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Censura ecclesiastica, filosofia, Controriforma di Saverio Ricci Censura, filosofia e idea dell’Italia Un’incisione di Hans Holbein per il calendario protestante di Johann Copp, anno , Cristo vera luce, mostra Platone, Aristotele, gli scola- stici e il papa in procinto di essere inghiottiti da un abisso, mentre i veri credenti si dirigono verso il Signore : immagine che traduce la ben nota avversione di Lutero nei confronti non solo della teologia scolastica, ma della relazione stessa tra la filosofia, inutile alla salvezza, e la fede. Poco prima dell’insorgenza luterana, il papato, nella occasione riformatrice del V Concilio Lateranense, aveva pur disposto, per la prima volta nella sua storia, una legislazione universale a disciplina del rapporto tra filo- sofia e teologia nell’insegnamento universitario, per secoli lasciato alle diverse interpretazioni delle scuole teologiche, ma segnato da occasionali pronunce di vario rango, irrogate contro dottrine particolari, o singoli filosofi erranti. Si giudicava ormai che quel rapporto, se incontrollato nella didattica, sarebbe stato foriero di pericoli per le anime. All’inizio dell’evo moderno, la Chiesa sembra avvertire nella filosofia un rischio da contrastare con nuovi strumenti; i riformati paiono intenderla come una pratica di cui la fede dovrebbe essere alleggerita (pur non rinunciando la Riforma, nell’interpretazione melantoniana, a un rapporto con la filosofia). Ingeborg Jostock, introducendo il suo volume sulla censura nella Ginevra calvinista, nella quale neppur manca qualche divieto per filosofi (Tommaso commentato dal Gaetano, un pamphlet di Bruno, e le opere fondamentali di Montaigne e di Bodin), ha sottolineato di aver lavorato su un «terrain méconnu», laddove la ricerca «n’est qu’à ses débuts». E ha ascritto tale ritardo anche alle ragioni ideologiche che «associent le protestantisme à la liberté d’expression et non à la censure». La lunga durata di una certa visione della Riforma, che assicurava continuità tra questa e la civiltà moderna e liberale, avrebbe contribuito a oscurare il Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

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Censura ecclesiastica, filosofia, Controriforma

di Saverio Ricci

Censura, filosofia e idea dell’Italia

Un’incisione di Hans Holbein per il calendario protestante di Johann Copp, anno , Cristo vera luce, mostra Platone, Aristotele, gli scola-stici e il papa in procinto di essere inghiottiti da un abisso, mentre i veri credenti si dirigono verso il Signore: immagine che traduce la ben nota avversione di Lutero nei confronti non solo della teologia scolastica, ma della relazione stessa tra la filosofia, inutile alla salvezza, e la fede. Poco prima dell’insorgenza luterana, il papato, nella occasione riformatrice del V Concilio Lateranense, aveva pur disposto, per la prima volta nella sua storia, una legislazione universale a disciplina del rapporto tra filo-sofia e teologia nell’insegnamento universitario, per secoli lasciato alle diverse interpretazioni delle scuole teologiche, ma segnato da occasionali pronunce di vario rango, irrogate contro dottrine particolari, o singoli filosofi erranti. Si giudicava ormai che quel rapporto, se incontrollato nella didattica, sarebbe stato foriero di pericoli per le anime. All’inizio dell’evo moderno, la Chiesa sembra avvertire nella filosofia un rischio da contrastare con nuovi strumenti; i riformati paiono intenderla come una pratica di cui la fede dovrebbe essere alleggerita (pur non rinunciando la Riforma, nell’interpretazione melantoniana, a un rapporto con la filosofia).

Ingeborg Jostock, introducendo il suo volume sulla censura nella Ginevra calvinista, nella quale neppur manca qualche divieto per filosofi (Tommaso commentato dal Gaetano, un pamphlet di Bruno, e le opere fondamentali di Montaigne e di Bodin), ha sottolineato di aver lavorato su un «terrain méconnu», laddove la ricerca «n’est qu’à ses débuts». E ha ascritto tale ritardo anche alle ragioni ideologiche che «associent le protestantisme à la liberté d’expression et non à la censure». La lunga durata di una certa visione della Riforma, che assicurava continuità tra questa e la civiltà moderna e liberale, avrebbe contribuito a oscurare il

Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

I TEMI

campo problematico della censura nei Paesi protestanti, peraltro non ignorato negli studi italiani su censura e inquisizione cattolica; nei quali tuttavia è apparsa piuttosto viva, da un certo momento, la consapevolezza della «eclisse» del nesso tra Riforma e modernità, e dei suoi effetti sulla correlativa interpretazione della Controriforma come frattura rispetto a questa.

Campo problematico – la censura protestante, anche quella esercitata verso le idee filosofiche –, già ben avvertito da chi aveva occasione di esercitare una comparazione: si vedano per esempio le due lettere in cui Descartes, che pure aveva preferito vivere, da cattolico, nell’Olanda cal-vinista piuttosto che in Francia, denunciava, forse anche alla ricerca di un effetto retorico sui destinatari, l’equivalenza dei metodi dell’Inquisizione cattolica e delle autorità calviniste nei confronti della libertà speculativa. A non dire del dibattito intrariformato, già alla fine del Seicento, sulla inquisitio in coscientias, trionfante nel mondo cattolico, ma vista incom-bere pericolosamente anche negli Stati protestanti.

Sul caso Descartes si dovrà tornare. Ma restando in Olanda, in una ricostruzione delle ragioni del cherem inflitto a Baruch Spinoza dalla comunità sefardita di Amsterdam nel , prima che quegli fosse noto per i libri che non aveva ancora né scritto né pubblicato, Steven Nadler, procedendo attraverso un contesto documentario piuttosto opaco, è giunto alla conclusione che l’espulsione di Baruch dal giudaismo fosse conseguenza delle sue opinioni filosofiche sull’immortalità dell’anima.

L’evocazione del caso Descartes e del caso Spinoza – che sembra-no ridurre ad unum, nel segno del comune riferimento bibliocentrico, la negazione nei diversi ambiti cattolico, protestante ed ebraico della philosophandi libertas – segnala che la censura cattolica romana costituì una delle maggiori varianti di un fenomeno riguardante, in modi diversi, l’intera Europa.

La censura libraria fu per tempo avvertita già in sede di pensiero e di prassi politica come prerogativa importante del sovrano politico. Istituti censori secolari furono approntati, accanto e sempre in competizione o in collaborazione con quelli ecclesiastici, dai sovrani, monarchi o governi repubblicani che fossero, fin dai primi decenni del XVI secolo, e durarono a lungo, e dovunque, fino a gran parte dell’età liberale, spesso coinvolgendo anche la produzione filosofica. Non stupisce dunque che la Jostock esordisca nell’introduzione al suo volume sulla censura ginevrina citando – prima che luoghi di Lutero e di Calvino teorizzanti su base neotestamentaria (Atti degli apostoli, , ) la necessità di bruciare libri eretici e astrologici – quel capitolo I del libro VI della République di Jean Bodin – già richiamato negli studi italiani –, nel quale viene trattato il ruolo della “censura dei costumi”, che comporta in Bodin l’esame dei

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rapporti tra censura ecclesiastica e potere secolare. Con corrispettiva “sacralizzazione” dello stesso ambito statale. Nel pensiero di Paolo Sarpi l’importanza della censura sulla stampa – il cui esercizio il sovrano avrà cura di non lasciare al solo potere ecclesiastico – è tale che certo il regime concordatario in merito dovrà essere sempre garantito, a presidio delle prerogative della Repubblica, come del resto nel campo dell’Inquisizione; ma le stesse proibizioni di libri «sediziosi, inonesti overo famosi» emanate dal sovrano dovranno essere osservate dai sudditi non solo «per timore della pena temporale», «ma ancora per coscienzia». Visione diversa in merito sarebbe per Sarpi «falsa e perversa e contraria alla dottrina cristiana», per aver san Paolo chiaramente annunciato che l’obbedienza al principe temporale è, al pari di quella dovuta alla Chiesa nelle cose spirituali, istituita da Dio.

Tuttavia, indagare e discutere il lato cattolico, soprattutto controri-formista del tema della censura, e il generale problema dell’Inquisizione, da cui deriva, non è cosa che in Italia possa farsi senza avvertire che si tratta di operazione particolarmente sensibile. Benché negli ultimi decenni gli studi, italiani e non solo, sembrino essersi relativamente distaccati da quelle prospettive – spesso liquidate come “ideologiche”, nel generale quanto un po’ affrettato “tramonto delle ideologie” – che fin dall’Otto-cento ne hanno inquadrato le ricerche storiche, e che secondo la Jostock avrebbero ritardato la ricerca sulla censura protestante, il mai sopito rammarico per una mancata “Riforma italiana”, e reazioni polemiche avverse, continuano non poco ad accompagnare l’attenzione storiografica per il soggetto, anche nel quadro di discussioni generali sull’“identità” italiana e sui caratteri “anomali” della sua storia.

Secondo una visione a lungo molto diffusa, di matrice ottocentesca ma con presupposti illuministici, essendo “mancata” all’Italia “la Riforma”, o “una riforma”, impedite dal duro contrasto dell’eresia oltremontana ma anche delle correnti “evangeliche” autoctone, Santo Uffizio e cen-sura romana sarebbero stati fra gli strumenti principali, non esclusivi, oltre che di quel contrasto, anche di una sostanziale mortificazione del pensiero e della cultura, stroncante l’Umanesimo, e procurante fine prematura al Rinascimento e al rapporto dell’Italia con l’Europa e con l’incipiente modernità. Sarebbe compito di una storiografia liberata da condizionamenti ideologici, o almeno, di quelli del XVIII e del XIX secolo, dotata di migliori strumenti e di più ampi e meglio conosciuti materiali documentari, sottoporre a verifica questa visione, muovendo per esempio proprio dall’esame rinnovato dei modi, dei tempi, delle finalità dell’azione inibitoria che la censura romana avrebbe esercitato nei confronti della filosofia moderna.

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Fondamenti dottrinali e strumenti giuridici

della censura cattolica verso la filosofia

I fondamenti dottrinali (teologico-scritturali e giuridici) dell’azione cen-soria verso la filosofia esercitata durante la Controriforma sono mutuati da quelli costituitisi fra XIII e XVI secolo nella persecuzione inquisitoriale dell’eresia e nella vigilanza della didattica filosofica universitaria. Non dovrò qui ripercorrerne nel dettaglio la genesi e lo sviluppo, avendone io altrove, e altri trattato, e mi limiterò a dedurne solo alcune linee di fondo, utili alla comprensione dei meccanismi censori operanti nell’età tridentina.

L’istanza di correzione (e inclusione) della filosofia è tanto antica quanto il cristianesimo. Essa riposa su fonti paoline e patristiche, spesso esplicitamente richiamate da censori e inquisitori nelle loro scritture. Vale qui ritornare, poiché fondante, sulla tensione originaria tra contiguità e alterità radicale di filosofia e cristianesimo, ravvisabile in Paolo.

Da un lato, in Romani, , -, sviluppando un motivo di Sapienza, , - che risentiva del contatto fra ebraismo ed ellenismo, l’Apostolo riconosce la effettività del percorso contemplativo dai visibilia naturali alle perfezioni invisibili di Dio: i filosofi pagani sono pertanto inescusa-bili, poiché il loro studio della natura, che dischiude il riconoscimento speculativo dell’unico Dio, da essi attinto, non li ha tuttavia mossi al rico-noscimento “pubblico” di quel Dio, ed essi son restati nell’idolatria. Con modificazioni di volta in volta anche molto significative, dai primi Padri ad Agostino, dai teologi agostiniani a Tommaso, quest’affermazione darà fondamento alla comprensione della filosofia in un orizzonte cristiano e alla costituzione di teologie naturali e di una filosofia “al servizio” della teologia rivelata; e infine a una filosofia “moderna”, fino a Descartes (che riprende il tema e le relative fonti scritturali vistosamente, nella dedica delle Meditationes ai teologi della Sorbona), che si propone davvero compatibile con il quadro della Rivelazione. D’altro canto, in Colossesi, , -, Paolo proclama diffidenza nei riguardi dei «vuoti raggiri» della «filo-sofia», e in I Corinzi, , -, , -, l’irriducibilità della sapiente stoltezza cristiana alla falsa sapienza dei pagani, inutile all’“uomo spirituale”. Que-ste ultime dichiarazioni, oltre ad alimentare diffidente vigilanza in ambito cristiano, potranno fondare anche atteggiamenti scettici, o addirittura contrari, con varietà di modulazione, al ruolo “ancillare” della filosofia verso la teologia, al fine di rivendicare alla prima autonomia di discorso, come nel caso di Montaigne. La dichiarazione resa in Romani potrà infine essere invocata tanto nel contesto di una sorta di benedizione cristiana del filosofo pagano per eccellenza, Aristotele, postulandosi l’innesto della

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teologia cristiana nella pratica filosofica, quanto, se interpretata in senso pessimistico, nell’ambito di atteggiamenti svalutativi dell’apporto della filosofia al trionfo della vera fede. Il cristiano non potrà comunque restare né prono alla filosofia, né indifferente ad essa. In Atti degli apostoli, , -, di Paolo si dice che ad Atene annuncia il Vangelo ai filosofi, e che finanche adopera il linguaggio filosofico dell’epoca per annunciare il Dio «in cui siamo e viviamo»: prologo di inclusione della filosofia pagana nella visione cristiana.

Ferma riconoscendosi la lunga durata e la diversamente interpretata vigenza di questa tensione di fondo delle fonti scritturali in tema (ribadita nella tradizione patristica), attraverso i secoli precedenti la Controriforma e nella Controriforma, quanto ai dispositivi giuridici correttivi dell’atti-vità filosofica, essi non hanno alcun legame con l’“età confessionale” e il disciplinamento tridentino, “moderno” o meno che lo si voglia dire. Essi sono gradualmente elaborati e diffusi, ma non sulla base di pronunce solenni, bensì di misure e dichiarazioni locali (diocesane, accademiche, teologiche, inquisitoriali), fra XIII e XV secolo, soprattutto nelle fasi più acute del ricorrente problema del trattamento dell’aristotelismo e della didattica filosofica secolare, e nel contrasto dell’averroismo latino e di altre interpretazioni di Aristotele imbarazzanti per la fede. Le sentenze solenni e universali della Chiesa in merito (elaborate nei diversi contesti del Concilio di Vienne del - e del V Concilio Lateranense del -) si collocano, non per caso, piuttosto entro tentativi di riforma cattolica anteriori al Concilio di Trento. La riorganizzazione di Inquisizione e censura intervenuta nell’età della Controriforma offrì però strumenti nuovi, dettati dall’emergenza protestante e dalla diffusione della stampa; strumenti che resero almeno in aspirazione possibile e maggiormente efficace l’applicazione di quegli strumenti giuridici approntati in età precedenti.

È attribuito ad Egidio Romano, allievo di Tommaso, il catalogo di Errores philosophorum (), circolante manoscritto edito per la prima volta a stampa nel , ma entrato già nel XIV secolo nella letteratura inquisitoriale. Negli stessi anni, Tommaso elaborava nella Summa theolo-giae una dottrina dell’eresia come errore dell’intelletto cui la volontà può aderire con maggiore o minore pertinacia (Summa theologiae, secunda secundae, qq. -), procurando l’eresia vera e propria (l’errore mentale è la materia o soggetto cui la volontà deviata e pertinace conferisce la forma); dottrina che sarà del pari recepita nella tradizione inquisitoria-le. Peraltro Tommaso vi integrava una distinzione tra eresia diretta ed eresia indiretta, destinata ad essere pur essa inclusa nella tradizione e nella prassi inquisitoriale e che avrebbe permesso di comprendere nella fattispecie ereticale non solo dottrine apertamente confliggenti con le

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Scritture o con le determinazioni della Chiesa su articoli della fede, ma anche vertenti su affermazioni secondarie, la cui pericolosità sarebbe stata riconosciuta, nel tempo, dalla Chiesa stessa. Questo passaggio è importante ai fini della comprensione del disciplinamento della filosofia durante la Controriforma. Per Tommaso (Summa theologiae, pars prima, q. , art. ) è eresia diretta l’affermazione che contraddice articoli della fede cattolica; ma vi si aggiunge l’eresia indiretta, che contraddicendo un’affermazione secondaria provoca tuttavia una conseguenza nociva, poiché indurrebbe a pensare che le Scritture possano sostenere il falso e non essere divinamente ispirate in ogni loro linea. Questo comporta che l’interpretazione di luoghi scritturali relativi alla costituzione della natura e alla natura dell’uomo può dare occasione di eresia. Tommaso stabilisce inoltre che le scienze che recano dichiarazioni confliggenti con quelle manifestate dalla teologia o scienza sacra devono essere ritenute qualcosa di falso e pertanto condannabili (Summa theologiae, pars prima, q. , art. , -; ad art. : non spetta alla teologia di fondare i principi delle altre scienze, «sed solum iudicare de eis, quidquid enim in aliis scientiis invenitur huius scientiae repugnans, totum condemnatur ut falsum»). Ma esclude le scienze matematiche e le scienze a queste analoghe dal rischio di eresia (Summa theologiae, Secunda secundae, q. , art. ).

Egidio – il cui catalogo non aveva tuttavia alcun valore giuridico – valutava errori dei filosofi per rapporto alla fede cristiana molte dottrine dei “platonici” (in realtà di Platone e di platonici, ma anche di pitagorici ed epicurei), di Aristotele, di Averroè e di altri filosofi islamici, e di Mosè Maimonide, alcune delle quali, ma anche molte altre che non vi erano segnalate, furono vietate nei decreti che il vescovo Etienne Tempier ema-nò negli anni - per l’università di Parigi, presto recepiti anche in Oxford e in altre università europee. Anche la decretazione di Tempier, di cui fu contestata al tempo e anche in seguito la validità giuridica oltre il territorio di competenza, conviene circa il ruolo disciplinante della teo-logia e dei teologi sulle subordinate attività filosofiche, mentre dispositivi confutatori obbligatori in tal senso ispirati erano già stati adottati, per i docenti di filosofia, negli Statuti della Facoltà della Arti a Parigi.

