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Studi e ricerche di storiografia Antonio Labriola e la storia d’Italia di Amina Crisma In alcune lettere a Luise Kautsky e a Benedetto Croce del 1895, Labriola delineava il piano di stesura di una serie di saggi sulla cdncezione materialistica della storia, prevedendone un ritmo di composizione talmente serrato (uno o due mesi di distanza l’uno dall’altro) da farli apparire articolazioni interne di un lavoro uni- tariamente concepito, piuttosto che una serie di monografie ciascuna in sé conclusa; mostrava di concepirne l’epilogo in forma di “esposizione e racconto di determinati fatti storici”, e tale era il rilievo attribuito, nell’economia dell’opera, a questa sezione conclusiva, che gli scritti di ca- rattere generale sembravano configurarsi come “una introduzione” rispetto ad essa1. La vicenda della pubblicazione ebbe invece poi, com’é noto tutt’altro svolgimento. Se infat- ti il secondo saggio ( Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare) costituisce, in so- stanza, la ripresa e l’ampliamento della temati- ca del primo (In memoria del Manifesto dei Comunisti), in una successione coerente con il progetto originario, il terzo, Discorrendo di socialismo e di filosofia, riflette l’emergere di esigenze nuove: la complessa realtà di fine seco- lo impone, come Labriola lucidamente avverte fin dal 1897, una ridefinizione delle categorie teoriche del materialismo storico, che è invece “fermo allo stadio della prima formazione”2. È questo il nucleo problematico da cui muo- vono ‘Bernstein-Debatte’ e ‘crisi del marxismo’, e su tale nodo, pur negando validità teorica al fenomeno ‘revisionista’, si concentra-la rifles- sione dell’ultimo Labriola, che, nell’“istantanea di fine secolo” tentata nell’incompiuto quarto saggio (Da un secolo*all’altro), si sforza di con- ferirgli una organica sistemazione3. Benché sia rimasto, quindi, in larga misura inattuato, quel programma iniziale risulta co- munque assai significativo; esso attesta inequi- vocabilmente la tendenza a farsi ‘materialismo storico applicato’ implicita nella riflessione teo- rica labrioliana. Che la concezione materialisti- ca, “come nuovo principio di ricerca, preciso mezzo di orientazione, determinato angolo vi- suale”, debba “riuscire da ultimo ad un rifaci- mento narrativo ed espositivo della storia”, è un’asserzione nitidamente formulata in alcune fondamentali pagine del secondo saggio. “Una effettiva narrazione storica” viene in esse indi- cata come il compito proprio della “nuova teoria”; “Non si tratta già di sostituire la socio- 1 Giuliano Procacci, Antonio Labriola e la revisione del marxismo attraverso l’epistolario con Bernstein e con Kautsky (1895-1904), in “Annali dell'Istituto G.G. Feltrinelli III”, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 286-287; Antonio Labriola, lettere a Benedetto Croce 1885-1904, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1975, p. 74. - G. Procacci, Antonio Labriola, cit„ pp. 311-313; Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con introduzione di Eugenio Garin, Bari, Laterza, 1970, pp. 182-183. ' A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., pp. 63 passim; G. Procacci, Antonio Labriola, cit„ pp. 291-292, 312-326; Cfr. Valentino Gerratana, introduzione a Antonio Labriola, Scritti politici 1886-1904, Bari, Laterza, 1970, p. 87; Id„ Labriola e l’introduzione del marxismo in Italia in Storia de! marxismo, Torino, Einaudi, 1979, voi. II, pp. 653-655. “Italia contemporanea”, dicembre 1982, fase. 149

Antonio Labriola e la storia d’Italia

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S tudi e ricerche d i storiografia

Antonio Labriola e la storia d’Italiadi A m ina Crisma

In alcune lettere a Luise Kautsky e a Benedetto Croce del 1895, Labriola delineava il piano di stesura di una serie di saggi sulla cdncezione materialistica della storia, prevedendone un ritmo di composizione talmente serrato (uno o due mesi di distanza l’uno dall’altro) da farli apparire articolazioni interne di un lavoro uni­tariamente concepito, piuttosto che una serie di monografie ciascuna in sé conclusa; mostrava di concepirne l’epilogo in forma di “esposizione e racconto di determinati fatti storici”, e tale era il rilievo attribuito, nell’economia dell’opera, a questa sezione conclusiva, che gli scritti di ca­rattere generale sembravano configurarsi come “una introduzione” rispetto ad essa1.

La vicenda della pubblicazione ebbe invece poi, com’é noto tutt’altro svolgimento. Se infat­ti il secondo saggio (Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare) costituisce, in so­stanza, la ripresa e l’ampliamento della temati­ca del primo (In memoria del Manifesto dei Comunisti), in una successione coerente con il progetto originario, il terzo, Discorrendo di socialismo e di filosofia, riflette l’emergere di esigenze nuove: la complessa realtà di fine seco­lo impone, come Labriola lucidamente avverte

fin dal 1897, una ridefinizione delle categorie teoriche del materialismo storico, che è invece “fermo allo stadio della prima formazione”2.

È questo il nucleo problematico da cui muo­vono ‘Bernstein-Debatte’ e ‘crisi del marxismo’, e su tale nodo, pur negando validità teorica al fenomeno ‘revisionista’, si concentra-la rifles­sione dell’ultimo Labriola, che, nell’“istantanea di fine secolo” tentata nell’incompiuto quarto saggio (Da un secolo*all’altro), si sforza di con­ferirgli una organica sistemazione3.

Benché sia rimasto, quindi, in larga misura inattuato, quel programma iniziale risulta co­munque assai significativo; esso attesta inequi­vocabilmente la tendenza a farsi ‘materialismo storico applicato’ implicita nella riflessione teo­rica labrioliana. Che la concezione materialisti­ca, “come nuovo principio di ricerca, preciso mezzo di orientazione, determinato angolo vi­suale”, debba “riuscire da ultimo ad un rifaci­mento narrativo ed espositivo della storia”, è un’asserzione nitidamente formulata in alcune fondamentali pagine del secondo saggio. “Una effettiva narrazione storica” viene in esse indi­cata come il compito proprio della “nuova teoria”; “Non si tratta già di sostituire la socio-

1 Giuliano Procacci, Antonio Labriola e la revisione del marxismo attraverso l’epistolario con Bernstein e con Kautsky (1895-1904), in “Annali dell'Istituto G.G. Feltrinelli III”, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 286-287; Antonio Labriola, lettere a Benedetto Croce 1885-1904, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1975, p. 74.- G. Procacci, Antonio Labriola, cit„ pp. 311-313; Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con introduzione di Eugenio Garin, Bari, Laterza, 1970, pp. 182-183.' A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., pp. 63 passim; G. Procacci, Antonio Labriola, cit„ pp. 291-292, 312-326; Cfr. Valentino Gerratana, introduzione a Antonio Labriola, Scritti politici 1886-1904, Bari, Laterza, 1970, p. 87; Id„ Labriola e l’introduzione del marxismo in Italia in Storia de! marxismo, Torino, Einaudi, 1979, voi. II, pp. 653-655.

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logia alla storia [...] ma anzi si tratta di intende­re integralmente la storia, in tutte le sue intuiti­ve manifestazioni, e d’intenderla per mezzo del­la sociologia economica. [...] Si tratta, insom­ma, della storia, e non dello scheletro suo. Si tratta del racconto e non dell’astrazione [...] si tratta, a dirla in una parola [...] di un’arte [...], l’arte diffìcile che deve esemplificare la conce­zione materialistica”4.

Il “bisogno della configurazione narrativa” risulta, così, intrinseca esigenza di un materia­lismo storico definito essenzialmente quale principio interpretativo unitario, capace di ade­rire all’articolazione dei processi reali. Un’esi­genza che Labriola afferma già nel serrato con­fronto epistolare con Engels sulle categorie del­la “nuova dottrina” dell’estate 1894, e che lo induce ad optare per una definizione “genetica” anziché “dialettica” di essa5.

A tali istanze rispondeva, dunque, if proget­to storiografico che Labriola si proponeva di realizzare nei saggi,« che non trovò, come s’è detto, compiuta attuazione. Tuttavia se ne può ricostruire, con sufficiente approssimazione, il profilo, attraverso frammentarie ma precise notazioni. Innanzitutto, esso era concepito non come “compendio di storia universale”, ma come narrazione storica particolare. Non si trattava di esemplificare gli assunti generali del­la “novissima concezione storica”, quanto piut­tosto di saggiarne la capacità di misurarsi con la molteplicità delle determinazioni concrete. In tal senso, Labriola indica le differenziate realtà nazionali quali oggetto prioritario d’indagine; ciò si connette alla tematica della “acquisizione del marxismo dal punto di vista del cervello nazionale”: poiché “le lingue non sono [...] le accidentali varianti dell’universale Volapiick”, l’assimilazione del materialismo storico non

può procedere che attraverso “trattazioni criti­che” delle singole vicende nazionali capaci di “riprodurre” il procedimento m arxiano6.

Con questo intendimento, egli si propone una “ricostruzione genetica” del “caso speciale dell’Italia”7, alla cui peculiarità è costantemente rivolta la sua attenzione. Argomento ricorrente in numerose pagine dei saggi, la “particolarità” della situazione italiana costituisce un tema centrale nella fase della sua più intensa milizia socialista, negli anni 1890-95, in cui egli tenta di fondare, su un’analisi di tale specificità, una coerente prassi politica: riconoscendo persi­stenti limiti alla crescita dell’organizzazione operaia nella arretratezza strutturale del paese, ne individua, insieme, le contraddizioni come terreno sul quale innestare lo sviluppo del “m o­to proletario”. Siffatta articolata lettura del “caso italiano” qualifica l’attività labrioliana — pratica e teorica — nell’intero periodo, dall’ini­ziativa per la costruzione del partito alla de­nuncia degli scandali bancari, dall’appoggio al movimento dei fasci siciliani alle corrisponden­ze alla “Leipziger Volkszeitung”8.

L’interesse di Labriola per la storia nazionale si colloca alfinterno di questa complessa espe­rienza, configurandosi essenzialmente come “indagine sulle cause remote e le ragioni pros­sime della attuale situazione nel nostro paese”, in una prospettiva finalizzata alla “orientazione critica sul presente”9; lungi dal costituire un completamento accessorio, esso si riconnette dunque organicamente alle istanze fondamen­tali della riflessione del cassinate. Interamente a tale tema egli intendeva, nel 1897, dedicare un ipotizzato nuovo saggio e, promettendone l’imminente pubblicazione, così ne tracciava brevemente lo schema: “Bisognerebbe risalire fino al secolo XVI, quando l’iniziale sviluppo

J A. Labriola. La concezione materialistica, cit.. pp. 1.16. 140-142s Giuseppe Del Bo. La corrispondenza di Marx e Engels con italiani I84S-I895. Milano, Feltrinelli. 1964. p. 537.6 A. Labriola. Im concezione materialistica, cit.. pp. 205-207.7 A. Labriola. Im concezione materialistica, cit.. pp. 281-282.* A. Labriola. Scrini politici, cit.. pp. I99sgg.9 A. Labriola, la concezione materialistica, cit.. pp. 281-282. ld.. tenere a B. Croce, cit.. pp. 94-95. 269.

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dell’epoca capitalistica — che qui avea sede principale — fu spostato dal Mediterraneo. Bisognerebbe arrivare, attraverso alla storia della successiva decadenza, alle premesse posi­tive e negative, interne ed esterne, delle presenti condizioni” 10.

