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ART 33 9-10 I e IV di cop · messo piede in un’aula. Vorrei che il sin-dacato, e non solo, aprisse spazi per af-frontare le questioni pedagogiche e didattiche. Vorrei sapere cosa

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SOMMARIO

Editoriale 1 /Il difficile esercizio della libertà Dopo il caso della scuola di Palermo

Lo scrigno Z/ Notizie in breve A CURA DI LOREDANA FASC/OLO

Mercurio 3/Racconto fantascientifico ERMANNO DETTI

Attualità 4/Un punto di partenza per l'azione sindacale t.:intesa del 23 aprile e le prospettive che apre

7 /Un nuovo vangelo: chi più ha più riceve Autonomia differenziata in base al reddito GIUSEPPE FIORI

8/ #RESTIAMO UNITI. la campagna della CGIL contro l'autonomia differenziata

11 /Riforme e paradossi La pubblica amministrazione nel mirino del governo MARIO RICCIARDI

Pedagogie 16/La scuola e i millennials Aprire un ampio dibattito pubblico INTERVISTA A CHRISTIAN RAIMO, DI PINO SALERNO

Osservatorio sull'università A CURA DI FABIO MATARAZZO

- 18/L'università al tempo dei social Nuove tecnologie e nuovi linguaggi nell'alta formazione

- Z1/Piccoli timidi passi L: attività del governo e del Parlamento

- Z5/La FLC CGIL: Sull'università una turbo autonomia differenziata

- Z6/Le sollecitazioni del Consiglio universitario nazionale Valutazione o fabbisogno finanziario?

- Z8/L'università e la ricerca ... del profitto Studiare in una società per azioni

- 31/La parola ai giudici Sentenze di TAR, Consiglio di stato e Corte dei conti

Comunicazione e linguaggi 40/Nugae per docti viri? l l latino e la "classe" politica italiana MARCO RICUCCI

Tempi moderni 43/Lo scrittore che dette voce al mondo dei "vinti" 100 anni fa nasceva Nuto Revelli DAVID BALDINI

47 /Unica via di scampo per i vinti: l'emigrazione l protagonisti/ Nuto Revelli A CURA DI AMAD/G/ DI GAULA

48/La donna: la forza dei campi La specola e il tempo/Le donne di Revelli A CURA DI ORIOLO

Studi e ricerche 49/Che fatica fare la maestra! Una ricerca di CGIL e Fondazione Di Vittorio su nidi e scuole d'infanzia ANNA MARIA VILLAR/

Sulla funzione educativa dell'arte 5Z/ Attraversamenti di genere Julia Pietrangeli, regista, video maker, performer INTERVISTA A )UL/A PIETRANGELI, DI MARCO FIORAMANTI

Teatro 56/Come i chicchi nella pannocchia "La strategia del colibrì", al teatro Cometa off di Roma RAFAEL F. LOBO

57/1 fantasmi del palcoscenico Roma, teatro Garbate/la: "La Fleur. Il fiore proibito" MARCO FIORAMANTI

Libri 58/Asimmetrie sociali. Tra bugiardini e neologismi La comunicazione medici-pazienti LOREDANA FASC/OLO

59/L'educazione e lo sviluppo dell'essere umano Riflessioni su un libro di Massimo Baldacci GENNARO LOPEZ

6Z/Nelle tenebre della mente Ossessioni kafkiane in una graphic nove/ VIRGINIA VILLAR/

63/Confessioni di uno zero Un viaggio nel tempo e nella mente MARCO FIORAMANTI

Recensioni 64/Schede A CURA DI ANITA GARRANI

Articolo 33 mensile promosso dalla FLC Cgil anno Xl n. 6/20 19 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7112/2004 -Valore Scuola coop. a r.I. - via Leopoldo Serra, 3 1/37 - 00 153 Roma- Tel. 06.5813173 - www.edizioniconoscenzo.it - [email protected] Abbonamento annuale: euro 60,00 - Per gli iscritti FLC CGIL euro 40,00 - PREZZO UNITARIO PER una copia euro 12,00 - Versamento su c/cp n. 6361 l 008 - intestato a Valore Scuola coop. o r.I. oppure bonifìco bancaria. Direttore responsabile: Ermanno Detti Direzione: Renato Comanducci, Gennaro Lopez.Anna Maria Vi Ilari Comitato scientifico: Alessandro Arienzo, Emanuele Barbieri, Mariagrazia Contini, Francesco Cormi no, Massimiliano Fiorucci, Giuliano Franceschini, Caterina Gammaldi, Dario Missaglia, Giovanni M cretti, Alessandro Pazzaglia, Mario Ricciardi, Paolo Rossi, Francesca Serafìni, Francesco Susi, Guido Zaccagnini, Giovanna Zunino -In redazione: David Baldini, Paolo Cardani, Loredana Fasciola, Marco Fioramanti, Fabio Matarazzo. Layout, impaginazione, copertina: Marco Fioramanti. Stampa:Tipolitografia CSR, via di Pietralata, 157- Roma- Hanno collaborato a questo numero: Amadigi di Gaula, Giuseppe Fiori, Anita Garrani, Rafael F. Lobo, Gennaro Lopez, Oriolo, Mario Ricciardi, Marco Ricucci, Pino Salerno, Virginia Vii lari

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PEDAGOGIEaprire un ampio dibattito pubblico

denti, distruggendo il processo di re-sponsabilizzazione e di autonomizza-zione, senza rispettare tempi e bisognidella formazione della personalità deglistudenti. Insomma, non è più lo studentea raccontare alla sua famiglia la suaesperienza scolastica, e dunque salta lanecessaria mediazione narrativa. I geni-tori così si trovano in un rapporto direttocon la scuola, non mediato dalla rela-zione con i figli, gli studenti. È un gravedanno anche per l’equilibrio della comu-nità educante, che si riverbera su fami-glie e insegnanti. Inoltre, la reintroduzio-ne del voto in condotta limita ancor di piùil processo verso l’autonomia, rispettoalle proprie scelte politiche. E il limitedelle 50 assenze pone muri all’educa-zione sociale e politica, all’impegno nelvolontariato politico e sociale. L’alter-nanza scuola-lavoro infine è l’altro dannoinferto alla crescita e allo sviluppo dellagenerazione: in due sensi, perché non èun’educazione alla cultura del lavoro (sechiedo la differenza tra Confindustria eSindacato e tra sciopero e serrata, lo stu-dente non lo sa, dopo aver fatto 400 o200 ore di alternanza). Al contrario, perla scuola è fondamentale insegnare qualè la cultura del lavoro e dei diritti del la-voro, perché lo impone l’articolo 1 dellaCostituzione.

In questo contesto, si è dato spazio aun ampio dibattito sullo studio dellaStoria e della Filosofia. Allargheresti lostudio della filosofia e della Storia?

