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64 La persecuzione in Italia degli omosessuali sotto il fascismo Uno studio di Goretti e Giartosio Catania ha ispirato il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati, cioè il personaggio simbolo del gallismo. Ma è stata anche la città in cui, durante gli anni ‘30 del Novecento, c’era una vivace vita omo- sessuale, con locali not- turni, sale da ballo, punti di ritrovo (clandestini ov- viamente) riservati agli “ar- rusi” (così vengono chia- mati ancora oggi i gay in dialetto siciliano). Proprio a Catania, però, il regime fascista perseguitò con straordinaria tenacia gli omosessuali. Nei primi me- si del 1939, 45 persone vennero arrestate e inviate al confino, “colpevoli” di “pederastia”. Un numero straordinariamente alto per una città di provincia, con- siderato anche che, secon- do le cifre ufficiali, durante il Ventennio furono poco più di 300 i confinati uffi- ciali per omosessualità (ma si sospetta che in realtà fu- rono di più ma mancano studi approfonditi). In realtà il caso di Catania è legato all’attività di un fun- zionario particolarmente zelante (il questore Alfonso Molina) e non al fatto che proprio in quella parte del- la Sicilia ci fossero più omosessuali che a Napoli o a Milano. Nel libro La città e l’isola, Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio ci rac- contano uno spaccato del- la Sicilia e dell’Italia a lun- go dimenticato, dove Catania diventa metafora dell’Italia: alle isole Tremiti, a Ustica o a Ventotene, furono confi- nati anche centinaia di omosessuali, sebbene in misura minore di quanto fece il nazismo. Col piglio della ricerca antropologi- ca, sociale e di costume, gli autori si sono avventu- rati negli archivi (spesso lacunosi e approssimativi) e sono andati a scovare ver- bali di polizia dai quali emerge la sistematica per- secuzione degli “arrusi”. Decine di schedature con foto e informative dove gli “invertiti” vengono de- scritti così: «Dal viso scar- no agli occhi infossati, dal- le narici larghe alle labbra grosse… appare subito il tipo del perfetto sensuale. Si direbbe un maschio for- tunato, se la voce non sve- lasse delle anomalie e la vita che pratica non desse la prova della sua inver- sione sessuale». Goretti e Giartosio rac- colgono i verbali degli in- terrogatori, confessioni estorte con le minacce e facendo leva sulle paure degli imputati, ma anche i ricorsi, puntualmente re- spinti. Ci sono persino im- barazzanti (e umilianti) “referti medici” che certi- ficano l’omosessualità con diagnosi che proverebbero scientificamente i sospet- ti della polizia. La tesi in- quisitoria si basava sulla supposizione che gli arru- si erano colpevoli di pe- derastia passiva, secondo l’idea comune dell’epoca che l’omosessualità attiva non fosse un crimine (sem- mai solo un comporta- mento riprovevole). Tutto BIBLIOTECA Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio, La città e l’isola Donzelli, pagine 275, euro 13,50 di Giampiero Rossi

BIBLIOTECA La persecuzione in Italia degli omosessuali ... · colgono i verbali degli in-terrogatori, confessioni estorte con le minacce e facendo leva sulle paure degli imputati,

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La persecuzione in Italiadegli omosessualisotto il fascismo

Uno studio di Goretti e Giartosio

Catania ha ispirato il DonGiovanni in Sicilia diVitaliano Brancati, cioè ilpersonaggio simbolo delgallismo. Ma è stata anchela città in cui, durante glianni ‘30 del Novecento,c’era una vivace vita omo-sessuale, con locali not-turni, sale da ballo, puntidi ritrovo (clandestini ov-viamente) riservati agli “ar-rusi” (così vengono chia-mati ancora oggi i gay indialetto siciliano). Proprioa Catania, però, il regimefascista perseguitò constraordinaria tenacia gliomosessuali. Nei primi me-si del 1939, 45 personevennero arrestate e inviateal confino, “colpevoli” di“pederastia”. Un numerostraordinariamente alto peruna città di provincia, con-siderato anche che, secon-do le cifre ufficiali, duranteil Ventennio furono pocopiù di 300 i confinati uffi-ciali per omosessualità (masi sospetta che in realtà fu-rono di più ma mancanostudi approfonditi). Inrealtà il caso di Catania èlegato all’attività di un fun-zionario particolarmente