Così, in una seguenza nella quale ad una “precoce avviata all’epoca capitalistica già in su la fine del Medioevo”, segue, dal 1500, una fase di plurisecolare, “documentata decadenza”, con “l’uscita dell’Italia dalla circolazione della storia” 11, il paradigma labrioliano articola le fondamentali scansioni delle vicende nazionali. Gli specifici tratti costitutivi della tipicità del “caso italiano” si disegnano attraverso l’ascesa ed il declino della borghesia12. È dunque la categoria di ‘formazione storico-sociale’ a co­stituire il perno di tale lettura; una nozione che, coerentemente con i propri enunciati teorici, Labriola attinge da Marx, ma conferendole, nel proprio progetto di “narrazione storica”, una originale connotazione: in esso infatti tale concetto — piuttosto che definirsi prevalente­mente sul versante dei ‘rapporti sociali di pro­duzione’ — racchiude una pluralità di determi­nazioni (economiche, sociali, istituzionali, poli­tiche, ideologiche) che si connettono organi­camente e risultano parimenti rilevanti, come avremo modo di riscontrare13. Giova qui ri­cordare come, in una lettera a Croce del no­vembre 1895, Labriola enunci “la necessità che la dottrina ritrovata da non storici trovi il suo complemento nell’arte del racconto fatta da storici di professione”14; e pure significativi ri­sultano, in proposito, gli apprezzamenti positi­vi rivolti, in D ilu c id a z io n e p re lim in a re , alla se­

conda scuola storica tedesca dell’economia, nel­la quale si riconosce una oggettiva affinità d’o­rientamento ed una convergenza di risultati rispetto al materialismo storico15. Sono, que­ste, indicazioni che autorizzano implicitamente a ritenere che, se Labriola assume a riferimento centrale del proprio interesse storico l’analisi marxiana, egli non sia tuttavia insensibile ad altre e diverse suggestioni16.

L’età m oderna e “genesi della società borghese”

Respingendo come arbitrario il presupposto di “un’unità illusionale della storia d’Italia at­traverso un gran numero di secoli”, Labriola assume dunque come filo conduttore ed intima connessione delle vicende della penisola la “ge­nesi della società borghese”. Ne ravvisa l’esor­dio nell’età comunale, “preistoria di quella ac­cumulazione capitalistica che M arx studiò con tanta evidenza di particolari nella serie chiara e compiuta dell’evoluzione dell’Inghilterra”, e, insieme, prima affermazione di un particola­rismo che infrange la compagine universalistica medievale (la “comune coscienza indistinta d’un impero indefinitamente prolungato”)17. Nello sviluppo dei comuni egli riconosce, così, “l’inizio di quella caratteristica di eventi cui siamo autorizzati a dare il nome di storia mo­derna”, e, sottolineando la precocità di tale cesura, ne pone in risalto gli elementi di conti­nuità rispetto alla peculiare vicenda italiana: è sul tronco di una millenaria civiltà urbana che si innesta, prima che altrove, la fioritura bor­ghese“18. In questo senso, egli rileva come sia “unilaterale” e “non rispondente al caso dell’I-

10 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 282-283.11 A. Labriola, La concezione materialistica, cit.. p. 40.13 Itici.11 cfr. Emilio Sereni, Da Marx a Lenin. La categoria eli 'formazione economico-sociale', in “Critica marxista”. Quaderno n. 4, 1970, pp. 29-79.14 A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., p. 87.15 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 137-138.16 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 228, 242.17 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 349. Cfr. Giuseppe Galasso, L'Italia come problema storiografico, Torino, Utet, 1979, p. 184-188.18 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 336-337.

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talia” “ciò che nel M a n ifes to è detto su la pri­missima origine della borghesia come nata dai servi del Medioevo” l9; una più precisa ricostru­zione di tale fase Labriola la attende da indagini specifiche, capaci di documentare come “il mo­vimento economico e statistico trovi completo riscontro nei rapporti politici, e sufficiente illu­strazione nello sviluppo contemporaneo del­l’intelligenza, già ridotta in prosa, e spoglia in buona parte di illusioni ideologiche”20.

È tenendo presenti tali elementi nella loro globalità e reciproca implicazione che Labriola delinea la formazione della borghesia: ceto di mercanti e di banchieri, marginale nelle società antiche, marginale ma tenacemente resistente nel Medioevo21, essa ‘si fa classe’ avviando, in età comunale, il processo di accumulazione ed affermando, nel 1300-1400, la propria identità politica, sociale, culturale, la propria W eltan ­sch a u u n g laica e profana che “sconvolge e lace­ra” ogni sacralità feudale22. In una prospettiva siffatta, i riferimenti all’analisi marxiana, che pure sono indubbiamente presenti, finiscono per assumere un carattere sfumato; essi sem­brano costituire lo sfondo concettuale della ri­cerca labrioliana piuttosto che circoscriverne lo specifico oggetto23.

Anche l’interesse per la vicenda di Fra’ Dol­an o , che rappresenta, nella riflessione del cas­s ia te sugli “albori dell’età moderna”, il tema di maggior spicco e di più ampia trattazione, ap­pare in tal senso significativo. Osserva in pro­

posito Labriola: “Fu certo intento mio d’essere e rimanere marxista; ma non posso non pren­dere sotto la mia responsabilità personale le cose che dissi a mio rischio e pericolo, perché le fonti su le quali mi toccava di lavorare son quelle che maneggiano tutti gli altri storici, d’ogni altra scuola e indirizzo, e a Marx non avevo niente da chiedere, poiché lui non aveva niente da offrirmi nella fattispecie”24.

Evento emblematico di un decisivo momen­to di trasformazione dei rapporti sociali, il mo­to dolciniano rivela, nelle sue complesse com­ponenti, le tensioni di classe e di ceto innescate dal sorgere della borghesia comunale25, insie­me, vi si riconosce un anello “della gran catena delle sollevazioni delle plebi cristiane” che at­traverso un arco plurisecolare, dalla pataria a Thomas Munzer, costantemente coniugano ri­vendicazione egualitaria e ribellione religiosa, antigerarchica ed antidogmatica26. Ne è comu­ne matrice il “mito storico del cristianesimo primitivo” come “setta di perfetti santi, ossia di assolutamente eguali, senza differenze di clero e di laici, tutti parimenti capaci dello spirito divi­no, sanculotti e devoti al tempo stesso, tutti ad un m odo” — immagine eversiva che ha stori­camente incarnato, in uno slancio utopico proiettato ad un tempo verso il futuro e verso il passato, la coscienza degli oppressi27. Così, a t­traverso la ricostruzione delle “vicende assai oscure dell’eroico Fra’ Dolcino”, sembra con­cretizzarsi la proposta, formulata in una pagina

w A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 54. Cfr. Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto del partilo comunista, Torino, Einaudi. 1962, p. 116. Cfr. Carlo Cattaneo. Della formazione e progresso de! Terzo Stato, nella ed. degli “Scritti storici e geogràfici", a cura di G. Salvemini ed. E. Sestan, Firenze, Le Monnier. 1956-57, voi. II, p. 35231 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 139. Vedi Id. — Storia, filosofia della storia, sociologia e materialismo storico, in Saggi sul materialismo storico, a cura di Valentino Gerratana e Augusto Guerra, Roma. Editori Riuniti, 1964, pp. 324; G. Del Bo, Corrispondenza, cit., p. 544.21 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 274; Id. Storia, filosofia della storia, cit., p. 329.22 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 274.

Antonio Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. 1V. Considerazioni retrospettive e presagi, ricostruzione di Luigi Dal Pane, Bologna. Cappelli, 1925, p. 54. Cfr. Karl Marx, Il Capitale, a cura di Delio Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1974. voi. I, pp. 179, 196, 197. 188.2J A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 194. ld„ Lettere a B. Croce, cit., p. 102. 209.25 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 45, 194, 270-272. Id., Saggi ritorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., pp. 409 sgg.* A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 271-272.27 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., pp. 271-272.

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del primo saggio, di “ripensare la storia” sulla traccia di “quante mai forme di concezione e d’azione socialistica” vi apparvero, “cogliendo­ne la molteplice e ricca suggestione ideo­logica”21 * * * * * * 28.

Specularmente al tema della “rivolta delle plebi cristiane” si collocano, nella riflessione labrioliana, le indicazioni metodologiche per una “storia della Chiesa” che ne legga la dina­mica di “consociazione” nata come comunità di eguali e sviluppatasi in “gerarchia di disugua­li” che “si completa col dogm a”, l’autoritarismo e l’intolleranza29. Più in particolare, v’è in La­briola una considerazione attenta dello specifi­co ruolo dell’istituzione ecclesiastica nelle vi­cende nazionali, come indica già un suo spunto del 1888: “In Italia manchiamo di tutta una pagina della storia moderna. Noi non combat­temmo mai per la libertà religiosa”30.

Come questo sarebbe divenuto uno dei più significativi motivi della storiografia a venire è superfluo considerare; nell’analisi del cassinate, tale “pagina mancante” coincide con il progres­sivo decadere dell’Italia del Cinquecento, con la crescente emarginazione della penisola dal con­testo dello sviluppo europeo nel cui ambito, definito dalla “formazione dei grandi stati” e “dal costituirsi di nazioni ormai mature d’indi­vidualità propria”, la “scissura protestante” se­gna una fondamentale scansione31.

Sottolineando “le cause intime, i motivi pro­saici e profani” della Riforma, Labriola ricono­sce in essa “uno stadio del divenire del terzo stato”, una catalisi dei rapporti tra le classi tale

da innescare, nella sua forma più compiuta, “il trapasso in quelle condizioni che sono per la borghesia moderna i prodromi d.el_ capitali­smo”. Ciò non equivale tuttavia per lui a vanifi­care lo spessore ideologico della “rinnovazione religiosa”, semplicisticamente riducendolo a “pura parvenza” e “mera illusione”; il corretto approccio non può consistere che in una “lettu­ra integrale” capace di rendere l’inestricabile compenetrarsi di “motivazioni oggettive (in gran parte insapute agli attori stessi)” e le forme di consapevolezza che storicamente le espresse­ro32. Così egli tratteggia la figura di Lutero: “Egli fu quello che fu, come agitatore e come politico, perché fu tutt’uno con la credenza che gli facea apprendere il moto delle classi, che dava impulso all’agitazione, quale ritorno al vero cristianesimo, e come una divina necessità nel corso volgare delle cose”33.

Nel richiamo al “vero cristianesimo”, che da un lato di nuovo alimenta Futopica rivolta degli oppressi (dal movimento dei contadini al “più esplicitamente proletario” moto anabattista)34, si proietta dall’altro lato la consapevolezza di sé della borghesia in ascesa. Una “nuova coscien­za” si costituisce, e se la Riforma ne è il crogiuo­lo, la Rinascenza, nella prospettiva labrioliana, le è complementare: entrambe convergono a determinare la dissoluzione dell’universalismo medievale35.

In tal senso, si delinea un sostanziale coinci­dere di Rinascenza e Riforrpa, che sembra ri­echeggiare il parallelismo Machiavelli / Lutero istituito da Francesco De Sanctis36; analoga-

21 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 43.29 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 272-273.

A. Labriola, Della scuola popolare, in Scritti politici, cit., pp. 144-145. Vedi Id. Saggi intorno alla concezione materialistica dellastoria IV., cit., p. 146. Cfr. Luigi Dal Pane Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1976, p. 20211 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 68, 69, 146, 349.12 A. Labriola, La concezione materialistica, cit.,pp. 68-69. Vedi Id., Contro la conciliazione, in Scritti politici, citi, pp. 108-112. Cfr. L.Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., pp. 208-485.” A. Labriola. La concezione materialistica, cit., pp. 68-69. Cfr. Karl Marx, Manoscritti economico-ftlosofici de! 1844, in Operefilosofiche giovanili, a cura di Galvano Della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 219.w A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 68-69, 272.

A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 335. Cfr. L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana.16 Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Milano, Bietti, I960, parte II, pp. 166.

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mente, accenti desanctisiani sembrano risuona­re nella definizione dello specifico contributo rinascimentale alla moderna W eltan sch auu ng , che Labriola ravvisa nel “ricongiungimento dell’iniziale m oto della borghesia con la tradi­zione del sapere antico, ridiventato usabile, e quindi capace di dichiarazione”37. In tale acce­zione, la Rinascenza si qualifica come l’emerge­re di una laica razionalità scientifica che, riflet­tendo la consapevolezza “di sé e del suo proces­so” propria della società borghese in formazio­ne, proietta “una luce meridiana” sulla natura e sulla storia38.

Ne è protagonista l’Italia cinquecentesca, e nel contrasto di “primato intellettuale” ed invo­luzione sociale e politica Labriola, come già De Sanctis, ne riassume la vicenda39. La Rinascen­za coincide, così, con un “crepuscolo” che ha il suo epilogo alla fine del secolo, con “la terribile caduta” della borghesia nazionale e la conse­guente “uscita” della penisola “dalla circolazio­ne della storia”40. Estranea ai processi di gesta­zione della “società m oderna”, che hanno luo­go altrove, ed ai quali si rivolge l’attenzione del cassinate, l’Italia si configura, durante i “secoli bui” della successiva decadenza, come un’im­mobile zona d’om bra per una fase prolungatasi fino alla Rivoluzione fracese41.

