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«Per un coinvolgimento totale e assoluto dei lavoratori nella Società cooperativa europea» Sintesi preparatoria alla Conferenza di Bruxelles 1 15 e 16 giugno 2006 1 Documento realizzato dalla rete «Projectives», in collaborazione con la CES e la CECOP Réseau «Projectives» www.reseau-projectives.org Con il sostegno della Commissione europea CES – ETUC Confederazione europea dei sindacati CECOP Confederazione europea delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative sociali e delle imprese partecipative

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«Per un coinvolgimento totale e assoluto dei lavoratori nella Società cooperativa europea»

Sintesi preparatoria alla Conferenza di Bruxelles1

15 e 16 giugno 2006

1 Documento realizzato dalla rete «Projectives», in collaborazione con la CES e la CECOP

Réseau «Projectives»

www.reseau-projectives.org

Con il sostegno della Commissione europea

CES – ETUC Confederazione europea dei sindacati

CECOP

Confederazione europea delle cooperative di produzione e

lavoro, delle cooperative sociali e delle imprese partecipative

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INDICE

Argomento Pagina

Introduzione 3

1. Il dialogo sociale nelle cooperative 7

1.1. La cooperazione in Europa 7

1.2. La partecipazione nelle cooperative 8

2. Situazione nei sette paesi presi in esame 11

2.1. Germania 11

2.2. Spagna 12

2.3. Francia 14

2.4. Italia 15

2.5. Polonia 17

2.6. Repubblica Ceca 20

2.7. Svezia 21

3. Raccomandazioni e indicazioni per la riflessione 24

3.1. Le problematiche sollevate dallo studio 24

3.2. Indicazioni per la creazione della SCE 26

Conclusioni 27

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Introduzione «La Commissione è del parere che le potenzialità delle cooperative non siano state

interamente sfruttate e che la loro immagine debba essere migliorata ai livelli

nazionale ed europeo. In questo contesto, delinea azioni per incentivare lo sviluppo

delle cooperative in Europa, migliorandone la visibilità e perfezionando le legislazioni

nazionali sulle cooperative nonché accrescendo il ruolo e il contributo delle

cooperative alla realizzazione delle politiche comunitarie. I temi principali della

comunicazione sono i seguenti:

- come promuovere lo sviluppo del settore delle cooperative in Europa migliorandone

la visibilità, le caratteristiche e la comprensione;

- come migliorare la legislazione sulle cooperative in Europa;

- come mantenere e accrescere il ruolo delle cooperative e il loro contributo alla

realizzazione degli obiettivi comunitari».

Estratto dalla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento

europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 23

febbraio 2004, sulla promozione delle società cooperative in Europa.

Sin dalla loro creazione, le cooperative sono portatrici di valori riconosciuti

universalmente: «l’equità, la giustizia sociale, la solidarietà, l’assenza di

discriminazione, la mancanza di intenti lucrativi, la partecipazione effettiva e

l’emancipazione delle popolazioni considerate, la responsabilità e la gestione

trasparente e democratica.» (Estratto dell’Accordo di Ginevra firmato dall’Alleanza

Cooperativa Internazionale il 7 settembre 2005 nel quadro dell’Alliance Internationale

pour l’Extension de la Protection Sociale).

La cooperativa, in quanto peculiare organizzazione dell’economia sociale, incarna

questo ideale democratico. D’altro canto, è quanto viene riconosciuto nel diritto di

numerosi paesi per mezzo di alcune agevolazioni fiscali. Queste imprese esistono in

Europa dal XIX secolo, e da tempo costituiscono ormai una parte importante

dell’attività economica di tutti i paesi dell’Unione europea; tuttavia, sul piano

comunitario, il loro riconoscimento ha tardato ad arrivare.

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Dopo 10 anni di trattative (e 30 anni di azioni di lobbying delle organizzazioni

cooperative), il 23 luglio 2003 il Consiglio europeo dei Ministri adotta la direttiva

2003/72/CE, concernente il coinvolgimento dei lavoratori nella Società cooperativa

europea (SCE). La direttiva completa il regolamento n°1435/2003 relativo allo statuto

della società cooperativa europea poiché «disciplina il coinvolgimento dei lavoratori

nelle attività delle società cooperative europee». La direttiva trova applicazione

solamente nel quadro del regolamento, al quale è indissolubilmente associata. Di

conseguenza, una SCE è validamente costituita solamente se sono applicate le

disposizioni della direttiva (Art. 1 e Articolo 11§2 del regolamento, secondo il quale

una SCE può essere iscritta solamente dimostrando di aver adottato le misure

prescritte nella direttiva: ed è mediante questa iscrizione obbligatoria che la SCE

acquisisce la personalità giuridica). Questa condizione, imposta per la prima volta dal

Regolamento sulla Società europea (SE) e qui ripresa, rappresenta una novità nel

dirotto societario.

A questo proposito, osserviamo che i testi della direttiva che completa il regolamento

della SE e della direttiva che completa il regolamento della SCE sono

sostanzialmente identici. Con un’interessante aggiunta nel testo riguardante la SCE:

Articolo 3. 2. b), fine del comma 1 – “Le modalità di nomina, designazione o elezione

dei rappresentanti dei lavoratori dovrebbero mirare a promuovere l’equilibrio di

genere”.

Il contenuto della direttiva si fonda su due importanti principi:

fare in modo che il modello europeo non diventi una scappatoia a rigorose

norme nazionali, pur conferendo una verta flessibilità nella creazione delle

SCE;

non obbligare gli Stati membri imponendo regole in contrasto con il loro

sistema di relazioni sociali. Segnatamente, si tratta di rispettare le peculiarità

nazionali di ciascun paese nella misura in cui ogni legislazione nazionale è il

risultato di un lungo processo storico.

