Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

Embed Size (px)

Citation preview

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    1/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    1

    TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA

    MUSICALE NEL NOVECENTO

    Agostino Di Scipio

    n.b. Questo testo è una copia della bozza preliminare dell’articolodato alle stampe dall’editore. Esso viene reso qui disponibile informato elettronico a solo uso personale. I diritti di riproduzione, diuso pubblico, e la responsabilità sui contennuti sono dell’autore.

    Introduzione

    Uno dei tratti più significativi del Novecento musicale riguarda losviluppo dei linguaggi e delle estetiche in rapporto alla tecnica. In effettigià l’idea tutta novecentesca di “artigianato musicale”, come categoriariferita alle soluzioni pratiche interne al lavoro di composizione e diesecuzione musicale, accoglie il senso di una tradizione consolidata neimodi stessi del far musica, nelle tecniche del lavoro musicale

     prim’ancora che in questioni di linguaggio musicale.Tuttavia, decisivo è stato anche e soprattutto il rapporto delle

    specifiche tecniche musicali con la razionalità e il sapere della tecnica ingenerale – con la “tecnologia”. Nel corso del Novecento la musicaoccidentale non solo ha sviluppato una crescente consapevolezza teoricadelle proprie tecniche tradizionali, ma si è spesso anche assunta laresponsabilità delle proprie tecnologie. Con ciò, essa sembra indicareche uno degli aspetti essenziali dell’esperienza dell’arte, nel contestostorico generale, consiste nel definire le condizioni della propriaesistenza in un contesto di sempre crescente razionalità tecnica.

    Si pensi, per es., all’esperienza della “musica elettronica”. La quale, pur non essendo la sola ad articolare in profondità la questione dellatecnica, ne ha però tematizzato radicalmente gli aspetti peculiari siarispetto al più ampio contesto socio-culturale, sia rispetto ad elementispecifici di teoria della musica, dando vita inoltre ad un repertorioemblematico di varie tensioni intellettuali che hanno attraversato ilsecolo. Come ha scritto Luigi Rognoni nel 1956, il significato storicodella musica elettronica va compreso come «una domanda rivolta al problema della tecnica in generale [...] che investe l’essenza umana delsuo stesso operare, prima di essere un problema di linguaggiospecifico».1

     1  Luigi Rognoni, “La musica ‘elettronica’ e il problema della tecnica”, in

     Fenomenologia della musica radicale (Garzanti, Milano, 1974), p.34. Testo riassuntivodi due conferenze tenute Darmstadt nel 1956.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    2/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    2

    Le problematiche tecnologiche possono apparire piuttosto particolari,o anche specialistiche, e tuttavia costituiscono materia estremamentearticolata e densa di implicazioni. Nell’affrontarle, a mio avviso occorreguardare alla pluralità dei fenomeni e delle esperienze, provando acomprenderne il significato storico insieme musicale e tecnico – e cioè“tecnico in quanto musicale” (far musica implica sempre la conoscenzadi un ambito di azioni possibili in vista di certi scopi) e “musicale inquanto tecnico” (ogni azione tecnica si offre ad un giudizio che mette inrapporto, cioè armonizza, idealità e materialità, potenzialità e attualità).

    Eccoci allora ad un primo chiarimento, in base al quale “tecnologiadella musica” indica non tanto un insieme di tecniche e di strumenti(una configurazione di oggetti tecnici con le loro regole d’uso e difunzionamento), o la logica delle premesse funzionali e materiali dellaloro costruzione (il sostrato dei componenti di base le cui proprietàfisiche rendono possibili molteplici campi applicativi), quanto una piùampia forma di studio e riflessione vòlta a comprendere l’elemento

    tecnologico – cioè relativo alla comprensione del fare – che è essenzialead ogni agire musicale, e artistico in genere.La situazione attuale e futura della cultura musicale appare, oggi

    (all’inizio di un nuovo secolo), inscindibilmente legata a condizioni diesistenza profondamente mediate in senso tecnologico. Per questo,sviluppare un ambito di studi e di comprensione secondo le istanzeappena indicate sembra quanto mai opportuno e perfino urgente. Nelguardare all’intero arco del Novecento si dovrà allora non solo rilevarela sensibilità di alcuni repertori nei confronti di questioni tecnologiche,ma anche cogliere quel tratto caratteristico del secolo che è consistitonell’attribuire possibilità conoscitive e “critiche” al lavoro dell’arte ingenerale.2

    Il quadro storico-musicale del secolo presenta alcune formetecnologiche già mature, perchè ereditate direttamente da prassi ditradizione (tecniche di scrittura, liuteria meccanica, orchestrazione,studio di prassi esecutive anche legate a problemi filologici, ecc. – tuttedimensioni a vario titolo assimilate di solito alla categoria dell’“artigianato” cui si è fatto cenno all’inizio). Altre forme tecnologiche 

    2 Si tratta di una delle tensioni più caratteristiche dell’arte del Novecento: per es.,tutto il discorso della “teoria critica” in materia d’arte va in tal senso (cfr. T.Adorno,Teoria estetica, Einaudi, Torino, 1975). Nella letteratura critico-musicologica delsecondo Novecento se ne trovano innumerevoli tracce: per fare due esempi vicini agliambiti di esperienza che qui interessa evocare, si veda la “Prefazione” di DomenicoGuàccero a Walter Branchi, Tecnologia della musica  (Lerici, Roma, 1976), dove per 

    “tecnologia” si intende “tecnologia elettroacustica analogica”, e la “Prefazione” di LuigiPestalozza a Massimo Del Duca,  Musica digitale  (Muzzio, Padova, 1987), dove latecnologia ne frattempo è diventata appunto digitale (informatica musicale).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    3/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    3

    appaiono invece nelle loro configurazioni iniziali (radiofonia, sviluppodella “liuteria elettronica”, sviluppo di sistemi e supporti musicalianalogici e digitali, ecc.). Nello studio di queste ultime si possonoriscontrare connessioni significative non solo con la storia e teoria dellacomposizione,3 ma in generale con la storia della teoria musicale e conalcune importanti istanze di estetica del Novecento.4

    Le forme del fare (I): tecnologia come “mondo della strumentalità”

    Affrontare la “questione della tecnica” induce a collocare gli sviluppimusicali nel contesto di fenomeni di più ampia portata legati al ruolosempre più centrale che la tecnologia ha assunto nelle societàoccidentali. L’inizio del secolo, si deve ricordare, fu marcato da un forteottimismo scientista che declinava le istanze conoscitive e politichedell’Illuminismo nel linguaggio del Positivismo ottocentesco. Anchedottrine economico-sociali potenzialmente critiche, come il Marxismo,in realtà si presentavano a loro volta come “scienze”, in particolare

    come “scienze positive” che guardano al futuro con fiducia accordandoal “progresso tecnico” un ruolo determinante nel quadro delle mutazionidelle condizioni sociali.5  L’ottimismo scientista risultava rispecchiato

     3  Mark Lindley, “Composizione come termine musicale, un’indagine storica”,

     Musica/Realtà, 1988; Otto Laske, “Towards an epistemology of composition” ( Journal of new music research, vol.20, n.3-4, 1992); Gottfried M. Koenig, Summaryobservations on compositional theory, 1963-1970  (Università di Utrecht, 1971).L’indagine di Lindley sul concetto di “composizione” nella storia è di notevoleinteresse, ma presume che l’unica “tecnologia della composizione” sia la “scrittura”. Isuoi esempi sono tratti da schizzi del processo di elaborazione tematica in alcunidocumenti autografi di Beethoven. La prospettiva di Laske e Koenig, definita come

    “teoria della composizione”, è più adeguata alle tecnologie compositive del Novecento,e tuttavia provenendo da esperienze specifiche (“musica elettronica”, poi anche“informatica musicale”) può apparire metodologicamente troppo specializzata.

    4  Fra le estetiche filosofiche di rilievo per alcune delle questioni poste in queste pagine si può segnalare quella di Luigi Pareyson, riassunta in  Estetica. Teoria della formatività  (Bompiani, Milano, 1988; ed. or. 1950-54): non a caso si tratta di una«estetica della produzione e della formatività» (p.7), ovvero attenta al processo del faredell’arte, all’esperienza tecnico-costruttiva oltre che a quella ricettiva. Orientamentisimili si riscontrano in milieu intellettuali del tutto diversi, come per es. in MichaelRosenberg, The cybernetics of art   (Gordon and Breach, Londra, 1983). Nonostantel’approccio assai formalizzante non sempre condivisibile, Rosenberg parte dallaconsiderazione fondamentale che vede nell’arte un «metodo di conoscenza» (p.xvii).(Qui e in seguito per tutte le citazioni tradotte dall’inglese e dal francese si intenda“traduzione mia”).

    5 Si veda, per es., Sul marxismo e le scienze (numero tematico di Quaderni di criticamarxista, 6, 1974, con scritti di, tra gli altri, Ludovico Geymonat, Giulio Giorello,Enrico Bellone e Vittorio Somenzi). Si vedano anche gli spunti storici in AndrewFeenberg, Critical theory of technology (Oxford University Press, 1991).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    4/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    4

    dal corso musicale post- e anti-romantico, e informava di sè tantol’immaginario collettivo (il Futurismo e altre avanguardie ne sonoesempi di ricaduta estetica) quanto alcuni progetti teorici ed estetici (si pensi all’estetica razionalista del Bauhaus, oppure, per un esempio diteoria musicale, agli schizzi di Nuova estetica della musica di FerruccioBusoni, pubblicati inizialmente nel 1911).

     Nel corso dei decenni, e comunque già a partire dai primi anni delsecolo (a quel periodo risalgono le prime pubblicazioni di Einstein), lascienza è andata assumendo forme ben più complesse e articolate diconoscenza, mentre l’ottimismo del Positivismo si è rivelato piuttostoun empirismo ingenuo che avrebbe poco alla volta lasciato spazio aduna forma di comprensione non coincidente con la “razionalitàscientifica”, e invece definibile come una vera a propria “razionalitàtecnologica” – termine col quale si suole indicare l’orizzonte dei principi di razionalizzazione di comportamenti e sistemi tecnicieconomicamente o socialmente utili.6 Nel corso del secolo la filosofia ha

     ben presto riconosciuto che la tecnica, prima concepita come “mondodella strumentalità” (dai tempi dell’ Encyclopedie), si andavatrasformando in una vera e pervasiva forma di comprensione umana,diventando un modo di stare al mondo e di concepire il ruolo dell’uomoin esso. In questo passaggio estremo della modernità, da “mondo dellastrumentalità” la tecnologia diventava “ambiente di vita” (l’esistenzasociale e culturale dipendente da mediazioni tecniche).7

     6 Luciano Gallino, nel suo “Critica della ragione tecnologica. Valutazione, governo,

    responsabilità dei sistemi socio-tecnici” (in La tecnologia per il XXI secolo. Prospettivedi sviluppo e rischi di esclusione, a c. P.Ceri e P.Brogna, Einaudi, Torino, 1998),

    definisce la “ragione tecnologica” come il «dominio delle intenzioni, dei paradigmi, deimodelli di mondo, delle tecniche argomentative, dei giudizi di valore, dei criteri di sceltache orientano l’azione teoretica e pratica di coloro i quali producono, diffondono,applicano tecnologia, e – più in generale – prendono decisioni in merito ad essa» (p.5).

