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Bonsai & Suiseki magazine - Novembre - Dicembre 2013

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Bonsai & Suiseki magazine - Novembre-Dicembre 2013 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online.

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BSM ‐ Anno V n. 3 ‐ Novembre/Dicembre 2013

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IN COLLABORAZIONE CON

CONTRIBUTORS

Fabio Canneta, Gian Luigi Enny, Ettore Gardini, Antonio Gesualdi,

Masahiko Kimura, L., Luca Ramacciotti, Daniela Schifano, Umberto

Scognamiglio, Anna Lisa Somma, Mauro Stemberger, Alessandro Valfré,

Melanie Walzer

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BONSATIREGGIANDO

Antonio RicchiariEditoriale

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI 'CULT'

8

Fabio CannetaL'assenza10

Gian Luigi EnnyChe cos'è un giardino zen?16Luca RamacciottiIkebana. Tecniche di base22Melanie WalzerSummer Bonsai Festival30

Antonio RicchiariLo spirito del bonsai44

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariBonsai47

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Antonio RicchiariEditoriale

SOMMARIO

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI 'CULT'

8

Fabio CannetaL'assenza10

Gian Luigi EnnyChe cos'è un giardino zen?16Luca RamacciottiIkebana. Tecniche di base22Melanie WalzerSummer Bonsai Festival30

Antonio RicchiariLo spirito del bonsai44

30

47 16

10

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariBonsai47

22

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SOMMARIO

LA MIA ESPERIENZA

Alessandro ValfréStoria di un bonsai di ficus48Antonio GesualdiCambio di vento54Mauro StembergerThe beauty face of ugly62

A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

Ettore GardiniIl mistero della montagna

Antonio AcamporaL'esposizione del bonsai‐ II parte ‐

Anna Lisa SommaCaro, inatteso Giappone

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

119Hitoshi ShirotaHitoshi's World120

L'OPINIONE DI...

Giuseppe MonteleoneEzio Piovanelli81

70

81

90

62

54

BSM AWARD

Daniela SchifanoSpirito immortale90

Masahiko KimuraA lezione da unprofessionista

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

108

100

Luciana QueiroloIl fronte in una pietra pae‐saggio.

76

70

Umberto ScognamiglioEzomatsu. La picea

L'ESSENZA DEL MESE

122

OGGI PARLIAMO DI...

IL BONSAINAUTA

L.I luoghi del mondo...106

A SCUOLA DI ESTETICA

Antonio RicchiariLo stile. Dettagli di bellezza114

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SOMMARIO

Antonio AcamporaL'esposizione del bonsai‐ II parte ‐

Anna Lisa SommaCaro, inatteso Giappone

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

119Hitoshi ShirotaHitoshi's World120

108119

122

100

Masahiko KimuraA lezione da unprofessionista

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

108

100

Umberto ScognamiglioEzomatsu. La picea

L'ESSENZA DEL MESE

122

OGGI PARLIAMO DI...

114

IL BONSAINAUTA

L.I luoghi del mondo...106

A SCUOLA DI ESTETICA

Antonio RicchiariLo stile. Dettagli di bellezza114

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V iviamo in un periodo di tempo che non esito a definire “decadenti‐sta”. E non mi riferisco soltanto alla grave e perdurante crisi econo‐

mica. La critica ufficiale della seconda metà dell’800 usò questo termineproprio per ricordare la sensazione di crollo di una civiltà.

Credo che l’accezione negativa ricordi propri gli inizi degli anni80 e 90 del XIX secolo con il diffondersi di uno stato d’animo caratte‐rizzato da un senso di disfacimento e termine di una civiltà, l’approssi‐marsi di un cambiamento epocale, lo smarrimento della coscienza edella crisi dei valori. In questo periodo la sensazione è quella di contra‐sto con la società che ci circonda, insensibile e distaccata di fronte allesue esigenze.

Questo disarmante panorama fa registrare un calo preoccupantedella cultura e di tutte le arti dovuto alla insensibilità di chi dovrebbeistituzionalmente averne cura e stimolo. E quando in una nazioneavviene tutto ciò ne risultano compromessi popolo e democrazia.

In Italia negli ultimi anni si è notato un calo preoccupante del li‐vello di attenzione appunto verso le arti che sono le fondamenta di tuttoil patrimonio culturale di un popolo. Si è incapaci di dare rispostesoddisfacenti all’uomo nelle sue esigenze estetiche e di gusto. L’uomotende infatti ad interrogarsi su di sé, sui suoi bisogni, sui suoi desiderieffimeri assai più di quanto si occupi della realtà fisica o naturale,perché incapaci di coinvolgere più di tanto sentimenti ed aspirazioni.Perché tutto questo preambolo?

Perché bonsai e suiseki sono da considerarsi “un’isola felice” peril bagaglio di cultura e di emozioni che sono in grado di trasmettere achi li pratica e li “frequenta”. Perché sono essi stessi cultura. Fannocultura. Regalano cultura. E in questa nostra società non è roba da poco.

Tutta la produzione bonsaistica, in particolare, che l’uomo hacreato fa parte del patrimonio culturale e ha valore di documento, inquanto testimonianza dell’evoluzione stessa del bonsai visto come patri‐monio artistico. Gli esemplari di bonsai e le pietre d’arte, oltre ad averela stessa rilevanza di tutti gli altri prodotti dell’uomo sul piano della te‐stimonianza storico‐sociale, presentano un contenuto qualitativamentepiù significativo sul piano estetico e simbolico.

Bonsai e suiseki possono quindi essere considerati “prodottid’arte speciali” complessi e ricchi di significato, che parlano a chi li sa“leggere” di molteplici aspetti (filosofici, estetici, etc.) della cultura pro‐pria di chi li ha creati o li possiede.

Ogni bonsai suscita in chi lo osserva particolari sensazioni.Ognuno di noi è in grado di fornire giudizi di carattere intuitivo su ciòche sta osservando. Ma per capire pienamente che cosa il bonsaistaabbia saputo comunicare attraverso il suo lavoro sulla pianta e decifrarecosì i molteplici messaggi che essa contiene, è necessario approfondirel’analisi in modo preciso e metodico.

Il bonsai utilizza le tre dimensioni della scultura conun’aggiunta: la quarta dimensione. Il tempo. Nessuna altra arte dell’uo‐mo è capace di tanto! Il bonsai, inoltre, si può etichettare anche come“opera d’arte di relazione” perché può prevedere la partecipazione dipiù bonsaisti che collaborano alla realizzazione e alla definizione di unapianta.

Bonsai e suiseki, due arti di grande valenza culturale dunqueche ci accomunano e ci fanno ritrovare anche nell’appuntamento con ilnostro Magazine.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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di Fabio CANNETA

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L’ombra di se oscura se stesso.

Emerge con prepotenzaper farsi beffe del pieno vivente.

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Diviene metamorfosi di forme compiute.

Distorce gli spazi e restituisce forme uniche, irripetibili, mai uguali a se stesse.

Cerca nello spazio ciò che non vede.

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Giardino Zen?(PRIMA PARTE)

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1, 2. Anche le foglie e gli aghi che cadono aiutan‐o alla meditazione. ‐ 3. AProvate a sedervi sullapanca e... ‐ 4. Evoluzione di un cigno ‐

Si è sempre detto chei giapponesi sonoattenti osservatoridella natura e che la

celebrano in ogni aspettodella loro vita.

Anche il Shintoismoche è una religione nativadel Giappone, è nato dalmodo di vedere e di conce‐pire con l’anima tutto ciòche le forze naturali offronoattraverso il passare delle sta‐gioni, pertanto ogni eventocome un tuono, un fulmine,un acquazzone,un arcobale‐no, sono fenomeni voluti dapoteri sovrannaturali, perciòben visti e accettati dai se‐

guaci di tale religione.Proprio per questo,

nei secoli, i giapponesihanno catturato l'essenzadella natura che combinatacon l'arte da la possibilità dicreare giardini come luoghidi serenità spirituale, li ipensieri volano liberi e calala pace nell’animo di chi os‐serva.

Anche piccoli e mo‐desti giardini possono tra‐smettere questa pace,ricercata nelle cose piùsemplici e naturali come unpiccolo fiore, o una roccia aforma di montagna, o ancoraun albero contorto che la‐

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scia cadere le sue foglie tra‐sportate dal vento autunnale.

Ed è proprio da tuttequeste piccole e semplici co‐se che nei secoli hannoinfluenzato il modo di vederee di concepire uno statomentale, rivolto a una federeligiosa composta da unasetta di monaci buddisti, do‐ve veniva praticata la filosofiazen.

Il giardino zen è vistoprima di tutto all'interno dellapropria mente, provate a se‐dervi su una panca accantoalla ghiaia, ora rilassatevi elasciate che la vostra mentesia aperta e libera di fantasti‐

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5. Pietre a forma di testuggine ma‐rina.6. Acquarello: giardino zen parzi‐almente chiuso da cancello dibambù.7. Angolo meditativo di un Karesa‐nsui.

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care, lasciate che vaghi per creare immagini tra i sassi ele rocce.

Forse vedrete il mare o le montagne che salgonodall’ acqua o forse potrete vedere un luogo emozionanteall’interno dalla vostra memoria.

Per i bambini poi è più facile l’immaginazione,possono vedere le tartarughe marine, mostri d'acqua eimmagini attive e fantastiche che con la loro fantasia sco‐priranno nella forma di ciottoli e scogli.

Questo giardino pur nella sua struttura minimali‐sta ispira il pensiero creativo, e offre una splendidaopportunità per rilassare il corpo e la mente.

Vi garantisco: l’emozione sarà diversa ogni volta.Questi giardini in realtà hanno ben poco materiale vege‐tale, inoltre non ci sarà materialmente nessun fiume estagno, esso rappresenta quella forma filosofica che ci

aiuterà nella meditazione e nella fantasia.Questi tipi di giardino, se privati non sono fatti

per essere esposti all'ammirazione dei passanti ma pergoderseli al massimo con gli amici, per cui sono isolatidal mondo esterno, i giardini di pietre si trovano neicortili interni e sono circondati almeno in parte da murao da siepi.

Pertanto se vi accingete a realizzare un qualsiasigiardino in stile zen, tenete in considerazione questi po‐chi fondamentali principi che vi aiuteranno a realizzare ecompletare in modo semplice e garbato il vostro angolomeditativo.

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Studiare ikebana significaapprocciarsi seriamente a unpercorso artistico. Capitaspesso di vedere su internet

(specialmente nei gruppi di Face‐book dedicati a quest’arte) personeche si improvvisano ikebaniste oche addirittura hanno scritto librisenza aver mai seguito una scuoladi ikebana. Mi domando come siapossibile parlare di un argomentoquando la nostra conoscenza si basasolo su articoli o libri letti. Comepossiamo pensare che quello chescriviamo in un libro o realizziamosia davvero un ikebana e non unasemplice composizione floreale?Quale artista (anche i più grandi) diqualsiasi disciplina non si è recatoda un maestro a imparare i rudi‐menti di quell’arte che voleva stu‐diare?

Per tale motivo quando michiedono di partecipare a un miocorso di ikebana premetto che faròun incontro di prova comprendenteun’introduzione storica e filosoficadi cosa è l’ikebana e poi spiego efaccio eseguire i due stili che sonoalla base della scuola Sogetsu:Verticale e Inclinato. L’allievo devecomprendere se quello che si tro‐verà a studiare è effettivamentequello che sperava o se ha sbagliatoposto credendo di fare una cosa allamoda e di facile apprendimento. Incaso negativo è libero di non pro‐seguire lo studio. Almeno con me.Se altri vedono l’ikebana in un’altraottica liberi di farlo, ma per me èserietà e dedizione. Questo perchécontrariamente all’opinione di fre‐quentatori di altre scuole di ikebanala scuola Sogetsu è una delle piùdifficili. Non andiamo a studiareuno stile che ripeteremo fino allaperfezione, come nella maggiorparte delle scuole classiche, mastudieremo l’ikebana nella sua spa‐zialità.

Sofu Teshigahara quandocreò la scuola Sogetsu "levò" l’ike‐bana dal tokonoma pensando ad unapproccio più moderno e non le‐

Materiale non convenzionale: perquesto ikebana sono stati utilizzatidei bastoni di legno gialli inseguito spruzzati con vernice blu.Nell'ikebana Sogetsu si puòabbinare al materiale vegetale (quisterlizie e bancsia) materialedefinito non convenzionale (carta,plastica, metallo etc) purché nonsembri un materiale "estraneo"all'ikebana.

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gato solo al mondo giapponese. Kakeiho èil nome del metodo attraverso cui nella So‐getsu si studiano le basi dell’ikebanapermettendo di familiarizzare con il mate‐riale vegetale e studiarne le varie caratteri‐stiche. Nel Kakeiho andremo a studiare idue stili base (Verticale e Inclinato) e le lo‐ro variazioni in modo da comporre fa‐cilmente ikebana fin dai primi istanti. Iltutto utilizzando tre elementi principali(denominati Shushi) che sono: Shin (l’ele‐mento principale, il più lungo di tutti, inbase al quale si ha la misurazione deisuccessivi), Soe (l’elemento secondario),Hikae (l’elemento più corto di tutti). A essisi affiancano degli elementi di "sostegno"denominati Jushi che non hanno unacollocazione precisa, ma che sta all’esecu‐tore decidere (anche in base al materialeche utilizzato) come disporli. Quindi anchel’allievo fin dalla prima lezione è chiamatoa esprimere la propria personalità (ovvia‐mente poi il maestro andrà a fare le dovutecorrezioni dato che ha un occhio eun’esperienza più sviluppata rispetto a chiprende lezione).

Sofu in un suo libro di ikebana perprincipianti consiglia di mettere un fioredavanti alla composizione per dareun’armonia al tutto e uno dietro che dial’idea di profondità soprattutto nel Nageire.

Nella Sogetsu i due stili base e le variazionivengono realizzati sia nei Moribana (unacomposizione in ciotola bassa – suiban –nel quale si utilizza come reggifiori unattrezzo denominato kenzan) sia nel Na‐geire (una composizione in vaso alto – tsu‐bo – che non prevede l’uso di sostegniquali il kenzan, ma fissaggi che andrannorealizzati a mano di volta in volta).

Per facilitare lo studente ogni le‐zione Sogetsu è spiegata dal libro di testoutilizzando dei diagrammi (Kakei‐zu) inmodo che a casa possa esercitarsi con faci‐lità. A lezione chiedo sempre di tenere illibro chiuso dato che non voglio chel’allievo si distragga mentre esegue l’ikeba‐na o che cerchi di copiare la foto del librodove solitamente vi è anche materiale ve‐getale diverso. Solitamente nei Kakei siutilizza per Shin e Soe un ramo (od unafoglia) e fiori per l’Hikae.

Importante è far capire all’allievoche con il solo libro NON imparerà mail’ikebana come di sicuro Picasso non è di‐venuto tale studiando un libro su come sidipinge un corpo umano. Ci vuole l’espe‐rienza che ha il maestro (e che matura conil passare del tempo e dello studio) per farcapire cosa l’allievo ha fatto di giusto e co‐sa di errato. Questo soprattutto per il III eIV livello della Sogetsu dove, imparato ad

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eseguire moribana e nageire in tuttele variazioni e quindi avendo acquisi‐to l’idea di spazialità, dimensione earmonia, lasceremo i diagrammi peraffrontare temi quali: Linea, Colore,Massa e Spazio. Attraverso il Kakeihoimpareremo misure e angolazioni, macome spiega lo stesso Sofu (nel librodi testo a metà percorso tra il I e il IIlivello) è anche importante capirel’andamento che ha un materiale eassecondarlo.

Ci sono tecniche avanzateche permettono di piegare ramimorbidi o di lavorare le foglie, matendenzialmente questo non si fa stu‐diando i Kakei.

Ora vediamo tecnicamentecome realizzare gli stili base. Qui miavvarrò di una foto tecnica che evitoa lezione perché, come dico sempre,non si sta montando una bicicletta.

