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SUPSI/DEASS ANNO ACCADEMICO: 2014-2015 Corso di laurea: FISIOTERAPIA Può la musica avere un ruolo nel contesto delle cure palliative? Lavoro di tesi (Bachelor Thesis) Autore: Mattia Mirenda Direttore di tesi: Gianpiero Capra Luogo: Manno Data: 31 luglio 2015

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SUPSI/DEASS ANNO ACCADEMICO: 2014-2015

Corso di laurea: FISIOTERAPIA

Può la musica avere un ruolo

nel contesto delle cure palliative?

Lavoro di tesi (Bachelor Thesis)

Autore: Mattia Mirenda

Direttore di tesi: Gianpiero Capra

Luogo: Manno

Data: 31 luglio 2015

   

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INDICE INDICE ............................................................................................................................. 2

ABSTRACT ..................................................................................................................... 3

INTRODUZIONE ............................................................................................................. 3 Motivazione e presentazione della tematica ........................................................................ 3

BACKGROUND .............................................................................................................. 4 La musicoterapia .................................................................................................................... 4 Musica e cervello .................................................................................................................... 6

Orecchio esterno .................................................................................................................. 7 Orecchio medio ..................................................................................................................... 7 Orecchio interno ................................................................................................................... 7 Vie uditive e corteccia acustica ............................................................................................. 8 Aspetti neurovegetativi ......................................................................................................... 9

Cure palliative e oncologia .................................................................................................. 10 Interprofessionalità ............................................................................................................. 10 Ruolo del fisioterapista ....................................................................................................... 11

Il dolore in oncologia ............................................................................................................ 11

METODOLOGIA ............................................................................................................ 13 Giustificazione, scopo, obiettivi .......................................................................................... 13 Domanda di ricerca del lavoro di Bachelor ........................................................................ 13 Scelta della metodologia ...................................................................................................... 13 Messa in atto della metodologia ......................................................................................... 14

Definizione del quesito di ricerca ........................................................................................ 14 Criteri d’inclusione .............................................................................................................. 14 Strategia di ricerca .............................................................................................................. 14

Studi esclusi .......................................................................................................................... 14 Studi inclusi .......................................................................................................................... 15 Sintesi degli articoli .............................................................................................................. 16

RISULTATI .................................................................................................................... 17 Contenuto degli studi ........................................................................................................... 17 Risultati ottenuti ................................................................................................................... 21 Possibili sviluppi di ricerca ................................................................................................. 22 Limiti della ricerca ................................................................................................................ 23

DISCUSSIONE .............................................................................................................. 24 Considerazioni personali sui risultati ................................................................................. 24

CONCLUSIONI .............................................................................................................. 27 Valutazione personale .......................................................................................................... 27

RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................ 28

FONTI ............................................................................................................................ 29 Bibliografia ............................................................................................................................ 29 Letteratura grigia .................................................................................................................. 31 Sitografia ............................................................................................................................... 31

   

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ABSTRACT Obiettivi: l’obiettivo che mi son posto in questa tesi è quello di verificare se la musica ha un effetto sulla modulazione del dolore e sulla qualità della vita di pazienti affetti da patologia oncologica. Metodologia: ho preso in esame otto articoli concernenti il tema della musicoterapia nell’ambito delle cure palliative, più precisamente riguardanti l’oncologia, per osservare se, con l’utilizzo della musica, si possano trarre dei benefici per quanto riguarda la percezione del dolore e della qualità di vita in pazienti affetti da questa patologia. Risultati: dagli studi è emerso che con la musicoterapia si riscontrano dei benefici riguardanti la percezione del dolore, il miglioramento della qualità di vita, il miglioramento dell’umore, il miglioramento della saturazione, la diminuzione dell’ansia, dell’angoscia, della depressione e della fatigue. Conclusioni: l’utilizzo della musicoterapia in ambito oncologico potrebbe essere una buona terapia alternativa di sostegno, senza controindicazioni e senza effetti collaterali, ai pazienti che presentano i sintomi come quelli citati nei risultati.

