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ZORZI ALESSANDRO UNIVERSITA’ DI PADOVA APPUNTI DI ANATOMIA PATOLOGICA I Fondamenti e aspetti generali Alessandro Zorzi [email protected] www.scholamedica.it

Anatomia+Patologica

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ZORZI ALESSANDRO

UNIVERSITA’ DI PADOVA

APPUNTI DI ANATOMIA

PATOLOGICA I

Fondamenti e aspetti generali

Alessandro Zorzi

[email protected]

www.scholamedica.it

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APPUNTI DI ANATOMIA PATOLOGICA I

Lo scompenso cardiaco

Nel corso di uno scompenso cardiaco vanno considerati sia gli effetti “retrogradi”, dovuti cioè al ristagno del sangue a

monte della parte di cuore colpito; e quelli conseguenti alla riduzione del flusso a valle (anterogradi). Nel caso di

scompenso sinistro o biventricolare tra gli organi a valle quello più colpito è il rene perché la pressione in aorta si

abbassa tanto da non raggiungere la pressione minima di filtrazione (rene da shock con necrosi tubulare acuta).

Tipi di scompenso cardiaco:

1. scompenso sinistro: causa principale dell’edema polmonare acuto nell’anziano è un attacco di FA o un attacco

ipertensivo con aumento delle resistenze al riempimento;

2. scompenso destro: l’idrotorace è un segno di scompenso destro perché le vene pleuriche scaricano nella azygos.

Può esserci anche idropericardio, splenomegalia, gastrite emorragica, epatomegalia. Cause di scompeno destro puro

non cardiache sono patologie del polmone e dell’arteria polmonare che determinano un aumento del post-carico;

3. scompenso biventricolare: è causato o da malattie dell’intero cuore (es. miocarditi) oppure dal fatto che uno

scompenso primitivamente sinistro coinvolge in seconda battuta anche il ventricolo destro.

Cause di scompenso cardiaco sinistro o biventricolare:

valvulopatie mitraliche o aortiche: è un problema oggi non più di primaria importanza perché di solito queste

patologie si correggono chirurgicamente prima che possano portare allo scompenso. Tuttavia un’improvvisa rottura

(post-ischemica) delle corde tendinee della mitrale è ancora una causa di scompenso;

cardiopatia ischemica:

o infarto miocardico acuto (situazione acuta);

o miocardiosclerosi post-infartuale (situazione cronica);

tumori: la crescita di un mixoma all’interno dell’atrio sinistro può finire per determinare un ostruzione al transito. A

volte il mixoma può impegnarsi nell’orifizio cardiaco.

Cause di scompenso destro:

cuore-polmonare acuto: il cuore è sovraccaricato per colpa dei polmoni o dell’arteria polmonare per embolia

polmonare o pneumotorace;

cuore-polmonare cronico: ipertensione polmonare (la pressione normale sistolica è 15 mmHg, diastolica 10

mmHg); bronchite cronica ostruttiva per aumento delle resistenze vascolari a causa di un vasospasmo secondario

ad ipossia; fibrosi polmonare. Non rientra nel quadro l’ipertensione secondaria a scompenso sinistro;

valvulopatia: della tricuspide (es. endocarditi nei tossicodipendenti, malformazioni congenite) o della polmonare

(es. secondaria alla presenza di un tumore carcinoide che produce serotonina la quale è lesiva per l’endotelio);

cardiomiopatie aritmogene.

Cause di scompenso biventricolare:

scompenso sinistro con ipertensione polmonare;

cardiomiopatie (sono, ad eccezione dell’aritmogena, per definizione patologie dell’intero cuore): dilatativa,

restrittiva o aritmogena.

Quadri:

scompenso sinistro: congestione ed edema polmonare, rene da shock;

scompenso destro: idrotorace, idropericadio, fegato da stasi (“a noce moscata”), splenomegalia congestizia, ascite,

gastrite emorragica. Queste ultime tre complicanze sono dovute a ipertensione portale post-epatica;

scompenso biventricolare: entrambi i quadri.

Curioso notare che nei pazienti che muoiono per scompenso cardiaco l’ultimo organo che cede è l’encefalo.

Disordini di crescita e differenziazione cellulare (Altavilla)

Crescere e differenziarsi sono due cose che la cellula non può fare contemporaneante: difatti per acquisire le

caratteristiche proprie del tessuto di cui fa parte la cellula “sceglie” di uscire dal ciclo cellulare e di esprimere un

corredo genico completamente diverso da quello necessario per la mitosi.

Le neoplasie originano dal concomitante verificarsi di disordini di crescita e di disordini della differenziazione. La

cinetica di crescita e di differenziazione sono inoltre i due criteri con cui si valutano le neoplasie.

Iperplasia

Aumento numerico assoluto del numero di cellule di un tessuto o di un organo. L’iperplasia può essere fisiologica,

talora inserita in un meccanismo di compenso, o patologica.

Si noti che il termine “cellula iperplastica” è improprio: in realtà si dovrebbe parlare di “cellula che appartiene ad un

tessuto iperplastico”.

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Iperplasia pseudoneoplastica: iperplasia nella quale la massa cellulare simula una neoplasia maligna. Può verificarsi per

esempio negli anziani con ulcere da stasi. Intorno alle ulcere croniche l’epidermide va incontro ad un’iperplasia che

simula morfologicamente un carcinoma benchè le cellule non siano neoplastiche. Una lesione simile è quella

dell’esofagite erosiva con ulcere: si assiste ad un meccanismo di riparazione a carico dell’epitelio con aspetto che porta

a pensare che si tratti di un carcinoma squamoso. In realtà le cellule sono iperplastiche ma non neoplastiche.

Metaplasia

La metaplasia è una condizione caratterizzata da sostituzione di un tessuto differenziato con un altro ancora

differenziato ma non appropriato alla sede anatomica. Ciò avviene sempre secondariamente ad una lesione e solo nella

zona colpita dall’insulto.

Non rappresenta necessariamente una tappa del processo di cancerogenesi.

La metaplasia si ha in zone critiche di veloce rinnovamento cellulare, tipicamente al punto di passaggio tra due epiteli:

per esempio al punto di passaggio tra esofago e stomaco o tra endo ed esocervice.

La teoria classica prevede che responsabili della metaplasia siano le cellule staminali basali dell’epitelio le quali

possono differenziarsi in un senso o in un altro. Oggi nuove teorie tendono a tirare in ballo cellule staminali midollari o

circolanti che vanno a popolare certe zone in caso di necessità.

