettualismo sviluppato e accentuato di questi disegni, che non trova confronti, farebbe forse pro­pendere, con tutte le dovute cautele, per una datazione ai secoli XII e XIII.

L'affresco successivo (fig. 5), la Crocefissione con la Madonna e San Giovanni tra i Santi Ermacora e Ambrogio, nella cappella Torriani, è caratterizzato, quasi per l'unanimità degli studiosi, da uno stile influenza­to dagli affreschi della cripta.

Confrontando la stessa scena della Crocefissione (fig. 6) affrescata in cripta troviamo svariate analogie: a livello iconografico abbiamo la stessa tipologia del Christus patiens affiancato dalla Vergine e San Giovanni e con gli angeli dolenti sui bracci della croce; per quanto riguarda lo stile, invece, incontriamo alcune affinità nel modo di costruire le figure

. utilizzando un linearismo forte ed accentuato; nel panneggiare le vesti con l'utilizzo di aspre lumeggiature bianche; similare è anche l'accento patetico creato per trasmettere l'esaltazione dell'umanità dolorosa di Cristo, della Vergine e del San Giovanni. Lo schema generale quindi si rifà all'affresco della cripta anche se nell'esecuzione dell'opera poi si riscontrano differenze nell'esecuzione. Ponendo mente al periodo stori­co si può notare come siamo, con la Crocefissione Torriani, in una fase tardo romanica e nonostante la cronologia avanzata, il nostro affresco resta immune dall'influenza giottesca, in Friuli già presente dal secondo decennio del Trecento.

Un confronto pertinente è stato proposto dallo studioso Aldo Rizzi con gli affreschi della chiesa di Sant' Agnese di Rorai Piccolo (nei pressi di Pordenone), nel quale il filone veneto-bizantino "già dissanguato", si ripresenta in entrambi i casi.

Per quanto riguarda la datazione della Crocefissione Torriani, gli studiosi propendono tutti per l'ultimo quarto del XIII secolo.

Tenendo presente gli elementi stilistici presi in esame e il fatto che il primo patriarca della famiglia della Torre, Raimondo, esercitò il suo titolo dal 1273 al 1299 (anno della morte) e che fu lui ad adibire la cappella a sepolcro della sua famiglia, le conclusioni più plausibili indirizzano a credere che quest'opera si possa situare nell'ultimo decennio del XIII secolo.

Seguitiamo con gli affreschi della Chiesa dei Pagani, posti uno di fronte l'altro, che raffigurano un'Annunciazione e San Giovanni Battista e San Niccolò (figg. 7-8).

Il primo dipinto è di difficile datazione perché rimane in stato fram­mentario. La sinopia nello strato inferiore, tracciata con il tradizionale

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Fig. 7. Fig. 8.

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Fig. 9.

Fig. 10. Fig. 11.

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color ocra, è di fattura semplice ed essenziale, non denota un disegno par­ticolarmente minuzioso e preciso. Di notevole importanza per la compren­sione e la collocazione temporale dell'opera risulta il fatto che la stesura finale non coincide con il disegno preparatorio. Si potrebbero avanzare due ipotesi: o che il pittore ha cambiato il programma compositivo nel corso dell'esecuzione, o, più verosimilmente, che la realizzazione è avve­nuta alcuni anni dopo, forse operando sopra la pittura precedente. I resti d'intonaco colorato, molto esigui, mostrano un fare preciso e realistico nella resa della mano e del panneggio delicato del manto della Vergine, nel disegno dell'aureola e dell'ala dell'angelo descritta piuma per piuma. Sebbene la cornice a palmette policrome che circonda la composizione, tipologicamente tardo-romanica (se ne ritrovano esempi soprattutto nel­l'Italia nord-orientale), induca ad anticipare la stesura di qualche anno, credo di poter avanzare una datazione più tarda, nei primi decenni del XIV secolo, dovuta al fatto che i pochi lacerti rimasti presentano un fare attento ed evoluto nell'esecuzione.