INTRODUZIONE

Motivazione e presentazione della tematica La musica, i suoni, un linguaggio universale con cui abbiamo a che fare ogni giorno e in ogni luogo. Io la definisco un’entità che vive in noi ed intorno a noi, che può generare emozioni, pensieri, riflessioni, può evocare ricordi passati, e può aprire la mente sul futuro. Insomma, la musica a mio parere risiede ovunque, e in molti casi possiamo trarne beneficio. Ho deciso di svolgere la tesi su un argomento concernente la musica perché ogni cosa che ci circonda, a suo modo, emana dei suoni, delle vibrazioni che entrano in risonanza col nostro corpo e la nostra mente, suscitando in noi diverse reazioni. La musica raggiunge tre dei nostri sensi, l’udito, la vista, il tatto: per questo motivo credo che essa sia un vettore emozionale abbastanza importante. Come un evento che vediamo, un profumo che sentiamo, un gusto che assaporiamo o un materiale che tocchiamo può farci provare sensazioni ed emozioni, anche la musica attraverso le armonie, il tempo, il ritmo, la tonalità, il timbro, le parole, può suscitarne in noi. Partendo dalla mia esperienza personale con la musica, ho deciso di portare avanti questa tesi. Perciò mi sono informato sull’esistenza di un approccio musicoterapico nell’ambito delle cure palliative in quanto entrambi questi temi sono di mio interesse. È così che ho trovato delle evidenze su questo argomento, un argomento ancora in via di sviluppo, che richiede il sostegno di ricerche più strutturate, di ricerche quantitative e non solo qualitative e di campioni di persone più grandi. La musica è qualcosa di universale ed è applicata in diversi contesti quali: l’ambito preventivo, nel quale trova spazio la musicoterapia applicata alla gravidanza, ai bambini in età scolastica, in fase pre-operatoria e nelle cure palliative; l’ambito della riabilitazione psichiatrica, comprendente tossicodipendenza, demenze, psicosi, disagio motorio; nell’ambito della riabilitazione neurologica, per esempio nel trattamento

   

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dell’afasia, dei pazienti in coma o stato vegetativo persistente e della malattia di Parkinson. Il campo di implicazione a cui mi sono riferito per portare avanti la revisione della letteratura è quello delle cure palliative, in quanto è un ambito che mi interessa parecchio e in cui, a mio parere, la musica e l’arte in generale possono avere degli evidenti effetti benefici sull’umore, sulla qualità di vita e sul dolore percepito dalle persone affette da patologie terminali. Quante volte si sentono affermazioni del tipo “ho bisogno di rilassarmi con un po’ di musica”, “devo ascoltare qualcosa per sfogarmi”? Ecco, credo che le persone affette da queste tipologie di malattie abbiano bisogno di una via di fuga, un aiuto per evadere dalla propria prigione corporea, un pretesto per poter esprimere le loro emozioni ed instaurare un legame con loro stessi e non con la malattia. Procederò nel modo seguente: ci sarà una parte di background contenente delle linee generali riguardanti la musicoterapia, l’anatomia e il processo di ricezione del suono, le cure palliative e il dolore percepito dai pazienti con patologie oncologiche. Seguirà una parte riguardante la metodologia adottata e il procedimento attuato per il reperimento degli articoli andando poi a presentare il contenuto dei diversi studi e i risultati ottenuti. Infine ci sarà una riflessione personale su ciò che è sorto dalla letteratura scientifica ed una valutazione personale sul percorso svolto.

BACKGROUND

La musicoterapia La World Federation of Music Therapy (WFMT) definisce la musicoterapia come l’uso professionale della musica e dei suoi elementi come intervento in ambienti medici, educativi e comuni, con individui, gruppi, famiglie o comunità che cercano di ottimizzare la loro qualità di vita e migliorare la salute e il benessere fisico, sociale, comunicativo, emotivo, intellettuale e spirituale. Ricerca, pratica, educazione e formazione clinica in musicoterapia sono basati su standard professionali in relazione ai contesti culturali, sociali e politici. (WFMT, 2011). Lo scopo principale che si pone la musicoterapia, è quello di portare il paziente a trovare possibilità alternative di comunicazione con sé stesso e l’esterno. Ciò avviene attraverso una relazione terapeutica basata sull’utilizzo di canali quali il “non-verbale” e quello corporeo-sonoro-musicale. La musicoterapia ha la caratteristica di coinvolgere diverse dimensioni appartenenti all’essere umano, tra cui quella cognitiva, quella motoria e quella pulsionale. La prima concerne la struttura e l’organizzazione dei processi mentali e del pensiero, la seconda riguarda la gestualità ed i movimenti, mentre l’ultima ha a che fare con la sfera emozionale ed affettiva. La musica, i suoni, il suonare uno strumento possono aiutare il paziente nell’elaborazione delle proprie emozioni sia verso sé stesso, sia verso persone importanti della sua vita. Così, tramite la mediazione favorita dalla musica, si evita di minare la relazione terapeutica tra paziente e terapista, tenendo lontane proiezioni di emozioni e affetti negativi su quest’ultimo (Alvin, 1986). L’approccio musicoterapico è indirizzato verso l’individuo considerandolo nella sua globalità e non verso la sua malattia. Lo scopo sta nell’individuare le risorse interne del paziente per poi andare a svilupparle, così da allontanarle dal processo di isolamento causato dalla patologia oncologica. Questo modo di agire dovrebbe aiutare il paziente a distogliere la sua attenzione dalla patologia, spostandola invece sullo stato di

   