LA SCUOLA E I MILLENNIALSIntervista a Christian Raimo, di PINO SALERNO

Cristian Raimo è docente di Filosofia e Storia. In questi mesi è impe-gnato come assessore alla Cultura nel Municipio III di Roma. Hapubblicato, tra gli altri, Tranquillo prof, la richiamo io, Torino, Einaudi,2015 e Ho 16 anni e sono fascista. Indagine sui ragazzi e l’estremadestra, Milano, Piemme, 2018. Di recente è stato al centro di una

polemica al Salone del libro di Torino, dal quale si è dimesso da collaboratore perla presenza di editori dichiaratamente neofascisti.

Christian Raimo, partiamo intanto dalla tua esperienza di docente di Filosofiae Storia nei licei. Come vedi la condizione della scuola italiana nel XXI secolo, esoprattutto come consideri l’esperienza di docente coi giovani millennials.

Dal punto di vista della didattica, ci sono oggi sfide importanti per la scuola: unagenerazione ha cambiato gli strumenti dell’educazione informale, e si trova di frontea un rapporto con la conoscenza segnato dal prima e dal dopo Internet. Le agenzieeducative oggi competono di fatto con questa trasformazione di un’educazione ditipo informale in cui le gerarchie sono saltate tutte. Ed è una sfida enorme. Ma piùnello specifico, occorre focalizzarsi sull’educazione alla politica dei millennials nel-l’epoca in cui sono stati messi in discussione tutti i principali centri di elaborazionepolitica, dai partiti, alle parrocchie alle grandi organizzazioni di massa. Così, i mil-lennials si ritrovano in una condizione assai difficile, in cui il ruolo del docente va ri-calibrato sui loro bisogni. Dall’altra parte della loro vita studentesca, essi si ritrovanocon il registro elettronico che non consente un’autonomia autentica, una crescitadella loro personalità autonoma e responsabile. Se la famiglia può sapere in temporeale i voti, le assenze, ad esempio, essa può esercitare un controllo diretto sugli stu-

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PEDAGOGIE aprire un ampio dibattito pubblico

Mi rendo conto che la battaglia è di re-troguardia e di resistenza. Ma va fatta.Cercherei di tenere il punto su alcune que-stioni decisive. Insomma, io sono per losmantellamento del registro elettronico neilicei, mentre ad esempio l’Invalsi an-drebbe affrontato senza tifoserie. Va toltoil voto in condotta, e va abolita l’alter-nanza, così come l’arma delle 50 as-senze, che impedisce l’impegno sociale epolitico degli studenti. E infine credo chesia una follia la norma sul bonus del me-rito per i docenti. Sull’Invalsi, tuttavia, vafatto un lavoro di ritrasformazione, ripor-tandolo a ciò che era, un istituto di ricercapedagogica, nel quale ci sono professio-nalità elevatissime. Ora viene usato nellepolitiche pubbliche solo come un grandis-simo raccoglitore di dati da usare in modostrumentalissimo, sprecando il potenzialedi monitoraggio dell’Invalsi, che potrebbeessere usato per nuove iniziative pedago-giche. Questa porosità ancora non c’è. Edunque, accanto a queste iniziative, van-no rivisti programmi e metodologie didat-tiche che riguardano un maggiore prota-gonismo del pensiero critico, della Filo-sofia e della Storia.

Il dibattito sul Salone del libro di To-rino si è concentrato sulla presenza dicase editrici chiaramente neofasciste.Tu sei stato il primo a dichiarare le di-missioni dal gruppo che lo dirige.

Io pongo una questione: il campo con-teso oggi è quello dei liberali, quello delleregole democratiche, non è in discussioneil campo del progressismo, dove già con-vivono culture antifasciste, un campo peròdebole che trova riconoscimenti in alcunigesti e alcune battaglie, come quella diMimmo Lucano, delle manifestazioni dall’8marzo, al 2 aprile, all’8 aprile, al 25 aprile.Quel mondo mette assieme ambiente,

guarda a Bolsonaro, a Erdogan, aDuerte, che riemerge, esaltando le de-mocrature, a cui guarda con enorme in-teresse. In questo contesto, è evidenteche la presenza dell’editoria vicina alneofascismo fosse considerato un pro-blema da affrontare.

Ma proprio in questo contestoemerge il ruolo degli intellettuali, deidocenti e della scuola costituzionale.E in particolare del sindacato.

Sono costruttivamente critico nei con-fronti del sindacato. Credo che neglianni scorsi sia mancato un lavoro di ra-dicalità e di democrazia interna. La cosamigliore che il sindacato, e non solo,può fare è, secondo me, quella di darela possibilità a docenti, studenti, presididi elevare il dibattito pubblico, di dareparola alle scuole. Raccontare le storiedi risentimento, mobbing, quell’autorita-rismo soft che si agita nelle scuole. Darespazio al grande dibattito che avvienenelle aule, nelle sale docenti, che devetrovare uno spazio pubblico, attraversoblog o riviste, insomma nei mille luoghipubblici dove si parla e si discute. Lascuola non è raccontata, purtroppo, senon da persone che non hanno maimesso piede in un’aula. Vorrei che il sin-dacato, e non solo, aprisse spazi per af-frontare le questioni pedagogiche edidattiche. Vorrei sapere cosa hannofatto nella classe di quel centro dove c’èstato un fenomeno di razzismo, o comeè stato risolto il freddo in classe, espe-rienza diffusa e non banale, vorrei sa-pere come si imbastisce una discussio-ne tra gli studenti e i docenti sul mondoe la realtà. Ecco, vorrei che si parli diqueste esperienze in un grande dibattitopubblico sulla scuola, magari promossodal sindacato.

femminismo, antifascismo, antirazzismoe si trova in piazza a condividere alcuniprincipi, tra i quali la nonviolenza. Queimovimenti ormai sono molto maturi, concaratteristiche come l’ironia e l’interna-zionalismo, che la rete consente. C’è unanuova generazione che si riconosce nelgiovane Simone di Torre Maura, o inGreta Thunberg che sciopera per il climao nei ragazzi che si fanno i selfie sbef-feggianti con Salvini. Ci sono figure chediventano simboliche come Soumahoro,Liliana Segre, Regeni, Mimmo Lucano,modelli che però non appartengono almondo dei partiti. Ecco perché questomondo, antifascista e antirazzista, devedialogare con quel mondo apparente-mente distante che è costituito dai libe-raldemocratici. Per quanto mi riguarda, ilSalone del libro di Torino è stata una dop-pia vittoria politica, rispetto alla parteci-pazione della cittadinanza. In soli tre anniil gruppo dirigente è riuscito a rianimareuna manifestazione in crisi trasforman-dola in una agorà cittadina, per una To-rino in crisi vocazionale. Una sfida vinta.E Nicola Lagioia, il direttore del Salonedel libro, merita tutta la stima, e tiene te-sta alle piccole provocazioni che possonopervenire dalle diverse parti. L’esperienzadi Torino è un’esperienza modello, nonsolo per l’Italia. D’altra parte, nelle setti-mane immediatamente precedenti, cisono stati diverso problemi in Italia, unasorta di contesto mefitico. Prima di Torino,c’è stato un ministro degli Interni che si èfatto fotografare col mitra e ha affermatoche il 25 aprile non ha senso, c’è statol’assalto a una libreria libera di Roma, ealtri episodi di violenza neofascista. In-somma, una messa in discussione deicapisaldi della democrazia, analoga-mente a quanto avviene in altre parti delmondo. È l’estrema destra, quella che