Per «coinvolgimento dei lavoratori» si intende «qualsiasi meccanismo, comprese

l’informazione, la consultazione e la partecipazione, mediante il quale i

rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che

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devono essere adottate nell’ambito dell’impresa». Questi termini, tuttavia, possono

nascondere definizioni diverse da un paese all’altro. La direttiva deve pertanto

essere adattata localmente dal ministero competente di ciascun paese ed essere

trasposta, entro il 18 agosto 2006, nel diritto nazionale di tutti e 25 gli Stati dell’Ue.

Sembra sin d’ora certo che taluni paesi andranno oltre tale data. La Commissione ha

fissato al 18 agosto 2009 la data in cui riesaminerà la direttiva. In quel momento, si

potrà fare il bilancio della situazione. La presente sintesi rientra nel quadro del

processo di trasposizione della direttiva, e affronta le questioni relative al

coinvolgimento dei lavoratori. Tuttavia, non è questa la sede per trattare la posta in

gioco giuridica dei due testi2, né le ambiguità generate dal loro confronto3. La loro

interpretazione è oggetto di dibattiti e trattative a livello sia nazionale che europeo.

«Migliorare la comprensione delle problematiche delle società cooperative al fine di

favorire il coinvolgimento dei lavoratori e, quindi, incentivare l’adozione di azioni

congiunte»: questa la posta principale del progetto, in sintonia con l’applicazione

della direttiva. Benché lo statuto della SCE valga per l’insieme delle cooperative

(agricole, di credito, di lavoro, di consumatori), il raggio d’azione dello studio è stato

circoscritto alle strutture in cui il lavoratore diventa un partecipante particolarmente

attivo nel processo decisionale: «le cooperative di lavoro». Quattro gli obiettivi

prefissati:

1 – Sintesi: esporre la situazione delle prassi nelle cooperative in materia di

partecipazione dei lavoratori.

2 – Comprensione: apprezzare meglio la posizione degli Organismi

rappresentativi del personale all’interno delle società cooperative.

3 – Dialogo: favorire lo scambio di esperienze attraverso incontri nei differenti

paesi e un convegno.

4 – Azione: giungere alla definizione e alla scelta di azioni congiunte.

In un primo tempo, la sintesi tratta del movimento cooperativo in Europa e delle

relative problematiche specifiche in materia di partecipazione dei lavoratori (soci e

non).

2 Sull’opportunità di adottare il sistema dualista o monista, oppure, ancora, sul rischio del «dumping fiscale», per esempio. 3 Per esempio, nella versione francese della direttiva, la Société Coopérative Européenne è designata con l’acronimo SCE, mentre nel regolamento è utilizzato l’acronimo SEC.

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In aggiunta a questa visione d’insieme, ciascun paese dell’Unione europea ha

elaborato una propria legislazione in materia di cooperazione, nel quadro definito

dalla Dichiarazione sull’identità cooperativa (vedi oltre).

Le prassi di cooperazione, pertanto, differiscono largamente da un paese all’altro. Il

tema della seconda parte della sintesi è di fornire i risultati del nostro studio nei sette

paesi considerati (Germania, Spagna, Italia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca,

Svezia). Tuttavia non ci soffermiamo in dettaglio sulle specificità giuridiche nazionali.

La terza parte descrive varie problematiche e le raccomandazioni che, secondo noi,

dovrebbero far proprie gli attori coinvolti nel presente progetto. Da ultimo, ci sembra

che il presente studio cada a proposito, vale a dire in un momento storico in cui, in

numerosi paesi, il movimento sindacale e il movimento cooperativo, storicamente

contrapposti per molto tempo, trovano nella riforma europea l’occasione per

riannodare il dialogo.

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1. Il dialogo sociale nelle cooperative

1.1. La cooperazione in Europa Le cifre sulle cooperative in Europa sono dibattute in particolare per una questione

metodologica. In termini generali, ricordiamo che l’Unione europea (25 paesi) conta

circa 1 milione di lavoratori nelle cooperative di lavoro, per un numero approssimato

di 60.000 strutture. I paesi con il maggior numero di cooperative di lavoro sono

Spagna e Italia.

I principi che regolano il funzionamento della cooperazione sono stati decretati dalla

«dichiarazione sull’identità cooperativa» (approvata dall’assemblea generale dell’ACI

– Alleanza Cooperativa Internazionale – in occasione del congresso di Manchester

del settembre 1995). La dichiarazione valorizza sette principi costitutivi della

cooperazione:

1. Adesione libera e volontaria

2. Controllo democratico da parte dei soci

3. Partecipazione economica dei soci

4. Autonomia e indipendenza

5. Istruzione, formazione e informazione

6. Cooperazione tra cooperative

7. Impegno verso la collettività

Tutte le organizzazioni che rappresentano il movimento cooperativo aderiscono a

questi principi e, malgrado le differenze tra paesi, il principio «una persona = un

voto» costituisce il denominatore comune nell’insieme del movimento.

Sul piano mondiale, la Dichiarazione mondiale sulle cooperative di produzione e

lavoro del 2003 (della quale segnaliamo il carattere storico) definisce in modo più

specifico il carattere di base e le modalità di funzionamento delle cooperative di

lavoro e produzione: «mirano alla creazione e al mantenimento di posti di lavoro

duraturi e alla creazione di ricchezza, al fine di migliorare la qualità della vita dei

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lavoratori soci, di conferire dignità al lavoro, di permettere l’autogestione democratica

dei lavoratori e di promuovere lo sviluppo delle collettività locali.»

