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ANTONIO GIARLETTA COMPENDIO DI ARMONIA JAZZ

Armonia Jazz - Giarletta

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piccola guida di armonia jazz

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ANTONIO GIARLETTA

COMPENDIO DIARMONIA JAZZ

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Per il mio caro Amico,Nicola Picarella

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NOTE “A PRIORI”

Leggendo questo brevissimo e non completo opuscolo sull’armonia jazz, si nota da subito la mancanza di ogni qualsivoglia riferimento teorico. Mancano riferimenti alle “leggi” che regolano l’armonia delle parti di un accordo, rimandi a questa o quella regola che passando per il “buon gusto” ricade nell’accademismo…Insomma: un opuscolo sull’armonia jazz ma che di regole armoniche ne ha ben poche!Perché? La risposta è semplice: chi non conosce – o conosce poco – una determinata cosa, la vuole sperimentare, provare, incontrare e stringerle la mano. Se uno ama il gioco del calcio e lo vuole conoscere non andrà certo a parlare con un allenatore che gli spiegherà da subito le regole, i ruoli e tutto il resto (cose che servono a chi si prefiggerà di fare di quella passione un mestiere che va fatto con coscienza e con competenza), ma si farà dare un pallone da un amico e si farà spiegare come si tirano i primi colpi…giusto per non sbagliare e, magari, impostare il calcio con il…tallone!!!Ebbene: perché se amo il jazz, e lo voglio conoscere praticamente, devo invece iniziare con lo studiare gli intervalli, le regioni armoniche, i tournaround, gli standard (schemi e concatenamenti armonici)? Insomma: se amo il jazz, o la musica moderna (o quella in generale che chiamiamo Musica!!!), vorrò pure iniziare, magari sbagliando, ma…sedendomi al pianoforte (o alla chitarra, o al marranzano!!!) e suonare! E così eccomi a scrivere una piccola guida, un compendio strampalato e incompleto (per conseguenza) ma ben strutturato per ciò che serve e per il motivo per il quale esso viene alla luce: permettere a chi legga, di mettere senza paura le mani sui tasti (o sulla tastiera) e di…suonare!

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CARATTERI DELL’ARMONIA JAZZ

L’armonia jazz, rispetto quella classica, ha come polo di attrazione non la tonalità, ma la funzionalità. Tonalità non intesa in senso classico, ma in senso moderno (collegamento tonale tra gli accordi). La funzionalità – in breve e nella pratica – è quella caratteristica degli accordi legata (ma non esclusiva) al fatto tonico che permette collegamenti armonici non in ragione delle aree tonali ma della funzione armonica che un accordo ha indipendentemente dall’impianto tonale nel quale è inserito. Un esempio esplicativo può essere il seguente, in cui il voicing (gruppo di almeno tre voci non necessariamente inscrivibili in una forma accordale I – III – V grado) viene trattato prima come appartenente alla tonalità di Do maggiore (C) e successivamente in Lab maggiore.

Do Maggiore:

Lab maggiore

Salta subito agli occhi il fatto che trattando gli accordi in questo modo, i voicing superiori, pur non subendo modificazioni intervallari vedono quegli stessi intervalli

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come “modificati” nelle voci e nelle funzioni di ogni singola voce (ad esempio il Si sull’accordo di Do maggiore è la settima maggiore, mentre diventa la nona alterata nell’accordo di Lab maggiore, ad esempio).Ma allora, cosa dobbiamo considerare ai fini dell’armonia jazz? Gli accordi o le voci? La risposta è unica: tutti e due! Nel senso che l’accordo ci permette di indirizzarci verso le varie aree tonali (nel jazz spesso si passa da una area tonale ad un’altra senza lasciare la prima tonalità in chiave), ma poi il gusto del musicista e le esigenze del caso spingono a usufruire di quella voce, e di quel colore caratteristico (vedremo per bene successivamente che cosa intendo per “esigenze del caso”).

SCALA ARMONIZZATA

Prendiamo la scala di Do maggiore:

Se la armonizziamo, creando gruppi di accordi (aggiungendo quindi una terza, quinta e settima), avremo la scala armonizzata della tonalità della scala.

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Proviamola a suonare.