L'affresco con San Giovanni Battista e San Niccolò, invece, mostra un fare semplice, di fattura popolare e non particolarmente attento alle propor­zioni delle figure (molto allungate e piuttosto piatte) e ai particolari nel dise­gno dei tratti somatici (gli occhi, le sopracciglia e il naso sono tratteggiati da una semplice linea ocra), del libro e del sottile pastorale. Il panneggio, soprattutto nel manto che veste San Niccolò, è reso con poca plasticità da semplici campiture più scure, non lumeggiate. Per questo motivo colloche­rei queste opere, come la precedente, agli inizi del XIV secolo.

L'opera seguente, raffigurante una Madonna in trono col Bambino e

teoria di Santi (figg. 9-10) affrescata nel transetto sinistro, presenta uno stile tardo-romanico non ancora influenzato dalla ventata post-giottesca. Le figure sono inserite in modo piatto e frontale sotto la serie di archi. In elementi quali le mani, i capelli, gli abiti, il colore è steso in modo quasi uniforme e le linee di contorno sono piuttosto marcate e grosse.

I Devoti, dipinti in un riquadro sottostante San Giovanni Battista,

mostrano un fare sommario nell'uso della linea piuttosto larga: i caratteri fisionomici dei due oranti sono resi attraverso un tratto nero, spesso e grossolano, così come gli abiti che indossano, non denotano una carat­terizzazione accurata. L'unico santo riconoscibile con certezza è San Giovanni Battista; per quanto riguarda l'identificazione degli altri si potrebbe suggerire una relazione con la Tomba dei Canziani, che raffi­gura Sant'Ermacora al centro con due devoti e ai lati i martiri Canzio, Canziano, Canzianilla e Proto.

Sarei propensa nel situare quest'affresco, stilisticamente di carattere locale, probabilmente ad opera di qualche bottega della zona, nei decenni centrali della prima metà del XIV secolo.

Di seguito andranno analizzati gli affreschi dipinti nell'intradosso della nicchia archiacuta della cappella Torriani di Rainaldo Della Torre,

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Fig. 12. Fig. 13.

Fig. 14. Fig. 15.

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Fig. 16.

Fig. 17.

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Fig. 18.

Fig. 19.

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raffiguranti i Santi Ambrogio, Ermacora, un Santo intento a scrivere (forse un Padre della Chiesa?) (figg. 11-13) e nel fronte esterno della parete meridionale della nicchia la Vergine inginocchiata e più in basso lo Stemma della famiglia Torriani (fig. 14).

Proporre una datazione precisa basandosi esclusivamente sull'ana­lisi stilistica risulta difficile data la frammentarietà di queste figure. Un elemento che ben si riesce a distinguere è il modo di dipingere gli abiti attraverso panneggi delicati ma che danno il senso della plasticità senza forzature; inoltre le decorazioni delle vesti dei due Santi sono trattate con minuzia e originalità. Molto importante per la collocazione temporale di queste pitture risulta essere il testamento di Rainaldo Della Torre, morto nel 1332, che dava disposizione su come adattare la cappella.

"Il suo testamento del 31 marzo 1332, disponeva di incastonare il sarcofago sotto un arco da ricavare nella parete sud e da decorare con affreschi. Nell'attuale restauro si è potuto verificare che l'arco della parete sud parzialmente murato, comprendeva affreschi trecenteschi e presenta­va misure perfettamente adeguate all'inserimento del sarcofago" 1• Questo rilevante documento storico, a mio avviso, permette di situare questi dipinti precisamente in quegli anni, nel quarto decennio del XIV secolo.

Seguitiamo con il lacerto d'affresco situato sempre nella cappella Torriani, raffigurante dei Devoti in preghiera (fig. 15).

Questo lacerto presenta uno stile tipico del medio Trecento per il modo accurato e dettagliato con cui vengono dipinti gli abiti, minuzio­samente descritti secondo la moda dell'epoca, e per il modo preciso e realistico con cui vengono delineati i tratti somatici: una sottile linea scura tratteggia gli occhi, l'arco delle sopracciglia e il naso, mentre la bocca turgida è dipinta in modo plastico con sfumature di colore chiaro. Messi a confronto con i Devoti dipinti nel transetto sinistro, di stile ancora tardo­romanico, raffigurati in una posa alquanto rigida e innaturale, mostrano un divario stilistico notevole. L'evoluzione post-giottesca che diffonde nuovi dettami stilistici influenza man mano anche la pittura friulana. Una data­zione adeguata mi farebbe propendere per il terzo quarto del XIV secolo.