Nel suiban il kenzan occupavarie posizioni a seconda dello stile edelle variazione che dovremoeffettuare. Per prima cosa dovremoconcentrarci sul materiale che il mae‐stro ci avrà messo a disposizione. Nestudieremo le peculiarità e la forma,

questo è il lavoro più importante ditutta la lezione. Dopodichè andremoa scegliere il ramo più importante chesarà il nostro Shin.

Abbiamo tre misurazioni acui ricorrere (valide sia per il Nageiresia per il Moribana) in base sia al tipodi materiale usato, sia a ciò che noivogliamo realizzare.

MISURAZIONE STANDARD

Shin (diametro del contenitore +altezza del medesimo) x 1.5Soe = ¾ di ShinHikae = ¾ o ½ di Soe

MISURAZIONE GRANDE

Shin (diametro del contenitore +altezza del medesimo) x 2Soe = ¾ di ShinHikae = ½ di Soe

MISURAZIONE PICCOLA

Shin (diametro del contenitore +altezza del medesimo)Soe = ¾ di ShinHikae = ¾ di Soe

Tutti questi dati tecnici ematematici possono spaventare a un

1. In questo ikebana il tema centrale è la superficie delle foglie che vengono messe in risalto sia dalla forma contrastante del fiore sia dalla"piegatura" stessa a cui sono sottoposte per dare movimento al tutto. ‐ 2. Questo ikebana sviluppa il tema de: La forma del contenitore ov‐vero come un elemento floreale o vegetale può far risaltare la linea del contenitore sia per contrasto sia ricreandola.

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primo approccio, ma se uno come me è riuscito a di‐ventare maestro vuol dire che sono nozioni che siimparano con la pratica.

La prima lezione (che verrà ripetuta più volte)è lo stile base Verticale. Si colloca il kenzan nella posi‐zione 1 e andremo a prendere le misure dei tre ramiprincipali che sul kenzan dovranno formare un idealetriangolo (lo Shin al vertice e Soe ed Hikae agli angolidella base). Nello stile base verticale lo Shin è inclinato

Stile base verticale Stile base inclinato

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di 10 ° – 15°, verso sinistra e in avanti, il Soe di45° a sinistra ed in avanti e l’Hikae di 75° a de‐stra e in avanti. Sistemati i tre rami principaliandremo a mettere quelli di sostegno in mododa completare la nostra opera che dovrà essere:Asimmetrica (in natura le piante non sonosimmetriche e inoltre l’asimmetria è movimento,la simmetria è la negazione di esso), Equilibrata(non dovremo avere l’asimmetria con una spro‐porzione tra di loro degli elementi), Armonica (iltutto deve comunicare a chi la esegue e a chi poila vedrà un senso di armonia non solo di esteticabellezza come nella composizione occidentale).

Ogni elemento dovrà avere il suo spa‐zio, dovremo creare vuoto e movimento e ognimateriale dovrà sembrare che abbia una suanaturalezza dove viene collocato.

Come detto in precedenza, l’altro stilebase della scuola Sogetsu è l’Inclinato. Il kenzansarà in posizione 3 ed avremo al vertice del no‐stro immaginario triangolo il Soe a 15° (verso si‐nistra ed in avanti), lo Shin al vertice sinistro deltriangolo (con un’inclinazione di 45° a sinistra ein avanti) e l’Hikae al vertice destro (conun’inclinazione di 75° a destra e in avanti).

Già spostando due rami principali e laposizione del kenzan all’interno del suibanl’allievo avrà modo di percepire come l’ikebanaha un suo movimento e occupi un ben determi‐nato spazio a seconda della posizione in cui locollocheremo.

I rami secondari serviranno non solo acompletare e dare un senso di unità ai tre ramiprincipali, ma ci aiuteranno a dare una pro‐fondità al nostro lavoro evitando, se possibile, difare un muro frontale. In realtà la visione a 360°non fa parte dello studio iniziale dell’ikebanaSogetsu, ma è bene piano piano abituarsi a que‐sto concetto per non scontrarcisi all’improvviso,poi se collocheremo il nostro lavoro su di un ta‐volo non vorremo che sia interessante da ognilato?

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- (PH) © NICOLA CRIVELLI

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Dal 31 agosto al 8settembre Fai della Paga‐nella, una piccola cittadi‐na nel bel mezzo delle

Dolomiti del Brenta, ha ospitato unasettimana bonsai denominata“Summer Bonsai Festival” orga‐nizzato dalla Nippon Bonsai SakkaKyookai Europa (NBSKE) con ilsupporto di Trentino Bonsai Club e ilcomune di Fai della Paganella.Obiettivo dell'associazione è quellodi diffondere il tradizionale bonsaigiapponese e le sue antiche arti inEuropa. Questa Associazione haobiettivi educativi e culturali, ed èuna associazione senza scopo di lu‐cro; qualsiasi forma di competizionenon è incluso nelle attività.

Questi nove giorni sono statipieni di workshop, conferenze, di‐mostrazioni e molto altro e che cicrediate o no, tutte queste attivitàerano aperti a tutti. La struttura erapulita, luminosa e abbastanza grandeda consentire fino a 43 pezzi in mo‐stra tra i quali bonsa , suiseki, kusa‐mono e piante di compagnia, chesono stati ben esposti e cambiate diposizione per tre volte nel corso dellasettimana. I laboratori serano pieni dinuovi membri che hanno volutoimparare qualcosa di nuovo, così co‐

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me vecchi membri che hanno assistitoed aiutato e, alla fine, hanno imparatoqualcosa anche loro. Le conferenzeerano di varia natura e interessanti. Ele demo sono state spiegate in detta‐glio anche se a volte tradotti dalgiapponese. Nell'insieme l'evento èstato un vero successo.

Iniziamo dai workshop: shita‐kusa con Alfonsina Zenari, delicata,femminile, affascinante; il competentePaolo Giai e il suo elegante pino silve‐stre; il ginepro Shimpaku e Nicola Cri‐velli con la sua conoscenza quasienciclopedica della materia; AdrianoNolan e la sua spiccata sensibilità nelcoltivare da seme; Xavier Redon pro‐venienti dalla Spagna e il suo know ‐how in materia di olivi in natura. Il belI

gor Carino e suoi vasi bonsai; e ultimoma non meno importante, il Presi‐dente della NBSKE Lorenzo Agnolettiche ha tenuto un seminario sugli Ya‐madori, lo spirito della natura. Tuttiquesti meravigliosi insegnanti di talentoerano molto disponibili, gentili e lamaggior parte di loro sono rimasti pertutta la settimana in modo che sia ilnovizio sia i bonsaisti più esperti po‐tessero sfruttare appieno le loro cono‐scenze consolidate.

Le conferenze d'altra parteerano più interessanti del previsto.Partendo dall'importanza del tavoloper la presentazione di un bonsai. Disolito i nuovi membri non ricevonoquesto tipo di spiegazione in un club.Si è parlato della storia e il sapore deltè, labevanda

più popolare al mondo e alla fine ilpubblico poteva provare diversi tipi ditè. E non dimentichiamo le piùfemminili tra le arti giapponesi: ikeba‐na e cerimonia del tè. Le signoregiapponese con i loro Kimono imma‐colate erano graziose e delicate nellaloro arte e gestualità. Suiseki, a quantopare, non sono solo le "pietre" e ognu‐no ha scoperto qualcosa di nuovo su diloro. Un vero esperto ha spiegatocoltivazione di Ficus bonsai e bonsaida interno e condiviso la sua cono‐scenza. Incredibile!

Si potrebbe concludere di‐cendo: una settimana davvero ricca.Lo pensi davvero? Non è ancora finito,la perla è ancora da svelare: SenseiIsao Fukita è venuto dal Giappone eha

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impressionato il pubblico con la sua conoscenza,tecnica e sensibilità, tutti ingredienti a cui ogni bonsai‐sta dovrebbe mirare lungo il suo percorso. La de‐mo/workshop è stato davvero interessante per ilpubblico, il Sensei Fukita ha spiegato il suo intento eha dato una lezione di teoria sul dramma (Shibishiza).Il proprietario del bonsai intanto lavorava con la filatu‐ra e lavori sul legno: Jin e Shari. Una volta che il lavo‐ro tecnico è stato concluso il sensei ha impostatol'albero e di nuovo spiegato la sua visione. Se questonon è una perla ditemi voi cosa è!

Ogni membro del NBKSE poteva esporre ilproprio bonsai, che la pianta fosse pronta o meno.Naturalmente dovevano essere piante visivamenteaccattivante. E' proprio questo il tipo di supporto dicui hanno bisogno i nuovi membri ai loro primi passinella esposizione. Non vi è nessuna giuria e nessuno ègiudice, ci sono solo scambi di opinione, suggerimentiper migliorare il bonsai e la presentazione. Non ci so‐no vincitori o perdenti, tutti uguali, uniti dalla la stessapassione .

Al fine di raggiungere i migliori risultati possi‐bili, 11 membri hanno esposto le proprie composizio‐

ni nel tokonoma, che è l'obiettivo di tutti gliappassionati di bonsai. Ci sono state discussioni suquale sia il tavolino più adatto, il miglior kakejiiku, lascelta tra diversi shitakusa, il giusto equilibrio tra ilvuoto e il pieno all'interno della esposizione. Sì, a mioparere, l'arte della esposizione nel tokonoma è davve‐ro una sfida.

Il Festival ha chiuso le sue porte per questaedizione, ma ha aperto molte porte nuove nel cuoredi molti appassionati di bonsai. Non vedo l'ora dipartecipare alla nuova edizione che si terrà l'annoprossimo. Per diventare un membro inviare una e‐mail con il vostro nome e indirizzo alla segreteria delNBSKE info@sakkakyookai‐e.com, 35 euro per annoe chiunque può diventare membro.

Homepage: http://www.sakkakyookai‐e.com

Blog: http://summerbonsaifestival.wordpress.com

Facebook: https://www.facebook.com/sakka.kyookai

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La forma del bonsai torna all’osservatore comesoggetto efficace, capace cioè di trasformarechi la contempla. C’è una reciprocitàdrammatizzata, una tensione in atto che è il

risultato della forma stessa del bonsai. E’ un eventoche ha leggi solo sue. Esclusive. Se il bonsai dal puntodi vista estetico non è concettualizzabile, ciò è dovutoal fatto che è affascinante in sé. La tessitura della ra‐mificazione, la trama della corteccia, le venature dellapianta non sono classificabili, ma è proprio per viadell’attrazione e del fascino che esercitano con queldato colore e quelle sfumature particolari e irripetibili,che il bonsai è più che sé stesso nel suo grado dibellezza visibile, perché porta la presenza di unaperfezione invisibile, impalpabile.

C’è una stretta associazione fra compimento elimite: la forma, quando si realizza un bonsai, è limi‐tazione perché l’idea globale in essa non sarà maicompleta. Dagli esemplari dei grandi maestri possia‐mo evincere come, a distanza di tanti anni, molti diquesti sono stati ristrutturati e stravolti esteticamente.

Se si osserva profondamente un bonsai è co‐me se ogni forma contemplata ci facesse dimenticarela precedente, ma tutte nella loro successioneconfermano la presenza costante della bellezza diogni pianta. E’ come guardare con una lente diingrandimento che mentre ingrandisce un particolare,

oscura gli altri, ma passando sopra tutti ci confermache ognuno è in grado di possedere i caratteri dellabellezza. La “summa” dei particolari forma la bellezzatotale della pianta.

Il bonsai inteso come opera si evolve da sé enemmeno il bonsaista conosce la sua conclusione. Ilbonsaista decide passo passo gli interventi sullapianta, come compierli e perciò si richiede un poterepercettivo di ricezione della pianta, e non qualitàsoggettive o oggettive di analisi. Il bonsaista deve pos‐sedere una potenzialità percettivo‐estetica checoincida totalmente con la ricezione immediata delbonsai.

Un’accurata analisi estetica delle forme delbonsai riconfigura tutta la tradizione orientale delpensiero estetico senza imprimervi una propria dire‐zione, ma lasciando che si realizzino concetti di stilidiversi e coesistenti. E’ questa la questione degli stiliche sta subendo un processo evolutivo e che trova nelbonsaismo italiano particolare sensibilità ed attenzio‐ne. Stiamo parlando del bonsai d’avanguardia.

Un bonsai viene selezionato dal tempo, sotto‐posto alla capacità di giudizio e custodito come valorestorico di memoria artistica.E’ IL TEMPO CHE RACCHIUDE LO SPIRITO DI UN BONSAI.

Partendo dall’analisi dell’osservazione e dellacontemplazione di un bonsai attraverso la percezione

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della sua forma, si evince che se nonsi dà contemplazione senza perce‐zione è anche vero che la percezio‐ne è naturalmente modellata sullacontemplazione della pianta. Non sipercepisce dunque se non per attra‐zione dell’attenzione, per passione,per potere apprendere la strutturadella forma.

L’estetica quindi può ristabi‐lire con un maggiore realismo checosa accade quando percepiamo.Una volta stabilito l’elemento tra‐scendente nella percezione delbonsai, una considerazione ontolo‐gica della bellezza diventa possibilecon gli elementi che costituiscono ipunti focali o di “interesse”. Questaproceduralità è il nocciolo dell’este‐tica del bonsai e il suo disordine es‐senziale ne fa un puro prodottodell’arte.Il bonsai è diventato un oggetto diculto.

E’ identificato e classificatoin quella nicchia che raccoglie ognicosa sia definibile con il terminecult. Un totem su cui si proiettanoimmagini che intrecciano passato efuturo. Un oggetto di culto diventaquanto più importante quanti piùsono i suoi seguaci e quanto più so‐no fedeli.

Il bonsai ha dato vita ad unodi quei fenomeni definiti “comunitàimmaginate” in cui i membri spessonon si conoscono, non si frequenta‐no per forza, ma sentono diappartenere, in questo caso, ad unacomunità di pratiche ma anche aduna filosofia comune. Un credoanche un po’ snob, che godenell’essere minoranza e se ne privi‐legia. Come ogni vera fede ha biso‐gno di seguaci convinti, costanti epraticanti. Un totem sì, un totem selo vogliamo intendere nell’accezio‐ne del termine.

Un vero, grande bonsaista (ein Italia, buon per tutti, qualcunoc’è!) deve essere un protagonistaindiscusso del panorama bonsaisti‐co. Dico “vero” perché oggi il termi‐ne ha subito un grave processo diinquinamento, una deriva inquie‐tante e licenziosa.

Se autori dei capolavoribonsai sono i grandi artisti, non sicapisce come e perché sia invalsal’abitudine a considerare comeespressione dell’arte bonsai qualsiasipianta venga impostata con una

certa verve e con compiaciuta mae‐stria.E’ vero che qua e là si incontranospesso ottimi bonsaisti e validi di‐mostratori che forse meriterebberoaltri destini. Ma l’arte è un’altra co‐sa, è qualcosa che esprime unasensibilità più raffinata, un’intuizio‐ne che va oltre il confine della realtàe che sopravviverà come un valorespirituale eterno; vuol dire riempiredi contenuto un vuoto, dare unsenso al senso di vuoto. In altreparole è la visione di un bonsai nelquale convivono contaminazioniculturali e spiritualità universali.

Queste contaminazioni pos‐sono provenire dall’anima autenticadi una terra mitica come peresempio la Sicilia … o come qua‐lunque altro posto del mondo. Persentieri di montagna, campagne as‐solate e fresche battigie, il bonsaistasi incammina inconsapevolmentealla ricerca delle proprie radici.Quando affermo che ad ispirare ilbonsai ad un siciliano non è la Sici‐lia, ma la sua natura di uomo, e cheil resto semmai è solo l’effetto di unacausa, dico una cosa vera.