Il Directorium inquisitorum di Nicolau Eymerich (), pubblicato a stampa al principio del Cinquecento, ma riedito più volte, a partire dal , per le cure del canonista spagnolo Francisco Peña, e con una sorta di ufficioso patronato del commissario del Santo Uffizio Tommaso Zobbio e del Maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili, introduce, prima della storia delle eresie sorte nel cristianesimo, il catalogo egidiano. Un inserimento che a giudizio di Peña sarebbe potuto apparire illegittimo sotto il profilo canonistico, poiché solo il concetto erroneo creduto da un battezzato può essere formalmente eretico; ma che poteva essere accolto,

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e Peña accoglieva, proprio sulla base della dottrina tomista dell’eresia come errore intellettuale confermato da una perversione della volontà. Se questa è la “forma” dell’eresia, e la “materia” è un errore mentale, se la volontà “perfeziona” l’errore della mente con un atto di scelta, se è vero che solo un battezzato può esser definito eretico, sarà altrettanto vero che anche un pensiero concepito da un filosofo pagano potrà essere rubricato come eresia, in quanto possibile matrice della scelta eretica di un cristiano. Questa definizione di eresia non ab assertoribus, sed a natura rei, ovvero non sulla base della condizione giuridica (battezzato o non battezzato) del pronunciante, ma dell’indole del pensiero dichia-rato, consentiva a Eymerich di inserire a buon titolo, secondo Peña, nei cataloghi delle eresie, anche alcune teorie filosofiche antiche e islamiche repertoriate da Egidio.

Questa dottrina viene recepita anche da Alfonso de Castro, nel De iusta haereticorum punitione del , laddove non solo individua nell’attività filosofica e nelle dottrine dei filosofi antichi possibili matrici di eresie, ma ritaglia la categoria dello error in fide come un errore che benché non sia pura eresia, può prepararla o accompagnarsi ad essa. Se l’eresia verte su enunciati cui il cristiano dovrebbe offrire assenso oltre le sue capacità razionali, ovvero per atto di fede, l’error in fide concerne enunciati (per esempio che l’anima umana sia prodotta da Dio e non dal seme del genitore) che benché presentati dalla fede, sono dimostrabili anche per via razionale. Questo abilitava a condannare o censurare una tesi filosofica, in alcuni casi, non solo come contraria alle Scritture o eretica, ma anche come “stolta” o “assurda” o “erronea” in filosofia, ossia secondo la ragione naturale. Sarà il caso, per esempio, della definizione della teoria copernicana del febbraio , dichiarata dai consultori del Santo Uffizio formalmente eretica perché contraria alle Scritture, e stolta e assurda in filosofia.

Se i manuali inquisitoriali certo servirono a informare e istruire inquisitori e censori, provenendo peraltro da epoche lontane, come nel caso del Directorium, e degli Errores egidiani, la bolla Apostolici regi-minis emanata da Leone X nel durante il V Concilio Lateranense in una prospettiva di lotta alla diffusione delle tendenze più radicali dell’aristotelismo areligioso e dell’averroismo latino nelle università, e di rigorizzazione della formazione cristiana e di quella del clero nella visione riformatrice di quel Concilio, offrì tuttavia un criterio di base fondante, proclamato nella forma più solenne (papa cum concilio). La filosofia deve essere confutata – dagli stessi professori della disciplina nell’esposizione e nel commento di Aristotele, con ogni mezzo sia filo-sofico che teologico – tutte le volte che la teologia la giudica in contrasto con la fede, come per esempio su quei punti (durata del mondo e natura

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dell’anima) che molti interpreti pagani, islamici e anche cristiani del testo aristotelico volgevano in termini incompatibili con l’insegnamento della Chiesa. La bolla disponeva un obbligo per i docenti universitari; ma quel testo fu invocato molto spesso da inquisitori e censori per condannare o censurare filosofi che sostenessero in qualunque contesto teorie apparse in contrasto con la fede. Dal caso Galileo al caso Montaigne, da quello Cremonini a quello Bruno e molti altri, un dispositivo nato nel , ma che si fondava sulla tradizione medievale parigina e su misure locali dei secoli successivi, fu applicato così nella censura di testi filosofici, come in processi inquisitoriali intentati a filosofi. La Controriforma, in questo, non elaborò nulla di nuovo. Semmai, attraverso la manualistica inquisitoriale, che presto ovviamente incluse la Apostolici regiminis, e l’azione congiunta di Santo Uffizio, Indice e Maestro del Sacro Palazzo, dotato di compe-tenze censorie in Roma, ma collaborante in universale con le prime due istituzioni, si rese possibile, almeno in teoria, ma con ricorrente efficacia pratica in molti casi concreti, l’applicazione di quel dispositivo più diffu-samente che nella prima metà del Cinquecento. Allora, finanche la grave infrazione di Pietro Pomponazzi alla bolla di Leone X aveva ricevuto a Roma, di contro al rogo acceso dal patriarca di Venezia sotto esemplari del suo De immortalitate animae del , trattamento derogante alla norma. Nel secondo Cinquecento la forte problematicità – avvertita per il periodo precedente – di una effettiva “ortodossia filosofica cattolica”, ovvero di un conseguito disciplinamento della filosofia da parte della teologia su specifici punti capitali e in generale, dovuta a vari elementi, sembra ridimensionarsi per effetto dell’inclusione dell’impostazione di Tommaso, ma anche di Tempier e della prassi universitaria parigina, non solo nel magistero (che avviene già nel ), ma nel diritto e nella prassi inquisitoriale e nella prassi censoria.

Nello stesso V Lateranense furono ribadite da Leone X con la bolla Inter sollicitudines () le prerogative della censura ecclesiastica già stabilite da Innocenzo VIII nel con la bolla Inter multiplices, aggiun-gendosi in sede locale la competenza inquisitoriale a quella vescovile: cominciava a prendere forma la censura libraria come parte della riforma o correzione della vita cristiana, che nell’età tridentina la riorganizzazione della censura e la istituzione della congregazione dell’Indice avrebbero ampiamente sviluppato.

Fu sull’inviolabilità dell’interpretazione ecclesiastica della Scrittura che la Controriforma elaborò un principio fermo, con effetti anche sul trattamento dell’eresia a base filosofica, attraverso il decreto De cano-nicis scripturis della IV sessione del Concilio di Trento ( aprile ). In questo si proibisce al credente di proporre interpretazioni personali della Scrittura su punti riguardanti la fede e i costumi, difformi dal senso

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tradizionalmente conferito dalla Chiesa e radicato nel consenso dei Padri, anche se tali interpretazioni personali non fossero “date in luce”, ovvero pubblicate. Durante gli anni a venire sarà autorevolmente conferito a questo divieto, proprio in contesto rilevante per la filosofia, un senso molto ampio, includente punti della Scrittura che non riguardassero la fede o i costumi, ma argomenti naturali, quali la posizione del Sole e il moto della Terra.

Infine, nella prassi inquisitoriale e censoria – esemplificata nella ma-nualistica della Controriforma e in prontuari interni alle congregazioni e ai loro uffici – sarà recepita l’articolazione dei diversi livelli di eresia e di meno gravi fenomeni devianti, che dovevano essere comunque even-tualmente perseguiti in quanto capaci di avviare all’eresia o di denotarla, risultante dalla tradizione medievale e dalle posteriori discussioni, nel cui ambito si erano peraltro registrati forti dissensi fra i teologi. In quanto recettiva di questa tradizione nella sua forma più sofisticata, si potrebbe assumere a esempio di criterio orientante le Notae, seu censurae Proposi-tionum damnabilium datate alla fine degli anni Ottanta del XVI secolo e rinvenute fra le carte del Santo Uffizio, che evidentemente normalizzano criteri assodati e correnti.

Uniformitas teologica e filosofia

Indicate le fonti scritturali, dottrinali e giuridiche del disciplinamento inquisitoriale e censorio della letteratura e della didattica filosofica, e riconosciuto che le fonti del disciplinamento della filosofia convergono nello stabilire per pronuncia solenne nel il criterio generale della subordinazione della philosophandi libertas all’ortodossia teologica, è lecito chiedersi come si configuri l’uniformità teologica nell’età della Controriforma.

La tradizione dottrinale intorno alla categoria di eresia e a quelle collegate e subordinate (riassunte nell’età tridentina per esempio di nuovo nel De iusta haereticorum punitione di de Castro, e nel De locis theologicis di Melchior Cano) tende infatti a indicare come colpevoli non solo affermazioni direttamente contrarie alle Scritture, ai dogmi e al magistero solenne (papale e conciliare), al consenso generale della Chiesa, alle tradizioni apostoliche e patristiche, e così via, ma anche a conclusioni teologiche consensualmente “derivate”, nei Padri e nel magistero, da punti principali della fede, e alle comuni sentenze dei teologi scolastici, anche viventi. La “verità” che il filosofo rischia di contrastare non è solo quella “di fede divina”, ma anche quella “cattolica” o “teologica”, non contenuta immediatamente nella Rivelazione. Contraddire il consenso dei Padri e

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dei teologi, un grande teologo o un’intera facoltà teologica, anche sopra un argomento secondario o derivato, è meno grave che contraddire un passo della Scrittura o un decreto conciliare; ma può muovere a censura, o provocare una denuncia e un’indagine inquisitoriale. Il punto fu dibat-tuto e si registrarono opinioni diverse, ma basta sfogliare le censure e le expurgationes di testi filosofici, o scorrere i capi d’imputazione di processi intentati a filosofi, per avvertire che l’area del possibile errore era di fatto e di diritto amplissima; e che riconosciuto il criterio della subordinazione della filosofia alla teologia, resterebbe interessante capire a quale tipo di teologia il censore o l’inquisitore facesse concretamente riferimento nella sua attività, posta anche la problematicità del “consenso generale” dei Padri e della tradizione teologica.

Durante la fase di formazione degli strumenti fondamentali del disci-plinamento, fra XIII e XVI secolo, benché questi si costituiscano in parte nell’alveo del tomismo o di esso risentano, questo indirizzo filosofico e teologico non si impone certo come prevalente o consacrato; anzi, accolto come proprio dai domenicani, esso è a lungo contrastato nelle università, negli studia teologici e dall’ordine francescano. Risulta tuttavia evidente dalla bolla Fidei catholicae tenenda, irrogata nel da Clemente V nel Concilio di Vienne ed elevante a verità cattolica la dottrina tomistica dell’anima come unica forma del corpo e forma per sé immortale – i cui avversari sarebbero stati passibili di denuncia per eresia, bolla conferma-ta da Leone X nella Apostolicis regiminis –, che almeno su alcuni punti essenziali, come la dottrina dell’anima, le soluzioni tomistiche vengono considerate dirimenti e incluse nel magistero.

Il Concilio di Trento selezionò i temi messi a repentaglio dall’offensiva protestante (fonti della Rivelazione, peccato, giustificazione, sacramenta-ria, in particolare l’eucaristia) e non pretese di fornire una risistemazione organica della teologia del tempo, nel quadro di un equilibrio di ruoli fra magistero e teologia, ma anche di un’emergenza polemica particolarmente insidiosa. I lavori si aprirono sullo scenario di una significativa maggio-ranza d’orientamento scotista e sullo sfondo, per esempio sul tema della grazia, di un diffuso agostinismo. Favorendo su punti capitali possibili convergenze fra tomismo e scotismo, il Concilio mantenne il rispetto per le varietà di scuola attestate in teologia, respingendo semmai piuttosto inclinazioni di ispirazione umanistica. La prevalenza delle impostazioni scolastiche sul tema, per esempio, della giustificazione, alimentò l’isola-mento di posizioni di altro carattere, come quelle di Girolamo Seripando, complesse e soggette a fraintendimenti, e problematiche nel loro stesso rapporto con teologie della “mediazione” come quelle del Gaetano, di Reginald Pole, Jacopo Sadoleto, Tommaso Sanfelice. Nel corso del secolo, con la prevalenza di un certo rigorismo tomistico nelle influenti

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scuole spagnole e nell’ordine domenicano e poi con la proclamazione di Tommaso a dottore della Chiesa da parte di Pio V () e la promozione della edizione Piana () delle opere del santo, il pensiero dell’Aquinate fu tuttavia fissato dal magistero papale quale punto di riferimento fon-damentale per tutta la Chiesa. Nella bolla del luglio Pio V definì la dottrina di Tommaso come più affidabile e sicura delle altre diffuse nella Chiesa, benché non certo l’unica ammessa.

Il disciplinamento della filosofia da parte della teologia si rende più agevole in contesto tomistico che nelle altre scuole. Il tomismo considera la teologia scienza principalmente e in sé speculativa, e ad essa sono su-bordinate e con essa collaboranti tutte le altre scienze. In ambito scotista – l’altra via antiqua accanto alla tomistica, ritenuta immune da censura ma non privilegiata dal magistero come avvenne per la tomistica negli ultimi decenni del secolo – la teologia in nobis, quella esercitata dall’uomo, è scienza invece eminentemente pratica, fissata sull’indirizzo della volontà d’amore verso Dio, e i rapporti fra teologia e filosofia sono radicalmente modificati: i contenuti della Rivelazione, per esempio l’immortalità del-l’anima, non sono in parte deducibili anche razionalmente. In contesto occamista, la cosiddetta via moderna (indirizzo contrastato dalle gerarchie fin dal suo apparire, quanto alla eversione che Ochkam faceva dell’ari-stotelismo e di temi ecclesiologici e del potere pontificio) le relazioni fra teologia e filosofia sono messe profondamente in crisi dalla critica nominalistica della conoscenza. Ockham aveva sostenuto che neppure i papi potessero intervenire nelle questioni strettamente filosofiche e che fosse eretico solo ciò che contrastasse apertamente le Scritture; nell’Indice di Paolo IV il filosofo inglese sarà proibito, ma negli Indici posteriori il divieto varrà solo per alcuni suoi scritti anti-papali.

In questi indirizzi, in ragione delle caratteristiche del tutto contrappo-ste che in ciascuno di essi assume il discorso teologico in sé considerato, si rende evidentemente molto diverso tanto il rapporto fra teologia e filosofia, quanto l’atteggiamento verso le capacità (e pertanto l’autono-mia) della filosofia, e di quella aristotelica in primo luogo. Non senza motivo, la storiografia ha segnalato come la formalizzazione solenne del principio di disciplinamento avvenuta con la Apostolici regiminis sia stata resa possibile proprio dalla convergenza, in funzione anti-averroistica, fra ispiratori della decisione papale provenienti da differenti tradizioni (tomistica, scotista, neoplatonica), ma solidarizzanti su posizioni tomi-stiche, generali (subordinazione e “servizio” rigorosi della filosofia alla teologia, e obbligo per i professori di filosofia di esercitare una funzione correttiva della loro disciplina anche con strumenti teologici) e particolari (dimostrabilità filosofica di alcune verità di fede, in primis l’immortalità dell’anima), difficilmente possibili in contesti integralmente scotisti o oc-

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camisti – e suscitanti forti riserve finanche in un tomista come Tommaso de Vio, che fu tra i pochi padri conciliari a dare voto contrario almeno su una parte del decreto papale. E si è visto in quella convergenza uno degli effetti dell’infedeltà allo scotismo di alcuni teologi scotisti, e di una sorta di latitanza dell’impostazione occamista nel quadro della cultura ecclesiastica italiana del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento. In età tridentina, è un controversista domenicano e tomista tanto influente quanto Melchior Cano a offrire il tono della situazione: non solo è eretico affermare che secondo ragione l’anima è mortale, mancandosi di confutare questa dichiarazione, o dire che è mortale secondo la filosofia e immortale secondo la fede (Apostolici regiminis), ma è eretico insegnare che secondo ragione l’immortalità sia indimostrabile e pericoloso e temerario asserire che nessun argomento filosofico in favore sia stato trovato, con conse-guente riprovazione da parte di Cano delle posizioni di Scoto e di de Vio, asserenti la non dimostrabilità filosofica dell’immortalità personale.

La declinazione di filosofia e teologia all’interno della Compagnia di Gesù, pur mossa inizialmente da un richiamo, spesso ribadito, a un rigoroso tomismo, anche attraverso le accuse di grave deviazione che altre componenti ecclesiastiche, in primis domenicane e ispaniche, ma non solo, le rivolsero in varie fasi, sta tuttavia a documento del fatto che sarebbe ben difficile concludere che un monolitico tomismo ufficiale facilmente ottenga ossequio totale nella società ecclesiastica. La vicenda non meno complessa delle violente dispute teologiche sia sulla grazia, sia mariane, fra domenicani e gesuiti (e francescani) tra XVI e XVII secolo, tacitate da Paolo V e da Urbano VIII con decisioni di temporanea “indecidibilità” del magistero, che finivano con il proibire le polemiche, ma che di fatto riconoscevano inevitabile la pluralità di posizioni all’interno del pensiero scolastico, testimonia dell’ulteriore difficoltà a stabilire una definitiva uniformità teologica nell’ambito della Chiesa, anche su punti non leg-geri, e per tutta la fase iniziale della Controriforma, da parte del papato. “Centro”, questo, che è apparso uniformante più sul piano “politico” e “fattivo”, “liturgico” e “catechistico”, che “teologico”.

A quella uniformità teologica (e filosofica) bloccata e integrale, in fondo la stessa Compagnia di Gesù appare da un certo punto incline a rinunciare, optando, con la Ratio studiorum del e del – non a caso avversata in Spagna, e non solo, da posizioni di tomismo rigido – per una uniformità relativa, che muova dalla pragmatica formazione aristotelico-tomistica di base, per poi ammettere una certa ampiezza di fonti e libertà e sperimentazione di indirizzo, sebbene sempre molto sor-vegliata dalle autorità dell’ordine, nella consapevolezza della deperibilità di visioni particolari e di una sorta di “progresso” dello spirito umano. Un esito che avrebbe avuto le sue ripercussioni anche sulla nozione stessa

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di “ortodossia filosofica” in ambito di filosofia secolare, come dimostrano certi tratti del caso Telesio e del caso Patrizi nel tanto che coinvolsero a vario titolo gesuiti di rilievo, avvertiti da quegli autori come interlocutori comprensivi o consenzienti. Entro il quadro della sua filosofia e della sua teologia, la cultura della Compagnia avrebbe sviluppato, con Benito Pereira, un’esegesi capace di servire, in modi diversi, anche strumentali, alcuni novatores come Patrizi, Galileo e Federico Cesi; da Francisco Suárez in avanti, un nuovo indirizzo della metafisica. In ambito gesuitico maturò la prima offensiva nella disputa sulla grazia, dimostrante possibili nessi anche con il dibattito interno alla Compagnia sulla filosofia natu-rale; e, insieme, un’attenzione feconda alle scienze matematiche, con apertura di una crisi nell’architettura aristotelica dei saperi; e si verificò l’accoglienza e discussione delle “novità celesti”, con graduale approccio innovativo rispetto alla cosmologia aristotelica-tolemaica, ma anche critico del copernicanesimo; e finale prevalente adesione, sebbene inizialmente contrastata dentro e fuori la Compagnia, al modello astronomico e ad alcune teorie ticoniche.