La R ivoluzione francese

È, innanzitutto, l’“aurora della nuova epoca dell’industria”, la “rapida e violenta trasforma­zione economica” che inaugura la forma di produzione capitalistica il tema che dunque si

presenta a Labriola; m a alla “grande rivoluzio­ne industriale operatasi per prima in Inghilter­ra” egli non dedica che brevi annotazioni, nelle quali si limita ad un succinto riepilogo dell’ana­lisi m arxiana42.

Nella “gran dilacerazione” che segna il pieno affermarsi della borghesia, non la rivoluzione industriale, quanto piuttosto la rivoluzione po­litica e sociale attrae il suo interesse storico: “Il rivolgimento economico, che ha offerto i mate­riali onde è composta la società moderna, [...] non sarebbe riuscito di così rapido e suggestivo insegnamento, se non fosse stato luminosa­mente illustrato dal moto vertiginoso e cata­strofico della Rivoluzione Francese. Mise essa in piena evidenza, come in tragica rappresenta­zione, tutte le forze antagonistiche della società moderna, perché questa vi si fece strada tra le rovine, e segnò in breve tratto di tempo precipi­tosamente le fasi del suo nascimento e del suo assetto”43.

Si conferma, così, il peculiare orientamento di una riflessione volta, più che ad approfondi­re la dissezione del modo di produzione capita­listico, a cogliere lo sviluppo dell’emancipazio­ne della borghesia. La Grande Rivoluzione ne è il compimento; in essa si conclude la genesi della nuova formazione storica che, dal mer­cante dell’età comunale al c ito yen , è andata componendosi, nella molteplicità dei suoi aspetti, come globale contrapposizione al “vec­chio m ondo”44. ‘Taglio’ decisivo, lacerazione verticale in cui la gestazione del “mondo nuo­vo” interamente si compie, la Rivoluzione francese assume dunque grande rilievo nella

37 A. Labriola, La concezione materialistica, cit„ pp. 100, 335. Cfr. F. De Sanctis, Storia, cit„ pp. 143-147, 182-184, 189. A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., p. 60. Cfr. L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura, cit., p. 202.3* A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 48.39 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 146.* A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 131.41 A. Labriola, Lm concezione materialistica, cit., p. 348.42 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 98-99, 104, 132, 189,348. Cfr. Id. Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV., cit., p. 13; G. Del Bo, Corrispondenza, cit., p. 523.43 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 106.44 A. Labriola, La concezione materialistica, cit.,pp. 110, 321, 336. Id., Saggi intorno alla concezione materialistica della storia Vi, cit.,

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prospettiva labrioliana; lo attestano numerose pagine dei saggi che, d’altronde, rappresentano soltanto l’esigua testimonianza di un decennale impegno di studio che si è ampiamente riflesso nell’attività didattica del cassinate, dal primo corso universitario da lui svolto su tale argo­mento nel 1888-89 alle lezioni del 1893-94 e del 1894-95, a quelle del 1897-98 e 1898-99, che vi sono di nuovo interamente dedicate45. A questi ultimi corsi (gli unici, secondo Luigi Dal Pane, nei quali si sia compiutamente realizzato il suo ideale di “narrazione”)46 Labriola attribuiva particolare importanza; progettando di trarne una pubblicazione, così ne scriveva, nell’agosto 1898, a Croce: “Con tale volumetto io avrei finito di dire tutto quello che posso dire sul materialismo storico”47.

Attraverso queste lezioni, egli era dunque pervenuto ad una tappa decisiva della propria riflessione, nella quale il nesso di “storia narrata e materialismo storico” (tale era il titolo che all’epoca intendeva dare a un progettato quarto saggio) si era infine tradotto in una compiuta elaborazione48.

Lo studio della Grande Rivoluzione (“il solo punto della storia nel quale io mi senta in possesso di una specifica competenza”)49 si configura quindi come un capitolo di tutto rilievo nella biografia intellettuale di Labriola; non si può tra l’altro ignorare come esso abbia costituito un importante tramite del suo esito ‘materialistico’. E attraverso la “tragica rappre­sentazione” della crisi rivoluzionaria che egli

percepisce, “con cruda evidenza”, la fondamen­tale storicità dello Stato, del diritto, delle ideo­logie, e ne legge il costituirsi sulla base dei rapporti sociali50. La Rivoluzione francese gli appare, innanzitutto, come “la più grande scuo­la di sociologia” (“l’esempio più vivo ed istrutti­vo del come una società si trasformi, e del come le nuove condizioni economiche si sviluppino, e sviluppandosi coordinino in gruppi e classi i membri della società”), e costituisce perciò il paradigma del processo d’affermazione della borghesia “che s’è andato poi riproducendo [...] in tutto il mondo civile”51.

Ma il ‘metodo genetico’ è, insieme ed inscin­dibilmente, ‘narrazione’; concepisce il divenire storico come processo unitario e, contempora­neamente, si qualifica come istanza di “circo- stanzialità determinata”: “Nessuna astratta so­ciologia mi farà capire come mai, dato pure il processo generale di formazione della borghe­sia, solo in Francia sia accaduta tal cosa che si chiama la Grande Rivoluzione [...]. Cotesto eterogeneo bisogna empiricamente apprender­lo e cotesto apprendimento costituisce il pro­prio ed il difficile della ricerca storica”52.

Dunque, soltanto il modulo ‘narrativo’ può costituire una adeguata registrazione del “dram ­ma rivoluzionario”; ma si tratterà d’un “rac­conto” che, in consapevole opposizione ad un’invalsa tradizione storiografica, ricercherà il proprio filo conduttore “nell’intrinseco del sommovimento delle classi che vi presero par­te”. Alle letture ideologiche si contrappone “la

45 A. Labriola, La presa della Bastiglia, in Scritti politici, cit.', pp. 188-193. Cfr. L. Dal Pane Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., pp. 204-211, 485-486.* A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia IV., cit., pp. 13-15. Vedi Id., Lettere a B. Croce, cit., settembre 1896-agosto 1898, passim. Cfr. L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., p. 415 sgg.47 A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., p. 295.* A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., 317, 326.44 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 320-321.50 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 109. Vedi G. Del Bo, Corrispondenza, cit., p. 523. Cfr. L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., pp. 170, 196 sgg., 484-485; Franco Sbarberi, introduzione a Antonio Labriola, Scritti filosofici e politici, cit., pp. XXXVI-XXXVI1I, XLI, XLII.51 A. Labriola, La concezione materialistica, .ài., pp. 98, 110.'5: A. Labriola, Storia, filosofia della Storia, cit., p. 329. Cfr. Id., Lettere a B. Croce, cit.,passim, sullo speciale interesse ‘narrativo’ di Labriola per la vicenda di Carlotta Corday (novembre 1895-aprile 1897).

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nozione prosaica del processo storico-sociale”, che rende decifrabile nell’intera sua ampiezza, nella vastità della sua portata di “sconvolgi­mento tellurico”, “lo sgretolamento di tutto un sistema sociale, la rovina di tutto un ordina­mento politico”. In tal senso si articola l’inter­pretazione labrioliana di “cotesta compressio­ne di vicende da secoli in così breve giro di anni”53, nel cui corso “la borghesia dovette vincere con la violenza gl’impedimenti [...] alla transizione dalla vecchia alla nuova forma di produzione — o della proprietà, come dicono [...] i giuristi”54. In questa sintetica formula, l’evidente richiamo alla terminologia marxiana suona singolarmente impreciso, nell’equiparare tout court ‘modo di produzione’ e ‘forma della proprietà’. È questo un ennesimo sintomo del peculiare rapporto di contiguità/diverenza ri­spetto al modello marxiano in cui si situa la ‘narrazione’ labrioliana: non i meccanismi della ‘espropriazione originaria’, ma “la violenta espropriazione della vecchia società feudale” vi è messa a fuoco per definire, su tale base, la dinamica sociale innescatasi nel 1789. -

Se ne riconoscono i tratti salienti nel concen­trarsi “in mano allo Stato”, “divenuto per ne­cessità di cose un terribile ed onnipotente go­verno d’eccezione”, di “una massa straordina­ria di mezzi economici”, e nella parallela “for­mazione dei nuovi proprietarii, che andarono debitori alle chances dell’aggiotaggio, e alle contingenze dell’intrigo e della speculazione”55. Nella “vertiginosa mutazione del sottostrato economico” si inscrive la “tragedia rivoluziona­ria”, in una sequenza nella quale l’iniziale alle­anza di borghesia e “popolo m inuto”, uniti nell’abbattere il “vecchio ordine”, si conclude

nella reciproca contrapposizione: “Non aveano [...] i proletarii data l’impronta, con tutto ij resto del popolo minuto, alla rivoluzione [...] e non si trovaron poi come scacciati di nuovo dalla scena della storia dopo l’insuccesso della rivolta del Preriale [pratile] del ’95? [...] Nella coscienza fulminea di tale delusione è il moven­te psicologico, rapido ed immediato, della co­spirazione di Babeuf; la quale, per ciò appunto, è un grande fatto della storia, ed ha in sé tutti gli elementi della tragedia oggettiva”56.

Ma per “intendere” appieno la cospirazione babouvista occorre pure considerarla in un di­verso contesto, porla in relazione, cioè, con i “precedenti del comuniSmo egualitario”: “Da Babeuf, attraverso ad alcuni elementi men noti del periodo giacobino, e poi a Boissel e a Fau- chet, si risale all’intuitivo Morelly e al versatile e geniale Mably, e, se si vuole, sino al caotico testamento del curato Meslier, ribellione istin­tiva e violenta del buon senso contro la selvag­gia oppressione del povero contadino”57.

Collocata in questa “linea ascendente”, in questa “connessione di concetti e di dottrine”, la figura di Babeuf acquista particolare rilievo, dentro una lettura della Grande Rivoluzione che ne coglie l’esito in una polarizzazione dei rapporti sociali. Le classi si compongono in un nuovo assetto: al pieno affermarsi del “dominio boghese su la società” corrisponde l’emergere del proletariato quale autonom o soggetto sto­rico, mentre “spariscono da la scena politica [...] le tante altre classi e semiclassi che concor­sero colla borghesia alla rivoluzione”58.

Sullo sfondo di questa “mutazione sociale”, si proietta la vicenda politica, nella quale la borghesia, dopo aver toccato “l’estremo limite

53 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 106, 167, 180, 211. Cfr. G. Del Bo, Corrispondenza, cit., p. 547; L. Dal Pane. Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., pp. 204-205, 485-486.54 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 106.55 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., pp. 107-108.56 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 107. Cfr. Id„ La presa della Bastiglia, cit., pp. 188-193.57 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 18. Vedi ld., Lettere a B. Croce, cit., p. 74 (25 maggio 1895).5,1 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 18, 109-110. Cfr. ld.. Saggi intorno alla concezione materialistica della storia, IV., cit., pp. 12-13; L. Dal Pane, iMbriola, cit., pp. 489-490.

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cui possa giungere il pensiero democratico”, esaurisce la propria funzione storicamente emancipatrice e, da classe rivoluzionaria, si trasforma in garante del nuovo ordine59. Il radicalismo robespierriano si rivela, alla fine, generosa utopia “del tutto difforme dagli effetti che ne seguirono, e positivamente si perpetua­rono”, destinata inevitabilmente a soccombere al Termidoro, prima tappa del processo attra­verso il quale la rivoluzione, dal Direttorio al 18 Brumaio, perviene a “negare se stessa come conato idealistico” ed a fondare sulla “garanzia della proprietà” il nuvo ordine sociale: “Cam­biare i proprietari, salvando la proprietà, que­sto il motto, questa la parola d’ordine, questa l’insegna, che sfidò per anni, dal 10 agosto 1792, così le sommosse violente, come gli arditi dis­egni di coloro che tentarono di fondare la socie­tà su la virtù, su l’eguaglianza, su la spartana abnegazione”60.