    7  La questione è stata posta in innumervoli luoghi della letteratura filosofica delsecolo. Qui vale richiamarsi, poichè talvolta vi torneremo, a Martin Heidegger,  Die frage nach der technik , 1953 (“La questione della tecnica”, in M.Heidegger, Saggi ediscorsi, a c. G.Vattimo, Mursia, Milano, 1976). Si veda anche M.Heidegger,  Filosofia ecibernetica (a c. A.Fabris, ETS Editrice, Pisa, 1988), e Reiner Schürmann,  Dai principiiall’anarchia. Essere e agire in Heidegger (Il Mulino, Bologna, 1985). Alcune premessegenerali al pensiero di Heidegger su “scienza e tecnica” vanno individuate nel lavoro delsuo maestro, Edmund Husserl ( La crisi delle scienze europee e la fenomenologiatrascendentale , Il Saggiatore, Milano, 1961; ed. or. 1959). A sua volta Herbert Marcuse,allievo di Heidegger sebbene più spesso associato alla scuola francofortese diHorkheimer e Adorno, ha indicato nella razionalità tecnologica un evento storico che

    tocca l’essenza umana: «quando la tecnica diventa la forma universale della produzionemateriale, ciò delimita un’intiera cultura: configura una totalità storica – un “mondo”»( L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967, p.168; ed. or. 1964).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    5/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    5

    La concezione della tecnologia come “mondo della strumentalità” èancora ben presente nella “liuteria elettronica” dei primi decenni delsecolo, e informa la concezione stessa degli innumerevoli strumentimusicali legati alle allora nuove risorse tecniche (per es. Theremin,Telharmonium, Ondes Martenot, Trautonium e Mixtur-Trautonium,organi elettrici Würlitzer e Hammond, ecc.). Tali strumenti siconfiguravano come specifiche applicazioni nel controllo di generatorielettrici (l’organologia li classifica come “elettrofoni”), e talvolta siappoggiavano perfino alle possibilità della telefonia. Per es., ilTelharmonium di Thaddeus Cahill, brevettato nel 1895, era un enormeorgano elettromeccanico i cui suoni erano trasmessi lungo cavitelefonici.8  In genere la costruzione di tali strumenti rispondevasoprattutto all’esigenza di allargare le possibilità coloristiche edespressive dello strumentario musicale tradizionale – esigenza cui avevarisposto fino a qualche tempo prima la crescente dimensione delle masseorchestrali. Pur non mancando di interesse, soprattutto rispetto a

    sviluppi tecnici successivi (sintetizzatori analogici degli anni Sessanta eSettanta) e rispetto alla figura del rapporto “uomo/macchina”nell’immaginario popolare, essi rimanevano legati al ritualeconcertistico Ottocentesco e a stilemi musicali raramente in sintonia congli sviluppi compositivi dei loro tempi (ad eccezione delle OndesMartenot, strumento presente nelle risorse orchestrali di varicompositori, da Honegger a Boulez, da Jolivet a Messiaen, da Varèse aScelsi).9

     8 Si veda Reynold Weidenaar, Magic music from the Telharmonium. The story of the

     first music synthesizer (Magnetic Music Publ., New York, 1998). Da un punto di vistafunzionale, la tecnica di generazione del suono implementata nel Telharmonium, ben

    documentata nella pubblicistica riguardante lo strumento, anticipava la “sintesi additiva”usata in strumentazioni analogiche e digitali successive di molti decenni. Si deve notareche alla data del brevetto di Cahill, la letteratura scientifica in ambito fisico-acustico nonsi era esplicitamente interessata a dispositivi elettrici in grado di produrre vibrazioniacustiche ad uso musicale, benchè l’impianto concettuale necessario, quello dellasommatoria di frequenze armoniche, fosse già da tempo consolidato (a partire dagli studidi Georg Ohm e di Hermann von Helmoltz, sulla base della formulazione matematica diJean-Baptiste Fourier risalente al 1807, pubblicata nel 1822). In The theory of sound , diJ.W.S.Rayleigh (New York, 1877) vi è un capitolo intitolato “Electrical vibrations”, cheriguarda però argomenti strettamente analitico-scientifici. Forse il primo esempio di“sintesi del suono” commentato in ambito fisico-acustico è nel paragrafo “Examples of wave-form analysis and synthesis” in A.B.Wood, A textbook of sound  (Londra, 1930), diepoca successiva alla costruzione di buona parte dei primi esempi di “liuteriaelettronica”.

    9 Si ricordi che dal 1947 esiste un insegnamento di Ondes Martenot al Conservatorio

    di Parigi. Su questo strumento si può vedere Fred Prieberg,  Musica ex machina(Einaudi, Torino, 1963, pp.242-250). Sulle manifestazioni dell’immaginario collettivo a proposito delle “macchine musicali” e del rapporto “uomo/macchina” si possono vedere

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    6/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    6

    I primi anni del secolo, però, lasciavano intravedere anche segni diuna diversa percezione di come si sarebbero potute coniugare le nuoveopportunità tecnologiche col lavoro musicale. Il primo “oscillatoreelettronico” fu brevettato dallo statunitense Lee De Forest, dapprima nel1906, poi di nuovo nel 1915 col titolo esplicito di  Mezzi elettrici per 

     produrre note musicali.10 Nel 1928 il tedesco Robert Beyer, personaggiodi formazione sia musicale che elettrotecnica, aveva considerato laconcreta possibilità di fare musica con tali oscillatori (venti anni piùtardi egli fu tra i fondatori dello Studio für Elektronische Musik diColonia).11

    Un altro segno importante è quello di una diversa sensibilità neiconfronti dei fenomeni udibili, che si accompagnava alla possibilità diregistrare e riprodurre il suono già con l’uso del fonografo (brevettato daThomas Edison nel 1878, ma sperimentato da altri già prima). Unindizio di questa nuova sensibilità è il “laboratorio dell’udito” di DzigaVertov, coi “documentari sonori” che ne scaturirono (1916-17).12  Un

     altri capitoli di quello stesso volume, ma anche Mario Losano, Storie di automi. DallaGrecia classica alla belle époque (Einaudi, Torino, 1990).

    10  Cfr. Joel Chadabe,  Electric sound. The past and promise of electronic music,Prentice-Hall, Upper Saddle River, 1997 (p.7).

    11 R.Beyer, “Das Problem der kommanden Musik” ( Die Musik 20, n.12, 1928). Cfr.anche Marietta Morawska-Büngeler, Schwingende elektronen. Eine dokumentation über das Studio für Elektronische Musik des Westdeutschen Rundfunk in Köln, 1951-1986 ,(P.J.Tonger MusikVerlag, Köln, 1988). Mentre scrivo, apprendo che, a cinquant’annidalla fondazione, lo Studio für Elektronische Musik della WDR di Colonia rischia oggidi essere smantellato.

    12  Si veda Pietro Montani,  Dziga Vertov  (La Nuova Italia, 1975), in particolare pp.12-21, dove sono evidenziate le differenze del lavoro di Vertov rispetto a quello difuturisti russi e italiani cui talvolta è stato associato. Nelle pagine sucessive prenderò in

    esame soprattutto tecnologie che riguardano il lavoro compositivo e interpretativo-esecutivo, mentre potrò soffermarmi solo di passaggio sulle “tecnologie dell’ascolto”. Inquesta circostanza, comunque, mi pare importante segnalare che il fonografo era natocon finalità del tutto estranee al mondo della musica, nel quale invece ha avutoripercussioni profonde, trattandosi piuttosto di finalità di archiviazione in ambitoaziendale. Si vedano a riguardo le annotazioni di Jacques Attali, nel suo  Bruits: essai sur l’économie politique de la musique (Parigi, PUF, 1977, in particolare il capitolo IV), e i passaggi dedicati al fonografo in Neil Baldwin, Edison. Inventing the century (Hyperion, New York, 1995). Esperienze come il “laboratorio dell’udito” di Vertov – con la suaintenzione di documentare la “musicalità delle cose” – paradossalmente restituiscono in parte al fonografo una funzione archivistica, ma allo stesso tempo assegnano unavalenza culturale prima sconosciuta all’idea stessa di “archivio sonoro”. L’unico precedente in tal senso potrebbe essere l’uso del fonografo da parte dell’etnomusicologiadegli inizi del secolo (cfr. Otto Abraham e Erich Hornbostel, “Über die Bedeutung desPhonographen für die vergleichende Musikwissenschaft”, Sammelbände der internationalen musikgesellschaft , n.3, 1904).