zelante (il questore AlfonsoMolina) e non al fatto cheproprio in quella parte del-la Sicilia ci fossero piùomosessuali che a Napolio a Milano. Nel libro La città e l’isola,Gianfranco Goretti eTommaso Giartosio ci rac-contano uno spaccato del-la Sicilia e dell’Italia a lun-go dimenticato, doveCatania diventa metaforadell’Italia: alle isole

Tremiti, a Ustica o aVentotene, furono confi-nati anche centinaia diomosessuali, sebbene inmisura minore di quantofece il nazismo. Col pigliodella ricerca antropologi-ca, sociale e di costume,gli autori si sono avventu-rati negli archivi (spessolacunosi e approssimativi)e sono andati a scovare ver-bali di polizia dai qualiemerge la sistematica per-secuzione degli “arrusi”.Decine di schedature confoto e informative dove gli“invertiti” vengono de-scritti così: «Dal viso scar-no agli occhi infossati, dal-le narici larghe alle labbragrosse… appare subito iltipo del perfetto sensuale.Si direbbe un maschio for-tunato, se la voce non sve-lasse delle anomalie e lavita che pratica non dessela prova della sua inver-sione sessuale». Goretti e Giartosio rac-colgono i verbali degli in-

terrogatori, confessioniestorte con le minacce efacendo leva sulle pauredegli imputati, ma anche iricorsi, puntualmente re-spinti. Ci sono persino im-barazzanti (e umilianti)“referti medici” che certi-ficano l’omosessualità condiagnosi che proverebberoscientificamente i sospet-ti della polizia. La tesi in-quisitoria si basava sullasupposizione che gli arru-si erano colpevoli di pe-derastia passiva, secondol’idea comune dell’epocache l’omosessualità attivanon fosse un crimine (sem-mai solo un comporta-mento riprovevole). Tutto

BIBLIOTECA

Gianfranco Goretti eTommaso Giartosio,

La città e l’isolaDonzelli,

pagine 275, euro 13,50

di Giampiero Rossi

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verificato attraverso unaspietata perizia medica. Gli autori sono riusciti arisalire anche a due testi-moni, sopravvissuti al con-fino e alla repressione.Dalle parole di Filippo eSalvatore-Peppinella (no-mi di fantasia di due an-ziani gay catanesi) emer-gono particolari non ri-portati nei documenti uf-ficiali. Ovvero le primeesperienze omosessuali, iballi notturni, i travesti-menti, il ritrovarsi sotto“l’arvulo rossu”, l’alberogrosso all’angolo dell’at-tuale piazza Borsellino.Esperienze di seduzionespesso ricordate con pia-cere. L’omosessualità nonera ostentata: si faceva tut-to in silenzio, con pudore.Viene descritta una Cataniapopolata da personaggi biz-zarri ma lontani dallo ste-reotipo del gay contempo-raneo. Non erano dandy,non erano intellettuali an-noiati in cerca di diversivisessuali. Dal raccontoemergono manovali, arti-giani, garzoni, agricolto-

ri, quasi tutti analfabeti epoveri. O, almeno, così so-no quasi tutti quelli chevengono arrestati e man-dati al confino nell’isoladi San Domino. La storia degli arrusi ca-tanesi, però, diventa poiuna storia di persecuzio-ne. Inizia un calvario dimesi passati in prigione inattesa della destinazionefinale (la colonia di confi-no). Bastava poco per es-sere segnalati alla Com-missione provinciale per iprovvedimenti di polizia.Era sufficiente un’ingiu-ria al Duce, essere testi-moni di Geova (“studiosidella Bibbia”), vagabon-di, zingari o, appunto, pe-derasti. La commissionespesso lavorava all’insa-puta dell’imputato, al qua-le dopo essere stato arre-stato non restava che scri-vere delle “suppliche”, de-gli appelli per essere scar-cerato. Gli arrusi per lo piùerano analfabeti e anchechi sapeva scrivere nonaveva idea di come si scri-veva una supplica. Così gli