Un siciliano o un abitante diqualsiasi altra terra può fuggirelontano dalla propria terra d’originema, ovunque si trovi, non riusciràmai abbastanza a fuggire da sé stes‐so e dal proprio modo di farebonsai.Desidero ora inserire un concetto:l’austerità, che nel caso del bonsaiha una doppia connotazione checoinvolge sia l’estetica che il bonsai‐sta. L’austerità, nel bonsaista, ri‐guarda l’individuo che viveconcretamente la propria esistenzaquotidiana nonché la sua condottaetica.

Il bonsaista si caratterizzaper questo profondo incrocio fra lasfera etica e quella estetica: noninsegna l’ethos né attraverso impe‐rativi morali astratti o formali, néallenando la facoltà di giudizio e dianalisi della Natura mediantel’esercizio artistico che si direzionaverso l’armonia con la natura stessao addirittura nella sua idea più altache coinvolge i maestri orientali, fi‐nisce per esserne assorbito. Perquanto riguarda l’estetica, il rigoresignifica essenzialità, semplicità.

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Avevo già acquistato questolavoro editoriale del Mae‐stro Kobayashi nella suaversione originale in lingua

inglese, edito da PIE InternationalInc. di Tokyo. Da buon bibliofilo hopoi acquistato l’edizione italiana,stampata sempre in Cina dove, conbuona grazia, i costi di stampa sonoconcorrenziali, distribuita da L’Ippo‐campo di Milano.

Nella IV di copertina, il no‐me di Kobayashi è insolitamenteaffiancato da quello di Kazuhiko Ta‐jima che è Art Director di questo li‐bro. Il Maestro ha potuto contare suuno staff professionale che ha pre‐sentato un lavoro editoriale moltogradevole e molto curato. Il prezzodi copertina rientra in una media ra‐gionevolmente accettabile.

La cooperazione con unaserie di musei giapponesi ne valo‐rizza la ricerca fotografica.

Il libro si apre con una bre‐vissima storia del bonsai, cui segueuna pagine interessante titolata"Contemplazione". Entriamo poi nel

corpo vero e proprio del lavoro cheè diviso nei dodici mesi dell’anno.Ogni mese comprende le foto eduna brevissima descrizione di unavarietà di pianta. L’Autore scrive che“sono circa 120 le varietà di alberiusate nella creazione di bonsai,qualcuna in più se si includono levarietà orticole e i cultivar”. Il titolodi ogni mese è allietato dai versi diun haiku. Alle lingue straniere dellevarie edizioni si affiancano gli ideo‐grammi giapponesi che dal punto divista estetico fa sempre piacereapprezzare.

E’ questo un libro che vatenuto assieme ad altri di ogni buonbonsaista soprattutto per il numeillustre del suo Autore. Dal punto divista informativo le schede botani‐che sono molto sintetiche e credonon aggiungano molto alle nostreconoscenze.

Ma l’Autore si chiama pursempre Kobayashi.

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BONSAI

KUNIO KOBAYASHI

EDIZIONI IPPOCAMPO

€ 29,90

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Il ficus: un'essenza che può dire poco se impostata, co‐me spesso si vede, secondo canoni che non leappartengono (vale a dire, ricalcando stili fatti per leconifere) ma che può dare risultati interessanti se

vengono valorizzati i suoi punti di forza.Nel seguito descrivo la mia personale esperienza di

realizzazione di un bonsai di ficus retusa partendo da unapiantina di poche foglie. Un'esperienza in gran parte da au‐todidatta, fatta secondo il principio dell'osservazione, deltentativo e dell'errore corretto, che spero possa costituiremagari per qualcuno una piccola fonte di ispirazione.

GLI INIZI E LA PRIMA IMPOSTAZIONE. Tuttoebbe inizio .. non ricordo nemmeno piùquando, comunque, all'incirca nel2001/2002, dopo la potatura primaveriledel mio bonsai di ficus retusa (all'epoca ilmio unico bonsai, che accudivo da circa10/12 anni), mi domandai: "con tutti que‐sti rametti, perché non provare a fare unatalea?" Detto,fatto. Presi uno dei ramettipiù regolari e lo misi, molto semplice‐mente, in un piccolo recipiente riempitodi acqua di rubinetto. Il rametto produsseradici con vigore, radici sanissime,bianche e turgide. Quando le radiciebbero raggiunto all'incirca una spanna dilunghezza, lo piantai in un vasetto con comune terriccio perpiante ornamentali.

Non avevo in mente uno specifico progetto e se‐guirono alcuni anni di pura coltivazione senza alcunintervento bonsaistico.

Arriviamo quindi alla primavera 2006, quando lapiantina aveva raggiunto l'altezza di circa tre spanne e aveval'aspetto che ho personalmente riprodotto in figura 1(purtroppo, non ho foto risalenti a quel periodo). Il troncoprincipale aveva un diametro, alla base, di circa 1cm e se‐guiva la linea che conduce all'apice, contrassegnato col nu‐

mero 3. Per maggior chiarezza ho numerato tutti i rami chehanno avuto un ruolo nella successiva impostazione: il nu‐mero contrassegnante ogni ramo è riportato vicino all'apicedel ramo stesso. Il ramo 1 ed il ramo 12 erano ancora moltoesili e flessibili e si prestavano a qualunque posizionamento.Il ramo 2 era già invece discretamente rigido e aveva alcunirametti secondari nella parte bassa (numeri 4, 5 e 6). I rami7, 10 e 13 erano pure già discretamente sviluppati.

La piantina, essendo ancora giovane, si prestavaovviamente ad interpretazioni diversissime: dallo stile ban‐jan al moyogi al bonsai su roccia, solo per citarne alcuni,

escludendo evidentemente le impostazio‐ni non adatte ai ficus, quale, per esempio,lo stile a cascata. Come esempi cui ispi‐rarmi avevo in mente i grandi ficus ma‐gnoloides dalla imponente chiomauniforme e a cupola, in particolare quellidei giardini palermitani , che conoscevoda fotografie e che ho avuto poi modo diammirare dal vivo nell'estate 2011.

Era mio desiderio riprodurre unalbero di quel tipo, ricco di intricate radiciaeree, che sostenessero come colonnegrandi rami serpeggianti, che avrebberodovuto dipanarsi in tutte le direzioni.D'altro canto, volevo cercare anche diimprimere un qualche movimento e ritmo

alla chioma, senza limitarmi a farla sviluppare come unasemplice cupola. Alla fine, ispirandomi anche al famoso emagnifico esemplare di ficus benjamin custodito presso ilCrespi Bonsai Museum, optai per uno stile a tre tronchi.La prima impostazione può essere sinteticamente descrittacome segue, con riferimento al disegno di figura 2:• Rinvaso in un vaso di coccio di dimensioni maggio‐ri del precedente. La vecchia zolla è stata in gran partemantenuta e, nel posizionarla nel nuovo vaso, è stata giratadi quasi 90° così che il tronco, prima verticale, andasse adassumere una giacitura sub orizzontale.

"Alla fine, ispi‐randomi anche alfamoso e magni‐fico esemplare diFicus Benjamin

custodito pressoil Crespi BonsaiMuseum, optaiper uno stile a

tre tronchi"

DI ALESSANDRO VALFRE'

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• I rami 1 e 2 sono stati scelti comefuturi tronchi, per costituire lo stile atre tronchi insieme a quello che giàera il tronco principale e sono statiincurvati e posizionati col filo.• Il tronco principale ha subito unasostituzione dell'apice: l'apice 3 è di‐venuto un ramo, mentre il rametto 9 èstato posizionato come nuovo apice.• Gli altri rami sono stati piegati, so‐prattutto con l'ausilio di tiranti, fissatiad un filo di ferro girato e chiusoattorno al vaso:‐ Il rametto 12 è stato posizionato co‐me una piccola branca frontale.‐ 11 e 13 sono stati posizionati comerami posteriori.‐ 7 e 10 sono stati abbassati al fine dicreare una grande massa fogliare inbasso a sinistra, visivamente separatadal resto della chioma. Il ramo 10 èstato anche spostato un po' all'indietro,per dare maggior profondità.‐ Il ramo 8 è stato posizionato comeun palco intermedio.

L'effetto finale vuole esserequello di un grande albero cresciutosulle placide rive di un lago e chequindi, crescendo, si è proteso coltronco e coi rami verso l'acqua, alla ri‐cerca della luce. Il tronco, piegandosie incurvandosi per il suo stesso peso,ha lasciato degli spazi vuoti, colmatidai tronchi 1 e 2. Lo sviluppo succes‐sivo di radici colonnari avrebbe dovu‐to controbilanciare il movimento verso

sinistra dando equilibrio all'insieme.

TRA IL DIRE ED IL FARE C'È DI MEZZO IL

MARE! Il ficus ha una spiccatissimatendenza ad incurvare i rami versol'alto, alla ricerca della luce. Avevoforte difficoltà a mantenere la posizio‐ne dei palchi in quanto questi, anchedopo ripetute applicazioni di filo e ti‐ranti, tendevano poi sempre ad assu‐mere inverosimili forme arcuate,protendendosi verso l'alto. L'applica‐zione successiva di filo e tiranti nonera sufficiente a stabilizzare nel tempoe rendere definitiva la giacitura voluta.Inoltre, occorreva incentivare la cre‐scita delle radici aeree, che diffi‐cilmente riescono a svilupparsiautonomamente se non si ha a dispo‐sizione una serra che permetta dimantenere un alto livello di umiditànell'ambiente.

Negli anni successivi alla pri‐ma impostazione, oltre a procedere asuccessivi rinvasi in vasi (sempre dicoccio) via via più grossi, per velo‐cizzare lo sviluppo delle branche edingrandirne velocemente il diametro,ho risolto entrambi i problemi di cuisopra con le lavorazioni illustrate in fi‐gura 3 e che vado di seguito a descri‐vere.

Anno 2007 circa: i ramiincurvati sono stati abbassati mediantela tecnica dell'asportazione di unafettina di legno. Ciò ha permesso di

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interrompere la continuità delle fibre(più di quanto non si riesca a fare conla torsione dei rami) e di far svilupparepiccoli calli legnosi, con l'effetto diimmobilizzare finalmente il ramo nellaposizione voluta. I rami sono stati nuo‐vamente filati e/o tirantati.

Anno 2008 circa: a cicatrizza‐zione completamente avvenuta, dopola rimozione del filo, il ramo è statoavvolto in nylon riempito di terriccioper piante ornamentali. Terriccio èstato applicato anche sul tronco. Que‐sto allo scopo di incentivare lo svi‐luppo di radici, che sarebbero poidiventate radici aeree, applicando, difatto, la tecnica della margotta masenza poi staccare i rami dalla piantamadre. Per favorire lo sviluppo delleradici è bene mantenere il terriccio vi‐cino a tronco e rami il più possibileumido e ridurre le irrigazioni nel panedi terra sottostante. Personalmente,mantenevo l'umidità delle margotteiniettando acqua con una comune si‐

ringa attraverso la fasciatura di nylon.Anno 2010: quando le radici

sono state sufficientemente lunghe, lefasciature di nylon sono state aperte ele radici sono state distese delicata‐mente fino a raggiungere il terrenosottostante. Quando la loro lunghezzanon era ancora sufficiente a toccare ilterreno, il livello di quest'ultimo è statotemporaneamente innalzatoriempiendo di terra dei cilindretti co‐struiti artigianalmente con ritagli di unacomune rete a maglia fine, reperibilein qualunque centro per bricolage. Iltratto di radice aerea appena espostoall'aria rischiava comunque di subireun forte shock, che avrebbe rischiatodi comprometterne lo sviluppo e, neicasi peggiori, anche di farlo seccare.Per scongiurare tale eventualitàoccorre intervenire con frequenti ne‐bulizzazioni e mantenere una parzialecopertura con sfagno (in alternativa, sipuò anche applicare un bendaggio dicotone idrofilo da mantenersi umido,

1. Il ficus retusa nell’aprile 2006, pro‐nto per la prima impostazione. ‐ 2.Schema della prima impostazione. ‐ 3.Schema della tecnica usata per abbas‐sare i rami e far crescere le radiciaeree. ‐ 4. Futura tecnica dicostruzione di ulteriori radici aereemediante talea, innesto perapprossimazione e successivaasportazione dell’apice.

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tecnica che ho pure personalmente speri‐mentato e che ha avuto una discreta effica‐cia, seppur non tanto quanto l'applicazionedello sfagno) fino a che la radice non appaiasufficientemente lignificata.

Nel corso dell'anno 2010 è statoanche possibile rinvasare finalmente l'alberoin un vaso bonsai, procedendo ad una forteriduzione dell'apparato radicale. Questavolta il substrato è stato in gran parte rinno‐vato e sostituito con una miscela di materia‐le drenante, akadama (prevalenti nella parteinferiore del vaso) e terriccio per pianteornamentali (prevalentemente in superficie).

Successivamente si sono progressi‐vamente rimosse le varie retine di terricciodi supporto per le radici aeree arrivando finoad oggi!

COSA ANCORA PER IL FUTURO? Beh, resta anco‐ra tantissimo lavoro da fare. D'altro canto,questa è la via del bonsai: il lavoro non fini‐sce mai e la soddisfazione sta nel camminoche si fa insieme all'albero!

Occorre che i tronchi acquisiscanomaggior spessore e soprattutto bisogna farinspessire le radici aeree, ancora troppo esiliper avere l'aspetto di vere e proprie colonne.Inoltre, occorre procedere col mochicomiper migliorare l'effetto di miniaturizzazionedelle foglie, ancora molto carente in alcunipunti.

Oltre a ciò, la base del tronco pre‐sentava alcuni antiestetici calli radicali che siè reso necessario mascherare e nasconderecon l'ausilio di una pietra, sulla quale ho fis‐sato, con rafia, alcune radici. Anche questeultime radici hanno bisogno di tempo perinspessirsi e abbracciare la pietra diventandotutt'uno con essa.

Per velocizzare le fasi di cui sopra,intendo riposizionare per un paio d'anni ilbonsai in un vaso di crescita, anche per daremaggior vigoria ai rami bassi, che lascerò li‐beri di crescere con alcuni rami di sacrificio,mentre sulle cime continuerò a praticare ilmochicomi, per contrastare la dominanzaapicale.

Intendo poi riempire ancoraqualche vuoto con alcune nuove radici ae‐ree; questa volta, avendo bisogno che esse sisviluppino in punti predeterminati, hointenzione di fare delle talee (usando ramettipotati) da far crescere laddove voglio che cisia una radice aerea e da far unire ai ramisoprastanti mediante innesti per approssi‐mazione.

Un caloroso grazie a chi avrà avutola bontà di arrivare fino alla fine dell'articolo!Spero di aver dato qualche spunto interes‐sante.

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5. Dicembre 2012, fronte del bonsai.‐ 6.Particolare delle radici aeree. In basso sivedono ancora alcune retine posizionateper facilitarne l’attecchimento, chesaranno definitivamente rimosse nellaprimavera 2013 ‐ 7, 8. Viste laterali

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PROPRIETARIO ESEMPLARE: DOMENICO SANTORIELLO

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Il Ginepro Fenicio rappresentaattualmente in Italia una delle piùimportanti cupressace a squama diinteresse bonsaistico, presente in ma‐

niera naturale sul territorio nazionale e intutto il bacino del Mediterraneo, tanto dadiventare in pochi anni, da essenza quasitotalmente sconosciuta ai più, una della piùrichieste ed apprezzate sul mercato. Tra iprimi in assoluto a raccogliere dei materiali

per avviarli alla via del bonsai, non possia‐mo non citare i vari appassionati dellaCampania; in questa regione esistono,infatti, grandi popolazioni spontanee sullecoste e nell'entroterra più prossimo al mare.

Il ginepro che vi vado a presentareè uno di questi pionieri, raccolto nel 1996nell'entroterra cilentano dal sig. DomenicoSantoriello, amico e socio dell'ArboresBonsai Club da sempre.