    Oggetti tecnici come il fonografo e il grammofono, che hanno colpito l’immaginariocollettivo in modo profondo, sono stati storicamente sottoposti ad una dinamica di

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    7/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    7

    indizio successivo è riscontrabile nel lavoro di Walter Ruttmann, coisuoi “film senza immagini”, consistenti cioè soltanto nella tracciasonora incisa sulla pellicola cinematografica (per es. il famoso Weekend ,1930). In tali esperienze, da una parte si delineava un approcciofenomenologico al suono, quasi una forma di “riduzione ai fenomeni”vòlta a rimuovere l’automatismo delle percezioni acquisite; dall’altra,sorgevano problematiche tecniche che sarebbero poi rimaste rilevanti per decenni, come quella di un’adeguata metodologia generale di lavoro – che fu diffusamente detta “montaggio” col linguaggio del cinema, artespecificamente novecentesca13 – e quella dei “supporti di registrazione”,ovvero di adeguate tecnologie di memorizzazione del suono. Questi treaspetti – fenomenologia del sonoro, tecniche di montaggio e supporti diregistrazione – sarebbero divenuti poi decisivi nell’esperienza che fudetta prima “arte radiofonica” (dal 1945) e poi musique concrète (dal1948) nel lavoro di Pierre Schaeffer alla radio di Parigi.14

    Le forme del fare (II): tecnologia come “ambiente di vita”Quello che la filosofia ha talvolta definito come “evento storico della

    tecnologia”15 – la tecnologia come “ambiente di vita” e come “orizzontedi comprensione dell’uomo” – segna un passaggio epocale di cuitroviamo significativa testimonianza in alcune diramazioni importantidella musica del Novecento. Il passaggio dalla tecnologia come “mondodella strumentalità” (in musica: l’invenzione di nuovi strumenti, dinuove tecniche di scrittura, di tecniche esecutive non convenzionali, dinuovi “metodi” compositivi, ecc.) alla tecnologia come “ambiente diesistenza” (in musica: la costruzione di ambienti di lavoro costituiti daattrezzature non specializzate ma interconnesse e riconfigurabili a

     significazione molto articolata e spesso in bilico tra “magia” e “alterità”: magia di unavoce “senza corpo”, che rifà l’umano in sua assenza; alterità di una voce che nasce da unoggetto estraneo a quel “mondo della vita” cui l’intimità della voce sempre rimanda. Suquesta dinamica interpretativo-antropologica, che in qualche caso ha fatto del fonografo-grammofono perfino “arma di colonizzazione culturale” da parte dell’Occidente, sivedano ampi stralci dello studio etnografico in Michael Taussig,  Mimesis and alterity. A particular history of the senses (Routledge, New York, 1993).

    13  Quella del “montaggio” è in realtà forma costruttiva che attraversa variemanifestazioni dell’arte del primo Novecento: a parte l’ovvio riferimento al cinema, cherimanda agli scritti di Ejzenstein degli anni Venti (Teoria generale del montaggio,Venezia, 1985), si può anche pensare ad alcune tecniche letterarie (cfr. C.W.Wallace, Montage in James Joyce’s Ulysses, Madrid, 1980) e agli effetti perseguiti inizialmentedal cubismo in pittura, da cui poi si svilupparono anche le tecniche di collage.

    14  John Dack, “Pierre Schaeffer and the significance of radiophonic art”,Contemporary music review, vol.10, n.2, 1994.

    15 Cfr. Schürmann, op.cit., passim.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    8/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    8

    seconda di specifici compiti) è un momento decisivo che si accompagnaad una tematizzazione consapevole delle condizioni concettuali edoperative del pensiero e dell’espressione musicale nel contesto socio-tecnico generale: scelte e responsabilità tecnologiche (del compositorema anche dell’interprete) assumono allora valore musicale nel senso chevengono accolte come determinazioni sottoposte a giudizio estetico.

    La nuova situazione coincide con un modo di vita in cui l’uomo“abita la tecnologia”. Già negli anni Venti, Le Corbusier aveva descrittole abitazioni delle moderne città occidentali come “macchine in cuivivere”. In ambito musicale la figura corrispondente è quella delcompositore che lavora nel chiuso degli studi di musica elettronica,circondato da macchine, sistemi e supporti tecnologici di vario tipo.16 Si può pensare anche alla figura dell’interprete chiuso in sala di

     16 Mi riferisco chiaramente ai famosi “studi di musica elettronica”, come lo Studio

    für Elektronische Musik della WDR di Colonia (ufficialmente a partire dal 1952), lo

    Studio di Fonologia della RAI di Milano (dal 1954) e il Groupe de RecherchesMusicales di Pierre Schaeffer alla radio di Parigi (dal 1948). Naturalmente questi sonosolo i centri istituzionali meglio attrezzati e più conosciuti, dato anche il valore deicompositori che vi lavorarono e delle musiche che vi furono realizzate. In realtà neglianni Cinquanta si aprirono numerosi altri centri di musica elettronica, non solo inEuropa (per es. Monaco, Varsavia, Londra), ma anche negli Stati Uniti (Università diPrinceton e Columbia, dal 1952), in Giappone (Tokyo, dal 1953) e in Sud America(Università di Buenos Aires, dal 1958). Per una panoramica cfr. Armando Gentilucci, Introduzione alla musica elettronica  (Feltrinelli, Milano, 1972), dove però sonocontenute alcune imprecisioni, e le rassegne offerte da Peter Manning,  Electronic and computer music (Clarendon Press, Oxford, 1985) e Joel Chadabe,  Electric sound (op.cit). Si veda anche  La nuova Atlantide. Il continente della musica elettronica (a c.R.Doati e A.Vidolin, La Biennale di Venezia, 1986; catalogo della mostra omonima conschede storiche e interventi di vari autori).

    A partire dagli anni Ottanta, già in epoca informatica, l’evoluzione dei centrimusicali elettronici e computerizzati è stata segnata da una biforcazione in seguito allaquale le attività sono proseguite, da una parte, in centri di “ricerca musicale” e,dall’altra, in centri di “produzione musicale”. Si tratta di una scissione dei compiti cheriflette un andamento caratteristico delle istituzioni scientifiche e culturali nel corso delsecolo: si pensi alla distinzione, valida per molto tempo, tra “ricerca” pubblica e“produzione” privata (oggi la distinzione appare assorbita all’interno delle dinamiche dimercato, dove anche le direttive della ricerca sono ampiamente soggette a logicheindustriali). Elementi interessanti circa l’evoluzione dei centri musicali elettronici nelloro rapporto con le istituzioni si possono evincere non solo dalla pubblicisticariguardante particolari iniziative ( Musique et institution, numero tematico di Inharmonique, n.6, 1990;  Il complesso di Elettra, Federazione CEMAT, Roma, 1997),ma anche da studi specifici (Anne Veitl,  Politiques de le musique contemporaine,L’Harmattan, Parigi, 1997; Hugues Dufourt,  Musique, pouvoir, écriture, C.Bourgois,Parigi, 1991). Di rilievo è anche la prospettiva di studio nella quale gli ambienti di

    ricerca e produzione computerizzati vengono studiati con taglio etnografico (come inGeorgina Born, Rationalizing culture. IRCAM, Boulez and the institutionalization of themusical avant-garde, University of California Press, Berkeley, 1995).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    9/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    9

    registrazione, come nel caso emblematico di Glenn Gould17  o comenella prassi delle produzioni discografiche di repertori sinfonici edoperistici. Si pensi infine all’industria dei prodotti musicali di più ampia portata commerciale, dove le singole proposte vengono confezionate inlaboratorio secondo un processo estremamente articolato, in seguito alquale risultano differenziate solo sulla base di pochi accorgimentitecnici in fase di produzione (più che di composizione e di esecuzione)col differente sound  che ne scaturisce.

    Sul piano storico, gli studi di musica elettronica già negli anniCinquanta prefiguravano un tempo in cui tutti gli aspetti legatiall’esperienza musicale avrebbero avuto luogo in ambiente tecnologico. Non si trattava di usare le nuove apparecchiature per fissarel’esecuzione di musiche indipendentemente composte e interpretate, madi ideare, produrre e ascoltare musica direttamente nello “studio”, nelnuovo ambiente di lavoro, con conseguenze importanti sul pianocognitivo.

    Le forme del suono (I): centralità del timbro

    È significativo come proprio in quel passaggio nel quale, in musica,la tecnologia da “strumento” diventa “ambiente” (diciamo, dunque, tra1948 e il 1958) sia sorta l’idea secondo la quale ogni minimo elementodi un lavoro musicale diventa potenzialmente fattore espressivo di cui ilcompositore è responsabile, compreso ogni singolo suono nella suastruttura interna, in ogni sua componente fonica: mi riferisco, insomma,all’emancipazione decisiva del “timbro” a dominio di invenzione,costruzione e giudizio. Con ciò veniva istituita la possibilità di“comporre-il-suono”, e di conseguenza anche la distinzione tra questa possibilità e la più normale prassi del “comporre-coi-suoni”. Lacondizione estetica più propria e specifica della musica elettroacustica èapparsa dunque storicamente legata alla possibilità di studiare precisecorrelazioni tra quei due termini, e perfino di fonderli insieme per comporre suono e forma musicale in un solo gesto.

    Sul piano storico-musicale generale, simili sviluppi mettevano in prospettiva esperienze in cui la dimensione timbrica era apparsa già inqualche modo fondante (per es. Debussy, o Webern e Schönberg nel periodo atonale pre-dodecafonico, ma anche certi luoghi della produzione di Oliver Messiaen e, soprattutto, l’intera produzione diEdgard Varèse18). Inoltre l’acquisizione definitiva del timbro a

     17 Glenn Gould, “The prospects of recording” ( Hi-fidelity magazine, 46, 1966).18  A Varèse accennerò diffusamente più avanti. Qui devo ricordare che vari

    compositori meno giovani guardarono con schietto interesse alle attività iniziali dei

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    10/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    10

    dimensione strutturale dell’opera rifletteva un’istanza tipicamenteilluminista, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso: nella prassi del “comporre-il-suono”, potenzialmente nulla è lasciato fuoridalla conoscenza: perfino il sostrato elementare della musica – il suonostesso, nelle rappresentazioni fornite dalla scienza – è investito di progettualità, di proiettività umana. La categoria del “materiale sonoro”, prima riferita a qualcosa di pre-esistente e perfino di “naturale”, venivaora ad indicare qualcosa di altrimenti inesistente, di deliberatamenteforgiato in base ad un idea musicale particolare: l’opera musicale tendea diventare “artificio integrale”.

    Ovviamente un qualsiasi strumento musicale tradizionale costituisceanch’esso un artefatto, denso di cultura e storia (in grado ben più elevatodi artefatti elettronici), e ricco peraltro di una speciale dimensione dicontatto e confidenza col corpo dell’esecutore (ergonomia). La radiceilluministica richiamata dalle nuove condizioni dell’esperienza musicaleconsisteva però nel sentire ciò che è “ignoto” – ciò che è “oltre” la

    conoscenza – come terreno di esplorazione e ulteriore conquista cherichiede una reinvenzione, o un riadattamento, dei mezzi stessi diesplorazione. Essa è presente anche in uno degli sviluppi paralleli allasperimentazione elettronica, quello dello studio di “nuove tecnicheesecutive”, concepito in qualche caso come vera e propria “ricercastrumentale”, nel senso di una permanente attitudine di reinvenzionedelle tecniche esecutive degli strumenti tradizionali.