autori ne raccolgono uncampionario, quasi tuttesimili perché compilateevidentemente da uno scri-vano, ricche di pentimen-ti spesso strumentali, con-fessioni fasulle, giustifi-cazioni («sono stato vio-lentato», «ho avuto rap-porti contro-natura solouna volta»). Quasi nessu-no, però, sfugge al confino.Cinque anni vissuti in duebaracche (caserme) sull’i-sola di San Domino.Scarsissime e brevi le li-cenze per tornare a casa,dove - fra l’altro - spessonessuno vuole avere a chefare con chi si è macchia-to di un’infamia così gra-ve come la pederastia. Gliomosessuali in pratica ven-gono segregati tutti assie-me, un’isola nell’isola.Vivono in ampie camerate,la promiscuità è inevitabi-le, ogni mattina devonopresentarsi all’appello, nonpossono commerciare e ri-cevono 4 (poi 5) lire algiorno di diaria. Insomma,una vita durissima passa-ta per lo più nella noia enell’ozio forzato. Ma nel-la colonia delle “signori-ne”, come li chiamavano iconfinati comuni, nasco-no anche amori: a volte gliarrusi più poveri si conce-dono a quelli più ricchi, al-tre volte nascono vere sto-rie d’amore con tanto discenate di gelosia.Il 28 maggio del 1940 ilcapo della polizia Bocchinicommuta la pena in “am-monizione”s (che comun-que comporta restrizionialla libertà).Il provvedimento vienepreso perché i luoghi diconfino servono per i pri-gionieri politici, in costanteaumento. Quando poil’Italia entra in guerra mol-ti omosessuali vengonograziati. Qualcuno inneg-gia al Duce, altri avrebbe-ro preferito rimanere alleTremiti perché sanno chenon potranno uscire di ca-sa senza rischiare un nuo-vo arresto.

Libro dell’anno del“Centro donna”di Livornoun volume sui lager nazisti

Il volume di Alessandra Chiappano “I Lagernazisti” ed. Giuntina 2007 è stato scelto comeLibro dell'anno nell’ambito delle iniziativepromosse dal “Centro Donna” di Livornoper la prossima Giornata della Memoria.Alessandra Chiappano terrà un incontro aLivorno il 25 gennaio prossimo.Su questo volume, che illustra i lager nazisti,l’autrice ha tenuto una srie di lezioni a ReggioEmilia, Parma e Ravenna.

I NOSTRI LUTTI

ANTONIOFUMAGALLI

iscritto alla sezione diMilano, fu deportano a Dorae immatricolato con il n.0592.FIORAVANTE FIORIO

iscritto alla sezione diVerona, fu deportato aBolzano con matricola n.9594D.

GUERRINALORENZONI

iscritta alla sezione di Verona,fu deportata nel campo diconcentramento di Bolzanocon matricola n.8479.VITTORIO MANGONIiscritto alla sezione di Parma,fu deportato nel campo diconcentramento di Bolzanocon matricola n.9243.

LAMBERTOMICHELONI

iscritto alla sezione di Schio,fu deportato nel campo diconcentramento di Bolzanocon matricola n.10554.

PIERINO NEGRIiscritto alla sezione di Parma,fu deportato nel campo diconcentramento di Bolzanocon matricola n.9486.ZAFFERINO TONATO

iscritto alla sezione diVerona, fu deportato aBolzano con matricolan.5725.

ILTER VIGHIiscritto alla sezione di Parma,fu deportato nel campo diconcentramento di Bolzanocon matricola n.4027.

FERDINANDOVALLETTI

iscritto alla sezione diMilano, fu deportato nelcampo di sterminio diMauthausen e immatricola-to con il n.57633.