1. Febbraio 2005, il fronte dell‐'albero nella precedente impos‐tazione del proprietario. ‐ 2. Ilnuovo fronte da meconsiderato ‐ 3. Particolaredella legna seccai ‐ 4. Dopoaver deciso di piegare ilramo‐tronco si iniziano leoperazioni di scavo dellaporzione secca interna allacurva del ramo da piegare

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L'amico Domenico mi consegnò questo fe‐nicio presso il mio giardino‐laboratorio nel febbraio2005, dopo che gli espressi il mio parere sull'impo‐stazione da lui data a quest'albero tempo prima. Inquell'occasione gli confermai il fatto che l'albero erada ridisegnare in quanto in una prima impostazioneegli scelse un fronte che, se pur accattivante permovimento e composizione d'insieme, nonpermetteva la visione della vena viva che correvamagnificamente sul tronco, all'epoca sul retro,completamente nascosta alla vista.

Ricordo che erano i primi anni in cui miavviavo a fare del bonsai la mia professione e questofu uno dei primi lavori su commissione che presi; ri‐cordo che allora ero combattuto tra l'emozione e laresponsabilità di mettere mano ad una pianta di unottimo livello, e il cercare di accontentare al meglioil committente senza intervenire in maniera pesanteda mettere a repentaglio la vita della pianta stessa.

Domenico, acconsentendo al mio progetto,mi lasciò mano libera nella reinterpretazione diquesto bonsai e così non ebbi che da mettermi allavoro in quel febbraio stesso.

La prima operazione fu quella di scegliereun nuovo fronte, scelta che cadde sull'angolo sinistrodell'allora retro. Nello scegliere questo fronte,immediatamente mi resi conto che una tale chiomaora non aveva senso, per di più copriva una buonaparte della bellissima legna secca presente. E fu inquel momento che decisi che per quest'albero biso‐gnava "cambiare vento"!

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L'idea iniziale era quella di schiantareil ramo‐tronco in basso a sinistra in modo dacreare una chioma discendente sotto il secco,più dinamica e accattivante, pertanto fessu‐rando, svuotando e coprendo con raphia laporzione di tronco da piegare.

La piega e tutto il lavoro preparatorionon presentarono grosse difficoltà e tutto andòbene. Purtroppo, come non tutte le ciambelleriescono col buco, anche in questo caso lapiega fallì a causa di una forte gelata avuta inquel febbraio 2005, il ramo‐tronco seccò!

Sono sincero, la presi male! Fortu‐natamente lasciai un altro ramo prima dellacurva, dal quale sarei potuto ripartire per rico‐struire la chioma, ma in ogni caso con tempi

5. scavando scavando… si elimina la parte secca lasciandointatta la parte viva ‐ 6. Dopo l’applicazione della raphya ‐7. Si applica il filo di rame e si procede alla piega ‐ 8. Unavisione d’insieme ‐ 9. Qualche giorno dopo la piega, prim‐a della gelata ‐ 10. Ecco l’aspetto della pianta a marzo2006 dopo aver eliminato il ramo‐tronco piegato ormaiinesorabilmente seccato ‐ 11. Marzo 2006 la forza delramo rimasto dopo solo un anno ‐ 12. Una prima veloceimpostazione ‐ 13. Una visione d’insieme… davvero unamagra consolazione allora! ‐ 14. Settembre 2006incredibile esplosione, la desolazione si trasforma in gioia,e si ricomincia a progettare ‐ 15. Settembre 2006 si iniziaa leggere già un progetto d’insieme ‐ 16, 18. Momentidurante una dimostrazione alla mostra della Giaredasettembre 2006

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più lunghi per la formazione. Mi dovetti ri‐credere! In poco tempo e nello stesso annola pianta reagì violentemente regalando unavegetazione abbondante e vigorosa, infattinel settembre 2005 direzionai già la vegeta‐zione in laboratorio, facendo seguire nellaprimavera del 2006 una prima impostazio‐ne e sistemazione del secco in demo allamostra delle Giareda a Reggio Emilia.

L'anno seguente, nel 2007, fucambiato anche il vaso, con un contenitoredalle linee più eleganti e morbide. Nel 2008questo ginepro ha poi partecipato a diverse

manifestazioni nazionali, Crespi coup, UBI2008, trofeo Arbores, Valle d'Itria Bonsai edaltre, riscuotendo sempre grandi apprezza‐menti. L'ultima apparizione pubblica diquesta pianta risale al giugno 2011 duranteil trofeo Arbores.

Questa pianta rappresenta unesempio di come nel bonsai da un inci‐dente di percorso si possa ricominciare e ri‐costruire una storia tutta nuova e magarianche più interessante.

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20. Inizia il lavoro di rifinitur ‐ 21.Tirata a lucido‐ 22. Particolare del secco e della vena viva ‐23. Presentato al congresso UBI di Arco 2008

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di MAURO STEMBERGER

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Era il 2006 quando ebbil'opportunità di acquistare daun raccoglitore questo interes‐santissimo araki di pino Silve‐

stre raccolto l'anno precedente inFrancia. La pianta che aveva superatoin modo ottimale lo stress da raccoltamostrava già segni di ottimo vigorecon gemme apicali forti ed inoltregemme arretrate che a seguito dellapotatura di contenimento si stavanosviluppando nella ramificazione cheora aveva luce ed aria. Il materiale mi

colpì subito per le sue caratteristichepeculiari quasi più simili ad un gine‐pro, intendo dire le torsioni deltronco che creavano moltissime curveinteressanti dalla base fino all'apice.Inoltre questi pini, provenienti da unaspecifica zona nell'altipiano al centrodella Francia, presentano unacorteccia molto rugosa e dal coloregrigiastro ed un colore verde/azzurrodegli aghi, molto diversi dai loro cu‐gini italiani che hanno corteccia e co‐lore degli aghi più scuro.

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1, 2, 3. Il pino al momento dell'acquisto

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L'anno seguente in primavera,viste le ottimali condizioni in cui si tro‐vava il materiale, era auspicabile unaprima lavorazione in modo dacompattare i lunghi rami (questepiante, che in natura crescono in unterreno composto prevalentemente dacreta, quindi povera di sostanze nutri‐tive, sviluppano una crescita cosiddetta "a fungo", coprendosi interamentedai rami e strisciando nel terreno inmodo da diminuire il più possibile latraspirazione dell'umidità dal terrenocircostante nel periodo estivo ).

A volte può essere interes‐sante, utilizzando le tecnologie

informatiche, creare dei piccoli pro‐getti in modo da poter valutare le di‐verse opzioni che il materiale cipropone. In questo caso, analizzandoun cambio di angolazione della pianta,sono emersi due interessanti progettida sviluppare nel tempo.

L'importante, quindi, comeprimo passo è stato riportare i lunghirami vicini al tronco in modo che nelfuturo, lavorando con la ramificazionesecondaria e terziaria, si potesse fa‐cilmente ricostruire la chioma del no‐stro bonsai. L'utilizzo della raphianaturale in questi casi è il metodo cheprediligo in quanto, durante la fase di

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4. Si studia la nuova inclinazione al mome‐nto della prima lavorazione ‐ 5, 6. Le duepossibilità ipotizzate al computer sullosviluppo futuro del bonsai

7. Il corretto posizionamento della raphianaturale e l’avvolgimento dei rami prontiper essere piegati ‐ 8. La pianta dopol’intervento per compattare laramificazione, Autunno 2007 ‐ 9.Autunno 2008, si esegue una stilizzazion‐e approfondita di tutta la vegetazione chenel frattempo si è molto sviluppata ‐ 10.Le particolarità del tronco contorto vengo‐no messe completamente in evidenza ‐11. La pianta al termine del secondo stepAutunno 2008 ‐ 12. In dettaglio un palcoimpostato e visto dal basso ‐ 13. Autunno2009

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piegatura, quando il ramo è sottoposto a notevole stress etensione, la raphia bagnata ne aiuta la flessibilità e nella fasedi post‐piega mantiene protetto il ramo dalla disidratazioneche potrebbe essere causata dalle micro‐rotture dellacorteccia che naturalmente si creano durante operazioni cosìdelicate.

Nell'autunno del 2008, dopo che la pianta avevaabbondantemente vegetato per due stagioni vegetative, eragiunto finalmente il momento di lavorare sulla struttura finedella ramificazione e poter finalmente mettere in risalto tuttoil movimento del tronco che fino a quel momento era statoparzialmente nascosto dalla vegetazione. Ogni singolo ra‐metto viene accuratamente legato e messo in posizione, inmodo da creare palchi fogliari ordinati e che nel complessocreino quel disegno formato da vuoti e pieni che sarannocome una cornice per il movimento plastico della pianta.

Un dettaglio ravvicinato di un palco completamentelegato e messo in posizione corretta. La ramificazione se‐condaria si apre quasi a formare una mano, mentre i piccoligermogli della ramificazione terziaria vengono alzati in mododa ricevere la luce in modo corretto e così da dare tridi‐mensionalità e spessore all'impalco stesso.

La pianta vista nell'autunno del 2009, dopo un ulte‐riore step di rifinitura e nella primavera dell'anno seguente,

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esprime appieno le po‐tenzialità di questobonsai.

E' quasi di‐vertente pensare che iosia sempre attratto daquesti tronchi brutti‐rotti‐contorti nella mia ricercadella pianta dei miei so‐gni e così per il mioocchio, quelle che innatura sono comune‐mente considerate ca‐ratteristiche bizzarre,diventano invece unqualcosa di bello da volercosì ostentare nella crea‐zione bonsaistica

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Era il 16 agosto 2011... una bellagiornata baciata dal sole, l'ariafrizzante e cinque persone carichedi speranza: Franco, Virna, Attilio,

Guerrina ed io, con zaini ed i piccoli picco‐ni nella mano destra, ci accingevamoall'ennesima ricerca del tesoro, esclamando,come antico grido di battaglia: “Al lago! Allago!”.

Tutto era cominciato circa quindici

anni fa: quella sera, Claudio Villa si presentòal Club Bonsai di Forlì con le sue primepietre d'arte. L’interesse esplose immediata‐mente e come una malattia epidemicainfettò in maniera gravissima Cusercoli, unpaesino presso le colline romagnole nellavalle del Bidente.

L’epicentro della pandemia vennelocalizzato all’interno del KON‐DO‐MING(kon significa dio della pioggia, do la via

DI ETTORE GARDINI

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della mano vuota, ming l'illuminazio‐ne) ovvero “Il Condominio” ove risie‐dono Carlo Laghi, Attilio Valdifiori ePrimangelo Pondini. Ho bazzicatoanch’io per vent'anni la casa dell’Atti‐lio e sono rimasto subito contagiato.Questo fu l'inizio della nostra storia edella “Cooperativa Aias Val Bidente”;

storia che poi, insieme, abbiamoscritto.

Torniamo a quel giorno me‐morabile, ennesima uscita al lago diGiacopiane, ma con una novità: siuniscono a noi la Virna Marchi conl'inseparabile marito Franco, mio ami‐co d'infanzia. Virna si interessa di

bonsai da circa tre anni e frequenta ilclub di Forlì; lì ha visto le nostre pietreper la prima volta… ed ecco che il vi‐rus dormiente si risveglia e ne vieneinfettata. Pure suo marito ne escefebbricitante. Scendiamo dunque lerive del lago; Virna e Franco, spaesatitra tutte quelle pietre, non sanno cosa

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fare o, per meglio dire, fanno troppo!Si affannano su ogni pietra senza ri‐sultati: rovescia ed ancora rovescia,nulla. Passano due ore.

Attilio ed io offriamo allaVirna, in dono, alcune pietre trovate;ma Virna, gentilmente ma ferma‐mente, le rifiuta: “No! Le voglio con lepunte, cerco una montagna”.Sconcertato, continuo a seguirla con losguardo, sino a che, all'improvviso sichina e mi chiama: “Una puntina!” midice. Mi chino anch'io: sarà due centi‐metri, quel piccolo triangolino di pa‐lombino che affiora dalla terra.Cominciamo a scavare… mi fermo unattimo: il tempo di scattare una fotoalla montagnina che sta emergendo edalla Virna. Il mio cuore sobbalza (foto3), mentre invece lei si alza demora‐lizzata: “La montagna è attaccata adaltra pietra” dice “è troppo grande, la‐scia stare”. Io però insisto. Lei, per trevolte si rialza sfiduciata e per tre voltela esorto: “Aspetta, aspetta”.

Siamo invasati da sacro furorementre continuiamo a scavare e la bra‐mosia che riluce nei nostri occhi si fasempre più forte: Attilio, Franco eGuerrina si avvicinano alla pietra fi‐

nalmente svelata: “ la Montagna Mi‐steriosa " si manifesta in tutta la suabellezza. La febbre è salita a 42°! Sondisposto a tutto: offro una cifra allaVirna… (me ne vergogno ancora, manon troppo!) che lei, ancora“gentilmente ma fermamente”, rifiuta.

Si torna a casa e il KON‐DO‐MING comincia a interagire con lapietra. Claudio Villa, PrimangeloPondini, Carlo Laghi, Attilio Valdifioried Ettore Gardini dicono la loro circala scelta del fronte, Franco dice la sua.

Passiamo diverse giornate acasa di uno, a casa dell’altro in discus‐sioni, scelte di posizione e calcoli; poisi decide per un fronte. La pietra passadalle mani di Franco e Virna a quelledi Primangelo per una sommaria puli‐tura e poi a quelle di Claudio per lapulizia di fino. Nel mentre, procede ilconfronto su daiza e tavolino finchéCarlo Laghi prende il comando ed i la‐vori di intaglio hanno inizio (foto 4, 5,6).LUCIANA: "Bella storia davvero! Ricordouna discussione scambiata alcuni annior sono, proprio circa la paternità su diuna pietra e di quanta importanzapossa avere chi la sta possedendo. Ma

chi veramente possiede un suiseki?Possederlo è solamente un piccolopasso, nella vita di un oggetto che avràaltri padroni, altre storie. E poi, chi èl’artista: la Natura che l’ha formata?Chi l’ha trovata? Chi ha costruito il suodaiza? Questa, comunque, non è unastoria comune ad ogni pietra degna didivenire in futuro un suiseki; questa, èla storia del ritrovamento di una bellapietra e della sua evoluzione a Suisekiattraverso la condivisione di ungruppo; e condividere il godimento diun oggetto naturale… questo dovrebbeessere il fine, non il solo possesso."

ma torniamo alla Storia... (foto7‐10) Attilio Valdifiori ha procuratol’asse di mogano per il daiza, mentre lasua costruzione, nonché la supervisio‐ne & costruzione del tavolino, è affi‐data a Carlo Laghi. Coordina il tuttoEttore Gardini e non è da dimenticarela caparbietà di Virna in tutta la vi‐cenda.

Son passati due anni diincontri e belle serate tra i componentidel condominio (foto 11): ora la pietraha il suo daiza ed il suo tavolino eVirna ringrazia tutti gli amici citati, perla collaborazione e la passione che li

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ha uniti, permettendo la realizzazio‐ne di questo sogno. Solamente lascelta del fronte ha avuto sortialterne praticamente sino al giornodel Concorso ed in quel di Pescia,sono gli amici dell’associazione che,concordi, ne han deciso la scelta.

La "Montagna Misteriosa"ha conquistato il titolo di “TrofeoA.I.A.S. 2013” (foto 12) iniziando il

suo percorso verso il meritatoappellativo di “Meiseki” e tale è digià per Virna… Virna che, come haspiritosamente ricordato il GiudiceJesus Quintas premiando il di lei pri‐mo e per ora unico suiseki, avrà vitadura nel mettere insieme una colle‐zione che ne sia all’altezza.