C’è un altro tipo di metaplasia: la metaplasia neoplastica. Poiché un tumore “fa quello che gli pare” esso, anche se

deriva da un tessuto per esempio salivare, può differenziarsi in una cartilagine attivando l’espressione di geni che

normalmente non sono espressi.

Displasia

La displasia è un’alterazione della differenziazione: oltre all’aumento delle divisioni cellulari si verifica anche

un’incompleta maturazione.

E’ una lesione preneoplastica che rappresenta una tappa obbligata nel processo di cancerogenesi maligna. Per lesione

preneoplastica si intende un’alterazione tessutale o citologica obbligatoriamente tappa del processo che porterà ad una

neoplasia maligna. Qualsiasi cancro è quindi passato attraverso la displasia anche se questa tappa può essere stata così

veloce da non vedersi.

Essa si differenzia dalla metaplasia perché quest’ultima è sempre reversibile; la displasia lo è talvolta. Il grado di

reversibilità dipende, all’interno dello stesso tessuto, dal grado di displasia e ciò è molto importante dal punto di vista

prognostico e terapeutico.

In generale per displasia di basso grado si intende il coinvolgimento di un terzo del compartimento proliferativo, per

displasia moderata di due terzi ed infine per displasia di alto grado si intende il coinvolgimento dell’intero

compartimento proliferativo.

Ciò che però differenzia la displasia dalla neoplasia è che le mitosi non presentano atipie e la giunzione epitelio-

stromale è sempre integra perché il grado di differenziazione è ancora sufficiente per consentire la produzione di una

normale membrana basale.

In alcune zone, come nello stomaco, definire il tipo di lesione è più difficile. Nelle ghiandole la zona proliferativa si

trova nel colletto: le cellule possono differenziarsi verso l’alto e diventare mucipare oppure scendere verso il fondo

della ghiandola diventando principali, parietali o endocrine.

La metaplasia intestinale dello stomaco prevede la trasformazione delle ghiandole gastriche in ghiandole di tipo

intestinale (cripte): il compartimento proliferativo è ora presente nel fondo della ghiandola ma non è espanso.

Quando invece si parla di displasia vi è sia un’alterazione della sede del compartimento proliferativo che dell’altezza

dello stesso.

Neoplasie

Nell’ambito di una neoplasia esistono due grossi componenti:

cellule neoplastiche che proliferano;

stroma di supporto.

Tutti i criteri di valutazione di una neoplasia si basano sulle cellule che proliferano anche se una neoplasia è costituita in

gran parte di stroma (per esempio il fibroma uterino è in realtà un leiomioma ma viene così chiamato per la sua grande

componente stromale la cui crescita è indotta dagli ormoni mentre la componente muscolare involve dopo la

menopausa).

Anche i tumori connettivali (es. lipomi) hanno uno stroma di supporto che ne garantisce il trofismo.

Lo stroma spesso riflette le caratteristiche della neoplasia: per esempio un tumore ben differenziato è di solito

vascolarizzato con una struttura di tipo “organoide”. Lo stroma aiuta perciò a stabilire non tanto la benignità o la

malignità di una lesione quanto il suo grado di differenziazione.

Per “desmoplasia” si intende letteralmente “l’induzione di stroma”. Per esempio un tumore in situ in un punto della

membrana basale può indurre un aumento della componente vascolare e connettivale. Si forma perciò un punto di minor

resistenza attraverso il quale può cominciare l’infiltrazione. La desmoplasia rappresenta perciò un marcatore evolutivo.

Una neoplasia può essere definita “scirrosa”, cioè dura, se ha indotto nella componente stromale delle modificazioni che

hanno reso imponente la componente extracellulare (le fibre) fino addirittura all’ossificazione.

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Per quanto riguarda il compartimento proliferante due sono le caratteristiche fondamentali:

grado di differenziazione: grado di affinità morfologica e funzionale delle cellule neoplastiche rispetto alle correlate

normali. Più una cellula è differenziata più è benigna;

pleomorfismo-eterogenicità: più la popolazione cellulare neoplastica è omogenea più in generale è differenziata più

è benigna. In realtà ogni neoplasia, pur essendo derivata da un unico clone, è alla fine caratterizzata da un’estrema

eterogeneità. Si tenga presente comunque che il grado di eterogenicità che si è capaci di cogliere è dipendente dagli

strumenti utilizzati.

Correlati alle due caratteristiche precedenti sono i concetti di:

anaplasia: perdita di qualsiasi somiglianza col tessuto di origine. E’ il grado estremo di indifferenziazione. In teoria

non è un sinonimo di “neoplasia indifferenziata”, composta cioè da cellule che non hanno nulla a che vedere con

nessun tessuto. In realtà anche le neoplasie anaplastiche conservano un marcatore (es. filamenti intermedi) che

consente di ricondurle al tessuto di origine;

sdifferenziazione: nell’ambito di una popolazione eterogenea insorge un clone (si parla di trasformazione clonale

intra lesionale) che ha caratteristiche tali da sembrare immaturo. Ciò accade abbastanza frequentemente in alcuni

sarcomi o nell’ambito dei melanomi.

Per valutare il grado di differenziazione si valuta per esempio:

la produzione di sostanze coerenti col tessuto (“fenotipo”);

presenza o assenza della membrana basale;

nuclei: l’asse maggiore è normalmente orizzontale alla membrana basale. La disposizione verticale è un segno di

scarsa differenziazione. Altre “atipie” sono la cromatina grossolana, i nuclei visibili, ipercromici, mitosi tipiche o

atipiche.

Altre caratteristiche importanti del tumore:

nella sua eterogenicità il compartimento neoplastico ha al suo interno un sottogruppo davvero proliferante, un

sottogruppo stabile ed uno ancora di perdita con cellule che vanno in apoptosi ed in necrosi.

La cinetica è un importante fattore prognostico sia per l’evoluzione della neoplasia sia per la sua capacità di

risposta ad alcuni chemioterapici.