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benessere, permettendogli di fare nuove esperienze e di esprimersi in maniera esclusiva grazie alla relazione e alla creatività. La musicoterapia ha un’azione preventiva, riabilitativa e terapeutica. Proprio grazie a queste caratteristiche il paziente può sperimentarsi, così da migliorare la propria qualità di vita, in termini di socializzazione, riduzione dell’ansia, dello stress e della percezione del dolore. La salute è il risultato dato dalla relazione e dalla comunicazione della rete interdipendente che costituisce il nostro corpo e che comprende diversi sistemi informazionali, quali genetico, ormonale, immunologico, psicologico, relazionale, sociale, ecc. La musicoterapia è focalizzata sul concetto di salute piuttosto che su quello di malattia. Per questo motivo è necessario intendere la salute come un ritmo vitale, un processo continuo tendente all’equilibrio che non può essere automatizzato, ma che implica la possibilità di essere dimentichi di sé. Quando ci si trova in uno stato di salute non si ha la necessità di ricordarsi di stare bene. Una persona affetta da una patologia grave, invece, viene condizionata da essa: si crea, infatti, un meccanismo che la induce a pensare soltanto di essere una persona malata in una situazione di disagio e difficoltà. A causa di ciò il paziente rischia di rimanere confinato dalla malattia, che lo priva delle energie necessarie per reagire, rendendolo così impotente di fronte a quell’entità che rappresenta la sua condanna definitiva. È proprio in quest’ottica che entra in gioco la musicoterapia, che non deve essere vista soltanto come una forma di distrazione da paura o da pensieri di morte. L’arteterapia aiuta il paziente a migliorare il senso di autoefficacia, rendendolo cosciente che è ancora in grado di dare significato a dei suoni, che può ancora emozionarsi ascoltando una canzone; tutto questo nella consapevolezza che finché sarà in vita non sarà mai solo. La musicoterapia può avere una grande efficacia e si pone come uno dei possibili strumenti per realizzare il difficile processo del prendersi cura, mantenendo alta la dignità della persona e conservandone una migliore qualità di vita fino all’ultimo istante della sua esistenza (Gadamer, 1994). In questa tabella sono presentate alcune tecniche musicoterapiche utilizzate in ambito oncologico:

Figura  1    Mahon,  Mahon,  2011  

 

   

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Musica e cervello Per poter spiegare gli effetti che la musica può avere sul nostro corpo e sulla nostra mente è necessario conoscere un po’ di anatomia, in particolare correlata alle aree cerebrali che si attivano durante l’ascolto di suoni o di musica. L’udito è uno dei primi sensi che durante il periodo di gravidanza si sviluppa. Infatti, a soli quattro mesi e mezzo, il feto è in grado di reagire a stimoli acustici. Wulf (2002) afferma che, attraverso l’udito, il bambino entra in rete, instaura un contatto col mondo. Si creano associazioni tra le tracce mnesiche delle prime percezioni e i nuovi rumori. L’udito, a differenza della vista, mantiene un contatto continuo con l’ambiente, anche durante la notte. L’apparato uditivo è costituito da due strutture: una centrale e una periferica. La periferica comprende l’orecchio esterno e medio (padiglione auricolare, membrana timpanica, cassa timpanica) e l’orecchio interno (organo del corti e nervo acustico). La parte centrale comprende il nervo acustico o cocleare, i nuclei uditivi, le fibre del tronco encefalico e le aree uditive centrali. Lo scopo dell’organo sensoriale uditivo è quello di trasformare stimoli acustici o sonorità in stimoli o segnali nervosi. Questo fenomeno è chiamato trasduzione ed elabora la quasi totalità dei suoni che arrivano all’orecchio e che possono arrivare a 109-11bit/sec1. Le sonorità che vengono trasmesse possono immediatamente generare delle reazioni mediante alcuni riflessi (riflesso cocleopalpebrale), in alternativa, a livello della via uditiva centrale, subiscono una profonda elaborazione, detta ottimazione, mediante il fenomeno della percezione uditiva. Questa riduce il numero di stimoli nervosi (fino ad alcune centinaia di bit al secondo), seleziona gli stimoli più significativi per ogni individuo (a dipendenza dell’educazione e dell’esperienza di ciascuno), prepara il materiale di informazione sonora per attività riflesse superiori soprattutto per quelle legate all’emotività e ai sentimenti, prepara il materiale di informazione sonora per un ascolto cosciente/percezione, per una sua memorizzazione. La percezione uditiva è un’abilità che si sviluppa lungo tutto l’arco della vita, con un massimo compreso tra i tre e gli otto anni. Le modalità di elaborazione percettiva variano in ogni individuo, in ogni individuo a dipendenza del momento, a dipendenza dei gruppi culturali. Ciò non avviene per quanto riguarda il fenomeno di trasduzione. L’apparato uditivo è sensibile a frequenze comprese tra 20 e 16.000 hertz ed un’intensità compresa tra 25 e 100/120 decibel.