Un altro affresco raffigurante una Madonna in trono con angeli musi­canti (fig. 16) è ubicato nella Cappella del Rosario. Quest'opera risente di una cultura figurativa giottesca nell'inquadramento delle figure più sciol­to e naturale, nell'uso di una cornice con un motivo cosmatesco, e nella spontaneità dei gesti degli angeli che suonano. Anche il trono costruito in modo prospettico con i due pinnacoli laterali, è un elemento nuovo che permette alle figure di inserirsi in una ambientazione più realistica. Daterei quest'opera tra il primo e il secondo quarto del XIV secolo.

1 Pannello della Soprintendenza ai Beni A.A.A.A.S. del Friuli Venezia Giulia, acura di Beatrice Toppani e Bruno Micali.

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Proseguendo con l'analisi dei riquadri isolati situerei a questo punto i due affreschi dipinti nella cappella di San Pietro: il Cristo in trono benedicente circondato dai quattro Evangelisti ed il Volto Santo (figg. 17-18).

La fattura della prima opera in questione presenta un tipo icono­grafico consueto nell'arte medievale. I particolari sono trattati con cura: i volti degli Evangelisti sono caratteristici, l'uno diverso dall'altro, e raffigurati in espressioni differenti. Così come gli elementi tipici che tengono in mano (il libro, la piuma e il calamaio con l'inchiostro). Il trono è un elemento fondamentale poiché funge da struttura portante nella quale sono inserite le figure ma allo stesso tempo, essendo dipinto con creatività, predomina e diviene una componente importante, non solo funzionale. Situerei la stesura di quest'opera al terzo quarto del XIV secolo.

Il Cristo dipinto come Volto Santo, raffigura Cristo sulla croce come sommo sacerdote, con gli occhi aperti in quanto vuole rappresentare il cosiddetto "Cristo Triumphans" cioè trionfante sulla morte, vestito di una lunga tunica con maniche (il colobium) e con le braccia tese oriz­zontalmente in un atteggiamento quasi fluttuante. Per quanto riguarda la tipologia, è strettamente affine al noto Volto Santo di Lucca, la cui fortuna iconografica è legata in particolare all'imperatore Carlo IV di Boemia ed è molto probabile che sia stata promossa in Aquileia dal patriarca Niccolò di Lussemburgo, fratellastro dell'imperatore.

Penso che il Volto Santo e il Cristo in trono benedicente circondato dai quattro Evangelisti siano vicine dal punto di vista stilistico: il tratto netto e marcato con cui sono delineate le mani degli Evangelisti e il piede del Volto Santo è identico. Gli occhi del Cristo nel catino absidale e del Cristo nella parete sottostante mostrano lo stesso stile nell'esecu­zione. Si può avanzare l'ipotesi che entrambe le opere siano state dipinte in un 'unica fase compositiva, probabilmente dallo stesso frescante, o perlomeno dalla medesima bottega. Per cui cronologicamente potremmo ipotizzare una datazione al terzo quarto del XIV secolo.

I lacerti d'affresco raffiguranti le Storie dei Santi Ermacora e Fortunato (fig. 19) ubicati nell'abside centrale, rimasti purtroppo in stato estremamente frammentario, presentano uno stile chiaramente post-giottesco che sente l'influenza dell'evoluzione della pittura friula­na attorno alla metà del Trecento. Gli abiti sono curati e particolareggia­ti, i gesti appaiono naturali e le figure sono inserite in modo spontaneo all'interno della scena. Antonio Morassi già nel 1923 e successivamente Marisa Fiorin nel 1969, ipotizzano che il maestro che dipinse questo ciclo sia lo stesso che affrescò le Storie di San Giusto nella cattedrale di Trieste, chiamato appunto "Secondo Maestro di San Giusto". Mettendo a confronto le antecedenti pitture della cripta, che raffigurano, in un ciclo molto articolato dal punto di vista iconografico, lo stesso sog-

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getto, possiamo trovare delle analogie tra il lacerto dell'abside con Sant'Ermacora che battezza le quattro vergini aquileiesi e il riquadro nella sottostante cripta che riproduce Sant' Ermacora mentre battezza Gregorio e la sua famiglia (fig 20). Dal punto di vista tipologico le due scene si assomigliano.