I fattori che influenzano la cinetica sono i fattori di crescita, la vascolarizzazione (cui è legata la quota di perdita),

fattori esterni come cellule immunitarie che inducono l’apoptosi di cellule neoplastiche…

Oggi il patologo tra le caratteristiche di una neoplasia deve obbligatoriamente indicare la frazione di crescita che si

valuta:

o valutando la frazione di perdita;

o mediante marcatori che esprimono solo le cellule in ciclo proliferativo: es. Ki 67, una proteina espressa dalle

cellule in ciclo cellulare; PCNA, espressa solo in G1…;

o citofluorimetria: differenzia la quota diploide e tetraploide (fase S).

l’invasione è una prerogativa dei soli tumori maligni. Di invasione ce ne sono di molti tipi:

o invasione locale:

per continuità (o per “sgocciolamento”). Le cellule “spingono” e si fanno strada ma non si staccano

singole cellule. Una neoplasia che invade in questa maniera è il basalioma;

per contiguità: riguarda strutture anatomiche vicine ma non “attaccate” (es. stomaco e pancreas);

o invasione endocanalicolare: la neoplasia infiltra strutture canalicolari pre-esistenti. Nella mammella si parla di

“infiltrazione pagetoide”;

o invasione linfatica: è tipica delle cellule neoplastiche che si mobilizzano dall’intestino;

o invasione vascolare;

o invasione trans-celomatica: importante soprattutto per i carcinomi ovarici che superano la capsula e si

localizzano a livello peritoneale. I nuovi focolai di malattia non vengono chiamati metastasi ma localizzazioni.

Neoplasie benigne vs maligne

Oggi si tende a sostituire il termine di displasia con quello di neoplasia non invasiva (o intraepiteliale): in realtà se è

vero che le cellule fanno già parte del processo di progressione neoplastica la lesione è ancora reversibile.

Definizione di carcinoma in situ (o neoplasia intraepiteliale in ambito gastroenterologico): neoplasia che mostra aspetti

citologici di malignità senza tuttavia essere invasiva. Il termine è nato a proposito dei carcinomi della cervice. In altri

organi la possibilità che un carcinoma in situ sia sempre eradicato dalla chirurgia è meno netta.

Ciò che importa è tuttavia non confondere il concetto di displasia o neoplasia non invasiva che è maligna perché ha un

rischio di rompere la membrana basale e invaderla quantificabile secondo criteri sperimentali ed epidemiologici con la

neoplasia benigna. Quest’ultima è il risultato di un processo diverso fin dalla nascita da quello della cancerogenesi

maligna: una neoplasia benigna nasce benigna, non vi è un processo comune a cui ad un certo punto vi è un bivio.

Si tenga presente comunque che non c’è una caratteristica biologica che permette di differenziare le cellule maligne da

quelle benigne seppure parecchi parametri morfologici ci conducano ad operare la suddivisione.

Per esempio:

Tumori benigni:

o Non invasivi, crescono solo in situ;

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o Le cellule sono simili al tessuto di origine anche se l’architettura tessutale è alterata;

Tumori maligni:

o Hanno tendenza invasiva e a dare metastasi;

o Le cellule presentano parecchie atipie.

L’unico campo in cui le cose non sono così nette è l’iperplasia delle ghiandole endocrine: per esempio le paratiroidi

esposte ad una ipocalcemia cronica diventano prima iperplastiche, poi displastiche (in realtà si parla di iperplasia

nodulare), poi adenomi e infine carcinomi.

Alcune particolari neoplasie

Leucemie e linfomi

Sono entrambe neoplasie del tessuto linfatico ma si differenziano perchè nella leucemia gli elementi neoplastici si

trovano nel sangue mentre nei linfomi essi sono tutti raggruppati in un sito formando masse neoplastiformi.

Le cellule che possono circolare nel sangue sono o quelle mature o quelle estremamente immature mentre in tutti gli

stati intermedi le cellule si localizzano o nel midollo o nei linfatici.

Anche in campo neoplastico le regole sono rispettate: le leucemie acute sono caratterizzate da cellule molto immature,

quelle croniche da cellule mature.

Alcuni linfomi possono iniziare come linfomi ed evolvere in leucemie croniche o, al contrario, da leucemie con cellule

estremamente immature diventare linfomi.

Le plasmacellule circolanti non esistono. Il plasmocitoma, o mieloma multiplo, è un tumore del midollo. Però se diventa

molto anaplastico può evolvere in leucemia plasmocellulare.

Tumori misti

Il classico esempio è rappresentato dall’adenoma pleomorfo delle ghiandole salivari. In esso la componente

proliferativa è rappresentata da cellule epiteliali che possono differenziarsi in cellule duttali, cellule acinose o cellule

mioepiteliali. La cellula proliferante può inoltre sintetizzare tutti i componenti della membrana basale oppure diventare

come una cellula muscolare liscia (metaplasia mioide).

In sostanza la neoplasia è formata da una popolazione neoplastica varia che può essere costituita da cartilagine, cellule

muscolari, cellule epiteliali che formano acini o che formano dotti.

Il tumore recidiva nel 20% dei casi dopo asportazione chirurgica. In realtà esso si ramifica con gettoni di tipo

connettivale: ci si concentra sulle cellule epiteliali e non ci si accorge della diffusione locale di tipo connettivale.

Altri tumori misti, cioè che mescolano varie strutture nella componente proliferativa:

Tumori di origine mulleriana: il dotto di Muller è una cavità celomatica embrionale di origine mesodermica che dà

origine ai genitali. Dal mesoderma originano quasi tutti i connettivi, l’apparato escretore renale, l’apparato genitale

e le sierose. Le cellule del residuo del dotto di Muller sono epiteliali ma conservano un “ricordo” e quando

diventano neoplastiche possono dare origine a tutte le cellule di origine mesodermica (si parla di “adenosarcomi”);

Carcinomi metaplastici: sono tumori maligni con una componente maligna epiteliale ed una componente maligna

connettivale. Ciò è dovuto al fatto che alcune popolazioni neoplastiche vanno incontro al fenomeno della

metaplasia;

Tumori delle cellule germinali: tra queste neoplasie quelle con cellule che somigliano di più allo spermatogonio

(seminoma) e all’ovogonio (disgerminoma, meno frequente e meno aggressivo del precedente) sono entrambe

maligne.

Nella donna, ma anche nell’uomo, ci sono poi tutta una serie di possibilità dovute alle grandi capacità delle cellule

germinali che sono totipotenti: si va da strutture organoidi ben differenziate che possono simulare un embrione

(poliembrioma) a strutture disorganizzate che simulano i vari tessuti (teratoma come la cisti dermoide dell’ovaio,

frequente e del tutto benigna). I teratomi non si trovano solo nelle pelvi ma anche nel mediastino e nel

retroperitoneo a testimonianza dei residui di migrazione embrionale.