Questa scala, come tutte le scale armonizzate, continua a possedere quelli che in ambito classico si definiscono “gradi” della scala. Che accordi troviamo sui singoli gradi? Vediamo un po’:

I grado : Do settima maggiore (CMaj7)II grado: Re minore settima (Dm7)III Grado: Mi minore settima (Em7)IV Grado: Fa settima maggiore (FMaj7)V Grado: Sol settima (G7)VI Grado: La minore settima (Am7)VII Grado: Si semidiminuito (Bm5b7)

In particolare, poi, questi accordi si accomunano tra loro per la carica tonale che possiedono quando vivono in contesto tonico: in Do maggiore, ad esempio, il I, III, VI grado appartengono all’area della Tonica; il II, IV a quello della Sottodominante; il V, VII grado alla Dominante. In generale, gli accordi di una tonalità, sviluppati sulla scala armonizzata si suddividono in:

I, III, VI grado: accordi della Tonica;II, IV (VI) grado:accordi della Sottodominante;V, VII grado: accordi di dominante.L’accordo di VI grado è posto tra parentesi perché a seconda della propria funzione riesce a fungere sia da accordo dell’area tonica (cadenza evitata, ad esempio), sia da accordo di sottodominante (come dominante secondaria, se gli si altera il terzo grado).

Costruisci ora la scala armonizzata dei Sol Maggiore, Re Maggiore e Lab maggiore, distinguendo il tipo di accordi e la posizione nella scala.

CADENZA II – V – I

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A livello pratico, lo studio del cosiddetto II – V – I, è uno dei must per chiunque si avvicini allo studio del jazz e dell’accompagnamento strumentale in genere. È certamente un elemento indispensabile per ogni musicista che operi nel live e componga. Le motivazioni di quanto detto sono da ricercare nel fatto che sapere usare bene il II – V – I significa sapere muovere le parti melodiche dei voicing, e che si è appreso come funziona l’ABC dell’armonia e la si sa usare a proprio favore, e non ultimo si ha una sufficiente destrezza sullo strumento scelto (pianoforte, chitarra, marimba, basso etc etc).

Ma…cosa è questo II – V – I?Esso è null’altro se non una cadenza che sfrutta – in una tonalità maggiore o minore – gli accordi che nascono sul II, V e I grado della scala. Volendo evidenziare il basso dell’accordo (in posizione fondamentale di tonica) in tonalità di Do maggiore abbiamo quanto segue.

Se ora inseriamo il gruppo di tre suoni superiori dell’accordo, così come si sviluppano nella oramai nota armonizzazione, abbiamo quanto segue:

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In effetti, non servo io a dire che questi accordi suonano molto poco “jazz”. Prima di tutto per una poco gradevole “armonia” tra loro (dovuta agli eccessivi salti che si hanno tra un accordo e l’altro). Per aggiustarli secondo le nostre necessità dobbiamo prima di tutto cercare di limitare i salti melodici tra le voci. Si, perché è sbagliato, suonando accordi, pensare che essi siano armonia! Sono invece formati da voci che si muovono melodicamente tra loro. Sono le combinazioni che esse formano a creare una tensione armonica, e non gli accordi stessi. Significa che – ad esempio se si suona il pianoforte – non dobbiamo essere vincolati al suonare un accordo che abbia la struttura I-III-V-VII e quindi di suonare il I grado con la sinistra, mentre il III, V e VII con pollice, medio e mignolo della mano destra. Ogni dito potrebbe ( e dovrebbe!) saltare da una voce all’altra, man mano che gli accordi si susseguono. In questo modo, non suoneremo gli accordi seguendo la struttura standard I-III-V-VII, ma seguendo la regola che potremmo chiamare del minimo spostamento. Così nel concatenare più accordi, si dovrà fare attenzione a non muovere le voci che sono presenti nel precedente e nel successivo.Ecco un esempio in Do maggiore:

Riproponendo lo stesso procedimento in Lab maggiore, il risultato sarà lo stesso.

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ESERCIZIO: scrivi e poi suona le cadenze II-V-I in Sol maggiore, La maggiore, Re maggiore e MIb maggiore.