Il frammento con Sant' Ermacora che battezza le quattro vergini aquileiesi era stato riprodotto dal canonico Gian Domenico Bertoli prima che gli affreschi venissero ricoperti di calcina nel 1733 (fig. 21). Nella riproduzione è raffigurato anche un altro personaggio, sulla sinistra, che lo assiste nel battesimo, e che purtroppo attualmente non è più visibile a causa di una consistente lacuna.

Credo, come già suppose Marisa Fiorin, che gli affreschi di Aquileia potrebbero far parte del programma di ristrutturazione e rinnovamento della basilica attuato dal patriarca Marquardo di Randeck, dal 1365 al 1380 circa, subito dopo il terremoto del 1348. Per questa ragione li daterei al terzo quarto del XIV secolo.

Altri due lacerti d'affresco (figg. 22-23), raffiguranti dei volti, mostrano delle similitudini con i lacerti appena descritti. Soprattutto il frammento con Testa maschile presenta grandi affinità con il San Giusto che sorregge il modellino della città a Trieste. Il modo di dipingere i tratti somatici non si allontana molto da uno stile post-giottesco: i grandi occhi a mandorla chiari sono delineati con cura, c'è lo stesso modo nello sfuma­re le sopracciglia e il naso e l'ugual maniera nel tratteggiare i capelli con striature più scure. A mio avviso la datazione rimane pressoché la stessa dell'affresco precedente: terzo quarto del XIV secolo.

Gli affreschi che seguono fanno parte di uno stesso sostrato culturale che si rifà a Tomaso da Modena e a Vitale da Bologna. Li accomuna un altro elemento, il loro stato di conservazione, che purtroppo non è dei migliori.

La Sant'Orsola (fig. 24) viene messa a confronto da Robert Gibbs con la Sant'Orsola affrescata nella chiesa di San Francesco a Cividale e inserita in un filone di opere friulane che si richiamano alle figure fron­tali di Sant'Agnese in San Nicolò a Treviso e di Sant'Orsola nella chiesa di Santa Caterina, sempre a Treviso, affrescate da Tomaso da Modena: le opere friulane "debbono derivare o dalla bottega stessa di Vitale o da Tomaso quando ne faceva parte: queste partecipano del fascino di Tomaso con i loro abiti bipartiti, ma hanno le proporzioni e i visi più vitaleschi" 2.

La Sant'Orsola di Cividale e quella di Aquileia presentano delle analogie sotto vari punti di vista: la forma del volto ovale è la medesima,

2 GIBBS 1981, p. 38.

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Fig. 22. Fig. 23.

Fig. 24. Fig. 25.

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così come gli occhi chiari e allungati, quasi socchiusi, e la piccola bocca turgida. Hanno una struttura fisica similare, realizzata attraverso una conformazione slanciata e longilinea. La nostra Santa è vestita con cura, il suo abito è raffinato e impreziosito da pietre che vengono dipinte con accuratezza una ad una. Anche la corona che indossa sul capo, e quelle che regge con le mani, sono trattate con minuzia in ogni dettaglio.