1.2. La partecipazione nelle cooperative

Abbiamo visto in precedenza come la cooperazione incarni un ideale democratico.

Quali sono gli specifici problemi inerenti a questo tipo di organizzazione in materia di

partecipazione dei lavoratori? In proposito, una qualità che certo non manca è

l’autocritica: i più ferventi sostenitori della cooperazione sono altresì i giudici più

implacabili. Rientra probabilmente nelle caratteristiche della cooperazione la

mentalità di adottare un atteggiamento che coniuga convinzione militante (il lato dei

valori condivisi) e giudizio pragmatico (il lato realistico). Questa parte del testo

descrive sinteticamente i risultati di numerosi studi condotti da ricercatori specializzati

in cooperative e pubblicati nelle riviste scientifiche.

- Una gestione della diversità

Gli studi dimostrano che nelle cooperative la tipologia dei dipendenti è caratterizzata

da una grande diversità. Vi si trovano al contempo semplici lavoratori, lavoratori soci

(lavoratori che possiedono una o più quote del capitale della cooperativa) ma anche

lavoratori occasionali esterni (lavoro interinale, per esempio). Una simile situazione,

con interessi non sempre concordanti, genera tensioni tra i differenti gruppi.

- L’importanza dei leader e la concentrazione del potere

Le cooperative devono spesso affrontare il problema della concentrazione del potere

nelle mani di una minoranza più attiva. La maggior parte dei soci si accontenta perciò

di seguire le indicazioni fornite dai leader. D’altra parte, la dispersione delle quote

sociali potrebbe favorire la creazione di gruppi attorno al nucleo di elite dirigenziali

(quindi, la concentrazione del potere) che, in casi estremi, potrebbero disporre di un

potere maggiore di quanto possibile nelle imprese tradizionali. Le coalizioni tra

detentori di quote sociali sono, infatti, più difficili da stringere rispetto a quanto

accade nelle imprese classiche. L’apparizione di un contropotere è pertanto

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problematica e raggiunge un paradosso democratico: la ricerca del consenso rende

difficoltosa la nascita di un’opposizione strutturata.

- La scarsa partecipazione

Da alcuni studi spagnoli emerge che le cooperative devono affrontare il problema

della partecipazione al processo decisionale. Nelle cooperative di minori dimensioni

l’importanza di questa partecipazione si fa sentire maggiormente. La partecipazione

dei lavoratori diminuisce con l’avanzare dell’età e con l’aumento delle dimensioni

della struttura. Negli organi direttivi, gli uomini sono più rappresentati delle donne.

Alcuni studi riportano che le donne sostengono di subire forme di discriminazione.

- Il ruolo dei sindacati

Complessivamente, i sindacati hanno una scarsa presenza nelle cooperative.

L’esistenza di un sindacato sembra spesso contrastante con lo statuto della

cooperativa. Una cooperativa ha forse bisogno di una rappresentanza sindacale,

visto che i lavoratori sono essi stessi i «datori di lavoro»? Non sono forse in grado di

difendere i propri interessi visto che detengono il potere?

- Tensioni tra i rappresentanti eletti e gli esperti incaricati di garantire le performance

Un’importante tensione nelle cooperative di lavoro: tra i lavoratori soci e i membri del

consiglio d’amministrazione. In altre parole, tra i «cittadini» attivi nel processo

decisionale e gli «esperti» legittimati dalle loro competenze. Una tensione che si fa

sentire maggiormente quando la cooperativa è operativa da molto tempo. Nella fase

di creazione di una cooperativa, constatiamo una partecipazione di tipo più diretto.

Sono gli eletti che detengono il potere. A poco a poco, questi delegano i loro poteri

agli esperti (marketing, finanze, ecc.) rinomati per la loro competenza tecnica. Ecco

quindi che, progressivamente, alla logica del funzionamento democratico si

sostituisce una logica di gestione che mette al primo posto le performance

economiche.

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- La duplice qualità del socio di cooperativa: lavoratore-dipendente e socio

È il fulcro della problematica riguardante le cooperative di lavoro: la duplice funzione

del socio di cooperativa introduce differenze statutarie nell’impresa. Nella maggior

parte delle volte ciò comporta differenze in materia di diritto del lavoro ma anche

conflitti di ruolo.

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2. Situazione nei sette paesi presi in esame

2.1. Germania

Il seguente testo è basato unicamente sulle risposte di un solo movimento

cooperativo (PVDP) e dovrà essere opportunamente completato in occasione del

seminario.

Il movimento cooperativo

Il movimento cooperativo tedesco è particolarmente importante sul piano nazionale.

Le cooperative di lavoratori sono tuttavia meno numerose, rispetto agli altri tipi di

cooperative, e la loro situazione non è ancora del tutto stabilizzata.

Per esempio, lo statuto di lavoratore dipendente-socio (assenza di un autentico

contratto di lavoro nella parte orientale del paese, in particolare) è oggigiorno oggetto

di riflessioni al fine di limitare i rischi di una perdita di controllo in materia di

protezione del lavoratore. In proposito, tuttavia, si oppongono differenti visioni e non

si è ancora giunti a una decisione definitiva. La situazione, segnatamente riguardo al

diritto del lavoro, non è molto chiara (le decisioni dei tribunali sono contrastanti). Una

possibilità per uscire dall’impasse può essere l’applicazione dello statuto di co-datore

di lavoro.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

In termini generali, i sindacati tedeschi non hanno relazioni ufficiali con il movimento

cooperativo. La specificità tedesca in materia di cooperazione mostra tuttavia due

realtà: nella zona Ovest, le relazioni tra organizzazioni sindacali e movimento

cooperativo sono quasi del tutto assenti, mentre nella zona Est le relazioni sono

abbastanza frequenti, benché di tipo locale. Questo dipende però in primo luogo

dalla personalità e dalla volontà espresse localmente. Sul piano istituzionale, la

confederazione cooperativa ha comunicato l’intenzione di sviluppare interazioni con i

sindacati in considerazione di obiettivi politici simili, anche se perseguiti con mezzi

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differenti. È necessario trovare un modello originale di dialogo sociale tra i due

movimenti.