LUIGI ZLOBECiscritto alla sezione di Trieste,fu deportato a Buchenwald ea Dora con matricola n.76372.

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BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papaEinaudi, Torino 2007, pp. 252, euro 22,00

Emma Fattorini

“Spiritualmente siamo tutti semiti, scriveva dei cristiani e de-gli ebrei”, papa Ratti, Pio XI, fiero avversario del fascismo edel nazismo in nome di una forte spiritualità e di una “con-versione spirituale“ non di un disegno politico più volte rin-facciatogli, non di visioni aperte e liberali, non dall’affinitàalle idee democratiche perché non era così. Ma questo sacerdote lombardo, amante della montagna (a luisi deve la prima via della Punta Dufour sul Monte Rosa) giun-to al soglio di Pietro seppe intuire il pericolo del grande mo-stro che s’affacciava sull’Europa e sul mondo. Intuì la violenzainsita nei totalitarismi nazifascisti e non si fece indietro.Quando morì il 10 febbraio 1939, aveva da poco terminatodi scrivere un durissimo testo contro il nazismo e il fascismo,redatto in totale solitudine, che avrebbe dovuto rendere pub-blico nel decennale dei Patti Lateranensi. Un discorso che Mussolini temeva e che non fu mai reso no-to. La ricerca della Fattorini negli Archivi Vaticani getta una lu-ce nuova sui rapporti Vaticano-fascismi e solleva un forte in-terrogativo su quello che, morto Pio XI, accadde di soppor-tare a milioni di uomini di tutto il mondo. Ebrei per primi.

L’Italia sotto le bombe. Guerra aerea e vita civile 1940-1945Laterza, Bari 2007, pp. 378, euro 20,00

Marco Patricelli

Ci fu una differenza politico-idelogica di fondo che serve a se-parare (non a giustificare sul piano strettamente umano) i mas-sacri che derivarono dalle azioni dei nazifascisti e dai bombar-damenti anglo-americani sul nostro Paese nel corso dell’ultimaguerra mondiale: se i primi risposero ad un progetto di annien-tamento di ebrei, popoli balcanici, Paesi dell’Europa, i secondiavevano come obiettivo quello di liberare il vecchio continentedall’oppressione hitleriana. Infatti la nostra popolazione, pur pagando un prezzo altissimoin vite umane (basti pensare, uno per tutti, al massacro delle scuo-le elementari di Gorla nell’autunno del 1944 con centinaia dibimbi uccisi) capì che quella era la sola strada per fare inginoc-chiare il fascismo di Mussolini e il suo alleato occupante. I raidanglo-americani minarono la coesione del regime e affrettaronola resa. Una strategia, sottolinea Patricelli, brutale che previdemorti fra i civili ma non il loro sterminio. Il problema, per decenni rimosso, riappare. Il libro è utile, sen-za demagogia, scientifico, documentato, nuovo.

L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia.Donzelli, Roma 2007, pp. 154, euro 14,00

Guido Crainz

È una risposta da studioso serio, qual è Guido Crainz, alla vulgatain voga da anni di Giampaolo Pansa anche se l’autore non lo ri-vela espressamente: la violenza partigiana, dove ci fu e quandoci fu, rappresentò una reazione motivata alla feroce condotta del-la guerra da parte dei nazifascisti. Fu il portato di un dramma,anzi di un dramma mai interrotto che ebbe inizio con la difesa di-sperata nei primi anni ‘20 agli assalti delle squadracce nere diBalbo e di Farinacei. Il 25 aprile non fu in sostanza un rubinettodell’acqua da poter chiudere con uno schiocco delle dita e cosìinterrompere immediatamente il flusso. Rappresentò qualcosadi più complesso e difficile da gestire, fu il frutto del moto del-l’animo di chi volle rispondere agli anni del sangue. Crainz è fracoloro che ritiene che vi fossero allora le condizioni per una ri-voluzione democratica, segnata necessariamente da una rispo-sta forte ed incontrollata di ampi strati della popolazione ex com-battente. In realtà dopo il governo Parri, Togliatti consenziente,si aprirono con il governo De Gasperi la fine dei Cln e la stradaper la riaffermazione della continuità dello Stato, l’altra faccia del-la medaglia, che servì a frenare sul nascere il rischio di una guer-ra civile e bloccare un rinnovamento profondo del Paese, a co-minciare dalla sua burocrazia, tutta fascista.