                                                                                                               1  Il bit è la minima unità d’informazione trasmissibile.  

   

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Orecchio esterno Il padiglione auricolare raccoglie e convoglia le onde acustiche. Riceve suoni con una lunghezza d’onda uguale o inferiore alla sua grandezza. Grazie alle circonvoluzioni del padiglione auricolare, l’orecchio esterno contribuisce alla localizzazione della fonte dell’emissione sonora. Il meato acustico esterno permette all’onda di percezione di raggiungere l’orecchio medio. All’interno del meato acustico, per motivi anatomici, vi è una dispersione delle frequenze e la pressione sonora viene riflessa dai tessuti circostanti. Infatti solo il 3% della pressione viene assorbita dalla membrana timpanica per poi essere messa in vibrazione. La membrana del timpano separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio ed è innervata dal nervo vagale. Questo nervo costituisce buona parte del sistema parasimpatico che, col sistema simpatico, costituisce il sistema nervoso autonomo.

Orecchio medio Questa parte dell’orecchio è collegata alla parte posteriore della bocca attraverso le trombe di Eustachio, solitamente chiuse da una valvola. La funzione principale di questa zona è quella di trasmettere l’energia sonora all’orecchio interno ed è favorita dalla catena di ossa presente nell’orecchio medio (martello, incudine, staffa). Il martello si trova sulla superficie interna della membrana timpanica e si articola con l’incudine e la staffa, fissata alla finestra ovale, un’apertura del labirinto osseo. La pressione sonora all’ingresso della coclea è quasi uguale a quella che incide sull’orecchio esterno. Questo perché, malgrado la dispersione del suono che avviene nel meato acustico, la pressione esercitata sulla platina della staffa è fino a venti volte superiore a quella applicata sulla membrana timpanica. Ciò permette la trasmissione del suono all’orecchio interno. La maggiore pressione generata per trasmettere il segnale è realizzata agendo sulla forza (martello, incudine e staffa che fanno da leve) e sulla superficie (differenza areale). I muscoli, tensore del timpano e strapedio, regolano la catena degli ossicini e in risposta a stimoli acustici troppo intensi si contraggono riducendo l’efficienza della trasmissione. Questo è chiamato riflesso di attenuazione.

Orecchio interno L’orecchio interno è situato all’interno del labirinto osseo, che comprende la coclea e altre due strutture deputate al mantenimento dell’equilibrio e all’orientamento del corpo nello spazio: il vestibolo e i canali semicircolari.

Figura  2  http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/Enciclopedia_della_Scienza_e_della_Tecnica/VOL_2/2_Udi_2.jpg

   

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La coclea è suddivisa in tre camere contenenti liquido:

- La scala vestibolare, che si rapporta alla base della coclea con l’orecchio medio attraverso la finestra ovale.

- La scala media. - La scala timpanica, che si rapporta alla base della coclea con l’orecchio medio

attraverso la finestra rotonda. La scala vestibolare è separata dalla scala media tramite la membrana di Reissner, mentre la membrana basilare divide la scala media da quella timpanica. La perilinfa è contenuta nella scala vestibolare e timpanica, la scala media contiene invece l’endolinfa. Nella parte finale della coclea la scala media si chiude e la scala timpanica comunica con la vestibolare tramite l’elicotrama. La membrana basilare contiene al suo interno l’organo di Corti, che si occupa della trasduzione delle vibrazioni sonore in impulsi nervosi. In questa struttura sono presenti i ricettori acustici, organizzati in tre serie di cellule ciliate esterne e una serie di cellule ciliate interne, collegate con le fibre nervose uditive del I° neurone che è situato nel ganglio spirale, dando origine al nervo acustico. La membrana tectoria ricopre i recettori acustici, sensibili alle vibrazioni grazie alle terminazioni superiori. La membrana timpanica trasmette alla catena degli ossicini e questi alla coclea l’onda pressoria del suono, che aumenta la pressione della perilinfa creando un’onda che percorre la membrana basilare. Quest’ultima inizia ad oscillare provocando la vibrazione della membrana tectoria che a sua volta induce la vibrazione delle ciglia. In questo punto l’energia meccanica viene trasformata in energia elettrica.