La direttiva SCE

A Berlino sono in corso i dibattiti sulla trasposizione della direttiva. Per le regioni

dell’ex Germania dell’Est, la SCE rappresenta anche una possibilità per rafforzare il

movimento cooperativo in un territorio in cui la cooperativa era una dei simboli

dell’antico regime. La prospettiva di avviare cooperazioni transfrontaliere lascia

credere che lo statuto della SCE possa offrire opportunità autentiche alle cooperative

tedesche. In particolare, è prevista la costituzione di una SCE alla frontiera con la

Repubblica Ceca, nel settore agricolo.

2.2. Spagna

Il movimento cooperativo

Il movimento cooperativo spagnolo è uno dei più importanti d’Europa per numero di

strutture e numero di dipendenti: 18.000 cooperative di lavoro e oltre 220.000

lavoratori. Sul piano universitario, abbiamo non meno di 240 professori che hanno

rivolto le proprie ricerche verso il settore delle cooperative. La forza del movimento

cooperativo spagnolo sta anche nella sua ramificazione regionale e nazionale, alla

quale però si affianca una notevole complessità legislativa: 13 differenti leggi che

disciplinano l’attività delle cooperative, una per ciascuna regione autonoma (per

questo motivo, taluni si esprimono piuttosto in termini di “debolezza” del movimento).

Il gruppo di cooperative di Mondragon, nei Paesi Baschi, è citato frequentemente

come esempio di sviluppo internazionale delle cooperative.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

Le organizzazioni rappresentative del movimento cooperativo (nel quadro dello

studio, della COCETA; l’altra organizzazione incontrata, la CONFESAL, rappresenta

in particolare le società anonime di lavoratori che costituiscono piccole imprese) non

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sono riconosciute ufficialmente come parti sociali. Sono tuttavia presenti nel

Consiglio economico e sociale. Hanno spesso posizioni vicine a quelle del

movimento sindacale (che se ne fa portavoce) e sembra che siano le organizzazioni

dei datori di lavoro a ostacolarne il riconoscimento come parte sociale. CONFESAL

ha la specificità di aver firmato accordi di partenariato con le due principali

confederazioni sindacali spagnole: UGT e CCOO.

Complessivamente, le relazioni tra i movimenti cooperativo e sindacale sono buone e

contraddistinte da una certa fiducia. I punti di convergenza riguardano in particolare

la promozione delle società cooperative (soprattutto il riscatto di imprese da parte dei

lavoratori), la prevenzione dei rischi di infortuni sul lavoro e la formazione continua. Il

principale punto di divergenza ruota invece attorno allo statuto di lavoratore socio. Il

socio di cooperativa è al contempo socio e lavoratore. Lo statuto di socio può

determinare delle deviazioni rispetto al diritto del lavoro. Per questo motivo i sindacati

ritengono che le cooperative non sono sempre e comunque un datore di lavoro

ideale. La rappresentanza sindacale può contribuire a una migliore applicazione dei

principi cooperativi. Dal punto di vista del movimento cooperativo, però, in una

cooperativa non è indispensabile il ruolo sindacale «classico» di rivendicazione, in

quanto tale organizzazione funziona in modo democratico e sostiene sempre gli

interessi dei lavoratori. Questa situazione dovrà aprire un dibattito su nuove modalità

di azione sindacale.

Nondimeno, le opinioni convergono su molti altri punti: democrazia sul lavoro, qualità

dei posti di lavoro, condizioni di lavoro appropriate... I sindacati riconoscono

l’importanza dell’economia sociale in generale, per dimostrare che sono possibili

forme alternative di azione, e sono quindi ampiamente favorevoli allo sviluppo delle

cooperative.

La direttiva SCE

In merito alla direttiva, COCETA e CONFESAL hanno adottato una posizione

congiunta, favorevole alla SCE, ma le trattative tra le parti stentano a prendere il via.

Questo statuto potrebbe forse apportare un elemento di risposta alla diversità delle

leggi spagnole sulle cooperative.

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2.3. Francia

Il movimento cooperativo

La Confédération Générale des Sociétés Coopératives Ouvrières de Production

(CGSCOP – Confederazione generale delle società cooperative di produzione

lavoro) è l’organo ufficiale di rappresentanza delle cooperative di lavoro in Francia.