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OSSERVATORIO SULL’UNIVERSITÀ

nuove tecnologie e nuovi linguaggi nell’alta formazione

e quant’altro necessario a consentire e fa-vorire una presenza continua e un ap-prendimento delle più recenti acquisizionidella scienza e della cultura, intermediatedal docente e arricchite da un suo perso-nale e originale contributo di ricerca. Icorsi di laurea con connotati professiona-lizzanti dovrebbero corrispondere alle esi-genze espresse dal territorio e dal mondodel lavoro. Per questo motivo si richiedeche i loro rappresentanti siano attiva-mente coinvolti nella loro ideazione e ar-ticolazione.

Potremmo proseguire a lungo per av-valorare l’opinione che oggi sia ancoraquesta l’immagine che l’Università proiettadi sé. Ma, una conferma inoppugnabile ciè data dai criteri per la valutazione e l’ac-creditamento degli Atenei e dei corsi distudio che Ministero e Agenzia per la va-lutazione hanno individuato e decretato inquesti ultimi anni. Sull’ANVUR, sui suoi cri-teri, sulle conseguenze delle sue azioni siè detto tutto e non è qui il caso di tornaresull’argomento. Chi ne avesse desideriopotrebbe rileggersi anche i due quaderni,allegati ai precedenti numeri di questa ri-vista1, che hanno affrontato il tema neisuoi vari aspetti e con contributi autore-voli e interessanti.

Alcuni requisiti allegati al decreto mini-steriale 6/2019 per l’accreditamento deicorsi sembrano confermare la percezionedi cui si è detto: «Ai fini della verifica delpossesso del requisito di docenza perl’accreditamento iniziale e periodico dei

Credo sia tempo di chiedersi se, e in quale misura, l’attuale configura-zione dell’Università sia adeguata all’impatto con la rete e alle stravol-genti novità che essa comporta nei nostri modi di conoscere, di agire,di relazionarci nel contesto della globalizzazione. La più recente defini-zione del ruolo e della missione dell’Università è quella dettata dalla

legge 240/2010. Il disegno dal quale essa è scaturita risale formalmente a un annoprima e conferma la continuità di una struttura che, al di là di alcune soluzioni di conti-nuità organizzative, non si differenzia, nella sostanza, dalla sua tradizionale immagine.

Presentandola all’Aula, l’allora relatore, il senatore Valditara, la definì orgogliosa-mente «la più importante riforma di questa legislatura nel settore della istruzione e dellaricerca. Affronta invero in modo organico temi strategici per lo sviluppo del sistema uni-versitario: la governance e la struttura degli atenei, la premialità degli studenti merite-voli, la valutazione, il commissariamento e l’accreditamento degli atenei, così come ilriequilibrio fra atenei, lo stato giuridico di docenti e ricercatori, il reclutamento, i settoridisciplinari, i contratti di insegnamento e ricerca. La riforma ricalca per alcuni aspetti so-luzioni già delineate dai due disegni di legge presentati rispettivamente da maggio-ranza e opposizione, per altri aspetti innova anche in modo significativo».

L’università e l’immagine che proietta

Questa esposizione pone in luce come – al di là delle differenze, anche profonde, suidelicati aspetti della controversa normativa e dell’opposizione forte alla legge Germiniche si è sviluppata nell’università e daparte del sindacato – la rappresentazione del-l’Università fosse condivisa e rispondesse ai canoni tramandati dagli anni nei quali le-gislatori, classe dirigente e opinione pubblica l’hanno conosciuta e frequentata.Un’istituzione nella quale il ruolo basilare è del docente che svolge la sua lezione, conorari prefissati, in aule apposite e adeguate a contenere numeri di studenti rapportatia quelli dei docenti e alla loro capienza; alla possibilità di usufruire di servizi, laboratori

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L’UNIVERSITÀ AL TEMPO DEI SOCIALa cura di FABIO MATARAZZO

L’ultima riforma, quella Gelmini, risale al 2010.L’impatto con i canali di accesso alle informazionie le modalità di comunicazione cambiano in tempimolto più veloci. E con essi le esigenze degli stu-denti. Ridefinire ruolo e missione

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OSSERVATORIO SULL’UNIVERSITÀ

nuove tecnologie e nuovi linguaggi nell’alta formazione

corsi di studio si fa riferimento ai seguentinumeri minimi dei docenti di riferimento,calcolati con riferimento al quadro della di-dattica erogata nella SUA2 nell’anno acca-demico in corso di svolgimento per i corsigià accreditati e sul quadro della didatticaprogrammata per gli eventuali corsi dinuova istituzione [...]». Altrettanto può dirsiper i requisiti strutturali: «I requisiti di strut-tura comprendono le strutture messe a di-sposizione dei singoli corsi di studio (aule,laboratori, ecc.) o di corsi di studio affe-renti a medesime strutture di riferimento(Dipartimenti, Strutture di Raccordo qualibiblioteche, aule studio, ecc.).

La disponibilità effettiva dei requisitistrutturali e la loro funzionalità, dichiaratenelle SUA-CDS3, verranno puntualmenteverificate durante le visite in loco, anche inrelazione alle specificità dei corsi di stu-dio (L, LM, LMCU4), al numero degli iscrittie alla strutturazione dei corsi di studio».La qualità dei corsi, inoltre, deve assicu-rare che gli obiettivi individuati in sede diprogettazione «siano coerenti con le esi-genze culturali, scientifiche e sociali e ten-gono conto delle caratteristiche peculiariche distinguono i corsi di laurea e quelli dilaurea magistrale. Per ciascun corso sonogarantite la disponibilità di risorse ade-guate di docenza, personale e servizi,sono curati il monitoraggio dei risultati ele strategie adottate a fini di correzione edi miglioramento e l’apprendimento in-centrato sullo studente».