    L’acquisizione del timbro alla composizione per via elettronica oinformatica stabilisce quindi “solo” una condizione-limite. Tuttavia essoacquista una rilevanza emblematica, e di maggior rilievo storico eteorico, in quanto fenomeno che più di altri fa precipitare nella prassimusicale il concetto che valeva come indicazione estrema dell’arte

     centri di musica elettronica (per es. Messiaen lavorò al Groupe de RecherchesMusicales, dove compose Timbres-durèes, nel 1952; Ernst Krenek, lavorò allo Studio diColonia, nel 1955; lo stesso Varèse sarà con Schaeffer a Parigi nel 1954). Ciò segna unimportante elemento di continuità storica. Si sa bene, d’altra parte, come il direttoredello Studio di Colonia, Herbert Eimert (che aveva alle spalle una lunga esperienza dimusica dodecafonica, e che già nel 1924 aveva redatto un saggio intitolato Teoriamusicale atonale), avesse insistentemente rivendicato una tangibile continuità storica in particolare con la musica di Anton Webern (si vedano i suoi interventi del 1955 sui primi due numeri della rivista  Die Rehie, di cui il primo dedicato a chiarire “cos’è la

    musica elettronica” [Was ist elektronische musik ], e il secondo dedicato ad una“necessaria rettifica” [ Die notwendige korrektur ] circa la novità storica della musicaelettronica stessa).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    11/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    11

    moderna, secondo il quale, con parole di Adorno, «nell’opera d’arte nonc’è nulla che valga come causalità naturale».19

    La tensione a fare dell’opera “artificio integrale” diventa davverosensibile nel momento in cui entra in contrasto con la ricchezzadell’esperienza vissuta, dove i fenomeni – anche quelli della comporre-del-suono – rimangono piuttosto inesauribili: l’orecchio scorge, nellaradice illuministica di quella tensione, una componente essenzialmenteutopica, una tensione irrisolvibile, impossibile da condurre a termine. 

    19  T.W.Adorno, “Vers une musique informelle” (in Quasi una fantasia, Verso,Londra, 1992, p.293); si vedano d’altra parte anche certi passi di T.Adorno eM.Horkeimer, Dialettica dell’illuminismo (Einaudi, Torino, 1966).

    La letteratura sul timbro come dimensione portante dell’articolazione musicale èsconfinata. La sua centralità – la centralità del suono-in-quanto-forma, del “comporre-il-suono” – è stata elaborata in innumerevoli occasioni già a partire dalle prime prove dimusique concrète (Pierre Schaeffer,  A la recherche d’une musique concrète, Seuil,Parigi, 1952). In Germania, il dibattito estetico dei primi anni della elektronische musik si focalizzò presto su questa nuova dimensione del comporre (si veda la ricostruzione

    storica di Gianmario Borio, “New technology, new techniques. The aesthetics of electronic music in the 1950’s”,  Journal of new music research, vol.22, n.1, 1993;traduzione italiana in Quaderni della Civica Scuola di musica di Milano , 26, 1999). Inseguito, il dibattito si è allargato fino a includere i più recenti sviluppi della ricercaacustica e psicoacustica, spesso condotti parallelamente alle ricerche dell’ “informaticamusicale” – un nome da richiamare, in tal senso, è quello del fisico e compositorefrancese Jean-Claude Risset (nato nel 1937, allievo di Andrè Jolivet per lacomposizione, pioniere della sintesi digitale del suono e delle ricerche informatizzate di psicoacustica musicale). Una rassegna di vari approcci al timbro nell’ambito delletecnologie digitali della composizione è fornita in  Le timbre. Métaphore pour lacomposition (a c. J.B. Barrière, C.Bourgois, 1991). Più ricca di spunti di rilievo teorico emusicologico, però, è la raccolta Timbre composition in electroacoustic music (numerotematico di Contemporary music review, vol.10, n.2, 1994).

    Devo anche segnalare che dubbi assai severi sono stati sollevati dall’area della

     psicologia cognitivista circa la possibilità di fare della dimensione timbrica “parametro portatore di forma musicale”. Si vedano, in proposito, alcuni contributi in La musique et les sciences cognitives (a c. S.McAdams e I.Deliège, Mardaga Ed., Liegi, 1989). Rimane però indiscutibile come il timbro, nella sua infinita problematicità, sia assurto adelemento espressivo e costruttivo in tutti quei repertori musicali che rinviano ad unconfronto di qualche profondità con le condizioni tecnologiche del fare musica. Ciò valenaturalmente per i repertori elettroacustici in genere, la cui dialettica interna anzi quasiimpone di volgere a proprio vantaggio gli aspetti sfuggenti del timbro (come segnalavagià Adorno nei primi anni Sessanta, cfr. “Music and new music”, in Quasi una fantasia,op.cit., p.267), facendo profitto dell’anarchia in cui ricadono i tentativi di delineare una possibile metrica delle relazioni timbriche. Inoltre si sa bene che la centralità del timbro,anche nella sua valenza generale di “matericità ” e “morfologia del gesto sonoro”, èelemento estetico caratterizzante anche di repertori di musica strumentale: si pensi allacomposizione post-seriale nei suoi vari orientamenti (per es. Salvatore Sciarrino, HelmutLachenmann, Gerard Grisey), o anche ad esperienze coeve al serialismo (Giacinto

    Scelsi), e si pensi infine alla violenta matericità di certe interpretazioni jazzistiche (CecilTaylor) e di altre prassi musicali che contaminano improvvisazione e stilemi delleavanguadie (Art Ensemble of Chicago, John Zorn).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    12/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    12

    Questa aporia vitale riflette un elemento dialettico caratteristico del processo dell’arte in generale, per il quale infatti la tecnica deve sempreessere massimamente potenziata per poi svelarsi di nuovo insufficenteed inadeguata, impotente. Un tentativo sempre ripetuto – quasi una“fatica di Sìsifo” nel cuore dell’esperienza costruttiva dell’arte – che èfonte di interrogativi più che di risposte, di miti più che di descrizioniscientiste e oggettivanti. L’opera come artificio integrale è presentecome terminus ad quem: ad essere sensibile, anche nei casi di piùestremo furore tecnicistico, è la sua assenza, la sua impossibilità.

    Perciò la problematicità inesauribile legata all’esperienza del timbrocome parametro strutturante riflette l’infinità del compito di conoscenzadi qualsiasi prassi d’arte, ed evidenzia che la sua stessa dialettica di potenziamento e depotenziamento della conoscenza ha come “teatro” imezzi tecnologici di creazione, trasformazione e controllo del suono.

    È significativo che questo compito sempre presente ma mai risoltodella tecnica viene in qualche modo reso “udibile” nei repertori

    elettroacustici attraverso un lavoro che si attua con mezzi tecnici disolito percepiti come fonte di comfort , come strumenti atti allarisoluzione di problemi (per es. gli odierni calcolatori), secondo unaconcezione appunto soltanto “strumentalistica” ed efficentistica. Nell’esperienza artistica, la razionalità tecnologica viene chiarita nellasua incapacità di tener fede alle sue stesse premesse, nella suacomponente idealistica (o anche ideologica). Non a caso nel corso del Novecento è stato scritto che «l’arte critica il mondo della razionalitàsenza sottrarlesi»20 e che essa costituisce quel dominio di esperienza nelquale l’uomo stabilisce «un confronto libero con la tecnica».21  Per “liberarsi” dalla tecnica onnipresente occorre un confronto ravvicinato e partecipe, piuttosto che una deliberata indifferenza.

    Una delle prime lezioni imparate dai compositori operanti a Colonia,già entro il 1953, fornisce il profilo di una presa di coscienza della problematicità intrinseca in ogni mediazione tecnologica: quando infattiEimert e colleghi si avvicinarono alle attrezzature elettroniche con lasperanza che queste avrebbero dato seguito al potenziale estetico dellacomposizione seriale, permettendo di superare i condizionamenti dovutiai limiti fisiologici dell’esecuzione strumentale, essi di fatto cercavanouna soluzione a problemi che nascevano da esigenze di linguaggiomusicale; tuttavia quei nuovi mezzi, peraltro ancora imprecisi e non perfettamente padroneggiabili, condussero ad esiti che scantonavanoappunto nella dimensione timbrica, e che tradivano le premesse. Sul

      20 Adorno, Teoria estetica (op.cit.), p.93.21 Cfr. La questione della tecnica (op.cit.), p.27.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    13/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    13

     piano delle esigenze intrinsecamente musicali, un’apertura decisiva altimbro non era forse meno necessaria e urgente rispettoall’organizzazione seriale di altezze, durate e dinamiche, e tuttavia nonera stata consapevolmente preventivata come finalità primaria. Fuchiaro, quindi, che una percezione dei mezzi come puro dominio disoluzione di problemi predeterminati non avrebbe colto in profondità lanuova situazione. Ecco davvero un problema di tecnologia, cioè dicomprensione delle possibilità dell’azione e delle dinamiche inerenti.

    Peraltro, in rapporto a questa stessa circostanza, si dovrà anchenotare che laddove si auspicava un certo tipo di rapporto causale, simaterializzava infine il suo inverso: le strategie della composizioneseriale (forma di artigianato radicato in una particolare tradizione) eranostate poste inizialmente come “fine”, ma di fatto diventarono un“mezzo” – piuttosto che usare le attrezzature dello studio elettronico per conseguire più profonde ed articolate condotte seriali, furono questeultime ad essere utilizzate per stabilire un rapporto proficuo con le

    attrezzature, orientando metodi e scelte altrimenti arbitrari, conconseguenze che sul piano del linguaggio musicale eccedevanoampiamente l’orizzonte iniziale delle soluzioni estetiche.22 Si pensi, per es. all’uso di griglie di permutazione nell’organizzazione dello spettrodel suono o delle durate dei periodi interni alla vibrazione sonora, neilavori elettronici di Stockhausen tra il 1954 e il 1960, dovel’impostazione seriale, del tutto arbitraria rispetto alla dimensionetimbrico-percettiva e tuttavia avvertita come “necessitante” sul pianodell’articolazione musicale, fu di fatto gradualmente tralasciata (come pure accadde nel processo compositivo di  Artikulation, di Ligeti, del1958). Sul piano generale, simili esempi illustrano bene il concetto per cui «l’azione e il suo contesto sono elementi che si elaborano e

    determinano reciprocamente».23

    Le forme del suono (II): lo spazio. L’esperienza del  Poème

    électronique

    Il concetto di tecnologia come “ambiente di vita” non ha l’unicacorrispondenza nello spazio chiuso del laboratorio elettroacustico.