E tuttavia, quel “principio egualitario” così brutalmente smentito “dai fatti” presenta im­plicazioni che vanno attentamente considerate, come suggerisce; nel settembre del 1896, una lettera a Croce di grande interesse: “Certo che durante la Rivoluzione francese, oltre al comu­niSmo esplicito, ci fu il so c ia lism o la ten te . [...] È quel socialismo che risulta logicamente (—ma solo logicamente—) dal principio egualitario. [...] Saint Just è l’estremo di tale democrazia egalitaria, come risulta dai suoi scritti e dai suoi discorsi. Morì troppo giovane per arrivare a tutte le illazioni dei suoi principii. [...] Cotesto socialismo, che è una illazione del principio democratico, va studiato a parte: cioè indipen­dentemente da ogni socialismo religioso, o di origine economica unilaterale, o puramente utopico. Una vena di cotesto socialismo entra anche nel Marxismo, il quale appunto per ciò non parte daH’organismo sociale, e non preten­de di metter capo in un organismo sociale, ma

concepisce una produzione collettiva ché assi­curi la massima libertà individuale”61.

Altri percorsi ed altri soggetti assumerà, dunque, l’istanza di generale emancipazione che aveva marcato l’irrompere della borghesia sulla scena della storia; questa, mentre soppri­me definitivamente la propria anima giacobi­na, “l’orgogliosa ideologia” che l’aveva contras- segnata, porta a compimento e consolida, con­temporaneamente, il rovesciamento operatosi attraverso la crisi rivoluzionaria, strutturando­ne le forme istituzionali e giuridiche nello stato napoleonico: “alla gerarchia si sostituisce la burocrazia, al diritto dell’ancien régime, il codi­ce civile, libro d’oro della società che produca e venda merci [...]. Il novello stato, ordinata bu­rocrazia poggiata sul militarismo vittorioso, completava la rivoluzione nell’atto che la negava”62.

L’età liberale.

L’emancipazione della borghesia così giun­ge, nella prospettiva labrioliana, al suo esito finale, pervenendo a strutturarsi compiutamen­te come dominio di classe; P assai dura prosa dei proprietarii” costituisce l’epilogo che coe­rentemente suggella la “grandiosa poesia” della fase rivoluzionaria. “Il definitivo assetto della società m oderna” possiede, nella costituzione dell’anno III, il proprio modello istituzionale, nel codice, il proprio testo giuridico, nello stato napoleonico, la matrice del proprio apparato amministrativo e, infine, nel “moderatismo li­berale” — anticipato dal Termidoro — l’ideo­logia che lo cementa e lo sancisce63. In queste forme istituzionali, giuridiche, ideologiche, il “nuovo ordine” è pervenuto a comporsi organicamente.

Sòno precisamente tali aspetti che la nozione di ‘età liberale’ — pone in primo piano (e nel

A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 108.Hì À. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 108, 110.M A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., pp. 149-150 (11 novembre 1896).62 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 109 (e 100-101). Cfr. L. Dal Pane, Labriola, cit., p. 489. M A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 108-110.

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ricorso stesso a siffatta terminologia, che si potrebbe dire ‘sovrastrutturale’, in conformità alla distinzione struttura sovrastruttura a cui si attiene il Labriola teorico, risulta ancor più evidente l’originale caratterizzazione del La­briola ‘narratore storico’). Assumendola a de­signare “l’ultima e più ampia e dispiegata fase dell’evo borghese”, e indicandone la decorrenza nel momento del suo “vertiginoso erompere” nella Rivoluzione francese, Labriola procede quindi a rileggere in questa chiave l’intera vi­cenda europea dell’Ottocento, che “non co­mincia veramente in modo meccanico dalla prima pagina del calendario del 1801, ma [...] dal 14 luglio 1789”M. Così, essa si presenta con una marcata ‘caratteristica’ unitaria, ed appare priva di scansoni significative: nè la Restaura­zione, nè “le rivolpzioni patriottiche, liberali, democratiche” acquistano per lui siffatto risal­to65. Ai “giacobini del ’48” egli si riferisce, con una formula di evidente derivazione dal 18 B ru m aio marxiano, come a “caricature di quel­li eroici del ’93”66. S.i disegna, in tal modo, una sequenza sostanzialmente omogenea, il cui pa­radigma è tutto contenuto nella vicenda della Grande Rivoluzione, e la cui traiettoria si svol­ge nel senso del “definitivo avvento della bor­ghesia al dominio politico”.

Concentrandosi pressoché esclusivamente su questa “veduta d’insieme”, che egli polemi­camente contrappone alla tradizione storiogra­fica liberale e democratico-borghese, Labriola sembra qui implicitamente smentire la propria tipica esigenza ‘narrativa’, di stretta adesione, nel ‘racconto’, al concreto complicarsi dei pro­cessi reali; in effetti, questa passa ora in secondo piano rispetto all’obiettivo prioritario di evi­

denziare nettamente il “mutamento morfologi­co” che si è impresso su tutto il secolo67.

La dimensione inedita, la qualità nuova della civiltà generata dal m odo di produzione capita­listico nel suo “estendersi rapido e colossale” sono, dunque, poste in rilievo. “Universalità e cosmopolitismo”, e, insieme, estrema semplifi­cazione dei rapporti sociali, ricondotti al “con­trasto” fondamentale che oppone borghesia e proletariato, sono i “prodigiosi effetti” della luciferina potenza del capitale. Della dinamica “senza precedenti” innescata dalla “forma di produzione borghese” si riconoscono, così, gli intrinseci caratteri conflittuali: “la concorrenza ne è l’assioma”, la “guerra all’esterno ed all’in­terno” ne è il tratto peculiare, l’“antitesi di clas­se” ne è l’intima connotazione68. Su questo sfondo tematico, si articola la lettura labriolia- na del “liberalissimo secolo decimonono”, la cui vicenda costantemente smentisce la pro­messa di generale emancipazione contenuta nei suoi esordi rivoluzionari: “Durante il secolo XIX, liberalismo, democrazia e principio na­zionale hanno subito [...] varii, frequenti e pa­tenti arresti”69.

La stessa denominazione di “età liberale” finisce per assumere una marcata connotazione polemica, e le rivoluzioni ottocentesche si pre­sentano, in tale ottica, come altrettante riedi­zioni del Termidoro: “Il Termidoro [...] è venu­to, e s’è ripetuto più volte nel mondo, in forme varie, e più o meno esplicite e dissumulate, ne fossero autori, dal 1848 in qua, ex-radicali alla francese, o ex-patrioti all’italiana, o burocratici alla tedesca, adoratori in idea del dio stato e in pratica buoni servi del dio denaro, o parlamen­tari all’inglese, scaltriti negli artifici e ripieghi

M A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 322, 337.65 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 332 sgg., e vedi p. 328, 344-347.“ A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 37. Vedi ld.. Del socialismo (20 giugno 1889) in Scritti politici, cit., p. 174. Cfr. Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 43 sgg.67 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 9. Vedi ld.. De! socialismo, cit., p. 179.“ A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 55, e vedi p. 36, 147-148, 323-324, 346.69 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 324, e vedi p. 326, 1343. Cfr. ld.. Saggi'intorno alla concezione materialistica della storia, IV., cit.. p. Ili; ld.. Del socialismo, cit., p. 179.

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dell’arte di governo”70.Entro questa “veduta d’insieme” è, in parti­

colare, esaminata con attenzione la vicenda postquarantottesca della Francia, con l’aw en- to al potere di Luigi Bonaparte, che Labriola ripercorre, sulla traccia del 18 B ru m a io m ar­xiano, sottolineandone gli esiti “cesaristici”. Assumendola a proprio riferimento, nel leggere l’evoluzione delle “forme del dominio” nella seconda metà del secolo, egli individua una comune linea di tendenza (ed in questo senso formula un’interpretazione “cesaristica” dello stesso Crispi); si tratta, essenzialmente, d’una più duttile articolazione, che mira pur sempre ad inglobare e controllare il conflitto sociale, perpetuando, in modi rinnovati, il carattere di “dominazione di classe” intrinseco alla “forma­zione borghese”: in tale prospettiva, “il compli­cato intrigo politico di tutto un secolo” appare orientato ad “intralciare il moto ascensivo della democrazia”71.

Se dunque la borghesia, in quanto “autrice di una forma sociale, che è in estensione ed intensità uno stadio notevole del progresso um ano”, dispiega tuttora le proprie oggettive potenzialità progressive, completamente “esau­rita” è ormai la sua funzione emancipatrice; “l’organizzazione delle disuguaglianze” per­mane, in modi che certamente non riproduco­no quelli dell’Ancien Régime, ma che si rivela­no altrettanto “dispotici”. Per la sua connota­zione di classe, “il liberalismo” rimane inevita­bilmente cristallizzato, quale “società degli eguali in diritto presuntivo”; questo, il “limite insormontabile” dell’emancipazione entro un

assetto sociale la cui “intima struttura” si fonda sulla “necessità dello sfruttamento”72.

Il socialism o.

L’istanza della “vera democrazia” non può dinque configurarsi se non come sovvertimen­to radicale dell’“ordine presente”, e non può avere per “concreto soggetto” altri che la classe — “inevitabilmente rivoluzionaria” — che di esso è, insieme, “prodotto ed antitesi”: “Il prole­tariato non è un accessorio [...] di questa società in cui viviamo; ma è il suo sostrato, la sua condizione essenziale [...] onde non può eman­ciparsi, se non emancipando tutto e tutti, ossia rivoluzionando integralmente la forma della produzione”73.

In tale ottica, il proletariato diviene l’asse parallelo e simmetrico intorno a cui si svolge la vicenda contemporanea: “Una nuova era [...] sboccia e sorge, anzi si sprigiona e sviluppa dall’area presente, per formazione a questa stessa intima ed immanente”74.

Siffatto risalto assume, nella prospettiva la- brioliana, la comparsa di un “moto proletario” che “oltre ad essere un resultato delle condizio­ni sociali, ha tanta forza in sé da intendere, che queste condizioni sono mutabili, e da intrawe- dere con quali mezzi e in che senso possono essere m utate”75. ‘Coscienza’ ed ‘organizzazio­ne’ ne sono dunque le determinazioni essenzia­li, costitutive; ‘coscienza’ ed ‘organizzazione’ — cioè “comuniSmo critico” e “partito”. Attraver­so l’uno e l’altro, la classe perviene a definire integralmente, nella teoria e nella prassi, la

711 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 25.71 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 327. Vedi Id„ Dieci corrispondenze alla “Leipziger Volkszeituung", in Scritti politici, cit., p. 321 passine, ld.. Del socialismo, cit., pp. 174, 179. Cfr., G. Procacci Antonio Labriola, cit., pp. 290 e 300; G. del Bo, Corrispondenza, cit., p. 529: L. Dal Pane, Antonio ¡Mbriola nella politica e nella cultura italiana, cit., p. 486; Renzo Martinelli. Otto lettere di Antonio Labriola a Richard Fischer, in “Critica marxista“, 1981, n. 1, pp. 152-158.72 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 33-34.74 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., pp. Ile 17-18.74 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 5.75 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 16. Cfr. Id„ Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., pp. 12-13; ld., lettere a B. Croce, cit., p. 60.

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propria identità antagonista, a costituirsi come radicale antitesi rispetto alle stesse forme ideo­logiche e politiche dell’emancipazione borghe­se: “la data memorabile della pubblicazione del M a n ife s to ci ricorda il nostro primo e sicuro ingresso nella storia [...]. Di qui comincia il socialismo strettamente moderno. Qui è la li­nea di delimitazione da tutto il resto [...]. In ciò non s’esprime una semplice data di cronologia estrinseca, ma [...] un indice del processo inter­no, ossia morfologico, della società”76.