Il San Cristoforo (fig. 25), raffigurato secondo una tipologia diffusa, con proporzioni massicce, frontale, e immerso nell'acqua fin quasi alle anche mentre sorregge un ramo di palma, è piuttosto rovinato da consi­stenti cadute d'intonaco; nonostante ciò si riesce a distinguere il tratto sot­tile e preciso nella definizione dei tratti somatici, dei capelli e dell'abito. Un confronto con il San Cristoforo dipinto sulla navata destra del Duomo di Santa Maria a Spilimbergo mostra come i due affreschi presentino delle affinità 3: a mio avviso si possono trovare analogie soprattutto nella posa rigida e fissa, nella struttura fisica, nell'abbigliamento costituito da una veste attillata che mostra i fianchi marcati, e nella cornice che racchiude l'opera, composta di semplici fasce colorate.

I due riquadri affrescati nel braccio sinistro del transetto, raffiguranti San Giovanni Battista con devoto, San Benedetto (Sant'Antonio abate?) e San Niccolò e la Madonna in trono affiancata da Sant'Elena e un Santo con due devoti inginocchiati (figg. 26-27), presentano uno stile più pre­ciso nel disegno, più sciolto nella gestualità delle figure e maggiormente plastico nel panneggio delle vesti. Pur essendo molto rovinato, probabil­mente da mediocri restauri oltre che dal tempo, si percepisce un'influenza esercitata da Tomaso da Modena nelle pose dei Santi, nella cura dei parti­colari e nella forma del volto.

Accostando il San Niccolò di Aquileia al Santo Vescovo affrescato nella chiesa di Sant' Antonio Abate di Udine si può notare come l'influsso vital-tomasesco sia presente in entrambe queste opere.

Un ultimo affresco con la Madonna in trono, Santo Vescovo e sfon­do con architetture (fig. 28), dipinto sulla parete esterna della cappella del Rosario, si contraddistingue particolarmente per lo sfondo creato dall'autore in modo originale e non usuale nella pittura di questa area geografica. Gli edifici, infatti, sono costruiti in modo bizzarro e rive­stono interamente lo scenario retrostante rendendolo quasi "saturo". Tuttavia le figure, inserite in questo sfondo pieno, sembrano piatte, quasi "incollate" alla scena: manca il senso plastico e strutturale della composizione. L'autore risente forse la lezione di pittori come Guariento o Altichiero per quanto riguarda la costruzione spaziale e architettonicadella scena, pur tuttavia mostrando una qualità d'esecuzione che rimanein ambito locale.

3 Cozzi 1993, p. 164.

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Fig. 26.

Fig. 27.

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Fig. 28.

Per i vari caratteri stilistici esposti e per lo stile vitalesco-tomasesco che accomuna questi riquadri, li collocherei tutti nella seconda metà del Trecento, in un arco di tempo che va dal terzo all'ultimo quarto del XIV secolo.

La contestualizzazione storico-artistica, l'analisi iconografica e stilistica di questi affreschi ha consentito di rivisitare criticamente delle testimonianze figurative di epoca tardo-romanica e gotica scarsamente studiate che rappresentano in ogni caso una parte apprezzabile della storia della basilica di Aquileia.

Manca indubbiamente un ciclo organico di affrescru in epoca tardo­romanica e gotica, e lo studio dettagliato di ogni singolo riquadro affresca­to mi consente di affermare, in ultima analisi, che questi brani d'affresco appartengono a diverse mani di pittori, i quali presentano svariati modelli figurativi e linguistici, differente cultura e diversa tecnica d'esecuzione: tutto ciò non contraddice il fatto che la datazione in molti casi si avvici­ni.

Molteplici sono gli influssi presenti: i maggiori rimangono quelli giotteschi e vital-tomaseschi, che giungono in Friuli portando una ventata di rinnovamento nella pittura attorno alla metà del Trecento, stagnante prima dell'arrivo e dell'attività di Vitale da Bologna a Udine (1348-1349),

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dopo che la lezione delle botteghe giottesco-padovane, ben presente nel primo quarto del XIV secolo in Friuli (da Sesto al Reghena a Cividale) si era esaurita in modi più corsivi sulla scia della diffusione di botteghe di frescanti che recepiscono nel contempo anche i modi delle maestranze riminese 4.

4 Il presente intervento è stato ricavato NARDlNI 2006.

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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

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ANCONA 1967 = G. ANCONA, Bertoli Gian Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 9, Roma, pp. 594-596.

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