L’agenda rossa di Paolo BorsellinoChiarelettere, Milano 2007, pp. 238, euro 12,00

Giuseppe Lo Bianco-Sandra Rizza

C’era un’agenda, rossa, come il sangue che avrebbe versato peril riscatto della Repubblica contro il mortale nemico mafioso.Un’agenda su cui il giudice Paolo Borsellino annotava giornodopo giorno, i suoi pensieri, le sue valutazioni, i suoi giudizi.Ebbene quando la bomba di via D’Amelio fece il macello, ucci-dendolo con la sua scorta, qualche mano misteriosa si preoccupòdi mirare a quell’oggetto e a farlo scomparire. Era vitale e trop-po importante sottrarre alle carte processuali un documento cheavrebbe aperto scenari impensabili e tracciato strade facili dapercorrere per giungere alla verità. Lo Bianco e Rizza, due gior-nalisti da anni impegnati nella lotta contro il nemico mortale, neripropongono l’impianto. Chi incontrava Borsellino? Chi cerca-va di intercettare e rendere difficoltoso il suo lavoro? Perché, la-sciato solo negli ultimi giorni della sua vita, disse: “ Ho capito tut-to, mi uccideranno. Ma non sarà solo una vendetta di mafia, for-se saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno maquelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Ha scrittoMarco Travaglio: “ L’agenda rossa è la scatola nera della SecondaRepubblica”.

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Neutrale contro tutti. La Svizzera nelle guerre del ‘900.Edizioni Settecolori, Lugano 2007, pp. 251, euro 18,00

Jean-Jacques Langendorf

Le neutrale Svizzera compì i suoi peccati mortali. Fornì armialla Germania nazista nel mezzo della guerra. Respinse centi-naia e centinaia di ebrei (rèfoulement) ai suoi confini occi-dentali e meridionali dandoli in pasto ai nazisti. Comperò, conla sua Banca centrale, lingotti d’oro confezionati con il teso-ro sottratto ai deportati di tutta Europa, ebrei per primi. Trattenne,finito il conflitto, nei suoi forzieri, il denaro depositato dagliebrei prima della loro cattura. Non pagò con le proprieCompagnie assicurative i premi agli eredi dei caduti. Una mon-tagna di accuse che non la seppellirono perché se da una par-te finì negli anni ‘90 sotto la spinta delle proteste della Comunitàebraica internazionale a pagare indennizzi per un miliardo e 800mila franchi, dall’altra con la Commissione Federale Bergierche lavorò cinque anni stabilì che la Confederazione non fecetutto quello che avrebbe potuto e dovuto fare. Aiutò ma ebbesempre la preoccupazione di non disturbare troppo i suoi con-finanti, Italia e soprattutto Germania. Fu condannata con lacondizionale. Una sentenza che scontentò parecchi cittadiniche in fondo ritenevano che l’accoglienza ai fuorusciti fosse sta-ta puntuale e generosa. Fatto vero ma non del tutto capace diemendare le colpe.

Il costante piacere di vivere. Vita di Giaime PintorUtet,Torino 2007, pp. 640, euro 20,00