Età liberale/socialismo moderno — questi, dunque, i due poli della contrapposizione in cui la lettura labrioliana dell’Ottocento interamen­te si riassume. Come nelle pagine dedicate alla prima, così in quelle concernenti il secondo, l’intento di Labriola è disegnare, nei tratti es­senziali, una “veduta d’insieme”, un paradigma interpretativo, ed affermarlo con forza, con polemico vigore. Si tratta di cogliere appieno la portata del “mutamento morfologico” che nel “moderno socialismo” si rivela, riconoscendovi “non la fugace apparizione di mutamenti me­teorici ma il fatto nuovo della società”; con la sua comparsa, il “contrasto” su cui si fonda la formazione borghese si è reso trasparente, è divenuto lacerazione verticale che interamente la percorre, investendo la stessa “orgogliosa ideologia” della “eguaglianza astratta” che ne è cemento e legittimazione, e che fu “battagliero e polemico metodo di combattimento” della sua fase rivoluzionaria. Su questo versante, si col­locano le considerazioni su socialismo utopisti­co postsettecentesco e “comunismo egualitario e cospiratorio”, in cui si ravvisa “l’eredità estrema” delle categorie teoriche dell’emanci­pazione borghese77. Tra il “moderno moto pro­letario” e questi “antecedenti più prossimi” La­

briola tràccia dunque una netta linea di dem ar­cazione; ma, contemporaneamente, li fa ogget­to di una specifica attenzione (sintomatica del suo interesse per “quante mai forme furono di comuniSmo e di socialismo”): in tal modo si riconosce, al ‘socialismo prescientifico’ d’esser pervenuto — con Saint-Simon, Owen e Fou­rier — ad esiti di “critica geniale” e a feconde intuizioni, così come d’aver “messo su la scena” — con Babeuf — “una grande tragedia ogget­tiva”78. È sul terreno di “una nuova e strepitosa esperienza” storica — il protagonismo colletti­vo delle masse operaie — che m atura l’abban­dono di tali modelli ideologici come del loro corrispettivo pratico, il volontarismo “indivi­dualistico e cospirativo” di matrice giacobina. In questa chiave si ripercorre la vicenda che si snoda, attraverso il cartismo e la “democrazia sociale”, fino alla fondazione dell’Internaziona­le, e in cui un evento “di non largo am bito” — qual è la trasformazione della Lega dei Giusti in Lega dei Comunisti — assume un rilievo deci­sivo. Tale passaggio, che sancisce rincontro, l’organica saldatura fra “comuniSmo critico” e “moto proletario”, si concretizza in uriinedita formazione politica: in essa (“prima cellula del nostro organismo, primo incunabolo dei nostri attuali partiti”) sono nettamente delineati i trat­ti essenziali del moderno “partito proletario”, luogo di “autoeducazione democratica” delle masse, prefigurazione, già nella sua prassi con­creta, del futuro “Selfgovernment del lavoro”. Con ciò, il processo di gestazione del movimen­to operaio quale “concreto soggetto” storico può dirsi concluso: emancipatosi interamente, nella prassi come nella teoria, dalla tradizione borghese, esso è pervenuto qui a definire la propria autonom a identità79.

76 A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 5.77 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 20e 17-18.™ A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 43-44. Cfr. Id., Lettere a B. Croce, cit., p. 203. G. Del Bo, Corrispondenza, cit., pp. 523-524.79 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 12. 13, 37.

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La sua successiva “larga propagazione e dif­fusione nell’intero mondo civile” si presenta come il coerente sviluppo di quei “primi esor­di”, e si disegna, in sostanza, come una sequen­za lineare che — dopo” la lunga intermissione della reazione” — ininterrottamente si svolge dalla fondazione della Prima Internazionale all’attuale “Internazionale dei proletarii, diven­tata oramai interoceanica”. Di scarso rilievo appaiono in questa prospettiva, “proudhoni sm o”, “blanquismo”, “anarchismo”, nei quali non si ravvisano che “insipide sopravvivenze” di vecchie forme d’azione politica il cui supe­ramento è già implicito nell’“atto di nascita del socialismo m oderno”80.

Sono così sottolineate con forza, nella lettu­ra labrioliana, la continuità, l’“unità di proces­so” del movimento socialista, pur nella sua “vasta complicazione e specificazione”. Coglie­re tale “caratteristica” equivale a “ritrovare la connessione” che lega i multiformi sviluppi del­la vicenda contemporanea, individuandovi l’emergere, con ampiezza crescente, dell’antitesi fondamentale. Se v’è stata un’evoluzione del movimento operaio — nel passare “alle forme più compassate e lente dell’azione politica, en­trando nell’arena parlamentare” — in ciò non si riscontra una soluzione di continuità, ma, anzi, la rinnovata conferma di un antagonismo rispetto alla formazione borghese che è divenu­to “tattica” più accorta e, insieme, definitivo ripudio d’ogni residuo giacobino81.

L’Italia contem poranea.

Tracciando il profilo delibera liberale’ e, nel­lo stesso tempo, del ‘moto proletario’, Labriola definisce i tratti essenziali, “l’insieme di caratte-

ristiche di ciò che chiamiamo età m oderna” e disegna così le coordinate entro le quali proce­dere ad un’adeguata lettura della “presente si­tuazione d’Italia”. La sua stessa insistenza sul tema della Grande Rivoluzione appare ricon­ducibile a tale intento propedeutico; il suo im­pegno di storico, dunque, pressoché interamen­te converge in questa “orientazione sull’ora presente nel nostro paese”82. Coglierne la speci­ficità significa commisurarla “alla stregua comparativa” del “dispiegato evo borghese” e, contemporaneamente, rinvia alla peculiarità della intera vicenda nazionale, alle complesse stratificazioni che essa ha sedimentato in un corso plurisecolare. Ha questo spessore di ‘sen­so storico’ la riflessione di Labriola sull’arretra­tezza italiana — tema che è al centro del suo interesse negli anni 1890-94, in coincidenza con la sua più intensa stagione di milizia politica, e che trova ampio svolgimento in una molteplici­tà di scritti, dalle corrispondenze al “Sozialde- m okrat” ed alla “Leipziger Volkszeitung”, alle lettere, agli interventi occasionali83. In ciò, essa si differenzia nettamente dalle analisi dei con­temporanei, improntate ad un sociologismo che egli non manca di stigmatizzare, contrap­ponendo una diversa consapevolezza alle ap­prossimative letture imperniate sul “solito ri­tornello della inferiorità economica del paese”: “L’Italia si trova da alcuni anni nel momento storico del grande esercizio industriale ed agri­colo appena incipiente, e la politica del governo [...] sta necessariamente sotto l’influsso del capi­talismo che ora si comincia a formare. [...] Ora solo si forma naturalmente e quasi impercetti­bilmente con l’abile utilizzazione della situazio­ne finanziaria la borghesia schiettamente moderna”84.

m A. Labriola. La concezione materialistica, cit., p. 201. Cfr. ld„ Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., pp. 130-144.Bl A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 33-34.10 A. Labriola, La concezione materialistica, cit.. p. 282.

A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 259. Cfr. G. Del Bo, Corrispondenza, cit., passim-, Antonio Schiavi, Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti, Bari, Laterza, 1975, pp. 64sgg.; Gastone Manacorda, Il socialismo nella storia d'Italia, Bari, Laterza, 1972, voi. II. p. 218; Renato Zangheri, Antonio Labriola e la storia d’Italia, in “Problemi della transizione”, 1981, n. 8, p. 56. w A. Labriola, Scritti politici, cit., pp. 237-238.

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È, dunque, nell’iniziale sviluppo di un capita­lismo industriale e agrario che Labriola coglie “il nesso ed il senso dell’attuale vita economi­ca”, registrandone i molteplici sintomi; ma, contemporaneamente, egli ne pone in risalto il carattere localizzato e circoscritto, il procedere “impacciato ed incerto”. Il “nascente capitali smo” gli appare incapace di esercitare una effet­tiva “funzione livellatrice” sulla tanto disomo­genea realtà italiana, di cui permangono e risul­tano anzi esasperati i “vivi contrasti”, le pro­fonde differenziazioni85; e tuttavia esso agisce come un potente catalizzatore, che inasprisce vecchie tensioni e innesca nuove, violente con­traddizioni nell’intero tessuto sociale. In tale ampia accezione frequentemente compare, nei testi labrioliani, il termine di “proletarizzazio­ne”, riferito alle “moltitudini dei disoccupati” della crisi edilizia, ai contadini del sud, alle grandi masse impoverite, “vittime del presente sistema sociale, per le quali vale il diritto ele­mentarissimo della pura sussistenza”86. Sono queste a caratterizzare, in ben maggior misura dei tuttora esigui nuclei di salariato moderno, la scena del conflitto sociale in Italia, imprimen­dole cadenze di tragica elementarità, in un al­ternarsi di disperate rivolte, brutalmente re­presse, e di inerte rassegnazione. Gli “avvia­menti di solidarietà proletaria” stentano quindi a tradursi in continuità d’iniziativa, e “solo do­ve la macchina ha già lavorato molto, sia nelle città [...], sia in campagna” cresce una matura organizzazione operaia.

Cogliendo, in tal modo, i limiti oggettivi di un “moto proletario” frammentato, disomo­geneo, contraddittorio, al tempo stesso Labrio­la vi intravede “sani germi” e “fermenti del nuovo”, ne ravvisa le specifiche potenzialità di azione politica87. Così, in una prospettiva

sgombra da schematismi, egli attribuisce al movimento contadino del sud, certamente anomalo rispetto a parametri sociologizzanti, un ruolo di primo piano: “I contadini dell’Italia meridionale hanno ben ferma in testa l’idea che la ricchezza della borghesia è sorta dai beni della Chiesa e dai fondi demaniali che sono stati rubati a loro [...]. Con questo sentimento erano divenuti grandi [...] i Fasci siciliani, ed è la sorte della moderna borghesia italiana, [...] di dover tremare di fronte ai contadini”88.

In una lettura che implicitamente ricollega la questione meridionale agli esiti del processo di unificazione del paese, Labriola può dunque riconoscere senza esitazione nel composito movimento dei Fasci (che trova perplessi e sostanzialmente impreparati a comprenderlo Turati e la Kuliscioff) un “autentico, naturale moto proletario”, “lo Sturm und Drang della lotta di classe in Italia”. Con esso, “il proletaria­to italiano entra oramai su la scena politica”: “La borghesia [...] tocca ora con mano come non le sia più dato di usare a suo talento della vita e dei voleri della massa”89.

E quest’“ordinamento borghese” — con la dura repressione, il “folle militarismo”, “la co­stosa politica ricercatrice di cose vane nelle alleanze e nelle imprese coloniali”, la vessatoria “pressione finanziaria”, “il vizioso intreccio del governo autonom o locale con gli agenti del governo centrale” — è ritratto con singolare efficacia nelle corrispondenze labrioliane di questi anni. Su tale sfondo, si dipana “l’aggro­vigliata vicenda politica”, che tutta si consuma negli “intrighi di consorteria” della classe do­minante: “ Il parlamento italiano non è formato in realtà da partiti saldamente delineati e nel divertentissimo Montecitorio [...] la rappresen­tanza d’interessi non assume la forma esplicita

18 A. Labriola. Scritti politil i, cit.. pp. 336-339. 270-271.“ A. Labriola. Scritti politici, cit.. p. 270-271.*7 A. Labriola, Scritti politici, cit., pp. 228, 231-232.™ A. Labriola. Scritti politici, cit.. p. 338. Cfr. Ernesto Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani. Milano, Feltrinelli, 1961. p. 336.K> A. Labriola, Scritti politici, cit., pp. 333. 342.

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[...]. Là tutto è fluido, insicuro e pronto a svani­re. Là è possibile arrangiare, combinare, stra­volgere e aggirare tutto”90.

In questo quadro, gli scandali bancari, che Labriola contribuisce pure in misura rilevante a denunciare ed a cui sono dedicati gli splendidi articoli per la “Leipziger Volkszeitung”, non appaiono un episodio isolato, ma costituiscono una sorta di radiografia dell’intero “imbroglio italiano”. La crisi politica della metà del decen­nio, sulla quale incombe “lo spettro dei moti popolari”, è così ricondotta nel contesto delle contraddizioni e delle tensioni che percorrono la società nazionale. Labriola vi intrawede le avvisaglie di un possibile esito crispino- bonapartistico; in questa chiave egli legge la repressione antisocialista e la legislazione ecce­zionale, mentre l’assetto istituzionale gli appare gravemente scosso dalla scandalo finanziario che sembra sul punto di travolgere la stessa monarchia. Si prefigura, nella sua analisi, una riedizione del 18 Brumaio, con a protagonista il “salvatore della patria” Crispi, “piccolo Cesare della nuova Italia”91.