Qual è la partecipazione in una cooperativa di lavoro francese? In concreto, le SCOP

riversano il 48% dei risultati ai lavoratori, «il 60% circa dei quali diventa socio con una

partecipazione al capitale». Le seguenti cifre riguardano l’anno 2004 e provengono

dall’Ufficio dei rapporti finanziari della Confédération Générale delle SCOP:

35.353 lavoratori per 1.597 SCOP e 3,2 miliardi di euro di fatturato 54,1% delle SCOP hanno meno di 10 lavoratori (10,9% dei posti di lavoro)

54,1% dei posti di lavoro concentrato nelle SCOP con oltre 50 lavoratori

Dimensioni medie delle SCOP affiliate alla CGSCOP: 22 persone

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

Storicamente, le relazioni tra movimento cooperativo e movimento sindacale sono

contraddistinte da una forma di reciproca diffidenza, e alternano momenti di

ravvicinamento a periodi di antagonismo. Al momento attuale, riscontriamo diversi

progetti comuni a sindacati e movimento cooperativo. Taluni definiscono

«riscaldamento» questo nuovo periodo storico:

• la sensibilizzazione dei lavoratori allo statuto cooperativo con i sindacati. Si

tratta di una parte dei programmi di formazione con diverse organizzazioni

sindacali. L’obiettivo prefisso è di dimostrare che la cooperazione rappresenta

un’alternativa credibile alle altre forme imprenditoriali.

• La rivendicazione di un contratto collettivo specifico per le cooperative al fine

di «dare l’esempio».

• La posta in gioco del passaggio d’impresa (papy-boom) può favorire il

ravvicinamento tra sindacati e movimento cooperativo.

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La CGSCOP non è tuttavia ancora riconosciuta come una «parte sociale» a pieno

titolo. Diventa progressivamente un interlocutore reale con i sindacati, in attesa di

diventare ufficialmente un’autorità imprenditoriale (in Francia è stato redatto un

elenco della classe imprenditoriale dell’economia sociale e ha ottenuto risultati molto

interessanti alle ultime elezioni dei probiviri). I sindacati, dal canto loro, vedono di

buon occhio la CGSCOP come interlocutore della classe imprenditoriale. La

CGSCOP ha creato un luogo di scambio informale su tali questioni (il Comitato del

Consiglio di concertazione e conciliazione).

La direttiva SCE

Dal punto di vista del movimento cooperativo, il coinvolgimento dei lavoratori nelle

SCOP è definito in modo più preciso rispetto alla direttiva. La SCE riguarda una sfera

più di quella delle semplici SCOP. Sono prese in considerazione anche altre

strutture. Bisogna tuttavia dare una definizione europea della cooperazione. Il

regolamento fa temere una diluizione della specificità dello statuto cooperativo,

segnatamente sulla questione delle riserve. Questo timore è condiviso sia dai

sindacati che dal movimento cooperativo. Al momento del presente studio, non è

stato ancora istituito in Francia il Gruppo speciale di negoziato. È quindi probabile

che la trasposizione della direttiva diventi oggetto di una relazione.

2.4. Italia

Il movimento cooperativo

La costituzione italiana del 1947 riconosce la funzione sociale delle cooperative.

Articolo 45 della Costituzione Italiana: «la Repubblica riconosce la funzione sociale

della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La

legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con

gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.»

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Le cooperative rappresentano il 7% del PIL. Si contano 1 milione di dipendenti in

oltre 70.000 differenti società. L’1,5% della popolazione attiva è impiegato in una

cooperativa di lavoro. Si tratta della maggiore percentuale in Europa.

L’Italia ha la peculiarità di avere un movimento delle cooperative sostenuto da tre

organizzazioni: Confcooperative, Legacoop e AGCI. Queste organizzazioni sono

riconosciute ufficialmente come parti sociali in grado di intavolare trattative con i

sindacati per definire accordi ufficiali.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

Tradizionalmente, nel passato, molte organizzazioni sindacali si sono opposte alla

cooperazione. Una progressiva evoluzione ha portato a posizioni più moderate. È

tuttavia opportuno segnalare forti differenze di posizione a seconda delle

organizzazioni sindacali.

Le relazioni tra sindacati e movimento cooperativo sono relativamente importanti e

ruotano segnatamente attorno alla gestione dei fondi pensione o di un fondo per la

formazione continua.

I sindacati stimano che le cooperative siano state frequentemente all’avanguardia nei

progressi sociali. La rappresentanza sindacale nelle società cooperative, d’altra

parte, è relativamente importante. I sindacati però rappresentano solamente i

lavoratori non soci. I soci, dal canto loro, non hanno alcuna rappresentanza. Questa,

per i sindacati, è una situazione inaccettabile in quanto autorizza numerosi

scostamenti ne confronti del lavoratore socio, meno protetto rispetto a un dipendente

di tipo «classico» (segnatamente, nelle cooperative di servizi). Al momento si tratta di

un importante argomento di discussione tra movimento cooperativo e sindacati,

anche se il movimento cooperativo fa rilevare che nella cooperazione associata è

raro incontrare simili situazioni «border line».

La direttiva SCE

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Su questo argomento sono già stati condotti dibattiti e lavori, ed è stato pubblicato un

documento della UIL in italiano e in inglese4.

I sindacati sono convinti che la direttiva è un elemento di progresso nella situazione

italiana attuale, segnatamente riguardo alla specifica situazione del lavoratore socio

(con la legge 142 del 2001, emendata nel 2003). La posta in gioco del negoziato è

quindi importantissima.

In proposito, il movimento cooperativo sembra agire con più circospezione, ritenendo

che alcuni punti della direttiva – troppo rigorosi - rappresentino un passo indietro

rispetto al diritto nazionale.

Le diverse organizzazioni mostrano la loro preferenza per il dialogo sociale che

genera accordi collettivi e la loro diffidenza nei riguardi di un eccessivo interventismo

legislativo. L’incorporazione di nuove norme giuridiche europee potrebbe

destabilizzare il modello italiano di contrattazione collettiva.