Da indagini sul trattamento censorio di voci della teologia pre-tri-dentina come quella di Tommaso de Vio emerge che la vicenda fu pro-fondamente condizionata, tra il papato del domenicano Pio V e i regni di Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII, papi non domenicani e spesso non favorevoli all’ordine dei predicatori, dalla rottura dell’egemonia di quest’ordine intervenuta a un certo punto nella censura centrale e nel Santo Uffizio, e dalla pluralità di impostazioni teologiche e filosofiche emergente dagli avvicendamenti nel personale degli uffici; personale proveniente sempre più largamente dal clero secolare e da altri ordini religiosi, con conseguente caduta o mutamento di interesse per certi autori o questioni e manifestazione di tendenze teologiche, e pertanto di orientamenti censori ed espurgatori e di valutazioni decisorie anche fortemente contrapposti.

Se poi si fa ancora mente alla cultura specificamente filosofica del ceto dei censori, paiono istruttive le riflessioni compiute da due personalità molto radicate nel lavoro censorio: Agostino Valier, prefetto dell’Indice nei regni di Sisto V e di Clemente VIII, e il gesuita Antonio Possevino, consulente dell’Indice e autore della celebre Bibliotheca selecta (). Dalle riflessioni del primo, venute alla luce nel ma risalenti al suo insegnamento di filosofia a Rialto negli anni Cinquanta e Sessanta del se-colo, sale la visione di un prudente eclettismo, che giudica i pericoli della filosofia minori dei suoi benefici per il cristiano e per il teologo; pondera i rischi contenuti sia in Platone che in Aristotele e respinge pregiudizial-mente solo le filosofie a impianto materialistico; seleziona un metodo “liberale” che non elegge nessun filosofo antico a maestro indiscutibile,

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e annovera la lettura di tutti i commentatori pagani e islamici dei testi aristotelici; vi sovrascrive, sui punti sensibili, come quello dell’anima, un superiore ricorso alla sistemazione tomistica e all’adempimento della Apostolici regiminis.

A questa impostazione si richiama esplicitamente Possevino, che nella Bibliotheca selecta esibisce l’approvazione, più che rituale, del Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo de Miranda e di ben otto revisori ecclesiastici, e sviluppa il discorso giungendo alle seguenti conclusioni, e in qualche modo a un prudente “canone” di filosofia cattolica: convenienza dello studio filosofico per il cristiano, e certo subordinazione della filosofia alla teologia, che conferma e completa la prima; la “filosofia mosaica” come prima filosofia, ovvero la Scrittura contiene le prime informazioni che Dio ha voluto comunicare agli uomini anche intorno alla costituzione della natura; respingimento dell’aristotelismo secolare o areligioso e della “doppia verità” e forte diffidenza verso l’averroismo; attenta profi-lassi anche nello studio cattolico di Platone e della tradizione platonica; vigile correzione di Aristotele sui punti sensibili, senza esasperare né il sospetto verso quel maestro, né la sudditanza nei suoi confronti: anche le sue dottrine sono suscettibili di critica e di abbandono; studio di tutta la tradizione tardo-antica e medievale, con un primato di affidabilità in Tommaso; rinnovato valore della tradizione manualistica degli Errores egidiani e ovvio adempimento della Apostolici regiminis.

Appare dunque che, benché non si dia un sistema filosofico esclusivo e ufficiale della Chiesa, alcune idee regolative e strategie di fondo siano state elaborate. Una consumata tradizione, riepilogata da Valier e da Possevino, ha sviluppato il massimo di cautela possibile nei confronti delle tradizioni platonica e aristotelica, e soprattutto dell’aristotelismo secolare; nessuna delle due tradizioni è immune da rischi; l’elaborazione tomistica è senz’altro di riferimento, soprattutto nei punti di maggiore delicatezza; nessuna tradizione interpretativa è tuttavia pregiudizialmente esclusa, a meno che non si tratti di testi o autori, è ovvio, già vietati dalla Chiesa; molte teorie antiche e islamiche (ne aveva fatto il catalogo Egidio, e Possevino lo ribadisce) possono diventare, se abbracciate da cristiani con l’intento di offendere le verità della fede, eresia; il riferimento al superiore valore informativo-normativo delle Scritture anche in materia naturale e al consenso dei Padri, dei Concili e dei teologi, oltre che al dispositivo Fidei catholicae tenenda-Apostolici regiminis, resta dirimente rispetto a certi aspetti del dibattito filosofico.

La Chiesa non perviene dunque né a stabilire una filosofia del tutto conveniente cui pretendere di uniformare il dibattito, e in certi termini neppure la didattica filosofica, né a formulare una sorta di “sillabo” so-lenne delle teorie riprovevoli. Il programma della uniformitas teologica

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da realizzarsi garantendo il rispetto di una certa forma di tomismo come teologia e filosofia ufficiale “delle scuole” si scontra non solo con l’am-messa pluralità di indirizzi all’interno del sistema formativo del clero, ma anche con la vivacità della discussione filosofica profana. Questa spesso ricorre al vecchio stile averroista della “doppia verità”, cercando di elu-dere con differenti o analoghe movenze gli antichi dispositivi contrari in merito (come nella filosofia, ma anche nel comportamento processuale, di Bruno; come in Montaigne; come in una certa parte della strategia di Galileo; a pieno, nell’apologia di Cremonini). Oppure ad ancor più insidiosi comportamenti: l’accomodamento autonomo delle Scritture in quadri filosofici originali (lo tentano in modi diversi Telesio e Patrizi; lo si può ravvisare in certi segmenti “concordisti” finanche di Bruno, prima che esploda il tratto radicalmente anti-cristiano della sua filosofia); il tentativo di operare e di rendere approvata dalla Chiesa anche a fini apologetici e conversionistici, o presentati come tali, la sostituzione del tomismo come filosofia “delle scuole” con forme filosofiche recentiores ma offerte come “novantique”, a sfondo o platonizzante o telesiano, e con uso personale e disinvolto della tradizione patristica e della Scrittura e delle fonti ermetiche e neoplatoniche (di nuovo in Patrizi e in Campanella). O anche con una filosofia radicalmente nuova, ma prospettata come perfetto adempimento della missione del filosofo cristiano, e capace di scalzare definitivamente aristotelismo e tomismo e di rimpiazzarli nell’insegna-mento (Descartes). In tutti questi tentativi permane in forme diverse, anche spesso ritorcendo contro l’aristotelismo e il tomismo la tradizione ecclesiastica e lo stesso disciplinamento e le diffidenze cattoliche verso lo studio di Aristotele, l’assunzione che l’apparente accordo fra tomismo e aristotelismo costituisca invece una fallacia e un nocumento per la fede, questa venendo invece garantita nella nuova proposta filosofica di volta in volta avanzata.

Centro e periferia

In questo quadro si dovrà tuttavia avvertire un ulteriore problema di fondo: quello del rapporto tra centro e periferia del sistema inquisitoriale e censorio, e fra la stessa corte papale, gli ambienti dell’alto clero e gli uffici di quel sistema, che ripropone da altro angolo la questione della uniformitas teologica e filosofica.

La normalizzazione che attraverso gli Indici e i loro aggiornamenti gli uffici cercano di porre in essere costituisce un atto di censura repres-siva, che praticamente smonta e rimonta gran parte del lavoro censorio preventivo che dal il papa aveva assegnato in periferia ai vescovi, e

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che dal periodo della Controriforma viene attribuito anche agli inquisi-tori locali in collaborazione con i vescovi. Tutti i libri vietati omnino o donec repurgentur dagli Indici e dalle liste integrative degli Indici sono ovviamente libri approvati in prima istanza da censori locali, che hanno agito sotto l’autorità dei vescovi e degli inquisitori. In alcuni casi sono libri pubblicati con un’approvazione bilanciata da emendazioni in calce (come la Nova de universis philosophia di Patrizi). O sono stati corretti prima della stampa dagli autori, all’esito di un’interlocuzione con i censori periferici e anche con lettori ecclesiastici non d’ufficio – gli autori che appartengono ad alcuni ordini religiosi, domenicano e gesuita, rispondono inoltre anche a una censura preventiva interna; o presentano gli effetti di riscritture autocensorie, condotte per timore di cadere nell’eterodossia (di nuovo il caso Telesio configura sia la prima che l’ultima fattispecie). Ma sono libri pur sempre approvati dalla periferia, e poi vietati al centro. In alcuni casi si tratta di libri editi con dediche a pontefici e cardinali, presso autorevoli editori, e che hanno goduto del consenso o dell’interesse presso elevati ambienti ecclesiastici. Pertanto il sistema ha elaborato – ma certo non per la sola letteratura filosofica – un secondo grado di verifica, l’Indice dei libri proibiti e la sua congregazione (), che non valuta solo libri pubblicati fuori del sistema censorio preventivo cattolico e che dovrebbe correggere la peraltro fisiologica incertezza di quel sistema. È demandato alla congregazione dell’Indice, ma anche allo stesso Santo Uffizio − presieduto dal papa, congregazione suprema della Chiesa che ebbe competenza esclusiva anche su materia libraria in sede centrale fino al , e che spesso anche dopo quella data continuò a produrre interventi autorevoli − un supremo vaglio di ortodossia della letteratura in primo grado approvata e circolante.

L’efficacia del sistema dovrebbe pertanto essere documentata non solo dalla mole e dalla qualità delle proibizioni e delle espurgazioni de-cise in sede centrale e dalla valutazione del loro effetto dissuasivo, ma anche dalla mole e dalla qualità dei libri che mai ottennero l’imprimatur e restarono nel cassetto degli autori, e dalle caratteristiche e dagli esiti delle tante negoziazioni svoltesi in sede locale per l’ottenimento dell’im-primatur a prezzo di emendazioni e ripuliture, note tuttavia per alcuni casi importanti (di nuovo: Telesio, Patrizi, Galileo).

Questi versanti del problema richiederebbero per esempio l’interro-gazione di molti casi periferici, lo studio più ampio dei sistemi di censura interni agli ordini religiosi e dell’attività censoria delle autorità locali, soprattutto nei confronti della produzione filosofica legata alle università, e della stessa didattica universitaria. Possevino, in un resoconto della sua attività espurgatoria inviato fra il e il al Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo de Miranda, lamentava non solo che non si fosse

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ancora tirato via da ogni esemplare dell’edizione giuntina di Aristotele con i commenti di Averroè un’avvertenza editoriale scandalosa per la dottrina cattolica dell’anima; ma che quell’edizione così diffusa nelle università (e capitale per lo studio dell’aristotelismo) non fosse mai stata purgata o vietata; e che ancora non si sorvegliassero le «lettioni» mano-scritte dei docenti universitari, e le «empietà» che i «libri manoscritti» potevano diffondere.

La storia delle relazioni tra centro e periferia nel sistema censorio ro-mano durante la Controriforma è, si sa, costellata di continue inclinazioni centrifughe e centripete, di spinte verso il decentramento (soprattutto nella espurgazione dei molti libri vietati solo donec repurgentur) e di avocazioni al centro. Il disappunto dei pontefici e dei cardinali censori verso lentezze e inefficienze degli uffici locali sono note. All’inizio del Seicento se ne fece eloquente interprete uno sconsolato memoriale di Bellarmino. Il tema era la censura espurgatoria: ma l’insoddisfazione verso il sistema e la sua complessiva efficacia stava sullo sfondo di questo come di altri documenti. L’impazienza di Possevino e la delusione di Bellarmino avevano ragion d’essere?

La filosofia vista dagli Indici. Da Paolo IV a Clemente VIII

Sembra mancare attenzione specifica e organica alla filosofia nei primi Indici non romani; tale mancanza pare doversi registrare anche nei primi Indici emanati dalla Santa Sede nel e nel . Le regulae preposte a quest’ultimo non menzionano la filosofia. La normazione generale con-templa libri di tema religioso e non, scritti da eretici; le edizioni in volgare delle Scritture, dei Padri e di autori classici ed ecclesiastici curate da protestanti; i testi di devozione, spiritualità e controversistica in volgare; le opere di magia e di astrologia. Quest’ultimo campo sembra costituire un punto di speciale vigilanza degli inquisitori, con divieto della letteratura astrologica “giudiziaria”, quando pretenda la certezza della previsione, e che esclude chiaramente dalla proibizione solo l’astrologia utile alla pratica medica, all’agricoltura e alla navigazione. Qui emerge un aspetto filosofico, considerate le relazioni fra certe tendenze naturalistiche e la tematica astrologica: non sono ammessi testi di carattere deterministico che trattino degli eventi futuri come eventi del tutto prevedibili, conflig-gendo con il principio del libero arbitrio. Ovviamente, quando l’Indice del impegna la censura a scrutinare ed eventualmente espurgare e quindi riabilitare testi di materia non religiosa di scrittori eretici, induce a considerare sotto questa categoria anche libri o commentari filosofici.

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Un lungo elenco vergato da anonimo nel -, in preparazione dell’Indice di Paolo IV, contempla naturalisti e filosofi da vietare e com-prende qualche autore condannato in passato dalla Chiesa, come Arnaldo di Villanova e Lullo, ma soprattutto autori presi in esame, a giudicare dalle sintetiche motivazioni, quasi esclusivamente per le loro simpatie eterodosse, o per la loro adesione alla Riforma, o per legami con le arti esoteriche. Su questa base, sono ribaditi nell’Indice del i divieti per scrittori come Agrippa, Gesner, Rheticus, la cui copernicana Narratio prima viene vietata a motivo della religione dell’autore e non della sua adesione all’eliocentrismo.

La teoria eliocentrica, in ragione degli sviluppi traumatici che la sua recezione in ambito cattolico denoterà in futuro, costituisce senza dubbio un primo nodo importante. Nonostante la tempestiva registrazione del tema da parte di ecclesiastici intransigenti come il teologo domenicano Giovanni Maria Tolosani e il Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo Spi-na, la compatibilità dell’eliocentrismo con l’ortodossia cattolica resta poi a lungo inosservata negli apparati censori. Ancora nel il matematico gesuita Cristoforo Clavio, pur avvertendo il contrasto del copernicanesimo con le Scritture, non rubricò quella teoria come suscettibile di eresia; e il teologo Diego Lopez de Zuñiga poté sostenere, nel commento al libro di Giobbe uscito a Toledo nel , vietato dall’Indice solo nella crisi del , la possibilità di accordare l’eliocentrismo con le sacre lettere. Ancora alla fine del XVI secolo, nei casi Patrizi, Stigliola e Bruno, l’accusa di seguire la teoria del moto della terra risulterà piuttosto marginale e non suffragata da unanime giudizio nel ceto inquisitoriale e censorio, stante l’assenza di una pronuncia solenne della Chiesa sul punto.

Lo scontro è rinviato ai primi decenni del XVII secolo, al primo round del caso Galileo, sebbene con forti tracce di continuità, a quell’altezza, dell’atteggiamento rigoristico con le tendenze dell’apologetica domeni-cana accennatesi in materia al primo apparire della dottrina copernicana. Custodi di queste tendenze, si mobiliteranno settori dell’ordine dei pre-dicatori, dell’aristotelismo accademico e delle curie fiorentina, pisana e romana, miranti, sull’onda dell’avvertita minaccia galileiana all’esegesi tradizionale delle Scritture, rilevabile nell’intercettato insegnamento orale ed epistolare dello scienziato, oltre che alla cosmologia aristotelica messa in crisi nelle sue opere a stampa, a ottenerne la tacitazione per via giudiziaria e una pronuncia della Chiesa contro l’eliocentrismo come dottrina eretica, oltre che assurda in filosofia. Questa fu sì infine propo-sta dai qualificatori del Santo Uffizio, il febbbraio , ma come si è venuto precisando di recente, papa Paolo V non l’adottò come base di una solenne sentenza del magistero, che di là dai timori e rumori di cui è eco nell’epistolario galileiano e nell’opinione generalmente ma non

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uniformemente creduta al tempo, e soprattutto in seguito, in effetti man-cò; bensì solo del divieto donec corrigatur del De revolutionibus orbium coelestium (che si sarebbe dovuto sgravare del suo senso “realistico”, e ricollocare in circolazione quale pura dottrina matematica, come in effetti avvenne nel ) e della proibizione di altre scritture filo-copernicane in senso “concordista”, emanato dalla congregazione dell’Indice, in forma che appare attenuata (la teoria eliocentrica non vi è detta eretica, ma “contraria alle Scritture”), il marzo . Un “effetto collaterale” ma intenzionale e molto significativo del decreto dell’Indice fu per Paolo V la possibilità di esigere da Galileo di non affrontare se non come ipotesi matematica la tesi copernicana, senza coinvolgerlo in un procedimento giudiziario, per tramite di quel “monito” privato di Bellarmino circa il tenore del decreto dell’Indice (non «difendere né tenere», ovvero non sostenere come valida absolute la teoria copernicana) cui il commissario del Santo Uffizio, presente alla circostanza, probabile portavoce dei do-menicani intransigenti, sovrappose tuttavia il celebre e discusso “precetto” giudiziale (non tenere, né insegnare, né difendere quovis modo la suddetta teoria), che nelle intenzioni del papa si sarebbe però dovuto infliggere solo se Galileo avesse “resistito” al monito. Se ne sarebbe creato un ambiguo intrico dottrinale e giudiziario sul quale la storiografia ancora dibatte, ma dal quale nondimeno sortiranno nel processo del - il danno finale a Galileo e la consumazione della prima più radicale rottura fra Chiesa e scienza moderna.

