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8/19/2019 Apollo Dafne Traduzione http://slidepdf.com/reader/full/apollo-dafne-traduzione 1/4 Apollo e Dafne http://www.iconos.it/index.php?id=37 http://numero22.blogspot.com/2009/07/il-primo-amore-di-febo-fu-dafne- figlia.html Primus amor Phoebi Daphne Peneia: quem non Fors ignara dedit, sed saeua Cupidinis ira. Delius hunc nuper, uicto serpente superbus, 455 Viderat adducto flectentem cornua neruo "Quid" que "tibi, lasciue puer, cum fortibus armis?" Dixerat, "ista decent umeros gestamina no stros, Qui dare certa ferae, dare uulnera possumus hosti, Qui modo pestifero tot iugera uentre prementem 460 Strauimus innumeris tumidum Pythona sagittis. Tu face nescio quos esto contentus amores Inritare tua nec laudes adsere nostras." Filius huic Veneris "figat tuus omnia, Phoebe, Te meus arcus" ait, "quantoque animalia cedunt 465 Cuncta deo, tanto minor est tua gloria nostra". Dixit et eliso percussis aere pennis Inpiger umbrosa Parnasi constitit arce Eque sagittifera prompsit duo tela pharetra Diuersorum operum: fugat hoc, facit illud amorem; 470 Quod facit, auratum est et cuspide fulget acuta, Quod fugat, obtusum est et habet sub harundine plumbum. Hoc deus in nympha Peneide fixit, at illo Laesit Apollineas traiecta per ossa medullas: Protinus alter amat, fugit altera nomen amantis 475 Siluarum latebris captiuarumque ferarum Exuuiis gaudens innuptaeque aemula Phoebes; Vitta coercebat positos sine lege capillos. Multi illam petiere, illa auersata petentes Inpatiens expersque uiri nemora auia lustrat 480 Nec, quid Hymen, quid Amor, quid sint conubia, curat. Ovidio, Met ., I, 452-567 (P. Ovidio Nasone, Metamorfosi , a cura di Mario Ramous ed Emilio Pianezzola, Milano, Garzanti Libri, 1995) Il primo amore di Febo fu Dafne, figlia di Peneo, e non fu dovuto a l caso, ma all'ira implacabile di Cupido. Ancora insuperbito per aver vinto il serpente, il dio di Delo, vedendolo che piegava l'arco per tendere la corda: 455 «Che vuoi fare, fanciullo arrogante, con armi cos ì impegnative?» gli disse. «Questo è peso che s'addice alle mie spalle, a me che so assestare colpi infallibili alle fiere e ai nemici, a me che con un nugolo di frecce ho appena abbattuto Pitone, infossato col suo ventre gonfio e pestifero per tante miglia. 460 Tu accontèntati di fomentare con la tua fiaccola, non so, qualche amore e non arrogarti le mie lodi». E il figlio di Venere: «Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà, ma il mio trafigge te, e quanto tutti i viventi a un dio sono inferiori, tanto minore è la tua gloria alla mia». 465 Disse, e come un lampo solcò l'aria ad ali battenti, fermandosi nell'ombra sulla cima del Parnaso, e dalla faretra estrasse due frecce d'opposto potere: l'una scaccia, l'altra suscita amore. La seconda è dorata e la sua punta aguzza sfolgora, 470 la prima è spuntata e il suo stelo ha l'anima di piombo. Con questa il dio trafisse la ninfa penea, con l'altra colpì Apollo trapassandogli le ossa sino a l midollo. Subito lui s'innamora, mentre lei nemmeno il nome d'amore vuol sentire e, come la vergine Diana, gode nella penombra 475 dei boschi per le spoglie della selvaggina catturata: solo una benda raccoglie i suoi capelli scomposti. Molti la chiedono, ma lei respinge i pretendenti e, decisa a non subire un marito, vaga nel folto dei boschi indifferente a cosa siano nozze, amore e amplessi. 480

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Apollo e Dafne

http://www.iconos.it/index.php?id=37 

http://numero22.blogspot.com/2009/07/il-primo-amore-di-febo-fu-dafne-

figlia.html 

Primus amor Phoebi Daphne Peneia: quem nonFors ignara dedit, sed saeua Cupidinis ira.