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Nel caso della “MontagnaMisteriosa” c’era ancoraqualche incertezza, nelgruppo, appena prima che

si “aprisse il sipario” sulla Manifesta‐

zione del Congresso… (foto 13, 14)tanto che, inizialmente, venne posi‐zionata ponendo come fronte quelloche diventò poi, definitivamente, il re‐tro. Fronte alfine scelto (foto 15, 16) e

ricompensato dal gradimento del Giu‐dice e dei presenti tutti. In effetti, seguardiamo la pietra dall’alto (foto17)… un fronte corretto dovrebbeabbracciare lo spettatore e non re‐

Il frontein una pietra paesaggio

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spingerlo; in effetti, una ampia curvaconcava prende oltre la metà dellapietra sulla parte in alto, mentre unacomplessiva curva convessa disegnauna schiena lungo il lato inferiore.Anche in alto verso sinistra, però (cosìcome in basso al centro), abbiamo unacontro‐curva: perimetro della cospicuamassa di uno dei due massicci princi‐pali che caratterizzano il paesaggio.Sulla parte sinistra del lato in basso,poi, i due “promontori” creano unabaia, anche se più aperta… con questipresupposti così tra loro “conflittuali”,appare naturale che la scelta sia statacosì sofferta.

Sul caro, vecchio Covello ‐Yoshimura, abbiamo imparato che:”L’Equilibrio è un elemento essenzialeper la bellezza di un Suiseki. Per giudi‐care la validità di un suiseki, esaminala pietra dai sei lati e cerca l’asimme‐tria, l’originalità, l’irregolarità e gli ele‐menti contrastanti, in armoniosoEquilibrio; Elementi importanti so‐prattutto per la scelta del Fronte.”

“Le cime delle montagne nondovrebbero essere allineate. Tutte lecime dovrebbero essere diseguali inaltezza e forma e tutte dovrebbero es‐sere più basse della cima principale ecollocate lungo il lato frontale o poste‐riore; le posteriori più dolci e smus‐sate mentre, i picchi frontali,dovrebbero avere insenature piùprofonde e superficie più ruvida.Valli relativamente poco profonde, inmaniera da permettere che lo sguardoscorra da un picco ad un altro senzafatica.”

Ancora, se continui a sfogliareil Covello, trovi che: “Idealmente, leinclinazioni del lato frontale sarannodifferenti rispetto al lato posteriore.”Nel senso che, come per il bonsai ecome ricordato più sopra, il fronte do‐vrebbe presentarsi aperto verso l’os‐servatore ed avvolgente, mentre sulretro il paesaggio dolcemente scemaverso l’orizzonte. Ecco che, a questopunto, quella piccola collina “dolce esmussata e bassa”, posta proprio nel

mezzo della curva convessa, potrebbecreare, se posta sul retro, sì! certa‐mente la profondità della terza di‐mensione…Ma… (foto 18) dovrebbe essere ormairisaputo… (foto 19) che se il materialeche compone la pietra ha assunto, du‐rante la sua formazione, una inclina‐zione diagonale, questa ora ci imponedi indirizzare le linee che attraversanola pietra ad inclinarsi verso lo spettato‐re e non a “cadere all’indietro” perchéin tal caso creerebbero senso di dise‐quilibrio e precarietà.

E’ l’inclinazione delle linee edella forma complessiva che ha de‐terminato la scelta del suo posiziona‐mento.Ma non sempre la scelta delfronte valuta a sufficienza dove la pie‐tra va e se tende otticamente a cadereall’indietro. A volte, si tiene poco inconto la tridimensionalità (profonditàvisuale) del paesaggio sullo sfondo,prediligendo ciò che “sta davanti”: perspiegarmi meglio, si dà rilevanza adavere piccole colline che salgono gra‐

datamente sino alla montagna più altae massiccia e che, in tal modo, si verràa trovare “dietro” sullo sfondo… ma‐gari con una schiena‐parete a picco;magari, senza null’altro dietro di lei.Questo, dimenticando che un suisekiquasi perfetto e presentato corretta‐mente, non è una cartolina, ma unamassa tridimensionale che dovrebberispettare la regola del Sanmen non ho(il Metodo delle tre superfici).

Come ricorda il nostro caroamico e sensei, Martin Pauli: “Le tresuperfici ( sanmen ) si riferiscono alleparti: anteriore e posteriore , sinistra edestra , ed alla parte superiore ed infe‐riore della pietra. Un equilibrio traqueste differenti superfici è da consi‐derarsi basilare, quando visualizziamoe giudichiamo una pietra. Quando siosserva una pietra partendo dal puntodi vista di queste tre superfici, ci do‐vrebbe essere un equilibrio in terminidi massa e di forma. Una pietra note‐vole è anche quella in cui vi siaun'armonia nelle dimensioni, spessoree forma delle tre superfici… In pratica,le tre superfici dovrebbero mostrarefondamentalmente una forma rappre‐sentativa ed un certo grado di unità”.

Così, senz’altro difficile èstata, da parte di Attilio Valdifiori nel2012, la scelta del fronte per quellasua spaziosa, inusuale e preziosa pietrascenica che ben ha meritato il TrofeoAIAS dello scorso anno. (foto 20) Nellascelta del fronte, la preferenza è

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andata a favorire l’esaltazione dellaspianata, ad ampio respiro, a fronte delpicco solitario. (foto 21) Il picco piùalto si trova sulla linea di perimetro delretro: se fosse visionata di profilo(sanmen sinistra – destra), nonostante ilperfetto lavoro di intaglio di Carlo La‐ghi e l’aumentato spessore del daizasul retro, la parete del picco pende unpoco ancora all’indietro. (foto 22)

Questa la visuale del retro. La leggerainclinazione del massiccio e del suoapice posto frontalmente, si annulla. Lospazio si dilata sui fianchi e sullosfondo in maniera tridimensionale. Lapiccola appendice della montagna chespunta da dietro, si estende in pro‐spettiva verso un orizzonte sconfinato.

Bene! Pochi possono vantareil possesso di simili pietre perciò,

mentre i loro proprietari possonopermettersi di disquisire conindulgenza e pour parler sulle scelte diesposizione, per noi, poveri mortalidalle pietre modeste, azzeccare il giu‐sto fronte ed un passabile equilibrio,equivale alla salvezza della dignità deinostri piccoli tesori. Vi mostro (eserci‐tazione per nuovi entusiasti!) due mo‐destissimi esempi: una da decenni

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staziona nella mia cantina;l’altra, recente e neppurepulita. (foto 23, 24) Proba‐bilmente (ma con questonon voglio sottovalutare laperspicacia dei novellini) lafretta di vederle già nel lorodaiza potrebbe spingerci avalutare sufficiente l’equili‐brio della rappresentazionenel suo insieme ed andarevia di intaglio torno ‐ torno.Ma… tutto sommato, perfare un lavoro di fino, bastapoco: (foto 25, 26) unospessore da 0,1 cm. riequili‐bra la cima maggiore e dàmaggiore visibilità al lato si‐nistro, di per sé esiguo, ripi‐do e lineare rispetto aldestro.

(foto 27, 28) Lo so:mi direte che il fronte mi‐gliore è senz’altro quello chesta a sinistra… mi stringonelle spalle: se quello di de‐stra retro deve essere, assie‐me al sinistro, saranno unacoppia di sanmen che“fondamentalmente mostrauna forma rappresentativaed un certo grado di unità”.Ecco l’arenaria di recente ri‐trovamento (foto 29): ancorada rivelare nei particolari,ma già distinguibile nellealtezze e masse e alternanzedei volumi.

Questo esempio(foto 30) potrebbe beneindirizzare chi va alla ricercaed ha la lucidità di ponde‐rare e quindi scartare le pie‐tre mancanti dei requisitirichiesti per una scelta ocu‐lata (non sarò mai io,quella!). Il lato a sinistra,infatti, scende asimmetrica‐mente, con una certa qualarmonia di insieme. Mentrea destra, il perimetrodell’intero lato è pratica‐mente perpendicolare alpiano del tavolo.

La tavoletta è 0,2cm. di spessore (foto 31,32). Aumentare ancora lospessore sotto la pietra perinclinare il lato altrimenti di‐ritto, danneggerebbe l’equi‐librio dell’insieme. Misostiene la speranza che ilprofilo in alto di questo

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fianco (foto 33, 34) sia, sotto la scorza di degrado, otticamente più morbido diquanto appare… e che l’inclinazione data sia di un qualche aiuto.

Ora, si dovrebbe passare dalle chiacchiere alla segatura perciò, nonmi resta che darvi appuntamento… alla prossima! Luciana Q.

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Salve amici, questa intervista riapre lo spazio dedicato al Suiseki. Ci farà

compagnia, in queste prossime pagine, Ezio Piovanelli. Persona discreta e

riservata, di lui non si hanno notizie, se non quelle relative ai concorsi e

premi vinti, oltre al suo impegno per la diffusione di questa meravigliosa

arte. Nelle prossime pagine cercheremo di conoscerlo meglio. Ora lascio

la parola ad Ezio.

Buona lettura.

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I SUISEKI. Pietre raccolte in natura per la loro bellezza, rispettate nella lo‐ro integrità, racchiudono in sé con perfetta armonia colori, forme e sugge‐stioni.

E' nella capacità dell'uomo capirne l'interpretazione per poi ved‐erle trasformate in opere di assoluto valore artistico.

"Questo concetto fa dei Suiseki una vera forma d'arte, naturale, primitiva e sp‐irituale." ‐ Ezio Piovanelli

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Voglio cominciare questa intervista ringra‐ziandoti per averci “aperto la porta di casa”.Detto ciò ti chiedo di parlarci un po’ di te. Chiè Ezio tra le pareti di casa?

Ezio tra le mura di casa è sicuramenteun uomo felice. Tutto ciò che gli è attorno glirappresenta le sue passioni (che sono il Suiseki eil Bonsai). Sì, per chi non lo sapesse, anche ilBonsai fa parte delle mie passioni. Così trascorrobuona parte del mio tempo tra pulire, fare Daialle mie pietre e annaffiare, potare e concimare imiei Bonsai.

I tuoi primi approcci con il Suiseki risalgonoagli anni ’90, sbaglio o possiamo affermareche tu sia stato uno dei principali attori delsuo sviluppo in Italia?

Nei primi anni ’90, il mio lavoro occu‐pava gran parte del mio tempo. Malgrado que‐sto, nei ritagli di tempo, mi dedicavo alla ricercae all’informazione di tutto quanto riguardava ilSuiseki. Le mie esperienze le ho riportate ai socidel mio club e pochi altri appassionati. Questo èquanto ho potuto fare in quegli anni.

Fondamentale per la tua crescita personalesembra sia stato l’incontro con Franco Saburri,oltre che sul piano umano, tu quanto pensiabbia inciso la frequentazione con Franco neltuo percorso artistico?

Conosco Franco nel 1998, anno in cuila mia conoscenza del Suiseki e la mia collezio‐

ne erano a livelli ottimali. L’incontro mi portò apartecipare a manifestazioni nazionali e interna‐zionali. Importante era la nostra frequentazione,ci portava a dibattere quali erano le problemati‐che del Suiseki. Ci trovavamo concordi su duepunti fondamentali; la diffusione del Suiseki, permezzo di associazioni e di club che ne prendes‐sero in considerazione l’importanza. L’altropunto è l’esposizione, che ci vedeva quasisempre in conflitto, ma che poi risultava semprecostruttiva.

Ritornando al sodalizio con Franco, quanto ri‐tieni sia stato importante nella divulgazione diun’arte che, ancora adesso, ai più risulta pococomprensibile?

Personalmente tanto. Se oggi ho la pos‐sibilità di trasmettere quest’arte lo devo a queidibattiti. Sono sicuramente gli anni più proficui,dove la mia conoscenza ha fatto veramente unsalto di qualità.

Collegandomi all’ultima parte della domandaprecedente, io ho l’impressione che nel nostroPaese il Suiseki, tra quelle di importazionenipponica in particolare, sia un’arte conside‐rata, a torto, minore. Se è così, quali a tuoavviso i motivi?

La non conoscenza. Abbiamo l’abitudi‐ne di osservare l’esteriorità delle cose, mentre sidovrebbe approfondire di più quest’arte. Il Sui‐seki è fatto di meditazione, poesia e di valori

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culturali. È questa la differenza traOriente e Occidente: due cultureampiamente differenti.

Voglio ancora insistere sulla scarsaconsiderazione della quale quest’artegode in Italia, quali secondo te po‐trebbero essere le iniziative, o piùprosaicamente, le cose da fare,perché il Suiseki abbia finalmente ladignità che merita?

Bella domanda. I giapponesihanno la cultura del Tokonoma. Articome il Suiseki o il Bonsai, la scritturae l’Ikebana, hanno la loro maggioreespressione artistica nell’interpretare laKeido. Il Suisekista dovrebbe, a mioparere, orientarsi su questa, come unpittore lo fa dipingendo la tela.

Piccola frecciatina… Pensi che tuttele federazioni interessate si stianomuovendo in maniera adeguata perraggiungere gli obiettivi prima detti?

Io credo di sì. O meglio, melo auguro. Penso che per il Suiseki nonsia abbastanza confrontarsi con ilBonsai, si dovrebbe accedere con altrearti come l’Ikebana, con cui ho avuto ilpiacere di confrontarmi con positività.Oppure con hobbies e passioni comela mineralogia o addirittura la scultura.

Dopo aver divagato un po’ veniamoall’Ezio Piovanelli artista del Suiseki.La mia prima domanda è: cosa ti hafatto innamorare di quest’arte?

La mia passione per i mineralie i fossili mi ha sempre portato adamare le pietre. Avvicinandomi alBonsai scopro il Suiseki. Riportandomialla risposta precedente, per questodico che confrontarci con altre passioniaumenterà le opportunità di far cono‐scere il Suiseki.

La tua collezione vanta diverse deci‐ne di pezzi provenienti dai luoghi piùdisparati, tra tutti ce n’è uno che amidi più o per han tutte la stessaimportanza?

Dire che tutte hanno la stessaimportanza, non è corretto. Ci sonopietre legate a dei momenti, altre cherisultano nei canoni del Suiseki, altreancora che per motivi personali miemozionano. Per ciò non mi sento didire che una pietra valga più diun’altra. Tutte hanno quel qualcosache me le fa apprezzare.

Quando ti fermi ad osservare le tuepietre quali sono le emozioni che tisuscitano? Cos’è che ti spinge afermarti a contemplare una pietra?

Quando guardo le mie pietre,vedo che non ce n’è una ugualeall’altra; vedo forme, disegni oppurecolori. Mi chiedo: “Chi c’è dietro atutte queste opere per poi regalarme‐le?”. Io penso che la natura faccia dellecose talmente belle, da poter donare atutti, orientali e occidentali. Per questochi ama il Suiseki ha un solo modo di

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apprezzarne la sua bellezza.

Volendo fare un parallelo con l’arte Bonsai,quali credi che siano i motivi della maggiorediffusione di questo rispetto al Suiseki? A tuoavviso, il fatto che il fare Bonsai permetta unamaggiore interazione con la materia, puòavere il suo peso?

Premesso che io faccio Bonsai, comedetto all’inizio, penso che il poter agire sullamateria dia all’uomo quel senso di prevalenza.Il Suiseki è un’opera fatta dalla natura, dovel’uomo la può solo interpretare per poi condi‐viderne la bellezza. Queste due condizionipossono fare la differenza? Non lo so.

Torniamo al tuo modo di vivere il Suiseki.Quanto pensi abbia influito l’aver appro‐fondito quest’arte sul tuo modo di vivere laquotidianità? Credi a chi dice di aver pro‐fondamente cambiato il proprio modo di vi‐vere dopo aver conosciuto la bellezza dellearti orientali?

Dire che mi ha cambiato il modo divivere mi sembra esagerato, però, da quandol’ho conosciuta non c’è giorno che io non cipensi e la voglia di saperne di più mi spinge allaricerca e all’apprendimento di questa stupefa‐cente arte.

Spesso penso all’importanza nella gerarchiadelle arti, che il Suiseki assume in Giappone.A tuo avviso, come mai in un paese come ilnostro, che è fatto di arte non c’è la giustaconsiderazione? Pensi possa bastare comegiustificazione la differenza culturale?

Penso di aver toccato questo argo‐mento nelle risposte precedenti e penso ancheche chi ha voglia di cimentarsi con arti diversedelle nostre alla fine può scoprire che sonomolto simili.