2.5. Polonia

Il movimento cooperativo

In Polonia, il settore cooperativo rappresenta da 12 a 15 milioni di lavoratori in

14.000 strutture ripartite tra 13 settori di attività. Sul piano storico, l’esperienza

polacca è ovviamente segnata dall’era comunista. In tale ambito, la cooperazione ha

occupato una posizione molto particolare: sotto il regime comunista, numerose

cooperative erano subappaltatrici dello Stato o servivano a colmare determinate

lacune. Il 1990 ha rappresentato una svolta decisiva: le unioni cooperative sono

passate sotto la tutela dello Stato e sono state oggetto di provvedimenti tesi a ridurne

l’influenza. Le cooperative si sono sempre situate in una «via di mezzo»: nell’ex

sistema comunista erano ritenute capitaliste, mentre oggi sono considerate un

retaggio di quel sistema in un’economia ormai divenuta liberista.

4 A cura di Maria Sacchettoni: L’Italia e la Società cooperative europea: realtà ed aspettative, UIL

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Nell’esperienza polacca ritroviamo specificità molto originali, per esempio le

cooperative per disabili e le cooperative di allievi.

La cooperazione di lavoro rappresenta il 25% dell’Assemblea generale delle

cooperative. In materia fiscale, sembra che le cooperative fruiscano di condizioni

meno vantaggiose rispetto a quelle dei grandi gruppi internazionali, per esempio, che

sono esonerati dalla imposte locali.

Complessivamente, il peso delle cooperative di lavoro tende a diminuire con

l’emergere dell’economia di mercato e della concorrenza internazionale. Nel 1990

erano presenti 2.000 cooperative, mentre oggi ne restano solamente 984.

Di recente è apparsa una nuova forma di cooperazione: la cooperativa sociale. Sono

cooperative di servizi il cui capitale iniziale è finanziato dallo Stato. Rappresentano

uno strumento di lotta contro la disoccupazione.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

I sindacati hanno di fronte un dilemma: si sono battuti per un forte cambiamento

politico in Polonia (in particolare Solidarnosc). In questo scenario, le cooperative

rappresentavano il vecchio regime che bisognava combattere. Oggi, considerato

l'alto tasso di disoccupazione (20%), i sindacati devono lottare per la creazione di

posti di lavoro, e ritengono che le cooperative offrano condizioni di lavoro migliori

rispetto a quelle garantite dalle imprese classiche. Sono perciò attivamente impegnati

a proteggere le cooperative e dichiarano che i risultati migliori si ritrovano in quelle

cooperative che hanno adottato il dialogo sociale. Il problema è che i governi liberali

percepiscono ancora le cooperative come strutture di tipo comunista.

Diversamente da quanto accade in molti paesi dell’Europa orientale, in Polonia le

relazioni tra sindacati e movimento cooperativo rimangono problematiche. Questa

situazione è frutto di un processo storico in cui i sindacati, a cominciare da

Solidarnosc, erano gli alfieri di un cambiamento nel sistema; in tale ambito, le

cooperative rappresentano il passato.

Nelle cooperative, la nozione di sindacato non esiste. L’articolo 3 della legge sulla

cooperazione stipula che il capitale è la proprietà dei suoi soci. E quindi, in questo

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caso, a che servirebbe un sindacato? Le organizzazioni sindacali sono perciò

presenti solamente nelle cooperative con dipendenti che non detengono quote di

capitale – le cooperative abitative, per esempio.

Tra gli organismi nazionali di contrattazione, le commissioni tripartite (governo,

sindacati, datori di lavoro), la Federazione delle cooperative ha un posto di

osservatore senza diritto di voto. I rappresentanti del movimento cooperativo

ritengono che tale situazione sia vantaggiosa in quanto non si considerano né datori

di lavoro né organizzazioni sindacali.

A livello locale, riscontriamo una grande diversità di relazioni tra sindacati e

responsabili delle cooperative, essenzialmente a causa delle personalità al potere.

Nelle cooperative dove manca il dialogo sociale, i manager assumono sempre più

importanza e finiscono per riacquistare la società per farne un’impresa classica.

La direttiva SCE

Lo statuto della SCE è accolto molto favorevolmente poiché, finalmente, assicura un

quadro giuridico per la cooperazione. Sembra tuttavia che il diritto polacco sia più

esigente in materia di esercizio delle democrazia nelle cooperative.

In termini generali, il movimento cooperativo e i sindacati si sono mostrati aperti e

interessati allo sviluppo di strutture cooperative transnazionali. Le organizzazioni

sindacali hanno anche proposto di tenere una grande conferenza, in Polonia, per

presentare in modo esaustivo lo statuto della SCE. In materia, mancano ancora

informazioni.

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2.6. Repubblica Ceca

Il movimento cooperativo

Come accaduto per la Polonia, il movimento cooperativo ha vissuto i vari sistemi

politici. Dalla collettivizzazione forzata del 1948 alla rivoluzione del 1989, le

cooperative hanno svolto attività di subappalto per lo Stato cecoslovacco ma sono

servite anche a colmare diverse sue lacune. Da questa situazione è nata una certa

confusione tra il sistema comunista e le cooperative. La prima difficoltà del

movimento cooperativo è proprio quella di andare oltre tale fusione.

Oggigiorno, le cooperative di lavoratori rappresentano 24.800 dipendenti di cui

11.900 soci, con 303 società affiliate alla SCMVD, per un fatturato globale di 22

miliardi di corone (730 milioni di euro).

Come regola generale, lo statuto di socio è diverso da quello del lavoratore

dipendente. Gli statuti della cooperativa possono tuttavia permettere l’associazione

senza essere lavoratore della cooperativa. Non si tratta di un obbligo legale, ma la

raccomandazione dell’Unione ceca e morava delle cooperative di produzione

(SCMVD) è favorevole a far coincidere lo statuto di socio con quello di lavoratore.