Delius hunc nuper, uicto serpente superbus,

455 Viderat adducto flectentem cornua neruo

"Quid" que "tibi, lasciue puer, cum fortibus armis?"

Dixerat, "ista decent umeros gestamina nostros,

Qui dare certa ferae, dare uulnera possumus hosti,

Qui modo pestifero tot iugera uentre prementem

460 Strauimus innumeris tumidum Pythona sagittis.

Tu face nescio quos esto contentus amores

Inritare tua nec laudes adsere nostras."

Filius huic Veneris "figat tuus omnia, Phoebe,Te meus arcus" ait, "quantoque animalia cedunt

465 Cuncta deo, tanto minor est tua gloria nostra".

Dixit et eliso percussis aere pennis

Inpiger umbrosa Parnasi constitit arce

Eque sagittifera prompsit duo tela pharetra

Diuersorum operum: fugat hoc, facit illud amorem;

470 Quod facit, auratum est et cuspide fulget acuta,

Quod fugat, obtusum est et habet sub harundine plumbum.

Hoc deus in nympha Peneide fixit, at illo

Laesit Apollineas traiecta per ossa medullas:

Protinus alter amat, fugit altera nomen amantis475 Siluarum latebris captiuarumque ferarum

Exuuiis gaudens innuptaeque aemula Phoebes;

Vitta coercebat positos sine lege capillos.

Multi illam petiere, illa auersata petentes

Inpatiens expersque uiri nemora auia lustrat

480 Nec, quid Hymen, quid Amor, quid sint conubia, curat.

Ovidio, Met ., I, 452-567

(P. Ovidio Nasone, Metamorfosi , a cura di Mario Ramous ed Emilio

Pianezzola, Milano, Garzanti Libri, 1995)

Il primo amore di Febo fu Dafne, figlia di Peneo,e non fu dovuto al caso, ma all'ira implacabile di Cupido.

Ancora insuperbito per aver vinto il serpente, il dio di Delo,

vedendolo che piegava l'arco per tendere la corda: 455

«Che vuoi fare, fanciullo arrogante, con armi cos ì impegnative?»

gli disse. «Questo è peso che s'addice alle mie spalle,

a me che so assestare colpi infallibili alle fiere e ai nemici,

a me che con un nugolo di frecce ho appena abbattuto Pitone,

infossato col suo ventre gonfio e pestifero per tante miglia. 460

Tu accontèntati di fomentare con la tua fiaccola,

non so, qualche amore e non arrogarti le mie lodi».

E il figlio di Venere: «Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà,ma il mio trafigge te, e quanto tutti i viventi a un dio

sono inferiori, tanto minore è la tua gloria alla mia». 465

Disse, e come un lampo solcò l'aria ad ali battenti,

fermandosi nell'ombra sulla cima del Parnaso,

e dalla faretra estrasse due frecce

d'opposto potere: l'una scaccia, l'altra suscita amore.

La seconda è dorata e la sua punta aguzza sfolgora, 470

la prima è spuntata e il suo stelo ha l'anima di piombo.

Con questa il dio trafisse la ninfa penea, con l'altra

colpì Apollo trapassandogli le ossa sino al midollo.

Subito lui s'innamora, mentre lei nemmeno il nome d'amorevuol sentire e, come la vergine Diana, gode nella penombra 475

dei boschi per le spoglie della selvaggina catturata:

solo una benda raccoglie i suoi capelli scomposti.

Molti la chiedono, ma lei respinge i pretendenti

e, decisa a non subire un marito, vaga nel folto dei boschi

indifferente a cosa siano nozze, amore e amplessi. 480

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Saepe pater dixit "generum mihi, filia, debes,"

Saepe pater dixit "debes mihi, nata, nepotes:"

Illa uelut crimen taedas exosa iugales

Pulchra uerecundo subfuderat ora rubore

485 Inque patris blandis haerens ceruice lacertis

"Da mihi perpetua, genitor carissime," dixit

"Virginitate frui: dedit hoc pater ante Dianae."Ille quidem obsequitur; sed te decor iste, quod optas,

Esse uetat, uotoque tuo tua forma repugnat.

490 Phoebus amat uisaeque cupit conubia Daphnes,

Quodque cupit, sperat, suaque illum oracula fallunt;

Vtque leues stipulae demptis adolentur aristis,

Vt facibus saepes ardent, quas forte uiator

Vel nimis admouit uel iam sub luce reliquit,

495 Sic deus in flammas abiit, sic pectore toto

Vritur et sterilem sperando nutrit amorem.