Maria Cecilia Calabri

La vita e la morte là dove intravide la luce della speranza, laResistenza, la lotta per la libertà dopo aver attraversato il fa-scismo, sempre indipendente, lasciando di sé una profonda trac-cia culturale, un segno forte del suo ingegno e della sua chia-rezza intellettuale. Il poderoso libro della Calabri si erge comeun monumento per farci conoscere questo intellettuale sardoche ha la fortuna, nell’oscurità del regime, di costruirsi un per-corso culturale di prima grandezza: gli amici con cui percorrela strada Geno Pampaloni, Mario Spinella, Giuliano Vassalli, UgoStille; gli amori fulminanti come quello con la seducente Filomenad’Amico, nipote di Silvio; le prime prove giornalistiche con ilsettimanale Oggi sotto la guida di Arrigo Benedetti; il lavoro co-me tradutore dal tedesco e come consulente editoriale conl’Einaudi; la carriere militare, in retroguardia, con la Commissionearmistiziale con la Francia; la collaborazione con Cantimori; ilrapporto con Edgardo Sogno incontrato nei salotti antifascistidi Maria Josè di Savoia. La morte lo colse in missione verso ilSud, per l’aggancio con l’Esercito di Liberazione, saltato suuna mina il 1° dicembre 1943, a 24 anni soltanto, a Castelnuovosul Volturno. Uomo libero, senza dogmi.

Operation SunriseEidgenosssche Militarbiblioteck und Historischer Dienst, Bern2007, pp. 319, sip.

Marino Viganò- Dominic M. Pedrazzini

Il 29 aprile 1945 nella reggia di Caserta, sede del QuartierGenerale Alleato, due alti ufficiali del Reich firmarono le resaseparata a Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, del-l’esercito tedesco di stanza in Italia. Il protocollo entrò in vigoreil 2 maggio successivo. La guerra sul fronte italiano era defi-nitivamente finita. Quell’atto fu il punto di arrivo della cosi-detta “Operazione Sunrise”, una complessa trattativa fra i ser-vizi informativi americano ed inglese che ebbe i suoi momen-ti decisivi nei contatti in Svizzera fra i generali Wolff e Rahn egli Alleati. Mediatori, due cittadini elvetici: l’ufficiale delloStato Maggiore Max Weibel e il pedagogo ed educatore MaxHusmann. Per giungere al traguardo fu necessario dipanare unintrico di rapporti ad ogni livello. Più volte il progetto fu sulpunto di fallire ma infine si concluse sull’onda di necessità su-periori e di una situazione militare ormai lacerata. In un convegnodi studio svoltosi a Locarno, il tema è stato sviscerato sulla ba-se di una ricca documentazione che ha permesso di giungere aconclusioni definitive. Interessante il riferimento ai recenti do-cumenti resi disponibili dagli archivi Usa, soprattutto ai ver-bali di interrogatorio dei servizi Oss e Cic ai gerarchi nazisti.

Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Indro Montanelli.Feltrinelli, Milano 2007, pp. 233, euro 16,00.

Renata Broggini

Non evase dal carcere di San Vittore di Milano, non collaborò coipartigiani, non costituì bande di combattenti antifascisti, lasciòla moglie Margarethe, austriaca, in balia dei tedeschi che l’ave-vano deportata nel campo di “smistamento e di polizia” diBolzano-Gries, non fu mai condannato a morte, non organizzòla stampa clandestina per conto del Clnai. Indro Montanelli escedal libro della ricercatrice ticinese Renata Broggini, un’altravolta efficace nel rimettere le varie pedine al loro posto, a oltremezzo secolo di fatti, in una luce imbarazzante e ambigua, chene riduce fortemente il credito nei circoli della destra conser-vatrice più illuminata che l’aveva eletto a modello di patriotti-smo italico e anche presso quella sinistra pseudo-riformista chene aveva agitato la figura come “cifra” degli antiberluscones. InSvizzera Montanelli arrivò tranquillamente, senza rischi, in com-pagnia di un terzetto singolare, con il beneplacito dei nazisti: ilgenerale Bortolo Zambon, ufficiale di seconda linea del Clnai,la sua segretaria, e una ricca signora americana, garante per idue accompagnatori. La “finta” evasione da San Vittore fu ge-stita da uno spione del regime, il noto Luca Osteria, “il dottor Ugo”,in accordo con il capitano Theodor Saevecke, il sanguinario ca-po SS dell’Hotel Regina. La moglie di Montanelli, deportata,doveva garantire con la sua prigionia che il marito non dessenoie di alcun tipo ai tedeschi. Le bugie, par di capire ed è ipote-si sufficiente, le disse per salvarsi in tempo la pelle, senza diventareperò mai una spia dei tedeschi, e per gestire il suo rientro nell’Italialibera, lasciando alle spalle gli ardori di volontario in AfricaOrientale e quel vago sapore di fascismo a cui aveva bene o ma-le creduto. L’ultima menzogna Montanelli poteva però evitarsela:non era in piazzale Loreto a vedere appeso il duce come rac-contò. Sarebbe rientrato infatti dalla Svizzera, lo attestano i do-cumenti, solo il 22 maggio.