Per terminare due definizioni:

Amartoma: crescita di elementi diversi di strutture congrue con l’architettura tessutale;

Colistoma: crescita di elementi diversi di strutture incongrue con l’architettura tessutale.

L’anatomia patologica nella diagnostica delle neoplasie

La prima cosa importante è la distinzione tra neoplasia benigna e maligna. Una volta accertata la malignità della lesione

è necessario valutare le dimensioni del tumore e capire se esso invade. Ciò presuppone la precisa conoscenza della

struttura anatomica e istologica normale.

Tappa fondamentale dell’esame istologico in una lesione neoplastica è la classificazione istogenetica: si tratta in

sostanza di stabilire da quale tipo di tessuto origini il tumore.

Ciò è molto importante sia per la prognosi che per la terapia.

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Per alcune neoplasie esistono altri marcatori predittivi della responsività della lesione ad una determinata terapia e non è

detto che si riesca sempre a stabilire tutti i parametri. Nei linfomi e nel carcinoma della mammella questa capacità è

ottima, con meno successo si sta tentando di farlo anche nelle neoplasia della prostata e dei polmoni.

L’anatomopatologo che si occupa di tumori può essere chiamato ad analizzare un trombo: difatti le cellule tumorali

diffondono nel torrente ematico soprattutto sotto forma di trombi neoplastici che si differenziano da quelli normali per

la presenza di cellule neoplastiche. In alcuni casi (es. cancro del fegato e del rene, meno frequentemente sarcomi e

carcinomi del colon) essa rappresenta la via principale di metastatizzazione e quindi i trombi neoplastici rappresentano

un doppio problema: pericolo di metastatizzazione e pericolo di embolizzazione.

L’analisi del tumore in situ, dei linfonodi che drenano il distretto (spesso per la localizzazione di cellule neoplastiche ci

si avvale di immunoistochimica o di biologia molecolare) e delle eventuali metastasi permette di stabilire il grading

istologico della neoplasia che, affiancato a quello clinico e radiologico, consente di definire prognosi e terapia delle

neoplasia.

Ci sono delle particolari situazioni in cui decidere se una neoplasia è o no in situ è molto difficile e delicato: per

esempio nella corda vocale dove si tratta di togliere o meno la possibilità al paziente di parlare o nella vescica dove

basta l’invasione della lamina propria per far propendere verso l’asportazione del viscere (le difficoltà in questo caso

sono causate dall’assenza di una muscolaris mucosae ben definita).

Tecniche di anatomia patologica (Calabrese)

Istologia

L’analisi istologica si può eseguire su:

biopsie: sono piccole, di forma cilindrica, rappresentano solo una parte della lesione. Lo stereomicroscopio si

utilizza per l’osservazione a fresco delle biopsie per capire se il campione è idoneo (es. nelle biopsie renali per

capire se il frustolo contiene glomeruli e quindi se sia rappresentativo della corticale);

campioni chirurgici: sono di dimensioni maggiori. Richiedono un generoso campionamento al fine di definire la

diagnosi, la prognosi e le strategie terapeutiche.

Tempi: dipendono dalla grandezza del campione e dal tipo di tessuto:

fissazione in formalina: da 2 a 24 ore;

inclusione in paraffina: da 2 a 12 ore;

taglio e colorazione: ½ ora per blocchetto;

lettura e refertazione.

Per una piccola biopsia è necessario non meno di un pomeriggio lavorativo; per un pezzo operatorio sono necessari

parecchi giorni.

A volte all’istologia viene applicata la tecnica dell’istochimica: vengono cioè utilizzate colorazioni speciali per

evidenziare particolari componenti o microorganismi. Le più utilizzate sono:

PAS: evidenzia carboidrati, membrane basali, muco, alcuni miceti;

Alcian blu: mette in evidenza il muco. Esistono patologie che modificano la muciparità;

Rosso Congo: per l’amiloide;

Impregnazione argentica: evidenzia gli elementi argentofili;

Ziehl-Neelsen: evidenzia i micobatteri ma con bassa sensibilità;

Gram: per i batteri;

Grocott-Koski: per i miceti.

Esame estemporaneo

Un particolare tipo di esame istologico è quello estemporaneo: esso è richiesto dal chirurgo durante un intervento sia

per neoplasia sia nel trapianto d’organo per verificarne la vitalità al fine di porre o confermare una diagnosi che orienta

il proseguo dell’atto operatorio.

Tempi:

Congelamento: 5 minuti;

Taglio al criostato: 5 minuti;

Colorazione con EE rapida o azzurro di Toluidina: 3 minuti.

La diagnosi è comunicata telefonicamente entro 15-20 minuti.

A causa degli artefatti di congelamento l’accuratezza diagnostica non è la stessa dell’istologia classica. E’ un esame

difficile riservato solo a patologhi esperti.

Citologia

E’ la scienza dell’interpretazione dell’elemento cellulare isolato. Il metodo è nato con obiettivi primariamente

oncologici ma oggi si utilizza anche per altre patologie.

Tipi:

Citologia esfoliativa: pap-test, brushing, analisi del sedimento…

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Citologia aspirativa (FNAB): mammella, tiroide. È spesso eseguita dallo stesso patologo perché le tecnica di

prelievo migliora le possibilità di un buon risultato;

Citologia per apposizione: talvolta nel corso di un’estemporanea si appone il vetrino sul campione. Su di esso

aderiscono un po’ di cellule che vengono velocemente colorate: la loro osservazione può aiutare per porre la

diagnosi.

Tempi:

Fissazione con alcool, acetone o aria: 10 minuti;

Colorazione PAP, EE, Giemsa: 5-10 minuti;

Lettura e refertazione.

Ovviamente manca la fase di inclusione.

Il referto diagnostico può essere fornito entro due ore.

Microscopia elettronica

E’ oggi molto meno utilizzata, soprattutto grazie all’avvento delle tecniche di biologia molecolare. Inoltre, a causa del

tipo di strumento e della delicatezza del procedimento di preparazione dei campioni, è riservata a centri specializzati.

Oggi si usa principalmente in due ambiti:

malattie da accumulo;

alcune glomerulopatie (es. glomerulonefrite a lesioni minime).

Ci sono due tipi di microscopi elettronici:

a trasmissione (TEM): utile per l’osservazione di strutture sub-cellulari;

a scansione (SEM): visualizza strutture esterne delle cellule e con particolari tecniche valuta la composizione

molecolare delle strutture analizzate. Non ha applicazioni diagnostiche ma si usa solo in campo di ricerca.