Ci avviamo alla conclusione, qual è l’augurioche fai al movimento Suisekista italiano?

Mi auguro che la voglia di fare Suisekisi trasformi in gioia, piacere e entusiasmo comeprovo io per quest’arte. Per questo auguro atutti gli appassionati le stesse emozioni.

La nostra chiacchierata è giunta al termine,nel ringraziarti per il tempo che ci hai dedi‐cato ti chiedo un saluto per i nostri lettori.Buon Suiseki!!

Ringrazio chi fin qui mi ha letto. Il miomodo di vivere il Suiseki è sicuramente perso‐nale, però voi vivetelo come volete, però, vive‐telo.

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Era giugno del 2011, e lamostra annuale delBonsai Club Castelli Ro‐mani venne ‘sigillata’

con la classica foto di gruppo.Fu una edizione della mostra diFrascati molto ben riuscita, perla presenza di Nicola Crivelli edi Luciana Queirolo, che diede‐ro un apporto didatticoimportante. Sembrano parole dimaniera, ma sentire e toccarecon mano gli insegnamenti didue esperti che riuscirono adintegrare teoria e pratica fu unaesperienza significativa, per lacrescita del Club.

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E a dimostrazione di quella particolare sintonia di cuifummo fortunati protagonisti, voglio raccontare una storia cheparla sì di una pietra, ma anche di affiatamento, di collabora‐zione, di un cameratismo che spero si colga nei volti di quelgruppo di amici che si trovò a vivere per tre giorni immersonella stessa passione e che ha trovato il modo di racchiuderequello ‘spirito’ in una pietra, diventata il “suiseki “ del club.

Quasi a ribadire la gradevolezza della esperienza, Lu‐ciana infatti ci volle regalare una pietra, dalle potenzialità nonancora del tutto espresse: stava a noi abbandonarla, o fareinsieme il percorso che l’avrebbe fatta diventare un suiseki :una appropriata pulizia delle zone ancora sporche di terra,l’acquisizione di una buona patina, la costruzione di un daiza,la pianificazione di una esposizione. Il tempo a nostra disposi‐zione non era poi molto…

Una occasione infatti da non perdere era il Congressodell’AIAS che si sarebbe svolta a Firenze, in settembre: il BonsaiClub Castelli Romani, socio AIAS, avrebbe avuto una sua pietraa rappresentarlo! La fase della pulizia fu relativamente sempli‐ce, ed occupò qualche incontro del club. Fu volontariamentedeciso di non pulire in modo esagerato la parte inferiore, la‐sciando la terra di degrado dello zoccolo, sia perché era moltodura, sia per evitare di alterare troppo una linea perimetraleche già presentava qualche problema costruttivo per il daiza.

Già… il daiza… chi lo avrebbe potuto realizzare? Si‐curamente un amico, sicuramente un professionista del legnoed un appassionato del suiseki: Felice Colombari, socio AIAS emio caro amico, accettò volentieri la sfida, e la pietra partì perMonza. Come detto, la pietra presentava qualche difficoltà,non tanto sul fondo, sufficientemente piatto, quanto per lapresenza di numerose rientranze, anche profonde, e per alcunidislivelli proprio sul fronte.

Nella sequenza successiva, dall’archivio fotografico diFelice alcune fasi della lavorazione del daiza, che venne rea‐lizzato in mogano. Dopo il primo scavo, effettuato con l’ausiliodi un attrezzo professionale che ha fresato restandoleggermente all’interno del perimetro disegnato a matita,l’incavo viene poi perfezionato con un attento lavoro di rifini‐tura manuale, portandolo fino al margine reale.

La pietra è incassata, si studia il posizionamento dei

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piedini, che dovrebbero essere inta‐gliati nei punti di forza della pietra, do‐ve essa va a sporgere. A volte, però, ènecessario fare alcune valutazioni,quando ad esempio seguendo questaimpostazione di base ci si rende contoche i piedini sono troppi e troppo vici‐ni tra di loro. Bisogna quindi semplifi‐

care e fare delle scelte. Stabilite laposizione dei piedini, si procedeall’abbassamento del muro, fino adarrivare al risultato finale. Il legno se‐gue ed accompagna i dislivelli dellapietra, salendo e scendendo con pre‐cisione, come un vestito, come unguanto.

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Nel frattempo, iniziava lo studio del tavolo daesposizione: anche in questo caso la scelta era semplice,chiesi la collaborazione di Sergio Biagi, che ancora oggirealizza i miei tavoli. Il progetto di un tavolo iniziasempre dalle stesse fasi: la proposta, da parte di Sergio,di alcuni modelli che si adattano alla pietra, la scelta daparte mia della tipologia che preferisco, il disegno tecni‐co dopo averne stabilito le misure, al fine di proporzio‐nare ogni elemento costruttivo, piano di appoggio,gambe, elementi decorativi. Ed anche in questo caso iltempo era poco.

Comunque, già a fine giugno la pietra tornò aRoma, con il suo daiza, e rispetto alle foto eseguite du‐rante la lavorazione, è assottigliato ed abbassato, al finedi alleggerirlo, ed i piedini sporgono meno.

Era possibile procedere con il tavolo… a parermio, la pietra richiedeva un supporto più alto del solito,rispetto allo standard che in genere utilizzo per i suiseki.Ho potuto quindi valutare tipologie che in generescartavo, e questa volta sono partita da un tavolopubblicato in una rivista UBI (N. 54 di Giugno 2011,articolo di Massimo Bandera sui vasi per bonsai) che miaveva colpito per le gambe che partono leggermentedall’interno del piano di appoggio e poi si vannoallargando, terminando con una lavorazione che vienechiamata ‘a zampa di gatto’. In generale, il tavolosembra innalzare il soggetto esposto come su un vassoio,da offrire agli osservatori.

Questo il punto di partenza e con Sergio, poi,sono stati modificati alcuni particolari, al fine di allegge‐rire e personalizzare il tavolo. E’ stato tolto il fregio

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centrale ed è stato modificato ildoppio piano, fino ad arrivare al dise‐gno del progetto. Questa tipologia ingenere non è mai alta meno di 25 cm,ma per questa pietra sarebbe risultatoesagerato. Feci alcune prove, co‐munque, fino ad arrivare ad unaaltezza di 20 cm, che fece sì cheSergio, giudicandolo troppo basso,battezzasse questo tavolo ‘Il Tarpo‐ne’… e così è rimasto ! Il piano èlungo 45 cm, e largo 33: ricordo che lapietra è lunga 23 e larga 23, alta 13cm.

Così fummo pronti per pre‐sentare il suiseki ‘Spirito immortale’

alla mostra AIAS di Firenze, settembre2011. L’esposizione venne pianificatain base agli insegnamenti della Scuolad’Arte Bonsai, di cui i soci del club se‐guono i corsi, quindi senza kakejiku econ la sola pianta di accompagna‐mento, scelta da Giuseppe Cordone,vice presidente del BCCR. Nessun pre‐mio ma… tanta soddisfazione! E la vitaespositiva di questa pietra non eraancora conclusa, perché nel Giugnodel 2012, in occasione della Mostra‘Città di Frascati’, ci fu di nuovol’occasione di portarla in mostra,sempre con gli stessi criteri espositivi.

A Frascati, Giuseppe Cordone

completò l'esposizione arricchendolacon un suo bonsai di ginepro. Eravamoansiosi di sentire il giudizio di LucianaQueirolo, nostra ospite come giudiceanche quell’anno: "Amavo partico‐larmente questa pietra, quindi sonoemozionata nel vederla finalmente co‐me suiseki, con il suo daiza, inserita inuna esposizione che la valorizza. Tuttomi parla di vento fresco : il tavolo alto,il ginepro che andrebbe forse ancorapinzato ma sembra comunque anchelui muoversi nella brezza. Bravi!". llsuiseki fu ritenuto meritevole dellaTarga ‘Bonsai & Suiseki Magazine’, cheadesso ne racconta la storia.

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Ecco, il progetto era completato: un gruppo di amici uniti da unapassione, un atto di generosità, un incontrarsi di anno in anno per fareinsieme un percorso condiviso. Questo è insito nel nome poetico dato allapietra, uno spirito immortale che superi il tempo e lo spazio.

E siamo finalmente ad oggi il Bonsai Club Castelli Romani hascelto di riproporre questa pietra al Congresso AIAS 2013, che si è tenuto aPescia in Settembre. La realizzazione di un Catalogo del Congresso, infatti,ci ha fatto riflettere… sarebbe stata una splendida conclusione, vivereancora una volta nelle pagine di un libro!

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Il TOKONOMA semplice misura191 x 95,5 cm, ed il TOKONOMAcomposto, di 191 x 95,5 + 95,5 x62‐68,5 oppure di 191 x 95,5 +

131‐138 x 95,5 o 62, in cui la parte se‐condaria, rialzata ulteriormente dallaprimaria, con sotto un cassetto osportello in cui riporre oggetti, puòavere misure più libere e variabili dellaprincipale.

Il TOKONOMA allargato, nellemisure: ‐ nana shaku‐doko, sette SHA‐KU, 212‐227cm (1 SHAKU è intorno ai30,3 cm), ‐ hasshaku‐doko, otto SHA‐KU, 272 cm, ‐ kyuushaku‐doko, nove

SHAKU, 302 cm.Fino a 50 anni fa, Tokokazari

era l'unico modo per esporre. Ilconcetto che permea tutta la culturagiapponese e perciò anche il bonsai ela sua esposizione, ma anche la rea‐lizzazione del tokonoma è dato da tretermini che definiscono tre gradi diformalità: SHIN ‐ GYOU – SOO (SHO)Formale ‐ Informale – Libero

Questi tre stili sono da riferi‐mento per rendere concorde l'esposi‐zione di oggetti d'arte. Le principalimotivazioni per realizzare un'esposizio‐ne sono le stagioni e gli avvenimenti. Il

sigillo rosso che normalmente nel ka‐kemono (pitture montate su tela)rappresenta il nome del pittore descri‐ve un po’ il punto di chiusura delle li‐nee di movimento in quellacomposizione, è questo deve esserevalutato.

SHIN ‐ Nell’allestimento èquello più formale classico che rispettarigidamente le regole e la tradizione. Sel’esposizione è fatta con due oggetti, loscroll è posto al centro, e l'oggettoprincipale è esposto sotto la pittura oappena di Iato, normalmente conoggetti diritti. Se ci sono tre oggetti, il

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rotolo è appeso sempre nel centro el'oggetto principale dei tre è messo aduna distanza del 60% dal bordo,mentre l'oggetto di compagnia è espo‐sto ad una distanza del 40% dal bordodel tokonoma. Il soggetto del kakemo‐no deve reggere l'intero leitmotivdell'esposizione e ricordandosi che piùil tema è un dettaglio e più l'esposizio‐ne è intensa. Aggettivi che possonoqualificarle questo stile possono essere:formale, duro, forte, uomo, caldo,dritto, nero, rugoso, verticale, pesante,a spigoli vivi. Shin è anche la realtà, laverità la purezza. Ma indica anche il

periodo dell’apprendere, nella tradizio‐ne Giapponese il ripetere ciecamentegli insegnamenti del Maestro. Negli stilibonsai è l’eretto formale (Chokkan) atronco rigido e diritto e il Kengai o ca‐scate verticali ed anche Shakanleggermente inclinati e Moyogi con ca‐ratteristiche forti su tavoli alti. Tra le es‐senze sono le conifere, per primo ilpino essenza molto maschile e ginepri,conifere in generale specie moltolongeve. I tipi di vaso sono quellirettangolari antichi e ben definiti nellelinee. Disposizione verticale della mo‐stra; i kakejiku (rotoli di carta) sono

appesi centralmente. Le linee sonomolto rigide; si usano colori neutri emisurati, si usano tavolini alti. Siscelgono suiseki ad orientamento verti‐cale e si posizionano nel centro del to‐konoma.

GYOU ‐ nell’allestimento delbonsai nel Tokonoma è qualcosa di piùlibero, meno formale. La mostra gyoo èquella dove c'è più movimento, senzaquella rigidezza tipica della forma shin.Nell'uso dei bonsai si prediligono alberidecidui e latifoglie in genere, con unalinea sinuosa. Il soggetto principale èmesso al lato opposto della fonte

II PARTE

DI ANTONIO ACAMPORA

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d’illuminazione. Le caratteristiche es‐senziali dello stile sono: una prevalenzadi linee orizzontali; una disposizioneasimmetrica degli oggetti in mostra; l'usodi vasi ovali o rotondi con curve affuso‐late; tavolini bassi o basi di legno;

Aggettivi che possono definirequesto stile possono essere: Informale,soffice, né debole né forte, donna, tie‐pido, inclinato neutro, scuro, né pesantené leggero, a spigoli arrotondati, né li‐scio né rugoso. Gyou nello SHODO é ilsemi corsivo, una scrittura più veloce elibera.

Nel bonsai lo stile Moyogi,eretto casuale, è una delle sue espres‐sioni, le latifoglie sono gyou. In generalegyou è anche un’impostazione piùleggera e libera. Gyou è anche il porta‐mento tipicamente femminile delle lati‐foglie. Nell’apprendimento è ilmomento di agire, rielaborare ereinterpretare gli insegnamenti ricevuti.Acquisire un proprio stile personale.

SOO ‐ Nell’allestimentorappresenta qualcosa di estremamentelibero, personale e raffinato.

La mostra soo è quella, chesuggerisce un movimento largo e vasto,con linee di movimento informali. Puòessere anche di soli due oggetti dove ilsuiseki o il bonsai diventa principale. Lecaratteristiche principali sono: sistema‐zione irregolare della mostra; colloca‐zione asimmetrica degli oggetti; formemorbide, vasi ovali o rotondi; lostile bonsai più adeguato è lo stile bun‐jin. La serenità ed il silenzio sono glielementi per giudicare la qualitàdell'allestimento; consideriamo chel'allestimento si fa per gli ospiti e nonper se stessi. Aggettivi che possono indi‐care questo stile possono essere: casua‐le, libero, debole, bambino, fresco,chiaro, curvo, leggero, senza spigoli, li‐

1. Tokonoma destro, il cui movimento va verso destra (michi nagare). Questo tipo di toko‐noma possiede l'oggetto principale a sinistra. L'elemento di compagnia riceve il movimentodell'albero, il sigillo principale (rakka) è opposto all'oggetto principale. ‐ 2. Tokonomasinistro: il cui movimento va verso sinistra (hidare nagare). Questo tipo di tokonomapossiede l'oggetto principale a destra. L'elemento di compagnia riceve il movimentodell'albero, il sigillo principale (rakka) è opposto all'oggetto principale ‐ 3. Tokonoma shin(formale, rigido) ‐ 4. Tokonoma gyou (informale) ‐ 5. Tokonoma soo

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scio, colorato, gioco. Sono sou le piante da fio‐re e da frutto, le erbe di compagnia.

Il kanji Sou vuol dire erba, nel bonsaisono i Kusamono, i bonsai di erbacee e le erbedi compagnia. Ma anche, le piante impostatein modo molto libero e naturale. I vasi souhanno forme rustiche e molto naturali sia nelcolore sia nella pasta (ceramica raku).

Una persona, un Maestro in stato Souè libero da tutte le regole, ogni cosa che fa ègiusta.

Queste tre fasi vanno vissute e speri‐mentate in successione. Essere Gyou o Sousenza passare dallo Shin è una cosa irrealizza‐bile.

Ciascuno degli stili su indicati si divideancora nel seguente modo:

SHIN: Shin di SHIN, Gyo di SHIN e So diSHIN.

GYO: Shin di GYO, Gyo di GYO, e So diGYO.

SO: Gyo di SO e So di SO.Ogni suddivisione esprime particolari

secondari all'interno di una categoria. Adesempio un pino BUNJIN sarà GYo di So per lasua corteccia ruvida a scaglie fini (GYo),mentre le caducifoglie BUNJIN saranno So diSo.