Cade presto, al tempo dell’Indice del , benché resti a lungo ri-corrente sospetto sull’autore nel suo complesso, un appena documentato tentativo di vietare una delle voci filosofiche più importanti del XV secolo, Nicola Cusano che già in vita aveva dovuto difendersi da accuse di eterodossia, e che infine viene condannato a fine Cinquecento solo per l’aspetto ecclesiologico. Questo comporterà per il suo neoplatonismo profondamente eversivo della sistemazione aristotelico-tomistica così tanta totale libertà di diffondersi da costituire infine una delle fonti (insieme a una certa interpretazione proprio del copernicanesimo) del maggior episodio di incompatibilità della filosofia con il cristianesimo in generale, e non solo con aristotelismo, tomismo e dottrina e prassi cattolica, la filosofia di Giordano Bruno.

Nel la pubblicazione dell’Indice di Pio IV non costituisce oc-casione neppure per saldare i conti con l’espressione più radicale del-l’aristotelismo a sfondo averroistico o alessandrista. Il De immortalitate animae di Pomponazzi, che nel , pur suscitando scandalo, già aveva mancato di costituire un esempio di perfetta applicazione della Apostolici regiminis, venendo per esso adottata una soluzione in parte derogatoria, non è ripreso in considerazione. In ragione delle problematiche astrolo-

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giche e magiche e del tema dei miracoli, è piuttosto il De incantationibus del a venir proibito negli Indici di Sisto V () e di Clemente VIII (, ), all’esito di esami e divieti locali trascinatisi fin dalla seconda metà degli anni Settanta; un progetto di correzione di tutte le opere di Pomponazzi, con particolare riferimento al De fato () e con evidente collegamento al soggetto della libertà umana, più volte accennato, non viene invece portato a segno.

La congregazione dell’Indice e il Maestro del Sacro Palazzo (con impegno della élite dell’ordine domenicano) lavorano fin dal a un complesso disegno, già avviato tra Paolo IV e Pio V (nell’ambito della produzione dell’edizione Piana di Tommaso e dei suoi commenti): la correzione sistematica, alla luce della situazione teologica ed ecclesiologica di quegli anni, e dell’istanza di uniformazione dottrinale del tomismo e della teologia cattolica nel tomismo, dell’opera di Tommaso de Vio, anch’egli attaccato in vita dalla Sorbona e da importanti controversisti cattolici, fino al postumo sospetto di eresia, anche in riferimento alla sua posizione sul problema filosofico dell’immortalità dell’anima oltre che per il suo metodo esegetico e altre posizioni teologiche e sul canone, che nell’assise tridentina si erano viste peraltro soccombere nelle personalità (Girolamo Seripando, Tommaso Sanfelice) da esse influenzate. Tuttavia il problema de Vio, autore molto importante per la trasmissione critica dell’eredità tomistica, con ricadute significative sulla stessa materia filosofica, si trascinerà a lungo e il lavoro espurgatorio avviato sui suoi testi, imponente nella durata e nella pur discontinua mobilitazione, ma molto modesto se non fallimentare nei risultati, stante anche la crisi del monopolio domenicano e la divaricazione nel giudizio sul Gaetano e nella interpretazione della tradizione tomistica fuori e dentro gli organi censori di fine Cinquecento (per esempio tra un Bellarmino, patron del Gaetano, e un Francisco Peña, suo puntuto «Gegner»), non impedirà alla sua metodologia e alle sue posizioni filosofiche e teologiche di continuare a esercitare una certa influenza.

Quel che sembra piuttosto interessante annotare qui è che proprio nei tentativi di correzione di autori come Cusano e come de Vio, e nel primo allarme, presto rientrato, verso Copernico, sembrano manifestarsi forze intransigenti, ad epicentro domenicano, nelle quali paiono convergere l’istanza di reazione al neoplatonismo cusaniano, al particolare tomismo di de Vio e alla maggiore novità della filosofia naturale e della scienza astronomica di primo Cinquecento. Il domenicano Bartolomeo Spina si trova ad esempio al centro sia della prima sensibilità anti-copernicana, sia della polemica contro il de Vio. Ma la resa dei conti con tutte queste tendenze, apparentemente divergenti o estranee fra loro (a parte il legame tra cosmologia cusaniana e certe interpretazioni del copernicanesimo),

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verrà rinviata al XVII secolo, con un bilancio piuttosto complesso: sostan-ziale immunità per Cusano; contenimento dell’offensiva domenicana su de Vio; compromesso del , con disappunto degli ambienti domenicani fiorentini che l’avevano suscitata, sulla questione copernicana, con la sua incompiuta condanna dottrinale e la sua ammissione almeno quale semplice ipotesi astronomica, stante la expurgatio del De revolutionibus assicurata nel . Non sembra forse casuale che l’azione del gesuita Bellarmino si riveli decisiva sia nel ridimensionamento del caso de Vio, sia nella prima fase del caso Copernico. Ma contestualmente si verifica, sia sul naturalismo di Telesio, sia sul neoplatonismo di Patrizi, a dispetto della protezione accordata a quei filosofi (come pure a Cardano) da alte gerarchie e degli stessi pontefici regnanti, di là di iniziali moderazioni di marca gesuitica, sostanziale convergenza di diverse componenti (domenicana e gesuitica, intransigente e moderata) nella finale effettiva proibizione di quei due autori, sebbene mitigata da un donec repurgetur rilevatosi poi impraticabile.

Appena un anno dopo la pubblicazione dell’Indice di Pio IV, Telesio, da quello stesso papa da poco proposto, ma con rifiuto dell’interessato, quale arcivescovo della natìa Cosenza, protetto dal segretario di Pio, e di lì a breve cardinale Tolomeo Gallio, pubblica (con revisione del domeni-cano Eustachio Locatelli, ma anche di altri censori ecclesiastici), presso l’editore pontificio Antonio Blado, la più importante decostruzione della fisica aristotelica del tempo, il De rerum natura iuxta propria principia, dove il filosofo avanza dottrine dei cieli e dell’anima umana incompatibili non solo con la visione aristotelica, ma anche con quella tomistica, e si appella alle Scritture per avvalorare le sue tesi.

Questo clima relativamente favorevole alla filosofia anti-aristotelica registra a breve sussulti. Nel l’ascesa di Pio V comporta il rilancio del Santo Uffizio, il potenziamento del Maestro del Sacro Palazzo e, dal , la creazione dell’apposita congregazione dell’Indice. Proprio il caso Telesio porta qualche segno, quando si ricordi che nel il filosofo citò in sua garanzia da ventilate denunce contro la seconda edizione della sua opera propizi lettori gesuiti: Alfonso Salmerón e Gaspar Fernández. La seconda edizione del De rerum natura uscì tuttavia a Napoli senza pro-blemi, e per un più di un decennio susciterà discussioni anche violente ma nessuna iniziativa della censura. Un altro radicale attacco all’aristo-telismo poté liberamente essere condotto da Patrizi con le Discussiones peripateticae del . Nel Telesio poté pubblicare la terza edizione completa del De rerum natura, nella quale curerà però di inserire non solo una dichiarazione di disponibilità a revocare le sue tesi ove vi si fosse ritrovato qualcosa di eterodosso, ma anche una revisione di punti sensibili della sua filosofia, mirante a renderla il più possibile conveniente

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con la teologia cattolica e con le Scritture, sebbene mai inclinante a una conciliazione con Aristotele.

Del pari risalenti al principio degli anni Settanta i problemi di Giro-lamo Cardano e Francesco Giorgio Veneto. Nel primo caso, l’attenzione della censura repressiva è provocata dal procedimento inquisitoriale patito dall’autore, celebrato professore nell’Università di Bologna, legato a importanti cardinali (fra i quali Carlo Borromeo, Giovanni Morone e Ugo Boncompagni, dal ’ papa Gregorio XIII), e che diverse sue opere aveva già visto però proibite in altri Indici cattolici, fra il e il ’ (situazione lenita dalla pensione che Gregorio XIII gli concede nel ’, e dalla riabilitazione all’insegnamento intervenuta però troppo tardi, nel ’, poco prima che il medico morisse). Nel il Santo Uffizio ha comunque vietato donec corrigantur tutte le sue opere che non siano di medicina. Prese avvio una vicenda espurgatoria fra le più tormentose, che approdò alla deludente expurgatio del per solo alcune delle opere in questione. Il punto essenziale, fra i moltissimi sollevati dalla censura, sembra essere costituito dal fatto che la mente di Cardano appare fare convergenza fra tre elementi di massima sensibilià: una posizione del tutto eterodossa sull’anima umana, il determinismo astrale, una visione “naturalistica” e “politica” del fatto religioso e delle manifestazioni so-prannaturali. Nel caso di Giorgio Veneto, cominciato nella seconda metà degli anni Settanta e portante al pur esso tardivo divieto donec corrigantur del De Harmonia mundi () e dei In Sacram Scripturam Problemata () nel (ma con divieti parziali locali negli anni precedenti), la vicenda espurgatoria è pur essa molto lenta e complessa, con analogo approdo all’Indice espurgatorio del , e molto lavoro, spesso ingrato e disperante, dei censori. La maggior mole dei rilievi si attesta sugli effetti dell’assimilazione che l’autore ha compiuto, nell’esegesi delle Scritture e dei dogmi, della letteratura talmudistica e cabalistica, combinata con elementi neoplatonici.

Nel contesto dell’aggiornamento dell’Indice del ’, dell’attività censoria ed espurgatoria che l’ufficio del Maestro del Sacro Palazzo e la congregazione dell’Indice svolgono tra la fine del papato Ghislieri e il regno di Gregorio XIII, lo spazio della filosofia (soprattutto nelle sue connessioni con arti mediche ed esoteriche e ragioni religiose) sembra per-corso da interventi confermanti l’aspirazione degli uffici a una copertura vasta, che pur mancando di una sistematica strategia, perviene a divieti e a correzioni comunque significativi per varie opere, le cui motivazioni e i cui spesso lunghi e discontinui itinerari vanno tuttavia collocati cia-scuno nel suo specifico contesto: la Magia naturalis di Giovan Battista Della Porta, sullo sfondo del processo inquisitoriale sofferto dall’autore nel - per negromanzia; gli scritti del luterano Paracelso e del

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calvinista Pierre de la Ramée; il De vita coelitus comparanda di Marsilio Ficino; il De humana mente di Simone Porzio; i dialoghi di Sperone Speroni; il De incantationibus di Pomponazzi; edizioni e commenti di opere antiche curati da riformati; autori medievali quali Lullo (questione molto disputata all’interno della censura e della curia romana) e Arnaldo di Villanova, già proibiti nella tradizione.

Su questo sfondo ha suscitato interrogativi, stante anche la piuttosto recente pubblicazione di documenti decisivi del caso, il fatto che un testo fondamentale della modernità filosofica, gli Essais di Michel de Montaigne, trovasse blando trattamento nella censura romana del , soprattutto alla luce della meno intempestiva condanna a Ginevra nel da parte della censura calvinista, del divieto donec expurgetur nell’Indice spagnolo del e soprattutto della tardiva ma totale proibizione totale irrogata nel dalla congregazione dell’Indice.

La complessità dell’autore, la sua posizione politico-religiosa nelle guerre francesi, il suo genere e stile di scrittura, la struttura dei suoi sag-gi, erano certo tali da non aiutare tanto la decifrazione del personaggio, quanto quella del suo pensiero. Non aiutarono infatti la lettura della copia degli Essais, sequestrata al gentiluomo al suo arrivo a Roma, che il Maestro del Sacro Palazzo Sisto Fabri da Lucca affidò a due censori in grado di intendere il francese. Questi non sollevarono alcun punto di schietta eresia e non dedussero le vaste conseguenze della decostruzione scettica che Montaigne accennava di tutti i secolari costrutti della filosofia e della teologia cristiana: teologia naturale e filosofia come preambulum fidei; anima e dimostrabilità filosofica della sua immortalità; provvidenza, fine e antropocentrismo; religione divina e cause umane; correzione giu-diziaria dell’eresia e uniformitas confessionale; civiltà e barbarie; uomo e bestia; ragione, immaginazione e sensi. I censori certo elencano nelle loro parallele perizie luoghi sospetti molto più numerosi di quelli registrati dall’interessato nel racconto del caso presentato nel Journal de voyage. Il prestigio o forse anche le protezioni politiche di Montaigne, trattato con tutti gli onori durante la sua permanenza a Roma, gli spunti anti-luterani coglibili in certe sue pagine, il discutibile rilievo, a parere di Fabri, di molte delle censure mosse agli Essais indussero il Maestro solo a una benevola e ridimensionante esortazione all’autocensura secondo coscienza, nel caso l’autore avesse inteso ristampare la sua opera. Una decisione che anche nel racconto che ne fece Montaigne echeggia qualche dissenso interno agli uffici. Montaigne si limiterà peraltro a inserire, muovendo dall’edi-zione del degli Essais, una dichiarazione cautelativa (nel saggio I, LVI, Delle preghiere, continuamente emendata nelle edizioni successive, con meticolosa assidua riscrittura) circa il carattere non asseverativo ma incerto e dubbioso di certe sue riflessioni, di obbedienza alla Chiesa, e di

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sottomissione alla sua censura, sul cui valore non infamante egli ricorda nel Journal di aver peraltro ricevuto una bonaria lezione proprio da Fabri; nulla sostanzialmente attenuando o correggendo sui punti intorno ai quali i revisori avevano richiamato la sua attenzione, anzi spesso “rincarando la dose”. Salvo avvertire che il suo uso del termine “fortuna” era da tenersi quale traduzione letteraria classicheggiante del termine cristiano di “provvidenza”, e che le sue menzioni di letterati eretici e di Giuliano l’Apostata erano da riferirsi non alle loro idee o posizioni religiose, ma alle loro virtù poetiche o politiche e intellettuali.

Mette qui conto rilevare che proprio ancora nel Delle preghiere, e con ricorso a continui riassestamenti fra i diversi stati testuali registrabili attraverso le varie edizioni e integrazioni manoscritte degli Essais, viene riproposto da Montaigne, tentando di eludere le prescrizioni ecclesiasti-che, il ricorso alla “doppia verità”, al punto che egli è parso «anticipare la vicenda postuma e la tragica conclusione della vita di Giordano Bruno, ma anche punti di forza della difesa del Nolano davanti all’Inquisizione: ho parlato da filosofo, non da teologo»; benché, si deve dire, la posizione di Bruno, accusato di gravi eresie, sarà piuttosto diversa, e certo la sua linea difensiva, invocante lo “stile” averroista, fu in realtà «perdente», poiché quello “stile” era riprovato dalla Chiesa, e da lungo tempo. Montaigne, su basi diverse rispetto a Bruno, anche per rapporto a una diversa idea di filosofia, riscrive in termini scettici quello “stile”. Egli rivendica il diritto a parlare «temerariamente» e in lingua di «laico» opinante, sem-pre «molto religioso», ma non «clericale», di qualunque materia, anche morale e spirituale, non definita dal dogma, asserendo tuttavia il rispetto più profondo per le verità insegnate dalla Chiesa, per l’uso liturgico e “professionale” delle Scritture (motivo del resto anti-protestante) e per il linguaggio e il rango specifici della teologia, e procedendo sul crinale rischioso della distinzione tra la filosofia come pratica “libera” e “umana”, poiché tanto debole e incerta, quanto inutile alla teologia, e questa come scienza sacra che della filosofia non ha bisogno. Appare degno di nota che Montaigne, contro l’impostazione scolastica, e soprattutto tomistica, si appelli incidentalmente sul punto, nella continua riscrittura di questi passaggi del Delle preghiere, alla interpretazione data da Giovanni Criso-stomo di I Corinzi, , -, dove Paolo secondo il Padre greco dice della ragione umana come di ancilla contempta dalla scienza sacra, dissolvendo i legami tra filosofia e teologia; e ad Agostino, De civitate Dei, X, , dove il Padre latino però non condona, ma piuttosto rimprovera ai filosofi pagani di evocare verbis indisciplinatis verità intuite e rappresentate pur nella confusione del linguaggio (e infine, a differenza dei cristiani, dai pagani non abbracciate). Nel quadro della problematicità di applicazione della Apostolici regiminis, resta il ben diverso dramma: nel caso di Bruno quella

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bolla fu applicata in vita e contribuì a spezzarla; in quello di Montaigne, solo post mortem. L’opera di Montaigne continuò infatti a circolare a lungo liberamente e a essere presentata in ambito cattolico come suscet-tibile di un’interpretazione apologetica in chiave scettico-fideistica, che non attenua tuttavia la complessità della “religione di Montaigne” e del suo rapporto con la teologia cristiana, anche riformata.

La riforma dell’Indice riavviata nel da Sisto V dal languore in cui l’aveva lasciata nel , morendo, il prefetto della congregazione Guglielmo Sirleto, è stata largamente indagata dalla storiografia nei suoi diversi aspetti, anche con riguardo alla dialettica fra moderazione (della congregazione) e finale durezza (del pontefice) che l’aveva segnata.

Per la filosofia, si riorganizza il lavoro espurgatorio su autori intorno ai quali, come Cardano e Giorgio Veneto, questo era già cominciato; è sempre molto vivo e consapevole l’interesse a correggere e rimettere in circolo opere di naturalisti protestanti, utili o indispensabili nei rispettivi campi disciplinari, ivi incluso il Rheticus che con Copernico sostiene il moto della terra; e si discorre di emendare autori poi giudicati inemenda-bili, come Erasmo e finanche i Discorsi e le Istorie di Machiavelli. Si apre il dibattito intorno alla complessa produzione politica, demonologica e filosofica di Jean Bodin, intrecciata con la questione delle guerre civili in Francia; si riprende quello non meno difficile su Lullo e intorno alla questione del Talmud, che invece investono altri scenari anche politici. Sono presenti nella pratica espurgatoria testi di tradizione neoplatonica, da Leone Ebreo ad Agostino Steuco. Tra vecchi dossiers come quelli inte-stati agli autori sopra ricordati, a Ramo o ad altri critici o commentatori protestanti di Platone e di Aristotele, a filosofi medievali quali Ochkam e ad aristotelici secolari come Pomponazzi e Simone Porzio, finalmente affiora anche l’attualità filosofica. Si discute e infine si fa divieto sopra l’Examen de ingenios () di Juan Huarte, medico di Filippo II, per le sue concezioni dell’anima e la sua visione naturalistica. E in carte della congregazione risalenti al spunta il nome di Telesio come filosofo da correggere, contro il quale Giacomo Antonio Marta pubblica in quel-l’anno il suo Pugnaculum Aristotelis.