Tempistica:

TEM:

fissazione in gluteraldeide: 2 ore;

inclusione in epan (resina acrilica): 12 ore;

taglio semifine: 30 minuti;

colorazione con blu di Talud: 30-40 minuti;

taglio ultrafine: 30 minuti;

colorazione con metalli pesanti: 40 minuti;

visione e refertazione: almeno un’ora.

Il procedimento completo richiede almeno tre giorni lavorativi.

SEM: tempi più corti, intorno ad una giornata.

Immunoistochimica e biologia molecolare

La tecnica dell’immunoistochimica sfrutta una reazione antigene-anticorpo che permette di identificare e localizzare

antigeni in situ, cioè nel tessuto o nelle cellule. Si utilizzano anticorpi specifici diretti contro l’antigene da ricercare.

La reazione antigene-anticorpo, in presenza di particolari cromogeni (anticorpi anti-anticorpo marcati di solito con

fluorescina), produce precipitati colorati ed insolubili visibili al microscopico.

Limiti dell’immunoistochimica:

non identifica mutazioni del genoma che non si traducono in alterazioni fenotipiche;

non permette di discriminare le cellule che sintetizzano un particolare prodotto cellulare mediante l’analisi

dell’RNA. In questo senso sono difatti possibili falsi positivi (es. assorbimento della sostanza dall’interstizio) o

falsi negativi (es. rapida secrezione).

Entrambi questi limiti sono superati dalle tecniche di biologia molecolare. Istochimica e biologia molecolare insieme

consentono di guardare ai tessuti in modo più dinamico e funzionale. L’efficienza diagnostica è senz’altro cresciuta.

L’analisi degli acidi nucleici si avvale dell’utilizzo di due tecniche:

su filtro: studio di acidi nucleici estratti. E’ migliore;

in situ: identificazione diretta degli acidi nucleici nel nucleo e nel citoplasma direttamente su preparati citologici o

istologici. Meno facilmente fornisce buoni risultati.

Principali applicazioni in anatomia patologica della biologia molecolare:

determinazione delle alterazioni numeriche dei cromosomi (numero, traslocazioni…);

caratterizzazione funzionale delle neoplasie;

studio dell’iperespressione di oncogeni;

diagnosi di malattie infettive virali.

Dati fondamentali che devono accompagnare i prelievi destinati all’anatomia patologica

nome, cognome, sesso;

età del paziente: alcune lesioni sono caratteristiche di determinate fasce di età;

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sede del prelievo (indispensabile!);

caratteristiche morfologiche macroscopiche (tattili, radiologiche, colore e forma);

sintomi associati;

sospetto clinico;

dati del medico richiedente scritti in maniera leggibile.

Tipi di risposta

Risposta diagnostica:

diagnosi di certezza: l’aspetto “depone” per…

diagnosi di compatibilità: vi sono solo alcune alterazioni caratteristiche della malattia sospettata dal clinico ma non

tutte;

diagnosi suggestiva: vi sono solo alcune alterazioni caratteristiche di una malattia diversa da quella sospettata dal

clinico. Il patologo allora “suggerisce” un’altra diagnosi.

Risposta non diagnostica:

risposta descrittiva: es. le alterazioni sono aspecifiche;

risposta aspecifica: es. materiale non idoneo, materiale sub-ottimale (quantità non adeguata benchè idoneo).

Embolie (Thiene)

Innanzitutto è importante chiarire come, dal punto di vista microscopico, si possa differenziare un trombo da un embolo

trombotico.

Per avere la certezza che si tratti di un embolo:

1. il tratto di segmento vascolare non deve mostrare alcuna patologia che possa avere giustificato l’insorgenza di un

trombo (es. placca ateromasica o infiammazione). Esistono però delle rare discoagulopatie che possono portare alla

formazione di trombi anche a livello dell’endotelio sano;

2. riconoscimento di una fonte: se si tratta di un’embolia polmonare la si deve ricercare nel sistema venoso, se invece

c’è un embolia arteriosa bisogna analizzare bene il distretto arterioso a monte senza dimenticare la possibilità di

embolia paradossa.

Tromboembolia polmonare

Per tromboembolia polmonare si intende il trasferimento di un trombo formatosi nelle vene, ed in particolare nelle vene

profonde delle gambe, di solito in pazienti con fattori di rischio (al primo posto c’è l’immobilità). Meno frequentemente

i trombi si formano a livello dei plessi prostatici e delle vene che provengono dalle ovaie.

A differenza dei tromboemboli che nascono nel versante arterioso il lume del vaso aumenta nel corso del tragitto

dell’embolo che spesso si “raggomitola”: ciò rappresenta un aspetto istologico che orienta verso l’embolia. Inoltre

l’embolo porta lo stampo delle valvole delle vene.

Se l’occlusione riguarda una grande arteria si verifica morte improvvisa; se l’occlusione riguarda un’arteria di medio

calibro e se c’è anche una compromissione del circolo bronchiale si verifica un infarto polmonare; se infine riguarda

una piccola arteria può non causare nessun danno morfologico oppure essere del tutto asintomatica.

L’infarto polmonare è tipicamente “rosso” a causa dell’infarcimento emorragico delle aree necrotiche dovuto al sangue

che fuoriesce dalle pareti dei vasi bronchiali e degli alveoli in necrosi.

Si noti bene che non sempre l’emorragia polmonare è dovuta ad un infarto: all’istologia l’infarto polmonare è l’unico

caso di emorragia polmonare in cui è apprezzabile la necrosi del parenchima.

Embolia paradossa

Per embolia paradossa si intende il passaggio di un trombo dal versante venoso a quello arterioso a causa della presenza

di shunt.

Nel 30% dei casi la membrana del forame ovale non è saldata al setto interatriale. Ciò significa che il forame ovale può

essere reso pervio se la pressione in atrio destro supera quella in atrio sinistro anche se pure in condizioni normali un

po’ di sangue passa comunque da una parte all’altra (rilevabile con l’eco-color-doppler).

Ciò può avvenire per esempio in seguito ad una precedente embolia polmonare oppure per altre cause che abbiano

determinato un’ipertensione polmonare.

Il meccanismo del forame ovale aperto rende probabilmente conto di molte embolie gassose nei sommozzatori.