L’esposizione infatti dovrà conteneresolo elementi GYO nelle loro varianti, o Sonelle loro varianti, senza mischiare tra loro.L’esposizione SHIN richiede elementi formali,tavolini squadrati, pesanti e neri, lo stile bonsaiutilizzabile è l'eretto formale di conifera; ed èidonea anche ad oggetti o KAKEMONO. Eccoquindi che tutto diventa semplice, le regoleincomprensibili spariscono, sostituite dallasemplice logica.

Diventa facile capire il vaso adatto,capire perché un BUNJIN vada in vasi tondied/o irregolari (pianta e vaso so) e un tavolinoda caducifoglie debba avere colori più chiari,bordi smussati. Partendo dai Kakejiku, i rotolidipinti da appendere, è importante capirel'importanza degli spazi vuoti che lasciano libe‐ra la mente di immaginare.

PRINCIPI BASE D’ESPOSIZIONE ‐ DIREZIO‐NE. C’è noto dalla psicologia, che l'occhio siferma quando incontra masse, e si muove di‐rezionalmente in reazione alla linea di fuga.Questa conoscenza è usata nelle esposizioniper tenere l'attenzione dell’osservatore foca‐lizzata su un'esposizione.

Quando otteniamo un successo, l'os‐servatore per prima esamina il Bonsai o il sui‐seki principale, il centro d'interesse. Quando ilsuo interesse iniziale si affievolisce, la sua

attenzione è condotta via da evidenti segni di‐rezionali nella f orma delle piante.

Se il soggetto principale sembra averela sua massa concentrata a destra e le sue lineeportano l'occhio a sinistra, si dice che ha unadominanza destra e può essere posto nellaparte destra dell'esposizione. Al contrario, se lamassa è concentrata a sinistra e il movimento èverso destra, il soggetto ha una sua dominanzaa sinistra ed posto a sinistra dell'esposizione.

Quando queste regole sono applicate,gli occhi saranno direzionati verso il centrodell'esposizione e verso gli altri oggetti. Nessu‐na regola formulata sarà sempre vera, mal'intuizione è sviluppata dalla pratica.

I principi di massa e movimento siapplicano anche agli oggetti di compagnia chedevono essere scelti e piazzati con la stessa cu‐ra.

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POSIZIONAMENTO. L'esposizionenon deve sembrare affollata o "stipata".Come regola generale, non dovrebbe‐ro esserci più di due pezzi, in uno spa‐zio largo 1,80 m. E non più di tre inuno di m. 2.50. In uno spazio di 3 m.si possono porre 5 pezzi. (Più di 5pezzi sono generalmente esposti insie‐me solo nelle esposizioni shohin)

EQUILIBRIO ASIMMETRICO. L'equili‐brio si ottiene quando l'esposizione èinteressante ma riposante per la vista.E' difficile insegnarlo, dovete "sentirlo".I diagrammi mostrati possono essereun punto di partenza.

STAGIONE. Piante di compagnia ealtri accessori sono scelti per accresce‐re la percezione della stagione. Perconvenzione il tentativo è fatto persuggerire una stagione con un brevetempo nel futuro.

SPAZIO. Lo spazio è l'elemento piùimportante e difficile dello studiodell'esposizione. Lo spazio ha forma,aria, umore e sensazioni. La bellezzadello spazio può essere vista solo attra‐verso l'occhio della mente, l'occhiodella mente con conoscenza e senti‐mento.

ERBE DI COMPAGNIA.A — le piante di compagnia devonoprovenire dalla stessa zona geograficadel Bonsai principale: alpina, pia‐neggiante, desertica.B — Idealmente, differenti erbe dicompagnia vanno preparate per ognistagione in cui un soggetto può essereesposto.C — Le piante di compagnia intensifi‐cano l'atmosfera stabilita dal soggettoprincipale. Ad esempio, il senso deltardo autunno è accresciuto da uncomplemento di bambù con le puntesecche.

KAKEJUKU. I rotoli ci permettonod'introdurre interessanti forme, colori emateriali come soggetto concretonell'esposizione. Cura va posta nelloscegliere quelli che non dominanol'esposizione. Due tipi sono soprattuttopreferibili:Shodo, calligrafie (parole o poemiappropriati alla stagione e all’atmosferadella mostra.)Sumi‐ e, acquerelli di semplici scene intonalità sottomesse.

TEMPAI. Oggetti d'arte. Figurine o altreminiature sono talvolta usate efficace‐mente. Esse hanno la tendenza, tutta‐via, di far volgere i propri pensieri allecondizioni umane, e necessitano diessere utilizzate con attenzione.

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Iluoghi del mondo hanno un odore, quello che mi arri‐

va aprendo la finestra nel primo giorno dal Maestro èstato quello del legno tagliato. Dei carpentieri stavanocostruendo a pochi metri dall'abitazione degli allievi un

nuovo edificio in stile tradizionale destinato a divenire ilMuseo dei Vasi.

Appena il tempo di appendere il futon che Ak michiama per le pulizie del giardino. Imparerò ben presto chenonostante tutto sia già pulito e nessuno sporchi, questo èun rito da rispettare. Mentre ho la scopa in mano arrivaimprovvisa la voce della moglie del Maestro che avvertedella prima colazione. Per fortuna scoprirò che il menu è unmisto di tradizione e modernità ben fatto.

Una volta seduti sperimento la capacità del Mae‐stro di fare almeno tre azioni contemporaneamente:mangiare, conversare, vedere le notizie, fare elenchi dimansioni per se e gli allievi, controllare fatture e spese. Inquesti primi giorni osservo le persone con le quali divideròlo spazio nipponico. Il primo è Ba, l'allievo più giovane.Tutti gli danno ordini e lui deve eseguire. Oggi come gli altrigiorni passati e futuri si è alzato per primo ed ha dato di na‐scosto due boccate alla sigaretta dentro la sua stanza, poi èpartito veloce diretto in cucina dove ha apparecchiato epulito. Servirà e mangerà contemporaneamente durantetutti i pasti della giornata senza perdere tempo. Ba ha la

capacità di ingurgitare il pasto in una frazione di minuto. Avolte lo guardo ammirato, così piccolo e magro, nei suoi 19anni perennemente in azione ed un cespuglio disordinatodi capelli. Ba si alza per primo e va a letto per ultimo a voltebuttandosi sul futon completamente vestito, in fondo è unadisgrazia che capita a tutti quella di essere per un certo pe‐riodo l'allievo più giovane, eppure Ba si considera fortunatodi essere stato accettato da un famoso Maestro di bonsai.

Ba è il figlio di un Maestro del nord, conosciutoper i bonsai di media dimensione, e come tradizione è statomandato da un altro Maestro per l'apprendistato. Gli allievipiù fortunati o quelli con i padri più abili riescono a faraccettare il proprio figlio ad un Maestro famoso e con unbuon giro di clienti. In questo modo si creano nel tempocircoli di affari e favori, ed inoltre, provenire da un giardinofamoso è utile come futura presentazione nel mondogiapponese del bonsai.

D'altro canto l'allievo non deve pensare, sopratuttoquello più giovane. Ba è ancora un adolescente ed ènormale che faccia degli errori e venga rimproverato. Du‐rante il mio soggiorno si renderà autore di episodi di‐vertenti... almeno per me.

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DI L.

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Nell'interpretazione occidentale il termine "stile" implica il concetto di conformità a unatendenza specifica. Le caratteristiche stilistiche sono determinate dall’assieme dei trattiformali che caratterizzano un gruppo di opere, costituito su basi tipologiche o storiche.Criteri che non hanno alcun riferimento a quello che i giapponesi intendono con la paro‐

la "stile". Un altro equivoco è quello di associare l'aggettivo "giapponese" ai concetti di linearità, puri‐smo e minimalismo. E’ pur vero che l'arte giapponese non conosce lo sfarzo, è semplice, ma semprein termini occidentali perché ciò che definiamo "semplice", per la sensibilità giapponese potrebbeessere prezioso e sofisticato. Inoltre il termine minimalismo dovrebbe essere sostituito con “chia‐rezza”. L’architettura e i manufatti artistici giapponesi hanno sempre contorni ben definiti e sonofunzionali, ma proprio l'irregolarità e la casualità sono due delle caratteristiche più evidenti dell'artedi questo paese.

La peculiarità dell'estetica giapponese si può riassumere in due punti: l'uso oculato dellospazio e l'asimmetria. Un punto fondamentale è l'asimmetria. La simmetria ha in sé qualcosa di stati‐co, mentre l'asimmetria comunica un senso di dinamismo e mobilità. Il buddhismo zen ha profonda‐mente influenzato l'estetica della dinamica in Giappone. Il nucleo del pensiero Zen è il concetto di“vuoto”, di immateriale. Secondo questa filosofia le cose non hanno materia, tutto fluisce. Le cosesono soltanto l'insieme dei diversi elementi che, dopo un certo tempo, si disgiungono per crearenuovi insiemi.

Le conseguenze del pensiero Zen nell'ambito della creatività sono il vuoto nell'area centralee l’asimmetria, che suggerisce l'idea di movimento nella partizione dello spazio di stanze, giardini,composizioni di fiori e disposizione delle vivande. Perfino i numeri pari destano diffidenza e si cercadi evitarli. L’ordine, secondo il grande poeta e filosofo francese Paul Valéry (1871‐1945), è unagrande e innaturale impresa. Questo concetto base di un pensatore europeo è evidente dalla dispo‐sizione giapponese dello spazio: negli edifici urbani, nei giardini, in architettura e nelle diverseespressioni artistiche come pittura, calligrafia e ceramica. L’artista nipponico si pone in rapporto di‐retto con gli elementi cosmici. Il mondo non è altro che il mondo delle apparenze. Se il soggetto nonha in sé un punto di riferimento centrale, autonomo, nell'ambito della percezione estetica, è intuitivoe non produrrà mai forme pianificate, calcolate.

I manufatti artistici occidentali particolarmente preziosi si distinguono generalmente ancheper il valore del materiale: negli oggetti, per esempio, si tratta di argento, oro, legni pregiati,porcellana e pietre preziose, nelle arti figurative di colori a olio o bronzo, mentre in architettura dimateriali nobili come il marmo o l'intonaco decorato. Nell’arte shintoista giapponese il valore delmateriale risiede invece nell'essenza non alterata, ma conservata nel suo stato naturale. Sono consi‐derati pregiati la pietra ruvida, la nervatura del legno con tutte le sue tracce di vita, la paglia e ilbambù, la lacca opaca. Mentre in Occidente l’impegno è rivolto al restauro delle opere d'arte anti‐che, in Giappone è molto apprezzato il concetto di beauty born by use. Si attribuisce un grande va‐lore proprio alle tracce visibili lasciate dall'uso, che creano motivi propri, inconfondibili e uno stileproprio, mentre l'età di un'opera non conta nulla. La domanda "è d'epoca?", cioè originale di un de‐terminato periodo, tanto spesso ricorrente in Occidente quando si calcola il valore di un oggettod'arte, in Giappone è del tutto irrilevante.

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Le arti giapponesi hanno le medesime fina‐lità della meditazione nel buddhismo zen, che pre‐tende di assumere una determinata posizione delcorpo. Imparare a sedersi in questa posizione educaanche lo spirito, perché esso segue il corpo. La metada raggiungere è l'unità di corpo e spirito, disoggetto e oggetto. Da questa ricerca di armonia de‐riva anche la profonda dedizione alle stagioni, ai fio‐ri di ciliegio, ai mutamenti cromatici delle foglie e latemporalità delle feste che celebrano invaria‐bilmente l’impermanenza.

Lo spirito Zen è racchiuso anche neglioggetti esili, silenziosi che arredano stanze serene,per riconquistare la calma dopo una giornata pas‐sata fuori. L’arredamento post‐moderno rivaluta evalorizza lo stile Zen, reinterpretando il passato conun nuovo rigore formale. Il mobile in rovere biancocon un gioco di venature contrapposte. La sediadalla linea purissima. La grande ciotola in acero la‐vorata a mano. Una pietra usata come fermacarte.Un sacchetto o una busta in carta stropicciata lavo‐rata a mano, trattenuta da uno spago per contenerepoche parole. Nessuna concessione al superfluo.Tutta la semplicità e la raffinatezza racchiusi in que‐sti oggetti. E non è un fatto di mode passeggere.

La forma del cerchio rappresenta, come haosservato Suzuki, “l’infinito che è il fondamento ditutti gli esseri” (Suzuki, Il maestro zen Sengai, pag.42), ma non solamente questo. Tale forma delimitadue spazi: quello esterno, virtualmente infinito, equello interno, effettivamente finito. Il primo rinviaall’origine unitaria e indeterminata che consente ladeterminazione dei molteplici esseri. Il secondorinvia all’ambito finito in cui si determinano i singoliesseri particolari. Riferendoci al buddhismo, si puòdire che il primo rinvia al nirvāna, ossia alla condi‐zione in cui si è dissolta ogni determinazione, sepa‐razione ed opposizione, mentre il secondo rinvia alsamsāra, ossia alla condizione in cui si danno de‐terminazioni, separazioni ed opposizioni. La formadel cerchio mostra anche che in definitiva spazioesterno e interno sono un unico spazio o che, ilvuoto esterno ha le stesse qualità di quello interno:in questo senso la circonferenza del cerchio lidistingue ma non li separa. Il modo stesso on cui laforma circolare viene tracciata con il pennello evi‐denzia la continuità dello spazio, rifiutandointenzionalmente di tracciare una circonferenzaperfetta. La circonferenza non è mai del tutto chiusae, quando lo è, la sua forma non è mai perfetta.

Il Vuoto. Il Vuoto è il concetto prediletto dal taoi‐smo. Ovviamente non c’è nulla di più difficile daprecisare del Vuoto. Il suo significato non è univocoanzi, affrontato ai differenti punti di vista, si apre adiverse accezioni.

La potenzialità del Vuoto è definita in mo‐do superbo dalla frase di Borges: “Non essere è piùche qualcosa e, in certo modo, essere tutto”. Conquesta accezione ormai puramente concettuale, ilVuoto diventa il protagonista di spazi concepiti co‐me simboli della globalità.

Il Vuoto della casa tradizionale giapponese

è la manifestazione, allo stesso tempo accessibile esofisticata, di un sostrato culturale. Profonda cono‐scenza della natura, senso del cambiamento e dellamutabilità, austerità zen e funzionalità ritualizzataconfluiscono per dare come risultato un tipo di spa‐zio nel quale il Vuoto si fa accogliente e riposante,utile e flessibile. Nello spazio vuoto dell’internogiapponese non è possibile l’oblio. I suoi materialinaturali ed il suo ordine denotano attesa, vigilia. Inquesto Vuoto sottile e puro, la provvidenza èlatente.

Arata Isozaki (1931) noto architettogiapponese della prefettura di Oita, scrive che “Ingiapponese la parola ma è un concetto cheincorpora lo spazio ed il tempo, in termini stretta‐mente spaziali; è la distanza naturale tra due o piùcose che si trovano in continuità, o lo spazio delimi‐tato da pilastri e paraventi (la stanza) o, in terminitemporali, la pausa naturale o intervallo tra due opiù fenomeni che si succedono in continuità (questadefinizione è presa dall’Iwanani Dictionary ofAncient Terms). Il Giappone antico non conosceva ilsistema seriale occidentale di tempo e spazio.Entrambi, tempo e spazio, erano concepiti comeintervalli, e ciò si riflette nel Giappone attuale neiconcetti di base dell’ambiente e della progettazionedel giardino, nelle arti della vita quotidiana, inarchitettura, nelle belle arti, nella musica e neteatro. Tutte queste discipline possono essere chia‐mate arti del ma” (Arata Isozaki, “Ma: Japanese‐Space”, in The Japan Architect, pag. 70).