Vittorioso sulla resistenza offerta dalla congregazione, Sisto V ha infine ricavato un nuovo Indice, indurito nelle regole e nelle liste proibitorie, che, pronto per la promulgazione nel , risparmia tuttavia Telesio, il cui nome non compare fra gli autori vietati, a differenza dell’averroista Alessandro Achillini, di Porzio e Speroni, di Leone Ebreo e degli illustri sospesi donec repurgentur Giorgio Veneto, Cardano, ma anche dell’ari-stotelico inglese John Case e del nuovo arrivato Bodin. Ma pare sia invece l’applicazione di quella clausola limitativa al divieto al Talmud – terreno di aspri scontri in curia – a indurre il cardinale Giulio Antonio Santori,

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in nome del Santo Uffizio, a ottenere dal successore di Sisto V, morto nell’agosto del ’, Urbano VII, papa per poche settimane, di revocare la promulgazione già sospesa del nuovo Indice, che aveva peraltro suscitato le immediate preoccupazioni della diplomazia veneziana, interprete degli interessi della patria editoria. La ripresa nel , regnante Clemente VIII, della riforma della censura è stata anch’essa studiata, fino al compimento dell’Indice nuovo, che poté essere tuttavia pubblicato solo nel , dopo ben due sospensioni della promulgazione disposte dal pontefice per di-verse cause: una vicenda politica che si deve qui prescindere dal trattare, essendo stato fatto altrove, in generale, e anche in relazione al tema della filosofia, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi.

Il nuovo Indice avrebbe costituito una sorta di strozzatura delle principali tendenze filosofiche italiane di indirizzo anti-aristotelico, rappresentate appunto da quei due filosofi, fino ad allora tollerate o addirittura incoraggiate nell’ambiente ecclesiastico e, nel caso di Patri-zi, finanche dallo stesso pontefice. Tali proibizioni coincisero con altri episodi inquisitoriali e censori, che avrebbero marcato con ulteriore drammaticità l’atteggiamento della Chiesa verso la filosofia: l’inizio delle vicende inquisitoriali di Tommaso Campanella e la contestuale proibi-zione di opere sue; la persecuzione di Nicola Antonio Stigliola (nel cui caso la filosofia in quanto tale non appare però centrale); e soprattutto il processo e il rogo di Bruno e il divieto di tutti i suoi libri. Sì che non ci si può sottrarre all’impressione che il regno di Clemente VIII, cominciato nel segno di una certa protezione dei filosofi, poi in fondo riassumibile nel singolare rapporto fra l’Aldobrandini e Patrizi, abbia nel volgere di poco tempo imboccato una via esiziale e costituito il prologo della po-steriore storia del caso copernico-galileiano, anche per certa oscillazione fra intransigenza e moderazione. Nelle nuove liste proibitorie approntate dalla congregazione non compaiono filosofi già inclusi in quelle sistine (Achillini, Porzio, Speroni). Ma Bellarmino propone l’inserimento nel nuovo Indice dell’opera principale e di alcuni opuscoli di Telesio; e il caso Patrizi dimostra nel suo complesso svolgimento problematiche di vivo rilievo.

Il nuovo papa Aldobrandini ha studiato nel particolare ambiente di Padova e fra le prime scelte del suo regno in campo profano compie quella di chiamare alla Sapienza, a insegnarvi filosofia “platonica”, un personaggio come Patrizi, che nel ha dato fuori a Ferrara la Nova de universis philosophia. Il libro del Patrizi è in certo senso un libro “quasi proibito” sul nascere e in parte già teoricamente “espurgato”, se si pone mente alle molte annotationes che la censura locale ha disposto fossero collocate in calce a numerose pagine dell’opera, condizione della sua pubblicabilità. Dalla dedica dell’opera all’allora regnante Gregorio XIV,

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e dalle ben undici ulteriori dediche ad altrettanti cardinali (fra cui Al-dobrandini) che decorano le varie sezioni del sontuoso progetto, sale un disegno inquivocabile: restaurare la filosofia platonica e neoplatonica, con il suo denso corteo di “concordanze” con le più diverse fonti sapienziali pagane, come più vicina e accordabile alla Rivelazione; far sloggiare dalle scuole l’aristotelica, ritenuta profondamente incomponibile con la stessa; e tutto sulla base di un disegno apologetico, ovvero di aiutare la Chiesa nel recupero del terreno perduto in Europa con la Riforma. L’allora ancora cardinale Aldobrandini si disse entusiasta dell’opera e volle, da papa, Patrizi a Roma. Circostanza che in sé dovrebbe indurre a ritenere che nella curia romana il richiamo severo alla uniformitas tomistica non appare così consequenziale.

La censura del domenicano Saragoza (avallata dal Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo de Miranda), sulla cui base fin dall’ottobre la congregazione decide l’inserimento di Patrizi nel nuovo Indice con la formula nisi fuerit ad auctore correcta, salvo chiederne conferma al papa, rappresenta un tipico esempio di scontro fra la sopra richiamata istanza dell’uniformitas tomistica e una tendenza del tutto contrastante. Saragoza ha respinto la Nova philosophia come per più aspetti contrastante con le Scritture, con i Padri, con la tradizione della Chiesa, poiché proponente una sorta di teologia platonica del tutto inconciliabile sia con le fonti della Rivelazione, sia con il magistero, sia con la teologia scolastica, insolente-mente criticata da Patrizi; e tesi di filosofia naturale (moto della Terra, infinità dell’universo, animazione degli astri) contrastanti non solo con la scienza aristotelica, il che appare in fondo secondario, ma di nuovo con le Scritture e con la tradizione patristica e teologica, che vanno intese dal censore come dirimenti non solo per le questioni di fede e di morale, ma anche per punti naturali. Saragoza respinse infine proprio e anche in Patrizi il tentativo di proporre un’esegesi delle verità cristiane a mezzo di quelle «espressioni indisciplinate» (verbis indisciplinatis) o «temerarie» che Agostino e i buoni teologi definivano anticamera dell’eresia, e che nella riscrittura che ne aveva proposto Montaigne avrebbe dovuto co-stituire l’area di tolleranza della trattazione non teologico-professionale dei temi cristiani da parte dei “laici” o “filosofi”. Secondo Saragoza, Patrizi sostiene spesso tesi chiaramente eretiche, sulle quali dovrebbe pronunciare il suo ripudio, secondo la Apostolici regiminis.

Già nel novembre Patrizi − che con una Apologia aveva chiesto più equanime e competente censore e invocato i Padri, la teologia negativa dello Pseudo-Dionigi e il Gaetano per dimostrare l’empietà di Aristotele e la congruenza del platonismo con le fonti cristiane e implorato di poter scrivere da filosofo intorno a cose della fede nella quali crede tuttavia secondo le formule stabilite dalla Chiesa (riedizione della “doppia ve-

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rità”) − si dice pronto a ritrattare eventuali errori, non eresie; di queste si protesta invece del tutto innocente. Ne offre prova nelle arrendevoli Emendationes proposte alla congregazione, che in fondo accolgono parte dei rilievi di Saragoza (molto contestati nell’Apologia) e che dovrebbero costituire base dell’applicazione al suo caso dell’autoconfutazione. Nei mesi successivi, gli sforzi di Patrizi – che passano attraverso l’appoggio non negato del pontefice – si appunteranno sul tentativo di evitare che la sua opera venga menzionata nel nuovo Indice, sia pure come in via di espurgazione, che le sue emendazioni non vengano valutate di nuovo dal Maestro del Sacro Palazzo ma da altro censore. Questi dovrebbe elaborare una Admonitio al lettore da premettersi a una nuova edizione della Nova, nella quale l’autore rifonderebbe le emendazioni approntate e pubblicherebbe anche una lettera al papa, in effetti già vergata, nelle cui righe il sostanziale ribadimento del disegno platonico-apologetico originario viene accompagnato dalla consapevolezza dello scandalo che il linguaggio non scolastico adoperato potrebbe suscitare.

In altri termini − dobbiamo ritenere − la soluzione proposta da Patrizi, annuente Pontifice, è che l’autore possa ottenere una sia pur molto castigata libertà di scrivere da filosofo, in linguaggio non scolastico, di temi anche teologici, oltre che filosofici. Appare significativo che questa linea trovi iniziale collaborazione, con l’avallo papale, nella Compagnia di Gesù, al cui generale Claudio Acquaviva, attaccato dai tomisti “rigidi” per le sue posizioni “liberali” sulla uniformitas dottrinale e la Ratio studiorum, la congregazione dell’Indice chiede di designare un nuovo censore della Nova. La scelta cade su un canonista più che teologo, padre Benedetto Giustiniani, la cui censura si risolve nella Admonitio desiderata da Patrizi. Un testo interessante che, per dissolvere il rischio dello scandalo del let-tore, per un verso subito neutralizza il potenziale ereticale della filosofia naturale di Patrizi, asserendo che le teorie avanzate o ripetute dall’autore (incluso il moto della Terra), benché avversanti la tradizione filosofica, in quanto vertenti su cose opinabili devono essere discusse dai filosofi e godono di una relativa autonomia. Contraddire Aristotele non è peccato. Ma soprattutto che l’interpretazione tradizionale delle Scritture e dei Padri in materia potrebbe essere rivista e accordata a queste, come ad altre teorie sulla natura (preannuncio di posizioni in parte galileiane, che lo stesso Giustiniani smentirà e invertirà di lì ad alcuni anni, firmando la celebre qualificazione di eresia dell’eliocentrismo del febbraio ). Per un altro verso, circa il Patrizi che “teologizza”, Giustiniani smussa gli angoli: l’autore è un filosofo, non un teologo; il suo linguaggio è spesso oscuro e incauto, certo non scolastico; si avvale della teologia negativa, o della teologia neoplatonica o ermetica, o di fonti sospette o inquietanti, di cui spesso mutua gli ambigui termini, o ripete gli errori, ma la sua intenzione

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è cattolica, il lettore non si scandalizzi. Quanto all’efficacia apologetica e conversionistica di questa intenzione, essa è però virtualmente destituita: Giustiniani conclude di fatto che lo scopo dell’autore è ben lungi dall’essere conseguito, poiché se l’intento era apologetico, l’effetto è così torbido da richiedere appunto Admonitio e castigatio. Ed è il papa, ciò fatto, a chie-dere a Patrizi un ulteriore impegno: compilare declarationes sui luoghi più delicati, dotandone la ristampa dell’opera; ed è ancora un gesuita, Juan Azor, a dare su di esse, infine prodotte, la sua approvazione. Solo la prima sospensione dell’Indice ormai stampato decisa dal papa nel luglio ri-sparmia a Patrizi l’onta di esservi menzionato, seppure donec corrigatur. Ma nel contesto molto complesso delle tensioni fra congregazione e pontefice su più generali problemi, il filosofo resta impigliato e infine modestamente favorito. Invece che dar corso al progetto dell’immediata riedizione della Nova, la congregazione chiede al cardinale Francisco Toledo un parere dirimente. Gesuita, ma avversario tenace di Acquaviva, e portavoce della corona e dell’inquisizione di Spagna nelle loro polemiche contro la sua direzione della Compagnia, Toledo non è incline ad alcun “liberalismo” filosofico-teologico. Nel , nei suoi commenti alla Fisica aristotelica, ha ribadito con dure espressioni la validità del quadro giuridico stabilito in materia filosofica dalla Apostolici regiminis. Sulla base del suo parere, il luglio la congregazione proibisce omnino la Nova, ne congela la expurgatio e al suo cospetto sottopone il filosofo a umiliante sconfessione. Il carattere del divieto appare però di nuovo mitigato nell’Indice infine promulgato nel , laddove è ripetuta la formula già adottata nel : l’opera è vietata fino a quando l’autore non l’avrà espurgata sotto il con-trollo del Maestro del Sacro Palazzo. Ma Patrizi muore nel febbraio del e nessuna expurgatio sarà più realizzata, benché per un certo tempo ancora tenuta in programma. Nel documentato contesto di una rigo-rosa rilettura della tradizione platonica nel suo confronto con la cultura teologico-filosofica vigente, Bellarmino convinceva Clemente VIII che alla fede cristiana nuoceva più Platone, che ad essa qualcuno avvertiva più vicino, di Aristotele, che ne era più distante; così come alla Chiesa recavano maggior danno i libri di altri cristiani, ma eretici, come i luterani, che quelli dei filosofi pagani.

Contemporaneo all’irrigidimento contro le tendenze neoplatoniche fu, durante la riforma clementina dell’Indice, quello contro il naturalismo telesiano e la sua ripresa da parte di Tommaso Campanella. Questi aveva pubblicato a Napoli nel la Philosophia sensibus demonstrata, intensa apologia di Telesio, con imprimatur del vicario Bruto Farneti, su revisione del teologo dell’arcivescovo Annibale Di Capua, frate Pietro Roberto. Tra l’altro, l’autore tentava di volgervi in vantaggio del nuovo na-turalismo diffidenze verso l’aristotelismo maturate nella stessa tradizione

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domenicana e tomistica, ed espresse in tempi recenti da Melchior Cano (De locis theologicis); sosteneva però la piena concordia di Telesio con le Scritture e i Padri e respingeva come empia la filosofia di Aristotele.

Se per un verso la Philosophia contribuì a compromettere la posizione di Campanella nell’ordine domenicano, sì che nella sentenza con cui il Capitolo napoletano concluse, il agosto , il processo disciplinare per evocazione demonica, gli si ingiunse di attenersi alla dottrina tomista e di riprovare Telesio; per un altro verso cooperò forse ad avvalorare nella censura centrale la sensazione di pericolosità della filosofia telesiana. Inserito il nome di Telesio con la nota donec expurgetur nella seconda classe dei libri proibiti già nell’Indice stampato e non promulgato del , nonostante fra gli amici del defunto filosofo corresse voce di un intervento in suo favore del cardinale Gallio, suo protettore in vita, il divieto è ribadito nell’Indice definitivo del , sebbene forse qualcuno abbia cercato in extremis di rimuovere Telesio dagli elenchi finali. La proibizione investe il De rerum natura iuxta propria principia e due opusco-li pubblicati postumi nel da Antonio Persio. L’espurgabilità dei libri telesiani sarebbe tuttavia apparsa molto opinabile fra i consultori. Ma è certo che ancor prima del divieto ufficiale, l’apologia di Telesio costituiva motivo di sospetto verso Campanella nel cardinale Francesco Maria Del Monte e in Baccio Valori. Consapevoli del fatto che l’Indice vagliava Telesio, essi misero sull’avviso il granduca di Toscana Ferdinando I, al quale Campanella si era rivolto, lasciata Napoli, per ottenere sistemazione accademica, predisponendolo a una decisione negativa.

L’atteggiamento repressivo nei confronti del telesianismo, nonostante esitazioni e dissensi interni agli organi censori che i documenti lasciano divinare, risultò infine piuttosto determinato e tale da contribuire ad aggravare anche la posizione di Campanella.

La questione delle opere fin lì pubblicate dal frate non fu sollevata, nella congregazione dell’Indice, che solo dopo che quegli ebbe subìto, tra la fine del e l’ottobre , il suo primo processo inquisitoriale tra Padova e Roma (e nel quale gli fu chiesto conto di dottrine esposte nel manoscritto De sensu rerum sequestratogli a Bologna forse da emissari dell’Inquisizione), giacché è punto registrato, sebbene rinviato, già nei verbali della congregazione del luglio . La decisione di lì a breve assunta dal papa di sospendere la promulgazione dell’Indice contribuì a differire il caso. Il novembre l’Indice vietò almeno la Philosophia sensibus demonstrata, forse in relazione con il processo inquisitoriale appena concluso. E all’esito del secondo processo, per eresia e supersti-zione, aperto nel a seguito delle accuse di Scipione Prestinace, sarà il Santo Uffizio a disporre il divieto per tutte le opere edite e gli scritti di Campanella.

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Non dovrà essere qui rievocata la più generale problematica, ben presente in letteratura, della parziale delega “in periferia”, decisa dalla congregazione dell’Indice verso la fine del , alle autorità episcopali e inquisitoriali, che dovranno avvalersi della consulenza di censori locali e di facoltà universitarie e ordini religiosi, della expurgatio dei libri vietati, entro cui un notevole rilievo (e difficoltà e lentezze) denota la espurgazione dei libri di filosofia, e fra questi dei libri di Telesio. Un meccanismo che non diede grandi risultati, con relativa irritazione della congregazio-ne romana, pressata dalle richieste di permessi di lettura da parte degli studiosi, e che nel caso della filosofia riguardò un po’ meno di sessanta titoli proibiti fino a correzione, di cui si occuparono il vescovo di Padova e gli inquisitori di Padova e di Vicenza (e più tardi anche l’inquisitore di Pisa e la curia di Napoli), con l’ausilio, a Padova, non proprio efficiente e tempestivo, delle facoltà teologica e filosofico-medica dello Studio.

La maggior parte dei libri espurgandi era costituita da titoli vietati da Indici cattolici precedenti, e non solo e tanto dal clementino; spesso si trattava di libri usciti da molto tempo; e la lista spedita a Roma da Padova probabilmente entro il marzo riguardava prevalentemente edizioni aristoteliche o libri filosofici e di argomento naturalistico pubblicati in terra di Riforma o da curatori protestanti. In questo contesto, la censura firmata dal teologo scotista Guglielmo Pallantieri, da Cesare Cremonini e da altri teologi e filosofi patavini e avallata il novembre dal ve-scovo e dall’inquisitore di Padova, condotta sui soli primi dodici capitoli del libro primo del De rerum natura, si presenta più come liquidazione dell’opera, che quale progetto espurgatorio, destinato del resto a fallire del tutto in capo ad alcuni anni.