L’embolo può anche infilarsi nel forame ovale e rimanervi incastrato: si parla di “tromboembolo in transito”.

Embolismi sistemici

Classificazione in termini di natura:

trombotico: reumatismo valvolare cardiaco con conseguente stenosi, ristagno e formazione di un trombo, post-

infartuale, cardiomiopatie dilatative, endocarditi non batteriche, fibrillazione atriale, prolasso valvolare;

settico: il trombo contiene germi. E’ classico delle endocarditi infettive;

neoplastico: mixoma, fibroelastoma, papillomi valvolari. Nel primo l’embolo è formato da materiale neoplastico,

nell’ultimo si formano dei trombi a livello delle vegetazioni neoplastiche;

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ateromasico: in seguito a rottura di una placca e fuoriuscita del materiale lipidico.

L’effetto di una occlusione tromboembolica è l’infarto.

L’infarto è emorragico, oltre che nel polmone, in altri due casi:

infarto intestinale: non a causa della presenza di circoli collaterali ma per un reflusso del sangue proveniente dalle

vene del sistema portale. Rarissimamente l’infarto intestinale può essere dovuto ad un ristagno di sangue

secondario a trombosi della vena porta;

corteccia cerebrale: a causa della presenza di abbondanti circoli collaterali. Gli infarti della base e della sostanza

bianca sono invece bianchi.

Gli infarti bianchi si verificano se vengono colpiti organi con circolazione a termine: essi sono tipicamente il cuore (a

meno che non vi siano state manovre iatrogene di rivascolarizzazione), rene e milza.

A livello epatico un eventuale infarto, evento molto raro a causa della doppia circolazione di quest’organo, può essere

rosso o bianco a seconda che sia stata occlusa la vena porta o l’arteria epatica.

Nel cuore la classica sorgente dei trombi è rappresentata dall’auricola dell’atrio sinistro dove il sangue ristagna

costituendo essa un’invaginazione.

La stenosi mitralica è detta “embolizzante” quando è caratterizzata dal rischio di complicanza embolica sia per il

ristagno sia perché l’ingrandimento dell’atrio espone al rischio di fibrillazione atriale la quale è un altro fattore

favorente il ristagno e quindi l’insorgenza di trombosi.

La fibrillazione atriale dell’anziano, indipendentemente dalla presenza di valvulopatia, è la patologia più a rischio di

trombosi dell’auricola. La tipica catena di eventi è la seguente:

1. aterosclerosi aortica senile;

2. aumento delle resistenze all’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro;

3. aumento del post-carico;

4. aumento delle pressioni nel ventricolo sinistro e ipertrofia;

5. difficoltà di svuotamento dell’atrio sinistro;

6. allargamento dell’atrio;

7. insorgenza di fibrillazione atriale;

8. stasi;

9. trombosi.

L’embolia cerebrale da trombi che si creano in corso di fibrillazione atriale è la causa maggiore di ictus che esitano in

emiplegia anche se oggi il trattamento profilattico anticoagulante ne ha ridotto l’incidenza.

L’endocardite abatterica è spesso il primo segno della presenza di un carcinoma. Anche se un soggetto giovane ha una

tromboembolia polmonare si deve sempre pensare alla presenza di un tumore. In entrambi i casi si tratta di sindromi

paraneoplastiche.

Le protesi valvolari sono un’altra delle grandi fonte emboliche, soprattutto se meccaniche.

Le embolie settiche sono dovute alla rottura di vegetazioni settiche, tipicamente nel corso di endocarditi. A livello

microscopico si osservano nel contesto del trombo neutrofili e colonie batteriche.

Per concludere si ricordi che nell’80% dei casi gli ictus originano da emboli partiti dal cuore, non dalle carotidi.

Classificazione delle emorragie cerebrali (Thiene)

Nota: nel circolo di Willis le arterie comunicanti posteriori mettono in comunicazione le carotidi interne con le

vertebrali e quindi il sistema dovrebbe riuscire a compensare una carenza di uno di questi vasi. In realtà nella maggior

parte dei casi queste comunicanti sono ipotrofiche o addirittura virtuali. Per questo motivo si può sostenere che il

sangue delle carotidi interne serve le parti anteriori del cervello mentre quello delle vertebrali le strutture posteriori.

emorragia extradurale: è spesso dovuta ad una frattura dell’osso temporale in seguito ad un trauma perché la linea

di frattura interseca il decorso dell’arteria meningea media lacerandola. Ne origina un ematoma extradurale,

l’encefalo viene compresso e può addirittura erniare la falce e comprimere l’emiencefalo controlaterale.

L’emoraggia si sviluppa nel giro di qualche ora successiva al trauma e la compressione del centro respiratorio è

causa di morte;

emorraggia subdurale: rara forma causata da stravaso cronico di sangue in soggetti con discoagulopatie. Così come

nei traumi è prediletta la sede temporo-parietale.

emorragia subaracnoidea: causata spesso da rottura di un aneurisma del circolo di Willis. La tipica localizzazione

degli aneurismi congeniti è l’arteria comunicante anteriore, a livello del setto interventricolare. La violenza

dell’emoraggia può essere tale da invadere l’encefalo sfondando la pia madre o, al contrario, i ventricoli;

emorragia intracerebrale: dovuta a rottura di un piccolo vaso perforante, in particolare (80% dei casi) le arterie

talamo-ottiche e lenticolo-striate, rami della cerebrale media. Queste arterie servono i nuclei della base, il talamo e

la capsula interna dove scorrono le fibre motorie: per questo motivo un’emorragia in tale sede causa emiplegia

controlaterale. L’emorragia, se estesa, può invadere i ventricoli.

Un’altra sede frequente di emoraggia intracerebrale (15% dei casi) è rappresentata dai nuclei profondi del

cervelletto in conseguenza della rottura di un ramo dell’arteria cerebellare. Infine (5% dei casi) sede di emoraggia è

il ponte, dove viaggiano le fibre motrici.

Questo tipo di emoraggie rappresentano una complicanza della ipertensione arteriosa;

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cefalo-ematoma alla nascita: è un’emoraggia extra-cranica dovuta a suzione di sangue durante il parto. Non si può

definire una vera emoraggia cerebrale;

fistole artero-venose: sono un’anomalia vascolare che sottrae sangue ossigenato alla circolazione cerebrale. Sono

passibili di trattamento per via percutanea.