Nella crisi le peculiari connotazioni del “sin­golare caso politico italiano” vengono dunque alla luce; e mentre riconferma “l’inconsistenza di una opposizione parlamentare che non rap­presenta un impulsivo sentimento di classe”, essa rivela altresì la fragilità del partito sociali­sta, di quel partito dei lavoratori la cui nascita nel congresso di Genova Labriola aveva accol­to con non poche riserve, e del quale egli rileva, nelle attuli circostanze, la perdurante separa­zione rispetto alla “massa proletaria”. Tra “le manifestazioni di spiccata lotta di classe” e “la coscienza socialista” manca tuttora “l’anello di congiunzione: “Tutto ciò corrisponde alla si­tuazione del proletariato italiano, che non è

A. Labriola, Scrini politici, cit., pp. 331, 361-362.1.1 A. Labriola, Scritti politici, cit., pp. 32l>sgg.1.2 A. Labriola, Scritti politici, cit., pp. 336-337.n A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 40-41. w A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 4L 1,5 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 284.

ancora arrivato al punto in cui la dottrina del manifesto comunista si inserisce da sé”92.

È sul terreno di tale lucida, continua, “diretta osservazione” che m atura l’elaborazione del primo saggio, le cui pagine dedicate alle “cose d’Italia” compendiano, in un’organica sintesi, la tematica presente nei testi labrioliani del 1890-94: “L’Italia si è trovata ad avere di recen­te tutti gl’inconvenienti del parlamentarismo, e del militarismo, e della finanza di novello stile, non avendo però in pari tempo la forma piena della produzione moderna [...]. Uno stato mo­derno in una società quasi esclusivamente agri­cola, e in gran parte di vecchia agricoltura: — ciò crea un sentimento di universale disagio, ciò dà la generale coscienza della incongruenza di tutto e d’ogni cosa! Di qui la incoerenza e la inconsistenza dei partiti, di qui le facili oscilla­zioni dalla demagogia alla dittatura”93.

E nella specifica considerazione che viene qui svolta sulle caratteristiche del socialismo italiano (“che riproduce, con molta incertezza però, ossia con poca precisione, il tipo generale della democrazia sociale”) si compendia l’espe­rienza labrioliana di questi anni; tuttavia, vi si percepisce pure un diverso orientamento: è, ad esempio, significativo che si ravvisi ora nei Fa­sci un moto inevitabilmente “primitivo”, la tangibile riprova d’una estrema arretratezza del proletariato italiana94.

È, questa, una valutazione che assumerà più marcati contorni negli anni seguenti, di pari passo con una crescente sfiducia nella possibili­tà stessa di un’iniziativa rivoluzionaria. Così, con una connotazione regressiva si presenta “l’agitarsi delle moltitudini” in D is c o p r e n d o d i so c ia lism o e d if i lo s o f ìa 95; e “la bufera del mag­gio” 1898 gli appare “un vero caso di anarchia spontanea”, una rivolta di plebe irrecuperabile

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a qualsivoglia prospettiva politica96. Ma sin­tomi di crisi si percepiscono nell’intero movi­mento operaio intemazionale, fin nelle sue punte più avanzate, come egli avverte già nell’e­state del 1896, quando il congresso di Londra gli si presenta come un’immane “babelische Sprachverwirrung”. Si attraversa una fase di stallo, di “relativa stagnazione”, “si è entrati in un periodo di pausa dello sviluppo del socia­lismo” — sono, queste, espressioni ricorrenti, con martellante insistenza, nel carteggio labrio- liano del 1897 con Bernstein e Kautsky: “Il certo è che nel movimento operaio e socialistico di tutto il mondo c’è un incremento di estensio­ne al quale non corrisponde la intellektuelle Einheil der Fürer e degli scrittori [...]. Ora la situazione del mondo s’è molto cambiata, e si va ogni giorno più cambiando — ed al m arxi­sta tocca sempre di farsi la dom anda: a che ne siamo, e Was nun?”97.

Carica di interrogativi, di problematiche im­plicazioni, la questione della “enorme compli­cazione del mondo attuale, in tanto allargarsi della forma borghese”, si impone, così, con crescente rilievo all’attenzione del cassinate: “le stesse teorie marxistiche [...] sono in parte ora­mai inadeguate ai nuovi fenomeni economico- politici dell’ultimo ventennio” — è la lucida asserzione formulata ancora nel luglio del 189698. E come nuovi aspetti sono poste in evidenza, nell’analisi labrioliana di questi anni, “l’acuita concorrenza”, l’accentuata conflittua­lità, le manifestazioni di aggressivo espansio­nismo che connotano questa fase dello svilup­po capitalistico99.

È su tale sfondo che il tema della “presente situazione d’Italia” si prospetta ora a Labriola, ed entro tale “ottica comparativa” con maggior rilievo si presentano “gl’impedimenti, gl’intral­

ci”, le anomalie, l’insieme di “note caratteristi­che del nostro paese” che sono da tempo ogget­to della sua riflessione. In primo piano, sono i peculiari tratti di una borghesia nazionale “ina­deguata a concorrere con quella degli altri pae­si”, dalla ridotta capacità propulsiva esterna ed interna, che ha risolto in “formule di com pro­messo” la sua stessa affermazione politica. Così la questione viene globalmente riformulata, in una densa pagina di D isc o rre n d o d i so c ia lism o e f ilo so fìa : “La borghesia italiana, la quale è già oggetto [...] alle ire, e agli odii degli umili, dei manomessi, degli sfruttati, [...] è essa stessa in se stessa instabile, inquieta, incerta, perché l’è im­pedito di mettersi alla pari con quella degli altri paesi, nel campo della concorrenza. Per questa ragione, come per l’altra, che dall’altro lato essa ha il papa, con quel suo non indifferente baga­glio di cose [...], questa borghesia, che deve ancora ascendere, è intimamente rivoluziona­ria [...]. E come non ha potuto esser giacobina, quanto sarebbe stato il naturale istinto suo, s’è acquetata nella formula del re per la grazia di Dio e della nazione ad un tempo. Non potendo [...] fare assegnamento sul rapido sviluppo di una grande industria [...] fa la politica mezzana degli espedienti” 100.

Così l’acuta percezione di una “gara interna­zionale” di crescenti dimensioni spinge Labrio­la a misurarsi con rinnovato impegno con il tema dello “sviluppo ritardato ed impedito” del paese, che ora più che mai gli appare come la proiezione dell’intera vicenda nazionale, “re­mota e prossima”. E precisamente a tracciare “una caratteristica comparativa dello stato d’I­talia nelle sue cause storiche” è in particolare rivolto il suo interesse Ira il 1897 e il 1898: tale l’argomento ampiamente svolto nelle lezioni del dicembre 1897, tale il soggetto a cui l’ipotiz-

* A. Labriola. Lettere a B. Croce, cit„ p. 280. Id.. Im concezione materialistica, cit.. p. 203.I, 7 G. Procacci, Antonio Labriola, cit.. pp. 299-300.* A. Labriola, Scritti politici, cit.. p. 89.w A. Labriola, lettere a B. Croce, cit.. p. 207. Vedi Id.. Scritti politici, cit., p. 433. 49M99.II, 1 A. Labriola. Im concezione materialistica, cit., pp. 283-284. Cfr. Id.. lettere a B. Croce, cit., pp. 292 e 313.

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zato quarto saggio, annunciato come imminen­te nella X lettera del D isco rren d o , doveva esse­re interamente dedicato101.

In questo momento, dunque, il tema della storia d’Italia, Leitmotiv d’una pluriennale atti­vità, assume per il cassinate i più definiti con­torni d’un progetto di trattazione globale, pro­getto, come s’è detto e com’è noto, rimasto in larga parte inattuato, e soltanto parzialmente delineato attraverso “fugaci appunti” e “som­mari esami” 102; ma, in questo tentativo incom­piuto di comporre una sintesi unitaria ed orga- riica, alcuni spunti della riflessione labrioliana acquistano un più preciso profilo. È, in partico­lare, la questione del Risorgimento e del conse­guimento dell’unità nazionale nei suoi esiti e nelle sue implicazioni che viene ora esplicita­mente posta: “In che veramente consiste questo rinascimento d’Italia, e che aspettativa può dar di sé?”103.

Rifiutandosi di enfatizzare il momento della unificazione politica, negandogli il rilievo di cesura, Labriola recisamente afferma la neces­sità, per operarne una corretta valutazione, di ricondurlo compiutamente entro il contesto della secolare vicenda del paese104. Il senso di tali indicazioni metodologiche, contenute in D isc o rren d o d i so c ia lism o e d i f i lo s o f ia , si pre­cisa nelle più ampie considerazioni svolte, in proposito, in D a un se co lo a ll’a ltro : “''Là nostra recente rivoluzione non consiste [...] nel giunge­re delle borghesia al dominio su la società. Questa rivoluzione è stata fatta, sì, sotto la direzione dello spirito borghese; ma la borghe­sia italiana esisteva da secoli [...]. L’Italia, uscendo da secoli di effettiva decadenza e pas­sando poi per la tensione cospiratoria e per l’ardore delle rivolte, non ha portato nel suo

nuovo assetto una proporzionata esperienza di politica moderna [...]” I05. ■

Dunque, sulla “tardiva rivoluzione italiana” ha gravato, attenuandone notevolmente la por­tata, il-peso di “tutta la nostra antecedente storia”, come il testo Labrioliano sottolinea in una icastica espressione: “Il risorgimento ita­liano s’è svolto tutto per entro al secolo deci­monono; ma ci si è svolto più nel senso della storia passiva che in quello della storia attiva” 106.

Ed è nella tappa conclusiva, nell’esito finale del processo di unificazione — Roma capitale — che “l’Italia rivela tutto ciò che non è stata per secoli”: “L’Italia a Roma significa che l’Ita­lia ha una doppia questione fra Chiesa e Stato, mentre gli altri paesi ne hanno una. [...] In questa questione si rinnova, così nei lati positi­vi, come nei lati negativi, tutta la storia nostra antecedente dal secolo XII in poi. [...] Ed ecco come si precisa la fisionomia del problema. Il re d’Italia non è venuto a Roma come capo di protestanti. Non è lo stato giacobino che riduca la Chiesa ad un servizio pubblico, non la pro­lungata sollevazione popolare che getti la Chie­sa e la religione nella cautezza, invece è un tentativo di accomodazione, che ha perpetuato il malessere”107.

Così, in questi passi del 1900— 1901, che mettono a fuoco in una lucida sintesi un motivo da tempo presente alla riflessione labrioliana, “l’Italia a R om a” rappresenta un momento chiave, in cui “arresti, impedimenti, pagine mancanti” dell’intera vicenda nazionale si riflet­tono in modo “perspicuo e rivelatore”; ma, d’altro canto, esso si configura come evento di portata “europea e mondiale”, come un punto d’arrivo del più generale processo avviatosi con

1111 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 282. Cfr. Id., Lettere a B. Croce, cit.. p. 298.1112 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 282. lm A. Labriola; La concezione materialistica, cit., p. 282.IIU A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 282 Cfr. Id., Lettere a B. Croce, cit., p. 254. 1115 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 348-349.Il1'' A. Labriola, Lm concezione materialistica, cit., p. 348.1117 A. Labriola, Sacci intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 146.

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la Grande Rivoluzione: “Il 1870 è come una sub-data, che segna a un di presso il termine dell’azione diretta della Rivoluzione francese. Il potere temporale dei Romani pontefici è cadu­to, l’unità di Germania e d’Italia sono raggiun­te. L’Austria ha avuto la sua costituzione e la Francia è ritornata repubblicana, la Russia avanza in Europa e anche gli Stati Uniti hanno abolito la schiavitù”108.

Il 1870 in Italia appare così “uno dei punti culminanti del secolo X IX ”, ed in tale prospet­tiva “i compromessi, le accomodazioni” che imprimono tanto peculiari caratteri al compi­mento dell’unità nazionale italiana sono lungi dal rappresentare un’anomalia: “Nel secolo de­cimonono il progresso non s’è avverato se non per le tortuose vie dei compromessi, per i con­trasti che la borghesia dovea vincere dell’antico ancor potente”109.

D a un secolo all’altro.