L’irrompere dell’immate-riale anche nella cultura

L’aggiornamento di strumenti e metodipiù moderni per realizzare una migliorefunzionalità delle strutture e promuovereun maggiore impegno del personale e

zione che ci attende. Nell’attività imma-teriale produrre ha costi decisamente in-feriori a quella fisica e riprodurre ne hapraticamente nulli. Nell’immateriale ar-chiviare e immagazzinare non ha costi adifferenza di quelli, a volte notevoli, ri-chiesti dagli spazi materiali. Con l’imma-teriale trasferire non costa nulla ed èistantaneo. Sistemi informatici già si at-trezzano per prendere decisioni su per-corsi, controllo di processi e attività; sonoin grado di riassumere testi e, a maggiorragione lezioni cattedratiche e seminari.L’immateriale non conosce confini di ora-rio e di luogo. L’acquisizione della cono-scenza e la sua trasmissione, la pro-duzione scientifica con le sue pubblica-zioni, il ruolo di intermediazione svoltodal docente, tutto è messo in discus-sione dal nuovo che avanza e che puòintimorire ma non deve indurci e na-scondere il capo sotto la sabbia. Il pre-annunciato sconvolgimento del mondodel lavoro e delle professioni, dell’orga-nizzazione industriale e dell’invocatonuovo modello di sviluppo, non può nonriflettersi, da subito, sull’articolazione deicorsi di laurea, sui contenuti degli inse-gnamenti, sulle finalità che debbono per-seguire.

Vantaggi e rischi, tuttida affrontare

Un ultimo aspetto di questa panora-mica su un terreno tutto ancora da esplo-rare e bonificare ma nel quale èimpossibile restare ai margini, riguardagli studenti e il loro rapporto con l’Uni-versità. Sembrano innegabili i vantaggima altrettanto preoccupanti i rischi. Tra ivantaggi, un orientamento decisamentepiù mirato e consapevole. Sappiamo

degli organi di governo in vista di risul-tati misurabili; la ricorrente elaborazionedi procedure per la loro verifica, deman-data, spesso, ad algoritmi apposita-mente sperimentati, non sembrano ingrado, a mio avviso, di fugare quella sen-sazione di ancoraggio a un passato cheè aggiornato, ma non rivoluzionato comeforse richiederebbe con urgenza la inar-restabile invadenza della dimensione im-materiale che, per mezzo della rete, stainesorabilmente sovvertendo quella ma-teriale e con essa l’economia, la cultura,l’idea di progresso, in sostanza la nostraciviltà.

All’Università accedono oggi, e sem-pre più avverrà nei prossimi anni, i c.d.nativi digitali. Per loro alcune attività, pernoi consuete, saranno qualcosa di nonpiù abituale. Se si considera che lasce-ranno l’Università nel prossimo decen-nio, possiamo ritenere che quantoricevono sia adeguato e coerente con iloro modi di essere, di conoscere, di rap-portarsi? Con quanto praticano quotidia-namente nella loro esperienza? Alcuneregole di base della deriva immaterialesono radicalmente diverse da quella ma-teriale. Questa diversità i nativi digitali laconsiderano ormai connaturata e acqui-sita. Per chi è cresciuto nel mondo ma-teriale è spontaneo, invece, rapportarsia esso con schemi mentali che riman-gono ancora legati a un mondo fisico de-stinato sempre più a ridimensionarsi.L’Università, pur con le comprensibili re-more e resistenze, non può non proiet-tarsi al futuro e non mostrarsi coerentecon questo processo. Si richiedono,certo, atteggiamenti e comportamenti ditutto l’apparato improntati a prevedere eassecondare le novità piuttosto che ri-percorrere modelli consuetudinari. Alcuniesempi possono dare l’idea della rivolu-

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OSSERVATORIO SULL’UNIVERSITÀ

nuove tecnologie e nuovi linguaggi nell’alta formazione

l’importanza di questo tema e l’impegnorichiesto ed esercitato in proposito dagliatenei per ridurre, anche con questomezzo, la percentuale ancora troppo ele-vata di rinunce e abbandoni. Gli stru-menti informatici con cui si individuano,oggi, in misura sempre più precisa e det-tagliata le nostre attitudini e preferenze,per bombardarci con messaggi pubblici-tari, potrebbero dimostrarsi utili per co-gliere, al meglio, le propensioni di chiaccede all’Università, monitorarne i ri-sultati per intervenire con azioni mirate asupportarne il percorso nei momenti didifficoltà e di caduta. La possibilità diusufruire di lezioni o seminari h/24, inqualsiasi luogo, una volta registrati e tra-smessi telematicamente; la possibilità diaccedere con facilità a qualsiasi biblio-teca e a tutta la letteratura disponibile suqualsiasi argomento, anticipando o ar-ricchendo l’insegnamento curricolarecon conferenze o lezioni acquisite dallarete; l’opportunità, infine, di interloquirevia ‘email’, ‘sms’ o attraverso i ‘social’,con colleghi o docenti, h/24 da qualun-que luogo, per instaurare o approfondiredialoghi utili o manifestare necessità diapprendimento ulteriori o specifiche. Unsistema più immediato e diretto peresprimere giudizi e richieste di quantonon avvenga ora con le anonime schedecon le quali si richiede che gli studentiesprimano il loro gradimento o meno sulcorso e sul comportamento del docente.Il rischio da fugare è che queste occa-sioni possano diminuire la predilezionea un’assidua frequenza dell’ateneo condeprecabili conseguenze, per tutti, suirapporti umani e sociali di una comunitàche deve restare tale e non risolversi inuna somma di individui dialoganti sol-tanto attraverso lo schermo di un com-puter.

MIUR che potrà attingere alle significativecompetenze dei soggetti che nel mondouniversitario e nel Paese supportanoazioni specifiche relative a questo pro-cesso.

In conclusione dei lavori è stato re-datto un manifesto «che rappresenta ilpunto di partenza di un percorso di pro-fondo cambiamento dell’Università ita-liana. Il Piano Nazionale per l’UniversitàDigitale presenta obiettivi chiari e rag-giungibili: innovazione nella didattica,maggiore inclusività nelle lauree per col-mare il gap con l’Europa, più flessibilità einterazione con le esigenze del mondodel lavoro. L’auspicio è di poter presen-tare i primi frutti già durante Expo Dubai2020 dove il sistema Universitario saràpresentato e promosso come una dellericchezze del nostro Paese. Con l’orgo-glio delle nostre radici e la visione dellanostra ricerca, gli atenei italiani sonopronti a rilanciare la sfida: coniugare di-gitale e globale al servizio della culturanazionale».

Una sfida nella quale l’Università do-vrebbe sentire accanto a sé tutto ilPaese perché il risultato atteso non ri-guarda soltanto il sistema universitarioma il futuro della nostra collettività na-zionale e dei ragazzi che ne saranno iprotagonisti.

Non possiamo consegnargli armispuntate!