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Di natura schiva, la suapittura, invece, era disolare intensità.

Parlando di se, Pupino siconsiderava un “paesaggi-sta dell’universo mediterra-neo”. Lasciata l’isola nel1949 all’età di 24 anni,Samonà vi era tornato nel2005 e la Regione Sicilia, inquello stesso anno, gli ave-va dedicato una grande an-tologica dal titolo Dalla par-tenza al ritorno. Curata daPiero Caldarera, la rassegna,esposta nell’estate del 2005nel Loggiato San Bar-tolomeo di Palermo, si pre-sentava come un omaggioall’artista e al suo luminosopercorso figurativo.Noi del Triangolo Rosso, pur

La morte del pittore Pupino Samonà

L’artista che ideò il Memorialevoluto dall’Aned per Auschwitz

salutandolo come un im-portante maestro, vogliamoricordarlo per l’opera che glivenne commissionatadall’Aned con l’intento dicelebrare il sacrificio dei de-portati: il Memoriale italia-no di Auschwitz, che vennerealizzato nel 1979 su pro-getto dello studio BBPR(Banfi, Belgioioso, Pe-ressutti, Rogers) di Milano.La scelta degli architetti, ov-viamente, non fu casuale. Iquattro componenti dellostudio erano stati, infatti, inprima linea nella lotta con-tro il fascismo. ErnestoNathan Rogers era ebreo etrovò rifugio in Svizzera,Enrico Peressutti militò nel-le formazioni della Re-

sistenza insieme a GianLuigi Banfi e LodovicoBarbiano di Belgioioso.Questi ultimi due vennerocatturati dai nazisti e de-portati nel campo di ster-minio di Mauthausen. Banfivi morì e Belgioioso venneliberato dagli americani nelmaggio del ‘45.Pupino Samonà accettò vo-lentieri, addirittura con en-tusiasmo, l’incarico affida-togli dall’Aned e ideò unaenorme tela che si avvolge-va nella spirale progettatada Belgioioso. Sulle grandi strisce di tela,ben 23, ciascuna di 12 me-tri di lunghezza per 2,40 dialtezza, è raffigurata la sto-ria della dittatura, dell’oc-

In alto: il memoriale italiano diAuschwitz. La spirale è opera diLodovico Barbiano diBelgioioso; le illustrazionisono di PupinoSamonà.

A lato Pupino Samonà,al centro della foto,con la camicia blu.Alla sua destra, Lanzani eAbele Saba; alla sua sinistra,Belgioioso e Maris.

cupazione tedesca, dellaResistenza e della deporta-zione dal 1922 al 1945. Talistrisce si avviluppano at-torno alla spirale formandouna specie di galleria, lun-go la quale si snoda la nar-razione dipinta da Samonà,accompagnata da testi diPrimo Levi e da musiche diLuigi Nono. Un’opera digrande tensione drammati-ca, in cui - come scrive SalvoFerlito nel presentarla - “fu-se in un unicum perfetta-mente armonizzato, archi-tettura, pittura, letteratura emusica, divengono grido dirabbia e di dolore, nonchédenuncia e critica imnpie-tosa contro la follia dei to-talitarismi”.

Nella notte tra il 14 e il 15 settembre è morto a Palermo,all’età di 82 anni, il pittore Pupino Samonà, uno deimaggiori astrattisti italiani del secondo dopoguerra,insignito nel 2005 del Premio speciale per la cultura - se-zione Arte della presidenza del Consiglio dei ministri.