La censura di Padova, che vede convergere nella demolizione di Te-lesio la teologia scolastica e la filosofia aristotelica “laica” del Cremonini, vale tuttavia a ben documentare le ragioni essenziali della non procedi-bilità di un Telesio “accomodato”. Le fonti teologiche e scritturali del disciplinamento medievale dell’aristotelismo sono addotte dai censori per dimostrare ma anche accentuare oltre il consueto una sorta di “con-sacrazione” cattolica della filosofia di Aristotele criticata da Telesio. La “inescusabilità” (sottolineata da Paolo e da Agostino) dei filosofi pagani che hanno intuito l’unico Dio ma non l’hanno voluto adorare è rovescia-ta nella “inescusabilità” di un filosofo cristiano che voglia allontanarsi da Aristotele nella spiegazione della natura, poiché quella spiegazione viene elevata, sulla base di Clemente Alessandrino, al rango di pur parziale “rivelazione” data da Dio ai greci. Laddove questi producono affermazioni contrarie a punti fondamentali della superiore Rivelazione cristiana, come la mortalità dell’anima, si invocano le decisioni conciliari (Vienne e Apostolici regiminis). Ma i filosofi pagani sono “inescusabili”

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per aver mancato nel culto dell’unico Dio, non per aver questo sia pur imperfettamente configurato nei loro ragionamenti. Pertanto, erra Tele-sio quando attacca Aristotele in quanto filosofo e soprattutto maneggia erroneamente le Scritture quando si permette di adoperarle contro la cosmologia aristotelica e in favore della propria.

Questo documento restituisce il livello di compenetrazione (e di forzatura) fra teologia scolastica e aristotelismo che certi apparati dimo-strano, di là dei differenziati atteggiamenti che sul tema si avvertivano soprattutto in quel contesto gesuitico (ma non solo gesuitico) cui si era per esempio appigliato in vita lo stesso Telesio. Inoltre, la sferzante du-rezza dei censori sull’intangibilità dei sacri testi da parte di un filosofo profano e sui suoi tentativi di “concordismo” sembra preparare la linea su cui moderati e intransigenti si ritroveranno sostanzialmente uniti nel caso Copernico-Galileo del (sebbene divisi sulla operabilità di una definizione magisteriale in tema e sulla conduzione politico-giudiziaria del caso). La linea prevalsa a Padova su Telesio con la firma di Cremonini finirà d’altra parte per ispirare poco più avanti anche la persecuzione di quest’ultimo: la compenetrazione fra scolastica e aristotelismo se non consente a Telesio di attaccare Aristotele, non può permettere neppure a Cremonini di insegnarne la teoria dell’anima secondo lo stile della “doppia verità”; le prime inchieste sul professore di Padova su questo vertono e si collocano tra il e il . Secondo questa stessa logica, negli stessi anni, la censura centrale, superando ambiguità e ritardi della censura locale, riduce a postuma correzione nei termini della Apostolici regiminis, sul punto dell’immortalità dell’anima, i libri di uno dei grandi maestri dell’aristotelismo padovano di indirizzo alessandrista, Jacopo Zabarella, morto nel .

Nel complesso processo a Bruno, l’intreccio di ragioni teologiche e filosofiche (nel cui ambito i temi cosmologici cominciano tuttavia ad apparire con maggior rilievo) è come noto molto profondo, sebbene pro-prio nel caso del Nolano sia l’appello alla “doppia verità”, formalmente vietato dalla Apostolici regiminis, a pregiudicare la strategia difensiva dell’imputato e ad alimentarne, anche proprio sullo scabroso argomento della natura dell’anima, la finale impenitenza. Il ruolo dell’irriducibile Campanella nella congiura calabrese del travolge il “filosofo”, oltre che il “profeta”, e la sentenza di carcere perpetuo per eresia del prelude all’inserimento di tutte le sue opere nel decreto integrativo del-l’Indice del stilato nell’agosto dal Maestro del Sacro Palazzo, in cui sono ricomprese anche tutte le opere di Bruno, per conseguenza della condanna capitale per eresia comminata all’autore nel febbraio .

La soluzione “intra-gesuitica” del caso di Patrizi protetto dal papa (con il superamento della posizione molto dura del primo censore

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domenicano e il confronto fra censori della Compagnia di difforme orientamento), la liquidazione rigidamente scolastica del caso Telesio e il trattamento di Campanella e di Bruno hanno l’effetto di bloccare forme importanti di critica radicale dell’aristotelismo e del suo accordo con la teologia cristiana, che nei primi decenni del secondo Cinquecento erano state tuttavia ammesse in alcune loro formulazioni, e finanche incoraggiate anche nella società ecclesiastica, in corrispondenza di interpretazioni differenziate di quell’accordo, verificate nel seno stesso della cultura teologico-filosofica degli ordini religiosi e delle gerarchie.

Il nuovo secolo si apre con un duplice monito rivolto dal “centro” alla “periferia” della Controriforma: i filosofi “novatori” si astengano dal maneggiare le Scritture e i Padri a sostegno di visioni fortemente deroganti o contrapposte rispetto al tradizionale accordo fra aristotelismo e teologia scolastica, o dal rivendicare l’indipendenza del discorso filosofico, sia pure nel formale ossequio del magistero e della teologia; gli aristotelici si attengano alle consolidate prescrizioni in merito ai luoghi della lettera aristotelica e della sua tradizione interpretativa per solito imbarazzanti la fede del cristiano. Nonostante le lentezze e i limiti del sistema censo-rio ed espurgatorio, Clemente VIII, il papa “protettore dei filosofi”, ha suggellato entro la fine del suo regno () un sostanziale giro di vite, conseguenza tuttavia non di una strategia precisa, ma dell’intreccio fra gli schemi medievali e di primo evo moderno adattati nella Controriforma e congiunture di vasta articolazione. Su questa fase, ma con proiezione nelle vicende del secolo XVII, non sarà inutile richiamare ancora il caso Montaigne: la moderazione dimostrata nel e l’intransigenza adottata nel finale divieto del verificano sì la lunga durata di quegli schemi, ma anche l’importanza dei contesti specifici e delle condizioni particolari in cui vengono fatti valere.

Note

. Cfr. A. Chastel, Il sacco di Roma. , Einaudi, Torino , p. .. Cfr. I. Jostock, La censure négociée. Le contrôle du livre a Genève -, Droz,

Genève , p. s. Fra le altre cause di questo “ritardo” rispetto alle indagini intorno alla censura cattolica, l’autrice annovera la eterogeneità e la elevata distribuzione territo-riale delle fonti documentarie, dovute al carattere “plurale” della Riforma, di contro al tono “unitario” attribuito alla storia della censura cattolica. Si dovrebbe tuttavia osservare che un sia pur minore carattere policentrico è rilevabile anche nella censura cattolica, in ragione dell’attribuzione a diversi centri di potere, ecclesiastico, universitario e secolare, delle prerogative di censura preventiva e repressiva e della emissione di Indici proibitori indipendenti; un sistema variegato sul quale la preminenza della censura romana e dei suoi Indici fu poco effettiva fuori dei territori italiani. Inoltre nello stesso sistema della censura romana, la delega a vescovi e inquisitori locali dei poteri preventivi contribuisce a connotarlo, almeno al livello della prima istanza, come tendenzialmente “pluralistico”. Ma la maggiore differenza fra censura cattolica e censura protestante (che fu preventiva

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e repressiva, e conobbe anche la prassi espurgatoria) va ravvisata nello strumento almeno in aspirazione sistematico degli Indici proibitori, strumento peraltro apprezzato – per quanto nella sola prospettiva della riforma dei costumi e della fede cristiana rispetto alla letteratura profana “disonesta” e “superstiziosa” – , sia da esponenti della eterodossia italiana, sia da rappresentanti dell’indirizzo “spirituale” interno alla Chiesa cattolica; cfr. V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controrifor-ma, Morcelliana, Brescia , p. s. Per la bibliografia relativa alla censura in ambito protestante si rinvia a Jostock, La censure négociée, cit., pp. -.

. Cfr. A. Rotondò, La censura ecclesiastica e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I do-cumenti, t. , Einaudi, Torino , pp. -, p. s., laddove sottolinea il carattere meno organico e meno pervasivo, benché non occasionale, della censura protestante, con la conseguenza che lo «spazio del dissenso», pur fortemente ridotto, non fu mai del tutto eradicato. A differenza della Chiesa cattolica, le confessioni riformate non spensero «tutti i fermenti d’opposizione e di rinnovamento»; e negli Stati aderenti alla Riforma i poteri politici seppero elevare argini sicuri contro «le pretese repressive degli organi ecclesiastici». Molto attenuata la differenza tra area cattolica e area riformata nell’odierna valutazione comparativa, con proiezione cronologica fino al XVIII secolo, e tematica fino alla censura politica, offerta dalla riflessione di S. Seidel Menchi, S. Luzzi, L’Italia della Riforma, l’Italia senza Riforma, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, -, dir. scientifica di A. Melloni, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma , voll., vol. I, parte I, pp. -, p. : «Per l’eterodossia esplicita non c’è spazio, come, del resto, non ce n’è nella gran parte d’Europa. Un approccio comparativo si rende in effetti necessario: la libera manifestazione del proprio pensiero è ovunque soggetta a forti limiti, imposti non solo dalla censura ecclesiastica, ma anche dalla censura di Stato, che nel Settecento, il secolo del libro trionfante, mostra una capacità di controllo superiore […]. A dispetto di miti radicati, anche in Olanda si celebra il triste rito del rogo dei libri […]». Fra gli studi italiani recenti, la censura libraria come soggetto interessante anche i Paesi protestanti è presente in U. Rozzo (a cura di), La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, Forum, Udine . Un panorama problematico e bibliografico aggiornato della giustizia spirituale e della correzione giudiziaria di eterodossia e costumi anche in area protestante offre E. Brambilla, La giustizia intollerante. Inquisizione e tribunali confessionali in Europa (secoli IV-XVIII), Carocci, Roma , ma senza accenni alla censura.

. Cfr. A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino , p. XVI, dove, rilevate la «lunga durata e il fascino di quella linea ideale che la storiografia democratica dell’ ha costruito da Lutero alla Rivoluzione francese», ne ha contestualmente indicato la «eclisse» nella cultura di oggi, nella quale la «triade Riforma (protestante) − Rivoluzione − Mondo moderno» appare compromessa dal fatto che è «come evaporato l’alone positivo che per secoli ha circondato l’idea di Rivoluzione come processo produttivo della modernità […]. Il risultato in termini storiografici è stato di rovesciare il rapporto tra l’Europa figlia della Riforma protestante e l’Europa cattolica: si tratti di stregoneria, di inquisizione, di casuistica, o di altre forme dell’oscurantismo un tempo attaccato dagli illuministi, oggi si tende a rovesciare il giudizio tradizionale e a rivalutare l’Europa cattolica».

. Cfr. la lettera a Elisabetta del Palatinato del maggio (i teologi di Olanda vor-rebbero «sottopormi ad un’inquisizione più severa di quanto non lo sia mai stata quella di Spagna, e fare di me l’avversario della loro Religione») e quella al diplomatico francese Abel Servien del maggio dello stesso anno (dove Descartes auspica che il principe d’Orange e i Curatori della università di Leida «non approveranno che, dopo tanto sangue versato dai Francesi per aiutarli a cacciare da qui l’Inquisizione spagnola, un Francese, che un tempo ha anche imbracciato le armi per la stessa causa, sia oggi sottoposto all’Inquisizione dei Ministri di Olanda»); R. Descartes, Tutte le lettere -, trad. it con testo francese, latino e olandese, a cura di G. Belgioiso, Bompiani, Milano , pp. , . Sul punto cfr. G. Rodis-Lewis, Cartesio. Una biografia, Editori Riuniti, Roma , p. s.

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

. Cfr. A. Prosperi, L’arsenale degli inquisitori, inquisizione e Indice nei secoli XVI-XVII. Testi e immagini nelle raccolte casanantensi, Biblioteca Casanatense, Aistehsis, Roma , pp. -: p. s.; e Id., I caratteri originali di una controversia secolare, in Comitato del Grande Giubileo dell’anno . Commissione teologico-storica, L’Inquisizione, Atti del Simposio internazionale, a cura di A. Borromeo, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano , pp. -: p. . Intorno alle polemiche anti-inquisitoriali cfr. ora M. Valente, Contro l’inquisizione. Il dibattito europeo secc. XVI-XVIII, Claudiana, Torino . Cfr. anche A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in C. Mozzarelli (a cura di), Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica, Carocci, Roma , pp. -: -.

. Sulla proibizione di Descartes da parte della Chiesa cattolica nel cfr. J.-R. Armogathe, V. Carraud, La première condamnation des Oeuvres de Descartes, d’après des documents inédites aux Archives du Saint-Office, in “Nouvelles de la République des Lettres”, II, , pp. -. Su questo divieto e sulle condanne precedentemente ema-nate in Olanda da autorità calviniste cfr. ora anche per ulteriore letteratura M. Priarolo, Descartes, René, in A. Prosperi (sotto la direzione di), V. Lavenia e J. Tedeschi (con la collaborazione di), Dizionario storico dell’Inquisizione, Edizioni della Normale, Pisa , vol. I, pp. -. Sulle inchieste e misure disciplinari intorno alla diffusione del carte-sianesimo in Olanda è sempre fondamentale P. Dibon, Regards sur la Hollande au siècle d’or, Vivarium, Napoli , pp. -.

. Cfr. S. Nadler, L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, Einaudi, Torino .

. Per i divieti di Spinoza in ambito cattolico, ma con riferimenti a quelli pronunciati in ambito protestante, cfr. E. Canone, P. Totaro, Spinoza all’Indice. Nota su un capitolo poco conosciuto della storia dello spinozismo, in “Studi filosofici”, XVI, , pp. -; P. Totaro La Congrégation de l’Index et la censure des oeuvres de Spinoza, in W. van Bunge, W. Klever (eds.), Disguised and Overt Spinozism around , Brill, Leiden-New York-Köln , pp. -; Ead., Documenti su Spinoza nell’Archivio del Sant’Uffizio dell’Inquisizione, in “Nouvelles de la République des Lettres”, , , pp. -; Ead., Spinoza, Baruch, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. s.

. Una sintetica introduzione anche al tema della censura statale, molto vasto e molto studiato, con ampia bibliografia, è data da M. Infelise, I libri proibiti, Laterza, Roma-Bari . Sul contemporaneo allestimento di strutture censorie ecclesiastiche e politiche nel primo Cinquecento cfr. le osservazioni di Frajese, Nascita dell’Indice, cit., pp. -, - e la letteratura ivi ricordata, e H. Wolf, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, Donzelli, Roma , pp. -. Sul tema dei rapporti tra potere secolare e potere ecclesiastico in merito alla censura nei Paesi protestanti, ma anche più ampiamente sulla censura politica, cfr. le indicazioni critiche e bibliografiche date dalla Jostock, La censure négociée, cit., pp. -, -. Per il caso inglese si aggiunga C. S. Clegg, Censorship and the Courts of Star Chamber and High Commission in England to , in “Journal of Modern European History”, , , pp. -; ma va visto tutto il fascicolo, essendo dedicato a Censorship in the Early Modern Europe. Sull’aspetto “dottrinale” cfr. D. Quaglioni, “Conscientiam munire”: Dottrine della censura tra Cinque e Seicento, in Censura ecclesiastica e cultura politica in Italia tra Cinque e Seicento, Sesta Giornata Luigi Firpo, Atti del Convegno, marzo , a cura di C. Stango, Olschki, Firenze , pp. -, volume tutto da tener presente. Fra i contributi più recenti che riguardino anche la censura secolare e sul lungo periodo cfr. La censure en France sous l’ancien régime, Atti della giornata di studio tenuta in Sorbona il gennaio , in “Papers on French Seventeenth Century Literature”, vol. XXXVI, , , pp. -, a cura di M. Bernard e M. Levesque.

. Quaglioni, “Conscientiam munire”, cit. Intorno alla posizione di Bodin sulla libertà religiosa cfr. anche per ulteriore letteratura A. Suggi, Sovranità e armonia. La tolleranza religiosa nel Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma .

I TEMI

. Cfr. P. Sarpi, Sopra l’ufficio dell’inquisizione ( novembre ), in Id., Scritti giu-risdizionalistici, a cura di G. Gambarin, Laterza, Bari , p. s. Ma cfr. ivi anche Del vietare la stampa di libri perniciosi al buon governo ( agosto ), pp. -. Cfr. sul punto A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in Mozzarelli (a cura di), Identità italiana e cattolicesimo, cit., pp. -, e più ampiamente V. Frajese, Sarpi scettico. Stato e Chiesa a Venezia tra Cinque e Seicento, Il Mulino, Bologna .

. Cfr., anche per ulteriore letteratura, S. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, Salerno Editrice, Roma , cap. I; Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. I-V; Id., La censura filosofica dei testi filosofici. Centro e periferia, in S. Ferretto, P. Gori, M. Rinaldi, (a cura di), con la supervisione di A. Olivieri, Libertas philosophandi in naturalibus. Libertà di ricerca e criteri di regola-mentazione istituzionale tra ’ e ’, Clueb, Padova , pp. -. Sulla censura in ambito universitario e filosofico durante il Medioevo, cfr., dedicati all’osservatorio tanto significativo della Parigi del XIII e XIV secolo, i lavori di L. Bianchi, Censure et liberté intellectuelle à l’Université de Paris (XIIIe-XIVe siècles), Les Belles Lettres, Paris , e Id., Pour une histore de la double vérité, Vrin, Paris , e la letteratura ivi citata. Per gli evi-denti nessi fra ambito filosofico e ambito scientifico-naturalistico, e la censura nel primo ambito come “preistoria”, e non solo, della censura nel secondo ambito in età moderna, cfr. ora la trattazione offerta da M. P. Donato, Scienza della natura, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. -.

. Cfr. Descartes, Opere -, a cura di G. Belgioioso, cit., pp. -.. Cfr. Gilles de Rome, Errores philosophorum, testo critico, introduzione e note di

J. A. Koch, trad. inglese e note di J. O. Rield, Marquette University Press, Milwaukee . Cfr. la letteratura cit. in Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. nota e s.