NOTE

1 Si tratta del Quaderno n. 2/17, La valuta-zione oltre l’ideologia. Problemi e prospettive peril sistema universitario; e del Quaderno n. 3/18,La valutazione del sistema universitario e dellaricerca. Una riflessione critica per proporre unnuovo modello.

2 Scheda unica annuale.3 Corsi di studio.4 Laurea, laurea magistrale, laurea magi-

strale a ciclo unico.

Sono, spero si comprenda, spunti persollecitare una riflessione su questi ar-gomenti, per scuotere la pigrizia a nonproiettarsi nello scenario futuro e a nonimmaginare quale possa essere quellodell’Università inserita nello spazio glo-bale e immateriale. Una realtà già attualedi cui è necessario studiare per tempo ri-schi e opportunità.

Non si può negare che il sistema uni-versitario non avverta questa esigenza.Si dimostra tuttavia ancora troppo timo-roso per affrontare con determinazionele innovazioni opportune ma certamenteestranee a mentalità e costumi di chi logoverna e vi opera.

Le iniziative e i documenti più recentiin proposito sono il piano nazionale perl’università digitale e l’istituzione di un ta-volo di lavoro tra la CRUI e il MIUR. Conessi si definiscono i prossimi passi. Li se-guiremo con attenzione, ma fin d’ora neanticipiamo la direzione di marcia ri-prendendo i passi salienti del “Piano Na-zionale per l’Università Digitale”, varato aUdine nei giorni 27 e 28 giugno 2018, di«serrato confronto e di proposte […]sotto l’egida della CRUI, con la parteci-pazione di oltre duecento rappresentantida tutti gli atenei del paese».

I lavori si sono articolati su 8 tavoli te-matici volti a porre al centro dell’alta for-mazione le tecnologie digitali comenuovo linguaggio per l’apprendimentocontinuo, strumento essenziale per lacrescita individuale e del sistema paese,e la comprensione di un mondo in co-stante e rapida evoluzione. Il dibattito siè svolto attorno ai temi delle infrastrut-ture necessarie a supportare questatransizione, e ai processi fondanti del-l’insegnamento. Dal dibattito è emersa lanecessità di fare sistema e aprire ungruppo di lavoro congiunto tra CRUI e

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cento anni fa nasceva nuto revelli

Nato a Cuneo cento anni fa, il 21 luglio 1919, Nuto Revelli, dopo averconseguito il diploma di geometra, a vent’anni entrò nell’Accademiamilitare di Modena, per essere poi assegnato – con il grado di sotto-tenente – al secondo reggimento alpini della Divisione Cuneense. In-viato sul fronte russo nel luglio del 1942, come ufficiale del quinto

reggimento della Tridentina – battaglione Tirano –, vedrà cadere uno a uno tutti i“miti” creati ad arte dalla propaganda fascista, che così grande seguito avevano ri-scosso tra molti giovani ufficiali dell’esercito regio. Osserva a tale proposito SantoPeli:1 «Per molti di loro è qui, nella steppa russa, che “pietà l’è morta”, come pro-clamerà il più famoso canto partigiano, scritto appunto da Revelli».2

Una presa di coscienza antimilitarista, quella di Revelli, cui non rimarrà tuttaviaestranea neppure la truppa, se si deve dare credito al canto di rivolta di quei so-pravvissuti che, rientrati a Udine dal fronte orientale, furono uditi pronunciare le se-guenti parole: «Abbasso Mussolini – l’assassino degli alpini».3

Più tardi, a proposito della tragica esperienza bellica che lo aveva visto protagoni-

I vinti di Revelli sono le vittime innocentidella brutalità della guerra, quelli che nesubiscono le conseguenze anche quando è finita. Attraverso una raccolta ordinatadi testimonianze rappresenta l’atavica in-giustizia che pesa, come una maledizione,sulla classe dei poveri e degli sfruttati

DAVID BALDINI

sta, lo scrittore cuneese a sua volta con-fesserà: «Maledii il fascismo, la monar-chia, le gerarchie militari, la guerra. Avevocapito tutto, ma troppo tardi».

Orrore della guerra e im-pegno per la liberazione

In lui, del resto, la consapevolezza chela guerra fascista, oltre che “inutile”,fosse anche “ingiusta” e inumana, è ab-bastanza precoce. Rievocando ne Laguerra dei poveri il suo trasferimento sulfronte russo, non avrebbe mancato, con

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TEMPI MODERNI

LO SCRITTORE CHE DETTE VOCEAL MONDO DEI “VINTI”

Nel 1960, quando incontrai “Mauthausen” [un povero folle, ndr], alcune certezzeerano ben salde in me. Odiavo la guerra, sapevo che la povera gente paga semprele colpe degli “altri”, sapevo che i monumenti e le lapidi sono l’ultimo colpo di spu-gna sulla lavagna delle cose impunite. […] Toccavo con mano che l’approssimarsidel “miracolo economico” aveva un rovescio della medaglia: dimenticare!

(Nuto Revelli, La strada del Davai, prefazione - Einaudi, Torino 1966)

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cento anni fa nasceva nuto revelli

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lui più forte di ogni tentazione di intimistico ripiegamento. Glieloimponeva quell’empatia provata per la “gente contadina”, con laquale aveva cominciato a “dialogare” fin dalla «primavera del1941, nella caserma “Cesare Battisti” del 2° reggimento alpini».6

Tale volontà di “testimoniare”, d’altro canto, non era estranea aquel più generale clima di “impegno” politico e culturale, che si eraaffermato in Italia nell’immediato dopoguerra. Sarà infatti proprio datale humus che nacque e si diffuse quella letteratura della Resistenzache fu, come ha osservato Norberto Bobbio, «di non scrittori, del li-bro unico, diario, cronaca, racconto, taccuino, testimonianza, chesta tra le confessioni e il monito, l’arido documento e lo sfogo, l’im-precazione e l’apologia, il rimpianto e la profezia».7

La testimonianza per ritrovare l’umanità

Ebbene, partendo da questi presupposti, Revelli verrà via via di-spiegando una intensa attività di scrittore; una attività che – atte-stataci sia dagli scritti diaristici sia dalle numerosissimetestimonianze orali da lui stesso raccolte – lo accompagnerà peril resto della vita. Giovanni Falaschi individuerà proprio nella di-versa maturazione ideologica avvenuta negli uomini della Resi-stenza l’elemento che differenzierà, ad esempio, Fenoglio daRevelli:8 «il primo disperatamente antitedesco e antifascista mamai nettamente sgombro dai fantasmi della mitologia monarchicao almeno indifferente al rivolto socio-politico della lotta partigiana,cioè non nettamente orientato verso il futuro democratico chel’avrebbe seguita; il secondo, invece, vivacemente polemico e re-pubblicano e sempre più convinto che il crollo era stato, e dovevaessere, irreparabile e totale».