     22 Il processo può essere ricostruito attraverso alcune fonti storiche di rilievo, come

    gli scritti di Eimert, Stockhausen e Koenig nel primo numero della rivista  Die Rehie(1955), alcuni scritti di Stockhausen tra quelli raccolti nei suoi Texte  (DuMontSchauberg, Colonia, 1963-64) e poi tradotti in  La musica elettronica (a c. HenriPousseur, Feltrinelli, Milano, 1976), e gli interventi di Eimert e Koenig nella rivista

    italiana di filosofia Aut-Aut  (n.79-80, 1964).23  Patrice Flichy,  L’innovazione tecnologica. Le teorie dell’innovazione di fronte

    alla rivoluzione digitale (Feltrinelli, Milano, 1996), p.116.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    14/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    14

    Un’altra corrispondenza sensibile riguarda il contesto di fruizione dellavoro musicale. Mi riferisco a quei casi in cui l’opera assume la formadi un vero e proprio spazio sonoro, inglobando peraltro anche elementiextra-musicali (in lavori detti “multimediali” o “intermediali” – definizioni assai problematiche, queste, sulle quali ora non possosoffermarmi, ma entrate da tempo nel linguaggio comune).

    L’esempio storico cui è doveroso richiamarsi è quello del  Poèmeélectronique, la struttura immaginata da Le Corbusier per l’Expo diBruxelles del 1958, progettata dall’allora giovane musicista-ingegnereIannis Xenakis, attrezzata con tecnologie dell’azienda olandese Philips(committente del progetto) e destinata ad accogliere la diffusione sonoradi un breve lavoro registrato su nastro di Edgard Varèse (l’omonimo

     Poème électronique, opera di “suono organizzato” secondo l’accezionevaresiana,24  realizzata negli studi Philips di Eindhoven specificamente per l’occasione). Come in occasioni successive (i Polytopes dello stessoXenakis, e i tanti esempi di “installazione sonora” portati avanti prima

    in Nordamerica, negli anni Sessanta, poi anche in Europa), qui ilriferimento alle condizioni di esistenza tecnologica è consolidato anchenella socialità della situazione fruitiva, come pure nell’interferenza trasuoni ed elementi visivi e spaziali (proprietà geometriche dello spaziooccupato, proiezione di luci e di immagini, oltre che di suoni).Insomma, “abitare la tecnologia” viene ridefinito come qualcosa cheavviene in comunità: al solipsismo del laboratorio (dove la socialità èlimitata al team di tecnici ed esperti, con la necessaria divisione dellavoro) viene contrapposta la figura di una piccola collettività diascoltatori-visitatori accolta in uno spazio che è esso stesso l’opera: ilsingolo è parte di un tutto e la comunità viene tenuta insiemeinnanzitutto dalla condivisione di un ambiente tecnologico disegnato a

     proposito, esso stesso integralmente artefatto. Non è questa la sede per soffermarsi sui particolari della genesi e

    realizzazione del  Poème électronique.25  L’emblematicità della vicendache ruota intorno ad esso sta nella sovrapposizione di molteplici aspettirilevanti per le esigenze di studio che qui preme sottolineare: lamescolanza delle competenze tecniche in gioco; i rapporti problematicifra i funzionari Philips nel ruolo dei committenti e il gruppo degli artisti;la collaborazione difficile tra i tecnici di Eindhoven, nel ruolo delleforze di produzione disponibili, e Varèse, nel ruolo del musicista “digenio” chiamato dalle circostanze a prestare la sua arte, ma soprattutto

     24  Edgard Varèse,  Il suono organizzato. Scritti sulla musica  (Unicopli/Ricordi,

    Milano, 1985). Cfr. anche Odile Vivier, Varèse (Seuil, Parigi, 1983).25 Una documentata ricostruzione è in Marc Treib, Space calculated in seconds. The

     Philips Pavilion, Le Corbusier, Edgard Varèse (Princeton University Press, 1996).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    15/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    15

    chiamato dalla propria storia personale a coronare il sogno diconquistare al gesto compositivo la dimensione dello spazio, insieme aquella del timbro.26

    Qui la figura di Varèse assume un valore perfino simbolico: posta alcentro di un grande sforzo artistico-tecnologico, alquanto impegnativo per l’epoca, essa catalizza un insieme di riferimenti storici. L’esperienzacompositiva del compositore franco-statunitense, “visionaria” ma ancheradicata in antiche tradizioni musicali (il suo amore per la polifoniafiamminga), fa infatti da ponte tra generazioni come quelle di Debussy,Schönberg, Busoni e Satie (coi quali era stato in contatto diretto) el’avanguardia, seriale e non, del secondo dopoguerra.27 Inoltre nel corsodella sua lunga permanenza negli Stati Uniti, Varèse non solo si eranutrito di varie riflessioni sulla musica come “arte-scienza”, ma sindagli anni Venti aveva stabilito rapporti di collaborazione con ingegnerie scienziati, pur senza effettivi risultati. Negli ultimi anni di vita, per apportare alcuni perfezionamenti ai suoni di  Dèserts, Varèse trovò

     preziosi collaboratori in personaggi come Max Mathews e NewmanGuttmann, che da qualche anno conducevano ricerche pionieristiche

     26  Non è possibile soffermarsi, qui, sul rilievo musicale che la dimensione dello

    “spazio” ha assunto nel corso del Novecento. Al di là di alcuni casi maggiormente noti(Varèse, Stockhausen, Nono), le posizioni teoriche e le prosopettive di lavoro sonomolteplici. Si vedano le rassegne  Musica, spazio, architettura, numero tematico deiQuaderni della Civica Scuola di musica di Milano (n.25, 1995) e  L’espace:musique/philosophie (a c. J.M.Chouvel e M.Solomos, L’Harmattan, Parigi, 1998). Per uno studio delle diverse e contrastanti implicazioni tecniche ed estetiche, mi permettoanche di rinviare al mio “Le son dans l’espace, l’espace dans le son” ( Nota

     Preliminares, n.2, 1998, in francese e spagnolo).27 In particolare per  Desèrts (per percussioni, ottoni, pianoforte e suoni registrati sunastro magnetico, 1950-1954), Varèse aveva lavorato a stretto contatto con PierreSchaeffer (che lo aveva ospitato, non senza polemiche, negli studi del Groupe deRecherches Musicales, per le fasi finali della lavorazione dei suoni su nastro), e conPierre Henry (collaboratore di Schaeffer, che si occupò anche della diffusione dei suoniregistrati su nastro per la prima esecuzione assoluta, diretta a Parigi da HermannScherchen, nell’Ottobre 1954); egli si avvalse poi della stretta collaborazione di BrunoMaderna (che diresse l’opera due volte sotto la supervisione di Varèse, ad Amburgo eStoccolma nel Dicembre 1954) e di Stockhausen (che si occupò della diffusione per leesecuzioni di Maderna). Con altri, tra cui Luigi Nono, Varèse si era incontrato nel 1950a Darmstadt, luogo canonico della neue musik . In quella circostanza il compositoreincontrò anche Herbert Eimert, Robert Beyer e Werner Meyer-Eppler, che avrebbero presto definito gli orientamenti musicali e tecnici dello Studio di Colonia. A sancirel’emblematicità dell’esperienza di  Dèserts  concorre il fatto che la prima esecuzione

    assoluta del brano avvenne in quel Théâtre de Champs Élysées dove quarantuno anni prima era stata data la prima del Sacre du printemps  stravinskiano (cui Varèse avevaassistito), destando ora come allora grande scandalo.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    16/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    16

    sull’uso del computer per la sintesi del suono e, in generale, sullatecnologia dell’informatica musicale.28

    Le forme del fare (III): tecnologia come “abito” o “protesi”

     Nella seconda metà del Novecento, alla condizione di esistenza cheabbiamo indicato come “abitare la tecnologia” si è aggiunta lacondizione dell’ “indossare la tecnologia”, vestendo il corpo di protesied elongazioni che ne stabiliscono le prestazioni, se non perfino lasussistenza (l’esistenza biologica dipendente da condizioni tecniche, le biotecnologie, ecc.). La figura corrispondente in ambito musicale èquella dell’esecuzione “interattiva” di musica informatica (anni Settantae Ottanta), e dell’interprete strumentale interconnesso a sistemianalogici o digitali di live electronics. Esempi molto noti sono alcuni deilavori dell’ultima produzione di Luigi Nono e il  Rèpons di Boulez(1981-84), senza dire poi di innumerevoli compositori ben più giovani.

    D’altra parte quella del corpo rivestito di tecnologie è immagine che

    è andata prendendo forma lentamente nel corso dei decenni, già prefigurata in lavori di John Cage risalenti agli anni Quaranta, poidivenuta vera e propria prassi esecutiva almeno a partire dai primi anniSessanta (lavori di Stockhausen, David Tudor e altri).29  Nell’ambitodelle musiche di largo consumo, l’immagine viene riverberata in prassiesecutive tipiche di repertori da discoteca degli anni Ottanta e Novantanei quali viene dismesso lo strumentario convenzionale “voce-chitarra-tastiere-basso-batteria” (che ancora riconduceva le varie manifestazionidi  popular music alla tradizione dell’orchestra “leggera” e delle big band   jazzistiche dell’inzio del secolo) a favore di tutto un insieme diattrezzature digitali e di qualche oggetto di “antiquariato elettronico”(come il “giradischi”, usato in modo non convenzionale nel rap).30

     28 Max Mathews, The technology of computer music (MIT Press, Cambridge Mass.,

    1969).29  Per una panoramica su tecnologie e repertori di live electronics, cfr. Nicola

    Bernardini, “Live electronics”, in La nuova Atlantide (op.cit.). Per alcune considerazionisulla figura emergente dell’ “interprete elettronico”, cfr. Alvise Vidolin, “Ambientiesecutivi”, in  I profili del suono  (a c. S.Tamburini e M.Bagella, Musica Verticale -Galzerano, 1987), e “Nuovi interpreti per nuovi strumenti” (Atti del convegno 1948-1998: dalla molecola al bit. Cinquant'anni di musica elettroacustica, NuovaConsonanza, Roma, in corso di stampa).

    30  È degno di nota che le strumentazioni digitali usate in queste musiche(“campionatori”, “batterie elettroniche”, ecc.) conoscano qui un utilizzo che tradisce le

    finalità della loro stessa progettazione: concepite come strumentazioni da studio di produzione, esse sono qui piegate ad una finalità performativa, e anche proprio ad unamanualità, che ne forza il quadro di funzionamento e d’uso cui destinate.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    17/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    17

    Sul fronte della fruizione, “indossare la tecnologia” è quanto avvienein quella forma di ascolto distratto che si attua vestendo il walkman(anni Ottanta), e che peraltro si configura dichiaratamente, a livellotecnico e musicale, come ascolto “di bassa qualità” (lo-fi: low-fidelity, piuttosto che hi-fi).