A parte la cooperazione di lavoro, la Repubblica Ceca ha vissuto due situazioni

originali: da una parte, a partire dal 1989, problemi specifici con le cooperative di

credito che una legge del 2000 cerca di risolvere e, dall’altra, problemi specifici alle

cooperative edilizie di abitazione con la crescenti individualizzazione della proprietà a

scapito degli alloggi cooperativi.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

La principale confederazione sindacale ceca si esprime largamente a favore

dell’instaurazione di un dialogo sociale regolare con il movimento cooperativo. Esiste

un «consiglio di intesa», vale a dire una sorta di «gentleman agreement» tra i due

movimenti, in seno al quale si intavolano negoziati ufficiosi.

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Nelle cooperative, la rappresentanza sindacale è scarsa, soprattutto presso i giovani

lavoratori. Esistono tuttavia delle commissioni con l’obiettivo di rappresentare i soci

ma, in linea generale, una volta che il lavoratore diventa socio non vi è più presenza

sindacale. Detto ciò, il problema della rappresentanza sindacale non è limitato alle

cooperative ma è ben percepibile in tutte le piccole e medie imprese.

La direttiva SCE

In merito alla trasposizione della direttiva, il movimento cooperativo ha avviato le

trattative; i lavori legislativi consentiranno di applicarla entro i termini previsti dall’UE.

Per segnare l’intensità dei lavori è stato anche pubblicato un documento su questo

argomento.

Il regolamento e la direttiva sono quindi percepiti come segnali positivi dell’Unione

europea per la legittimazione della forma cooperativa.

2.7. Svezia

Il testo seguente è basato sulle risposte di un solo movimento cooperativo, e dovrà

essere opportunamente completato in occasione del seminario.

Il movimento cooperativo

L’organizzazione del movimento illustra un insieme molto diversificato, così come

accade negli altri paesi presi in esame. Alla stregua di altri paesi dell’Europa del

Nord, anche qui la cooperazione di lavoro è poco sviluppata. Va tuttavia rilevata una

particolarità riguardante le cooperative. Quasi tutte le imprese cooperative (con

l’esclusione di quelle del settore agro-alimentare) sono ricollegate a un’associazione

padronale (KFO).

La Svezia è uno dei pochi paesi ad aver sviluppato strutture transnazionali

(consumatori e agro-alimentare nei paesi scandinavi) a prescindere dall’applicazione

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della direttiva. Questa situazione è in sintonia con una concentrazione in grandi

gruppi al fine di affrontare la concorrenza sul mercato.

Quanto alle prassi, possiamo rilevare derive concettuali, in particolare la tendenza

alla banalizzazione di numerose cooperative a scapito dei valori storici. È un punto

molto importante, questo, e il rappresentante del movimento propone un

benchmarking affinché la Svezia faccia tesoro delle esperienze più interessanti per

ridare un senso ai valori tradizionali.

Relazioni tra sindacati e movimento cooperativo

Tra il movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali svedesi vi sono relazioni

strutturate in maniera formale e scambi informali. Nel quadro del dialogo sociale, la

KFO negozia i contratti collettivi con le organizzazioni sindacali che rappresentano

quasi tutti i lavoratori, poiché la percentuale d’adesione ai sindacati è altissima.

Ritroviamo altresì nessi storici tra il movimento cooperativo e il movimento sindacale;

determinati grandi gruppi di cooperative rimangono vicini ai sindacati. Le

organizzazioni sindacali sono affiliate a determinate associazioni tese a promuovere

lo sviluppo cooperativo. Il loro ruolo nello sviluppo regionale è riconosciuto dalle

confederazioni sindacali.

Secondo il rappresentante del movimento, tuttavia, è auspicabile un ulteriore

incremento nello sviluppo degli scambi per affrontare numerosi punti, come la

direttiva sulla SCE, oggetto di pochi dibattiti. In realtà, le discussioni su questo

argomento, al momento, non hanno alcun carattere ufficiale.

Tra gli argomenti da sviluppare con interesse nell’ambito del dialogo sociale: il

settore delle cooperative sociali d’inserimento al lavoro per affrontare il tema della

disoccupazione dei gruppi meno avvantaggiati.

La direttiva SCE

Prima della trasposizione della direttiva e all’entrata in vigore del regolamento, il

governo ha convocato le parti sociali e il movimento cooperativo per commentare le

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proposte di legge. Il principio della trasposizione della direttiva sul coinvolgimento dei

lavoratori è stato accettato senza grandi difficoltà poiché il movimento cooperativo

era favorevole e l’organizzazione padronale delle cooperative aveva già espresso

una posizione favorevole alla società anonima europea. La legge svedese si basava

in effetti sugli acquis storici del dialogo e della legislazione sociale. Per contro, in

merito alle norme sugli statuti della cooperativa europea, sono state sollevate

numerose osservazioni.

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3. Raccomandazioni e indicazioni per la riflessione

Complessivamente, l’adattamento della direttiva ai contesti nazionali si rivela

difficoltoso. Alcuni paesi considerano questo testo un significativo progresso in

materia di partecipazione, mentre ad altri sembra rappresentare un passo indietro. La

presente sintesi non si sofferma sulle questioni giuridiche, poiché è opportuno che

siano trattate dai singoli Stati membri. In questa sede, affrontiamo le questioni della

partecipazione. In altre parole, come possiamo favorire un coinvolgimento totale e

assoluto dei lavoratori nella società cooperativa europea?