Vie uditive e corteccia acustica Come già citato prima, il nervo acustico nasce dalle cellule del ganglio spirale che si trova nel modiolo della coclea, composto di cellule bipolari. La parte periferica finisce nell’organo Spirale del Corti, mentre la parte centrale costituisce il nervo acustico. Quando viene generato uno stimolo acustico, esso raggiunge l’organo spirale del Corti per poi incanalarsi nel nervo acustico. Il nervo acustico si collega ai nuclei cocleari (dorsale e ventrale) che si trovano nel bulbo e a livello della transizione bulbo-pontina. Si tratta della prima zona di commutazione: le cellule della parte anteriore reagiscono solo a singoli suoni e ritrasmettono i segnali ricevuti quasi inalterati, la parte posteriore elabora invece schemi acustici (inizio o fine di uno stimolo, variazione di frequenza). Le fibre del nervo terminano biforcandosi ai due nuclei. Dalle cellule del nucleo cocleare partono assoni che si dirigono al nucleo olivare superiore di entrambi i lati del tronco encefalico, gli assoni dei neuroni olivari ascendono per il lemnisco laterale e innervano il collicolo inferiore del mesencefalo. I neuroni del collicolo si indirizzano verso il corpo genicolato

Figura  3  http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/la_mente/udito_fig_vol1_012120_002.jpg

   

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mediale, che è definito come una stazione di integrazione uditiva, verso il collicolo superiore, che integra informazioni uditive e visive, e verso il cervelletto. Il talamo agisce da filtro, permettendo la repressione di alcune informazioni ad esempio per distinguere un solo suono all’interno di un insieme. Da questo punto, tramite radiazioni acustiche, i segnali arrivano alla corteccia uditiva. La corteccia uditiva primaria si trova nella prima circonvoluzione del lobo temporale, la corteccia uditiva secondaria circonda quella primaria. Inoltre ci sono delle aree che si occupano dell’associazione uditiva, come l’area di Wernicke, situata nell’emisfero sinistro, che si occupa della percezione del linguaggio.

Aspetti neurovegetativi La modulazione del sistema neurovegetativo può essere conseguente ad una risposta emotiva indotta dall’esperienza musicale. Questo potrebbe far variare la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, il ritmo respiratorio e il riflesso psicogalvanico, cioè le modificazioni di corrente elettrica causate da stimolazione visiva, acustica, olfattiva,… Ci sono diversi fattori da cui dipendono l’intensità e la qualità della risposta neurovegetativa:

- come si dispone il soggetto rispetto all’esperienza di ascolto (abbandono all’ascolto con importante vissuto emotivo; disposizione critica con assenza di emozioni)

- la conoscenza che si ha del brano musicale e il contesto in cui è stato ascoltato; inoltre se un brano viene proposto più volte, la reazione emozionale neurovegetativa viene inibita lentamente

- la reattività individuale

- la recettività emozionale

- il genere musicale Le risposte neurovegetative dipendono inoltre dalla predisposizione di ogni persona a somatizzare su specifici organi o apparati e dall’azione di determinati brani musicali. Emozioni piacevoli e spiacevoli possono determinare un aumento della frequenza cardiaca o delle variazioni della profondità e della frequenza respiratoria. La frequenza cardiaca e il ritmo respiratorio hanno tendenza alla sincronizzazione se nei brani proposti sono presenti “accelerando” o “rallentando”. L’ascolto di brani ballabili aumenta i potenziali d’azione dei muscoli degli arti inferiori, facendo così variare il riflesso psicogalvanico che può anch’esso essere espressione di benessere o malessere (Altenmüller, 2005; Galimberti, 2003; Giordano et al., 1999; Manarolo, 2006).

Figura  4  http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/la_mente/sistema_neurovegetativo_fig_vol1_008230_001.jpg

   

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Cure palliative e oncologia Il termine palliativo deriva dal latino “pallium” che significa mantello. In passato il pallium era il mantello che veniva offerto ai viandanti per proteggersi dal freddo durante le soste del loro cammino (Bernardi Zucca, 2015, lezione 23 febbraio). L’Organizzazione Mondiale della Salute ha definito le cure palliative in questo modo: “Le cure palliative sono un approccio atto a migliorare la qualità di vita dei pazienti, confrontati con una malattia inguaribile ed evolutiva, e dei loro familiari, attraverso la prevenzione e l’alleviamento della sofferenza, ottenuti grazie alla precoce identificazione, alla valutazione accurata ed al trattamento del dolore e dell’insieme dei problemi fisici, psicosociali e spirituali” (OMS, 2011). Le cure palliative girano attorno ad alcuni punti essenziali: favorire un buon controllo dei sintomi e lenire ed alleviare il dolore, è importante instaurare una relazione con la persona malata e con i familiari; non bisogna prendersi cura soltanto del corpo, ma bisogna considerare la persona in tutti i suoi aspetti e, in quest’ottica, il lavoro d’equipe è molto importante per garantire un servizio adeguato e di qualità. Il lavoro su sé stessi è anche necessario per far fronte alle situazioni spesso emotivamente toccanti che quest’ambito ci pone (Walter Veri, 2015, lezione 23 febbraio). Nell’ambito delle cure palliative bisognerebbe riuscire ad avere una visione più olistica della medicina integrando nella cura quelle potenzialità che non si rifanno esclusivamente ad un paradigma scientifico, ma che seguono visioni più tradizionali. Così facendo ci si concentra sulle risorse interne della persona piuttosto che sul debellare la malattia, in questi casi inguaribile. Nel caso di pazienti terminali, questo è un concetto centrale per mantenere alta la qualità di vita fino all’ultimo (Möller, 2013; Bertini, 2013). Con questo tipo di cure ci si propone di alleviare le sofferenze rispettando i desideri del paziente, permettendogli di mantenere alta la sua qualità di vita fino alla morte. Inoltre prendono in considerazione gli aspetti sociali, morali, spirituali e religiosi così da conferire dignità al percorso che porta alla fine della vita. In ambito palliativo non vengono somministrati farmaci o trattamenti con lo scopo di provocare la morte e non si adottano provvedimenti volti a prolungare la vita ad ogni costo. In più, un’équipe interdisciplinare si occupa di dispensare le cure, occupandosi del comfort del malato e delle persone a lui vicine (Bernardi Zucca, 2015, lezione 23 febbraio).