    Alcune considerazioni sul nodo storico centrale

    Dall’insieme delle riflessioni sopra esposte emerge un dato nontrascurabile: le varie problematiche cui si è accennato riguardano spessofenomeni che si collocano nel cuore stesso del Novecento, nel decennioche inizia col 1948. Non a caso, evidentemente: gli eventi della SecondaGuerra Mondiale, con la loro tragica traiettoria – dal delirionazionalsocialista alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki – ed ilsuccessivo rischio di guerra “atomica”, imprimevano nelle menti e neicorpi segni indelebili di un’ormai avanzato grado di tecnologizzazionedelle condizioni di sopravvivenza dell’uomo. Poco alla volta quei segni

    si sono trasformati in condizionamenti più lievi ma comunque pervasivie onnipresenti, che riguardano appunto la tecnologia come “ambiente divita” e che finiscono col toccare l’individuale, il corpo (“indossare latecnologia”) e più profonde dimensioni di esistenza umana quali lacoscienza di sè, la sfera spirituale, ecc.

    In base a tali constatazioni, che appaiono perfino banali ma alle quali pure abbiamo il dovere di richiamarci nel guardare al Novecento nel suocomplesso, il fatto che dagli anni Cinquanta in poi l’esperienza musicaleabbia avuto come luogo proprio un habitat tecnologico può e deveessere ricondotto ad un quadro di riferimenti propriamente umanistici:l’immagine del compositore e dell’interprete che interagiscono inlaboratorio con assistenti tecnici, e soprattutto con macchine, talvoltarendendosi anche indipendenti e imparando anche a fare da sè (senzaassistenza tecnica, costruendo e controllando di persona le propriemacchine), non riflette un eccesso di tecnicismo, di scientismo – cioènon riflette necessariamente l’idea, fin troppo immediata, per la quale inun mondo ipertecnologico l’arte, al pari di ogni altra attività umana, siriduce ad «epifenomeno degli apparati tecnici».31 Si tratta infatti anchedell’immagine di musicisti che, prendendo atto della situazione storica,dell’ “evento storico della tecnologia”, si impegnano con sensibilità propria nel comprendere (letteralmente: nel portare presso di sè, nel“fare propria”) le mutevoli condizioni di azione, nel ritagliare spazi

      31 Jacques Ellul, L’empire du non-sens. L’art et la société technicienne (Parigi, PUF,1980), pp.59-60.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    18/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    18

     possibili di azione ed espressione musicale, aprendo margini di manovraattraverso cui decidere consapevolmente del destino della propria arte.

    Ci si può chiedere a che titolo si possa attribuire all’esperienzacreativa caratteristica dell’arte la capacità di un tale confronto colcontesto tecnologico, data la sua natura sostanzialmente ineffabile, personale e intima, così differente rispetto ad altri ambiti di esperienza.Si possono articolare riposte diverse, ma tutte basate su un elementodecisivo, messo in luce più volte in diversi campi di studio: ognitecnologia è soggetta ad un processo ermeneutico solo attraverso ilquale diventa di rilievo sociale; in altre parole, vi è sempre una dinamicadi interazione e di scambio tutt’altro che scontata circa l’uso e ilfunzionamento degli apparati tecnici, la quale talvolta si traduce perfinoin un sovvertimento delle finalità di progettazione.32  Vale qui ilsuggerimento più generale per cui «le tecnologie produttive sonosocialmente determinanti perchè sono socialmente determinate».33

    Dunque le tecnologie della musica sorte nel Novecento costituiscono

    altrettanti domini di interazione culturale e cognitiva. Un’interazionecerto non facile, sofferta e rischiosa, ma proprio per questo potenzialmente “liberante”, come si è detto. Si deve vederenell’ambiente di lavoro musicale, con le macchine di cui è composto, illuogo nel quale “razionalità dei fini” e “razionalità dei mezzi” siscontrano e, scontrandosi, entrano infine in comunicazione pervenendoad un momento di coesione e di sintesi (la filosofia direbbe: il  polemoscome possibilità della  philia, la crisis come condizione alla  poiesis).34

    La problematica delle tecnologie musicali riguarda quindi la nozione piùgenerale per cui l’esperienza dell’arte si dà come misuradell’invenzione: all’esigenza “espressiva” (cioè all’ambito delle istanzerappresentative, estetiche), essa affianca un elemento che implica

    sempre un superamento, uno sconfinamento delle tecniche costruttivedate. É in tal senso che quello dell’arte in generale è un lavoro che 

    32 Sul tema si veda, per es., Andrew Feenberg, Critical theory of technology (op.cit.)e David Noble,  La questione tecnologica (Bollati Boringhieri, Torino, 1993). Mi permetto inoltre di rinviare al mio “Musica tra determinismo e indeterminismotecnologico” ( Musica/Realtà, n.54, 1997), dove queste premesse guidano la riflessionesu alcuni esempi storici riguardanti le tecnologie della musica.

    33 Flichy, L’innovazione tecnologica (op.cit.), p.65.34  Cfr., per es., Jacques Derrida, “L’orecchio di Heidegger. Filopolemologia” (in

    J.Derrida, La mano di Heidegger , a c. M.Ferraris, Laterza, Bari 1991), in particolare alle pp.160-170; e cfr. Massimo Cacciari, Dell’inizio (Adelphi, Milano, 1990), in particolarealle pp.360-451. Non dimentichiamo che Nietzsche aveva lasciato al Novecentoun’immagine assai eloquente che incitava a “filosofare col martello” (Così parlò Zarathustra, 1886), per esprimere l’urgenza di un confronto diretto tra pensiero e possibilità di azione, tra conoscenza astratta ed empirica, tra distacco della riflessione eviolenza dell’esperienza.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    19/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    19

    riguarda la libertà – la libertà “di azione” come presupposto per quella“di espressione”, dunque come elemento decisivo e fondante.

    Un esempio: l’automazione

    Molteplici sarebbero le circostanze storiche da esaminare nella prospettiva appena accennata. Qui posso richiamare brevemente un soloesempio, relativo ad un’idea caratteristica dell’era industriale matura,quella della “automazione” del lavoro. Sebbene lo scenario dellafabbrica interamente automatizzata risalga ad alcune proposte di CharlesBabbage risalenti ad oltre un secolo prima35  e alle prime forme dicontrollo automatico nei telai meccanici disegnati da Jean-MarieJacquard all’inizio dell’Ottocento,36 l’automazione divenne vero e proprio criterio tecnologico generale solo dopo la metà del Novecento,quando fornì un principio innovativo di progettazione per gli impianti dimontaggio dell’industria automobilistica, anche a seguito dell’esigenzadi mettere a frutto ricerche finanziate dall’industria bellica negli anni

     precedenti.Ora, è proprio entro la fine degli anni Cinquanta che lo Studio di

    Colonia e lo studio Siemens di Musica Elettronica di Monaco (uno dei pochi centri privati di musica elettronica, in quegli anni, insieme aquello della Philips di Eindhoven) iniziarono a configurare le proprieattività secondo procedure automatizzate di generazione e montaggiodel suono.37  In tal modo veniva a stabilirsi un legame tempestivo econcreto tra un tipo di esperienza musicale e un’idea più generale chetrascendeva di gran lunga lo specifico ambito musicale.

    Consapevolmente o meno, le musiche così realizzate segnalavanocome l’idea e il processo dell’automazione fossero densi di ripercussioninon solo  per il mondo aziendale e industriale. Allo stesso tempo,facendo dell’automazione un elemento della prassi compositiva, esse

     35  Babbage, che fu inventore della analytical engine considerata il precursore del

    computer, profetizzò nel 1832 la «fabbrica interamente computerizzata [...] come ungigantesco automa in cui tutte le parti agiscono di concerto, subordinate ad un motoreauto-regolatore» (Noble, La questione tecnologica, op.cit, pp.17-18).

    36 Si vedano i paragrafi “Il calcolatore” e “L’automatizzazione” in Bertrand Gille,Storia delle tecniche (Editori Riuniti, Roma, 1985), pp.491-501.

    37 In particolare, l’esigenza fu sollevata con una certa impellenza nella realizzazionedi brani come Essay, di Koenig (1957), Incontri di fasce sonore, di Evangelisti (1957) e Anepigraphe, di Herbert Brün (1958), tutti brani su nastro magnetico realizzati aColonia. Esempi subito successivi furono Kontakte (per pianoforte, percussioni e nastromagnetico), di Stockhausen, realizzato sempre a Colonia con l’assistenza di Koenig

    (1960), e Klänge unterwegs di Brün, realizzato a Monaco (1961). Testimonianze direttein proposito sono in Gottfried M. Koenig, Genesi e forma. Nascita e sviluppodell’estetica musicale elettronica (a c. A.Di Scipio, Semar, Roma, 1995).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    20/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    20

    esprimevano l’urgenza di un adeguato confronto: si trattava in fondo di porre interrogativi di rilievo più diffuso – “cosa (ci) sta accadendoattraverso il processo di automazione?”, “cosa dovrebbe o potrebbeessere l’automazione, e cosa ci si dovrebbe o potrebbe fare?”.Interrogativi che ognuno avrebbe potuto sollevare sulla base di una percezione sufficentemente acuta e informata del particolare momentostorico, tale da cogliere nel fenomeno aspetti qualitativi che non è fuoriluogo definire “epocali” (infatti «l’automazione è stata per la secondarivoluzione industriale ciò che la meccanizzazione fu per la prima»38).Per un giovane europeo degli anni Cinquanta doveva essere piuttostonaturale legare il concetto di automazione a quello di “alienazione”, cosìtipico del gergo sociologico e politico del periodo a seguito delletradizioni socialiste e marxiste.39  Come in seguito avrebbe osservatoAdorno, «nella musica elettronica l’alienazione diventa una provocazione»:40  invece di “dire” le condizioni alienate di esistenzastorica, si trattava di trasformarle in una determinata prassi compositiva,

    e quindi di dar loro concreta forma udibile – un lavoro interno allamusica che finiva con l’attribuire un proprio significato ad un processotecnico di rilievo sociale generale.41

     Non meno rilevante del processo costruttivo era l’esteticità dellemusiche elaborate in forme più o meno profondamente automatizzate.Va da sè che non poteva trattarsi di un’esteticità conciliante ed eufonica:alcune di quelle composizioni sono divenute parte nel repertorio piùemblematico delle avanguardie post-belliche (per es.  Incontri di fasce

     sonore di Evangelisti, Gesang der Jünglinge e  Kontakte diStockhausen), e tuttavia le loro sonorità potevano solo darsi cometestimonianza interrogativa circa le condizioni tecnologiche di esistenzacui l’automazione, sul piano generale, contribuiva con impulso

     38 Noble, La questione tecnologica (op.cit.), p.26.39  “Alienazione e intenzionalità musicale” è anche il titolo di un saggio di Luigi

    Rognoni del 1964 ( Aut-aut , n.79-80). Nelle prime righe si legge: «Oggi siamo nell’etàdella tecnica, anzi della tecnologia, e quindi l’arte, se ha ancora una ragione d’essere inun’epoca come la nostra, deve per prima cosa porsi il problema della tecnica [...] Ma il problema della tecnica non riguarda tanto la tecnica in senso strumentale, come potevano ancora intenderla un Kandisky o un Klee, uno Schönberg o un Webern, quantola tecnica tramutata in “ideologia” [...]» (p.7).