Lo spazio concepito come ma ha unaspetto sintattico: è uno spazio referenziale. “InGiappone, tutte le cose dipendono dal ma, dallospazio. L’arte del combattimento, l’architettura, lamusica o l’arte stessa di vivere, l’estetica, il sensodelle proporzioni, la disposizione delle piante in ungiardino dipendono da un insieme di significaticollegati tra loro e risultanti dal ma. (…) Dietro ognicosa esiste il ma, lo spazio indefinibile che è comel’accordo musicale di ogni cosa, l’intervallo giusto ela sua migliore risonanza”. (Michael Random,“Giappone: la strategia dell’invisibile”, Genova,ECIG, 1988, pagg. 173‐175). Il Vuoto, quindi, è unvalore fondamentale per la comprensione dello spa‐zio. “Lo spazio giapponese è sempre legato a questasublimazione del vuoto. Per vivere, infatti, in unospazio con la massima libertà possibile, occorreinnanzitutto creare il vuoto; in seguito il vuoto saràin qualche maniera occupato, ma la vibrazione delvuoto e la sua presenza devono restare sensibili”(Michael Random, op. cit. pag. 176).

La cultura giapponese, ed in particolare lasua tradizione scintoista, offre una delle concezionipiù ricche del Vuoto. La sua qualità consiste nelmodulare una cornice speciale per i fenomenispirituali, risaltando con il sapiente uso delVuoto una particolare forma di trascendenza.Il Vuoto, come attributo del Tao, non è daconfondere con il Nulla “cioè il vuoto èciò che non riusciamo a nominare, de‐finire o concepire. Le costruzioni lo‐giche ed intellettuali non possono

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riempirlo” (Félix Ruiz de la Puerta, “Laconcepcióne del mundo en el Taoísmo,pag. 220).

Nello Zen, il vuoto non è consi‐derato un concetto comprensibile attra‐verso il processo analitico delragionamento, ma un’affermazionedell’intuizione e della percezione. La re‐lazione tra forma e spazio deve esserepresentata in modo tale che lo spirito os‐servatore non si soffermi su uno solo de‐gli aspetti, ma legga le loro reciprochenecessità, la loro muta relazione. Laforma prende posto nello spazio vuoto inmodo che percepiamo il vuoto comeforma e la forma come vuoto” (RaymondThomas, op. cit. pag. 124).

Per quel che riguarda il bonsai,come ben sappiamo, uno degli elementipiù importanti che costituiscono l’armo‐nia della pianta à appunto il concetto delVuoto, ovvero la presenza di spazi vuoti.Nel bonsai, talune proporzioni che sonoinerenti all’albero costituiscono il metroregolare da cui il reale si allontana pergradazioni impercettibili. Ma questoargomento va affrontato meglio e in ma‐niera più profonda.

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Già dal titolo del suo libro,Leggero il passo sui tatami*(Einaudi, 2010, pp. 192, 13,50), Antonietta Pastore

sembra voler suggerire una doppia chia‐ve di lettura del volume: da un lato il te‐sto si snoda sotto forma di narrazione diun viaggio sentimentale all'interno di unacultura ricca di grazia, mentre dall'altro sipresenta come un'indagine attenta a sve‐lare gli aspetti più familiari e taloracontraddittori del popolo nipponico, tesacosì a smentire (o per lo meno acorreggere) i numerosi stereotipi in pro‐posito.

La scrittrice ci racconta con fareconfidenziale questa realtà formalmentecosì lontana da noi ‐ ma umanamentecosì vicina ‐ ricorrendo a disavventure edepisodi vissuti in prima persona duranteil suo lungo soggiorno in Giappone, chenon di rado strappano un sorriso. Si deli‐nea in tal modo, dinanzi ai nostri occhi,un orizzonte inconsueto e inatteso, fattodi superstizioni, credenze bislacche, abi‐tudini in apparenza incomprensibili egesti di squisita gentilezza. Protagonisti diquesti ricordi sono per lo più individuicomuni, conosciuti attraverso esperienzequotidiane, non di rado incrociatisoltanto per qualche minuto.

Alcuni di loro, però, sono senzadubbio destinati a rimanere nella memo‐ria del lettore: il pensiero corre subito

alla vecchina ritenuta dai parenti priva dilucidità, eppure ancora in grado dicomportarsi da perfetta padrona di casa;oppure al timidissimo professore che,consapevole del suo amore impossibileper una ragazza americana, acquista tuttigli oggetti che lei ha posseduto persentirla vicina una volta che sarà tornatain patria.

La scrittrice, con grande onestà,non nasconde i suoi momenti di insoffe‐renza o scoraggiamento dinanzi aipiccoli e grandi problemi che ha dovutoaffrontare in Giappone nel corso deltempo, come le difficoltà di apprendi‐mento degli onnipresenti ideogrammi, gliscarti imprevedibili dal galateo occi‐dentale, l'inflessibilità dei regolamenti edella burocrazia.

Infine, sono senz'altro da citarele pagine dedicate all'incontro dell'autri‐ce con la letteratura giapponese; unincontro avvenuto per caso dopo anni diindifferenza, che il tempo ha fecondatoe portato a maturazione: oggigiorno,infatti, Antonietta Pastore è una delle piùprolifiche e competenti traduttrici italia‐ne.

* I tatami sono le stuoie che ricoprono ipavimenti delle abitazioni giapponesi.

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PICEA ABIES (ABETE ROSSO) ‐ Questa specie è molto re‐sistente al freddo, infatti si trova in alta montagna.Possiede aghi di medie dimensioni di colore verdechiaro. La corteccia è rossastra e marrone.PICEA GLEHNII (PECCIO DI GLEHN, GIAPPONE SETTENTRIO‐NALE, SAKHALIN) ‐ Questa è un'altra specie molto uti‐lizzata come bonsai soprattutto in Giappone. La siconosce comunemente anche come Ezo, Edo e abe‐

te bianco. La corteccia, anche in queste piante vadal rossiccio al marrone, ma gli aghi sono particolariin quanto tendono al blu.PICEA JEZOENSIS (PECCIO DI JEZO, ASIA NORDORIENTALE,KAMCHATKA, FINO AL GIAPPONE) ‐ Meno resistente dialtre specie, questa picea, molto popolare inGiappone, è molto bella e si trova sotto nomi diversicome: Jezo, Hondo,Yeddo. Predilige una condizio‐

FAMIGLIA: PINACEAE

GENERE: PICEA

NOME COMUNE: ABETE, PECCIO

Al genere Picea appartengono almeno 35 specie diverse. In generale, hannoportamento conico o piramidale. La corteccia è squamosa e gli aghi sono

abbastanza piccoli e di colore verde intenso; caratteristiche che rendono questepiante adatte a diventare bonsai anche di notevole pregio.

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Sfogliando una vecchia rivista, mi ha incuriosito lastoria di una picea in stile a zattera o netsuranari so‐prannominata Yu‐en ……Fu raccolta in natura a Kokugo, un'isola al nord di

HokkaidoSi è sempre distinta, nel mondo del bonsai, per lararità del suo stile e per l'armonia e la proporzionetra lo spessore dei tronchi, l'altezza e la larghezza. E'un esempio di equilibrio naturale e, osservando la, sipercepisce la bellezza dei boschi di Picea del norddel Giappone; senza alcun dubbio la migliore che sisia mai vista. Dopo la guerra fu acquistata da unamatore della provincia di Tochiki. Allora il bonsaipresentava sette tronchi. Un altro appassionato, Na‐gakitsu Sasano, sentì parlare della bellezza di questoesemplare e volle comprarlo. Così incaricò uncommerciante di sua fiducia di informarsi chi fosse ilsuo proprietario ed il prezzo richiesto.Il commerciante partì ed arrivò al 'dove veniva cu‐rato l'esemplare: il proprietario del vivaio era KyuzoMurata.I due commercianti fecero da intermediari; acqui‐rente e proprietario giunsero ad un accordo verbaledi compravendita. Rimasero anche d'accordo di tra‐sportare la pianta da un vivaio all'altro (vivevanomolto distanti); fecero una sosta nel vivaio di unamico comune.Qui Densaburo Osuka, ricchissimo imprenditore nelterritorio di Omiya, vide l'albero e disse "Ora che hovisto questa meraviglia, non posso permettere che laportiate a qualcun'altro".Gli intermediari gli spiegarono che era stato vendutoad un'altra persona e pertanto avrebbe dovutoparlare con il nuovo proprietario e così fecero, ma ilsignor Sasano non volle venderlo. Venuto però a co‐noscenza che l'accordo era solo verbale, il signorOsuka parlò con il vecchio proprietario e lo comprò.

Questa storia viene ancora oggi raccontata inGiappone, e da allora chi vuole veramente comprareun bonsai non fa nessun accordo, se non scritto. Il28 novembre del 1957 fu messo all'asta, al bonsaiclub di Tokyo, e comparì sulla copertina del catalo‐go. Fu acquistato da Sakae Hayashi, che lo presentòquello stesso anno alla 38esima esposizione Kokufu.Fu scelto inoltre per decorare la reception del nuovoGoverno, nel 1958. In quell'anno gli venne per laprima volta conferito un nome: Yu‐en (yu: profondo,scuro; ‐en: rano) .Nel 1964 venne scelto per addobbare l’inaugurazio‐ne delle olimpiadi di T okyo. Il suo nuovo proprieta‐rio era Zoj i T ezuka, che lo aveva comprato daSaburo Kato. Nel 1968 fu presentato all'esposizionecommemorativa del centenario dell'era lji ed ottenneuno dei primi premi.Nel 1980 ricevette il riconoscimento speciale diopera maestra dalla Nippon Bonsai Association. Con105 esemplari presentati, solo 96 vennero accettati e

YU‐EN

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ne di semi‐ombra; gli aghi sono piccoli e di colore verde scuro con un latobianco. I giovani germogli sono di colore marronePICEA ORIENTALIS ( PECCIO ORIENTALE)‐ Possiede aghi estremamente piccoli e diun verde intenso; la corteccia è di un colore grigio chiaro. Non molto resi‐stente, questa specie preferisce condizioni crescita caldo‐umide.PICEA KOYAMAI (PECCIO DI KOYAMA) ‐ Gli aghi di questo albero di abete rossonativo del Giappone, raramente raggiungono il mezzo sono centimetro. È laspecie di abete più rara da trovare in Giappone. Cresce in montagna a gruppidi 10 ‐ 20 alberi ed è raro trovarli al di fuori del Giappone. Gli aghi sono dicolore verde chiaro; predilige un terreno umido e ricco di torba.

Le picee di solito preferiscono condizioni di pieno sole ad eccezionedi alcune sottospecie. Durante l'estate, con il caldo intenso gli aghi tendonoverso il marrone chiaro; a questa condizione si può ovviare riparando le pianteall’ombra.

IRRIGAZIONE ‐ Poiché queste piante prediligono terreni costantemente umidi, lacorretta irrigazione diventa una pratica essenziale per il loro mantenimento.Ridurre le irrigazioni in inverno, ma non permettere mai che il terreno siasciughi completamente; nebulizzare con cadenza giornaliera in primavera ein autunno, e anche durante il rinvaso assicurarsi che il pane radicale non siamai asciutto.

CONCIMAZIONE ‐ Per quanto riguarda le concimazioni, anche le picee seguonoil calendario classico: si prediligono fertilizzanti naturali a lenta cessione conun titolo più alto di N (naturalmente la titolazione NPK dipende dallo stadio incui si trova il bonsai) in primavera quando le temperature iniziano a risalire, efertilizzanti a più alto titolo di PK in autunno per consentire alla pianta di irro‐bustire la struttura rameale e le radici e per essere pronte al risveglio dellanuova stagione vegetativa. Infine, si consigliano due somministrazioni annue dichelati di ferro.

TECNICHE ‐ Le picee bonsai spesso sono associate allo stile saikei (boschetto) ehanno esteticamente un impatto notevole, ma in generale si adattano a tutti glistili tranne a scopa rovesciata.

Il periodo ottimale per pinzare una picea con le dita è molto breve.Se si opera nel momento giusto il lavoro sarà piuttosto semplice, se lo si fatardi, occorrerà lavorare allo stesso modo, ma con pinze e forbici. Dopo lapinzatura ci si può aspettare soltanto una seconda vegetazione, ma non ci saràuna crescita continua.

Lasciare crescere le parti deboli senza pinzarle, per equilibrare il vi‐gore dell’albero, è molto più importante per questa specie rispetto a qualsiasialtra. Dopo la prima pinzatura che avviene a metà del mese di maggio, si puòeseguire una seconda dopo circa un mese, lasciando crescere i germogliinterni in modo che si rinforzino e aumentino la compattezza della vegetazio‐ne. L’applicazione del filo va fatta tra il tardo autunno e l’ inverno.

MALATTIE ‐ Gli acari sono il problema più grande per i bonsai di picea. Gliattacchi più massivi si verificano soprattutto durante l’estate ed hanno bisognodi essere controllati con trattamenti specifici. I primi sintomi evidenti sonoingiallimento alla base degli aghi più vecchi Naturalmente, piante indeboliteda parassiti hanno difese meno attive nei confronti di insetti e in particolaredei tarli.

Il cancro da Cytospora è una grave malattia fungina causata da funghiCytospora kunzei var. piceae: le spore e i conidi del fungo si propagano attra‐verso l'irrigazione o in seguito all’uso di attrezzi di potatura non adeguata‐mente disinfettati. Le ferite degli alberi sono spesso punti di ingresso per ifunghi che di solito attaccano i rami più bassi e poi si propagano verso la partepiù alta. I sintomi più evidenti sono l’imbrunimento degli aghi e la secrezionedi una resina biancastra. Le parti della pianta colpite vanno prontamente eli‐minate. C’è da dire, comunque, che cytospora difficilmente attacca piante inperfetto stato di salute.

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questo albero fu riconosciuto con il numero 59 . Fu sempre curato daSaburo Kato e non ebbe molti problemi di salute (per lo meno nessu‐no che non fosse di normale amministrazione) fino al 1982, quandoper un errore di annaffiatura soffrì di marciume radicale, che causò laperdita di 1/3 delle radici e di due tronchi. Il resto dell'albero fu re‐cuperato.Dopo 20 anni di appartenenza a Zoji Tezuka venne comprato daKoichi Nakoyatsu, che lo espose alla convention nazionale di Osaka,nel 1989. Da allora non è stato più esposto; si cerca di mantenere lasua immagine intatta senza effettuare rimodellature di rilievo.Questa decisione è stata presa, in quanto un bonsai del genere èormai giunto alla sua massima espressione artistica. E' un esemplaredi rara bellezza che difficilmente può essere modificato senza cheperda parte del suo naturale fascino. Ci si può solo augurare che nelfuturo colui che si prenderà cura di questo bonsai, sappiacomprendere sino in fondo il carattere di ogni singolo albero, checompone la zattera. (K.Onishi)

I

Saburo and Tomekichi Kato with Ezo Spruce.(Photo from Thomas S. Elias' Mansei‐en and the Kato Family)

"Per creare un buon bonsai, devi prima costruir‐e un buon carattere in te stesso"

Tomekichi Kato

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RINVASO ‐ Il rinvaso va eseguito ogni due anni su esemplari giovani all’iniziodella primavera, prima che si sviluppi lanuova vegetazione, o in autunno. Gli esemplari più vecchi (10 anni) possonoessererinvasati ogni 5 anni. Utilizzare un terriccio che assicuri il giusto drenaggio ri‐ducendo il pane radicale di 1/3 o meno. Dopo il rinvaso proteggere le piantedal pieno sole per alcune settimane. P. jezoensis deve essere lasciato riposareper 3 mesi dopo il rinvaso prima di qualsiasi intervento di potatura o filatura.

PROPAGAZIONE ‐ I semi hanno bisogno di un pre‐trattamento a freddo, e gene‐ralmente sono posti in semenzaio in inverno o all'inizio della primavera. I semipossono essere raccolti dai coni tra settembre e gennaio; le talee, invece, pos‐sono essere prese in tardo autunno o all'inizio della primavera, ma il loroattecchimento, molto difficile, può richiedere fino a due anni.

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