Spectat inornatos collo pendere capillos

Et "quid, si comantur?" ait; uidet igne micantesSideribus similes oculos, uidet oscula, quae non

500 Est uidisse satis; laudat digitosque manusque

Bracchiaque et nudos media plus parte lacertos:

Siqua latent, meliora putat. fugit ocior aura

Illa leui neque ad haec reuocantis uerba resistit:

"Nympha, precor, Penei, mane! non insequor hostis;

505 Nympha, mane! sic agna lupum, sic cerua leonem,

Sic aquilam penna fugiunt trepidante columbae,

Hostes quaeque suos; amor est mihi causa sequendi.

Me miserum! ne prona cadas indignaue laedi

Crura notent sentes, et sim tibi causa doloris.510 Aspera, qua properas, loca sunt: moderatius, oro,

Curre fugamque inhibe: moderatius insequar ipse.

Cui placeas, inquire tamen; non incola montis,

Non ego sum pastor, non hic armenta gregesque

Horridus obseruo. nescis, temeraria, nescis

515 Quem fugias, ideoque fugis. mihi Delphica tellus

Il padre le ripete: «Figliola, mi devi un genero»;

le ripete: «Bambina mia, mi devi dei nipoti»;

ma lei, odiando come una colpa la fiaccola nuziale,

il bel volto soffuso da un rossore di vergogna,

con tenerezza si aggrappa al collo del padre: 485

«Concedimi, genitore carissimo, ch'io goda», dice,

«di verginità perpetua: a Diana suo padre l'ha concesso».E in verità lui acconsentirebbe; ma la tua bellezza vieta

che tu rimanga come vorresti, al voto s'oppone il tuo aspetto.

E Febo l'ama; ha visto Dafne e vuole unirsi a lei, 490

e in ciò che vuole spera, ma i suoi presagi l'ingannano.

Come, mietute le spighe, bruciano in un soffio le stoppie,

come s'incendiano le siepi se per ventura un viandante

accosta troppo una torcia o la getta quando si fa luce,

così il dio prende fuoco, così in tutto il petto 495

divampa, e con la speranza nutre un impossibile amore.

Contempla i capelli che le scendono scomposti sul collo,

pensa: 'Se poi li pettinasse?'; guarda gli occhi che sfavillanocome stelle; guarda le labbra e mai si stanca

di guardarle; decanta le dita, le mani, 500

le braccia e la loro pelle in gran parte nuda;

e ciò che è nascosto, l'immagina migliore. Ma lei fugge

più rapida d'un alito di vento e non s'arresta al suo richiamo:

«Ninfa penea, férmati, ti prego: non t'insegue un nemico;

férmati! Così davanti al lupo l'agnella, al leone la cerva, 505

all'aquila le colombe fuggono in un turbinio d'ali,

così tutte davanti al nemico; ma io t'inseguo per amore!

Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino

le gambe indifese, ch'io non sia causa del tuo male!Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano, ti prego, 510

rallenta la tua fuga e anch'io t'inseguirò più piano.

Ma sappi a chi piaci. Non sono un montanaro,

non sono un pastore, io; non faccio la guardia a mandrie e greggi

come uno zotico. Non sai, impudente, non sai

chi fuggi, e per questo fuggi. Io regno sulla terra di Delfi, 515

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Et Claros et Tenedos Patareaque regia seruit;

Iuppiter est genitor. per me, quod eritque fuitque

Estque, patet; per me concordant carmina neruis.

Certa quidem nostra est, nostra tamen una sagitta

520 Certior, in uacuo quae uulnera pectore fecit.

Inuentum medicina meum est, opiferque per orbem

Dicor, et herbarum subiecta potentia nobis:Ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis,

Nec prosunt domino, quae prosunt omnibus, artes!"

525 Plura locuturum timido Peneia cursu

Fugit cumque ipso uerba inperfecta reliquit,

Tum quoque uisa decens; nudabant corpora uenti,

Obuiaque aduersas uibrabant flamina uestes,

Et leuis inpulsos retro dabat aura capillos,

530 Auctaque forma fuga est. sed enim non sustinet ultra

Perdere blanditias iuuenis deus, utque monebat

Ipse amor, admisso sequitur uestigia passu.