    40 Adorno, Quasi una fantasia (op.cit.), p.26541 Mi pare di rilevare, qui, i tratti di un grande insegnamento caratteristico dell’arte

    del Novecento: il fare artistico partecipa al momento storico rifacendone a proprio modola struttura e il processo interno, piuttosto che farne “programma poetico” e darne una

    rappresentazione coi mezzi della tradizione musicale – come ancora avveniva nelFuturismo, per es., o in lavori sinfonici quali  Pacific231 di Arthur Honegger (1923),  Lamacchina di Fritz Klein (1921) e altri esempi musicali degli anni Venti e Trenta.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    21/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    21

    irreversibile.42  In alcuni casi si pervenne a soluzioni sonore davverodure ed estreme, e non solo a Colonia e a Monaco (si ascoltino, per es., isuoni abrasivi del ciclo  Funktionen di Koenig, realizzato negli anniSessanta a Utrecht, l’eccesso materico di Bohor  di Xenakis, realizzato aParigi nel 1962 e contestato pubblicamente perfino da Schaeffer, o ilrumorismo di Fontana Mix, realizzato da Cage a Milano già nel 1958).All’ascolto di quei suoni, le condizioni tecnologiche di esistenza inepoca post-bellica erano restituite non solo come elemento dell’attualitàstorica, ma anche come evento prefigurato dalla pianificazione erealizzazione “scientifica” dello sterminio durante la Guerra.

    Dall’automazione all’informatica musicale

    Sempre sul finire degli anni Cinquanta, di nuovo a seguito di pregressi investimenti dell’industria bellica, andava maturando la possibilità di una “tecnologia dell’informazione” affidabile esocialmente utile, la quale, come sappiamo, ha poi effettivamente

    conosciuto diffusione capillare nel corso di pochi decenni (transizionedai grandi calcolatori mainframe all’home computing ).43 Tale possibilitàscaturiva da due premesse maturate nel corso della prima metà delsecolo e ben radicate nella tradizione scientifica dell’Ottocento, cioè dainiziali teorizzazioni matematiche (“teoria dell’informazione”) e datangibili sviluppi dei sistemi di comunicazione (“teoria dellatrasmissione dei segnali”).

    Le prime prove di musica generata al computer (computer music,“informatica musicale”) in parte erano legate proprio al concetto diautomazione del processo produttivo, perseguito ora attraverso una forteastrazione simbolica delle operazioni compositive. Non a caso le primemusiche composte mediante computer furono lavori strumentali le cui partiture risultavano da procedure precisamente formalizzate (per es. ilavori del ciclo ST di Xenakis, nei primi anni Sessanta). Anche le primeesperienze musicalmente significative di sintesi digitale del suono, comequelle di James Tenney ai laboratori Bell Telephones (New Jersey,

     42 L’irreversibilità del processo mediante il quale l’economia mondiale veniva fatta

     poggiare su sistemi di produzione interamente automatizzati fu segnalata da unmatematico e ingegnere quale Norbert Wiener, la cui nozione di “cibernetica” è statafondativa per la struttura delle società altamente tecnologizzate. In effetti, proprioWiener non rinunciò a sottolineare la problematicità di soluzioni tecnocratiche in talsenso, preservando una prospettiva umanistica sulle questioni tecniche e sociali sollevatedal suo stesso lavoro (cfr., per es.,  Introduzione alla cibernetica, Bollati Boringhieri,

    Torino, 1966; ed. or. 1950).43 Un profilo storico della diffusione di massa della tecnologia informatica si trova

    in Paul Ceruzzi, A history of modern computing  (MIT Press, Cambridge Mass., 1998).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    22/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    22

    1961-64), lasciavano comunque l’articolazione musicale a programmi basati su regole più o meno deterministiche (“composizionealgoritmica”). Stesso discorso vale per alcuni lavori della metà deglianni Sessanta composti da Herbert Brün (all’Università di Urbana,Illinois) e da Pietro Grossi (a Firenze).

    Quello che in ambito informatico oggi viene detto “ambiente di programmazione” può essere paragonato per sommi capi ad unaricostruzione al computer di ciò che era stato l’ambiente di lavorocostituito da varie macchine, ciascuna con una sua diversa funzione.Data la forte astrazione logica e simbolica propria di questa tecnologia,si ha qui come la tendenza a spostare il giudizio estetico dalla formasensibile dell’opera come prodotto finito alla forma dei processi di produzione – tendenza che comunque è caratteristica di vari luoghi del Novecento musicale e che riflette un elemento comune ai vari“sperimentalismi” che ne hanno segnato il corso.44

     Nella struttura logica e “priva di corpo” della forma digitale, è lo

    stesso materiale sonoro a diventare tutt’altro che “materiale”, e quindianche tutt’altro che “sonoro”: prima di adeguate procedure diconversione in vibrazioni percepibili, il suono rimane muto, codificatoin valori numerici (sequenze di dati) o in una descrizione degli statilogici interni al computer (sequenze di istruzioni di programmazione).

    In base a questi due aspetti – enfasi sul processo e condizione diesistenza puramente virtuale – la prospettiva dell’informatica musicaleha finito con l’assimilare in retrospettiva anche tutte quelle “macchinecompositive”, ovvero quei vari formalismi musicali su base logico-matematica, proposti più volte nel corso del secolo, con illustri precedenti storici (dal  Musikalisches Würfelspiel   attribuito a Mozart,K294d , alla Tabula mirifica di Athanasius Kircher). Per attenerci al

     Novecento, si dovrà ricordare, per es., il lavoro pre-informatico di 

    44  Si pensi a certi lavori del primo Cage (anni Quaranta) o ai procedimenti di“serialismo integrale” del primo Boulez (primi anni Cinquanta) e di Milton Babbit (anniCinquanta e Sessanta). Si pensi anche alla definizione di Steve Reich di “musica come processo” (“Musica come processo graduale”, traduzione in  La musica elettronica,op.cit., pp.265-267; ed. or. 1971), tipica del minimalismo americano (anni Sessanta). Negli anni Novanta la nozione di “arte come processo generativo” (per la quale cfr.Generative systems in electronic arts, numero monografico di Leonardo Music Journal ,in corso di stampa – Atti dell’omonimo convegno tenuto a Melbourne nel Dicembre1999) ha avuto ricadute perfino su musiche di ampio consumo, e ciò sia per ildiffondersi di sistemi di house music  (con i quali si ottengono facilmente sul propriocomputer brevi componimenti simili a brani musicali di grande successo, destinati allediscoteche), sia per il diffondersi su Internet di una specie di “arte genetica”,

    impersonale e anche letteralmente priva di autore, secondo quanto auspicato giàdall’avanguardia Dada negli anni Venti e da altri esempi di anarchismo artistico neglianni Sessanta e Settanta.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    23/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    23

    Joseph Schillinger, negli anni Trenta e Quaranta,45 oppure l’uso da partedi Cage nei primi anni Cinquanta di automatismi aleatori legati allaconsultazione dell’antico libro degli oracoli cinese  I-ching   (nel 1983queste procedure cageane sono state tradotte da Alvin Culwer in un veroe proprio programma per computer).

    Ai primordi dell’informatica musicale, significativo è stato iltentativo di Lejaren Hiller e Leonard Isaacson di formalizzare regolestilistiche musicali per far generare al computer brevi componimenticontrappuntistici.46  Tutto il campo della “composizione assistita da

     45 J.Schillinger, The Schillinger system of musical composition (New York, Fischer,

    1946). Il libro, tra l’altro, contiene un’interessante Prefazione di Henry Cowell. Il lavorodi serializzazione congiunta di altezze e ritmi proposto dal compositore e matematicorusso-statunitense è stato paragonato da Earle Brown (cfr. libretto del compact disc Earle Brown. Music for piano[s] 1951-1995, New Albion Rec., NA082CD, 1996) ad un“principio generativo di crescita” analogo alle proposte di Oliver Messiaen (“modi divalori di intensità”, “modi ritmici”, ecc.) che risultarono rilevanti per i compositori

    seriali negli anni Cinquanta.46 L.Hiller e L.Isaacson, Experimental music (McGraw-Hill, New York, 1959). Sulle problematiche della formalizzazione di strutture musicali, una prospettiva storica tutta“americana” ma non priva di interessanti spunti teorico-musicologici è  Machine modelsof music  (a c. S.Schwanauer e D.Levitt, MIT Press, Cambridge Mass., 1993); si vedaanche Computer representations and models in music  (a c. A.Marsden e A.Pople,Academic Press, Londra, 1992). Più significativi per la teoria della musica del Novecento i contributi di Iannis Xenakis raccolti in Formalized Music (Pendragon Press,Stuyvesant, 1992; ed.or. Musiques formelles, numero monografico di La revue musicale,n.253-254), e alcuni spunti teorici di Gottfried M. Koenig in Genesi e forma (op.cit.).