Interprofessionalità L’interprofessionalità presuppone la cooperazione di diversi gruppi professionali. Infatti la collaborazione tra i diversi operatori socio-sanitari è uno dei punti che caratterizza l’ambito delle cure palliative. Per favorire il raggiungimento dell’interprofessionalità sono necessari sia il riconoscimento reciproco e l’apprezzamento delle rispettive competenze ed esperienze, sia lo scambio di informazioni. La rete che si forma tra i professionisti e le istituzioni coinvolte garantisce che ci sia una continuità del trattamento e dell’assistenza. Il team interprofessionale, può comporsi di personale sanitario di provenienza universitaria e non. Nel gruppo interprofessionale sono integrati professionisti del campo sociale e psicologico, assistenti spirituali o altre figure professionali. Anche i familiari e i caregiver della persona malata possono fornire cure palliative ed è per questo motivo che devono essere integrati nel team (Binder, von Wartburg, 2011). Una presa a carico multidisciplinare è necessaria poiché ognuno dei diversi professionisti ha le proprie competenze: non tutti possono e devono fare tutto, perciò, per evitare di sobbarcarsi di compiti non relativi al proprio ruolo e rendere così le azioni

   

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di cura superficiali e dispersive, sarebbe meglio attenersi alle proprie competenze principali per assicurare un lavoro di qualità, senza però escludere l’integrazione delle abilità degli altri professionisti. (Reinholz, 2015, lezione 27 febbraio).

Ruolo del fisioterapista La fisioterapia in cure palliative è spesso descritta come un lusso, un diversivo o un surplus. Tuttavia, la letteratura e i bisogni dei pazienti danno una controprova. Abilitare significa permettere; perciò la riabilitazione è qualcosa che permette di “fare di nuovo”, ad esempio il poter praticare determinate attività. Il fisioterapista, utilizzando il ragionamento clinico, deve valutare le risorse residue dei pazienti in cure palliative per poter in seguito lavorare facendo leva su queste. Il lavoro sulle capacità residue del paziente implica che ci sia un controllo efficace dei sintomi, sui quali anche il fisioterapista può incidere. Sintomi comuni come dispnea, dolore, edemi, fatica o l’inquietudine nei confronti dell’attività, possono essere attenuati grazie all’intervento dei fisioterapisti, in modo efficace, economico, con effetti secondari limitati e dei positivi effetti psicosociali. I fisioterapisti possono inoltre individuare le numerose degradazioni di ordine fisico e, collaborando con l’équipe multidisciplinare, attuare le misure terapeutiche adeguate. Il fisioterapista dovrebbe avere delle attitudini comunicative solide e una specifica formazione. Inoltre, il suo approccio deve essere flessibile perché lo stato dei pazienti subisce variazioni frequenti. I sintomi, le diagnosi dei diversi professionisti, gli obiettivi del paziente, la qualità di vita e le situazioni specifiche devono essere analizzate in un contesto più ampio per avere un’utilità. Se si prende sul serio il compito che consiste nel favorire l’indipendenza del paziente, è necessario dare a lui e ai suoi parenti un ruolo attivo nel processo di cura: il trattamento non deve essere messo in atto “sul” paziente, ma “con” esso. Il lavoro in cure palliative è probabilmente l’area di applicazione della fisioterapia più viva (Simader, 2013).