sgomento, di osservare: «Nei dodici giorni di tradotta che miportarono in Russia, vidi la guerra anche se il fronte era lon-tano. In Austria, in Germania i prigionieri scalzi e stremati lungoi binari. In Polonia ebrei a branchi segnati con marchio giallonelle stazioni a raccogliere i rifiuti. In Ucraina bambini con gli oc-chi troppo grandi che chiedevano alle tradotte un pezzo di gal-letta. In una stazione distribuimmo il rancio caldo agli ebrei. Nonne avevamo da buttar via, ma quella fame ci spaventava».4

Dopo aver ben meritato in terra di Russia – come testimo-niano le due medaglie d’argento al valor militare conseguite sulcampo –, egli rientrò finalmente nella città natale, per trascor-rervi un breve periodo di convalescenza. Ma sarà una quietedi breve durata. Con l’avvento dell’8 settembre 1943, fu tra iprimi ad entrare nella Resistenza piemontese, militando nellefile di “Italia libera”, prima formazione partigiana del Partitod’Azione guidata da Livio Bianco e Duccio Galimberti. Suc-cessivamente, assumerà egli stesso il comando della brigatapartigiana “Carlo Rosselli”, operante in Italia e in Francia.

Sul significato della scelta resistenziale di molti reduci dalfronte russo è stato scritto:5 «Nelle concitate fasi a ridossodell’8 settembre, non saranno davvero molti quelli che, comeRevelli, riescono a vincere la nausea della guerra, lo svuota-mento morale e le ferite, la spossatezza che la campagna diRussia imprime nei sopravvissuti». E Revelli, a riprova del suogià sperimentato valore, fu tra questi: non a caso troverà mododi distinguersi anche nella guerra di Liberazione, ottenendouna medaglia d’argento al merito.

Nominato alla fine della lotta resistenziale colonnello delruolo d’Onore, si dimise dall’esercito e si ritirò nella sua cittànatale, dedicandosi al commercio di lamiere, profilati e pro-dotti siderurgici. Ma il bisogno di dare voce a quanti, nono-stante il sangue versato per la Patria nelle sterminate stepperusse, erano destinati all’oblio – entrando a far parte dellagià cospicua schiera dei “dimenticati” della storia –, sarà in

La guerra che verrà

Non è la prima. Primaci sono state altre guerre.Alla fine dell’ultimac’erano vincitori e vinti.Fra i vinti la povera gentefaceva la fame. Fra i vincitorifaceva la fame la povera gente egualmente.

(B. Brecht, Poesie e canzoni, Einaudi, Torino 1984)

Paradiso americano

Paradiso americanodei bambini a cavallo delle capre:troppo sole per un sabba faustianodove bastano i santi,troppi cenci per le baccanti:l’orizzonte troppo lontanoall’animo rinchiuso accenna invanolà dove il mondo s’apre.Pel vento che la terra asciuga e frugaogni partenza è fuga, paradiso americano.

(C. Levi, Poesie inedite. 1934-1946, Mancosu Ed. 1990)

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cento anni fa nasceva nuto revelli

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I segni di tale fedeltà, lunga tutta una vita, compaiono del re-sto, in Revelli, fin dal suo primo libro, Mai tardi. Diario di un al-pino in Russia, che, pubblicato nel 1946 dall’editore Panfilo diCuneo, uscirà nel 1967, in edizione riveduta, per i tipi di Einaudi.Ad esso seguirà La guerra dei poveri. Il fronte russo (1962),opera nella quale lo scrittore, riprendendo nella prima parte letematiche del romanzo precedente,9 prosegue il drammaticoracconto della disfatta italiana sul fronte russo, che, susse-guente alla resa tedesca a Stalingrado, aveva tra le sue causeprime la drammatica impreparazione dell’esercito italiano, co-rollario delle velleitarie manie di grandezza del regime fascista.

La descrizione che ne deriva, date le proporzioni e le mo-dalità apocalittiche assunte dalla ritirata, è ad alta intensitàdrammatica: «Colonne impazzite di autocarri, carriaggi, slitte,salmerie: italiani, tedeschi, che urlano, spingono, bestem-miano, sostano, corrono. Siamo come i sassi di un torrente inpiena, rotoliamo urtandoci duramente. Incrociamo colonne,ne tagliamo altre, altre incrociano e tagliano la nostra. Muo-viamo appena, oppure corriamo: è un tiramolla, un urtarci, unospingerci, un confonderci continuo».

Assistendo a questo caotico angoscioso spettacolo di disso-luzione – costellato di feriti abbandonati e di cumuli di cadaverilasciati a marcire nella neve – il cronista-Revelli sentirà mon-tare dentro di sé un odio implacabile, il cui bersaglio è tanto il re-gime mussoliniano, quanto l’“alleato” tedesco. Sarà un odio che,di lì a poco, si sarebbe tradotto in una ferma presa di coscienzaantifascista, che sarà al tempo stesso politica e morale.

Non a caso, seguono lo stesso filone narrativo anche la rac-colta di testimonianze di reduci La strada del Davai (1971) el’epistolario L’ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersinella seconda guerra mondiale (1971), opere nelle quali rac-conto e “documento” divengono due entità inscindibili. Anchein questi libri infatti, usciti sempre per i tipi di Einaudi, la rap-presentazione della lotta per la vita – puntualmente ritratta consobrietà e realismo – si fa preminente, divenendo essa stessaoccasione per una rappresentazione degli “ultimi”, prototipi essistessi di una loro propria corale grandezza.

Il lascito prezioso della guerra di Liberazione, insomma, nonera andato perduto: si era trattato di una guerra una guerra,ricorda Norberto Bobbio,10 «collettiva e anonima senza prota-gonisti, dominata e illuminata da un’idea morale, da una diquelle idee che permettono, a cose fatte, di dare un senso allastoria, e quindi di parlare sensatamente di grandezza e di de-cadenza delle nazioni». Non sorprende, di conseguenza, cheRevelli, moralmente impegnato a osservare “dal basso” gli

eventi grandi e piccoli della storia, si interessi – con linearecoerenza – tanto dei soldati del tempo di guerra, quanto dellecontadine e dei contadini del Cuneese del tempo di pace.Frutto di questa unitarietà di ispirazione sono le autobiografieeinaudiane de Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita conta-dina (1977) e le testimonianze di donne de L’anello forte. Ladonna: storie di vita contadina (1985). In esse, ragioni ideali equestioni di metodo si saldano insieme. Con tali suoi scritti, loscrittore cuneese, determinato a privilegiare il “documentovivo” rispetto al racconto letterario – dal quale per altro non èaffatto alieno –, attuerà un recupero antiretorico e antilettera-rio della cultura “orale”, tanto prezioso quanto infrequente nelcontesto della nostra cultura nazionale.