3.1. Le problematiche sollevate dallo studio

Come raggiungere una partecipazione più concreta?

Le prassi di partecipazione sollevano numerose problematiche concrete, fra le quali

le più importanti sono:

• legate al prendere la parola: chi può partecipare? Qual è il ruolo delle

organizzazioni sindacali, nel percorso tra rivendicazioni e contrattazione?

• legate all’impegno: sino a che punto spingersi nella partecipazione?

• legate ai giochi di potere: qual è il posto di ciascun partecipante al processo

decisionale?

Come controllare l’attività manageriale?

L’attività manageriale è svolta da esperti che si prefiggono l’obiettivo dell’efficienza

economica. Come è definita, e negoziata collettivamente, questa efficienza

economica? L’applicazione dei principi cooperativi può essere in contrasto con

l’esigenza di un’efficienza economica. Esiste, oggi, una professione di «manager

cooperativo» che si differenzi dal tradizionale «business manager»? Alcune

esperienze nazionali, probabilmente, devono essere adeguatamente valorizzate.

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Qual è la specificità della cooperativa di lavoro in Europa?

È il problema della specificità dello statuto di cooperativa di lavoro in Europa. Il

regolamento e la direttiva non risolvono la questione. Esiste una definizione europea

di cooperazione? In che misura si distingue dall’abituale mondo imprenditoriale?

Segnatamente sulle questioni dell’occupazione, delle innovazioni in materia di

gestione delle risorse umane, di scambio di informazioni, di trasparenza, ecc.

Come gestire le possibilità di comportamenti opportunistici?

È il problema delle delocalizzazioni. Lo statuto della SCE può offrire possibilità di

delocalizzazione. La SCE può decidere di stabilire la sede sociale nel paese più

vantaggioso dal punto di vista fiscale e stabilire le unità di produzione in un paese

dove il costo della manodopera è inferiore. Che ne è della ripartizione dei benefici e

delle riserve?

Il posto giusto per l’azione sindacale giusta

Questa situazione dovrebbe avviare una riflessione su una nuova modalità di

svolgimento dell’azione sindacale. La questione riguarda in particolare l’equilibrio tra

rivendicazione e capacità di partecipare alla gestione di un’impresa pur rispettando

un certo numero di principi democratici. In proposito, uno studio canadese mostra

sino a che punto la logica sindacale può entrare in contrasto con le linee d’azione

partecipative5, ma dimostra altresì che i sindacati escono rafforzati da una

partecipazione attiva.

Come gestire la duplice veste di lavoratore-socio?

È questo il fulcro della problematica che devono affrontare le cooperative di lavoro.

La tensione tra “capitale” e “lavoro”? In merito, dobbiamo constatare che la direttiva

non offre alcuna risposta. La direttiva parla di lavoratori ma non affronta il problema

dei lavoratori-soci.

5 Lapointe P.-A. (2000), «Participation et démocratie au travail», XII Congresso dell’Associazione internazionale delle relazioni professionali, Tokyo

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3.2. Indicazioni per la creazione della SCE

Il presente studio ha permesso di rivelare, al di là delle intenzioni della Commissione

europea, in modo attraverso il quale il movimento cooperativo può far proprio il nuovo

statuto. Ecco un riepilogo.

Il punto di vista dell’Unione europea

Nuove opportunità di mercato: la SCE deve permettere 1) di sviluppare

l’imprenditoria 2) la condivisione dei mezzi al fine di favorire, non solo

l’imprenditoria in generale, ma anche la commercializzazione dei prodotti delle

cooperative.

Lotta contro la disoccupazione: l’Unione europea ha spesso fatto notare come

le società cooperative possano costituire una grande fonte per la creazione di

nuovi posti di lavoro. Sviluppare queste imprese significa anche avanzare

proposte di soluzioni credibili per la questione “disoccupazione”.

Il punto di vista delle parti in causa

L’immagine: l’adozione dello statuto di SCE può essere, per una cooperativa,

un vantaggio strategico in termini di immagine. Incarnare un’identità

sopranazionale ed europea può conferire una maggiore credibilità al progetto

cooperativo.

Regolare la mondializzazione: la SCE può permettere di accordare il processo

di mondializzazione che colpisce numerose cooperative (in particolare

occidentali) con i principi cooperativi, talvolta dimenticati.

I lavoratori transfrontalieri: la SCE costituisce una forza trainante per la

cooperazione transfrontaliera.

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Benchmarking: sviluppare le cooperazioni transfrontaliere significa anche

favorire lo scambio di «buone pratiche» che coniugano ricerca di efficienza

economica e rispetto dei principi democratici.

Conclusioni Apparentemente non vi sono ancora progetti per la creazione di SCE nel settore

delle cooperative di lavoro. Nondimeno, attorno al processo di trasposizione della

direttiva si è sviluppata una dinamica improntata al dialogo sociale. Le diverse parti

interessate hanno fatto proprio il testo per adeguarlo e razionalizzarlo in base alle

legislazioni e alle prassi nazionali. Sono però ancora numerose le problematiche da

affrontare per garantire un dialogo efficace e per fare in modo che da tale dialogo

scaturiscano prassi condivise in tutta l’Unione europea.

La Società cooperativa europea rappresenta, per l’Unione europea, uno strumento di

sviluppo e promozione del mercato interno ma anche un mezzo per favorire

l’integrazione europea. Al movimento cooperativo e alle organizzazioni sindacali, per

mezzo del dialogo avviato, si presenta un’autentica opportunità storica di ricostruire

le condizioni per un dialogo costruttivo tra due settori storici del movimento operaio.