BASSI VARI

Gli accordi studiati fino ad ora hanno avuto come basso sempre la tonica. Si estende ora il concetto oramai conosciuto della cadenza ai casi in cui gli accordi si trovino in posizione di rivolto. I casi sono molteplici e sono comprensibilissimi (resta invariata la regola di non ripetere la nota suonata al basso, né di raddoppiare voci all’ottava):

Casi con primi rivolti (non tutti gli accordi logicamente si trovano in posizione di primo rivolto)

Casi di Secondo rivolto (idem)

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Casi misti (primo, secondo e fondamentale)

Casi misti (anche con terzo rivolto – settima al basso)

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Come si sarà notato, non sono pochi i casi in cui, in determinati voicing, bisogna scegliere, tra due o più voci fisse, di muoverne comunque qualcuna, benché nell’accordo che segua sussistano le stesse note (si sono usati anche accordi di “nona” che spiegheremo subito di seguito). Resta viva e vera la solita regola valida in tutte le arti: la teoria – qualunque essa sia – nasce dopo la sperimentazione e dopo il fatto stesso che si va a teorizzare. Resta comunque vero che l’arte è fatta non solo di teoria ma anche di scelte estetiche che variano volta per volta e rendono ogni volta nuovo ciò che facciamo. Ad ogni modo…conoscere questi casi serve principalmente a imparare come gestire le parti di un accordo quando ci troviamo a suonare con altri. La mano destra (nel caso del pianoforte) ora suona il basso, ma, quando si accompagna o si suona in gruppo questa nota va suonata dal bassista e quindi la nostra mano sinistra dovrà lavorare sui voicing facendo il lavoro che ora svolge la mano destra.

UNA REGOLA BASILARE: quando si suona in gruppo e non da soli, la presenza di un bassista o si un altro strumento che sostiene l’armonia (basso, contrabbasso, fagotto etc) implica che noi non suoniamo la fondamentale, ma sfruttiamo le nostre dita per arricchire – ove necessiti – di altre “armonie”. In generale, ove non specificato o richiesto dal brano, e ove non ci si sia messi d’accordo, si assumerà come Tonica, la nota suonata dal basso e quindi l’accompagnamento non raddoppierà tale nota (se ci pensiamo è ciò che capita anche in tanta musica classica e l’orchestra d’archi di stampo corelliano insegna!!!).

UN PASSO AVANTI…..

Un accompagnatore, improvvisatore o semplicemente un musicista pop che voglia arricchire le proprie armonie, non può non estendere il proprio bagaglio armonico verso accordi più aperti. Anche in ambito prettamente accademico, lo studio del II – V – I non viene fatto unicamente sugli accordi di settima, ma lo si approccia – una volta automatizzata la procedura, sfruttando gli accordi di nona. Come si lavora?

1. Come nel caso precedente, la mano sinistra suona il basso (I, III, V, VII o IX grado);

2. La mano destra suonerà quattro voci escludendo la voce suonata al basso.

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N.B. Non ci si preoccupa delle quinte parallele e delle ottave. Unisoni sono impossibili. Si constaterà che le parti si muoveranno con pulizia, se si osserveranno le semplici regole esposte.

Ecco un esempio in Do maggiore:

E un altro in Lab maggiore:

ALCUNE CONSIDERAZIONI:

RANGE: i voicing si spostano e si muovono nell’area del sol sotto al do centrale e il sol all’ottava. Questo per permettere agli accordi di suonare bene e di permettere una amalgama di frequenze con gli altri strumenti.

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RITMICA: sarebbe interessante seguire qualche ritmica in modo da creare dinamica e fare pratica. Si usino queste ritmiche combinate sia per il basso che per i voicing.

Ritmiche:

Ritmica 1:

Ritmica 2:

Ritmica 3:

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Il limite è soltanto la fantasia! Oppure basta prendere come esempio un pattern ritmico da un brano di nostro gradimento, e emularlo il più possibile cambiando gli accordi che abbiamo strutturato o che abbiamo trovato sul real-book.

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INDICE

1. CARATTERI DELL’ARMONIA JAZZ2. SCALA ARMONIZZATA3. CADENZA II – V – I4. BASSI VARI5. UN PASSO AVANTI (ACCORDI DI NONA)6. ALCUNE CONSIDERAZIONI