Dunque la questione dell’Italia è percepita, in questa ultima fase della riflessione labriolia- na, come una “variante” certamente “degna di nota”, ma non qualitativamente dissimile da una vicenda europea che presenta analoghi “in­tralci e impedimenti”. “Vari, frequenti e potenti arresti” appaiono anzi, nella globale valutazio­ne delibera liberale” delineata in D a un se co lo a ll’a ltro , come la norm a di un “tortuoso e intri­cato” processo storico; ovunque “vecchio” e “nuovo” si presentano commisti, ovunque “le resistenze dell’antico” sono valse, in maggiore o minor misura, a dar luogo a una “gran varietà e differenziazione tipologica”. Discontinuità del­lo sviluppo, non—linearità del progresso non sono dunque “caratteri” circoscritti e limitati, ma connotazioni costitutive del divenire stori­co, che si presentano con maggior evidenza a

determinare “la configurazione del mondo civi­le in questo prossimo passaggio da un secolo all’altro”. In questo senso va letta la significati­va dichiarazione che apre il quarto saggio: “Non uno dei miei passati corsi di filosofia della storia andrà per me ora sperduto [...] Totalizzo, quasi, i risultati di quelli in questa, dirò così, istantanea di fine secolo”110.

Attribuendo al suo ultimo lavoro il significa­to di sintesi d’un interesse storico più che de­cennale, Labriola si appella a ciò che di tale esperienza aveva costituito il criterio informa­tore: l’attenzione per la “concreta complicazio­ne” dei processi reali. Essa va ora messa alla prova, nel confronto con una realtà mondiale resa tanto “varia e difforme” dalle “persistenti tracce del passato”, e in cui vanno disegnandosi con crescente ampiezza i “fenomeni nuovi” che fin dal 1896 s’erano imposti all’attenzione di Labriola. Anche per questo verso, “complica­zione, intreccio, intrigo” sono i termini ricor­renti per designare una situazione che è percepi­ta come un’inedita fase dello sviluppo capitali­stico: “I diversi paesi [...] formano una enorme rete di interessi complessi e connessi, di fronte ai quali sembrano scomparire i confini, farsi piccole le barriere” 111.

Con analoghi accenti problematici, la que­stione della “enorme complicazione del mondo attuale, in tanto allargarsi del capitalismo”, compariva in D isc o rre n d o d i so c ia lism o e d i fo lo so fia ; in tal senso, vi si avvertiva l’esigenza di ridefinire, adeguandole ad una realtà m utata rispetto agli schemi marxiani classici, le stesse categorie teoriche del materialismo storico112. Inflessioni ‘critiche’, esigenze di “correzione della dottrina” s’erano andate profilando, con via via maggior insistenza, nella riflessione di Labriola alla fine degli anni novanta; era, in particolare, m aturato in lui il convincimento

“* Ibid. pp. 111, 146.1IW A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 343.1111 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 320.111 a . Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit.. p. 71 e vedi pp. 53-54. 113 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 287. Cfr. Id.. Lettere a B. Croce, cit.. p. 282.

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che occorresse espungere dal marxismo i resi­dui giacobini, cioè “fare una buona digestione di utopismo” per “mettersi al passo con le co­se”, adeguare “il proprio tempo psicologico ad un ritmo più lento”, nella consapevolezza che “la complicazione del mondo ritarda le nostre aspettazioni” 1,3. Ma, allorché su queste temati­che s’era acceso il dibattito ‘revisionista’, egli aveva preso nettamente le distanze da ciò che fin dal suo primo apparire aveva qualificato come “la pretesa crisi del marxismo”, rifiutan­do decisamente d’esservi in alcun modo impli­cato. Tale dibattito si configurava infatti per lui essenzialmente come una precisa scelta di cam­po (“Questa pretesa guerra a Marx, è sempli­cemente una guerra al partito”) 114 che egli non aveva esitato a compiere; e tuttavia egli ricono­sceva, “dietro a tutto questo rumore di dispu­te”, una “questione seria e sostanziale”: “Le ardenti, e vive e frettolose aspettazioni di alcuni anni fa [...] danno oramai di cozzo nelle più complicate resistenze dei rapporti economici e nei più complicati ingranaggi del mondo politico”115.

Questo è il nodo problematico con cui egli ancora si confronta, nelle lezioni del 1900-1901, avvertendo che né il ‘revisionismo’ né Porto- dossia’ kautskiana sono valsi a scioglierlo; così scrive a Croce nel gennaio 1900: “11 socialismo subisce ora un arresto. [...] ma ditemi un poco in cosa consiste la novità reale del mondo, che ha reso agl occhi di molti evidenti le imperfe­zioni del marxismo. Qui sta il busillis. La realtà non si afferra con ragionamenti, ma con la percezione” 116.

“Afferrare la realtà con la percezione”: gli appunti del corso di quell’anno, programmati­camente “espositivo e descrittivo”, attestano lo sforzo concretamente compiuto da Labriola in

tal senso. Fittissimi di dati, di tabelle statistiche d’ogni sorta, secondo la ricostruzione del Dal Pane, essi si configurano come una grande “raccolta di materiali”, come un vasto “inven­tario” dei “tratti salienti della situazione m on­diale a fine secolo”; è, infatti, una “veduta d’in­sieme” — che includa “movimento economi­co” e “formazioni politiche”, “attriti interna­zionali” ed aspetti culturali ed ideologici — ciò che il cassinate si propone di definire117.

Ma tale progettata “sintesi” globale, in cui “i diversi atteggiamenti della medesima compa­gine storica” risultino unitariamente connessi, rimarrà in larga misura inattuata, ed incompiu­to rimarrà, com’è noto, il quarto saggio. D a un se co lo a ll’a ltro , che di tale tematica avrebbe dovuto costituire l’organica sistemazione. La rinuncia a trarre dall’ampio lavoro preparato- rio svolto nelle lezioni una definitiva stesura rivela le persistenti difficoltà incontrate dall’a­nalisi labrioliana nel confrontarsi con la multi­forme “complicazione delle cose” 118; ma, pur presentandosi in forma incompiuta e frammen­taria, tale elaborazione contiene elementi di indubbio interesse. In questo tentativo di defi­nire il profilo dell’“attuale sub-periodo storico” ha, ad esempio, larga parte “uno sguardo all’e­conomia mondiale”: attraverso “l’espressivo linguaggio delle cifre”, si registrano “i tratti d’una interdipendenza divenuta oramai ocea­nica”, e ci si misura, senza schemi precostituiti, senza “idee” preconcette, con l’aumentata complessità del “sostrato materiale”. “Produ­zione in massa”, “grande fabbrica e grande esercizio”, “concentrazione industriale e mo­nopolio”, “concentrazione bancaria e finanzia­ria” sono così individuati come altrettanti “ca­ratteri nuovi” del gigantesco “movimento eco­nomico” che “va restringendo il mondo intero

G. Procacci, Antonio Labriola, cit., pp. 321-325.114 G. Procacci, Antonio Labriola, cit., p. 326.115 A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 440.

A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit.. pp. 337-338.117 A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit.,p. 61. Cfr. G. Procacci, Antonio Labriola, cit.,p. 275. "* A. labriola. Lettere a B. Croce, cit.. p. 356.

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nella cerchia del capitalismo” e che Labriola, avvertendone tutta la “complicazione”, cerca quasi ossessivamente di quantificare119. Ma, accanto al prodigioso erompere di tali “forme moderne” si sottolinea la tenace persistenza delle “forme arcaiche”; alla progressiva affer­mazione della “tendenza al m onopolio” fanno riscontro “piccola proprietà e piccola azienda, che non accennano a scomparire” e, in genera­le, gli “effetti” della crescente integrazione eco­nomica si presentano, nella lettura labrioliana, “varii e difformi” . La poderosa espansione ca­pitalistica non si traduce dunque in un processo univoco e lineare, non assume la funzione “li­vellatrice” che il cassinate le aveva in preceden­za attribuito, e determina, anziché un’accentua­ta polarizzazione, una crescente articolazione dei rapporti sociali120.

Benché non pervenga ad esiti sistematici, Labriola delinea, dunque, significativi spunti di riflessione; in particolare, egli lucidamente av­verte come le “nuove proporzioni” dei fenome­ni economici si traducano in un’inedita dimen­sione politica: “Le sfere d’influenza mondiale sono il principale obietto della politica moder­na. L’imperialismo è la parola d’ordine, la cro­ciata senza finzioni. La rivoluzione economica interna ha cambiato e tende a cambiare tutti i rapporti esterni della politica e la concorrenza è diventata davvero mondiale” 121. .

Così, egli individua il nesso tra “tendenze monopolistiche” ed “attuali condizioni della gara internazionale”; e l’aggressivo espansio­nismo, l’acuita conflittualità su cui fin dal 1897 si era fermata la sua attenzione si ripresentano con maggior evidenza, in questa ultima fase della sua riflessione, quali aspetti fondamentali

dell’attuale “sub-periodo”: “Dal 1880 in qua si attua più intensamente la spartizione del m on­do. C’è insomma 1’aw iam ento a quelle condi­zioni che dureranno per molti decenni del seco­lo nuovo. [...] L’Europa èentrata in un periodo d’equilibrio leggermente instabile. La guerra europea è stata differita dalla pace armata, dalla lotta industriale circondata di arm i” 122.

Ampio spazio egli dedica, quindi, nelle le­zioni, a disegnare la m appa degli “attriti” che dominano la scena internazionale; e tale intri­catissima rete di “contrasti” è sinteticamente compendiata nella fondamentale “opposizio­ne” di “popoli attivi e passivi”: a fronte delle “grandi potenze conquistatrici”, le “nazioni non vitali” costituiscono uno sterminato “cam­po di sfruttam ento” per l’iniziativa del capita­le123. Tale nota ‘form ula’, che frequentemente ricorre sia in D a un se co lo a ll’a ltro sia negli appunti del 1900-1901, assume un indubbio rilievo nella labrioliana “istantanea di fine seco­lo”: “Chi vorrà negare [...] il divario fra popoli attivi e passivi? Dov’è che gli europei, e loro derivati d’America nel rapido ciclo della con­quista tecnico-capitalistica del mondo, abbiano trovato emuli [...]. Chi crederà mai [...] che dall’accampamento ottomano si trarrà ancora una moderna nazione turca? E in che altro ha messo capo la kedhivale rinnovazione dell’Egit­to, se non che, tout court, nell’ingerenza del capitale europeo?” 124.

In questi crudi termini di netta contrapposi­zione la nozione “attivo-passivo” si presentava già nel discorso P er C a n d ía del febbraio 1897l25; ma se tale è la sua prevalente accezione negli interventi politici del cassinate (dove as­sume talora toni compiaciuti che hanno con-

lw A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV. cit.. p. 71-73 passim. Cfr. ld„ Lettere a B. Croce, cit., p. 270. 131 A. Labriola. Im concezione materialistica, cit.. p. 326. Cfr. !d.. Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., pp. 54-57.131 Ihid, p. 98.'-- Ihid. pp. Ili; 117.131 Ihid, p. 98.124 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., pp. 324-325.125 A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 433 e vedi p. 417,491. Cfr. ld., Ix’tteea B. Croce, cit.. p. 313. Cfr. G. Procacci. Antonio Ixthriola, cit.. p. 302-304.

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tribuito ad accreditare l’immagine, peraltro ri­duttiva, di un Labriola tout court ‘filocoloniali- sta’), non così chiaramente ed univocamente caratterizzata essa finisce per apparire in Da un secolo all’altro e negli appunti del 1900-1901. Qui, più di un’annotazione interviene a sfu­marne notevolmente i contorni e, in particola­re, il concetto viene esplicitamente ‘relativizza­to ’ in riferimento alla questione, di cui già s’è detto, del Risorgimento italiano come “storia passiva”: “Coi termini di attivo e di passivo io intendo di addurre degli estremi teorici di valo­re comparativo, ai quali si giunge per appros­simazione e attraverso a molte transizioni”126.