Il dolore in oncologia Uno degli obiettivi principali nell’ambito delle cure palliative riguarda la terapia del dolore cronico. Quando ci si trova di fronte ad una persona che presenta una malattia in stadio molto avanzato, il trattamento antalgico è necessario per diversi motivi: il dolore progredisce con l’evolvere della patologia e ci si deve poi confrontare con una combinazione di diversi meccanismi di dolore che bisogna prendere a carico e trattare in maniera diversa. L’impossibilità di muoversi e l’allettamento obbligato possono causare nuovi dolori (piaghe da decubito, retrazione muscolare,…) e accrescere quelli già presenti, la funzionalità degli organi peggiora in poco tempo complicando il trattamento farmacologico, mentre i fattori psico-socio-spirituali contribuiscono a configurare il vissuto complessivo del dolore; inoltre le misure farmacologiche e non, devono essere verificate in base al rapporto effetti desiderati/effetti indesiderati. Per effettuare una corretta diagnosi del dolore bisogna tener conto di alcune considerazioni diagnostico-differenziali, comprendenti le sindromi dolorose dovute al tumore (78%), le sindromi dolorose dovute ai trattamenti (19%), le sindromi dolorose indipendenti dal tumore e dai trattamenti (3%). Nella prima categoria possiamo trovare, ad esempio, metastasi ossee, compressioni o infiltrazioni di nervi, compressione di organi cavi o metastasi in organi interni; nella seconda si collocano gli interventi chirurgici, la radioterapia, la chemioterapia, mentre nella terza s’intendono sindromi

   

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dolorose come artrosi/artrite, nevralgie posterpetiche o altre neuropatie dovute a diabete, etilismo, ecc. (Neuenschawander, 2007). Il dolore è una sensazione soggettiva ed è presente ogni volta che la persona lo esprime. Per questo è necessario effettuare una valutazione globale bio-psico-socio-spirituale, cioè una valutazione multidimensionale. Il merito di questa visione si deve a Cicely Saunders che nel 1967 coniò l’espressione dolore globale o total pain, cioè una “Sofferenza intensa e persistente che destabilizza l’ammalato sia sul piano fisico, psicologico, esistenziale che sul piano sociale” (Palumbo, 2015, lezione 26 febbraio). Infatti, a differenza del dolore acuto, che si presenta come segnale d’allarme scatenato da un’alterazione organica ed è considerato come un sintomo, il dolore cronico, che dura a lungo nel tempo (>3 mesi) o che permane oltre il tempo normale di guarigione, diventa una vera e propria malattia che deve essere trattata esaminando ogni singola dimensione. Il dolore da moderato a severo è presente nel 70-80% dei casi in pazienti oncologici con malattia avanzata. Il 40-80% di pazienti di cure palliative con malattia in fase avanzata e dolore di base controllato, presenta delle esacerbazioni dolorose transitorie che hanno un’intensità moderata o severa, chiamate breakthrough pain. Per migliorare la qualità di vita di questi pazienti è necessario riconoscere questo tipo di dolore così da prenderlo in carico attivamente e in modo rapido (CC SCP, 2014). La dimensione fisica (bio) si riferisce a ciò che prova il paziente, come reagiscono le componenti prettamente legate al corpo; la dimensione psichica (psico) si riferisce alle sensazioni, ai ricordi e a tutto quello che la malattia suscita a livello psicologico; la dimensione sociale (socio) riguarda la modifica del ruolo della persona nel suo contesto socio-culturale, la relazione con l’ambiente, con il partner, la famiglia e le altre persone in generale; la dimensione spirituale comprende le domande esistenziali e di natura trascendentale che ognuno di noi si pone a un certo punto della vita. Prima di qualsiasi trattamento è necessario tenere presenti anche le esperienze con terapie precedenti così da prevedere ostacoli e possibilità di miglioramento. Per quanto riguarda la dimensione fisica si rileva la localizzazione, la durata, la qualità del dolore e i fattori scatenanti e influenti, durante il movimento e a riposo. Bisogna fare una differenziazione tra dolori nocicettivi e dolori neuropatici. Il dolore nocicettivo può essere somatico o viscerale, mentre il dolore neuropatico può essere causato da dolori disestesici (da deafferentazione) o dolori nevralgici. Un dolore somatico si caratterizza per i sintomi costanti o intermittenti, tormentosi, occasionalmente spasmodici e localizzati con precisione. Un dolore viscerale invece è caratterizzato dalla costanza del sintomo, che può essere trafittivo, costrittivo, spasmodico ed è mal localizzato, spesso riferito o irradiante. Un dolore disestesico è stabilmente urente e talvolta irradiante, mentre un dolore nevralgico dà dolori urenti improvvisi ed elettrizzanti molto forti. I dolori nocicettivi possono essere scatenati e/o esacerbati da movimenti o posture. Nella dimensione psichica una persona può incorrere in fattori psichici di stress come cambiamento dell’umore, frustrazione, distorsione dell’immagine di sé, complessi di inferiorità, paura della morte, disturbi del sonno, depressione, ecc. Per attuare una giusta terapia farmacologica del dolore è importante indagare i punti sopra citati (Neuenschawander, 2007). Si dovrebbero favorire e incentivare le risorse e le potenzialità stesse del paziente per una miglior gestione dei sintomi e per aiutarlo ad elaborare in modo adeguato gli eventi stressanti. Per questo motivo bisogna mantenere un costante dialogo col paziente e le persone di riferimento. La dimensione sociale mette l’ambiente che circonda il paziente in primo piano. I bisogni e le abitudini giornaliere della persona sono un punto centrale di questa