Poiché le cellule della glia non sono in grado di proliferare più di tanto e di produrre collagene quando il sangue viene

riassorbito invece che una cicatrice residua una cosiddetta “cisti apoplettica”.

Infiammazione acuta e cronica (Calabrese)

L’infiammazione è una risposta protettiva per liberare l’organismo sia dalla causa iniziale di danno cellulare che dalle

conseguene del danno (ossia cellule o tessuti necrotici).

Infiammazione acuta

E’ caratterizzata da:

breve durata (da pochi minuti a qualche giorno);

essudazione di liquidi e proteine;

migrazione dei leucociti;

degradazione del tessuto necrotico.

Nell’infiammazione acuta due sono i fenomeni importanti da tenere a mente:

fenomeni vascolari:

o transitoria vasocostrizione cui segue vasodilatazione con eritema ed aumento della temperatura locale;

o aumento della permeabilità vascolare per contrazione delle cellule endoteliali con incremento della viscosità

del sangue secondaria alla fuoriuscita di plasma e conseguente rallentamento della progressione delle cellule.

L’aumento della permeabilità può essere dovuta ad un danno endoteliale diretto (es. nelle ustioni) o dipendente

dall’azione dei leucociti;

o migrazione e fuoriuscita di elementi infiammatori;

fenomeni cellulari:

o marginazione e rotolamento: le molecole di adesione più importanti in questa fase sono le selectine. L’Il-1 e il

TNFα ne mediano l’espressione;

o adesione e migrazione: le integrine sono importanti nella fase di adesione mentre altre molecole quali le

DECAM1 intervengono nella migrazione;

o chemotassi ed attivazione: una delle principali linfochine responsabili della chemiotassi è l’Il-8;

o fagocitosi e/o degranulazione.

Possono compromettere l’efficienza di questo processo difetti della funzione leucocitaria quali:

deficit di adesione leucocitaria di tipo I;

difetti nell’attività microbicida: es. malattia cronica granulomatosa dell’infanzia legata a deficit di

NADPH ossidasi;

difetti nella formazione del fagolisosoma.

Esiti dell’infiammazione acuta:

Risoluzione completa se:

o la lesione è limitata e di breve durata;

o assente o scarsa distruzione dell’organo;

o il tessuto coinvolto è capace di rimpiazzare le cellule distrutte;

Cicatrizzazione e fibrosi se:

o estesa distruzione di tessuto polmonare;

o interessa tessuti che non rigenerano;

o vi è abbondante essudato di fibrina che viene organizzato in fibrosi;

o vi è stata la formazione di un ascesso.

Classificazione morfologica

Infiammazione acuta sierosa:

o è prevalentemente caratterizzata da essudato;

o si vede nelle ustioni e nelle prime fasi dell’infiammazione batterica;

o di solito evolve in restitutio ad integrum, raramente vi è evoluzione in tessuto fibroso;

o esempi: bolle e vescicole che si formano in corso di infezioni cutanee ed herpes;

Infiammazione acuta fibrinosa:

o essudato abbondante ricco di proteine plasmatiche, inclusi fibrinogeno e fibrina;

o può risolversi completamente se è buona la funzione macrofagica;

o altrimenti, se persistente, stimola la crescita di fibroblasti e vasi sanguigni: evoluzione in fibrosi;

o esempi: pericardite fibrinosa in corso di infarti o nei pazienti uremici. Anche il primo step della polmonite

lobare è l’accumulo di fibrina intra-alveolare.

Infiammazione acuta purulenta:

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o essudato purulento;

o di solito provocano suppurazione le infezioni da batteri piogeni;

o esempio: gastrite catarrale.

Cinque lesioni caratteristiche:

o catarro purulento: sulle mucose;

o empiema: se la raccolta di pus avviene in una cavità naturale;

o flemmone: infiammazione purulenta dei tessuti molli;

o ascesso: infiammazione purulenta delimitata;

o ulcera: è una lesione più complessa con necrosi focale sulla superficie di un organo.

Infiammazione acuta emorragica:

o l’essudato è ricco di emazie;

o esempi: infezioni da Rickettzie o altri virus, fase di “epatizzazione rossa” nella polmonite;

Infiammazione acuta gangrenosa:

o essudato di colore verde, maleodorante;

o è causata da batteri anaerobi che trasformano le proteine dell’essudato con produzione di acido sulfidrico e

trasformazione dell’emoglobina in sulfemoglobina e verdoglobina (responsabili del cattivo odore);

o esempio: colite pseudomembranosa. Le pseudomembrane sono l’esempio eclatante di infiammazione

gangrenosa.

Fattori che influenzano il tipo di risposta:

Fattori correlati all’agente causale:

o potenziale patogeno;

o quantità e potere di penetrazione;

o durata e persistenza;

Fattori correlati all’ospite:

o età (più grave nei bambini e negli anziani);

o stato di nutrizione (es. gravi ipoproteinemie);

o disturbi ematologici;

o alterazioni dell’immunità;

o malattie sistemiche (es. diabete mellito, cancro);

o apporto sanguigno: l’ischemia facilita la necrosi.

Infiammazione cronica

Dura settimane o mesi. Ne esistono tre forme:

non proliferativa:

o caratterizzata da infiltrazione di cellule mononucleate: linfociti, monociti, plasmacellule (che sono sempre un

indizio di flogosi cronica) e a volte eosinofili;

o la presenza di macrofagi dipende da:

migrazione continua di monociti;

proliferazione di istiociti tessutali;

permanenza dei monociti nei focolai infiammatori;

proliferativa:

o è la forma più comune;

o è caratterizzata dalla presenza di tessuto di granulazione (cellule mononucleate + neoangiogenesi +

fibroblasti). A seconda del rapporto cellule/fibre connettivali distinguiamo:

infiammazione cronica granuleggiante: se predomina il tessuto di granulazione;

infiammazione cronica sclerosante: se predomina la matrice connettivale acellulare.

granulomatosa:

o i granulomi infiammatori sono strutture rotondeggianti di 0,1-2 μm che tendono a confluire tra loro;

o si formano per:

persistenza della causa;

stimolazione continua dell’immunità cellulare (es. sarcoidosi, Crohn che richiede la diagnosi differenziale

con la TBC intestinale, corpo estraneo anche microscopico come l’asbesto…).

Cause dell’instaurarsi di un’infiammazione cronica:

persistenza dell’infiammazione acuta, in particolare i territori poco vascolarizzati (l’esempio classico è

rappresentato dall’osteomielite suppurativa);

persistenza della causa (es. micobatteri non distrutti dai macrofagi);

reazione immune o autoimmune: es. tiroidite di Hashimoto.

