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1 Caravaggio: La caduta da cavallo di ALESSIO VARISCO La conversione di San Paolo, Caravaggio, 1600/01 - olio su tela, 230x175 cm Roma, Santa Maria del Popolo Il famoso dipinto “La conversione di San Paolo” eseguito da Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è stato realizzato dal pittore all’età di trent’anni ed è custodito presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo in Roma, all’interno della Cappella Cerasi. La tela, di grandi dimensioni, è stata dipinta poco dopo quella presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, per la Cappella Contarelli ove l’elemento luce squarcia la penombra del locale mettendo in evidenza la povertà e lo squallore. Non dimentico di

Caravaggio: Caduta da Cavallo

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Page 1: Caravaggio: Caduta da Cavallo

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Caravaggio: La caduta da cavallo

di ALESSIO VARISCO

La conversione di San Paolo, Caravaggio, 1600/01 - olio su tela, 230x175 cm Roma, Santa Maria del Popolo

Il famoso dipinto “La conversione di San Paolo” eseguito da Michelangelo Merisi, detto

il Caravaggio, è stato realizzato dal pittore all’età di trent’anni ed è custodito presso la

Chiesa di Santa Maria del Popolo in Roma, all’interno della Cappella Cerasi.

La tela, di grandi dimensioni, è stata dipinta poco dopo quella presso la Chiesa di San

Luigi dei Francesi in Roma, per la Cappella Contarelli ove l’elemento luce squarcia la

penombra del locale mettendo in evidenza la povertà e lo squallore. Non dimentico di

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quest’atmosfera di luce, a circa un anno di distanza, gli viene commissionata un’altra

conversione, non più del Discepolo –Matteo-, bensì dell’«Apostolo delle Genti»: Saulo

di Tarso. Il modo scattante ed intimamente personalistico di trattare il dato religioso

ne fanno un esempio significativo ed un continuum della descrittività mistica della luce

nelle scene sacre.

La grande tela (2.30x1.75 mt) propone la conversione sulla via per Damasco[i].

Inconsueta l’ambientazione: la scena è una semplice stalla, una postazione poco

prima la città cui Saulo era diretto. Testimoni della vicenda soprannaturale: il cavallo,

che occupa più della metà del dipinto, un anziano palafreniere che appena s’intravede

sulla destra del dipinto, dietro il muscoloso collo possente del destriero. Paolo, invece,

è riverso a terra, rappresentato nell’istante successivo a quella «luce del cielo –che

[n.d.r.]- gli folgoreggiò intorno» abbantendolo al suolo.

L’ambientazione poverissima, come la “Vocazione di Matteo”, è scabra, spoglia tanto

da parere ai suoi contemporanei perfino blasfema; invece è la luce la vera ed

autentica costruzione del dipinto che fa la protagonista principale del teatro della

vicenda. Manifestazione della divinità, una sorta di teofania nel compiersi meccanico,

coatto, di semplici azioni quotidiane; è un farsi prossimo del Dio nella storia nella

semplicità. In questa tela proviene dall’alto, una sorta di folgore divina, che squarcia

la tenebra del paganesimo, dell’indifferente, del persecutore, del calunniatore.

Quest’elemento cardine colpisce Saulo che cade; tutto è specchio di quella Fonte, ogni

superficie, il bel mantello porpora di Saulo, il mantello pezzato del cavallo, i piedi nudi

dell’anziano scudiero. Tutto si impressiona di quella luce, riverbera di quella potenza.

Ma non è il mero significato simbolico che impressiona, bensì l’inquietante realismo di

un corpo non ancora completamente caduto. Si scorge il moto ancora attivo delle

gambe, inclinate, le braccia alzate, gli occhi accecati dalle palpebre chiuse in segno di

difesa da quel bagliore. E’ un crescendo: la spada alla sinistra affrancata alla cinta è

lontana, non può difenderlo, è lì al suo fianco predata come il padrone. Sbigottiti per

lo stupore gli attori di questa scena e anche noi osservatori, dal pathos evocativo

caravaggesco.

Il cavallo è in una posa singolare: l’anteriore destro è rialzato, d’istinto per non

calpestare il cavaliere caduto. Mentre il palafreniere è anch’egli accecato dalla folgore

divina che ha colpito Saulo, l’unico testimone, cosciente ma impossibilitato a

comunicare la dinamica dei fatti, è il cavallo con l’occhio aperto e rivolto al suo

cavaliere[ii].

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Nella prima versione del dipinto, rifiutata dai committenti, la scena presentava il

Salvatore nel momento in cui chiedeva «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Mentre

nella versione ultima, quella a noi giunta la presenza della divinità è ancora più

accorata, resa nell’assenza[iii], che ci fa percepire la fragilità di Paolo [iv] di fronte

alla soprannaturale maestosità della Manifestazione celeste.

[i] La conversione di Saulo è descritta dall’evangelista Luca in At 9, 1-9 ove si narra che questo persecutore diretto in

Siria, verso la città di Damasco, viene folgorato da una luce divina che lo scaraventa a terra e lo rende cieco per tre giorni. Sullo ebbe così modo di conoscere la potenza del Cristo, personalmente, che lo rimprovera per la sua condotta verso i cristiani. Di qui la conversione, l’adesione e la ferma attività di proselito presso le “genti”. Paolo, così si farà

chiamare, sarà testimone-annunciatore fra i più convinti del Signore. L’iconografia cristiana ce lo propone solitamente imbracciante spada e scudo in atto di difesa verso la fede cristiana.

[ii] E’ impressionante come Caravaggio conosca i fenomeni dell’ottica percettiva negli esseri viventi: l’uomo ha un campo visivo di 120-180° mentre il cavallo ha un campo più complesso bioculare e non vede ciò che può vedere un uomo, quindi anche dinanzi a fonti luminose accecanti per l’uomo può reagire in altro modo.

[iii] Vera ed esasperata ridondante presenza, urlata nell’urlo afono della “non presenza”.

[iv] Questa “fragilità” è l’emblema dell’umanità che ancora non conosce Dio.

(Fonte: scritti del prof. Alessio Varisco, Designer-Magister Artium, Art Director Técne Art Studio, www.alessiovarisco.it)