. Cfr. E. Tempier, La condamnation parisienne de , testo latino, introduzione e commento a cura di D. Piché, con la collaboraz. di C. Lafleur, Vrin, Paris , e la bibliografia cit. in Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. .

. Cfr. Directorium inquisitorum F. Nicolai Eymerici ordinis praed. Cum commentariis Francisci Pegñae, In Aedibus populi romani, Apud Georgium Ferrarium, Romae , pp. -.

. Cfr. Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., pp. -, e Fratris Alfonsi A Castro, Zamarensis, […] De iuxta haereticorum punitione libri tres, nunc recens accurate recogniti, ad signum Spei, Venetiis , p. b.

. Oltre che nella Edizione nazionale delle opere di Galileo, nelle diverse edizioni degli atti del processo a Galileo e spesso nella letteratura su Galileo, questa dichiarazione si può utilmente rileggere, con gli altri importanti documenti relativi a quel momento, in appendice a G. Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomen-tazioni scientifiche, a cura di F. Motta, Introduzione di M. Pesce, Marietti, Genova , pp. s.

. Sulla Apostolici regiminis, il testo, il contesto e le ragioni per cui venne formulata e la sua “fortuna” cfr. G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Welter, Paris , vol. XXXII, coll. -; F. Gilbert, Cristianesimo, umanesimo e la bolla «Apostolici regiminis» del , in “Rivista storica italiana”, LXXXIX, , pp. -; J. Monfasani, Ar-istotelians, Platonists and the Missing Ockhamists: Philosophical Liberty in Pre-Reformation Italy, in “Renaissance Quarterly”, , , pp. -; E. A. Constant, A Reinterpretation of the Fifth Lateran Council Decree Apostolici regiminis, in “The Journal of Early Modern Studies”, XXXIII, , pp. -; F. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine aux e-e siècles. Un essai d’interpretation, in “Historia philosophica”, , , pp. -; Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., cap. I; Bianchi, Pour une histoire de la “double vérité”, cit., cap. IV; Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, pp. -.

. Cfr. su questi punti Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., pp. s., s.

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte I, cap. I; parte III, cap. II.. «Praeterea ad coercenda petulantia ingenia decernit, ut nemo, suae prudentiae

innixus, in rebus fidei et morum ad aedificationem doctrinae Christianae pertinentium, sacram scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit et tenet sancta mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturarum sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum Patrum ipsam scripturam sacram intepretari audeat, etiamsi huiusmodi interpretationes nullo unquam tempore in lucem edendae forent»; Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, cit., t. XXXIII, col. .

. Cfr. la lezione epistolare impartita sul punto da Bellarmino al padre Paolo Antonio Foscarini, in termini schiettamente tomistici, nella lettera del aprile , cui rinvio nella forma e nel commento datone in appendice a Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., pp. -.

. Cfr. Ricci, Davanti al Santo Uffizio, Filosofi sotto processo, cit., pp. -. Resta fon-damentale sul tema B. Neveu, L’erreur et son juge, Remarques sur les censures doctrinales à l’époque moderne, Bibliopolis, Napoli ; Id., Y a-t-il une hérésie inquisitoriale?, in Comitato del Grande Giubileo dell’anno . Commissione teologico-storica, L’Inqui-sizione, cit., pp. -, è da vedere non solo per ulteriore letteratura ma per la messa a fuoco del problema di una estensione-articolazione della categoria di eresia nel concreto lavoro inquisitoriale.

. Cfr. il testo in Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index, U. Baldini General Editor, vol. I, Sixteenth-Century Documents, ed. by U. Baldini, L. Spruit, Libreria Editrice Vaticana, Roma , t. I, pp. -, dove si fissa la graduazione di livelli di illiceità delle dottrine aventi l’eresia come massimo livello di una complessa scala: una propositio può essere censurata o vietata se impertinens, blasphema, impia, injuriosa, schismatica, temeraria, scandalosa, piarum aurium offensiva, male sonans, sapiens haeresim, erronea, haeretica. L’autore dello schema scrive di derivarlo dalle condanne di John Wycliff e Jan Hus al Concilio di Costanza e dalle bolle di Pio V e Gregorio XIII contro le posizioni in materia di grazia e giustificazione tenute da Michel De Bay; ma è in gran parte presente con variazioni nella discussione teologica intorno al concetto di eresia e nella manualistica inquisitoriale.

. Cfr. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., p. . . Cfr. su questo le indicazioni fornite supra a nota . . Cfr. sulla bolla Fidei catholicae tenenda di Clemente V il testo in G. D. Mansi,

Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio, t. XXV, apud Antonium Zattam, Venetiis , coll. -, in particolare col. , e le osservazioni date in Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. .

. Cfr. su questa materia la ben chiara e utile introduzione di F. Buzzi, Il Concilio di Trento (-). Breve introduzione ad alcuni temi teologici, Glossa, Milano , in particolare le pp. -, , -, s. Intorno al panorama teologico fra Quattro e Cin-quecento e nell’età tridentina cfr., anche per la nutrita letteratura in merito, ancora una ottima sintesi di F. Buzzi, Teologia e cultura cristiana tra XV e XVI secolo, Marietti, Genova , in partic. il cap. I. Per il quadro conciliare dei dibattiti e delle tendenze teologiche resta fondamentale H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Morcelliana, Brescia -, voll.; cfr. Storia della Chiesa, dir. da H. Jedin, vol. VI, Riforma e Controriforma, Jaca Book, Milano ; ma cfr., anche per un aggiornamento storiografico e bibliografico, A. Prosperi, Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Einaudi, Torino .

. Cfr. Bianchi, Censure et liberté intellectuelle à l’Université de Paris, cit., p. s., e Neveu, L’erreur et son juge, cit., pp. s., . Cfr. Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. s.

. Cfr. Monfasani, Aristotelians, Platonists and the Missing Ockhamists, cit., p. s.; Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., pp. -.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. s.

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. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis (-), cit., pp. s., . La problematica “centralità” teologica di Roma – dovuta pure alla mi-nore fecondità degli studia regolari e delle università italiane in fatto di teologia, e che fa contrasto con la centralità su altri piani del papato romano –, cui il ricorso al sistema dei collegi romani per le nazioni e per gli ordini intendeva porre rimedio, e la pluralità di orientamenti teologici resistente negli stessi ordini, spesso deplorata da personalità richiamantesi a un tomismo rigido, furono tali che finanche gli Stati (fu il caso della corona spagnola, delle sue università e della sua inquisizione, con ruolo protagonistico sia nella disputa sulla grazia, che su quella della Immacolata Concezione), poterono farvi il loro diretto investimento politico, sposando posizioni ed esercitando pressioni. Cfr. P. Broggio, La teologia e la politica. Controversie dottrinali, curia romana e Monarchia spagnola tra Cinque e Seicento, Olschki, Firenze .

. Intorno al tono pragmatico e didattico del persistente richiamo dei gesuiti al tomi-smo, le prudenti aperture a novità e la dialettica fra tomismo e scotismo nella Compagnia cfr. R. Ariew, Descartes and the Jesuits: Doubt, Novelty, and the Eucharist, in M. Feingold (ed.), Jesuit Science and the Republic of Letters, The MIT Press, Cambridge (Mass.)-London , pp. -. Per il dibattito intorno alla uniformitas et soliditas dottrinali e alla Ratio studiorum cfr. le osservazioni e la bibliografia cit. in S. Pavone, I gesuiti dalle origini alla soppressione, Laterza, Roma-Bari , pp. -, ; e in Broggio, La teologia e la politica, cit., pp. -, -.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -.

. Cfr. R. Nanni, Per lo studio dei teologi di Galilei: le “regulae” del commentario “in Genesim” di Benito Pereira, in I primi Lincei e il Sant’Uffizio: questioni di scienza e di fede, Atti del convegno di Roma, - giugno , Bardi editore, Roma , pp. -.

. Tema che ha generato vasti studi. Per la scolastica dei gesuiti cfr. almeno P. Di Vona, Studi sulla scolastica della Controriforma. L’esistenza e la sua distinzione metafisica dall’es-senza, La Nuova Italia, Firenze ; nella recente edizione italiana con testo latino a fronte delle Disputazioni metafisiche di Suárez, a cura di C. Esposito, Bompiani, Milano , si danno ricca bibliografia (pp. -) e una densa storia della critica (pp. -).

. Cfr. M. J. Gorman, Molinist Theology and Natural Knowledge in the Society of Jesus -, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (-), Atti del convegno di Roma, - dicembre , École française de Rome, Roma , pp. -.

. Sulla cultura scientifica dei gesuiti e la sua fortuna storiografica cfr. le osservazioni e indicazioni bibliografiche di Romano, La science moderne, ses enjeux, ses pratiques, cit., p. e n., e almeno i seguenti lavori: U. Baldini, Legem impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia. -, Bulzoni, Roma ; R. Gatto, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (- ca.), Ol-schki, Firenze ; Christoph Clavius e l’attività scientifica dei gesuiti nell’età di Galileo, Atti del convegno di Chieti, - aprile , a cura di U. Baldini, Bulzoni, Roma ; A. Romano, La Contre-Réforme mathématique: constitution et diffusion d’une culture mathématique jésuite à la Renaissance (-), École française de Rome, Roma ; R. Gatto, Matematica e ortodossia nel tardo ’. L’esempio dei gesuiti napoletani, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (-), cit., pp. -; U. Baldini, Saggi sulla cultura della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Cluep, Padova , capp. I e II; Feingold (ed.), Jesuit Science and the Republic of Letters, cit.

. Cfr., anche per ulteriore bibliografia, M. Lerner, Tycho Brahe Censured, in J. Robert et alii (eds.), Tycho Brahe and Prague. Crossroads of European Science, Harri Deu-tsch, Frankfurt a. M. , pp. -, e A. Damanti, Brahe, Tycho, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. s., dove si ricorda come l’opposizione a Brahe, anche a motivo del suo calvinismo, tra gli scienziati gesuiti e nella Chiesa, cominciò a dissolversi dopo il , poiché il suo sistema consentiva l’inclusione delle scoperte galileiane in un sistema comunque geocentrico. Adottato da alcuni gesuiti, ferma restando la espurgazione

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

dei Progymnasmata da riferimenti a protestanti decisa nel da Bellarmino, il sistema ticonico si affermò più ampiamente all’interno della Compagnia nella seconda metà del Seicento.

. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis, cit., pp. -, s. Del pari nello studio della stessa politica romana dei collegi e degli studia per la formazione del clero regolare, le oscillazioni organizzative e culturali tra la centra-lità domenicana e tomista di Pio V, il filo-gesuitismo di Gregorio XIII e l’interesse per la tradizione bonaventuriana del francescano Sisto V, pongono il problema dei riflessi che esse produssero sulla composizione interna e sugli atteggiamenti culturali del personale di consulenza dell’Indice e del Santo Uffizio; cfr. Broggio, La teologia e la politica, cit., pp. -.

. Cfr. l’analisi che ho condotto in Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -.

. Un’analisi più dettagliata delle posizioni di Possevino ivi, pp. -, -. . Un’impresa – la definizione solenne di un complesso di errori della filosofia – che,

secoli più tardi, e in altre condizioni, caratterizzate da un potente intervento magisteriale in favore della uniformitas tomistica e dalla fioritura della neoscolastica, sarebbe apparsa tuttavia impraticabile ad Agostino Gemelli, al tempo in cui il divieto delle opere di Gentile da lui sostenuto sembrava doversi accompagnare con una pronuncia contro la filosofia idealistica in quanto tale. Inusitato il genere (con eccezione della enciclica Pascendi di Pio X contro il modernismo, che era stata in certa misura un “sillabo” di posizioni filosofiche “moderne”); sfuggente l’oggetto (l’idealismo) nelle sue tante filiazioni; inevitabilmente traboccante, la pronuncia, in una condanna complessiva della filosofia moderna, diffi-cilmente configurabile. Cfr. Verucci, Idealisti all’Indice, cit., pp. , -. Sul carattere filosofico e “sintetico” dell’eresia modernista nel punto di vista magisteriale cfr. Id.,.L’eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino , pp. -, anche per ulteriore bibliografia.

. Cfr. sul tema le indicazioni ora date da L. Biasiori, Censura librorum, Compagnia di Gesù, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. s.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. s. Cfr. ora il testo in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -: p. .

. Cfr. G. Fragnito, Aspetti e problemi della censura espurgatoria, in L’Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto, Atti della tavola rotonda nell’ambito della conferenza annuale della ricerca, Roma, - giugno , Accademia Nazionale dei Lincei, Roma , pp. -: p. .

. Storia, struttura e composizione di questi Indici e di quelli romani, e relativa letteratura, sono restituiti nella grande impresa Index des livres interdits, dir. J. M. de Bu-janda, Centre d’Études de la Renaissance, Éditions de l’Université de Sherbrooke, Droz, Genève -, voll. Per una sintesi essenziale relativa agli Indici non romani cfr. Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, pp. -, -, ad voces: Indice dei libri proibiti, Cinquecento; Indice dei libri proibiti, Portogallo; Indice dei libri proibiti, Spagna, a cura di J. M. de Bujanda. Cfr. sul tema Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. , par. .

. Cfr. la Regula IX dell’Indice del Index des livres interdits, cit., vol. VIII, Index de Rome , , , p. : sono proibiti i libri «qui de futuris contingentibus successibus, fortuitisve casibus, aut iis actionibus, quae ab humana voluntate pendent, certo aliquid affirmare audent». Questo permette di vietare, o di considerare almeno con sospetto, un testo filosofico che orienti verso un deciso determinismo astrale o naturale, tema che aveva offerto materia per secoli alla riflessione filosofica e teologica ed era stato largamente dibattuto nella cultura anche ecclesiastica, ma che susciterà assidue discussioni interpretative nella censura romana. Sul trattamento cattolico dell’astrologia e sull’atteggiamento verso di essa di Indice e Inquisizione sono molto importanti i lavori

I TEMI

recenti di U. Baldini, The Roman Inquisition’s Condemnation of Astrology: Antecedents, Reasons and Consequences, in G. Fragnito (ed.), Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, Cambridge University Press, Cambridge , pp. -; ma, nel quadro generale dello studio delle scienze naturali nella censura romana, cfr. l’introduzione al capitolo Astrology, in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -, e i documenti inquisitoriali e censori ad esso relativi (pp. -), come pure il dibattito sulla interpretazione della Regula IX (pp. -), e gli studi anteriori di Baldini elencati nella bibliografia che chiude, nell’opera, il t. , pp. -. La letteratura sull’astrologia fra Medioevo ed età moderna nei suoi diversi aspetti è immensa; ma per l’atteggiamento teologico cristiano qui implicato è molto importante il saggio di T. Gregory, Astrologia e teologia nella cultura medievale, in Id., Mundana sapientia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , pp. -.

. Cfr. la Regula II dell’Indice del Index des livres interdits, cit., vol. VIII, Index de Rome , , , p. : «Qui [haereticorum libri]vero de religione non tractant, a Theologis Catholicis iussu Episcoporum, et Inquisitorum examinati, et approbati permittuntur».

. Cfr. Anonymus, Instructiones nonnulle circa libros nominatim prohibitos in S.to Indice, BAV, Vat. Lat. , cc. r-v, pubblicato parzialmente in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. I, pp. -.

. Cfr. sul punto Ricci, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. s.. Tolosani stese nel la prima confutazione teologica cattolica, rimasta inedita

al tempo suo, del De revolutionibus; Spina, in carica dal e al , pare intendesse far vietare l’opera come eretica. Cfr. ora sul tema, anche per letteratura precedente, L. Guerrini, Cosmologie in lotta. Le origini del processo di Galileo, Edizioni Polistampa, Firenze , cap. I e Appendice.

. Cfr. le osservazioni e le indicazioni bibliografiche di Baldini, Spruit in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -.

. Analogamente, benché l’eliocentrismo susciti tempestive reazioni negative in Lutero, Calvino e Melantone (cfr. Th. Kuhn, La rivoluzione copernicana. L’astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale, Einaudi, Torino , pp. -), anche in campo riformato il sospetto non sembra registrarsi prima della fine del XVI secolo, con documento, per esempio, nella reazione provocata dall’interpretazione realistica della teoria copernicana presentata da Bruno Inghilterra, e con la dissuasione operata da un teologo riformato su Keplero, affinché non affrontasse il tema della componibilità dell’elio-centrismo con le Scritture; cfr. M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della Controriforma, Einaudi, Torino , p. n.; sull’ambiente luterano di Tubinga in cui si formò Keplero e gli stimoli allo studio dei coelestia che ne poterono provenire cfr. tuttavia Ch. Methuen, The Teachers of Johannes Kepler. Theological Impulses to the Study of the Heavens, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (-), cit., pp. -. In ambito riformato, il favore verso una trattazione solo “tecnica” e “ipote-tica” dell’astronomia copernicana, certificata dalla prefazione di Andreas Osiander al De revolutionibus a espressione di timori dello stesso ambiente di Copernico, sembrava garantire dai pericoli ereticali comportati da una sua lettura filosofica, in un contesto comunque segnato dall’adattamento melantoniano dell’aristotelismo entro una nuova cornice pur sempre religiosa e confessionale; cfr. S. Kusukawa, The natural philosophy of Melanchton and his followers, ivi, pp. -, dalla quale tuttavia non sarebbero emersi divieti formali di autorità spirituali; cfr. M.-P. Lerner, L’«héresie» heliocentrique: du soupçon à la condamnation, ivi, pp. -: -.