    Sul fronte musicologico e teorico-musicale, in seguito a lavori iniziali come quellodi Hiller e Isaacson si è andato sviluppando tutto un ambito di ricerca e di analisi dellamusica basato sul concetto di “grammatica generativa”. Cfr., per es., Mario Baroni,“Sulla nozione di ‘grammatica’ musicale” ( Rivista italiana di musicologia, 16, 1981);

    Curtis Roads, “Le grammatiche come rappresentazioni della musica” (in  Musica ed elaboratore, op.cit.), e il volume antologico  Musical grammars and computer analysis(a c. M.Baroni e L.Callegari, Olschki, Firenze, 1984). Successivamente anche ricerchedi stampo psicologico-cognitivista hanno adottato una metodologia di rappresentazionedi questo tipo (cfr. Fred Lerdahl e Ray Jackendoff, A generative theory of tonal music,MIT Press, Cambridge Mass., 1983). Lerdahl ha provato ad estendere il suo approccio distudio, inizialmente vòlto alla formalizzazione di una “sintassi” dei processi di ascoltorelativi a repertori classico-romantici, anche a musiche atonali e seriali, ma con esitidecisamente contraddittori (si veda, per es., la sua discussione di Le marteau sans maitredi Boulez in “Cognitive constraints on compositional systems”, nel volume Generative processes in music, a c. J.Sloboda, Oxford University Press, 1988). Può risultareinteressante segnalare, di passaggio, la differenza tra l’approccio di Lerdahl e quellodella  set-theory di Allen Forte (The structure of atonal music, Yale University Press, New Haven, 1973): entrambi influenzati da paradigmi computazionalistici, i duemusicologi statunitensi pervengono a valutazioni del tutto antitetiche circa l’analisi di

    musiche non tonali, e ciò a causa di differenti premesse epistemologiche circa letecniche di rappresentazione della struttura musicale (in Forte: formalismo simbolicoastratto; in Lerdahl: formalismo su base psicologica e semantica).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    24/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    24

    elaboratore”, caratteristico di tendenze sviluppatesi a partire dagli anniSessanta, consiste da una parte nello specializzarsi di “micro-teoriemusicali” incorporate nel software, dall’altra nel moltiplicarsi degli stilidi programmazione, e cioè dei modi di progettare e costruire adeguaterappresentazioni della struttura musicale.

    Cenni di antropologia dell’informatica musicale

    Uno degli aspetti più interessanti del  software musicale consiste nelfatto che esso rappresenta, per un osservatore esterno, una“registrazione” delle azioni e delle scelte compiute da un musicista nelcorso del suo lavoro – se si tratta di programmi scritti da un musicista,compositore o esecutore che sia – oppure delle azioni e delle scelte chesi ritengono in generale pertinenti a compiti musicali – se si tratta di

     software  prodotto dall’industria musicale (di solito concepito conun’occhio alla manualistica tradizionale e uno a stilemi di musica diconsumo). In tal senso il software è una rappresentazione di conoscenze

    specifiche di un dominio di azione, rese operative in forma logica. Il paradigma della cosiddetta “musicologia cognitiva” consiste in parte proprio nello studiare il processo compositivo, o quello interpretativo, a partire dalle traccie che esso lascia nel calcolatore.47 Ciò apre ad alcuneinteressanti direzioni di studio come, per es., ad una sorta dietnomusicologia delle prassi musicali in ambiente tecnologico, oppureall’analisi dell’evoluzione  software come traccia dell’evoluzione delleteorie musicali del secondo Novecento.48

     Nonostante l’interesse di una simile prospettiva di studio, questoaspetto del processo di conoscenza insito nel software sembra scontrarsicol fatto che l’evoluzione tecnologica appare in questo settore talmenterapida da creare, paradossalmente, un problema di “conservazione di beni culturali”: essa rende difficile la conservazione, la ricostruzione e

     47  Si vedano gli studi di Otto Laske (per es. Otto Laske. Navigating new musical 

    horizons, a c. Jerry Tabor, Greenwood Press, New York, 1999) e l’antologiaUnderstanding music with artificial intelligence. Perspectives on music cognition (a c.O.Laske, K.Ebcioglu e M.Balaban, MIT Press, Cambridge Mass., 1992).

    48  Considerazioni sulla storia del  software musicale sono sparse nella letteraturaspecialistica dell’informatica musicale, che per brevità non posso richiamare.L’approccio cui si fa cenno, in ogni caso, fa valere il concetto per cui il computer èmediatore non solo di “dati” o “informazioni”, ma anche di processi di significazione edi interpretazione: ciò riguarda in fondo il rilievo cognitivo e perfino esistenziale (vistala loro presenza nella nostra quotidianità) delle cosiddette “interfacce”, cioè deimeccanismi di scambio e interazione tra uomo e macchina. L’importanza di questo

    aspetto era stata sottolineata con intenzione per metà filosofica e per metà ingegneristicagià all’inizio degli anni Ottanta; cfr. Terry Winograd e Fernando Flores, Understanding computers and cognition. A new foundation for design (Ablex, Norwood, 1986).

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    25/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    25

    la valorizzazione di ricerche e repertori informatico-musicali sorti solo pochi anni prima, con potenziale perdita del bagaglio di culturacorrispondente, e dunque con potenziale perdita di elementi di analisialtrimenti non rinvenibili. Nella prospettiva di antropologi ed etnografi,conservare gli strumenti, conservando memoria delle rispettive tecniche,è condizione decisiva per preservare idee e valori: «gli strumenti sonosegni», scriveva Andrè Schaeffner nel quadro dell’etnomusicologiadegli anni Trenta, «essi rappresentano un insieme di credenze, abitudinie bisogni umani [...], e sono sede di azioni».49  Molti strumenti della“liuteria elettronica” dell’inizio del Novecento sono già in musei pubblici o privati, come pure le apparecchiature di alcuni degli studiradiofonici degli anni Cinquanta. A sua volta, l’industria discografica falargo uso, ormai da diversi anni, di tecnologie digitali per il restauro e laconservazione di registrazioni di valore storico, i cui repertori sonoinevitabilmente quelli di tradizione classico-romantica. Anche alcunirepertori elettroacustici fissati su nastro analogico negli anni Cinquanta

    e Sessanta sembrano poter essere preservati grazie ad attente proceduredi restauro sonoro.50  In generale, invece, poco si sta facendo per laconservazione ed il restauro di “beni musicali informatici”.51  Lemacchine digitali, nella loro doppia componente  software  e hardware,rischiano invece di scomparire per effetto del cosiddetto processo di“innovazione tecnologica”.

    Si deve anche sottolineare, comunque, che contrariamente alleapparenze questo non costituisce un problema  specifico di “logica dellatecnica”, ma piuttosto, e sempre più profondamente, appare essere uneffetto indotto dalle “logiche di mercato” (mi riferisco all’industria dei prodotti informatici). Alcuni software non commerciali per la sintesi delsuono, come i famosi MusicV e Csound  (i cui progetti iniziali risalgono

     49 Andrè Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, Sellerio, Palermo, 1978 (ed.

    or. 1968), p.334.50  Si possono segnalare le iniziative di restauro di brani elettronici degli anni

    Cinquanta e Sessanta, come quelli dello Studio di Fonologia di Milano, per es. Thema(Omaggio a Joyce) di Berio, del 1958, restaurato nel 1995 presso Centro Tempo Realedi Firenze sotto la supervisione del compositore (cfr. Paolo Zavagna, “Thema (Omaggioa Joyce) di Luciano Berio. Un’analisi”, Quaderni della Civica Scuola di musica di Milano, n.21-22, 1992). Alcuni nastri di Luigi Nono sono stati restaurati negli ultimianni per iniziativa di Ricordi e della Fondazione Archivio Luigi Nono in occasione direcenti esecuzioni in concerto.

    51 Fino ad oggi pochissime sembrano essere state le iniziative vòlte a “restaurare” software musicale di rilievo storico: negli Stati Uniti, Arun Chandra ha riscritto e resofunzionanti programmi di Lejaren Hiller e di Herbert Brün risalenti agli anni Cinquanta

    e Settanta; in Europa, il programma  Project1 di Koenig, disegnato nei tardi anniSessanta, è stato reso operativo sugli attuali computer ad opera di alcuni collaboratoridel compositore.

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ESPERIENZA MUSICALE NEL NOVECENTO

    26/33

    Rivista Italiana di Musicologia – vol.XXXV – 2000 – NN.1-2.Firenze, Leo S.Olschki Editore 2001

    26

    rispettivamente ai primi anni Sessanta e agli anni Settanta), sono ancora perfettamente funzionanti sugli odierni calcolatori, nonostante la loroetà sia decisamente fuori da ogni norma valida per le logiche di mercato,e ciò grazie al fatto che, scaturendo dal lavoro di gruppi di musicisti ericercatori non aventi immediate finalità lucrative, essi hannoconosciuto un grado di “portabilità” e un “ciclo di vita” assai più elevatodi gran parte del software commerciale.

    In casi del genere, il criterio di “innovazione” implica uno sviluppoche non rimane mai del tutto irreversibile e che non predetermina larapida obsolescenza dei sistemi che esso stesso mette a disposizione.Ciò implica la progettazione di programmi piuttosto indipendenti dalsostrato hardware, ma soprattutto implica l’adesione a strategie disviluppo “partecipative”, nelle quali cioè i codici di programmazionesono pubblicamente disponibili senza oneri (un po’ come accade oggi per sistemi informatici alternativi a quelli di ampia diffusionecommerciale, come per es. il sistema operativo Linux).

    Ecco allora che occuparsi di informatica musicale ha comportato, dal punto di vista dell’esperienza di numerosi musicisti che a partire daglianni Sessanta hanno contribuito al suo stesso sviluppo, la maturazionedi competenze sufficenti a garantire loro una certa “autonomia diazione” rispetto all’industria dei “prodotti informatici per la musica”.Ricompare allora la figura di un rapporto dialettico e contraddittoriointerno al processo tecnologico-musicale, teatro di un confrontotutt’altro che ovvio e lineare.

    La musicologia di fronte allo “sperimentalismo” del Novecento

    Le problematiche affrontate nelle riflessioni fin qui esposte sono ingenere considerate, ancora oggi, di poco rilievo per studi propriamentemusicologici. Alcuni argomenti di senso comune, riguardanti per es. ilconcetto della “inevitabilità” dell’evoluzione tecnologica, della sua“neutralità”, della forza autonoma e trainante della tecnologia rispettoalle attività produttive dell’uomo (argomenti accettati con troppaimmediatezza, ma da tempo screditati in ambito di scienze sociali e difilosofia e storia della scienza), uniti a residui di estetica idealista chefanno delle varie manifestazioni dell’arte un dominio di espressione asua volta sostanzialmente autonomo rispetto alle cose del mondo,inducono a pensare che si tratti effettivamente di problematiche estraneealle competenze musicologiche e della teoria musicale, e semmai diinteresse per la sociologia della musica.52

      52  L’analisi sociologica in ambito musicale mi pare interessante laddove offremateria per una sorta di “storia delle percezioni”: purtroppo più spesso si tratta invece

  • 8/19/2019 Agostino Di Scipio: TECNOLOGIA DELL’ES