Anziché definire due opposte e nettamente individuate “circoscrizioni” del reale, la locu­zione “attivo-passivo” appare qui come uno schema interpretativo, utile per delineare i “tratti essenziali” dei processi in atto, ma lungi daU’esaurirne per intero l’articolazione. Ad es­so, insistentemente si sovrappone la considera­zione della specificità insopprimibile delie “sin­gole formazioni”, delle “condizioni diverse da paese a paese”, che sono il “resultato” di pecu­liari vicende, il “prodotto” di un discontinuo e tortuoso corso storico127. La nozione di “attivo-passivo” rinvia, così, a quella della “re­latività del progresso”, concetto, questo, di par­ticolare rilievo nell’ultima fase della riflessione labrioliana, nella quale assume un duplice si­gnificato: da un lato, si riferisce alla non uni­formità, alla non linearità, in generale, dei pro­cessi storici, dall’altro, allude al carattere so­stanzialmente ambiguo con cui, specificamen­te, si presentano i processi storici attuali; in altri termini, la “gara conquistatrice”, e con essa “tutti i fenomeni nuovi dell’economia e della politica”, da una parte rappresentano “le forze vitali, le correnti attive della storia contempo­

ranea”, ma dall’altra sono anche percepiti come elementi che “ritardano e sviano”, anziché af­frettarlo, l’avvento del socialismo. Significati­vamente, la ‘previsione storica’ nell’ultimo La­briola diviene ‘presagio’, si fa cupo presenti­mento: “in questo principio di nuovo secolo” egli avverte l’om bra incombente di una “catastrofe” 128.

Ricondotta così entro un complesso quadro, la contrapposizione di “popoli attivi e passivi” si ripropone, in lina pagina di Da un secolo all’altro, dovè appare accanto ad altri “contra­sti”: città/cam pagna, proletariato/borghesia, scienza/fede; Chiesa / S tatò129. '“L’intrigo di fine secolo” si presenta in una pluralità tematica irriducibile ad univoche semplificazioni, e con­trassegnata da problematici accenti.

È, innanzitutto, l’eventualità dell’esito rivo­luzionario a farsi remota; se essa era enunciata con “sicura baldanza” ne In memoria del Ma­nifesto, qui appare nella forma d’un interroga­tivo che rimane aperto130. Sono così riprese le considerazioni svolte fin dal 1896-97 circa la “pausa nello sviluppo del socialismo”: in questa prospettiva, compare una valutazione dell’epi­sodio della Comune come rovinoso “errore” gravido di conseguenze per l’intero movimento operaio che non ha riscontro in precedenti testi labrioliani (ma che riecheggia analoghe osser­vazioni sui fatti italiani del maggio 1898): “la follia della rivoluzione sociale in Francia” si configura come un’esplosione inconsulta, di la­cerante effetto sulla graduale e progressiva espansione del ‘moto proletario’131. Attraverso tale riferimento, si puntualizza la “sub-data” del 1870: con essa, si è concluso un periodo di lento ma sicuro progresso del movimento so­cialista, e si è aperta una fase nuova, contraddi­stinta da “impacci, arresti, deviazioni”. Riba-

126 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 348.127 A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 56.I2* Ibid, p. 147.129 A. Labriola, La concezione materialistica, cit., p. 344.I® A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 98-99.1,1 Ihid., p. 143.

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dendo qui ancora una volta tale giudizio, La­briola non m ostra di ritenere che esso sia con­traddetto dall’emergere di fenomeni quali la legislazione sociale e l’allargamento del suffra­gio; questi aspètti, in verità, non assumono molto rilievo nella sua lettura, e i non frequenti accenni che vi sono dedicati rivelano, anzi, co­me egli propenda, semmai, per ridimensionar­ne la portata. In un passo significativo, i “resul­tati” delle nuove conquiste legislative e norm a­tive, allusivamente designati come “il gioco dei salari”, “i diversi gradi d’intensificazione del lavoro”, sono annoverati, alla stessa stregua deU’“emigrazione” e della “democrazia cristia­na”, quali elementi di ulteriore “complicazio­ne” per l’Internazionale operaia132. Se v’è un dato comune nelle “presenti condizioni politi­che”, tanto “varie e differenti”, Labriola pare ravvisarlo, piuttosto che in un ampliamento degli spazi democratici, nell’inquietante mani­festarsi di fermenti nazionalistici e nell'“ende- mico propagarsi dell’idea dell’impero”. Sinte­tizzando i tratti salienti della fase attuale, egli esplicitamente li definisce’ come “arresto dello sviluppo democratico nazionale” e “continue deviazioni di quei moti interni di classe che potrebbero metter capo nel socialismo” 133.

La valutazione dell’esperienza giolittiana.

Con un atteggiamento di sostanziale per­plessità, dunque, Labriola sembra considerare le forme nuove in cui la questione sociale si pone, in questo principio di secolo; e con diffi­denza, in particolare, accoglie l’avvio dell’espe­rienza giolittiana, che inizialmente gli appare una semplice riedizione del trasform ism o134. Se, in seguito, perviene a valutare positivamen­te “l’azione di spregiudicata ed imparziale libe­

ralità del ministero”, affermando che “non sa­rebbe possibile ad un partito socialista ragione­vole di serbare un contegno di freddezza semio­stile” nei suoi confronti, come dichiara nel set­tembre del 1901l35, tuttavia l’apprezzamento, a ben vedere, rimane assai cauto e circoscritto; l’auspicio da lui formulato, che “cotesto nuovo indirizzo di politica sociale riesca di garanzia giuridica al proletariato e al tempo stesso non d’impedimento al suo sviluppo” 136 è, in propo­sito, significativo. È, insomma, entro una pro­spettiva ‘ottocentesca’ di netta e inequivocabile contrapposizione tra stato liberale e classe ope­raia che il cassinate ritiene “utile ed opportuno” assecondare il nuovo corso giolittiano; allorché s’aw ede che esso travalica tale schema, che i socialisti non si limitano ad un appoggio ‘ester­no ’, ma vi sono direttamente coinvolti, egli assume infatti un atteggiamento di reciso e durissimo rifiuto verso ciò che ora gli si presen­ta come “un’ambigua mescolanza, un’indecen­te commistione”. Il riformismo giolittiano è percepito dunque come elemento che “intorbi­da e confonde” il quadro politico, che offusca la chiarezza e l’evidenza delle “antitesi di par­te” 137. Non è un particolare privo di interesse che non il duttile Giolitti, ma l’intransigente Sidney Sonnino sia ritenuto da Labriola “il più conscio e il più fondato borghese fra tutti i nostri parlamentari” 138.

La questione cattolica.

Analogamente, come “complicazione” ri­spetto al lineare, classico scenario dell’era libe­rale è avvertito il rilancio del cattolicesimo che si va delineando con crescente ampiezza in questo principio di secolo e, in particolare, l’e­mergente fenomeno del cristianesimo sociale.

■32 Ibid., p. 131.133 Ibid., p. 99.134 A. Labriola, Scrini politici, cit., p. 463-464.135 A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 480-481.136 A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 477.137 A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 513-515. 13B A. Labriola, Scritti politici, cit., p. 485.

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Come Labriola nota acutamente, tale rinnova­ta vitalità dim ostrata dalla Chiesa, tale “ripresa del clericalismo” sono aspetti nuovi e inediti, sono “fenomeni specifici del secolo decimono­no”, e gli appunti del corso 1900-1901 attestano l’interesse con cui questo tema è considerato nell’estrema fase della sua riflessione: “La Chie­sa cattolica sta ella stessa cambiando? e non lo confessa? In ciò sta la sua forza e la sua debo­lezza. Leone XIII non ha revocato una parola del Sillabo, ha esercitato intera l’autorità venu­tagli dal Concilio Vaticano [...]. Non una con­cessione allo stato moderno, e pure la Chiesa s’è fatta da per tutto abile, agile, politica, sottile, versatile, cedevole, transigente”139.

Alla democrazia cristiana è dedicata una specifica ed ampia considerazione, in cui La­briola perviene a cogliere pure i caratteri con­traddittori del fenomeno, le sue implicazioni moderniste ed eterodosse, le sue potenzialità conflittuali; e tuttavia è la connotazione essen­zialmente ‘regressiva’ del movimento il tratto prevalente nella sua lettura: “non urta forse la corporazione con le condizioni del mondo ca­pitalistico, che è obiettivamente rivoluzionario? Rivoluzionario con la macchina, rivoluziona­rio con l’aggregazione incerta dei proletarii. Dove volete collocare in quel prospetto della interdipendenza economica universale la re­staurazione della corporazione?”140

Benché il rilievo della “nuova agitazione cat­tolica” non sfugga dunque all’attento esame del cassinate, egli tuttavia la giudica, in sostanza, “reazionaria”; e in nome dei “vacillanti” valori laici liberali, egli si pronuncia contro “l’infezio­ne clericale grandemente diffusa” nel suo ulti­mo intervento politico, nel gennaio 1903141.

Originata dal duplice e simultaneo “arresto”

del liberalismo e del socialismo, la ripresa catto­lica è altresì sintomo, nella sua prospettiva, di un generale mutamento del clima culturale: “Dunque la religione è un fatto perenne; e dove se né va il secolo della scienza?” 142.

N eoidealism o ed irrazionalismo.

Allo “spirito della libera ricerca scientifica, che è un portato del liberalismo” e che ha permeato di sé “tutto il secolo trascorso”, si vanno contrapponendo fenomeni molteplici (“il misticismo, la teosofia, il decrescere dello spirito protestante e la correlativa ripresa della propaganda cattolica”) che esprimono una tendenza unitaria, Una nuova W eltan sch au u n g di dimensione europea”143. Già nelle lezioni del 1900-1901 Labriola formula questa lucida dia­gnosi, ma è soprattutto nella corrispondenza con Croce che essa risulta più nitidamente defi­nita: “Vedo [...] che in tu tta Europa corre una reazione contro lo storicismo, il positivismo, il darwinismo, l’evoluzione etc. etc., e a ciò si mescola lo spirito borghese decadente, il catto­licesimo rinato, e una feroce neoscolastica e neosofistica. Per tale contesto storico l’Ideali­smo [...] vuol dire l’antistorico, l’antidivenire etc. È un arresto dello spirito scientifico, è un regresso” 144.

Ai “caratteri predominanti” del pensiero ot­tocentesco — “storicismo, criticismo, natura­lismo” 145 — si va dunque .sostituendo una di­versa temperie, di stampo irrazionalistico, della quale “il rinascente idealismo” è parte integran­te. Acutamente avvertendone il manifestarsi, il cassinate vi legge però esclusivamente un fe­nomeno involutivo, e, saldamente ancorato com’è al “positivo spirito scientifico” (di cui

"9 A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 148.'« Ihid., p. 149.141 A. Labriola, Scritti politici, clt., p. 504-505.142 A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 59, 147. 144 Ih id , p. 124, 126.144 A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., p. 366-367.145 A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. IV, cit., p. 127.

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“anche il marxismo è un caso particolare”), assume nei confronti delle “nuove teorie” un atteggiamento di netto rifiuto, di totale preclu­sione; di contro ad esse, giunge perfino a rivalu­tare il positivismo, bersaglio critico di tante sue precedenti pagine146.

In particolare, contro la “cosiddetta rinascita della filosofia hegelliana” che gli pare null’altro che un tentativo di restaurare “l’aborrita meta­fisica”, egli conduce, attraverso le lettere a Cro­ce, a partire dal settembre 1899, una polemica privata, m a non per questo meno significativa, costellata di dichiarazioni di insofferenza antispeculativa147.

“Io rifuggo dalla sa n a f i lo s o f ia come dalla peste” 148 — in questa sarcastica asserzione del

,4'’ Ibid., p. 125.147 A. Labriola, Lettere a B. Croce, cit., p. 339 (e vedi p. 344 sgg.). I4* Ibid., p. 374.149 Ibid., p. 376.

settembre 1903 ben si riassume la dichiarata e radicale estraneità di Labriola al clima cultura­le del nuovo secolo. Quando la malattia lo colpisce — e “il democratico senza più voce in capitolo” diviene pure “professore senza favel­la” — è da tempo un isolato, è già un sopravvis­suto, consapevole in fondo di appartenere ad un’epoca ormai trascorsa. Non gli resta che l’am aro scherno, che si esprime in un’acre e beffarda battuta finale, nella lettera a Croce del 2 gennaio 1904: “Questa lettera è stata interrot­ta dal tentativo che ho fatto d’ingoiare [...]. Peccato che il tuo neoidealismo non possa nul­la contro la sprucida (spròde) materia”149.

A m ina Crisma