. Sull’affare del e le sue radici cfr. M. Bucciantini, Contro Galileo. Alle origini dell’affaire, Olschki, Firenze , e le tre recenti monografie di L. Guerrini, Galileo e la polemica anticopernicana a Firenze, Edizioni Polistampa, Firenze ; Galileo e gli aristotelici. Storia di una disputa, Carocci, Roma ; Cosmologie in lotta. Le origini del processo di Galileo, cit. Ora mi pare fondamentale il lavoro di V. Frajese, Il processo a

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

Galilei. Il falso e la sua prova, Morcelliana, Brescia . La letteratura sulla questione copernicana e il processo a Galileo è così vasta che non se ne può qui dare una sintesi. Larghi rinvii a ulteriore bibliografia sono ovviamente nei sopra menzionati contributi; ma un’agile ricognizione del caso fino al XIX secolo è data da F. Motta, Copernicanesimo, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -; da vedersi anche i relativi rimandi e le indicazioni bibliografiche fornite. Fra i contributi maggiori recenti cfr.: S. M. Pagano (a cura di), I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (-), Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano ; F. Beretta, Il processo di Galileo. Due nuove edizioni di documenti, in “Rivista storica italiana”, CXXII, , pp. -; G. M. Bravo, V. Ferrone (a cura di), Il processo a Galileo Galilei e la questione galileiana, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma .

. A mio avviso l’insistenza sulla differenza tra affermazione eretica e affermazione contraria alle Scritture è tuttavia opinabile, poiché nella dottrina in merito, configurata nella trattazione tomistica, il primo tipo di affermazione eretica è appunto quella che contraddi-ca, directe o indirecte, le dichiarazioni scritturali su qualunque argomento. D’altro canto, è del pari di qualche valore che la congregazione dell’Indice abbia derivato dall’ordine del pontefice – che si fondava evidentemente sulla qualificazione del Santo Uffizio – una definizione di contrarietà alla Scrittura, piuttosto che di eresia conclamata; definizione che peraltro poteva del resto competere solo al pontefice in forma solenne e non alla congre-gazione in quanto tale, che aveva potere di vietare libri, non di definire eresie. Benché non faccia esplicito riferimento alla qualificazione dottrinale dei consultori del Santo Uffizio del febbraio , né a specifici ordini del papa, da ordine deciso da questi il marzo dipende il decreto emanato dall’Indice il marzo, nel quale genericamente si dice della pericolosa diffusione della «falsa dottrina pitagorica» sul moto della Terra e sulla centralità del Sole, «del tutto contraria alla Sacra Scrittura». Cfr. in appendice a Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., p. s. e n. Cfr. Frajese, Il processo a Galilei. Il falso e la sua prova, cit., pp. s., s.

. Su questo intrico e sull’assenza nel di una formale condanna come eretica della teoria di Copernico da parte di Paolo V, irrogabile ma non effettivamente irrogata sulla base della qualificazione dei consultori, e intorno alle conseguenze di questa circo-stanza sul prosieguo della vicenda galileiana, cfr. ora Frajese, Il processo a Galilei. Il falso e la sua prova, cit.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. , , , , . Nel è già vietato vendere tutte le opere del cardinale nello Stato della Chiesa e nel l’autore è fra i “sospetti” (cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., t. , pp. , , ). Resta memoria al tempo di Gregorio XIII del fatto che sotto Paolo IV si sarebbe voluto vietare tutto Cusano, del quale viene proscritto nel solo il De concordantia catholica, con ricezione nell’Indice di Parma del . Nel viene affidata al cardinale Costanzo Sarnano una non meglio specificata expurgatio delle opere di Cusano assieme a quelle del de Vio e di Gasparo Contarini. La questione della expurgatio delle sue opere sarà ripresa al tempo di Clemente VIII, ma il De concordantia, inserito donec corrigatur nell’Indice sistino, non compare nell’Indice del ; cfr. Index des livres interdits, cit., vol. IX, Index de Rome , , , pp. , .

. Sul caso del De immortalitate animae nel contesto dei primi anni di vigore della Apostolici regiminis cfr., anche per ulteriore letteratura, Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -. Cfr. ora V. Perrone Compagni, Pompo-nazzi, Pietro, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. -.

. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -.. Cfr. il lavoro condotto da Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und

Contarinis, cit., soprattutto le pp. -, -, -, -. Se ne veda la estrema sintesi in Id., De Vio, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -.

. Peraltro del Gaetano, che in vita era stato fra i pochissimi teologi a sollevare dubbi sul dispositivo della Apostolici regiminis, la visione sull’anima e la non dimostrabilità

I TEMI

filosofica della sua immortalità − duramente attaccata nele dal domenicano Bartolo-meo Spina, e nella quale un altro domenicano eccellente, Melchior Cano, aveva ravvisato i termini di una posizione «erronea» e «temeraria», «se non eretica», pur notata nelle ponderose operazioni espurgatorie − finirà per esser lasciata intatta e potrà per esempio essere adoperata da Tommaso Campanella per invocare la maggior congruità con la dot-trina cristiana della sua teoria dell’anima, piuttosto che quella a base aristotelica seguita dai tomisti ma non dal de Vio. Cfr. su questi punti Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -, -, -.

. Sul caso Telesio cfr. ora, anche per ulteriore bibliografia, Ricci, Inquisitori, cen-sori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. IV e passim; e Catholic Church and Modern Science, cit., t. , pp. -. Cfr. anche Telesio, Bernardino, a cura di D. Pirillo, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. -.

. Cfr. sul tema Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -.

. Cfr. ivi, pp. -. In quello stesso il concordismo tra telesianismo e dottrina cattolica fu recato alla massima espressione dal filosofo napoletano Giulio Cortese, con i suoi Concetti cattolici ridotti in forma d’orationi, sebbene si trattasse di una posizione piut-tosto precaria, revocata dal suo stesso autore nel nel De Deo et mundo sive de catholica philosophia. Cfr. L. Bolzoni, Per uno studio delle accademie napoletane di fine ’, in “La rassegna della letteratura italiana”, , , pp. -, e P. Redondi, Fede lincea e teologia tridentina, in “Galilaeana. Journal of Galilean Studies”, I, , pp. -: p. s.

. Sul caso Cardano, anche per bibliografia precedente, cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -; Catholic Church and Mo-dern History, cit., t. , pp. - e L. Spruit, Cardano, Girolamo, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. .

. Sul caso Giorgio cfr., anche per ulteriore letteratura, Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -; Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -, e G. Bartolucci, Giorgio, Francesco, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, p. .

. Cfr. ora Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -, per documentazione e letteratura precedente, e la sintesi in M. Valente, Della Porta, G. B., in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -.

. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , rispettivamente le pp. -, -.

. Ivi, pp. -. . Cfr. su questa fase, anche per ulteriore letteratura, Ricci, Inquisitori, censori, filosofi

sullo scenario della Controriforma, cit., -. Ma ora è preziosa l’edizione di materiali d’ufficio di quegli anni data in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , pp. -, -. Intorno ai casi di Villanova e Lullo cfr. op. cit., rispettivamente vol. I, t. , pp. -, e t. , pp. -.

. Sul caso Montaigne nei diversi momenti della censura romana cfr., anche per la letteratura precedente, che tuttavia (con l’eccezione di J.-R. Armogathe, V. Carraud, Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in J.-L. Quantin, J.-C. Waquet (eds.), Papes, princes et savants dans l’Europe moderne. Mélanges à la memoire de Bruno Neveu, Droz, Genève , pp. -) non conosceva i documenti più diretti e importanti del caso: Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., capp. II-III; Id., La censura romana e Montaigne. Con un documento relativo alla condanna del edito a cura di C. Fastella, in “Bruniana & Campanelliana”, XV, , pp. -; Id., Montaigne, Michel de, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, -. Le cen-sure romane del sono state pubblicate per la prima volta da P. Godman, The Saint as a Censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Brill, Leiden-Boston-Köln , pp. -. Vi ritorna A. Legros, Montaigne face à la censure romaine de , in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, LXXXV, , , pp. -, che nel suo impor-

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

tante lavoro Montaigne. Essais I, . Des prières, Édition annotée des sept premiers états du texte avec étude de genèse et commentaire, Droz, Genève , intestato allo studio della evoluzione della scrittura dell’autore su obbedienza alla Chiesa e rapporti tra filosofia e teologia all’esito dell’incidente del , ignorava i documenti censori editi da Godman. Cfr. la dettagliata analisi che ora ne conduce, correggendo in alcuni punti Godman, e inquadrandole in un’interpretazione generale di Montaigne, N. Panichi, Montaigne, Carocci, Roma , capp. e . Per il trattamento di Montaigne nella censura calvinista cfr., anche per bibliografia ulteriore, Jostock, La censure négociée, cit., pp. -, s., . Su Montaigne nella censura ispanica cfr. O. Lopez Fanego, Quelques précisions sur Montaigne et l’Inquisition espagnole, in P. Michel (éd.), Montaigne et les Essais. -, Champion-Slatkine, Paris-Genève , pp. -.

. Cfr. Panichi, Montaigne, cit., p. .. Ivi, p. s. . Cfr. F. Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul pro-

cesso, in “Bruniana & Campanelliana”, VII, , , pp. -: p. .. Esame dettagliato dei diversi “stati” testuali del Delle preghiere è condotta in

Legros, Montaigne. Essais I, . Des prières, cit., laddove si dimostra che l’incidente roma-no del non fu interpretato dall’interessato come occasione di autocorrezione, ma di precisazione di una duplice strategia: irrigidire finanche terminologicamente la formale sottomissione alla Chiesa e alla sua censura; rivendicare però all’“umanista” una libertas opinandi o philosophandi che per un lato si sottrae al disciplinamento teologico e per un altro affronta qualunque tema non definito dal magistero con disinvoltura linguistica, e con forti accenti di rigorismo etico, e di diffidenza verso i connubi tra filosofia e teologia (non distante peraltro, di là di altri cospicui motivi di deplorazione, invece, della Riforma, e di distanza da Calvino, da certi punti del riformismo calvinista, come sottolinea Panichi, Montaigne, cit., cap. ).

. Sul divieto omnino degli Essais nel , cfr. anche per ulteriore bibliografia Armogathe-Carraud, Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in Papes, princes et savants, cit.; Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. III; Id., La censura romana e Montaigne, cit., pp. -; Id., Montaigne, Michel de, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, -.

. Sulla fortuna di Montaigne fino ai primi decenni del Seicento cfr. O. Millet, La première réception des Essais de Montaigne (-), Honoré Champion, Paris . Ma cfr. per un orientamento generale sulla ricezione dell’autore R. Ragghianti, Introduzione a Montaigne, Laterza, Roma-Bari , pp. -. Per un orientamento tematico (e biblio-grafico) sul rapporto tra Montaigne, religione e teologia, anche riformata, cfr. ora Panichi, Montaigne, cit., cap. , e la letteratura data ivi, alle pp. -. In Italia, la traduzione di Girolamo Naselli () presentò al pubblico più che una ripulitura, una vera e propria mutilazione manipolante del testo, di cui finora non si è documentata la dipendenza da una expurgatio ecclesiastica, e che né però precludeva il ricorso alle non vietate edizioni francesi o in altre lingue, né avrebbe oscurato il campo editoriale, nel quale sarebbe intervenuta la nuova importante edizione italiana integrale procurata da Marco Ginammi a Venezia nel ; ma anche la manipolazione del Naselli sarebbe stata interessata dal divieto omnino di qualunque edizione e traduzione di Montaigne del . Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. e n., -, e M. de Montaigne, Discorsi morali politici e militari, ristampa della prima traduzione italiana degli Essais, nota introduttiva di E. Canone e M. Palumbo, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli .

. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte II, capp. II e III, e parte III. Ulteriore bibliografia e la collocazione della censura ed expurgatio di opere filosofiche nel contesto della riforma sistina dell’Indice in Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. V, parr. e . Importante documentazione e valutazioni di carattere generale e relative a scienze e filosofia naturale e astrologia ora in Catholich Church and Modern History, cit., vol. I, t. .

I TEMI

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. - e n., ; e Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. , p. s.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. , e Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , p. .

. Per la vicenda finale dell’Indice sistino e la questione del Talmud e dell’intervento del Santo Uffizio, e i relativi precedenti e retroscena, cfr. la letteratura indicata in Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. s. n. Per il Talmud e la letteratura ebraica nella visuale della censura romana e dell’Inquisizione cfr. ora in sintesi e per bibliografia M. Perani, Censura, sequestri e roghi di libri ebraici, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -, e F. Parente, Talmud, ivi, vol. III, pp. -.

. Si rimanda del pari per questa fase istituzionale e politica molto complessa al fondamentale Frajese, Nascita dell’Indice, cit., anche per ulteriore letteratura. Per il trat-tamento della filosofia in questo contesto, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi, cfr., anche per letteratura precedente, Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. V, e Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI-XIII. Per i documenti dei due summenzionati casi cfr. ora Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. , pp. -, -.

. Sul caso Stigliola cfr. anche per letteratura precedente Ricci, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI e VII, e Id., Stigliola, Nicolantonio, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. -.

. Cfr. l’eco di questa fama di papa Aldobrandini nelle carte processuali relative a Bruno, in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Salerno Editrice, Roma , p. .

. Cfr. Godman, The Saint as Censor, cit., p. ; M.-P. Lerner, Vérité des philosophes et vérité des théologiens selon Tommaso Campanella o. p., in “Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie”, XLVIII, , pp. -: p. ; Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. I, p. ; ivi, vol. I, t. , p. .

. La congregazione indicò una formula più mite rispetto alle opzioni (divieto totale, o divieto subordinato a correzione da parte di teologi autorevoli) presentate da Saragoza, offrendo all’autore la possibilità dell’autocorrezione, ovviamente soggetta a verifica.

. Cfr. Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. , p. : la espurgazione di Patrizi compare in una lista di libri da espurgare anteriore al febbraio .

. Cfr. anche per ulteriori rinvii Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. s., .

. Sulla “spiegazione” di Bellarmino al papa cfr. L. Firpo, Filosofia italiana e Contro-riforma, in “Rivista di filosofia”, XLI, , pp. -, -; XLII, , pp. -: p. ; A. Rotondò, Cultura umanistica e difficoltà di censori. Censura ecclesiastica e discussioni cinquecentesche sul platonismo, in Le pouvoir et la plume. Incitation, contrôle et répression dans l’Italie du XVIe siècle, Atti del convegno di Aix-en-Provence e Marsiglia, - maggio , Université de la Sorbonne nouvelle, Paris , pp. -: p. n.; Id., La censura ecclesiastica e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, cit., p. .

. Per i complessi, assidui problemi di Campanella prima nell’ordine domenicano, e poi per tutta la vita con censura e Inquisizione (e per la bibliografia relativa), cfr. S. Ricci, Censura, in Enciclopedia Bruniana e Campanelliana, a cura di E. Canone e G. Ernst, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma , pp. -; nonché Id., Inquisizione, censura e filosofia nella Controriforma. Il caso Campanella e alcune recenti edizioni, in “Rinascimento”, XLVII, , pp. -; Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI, VIII, X, XII-XIII; V. Frajese, Campanella, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -. I documenti inquisitoriali e censori relativi a Campanella nel periodo - conservati in ACDF sono ora riuniti in Catholic Church and Moderne Science, cit., vol. I, t. , pp. -. Resta imprescindibile L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura di E. Canone, Salerno Editrice, Roma .

. Qualche anno dopo, fra il e il , nella prima stesura della Monarchia di

S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA

Spagna, la sostituzione dell’aristotelismo, che nega punti fondamentali della Rivelazione, con la filosofia platonica, stoica e soprattutto telesiana, in quanto conforme ai Padri della Chiesa, diventa per Campanella finanche un “consiglio” per il re di Spagna, reiterato nella più tarda versione della stessa opera. Cfr. T. Campanella, La monarchia di Spagna, prima stesura giovanile, a cura di G. Ernst, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli , p. , e Id., Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, textes originaux introduits, édités et annotés par G. Ernst, Presses Universitaires de France, Paris , p. .

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. s.

. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , p. ; ivi, vol. I t. , p. .

. Cfr. i documenti ivi, vol. I, t. , pp. , , , , e t. , p. .. G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari , pp. , , .. Cfr. ora il decreto in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , p.

.. Cfr. anche per ulteriore bibliografia Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario

della Controriforma, cit., cap. V, par. . Per il funzionamento della censura espurgatoria, anche in relazione a quella di testi filosofici, cfr. ora i documenti dell’ACDF pubblicati in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. , parte I, capp. VII e VIII; parte II, cap. IV (Medicina e filosofia naturale).

. Cfr. anche per letteratura precedente Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo sce-nario della Controriforma, cit., cap. V, par. . Cfr. ora l’edizione del documento in Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. , pp. -.

. Cfr. Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. -, s.

. Sul caso Bruno cfr. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, cit.; L. Spruit, Due documenti noti e due documenti sconosciuti sul processo di Bruno nell’Archivio del Santo Uffizio, in “Bruniana & Campanelliana”, IV, , pp. -; S. Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Salerno, Roma , capp. VII-VIII; D. Quaglioni, “Ex his quae deponet iudicetur”. L’autodifesa di Bruno, in “Bruniana & Campanelliana”, VI, , pp. -; Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul processo, cit.; Spruit, Giordano Bruno eretico: le imputazioni del processo nel contesto storico-dottrinale, in Cosmología, teología y religíon en la obra y en nel proceso de Giordano Bruno, Atti del convegno di Barcellona, - dicembre , a cura di M. A. Granada, Barcelona , pp. -: pp. -, e Id., Una rilettura del processo di Giordano Bruno: procedure e aspetti giuridico-formali, in P. Giustiniani et alii (a cura di), Giordano Bruno. Oltre il mito e le opposte passioni, Biblioteca Teologica Napolitana, Napoli , pp. -; cfr. anche S. Ricci, Da Santori a Bellarmino. La politica romana e il processo a Giordano Bruno, ivi, pp. -, e P. Giustiniani, Bellarmino e Bruno. L’immaginario religioso di un inquisitore, ivi, pp. -; M. Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Mondadori, Milano , cap. X, e S. Ricci, Bruno, Giordano, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. -.

. Su questo decreto cfr. E. Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella, in “Bruniana & Campanelliana”, I, , pp. -, e J. M. de Bujanda, E. Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella. Un’analisi bibliografica, ivi, VII, , pp. -.

. Linee di sviluppo del problema della censura ecclesiastica verso la filosofia nel XVII e XVIII secolo affronto in La censura dei filosofi “moderni”: vecchie regole, incostanti applicazioni, variegati effetti, Atti del convegno “L’uomo moderno e la Chiesa” tenutosi a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana, - novembre , a cura di P. Gilbert s. j., G & BP, Roma , pp. -.