Esemplare è, da questo punto di vista, la dichiarazione, con-tenuta nella Introduzione a L’Ultimo fronte, nella quale vieneesplicitata la parabola della sua ispirazione:11 «Meno male chedopo la ricerca di La strada del Davai non ho detto “basta” altema della guerra. È raccogliendo i duecento epistolari del-l’Ultimo fronte che sono “entrato” nel mondo contadino. Senzaquell’esperienza preziosa non avrei poi scritto né Il mondo deivinti né L’anello forte».

In tale affermazione è contenuta l’idea che i valori tradizionalidi “eroismo”, da sempre ritenuti appannaggio di una ristrettaélite, in realtà godono di una platea ben più ampia. Essi devononecessariamente comprendere anche quella pletora di “povericristi”, che, pur protagonisti della storia, sono stati da sempre mi-

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cento anni fa nasceva nuto revelli

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La “consegna” ai giovani

Nuto si era infatti spento alcuni anni prima, il 5 febbraio del2004, nell’ospedale di Cuneo all’età di 84 anni. Esempio raro diengagement, egli, facendosi portavoce dell’“altra” verità, quellache riguardava i “sommersi” e i “salvati” – da sempre ignorati ocolpevolmente rimossi dal dibattito pubblico – trova un suo con-gruo termine di confronto con scrittori come Primo Levi e MarioRigoni Stern, ai quali, non a caso, fu legato da un solido e du-raturo rapporto d’amicizia.

Non è dunque peregrino che, nel centenario della nascita, losi ricordi con le parole che egli stesso ritenne di dover rivolgereda Pisa, il 23 aprile 1975, alle giovani generazioni.

Quasi si trattasse di una “consegna”, esse risuonano ancoroggi come un monito e una speranza. In esse sono infatti sot-tesi quei valori di libertà e di giustizia, che sono pasta e lievitodella nostra democrazia repubblicana: «Ho meditato non pocoprima di dirvi la mia scelta di oggi, ma è nel profondo del mioanimo e sento di non poter nasconderla: la Resistenza è gio-vane, la Resistenza è vostra».

sconosciuti ed esclusi da essa. Eppure, sono proprio i “vinti” che,lottando ogni giorno contro le loro ataviche piaghe della miseria,dell’analfabetismo, dell’emigrazione, bene intendono le parolepronunciate da quel personaggio de La tregua di Primo Levi, il“greco” Mordo Nahum. Questi – in singolare consonanza con“Mauthausen”,12 il folle personaggio in lotta con il mondo, cheRevelli ci descrive come maledicente “la guerra, la patria, tutto”– pronuncia con solennità la sua sentenza sulla vita e sul mondo,a segno di un’antica saggezza: «guerra è sempre».13

La fatica di cercare, ordinare, collazionare l’enorme mole dimateriali a disposizione – lettere, “racconti”, testimonianze –corrisponde insomma, in Revelli, alla presa di coscienza del-l’atavica ingiustizia che pesa da sempre, come una maledi-zione, sulla classe dei poveri e degli sfruttati. Partito dallaconsiderazione che “il contadino era un oggetto e sapeva di es-serlo”, lo scrittore cuneese non trascurerà neppure di eviden-ziarne la trasformazione antropologica, che, affermatasi in Italiaalla fine della guerra, culminerà in quello che sarà poi definitoil “miracolo economico”. Non c’è alcuna nostalgia in questa ope-razione memoriale. La difesa incondizionata del mondo dei “di-menticati” non vuol certo dire, in Revelli, la rinuncia a un eserciziocritico fondato sulla ragione. Quando il caso lo richiede, egli nonsi fa scrupolo di rilevare – nelle numerose testimonianze che glierano state rese – confusioni e incongruenze, assenza di con-sapevolezza politica e pulsioni reazionarie.

E tuttavia, a onta dei processi e delle rugosità della storia, loscrittore non è disposto a derogare – pena il tradimento della“verità” – al più prezioso strumento che è consapevole di averea disposizione: quello della memoria. Solo attraverso di essa sipuò infatti pensare di poter conservare e trasmettere quell’im-menso patrimonio fatto di esperienze e di vita vissuta, che è poiil nutrimento necessario per ogni autentico progresso civile emorale di una nazione.

Per conto suo l’Autore, come precisa nel Mondo dei vinti, cosìritiene – con parole di grande efficacia, proprio perché impron-tate a grande modestia – di aver assolto appieno al compito alquale si era dedicato così a lungo con grande passione: «È tuttoqui il senso della mia ricerca, nel dare un nome e un cognomeai “testimoni”, nel rispettare senza mai forzare, senza mai di-storcere, i loro discorsi».

Di lui, Einaudi pubblicherà ancora Il disperso di Marburg(1994) e Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana(2003), nonché gli altri due libri, usciti postumi, I conti col nemico(2011) e Il popolo che manca (2013).

NOTE

1 S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004.2 «Composta da Nuto Revelli alla fine del marzo ’44 per un con-

corso bandito dal comando del II settore Giustizia e Libertà, Pietà l’èmorta va cantata – avverte una nota dell’editore – sull’aria di Sul pontedi Bassano bandiera nera, su cui poi è stata ricalcata la nota canzonedella Julia Sul ponte di Perati bandiera nera». Così R. Battaglia, Storiadella Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1964.

3 Si veda R. Biondo, Il verde, il rosso, il bianco, CLEUP, Padova 2002.44 N. Revelli, La guerra dei poveri, Einaudi, Torino 1962.5 S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, op. cit. 6 Si veda la sua Introduzione a Il mondo dei vinti, Einaudi, Torino1977.7 Così N. Bobbio, Trent’anni di storia della cultura a Torino (1920-

1950), Cassa di Risparmio, Torino 1977.8 G. Falaschi, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Einaudi,

Torino 1976.9 La prima parte de Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, confluirà,

con talune variazioni, ne La guerra dei poveri. Il fronte russo: L’Introdu-zione è di A. Garosci.

10 N. Bobbio, Trent’anni di storia della cultura a Torino (1920-1950), op.cit.

11 N. Revelli, Introduzione a L’ultimo fronte, Einaudi Torino 1971.12 N. Revelli, Prefazione a La strada del Davai, Einaudi, Torino 1966.13 P. Levi, La tregua, Einaudi, Torino 1963.