Vt canis in uacuo leporem cum Gallicus aruoVidit, et hic praedam pedibus petit, ille salutem

535 (Alter inhaesuro similis iam iamque tenere

Sperat et extento stringit uestigia rostro;

Alter in ambiguo est, an sit conprensus, et ipsis

Morsibus eripitur tangentiaque ora relinquit):

Sic deus et uirgo; est hic spe celer, illa timore.

540 Qui tamen insequitur, pennis adiutus amoris

Ocior est requiemque negat tergoque fugacis

Inminet et crinem sparsum ceruicibus adflat.

Viribus absumptis expalluit illa citaeque

Victa labore fugae, spectans Peneidas undas545 "Fer, pater," inquit "opem, si flumina numen habetis!

Qua nimium placui, mutando perde figuram!"

Vix prece finita torpor grauis occupat artus:

Mollia cinguntur tenui praecordia libro,

550 In frondem crines, in ramos bracchia crescunt;

Pes modo tam uelox pigris radicibus haeret,

di Claro e Tènedo, sulla regale Pàtara.

Giove è mio padre. Io sono colui che rivela futuro, passato

e presente, colui che accorda il canto al suono della cetra.

Infallibile è la mia freccia, ma più infallibile della mia

è stata quella che m'ha ferito il cuore indifeso. 520

La medicina l'ho inventata io, e in tutto il mondo guaritore

mi chiamano, perché in mano mia è il potere delle erbe.Ma, ahimè, non c'è erba che guarisca l'amore,

e l'arte che giova a tutti non giova al suo signore!».

Di più avrebbe detto, ma lei continuò a fuggire 525

impaurita, lasciandolo a metà del discorso.

E sempre bella era: il vento le scopriva il corpo,

spirandole contro gonfiava intorno la sua veste

e con la sua brezza sottile le scompigliava i capelli

rendendola in fuga più leggiadra. Ma il giovane divino 530

non ha più pazienza di perdersi in lusinghe e, come amore

lo sprona, l'incalza inseguendola di passo in passo.

Come quando un cane di Gallia scorge in campo apertouna lepre, e scattano l'uno per ghermire, l'altra per salvarsi;

questo, sul punto d'afferrarla e ormai convinto 535

d'averla presa, che la stringe col muso proteso,

quella che, nell'incertezza d'essere presa, sfugge ai morsi

evitando la bocca che la sfiora: così il dio e la fanciulla,

un fulmine lui per la voglia, lei per il timore.

Ma lui che l'insegue, con le ali d'amore in aiuto, 540

corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle

della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento.

Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa

allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e:«Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere, 545

dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui».

Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra,

il petto morbido si fascia di fibre sottili,

i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; 550

i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici,

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Ora cacumen habet: remanet nitor unus in illa.

Hanc quoque Phoebus amat positaque in stipite dextra

Sentit adhuc trepidare nouo sub cortice pectus

555 Conplexusque suis ramos, ut membra, lacertis

Oscula dat ligno: refugit tamen oscula lignum.

Cui deus "at quoniam coniunx mea non potes esse,

Arbor eris certe" dixit "mea. semper habebuntTe coma, te citharae, te nostrae, laure, pharetrae.

560 Tu ducibus Latiis aderis, cum laeta triumphum

Vox canet et uisent longas Capitolia pompas.

Postibus Augustis eadem fidissima custos

Ante fores stabis mediamque tuebere quercum,

Vtque meum intonsis caput est iuuenale capillis,

565 Tu quoque perpetuos semper gere frondis honores".

Finierat Paean: factis modo laurea ramis

Adnuit utque caput uisa est agitasse cacumen.

il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva.

Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco,

sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia

e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, 555

ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.

E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia,

sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno,o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra;

e il capo dei condottieri latini, quando una voce esultante 560

intonerà il trionfo e il Campidoglio vedrà fluire i cortei.

Fedelissimo custode della porta d'Augusto,

starai appeso ai suoi battenti per difendere la quercia in mezzo.

E come il mio capo si mantiene giovane con la chioma intonsa,

anche tu porterai il vanto perpetuo delle fronde!». 565

Qui Febo tacque; e l'alloro annuì con i suoi rami