Il rigetto

Esistono quattro tipi di trapianti:

isotrapianto o sintrapianto: trapianto fra individui geneticamente identici (gemelli omozigoti);

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allotrapianto o omotrapianto: donatore e ricevente appartengono alla stessa specie. La gran parte dei trapianti sono

di questo tipo;

xenotrapianto: tra individui di speci diverse. Rappresenta probabilmente una prospettiva futura. Gli animali

vengono geneticamente modificati affinchè i loro organi siano meno sensibili al rigetto (trapiantando un organo di

maiale transgenico in una scimmia oggi si ottiene una sopravvivenza di 90 giorni perché si riesce a dominare il

rigetto iperacuto);

autotrapianto: ricevente e donatore sono lo stesso individuo.

Per rigetto si intende la risposta attuata dal sistema immunitario del ricevente che riconosce come estraneo l’organo

trapiantato.

La risposta immunitaria è prevalentemente di tipo cellulare, meno importante quella umorale che si realizza quando nel

ricevente sono presenti anticorpi preformati anti antigeni del donatore (in altri termini quando gli individui hanno

gruppo sanguigno diverso).

In realtà la caratterizzazione del gruppo sanguineo del ricevente non esclude del tutto il rigetto umorale che stà oggi

ricomparendo, seppure in forma diversa, a causa dell’attivazione del complemento e della deposizione di

immunocomplessi in organi ricchi di vasi (quindi non interessa la cornea).

L’immunità cellulare è stimolata da antigeni del complesso maggiore di istocompatibilità, soprattutto Ag di classe I-

HLA, B e C, presenti in tutte le cellule che partecipano alla risposta immunitaria.

Rigetto iperacuto

E’ dovuto all’incompatibilità del gruppo sanguigno e ne è responsabile l’immunità umorale a causa della presenza di

anticorpi preformati e dell’attivazione del complemento nei luoghi in cui questi ultimi si vanno a legare.

Si osserva già durante l’intervento chirurgico o dopo alcune ore con i seguenti aspetti:

macrospicamente: dapprima pallore diffuso per vasocostrizione dei vasi colpiti dalla risposta immunitaria, poi

l’organo diventa molle e cianotico;

microscopicamente: dapprima vasocostrizione, successivamente formazione di microtrombi vascolari, infiltrazione

di neutrofili e linfociti ed infine rottura dei vasi con infarcimento emorragico e necrosi ischemica (infarto

emorragico).

Rigetto acuto

Grazie ai farmaci immunosoppressivi non è molto frequente.

Si realizza a partire dalla prima settimana dal trapianto con un picco di incidenza dopo un mese.

E’ clinicamente silente ma comporta una perdita progressiva di funzione. Si monitora con la biopsia che spesso viene

effettuata indipendentemente dalla comparsa di segni e sintomi.

Si osserva:

macroscopicamente: organo turgido di colorito rosso;

microscopicamente: infiltrato linfocellulare, necrosi focale, talora aree infartuali.

Rigetto cronico

Porta alla perdita definitiva dell’organo a distanza massima di 10-15 anni dal trapianto di cuore o fegato, spesso di soli

3-4 anni per il polmone. Esso tuttavia non si sviluppa inevitabilmente: qualcuno è più fortunato ma non si conosce la

causa del rigetto né perché risparmi alcuni individui.

La lesione iniziale è diretta verso l’endotelio con successiva formazione di microtrombi. Microscopicamente si osserva

difatti una proliferazione di miofibroblasti che lentamente ostruiscono il lume anche dei vasi più grandi tanto che nel

polmone i vasi colpiti dal rigetto cronico si presentano in maniera simile a quelli colpiti da aterosclerosi con la

differenza che la lesione è concentrica e non eccentrica.

L’evoluzione verso la perdita dell’organo è inarrestabile ma evolve con diversa gravità.

Reazione del trapianto contro l’ospite

Si realizza quando cellule immunocompetenti vengono trapiantate in pazienti immunodepressi (tipicamente nel

trapianto di midollo) ed è dovuta alla sensibilizzazione del trapianto verso gli antigeni di II classe del ricevente.

L’organo più colpito è la cute che presenta un quadro di dermatite esfoliativa. Altri organi colpiti sono il fegato (epatite

immune con segni di colestasi), l’intestino (enterocolite con segni di malassorbimento), polmone, trombocitopenia.

A questa situazione si associano frequentemente infezioni che rappresentano la principale causa di morte.

La reazione è evitabile attraverso uno studio più approfondito degli antigeni di istocompatibilità tra donatore e

ricevente.

Cenni su Morgagni e il suo metodo (Thiene)

Frase celebre: “è impossibile stabilire la natura e la causa delle malattie senza la dissezione dei rispettivi cadaveri”.

Tappe della sua vita:

1682: nasce;

1701: laurea a Bologna, allievo prediletto di Valsalva;

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1706: pubblica il primo dei 6 volumi “Adversia Anatomica”;

1711: chiamato a Padova alla II cattedra di Medicina Teorica;

17-3-1712: orazione inaugurale dal titolo “Nova institutionem medicarum idea”: tratta della sua idea di come

insegnare e studiare la medicina. Tra le altre cose sosteneva il grandissimo valore dell’autopsia: “i medici, che

hanno eseguito o visto numerose autopsie, hanno quantomeno imparato a dubitare della loro diagnosi.”. Inoltre

sosteneva l’importanza di essere disponibili ad insegnare ciò che si è appreso e che la cultura medica non poteva

prescindere da quella umanistica;

1761: pubblica il “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis”;

1771: muore nella sua casa in via S. Massimo.

Metodo morgagniano: comparazione tra segni e sintomi clinici e reperti patologici (correlazione clinico-patologica) al

fine di potere stilare un giudizio conclusivo (epicrisi). Il metodo segna in sostanza la nascita della fisiopatologia.

Conferenza clinico-patologica: presentazione e discussione della storia di un caso clinico e del riscontro bioptico-

autoptico quale metodo di incontro tra funzione e morfologia. Le varie tappe della conferenza sono:

anamnesi;

risultati delle indagini strumentali, inclusa la biopsia;

interventi terapeutici;

esito di eventuale riscontro autoptico;

correlazioni anatomo-cliniche;

diagnosi conclusiva;

epicrisi.

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