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TEATRO

roma, teatro garbatella: “LA FLEUR. il fiore proibito”

I FANTASMI DEL PALCOSCENICOMARCO FIORAMANTI

Viene definito Immersivetheatre, si presenta in luo-ghi abitualmente non orto-dossi nei quali viene a per-dersi il concetto di platea e

palcoscenico. Ha origini londinesi e nel-l’ultimo decennio è diventato un cult a li-vello internazionale. Si basa in primis sulcoinvolgimento diretto, interattivo, da par-te dello spettatore che non è più sedutosu una poltrona, ma libero di muoversi,fianco a fianco, con gli attori. Secondocardine strutturale è la simultaneità dellescene che accadono nei differenti am-bienti, in modo da frammentare l’unitàclassica di tempo-luogo-azione, costrin-gendo lo spettatore a creare una sua per-sonale interpretazione dell’intera dram-maturgia. Project XX1, “pionieri del teatroimmersivo dal 2015”, presentano a Romail loro ultimo spettacolo LA FLEUR. Il fioreproibito, un noir incentrato nelle stanzemalfamate di un palazzo alla Garbatella,gestito dalla famiglia Andolini, boss dellaRoma-bene, intenta a festeggiare l’ultimocolpaccio. La polizia è sulle loro traccepronta a intervenire. Ogni spettatore, ma-schera bianca sul volto, viene proiettatoall’interno dello spazio scenico e gli ven-gono messi a disposizione dello sguardo,dell’udito e dell’olfatto tutte le aree: pianoterra, primo piano, uffici, bisca, privé,scantinato, compresi gli ambienti che siaffacciano sul cortile. Nel corridoio, scrittesulla lavagna e una serie di foto identifica-tive ci forniscono la prima chiave di letturaper costruire l’intero puzzle. Sappiamoora chi sono i componenti della “famiglia”,la gestione del bordello, della bisca, deiviaggi, dei collaboratori, l’immancabile po-

litico, la giovane disperata e i due ispet-tori di polizia i quali irrompono sulla sce-na tentando, vanamente, di porre i sigilliall’intero stabile. Lo spettacolo inizia e leanonime maschere bianche comincianoa vagare liberamente per gli ambienti.

Ognuno si ferma, timidamente, a os-servare la scena che preferisce. Nasco-no spontanei percorsi preferenziali legatialla scelta di ogni spettatore verso unpersonaggio. Ma anche questa traietto-ria viene continuamente interrotta, adesempio, dagli “one-to-one”, azioni spe-cifiche calibrate in cui uno dei performerdecide di interagire con un determinatospettatore in un ambiente (in cui gli vie-ne tolta la maschera). Nella mia perso-nale esperienza “a due”, una volta ben-dato, a seguito di differenti approcci ol-fattivi di profumi esotici, ho potuto saisirla fleur e immaginare un fantastico viag-gio con Dalia, la “giovane disperata”,nella kasbah di Tunisi. Forte carica diadrenalina nell’aria da parte degli spetta-tori, i quali – vista l’imprevedibilità deglieventi – nell’attenta ricerca di un filo ros-so, tendono a perdere di continuo il con-trollo della situazione.

“LA FLEUR. Il fiore proibito” - Drammaturgia:Riccardo Brunetti, Francesco Formaggi, AlessandroD’Ambrosi - Performer (20 aprile): Nick Andolini(Matteo Minno) - Vito Andolini (Dario Biancone) -Fabietto (Martino Fiorentini) - Isp. Luciana Esposito(Elisabetta Mandalari) - Rocco Andolini (AlessandroD’Ambrosi) - Grazia Andolini: (Malvina Ruggiano)-Margaretha/Mata (Elisa Poggelli) - Augustine Dupont(Valeria Romanelli) - Iris Giglioli (Licia Amendola) -Lara Corolla (Fabiana Reale) - Candy (CarlottaSfolgori) - Dalia Rocchi (Susannapia Valtucci) - Isp.Guido Forieri (Adriano Saleri) - Alessio Di Battaglia(Marco Usai) - Regia: Riccardo Brunetti

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ARTICOLO 33 | N 6 201958www.edizioniconoscenza.it

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LIBRI

La relazione medico-paziente èstata sempre problematica e illibro che ci accingiamo a com-mentare è di due esperte di co-municazione che si concen-

trano proprio sul rapporto tra i due inter-locutori. Nelle società occidentali Ippo-crate (V sec. a.C.) fu il primo a tentare diliberare la medicina dalle componentimagiche e superstiziose (stregoni e gua-ritori) ma instaurò un approccio paterna-listico volto a nascondere al paziente,completamente passivo e remissivo, ilsuo stato di salute. Nel tempo il ruolo delmedico è molto cambiato ma il rapportotra lui e il paziente continua a essere for-temente asimmetrico soprattutto perchéi dottori si ostinano a utilizzare una lin-gua contenente molti tecnicismi, spessolatinismi, un linguaggio per lo più scono-sciuto al paziente.

Da parte del medico è difficile abban-donare questa consuetudine che gli hasempre conferito potere e prestigio e cheè stato il mezzo con cui ha potuto rimar-care la distanza culturale e sociale esi-stente tra lui e il paziente. Questadisparità sociale è particolarmente sen-tita da pazienti anziani, immigrati, per-sone con un livello di istruzione basso.Se il rapporto col medico generico è piùsemplice e umano, è soprattutto con imedici specialisti che il problema si pre-senta non solo nella comunicazioneorale, ma anche in un’attività rilevantecome la comunicazione scritta.

che come il greco e il latino, che fannoparte del bagaglio culturale classico delmedico. La diagnosi, il referto di unaanalisi di laboratorio, il consenso infor-mato, le certificazioni, le prescrizioni,le terapie da seguire sono testi per lopiù oscuri per i pazienti. Uno degliesempi più lampanti in cui si concre-tizza l’incomprensibilità per il pazienteè quello dei foglietti illustrativi dei far-maci, anche quelli “da banco” che sonoacquistati e utilizzati autonomamente.

Nella seconda parte del libro, le dueautrici dedicano molto spazio alla leg-gibilità del foglietto illustrativo (FI) e acome si potrebbe semplificare per ren-derlo più chiaro. Oltre a un’accurataanalisi del FI nelle sue componenti lin-guistiche e lessicali, alle osservazionistilistiche generali, esso è analizzatoanche nella sua veste grafica: il tipo dicarta troppo sottile, quasi trasparente,l’utilizzazione di caratteri molto piccoli,l’interlinea stretta, ecc. e si riportano irisultati di analisi, condotte attraversoalcuni software, che hanno misurato lacomplessità del FI.

Il problema è che i testi scritti prodottidai medici hanno generalmente duedestinatari, notevolmente diversi: dauna parte il medico di base, dall’altra ilpaziente. È evidente che i due pubblicihanno esigenze conoscitive e compe-tenze linguistiche ben diverse. Il me-

Le oscure prescrizioni

L’oggettiva complessità del linguag-gio medico è accompagnato anche dauna grafia oscura, piena di segni gra-fici privi di significato per il paziente:acronimi, (TAC), abbreviazioni (CP), e,poiché le nuove tecnologie e strumen-tazioni provengono in gran parte dagliUsa, si fa ricorso a un massiccio uti-lizzo di parole inglesi (by-pass), anchese non mancano parole di lingue anti-

la comunicazione medici-pazienti

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