   

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dimensione e si cerca di rafforzare l’autonomia e le risorse della persona. Un ruolo fondamentale è attribuito alle persone di riferimento, alla cerchia di amici e conoscenti, alla situazione abitativa, alla situazione finanziaria e inerente alle assicurazioni sociali, all’organizzazione dei lavori domestici, all’accudimento dei bambini, al lavoro, alla scuola e al tempo libero (Binder, von Wartburg, 2011). È importante comprendere come il dolore incida sulla qualità di vita della persona, così da poter definire gli obiettivi della terapia antalgica. Ci sono alcuni aspetti rilevanti che influiscono sul total pain, quali il ritiro sociale e la riduzione dei ruoli, l’alterazione qualitativa e quantitativa dei contatti interpersonali, la diminuzione delle possibilità di auto-aiuto, le preoccupazioni finanziarie e sul futuro dei familiari. All’interno della dimensione spirituale si trovano i rancori sul proprio vissuto e le preoccupazioni sulla propria sorte, la sensazione di inutilità e di vuoto interiore, la ribellione. Anche queste variabili possono influenzare notevolmente il vissuto del dolore (Neuenschawander, 2007). Un accompagnamento spirituale può favorire il miglioramento della qualità di vita soggettiva e preservare la dignità della persona di fronte alla malattia, alla sofferenza e alla morte. Inoltre, tiene conto della biografia e del sistema personale di valori e credenze della persona (Binder, von Wartburg, 2011).

METODOLOGIA

Giustificazione, scopo, obiettivi Gli obiettivi che mi sono prefissato per questo lavoro sono i seguenti: come viene gestito e che caratteristiche ha il dolore in ambito oncologico, quali metodi di trattamento vengono presi in considerazione e come incidono sulla qualità di vita della persona, verificare se la musicoterapia può essere d’aiuto in cure palliative nell’alleviare il dolore e nel miglioramento della qualità di vita. L’ipotesi da cui sono partito è questa: la musicoterapia porta beneficio a persone affette da una patologia oncologica per quanto concerne il dolore e la qualità di vita. L’ipotesi nulla è che la musicoterapia non incida in alcun modo su queste due variabili.

Domanda di ricerca del lavoro di Bachelor La domanda che mi son posto e alla quale mi piacerebbe rispondere elaborando la mia tesi è: “La musica ha un effetto sulla modulazione del dolore e sulla qualità della vita di pazienti affetti da patologia oncologica?” Perciò con questa revisione intendo indagare se, grazie alla musica, si può ottenere un riscontro positivo sulla percezione del dolore e sulla qualità di vita in pazienti oncologici.

Scelta della metodologia Essendo il tema che ho scelto molto ampio e ancora in fase di sviluppo e avendo io poca esperienza in questo campo, ho pensato di svolgere una revisione della letteratura. Per impostarla ho utilizzato il libro di testo citato in bibliografia (Kumar, cap.3, 2014).

   

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Messa in atto della metodologia

Definizione del quesito di ricerca La domanda su cui si basa la ricerca è: “La musica ha un effetto sulla modulazione del dolore e sulla qualità della vita di pazienti affetti da patologia oncologica?”

Criteri d’inclusione • PICO; P: adulti affetti da patologie oncologiche, I: musicoterapia, O: dolore e

qualità di vita. • Articoli su banche dati, su riviste, tesi altrui. • Studi pubblicati dopo l’anno 2000. • Studi in italiano, inglese. • Studi primari e review perché la quantità degli studi in questo campo è ancora

limitata. • Pazienti adulti • Studi provenienti da tutto il mondo

Strategia di ricerca • Database utilizzati: “Pubmed”, “CINAHL”, “Cochrane Library”, “Medline”, “Pedro”. • Editori: “Elsevier (Science Direct)”, “Springer Link/Kluwer”, “SAGE Research

Methods Online”. • Stringa di ricerca:

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• Operatori boleani utilizzati: “AND” e “OR”. • Utilizzando questa stringa di ricerca sono arrivato a trovare 8 articoli utilizzabili

per svolgere una revisione della letteratura sull’argomento da me scelto. PubMed: trovati 218 articoli, inserendo i seguenti filtri “human”, “anno pubblicazione da 01.01.2000 a 31.12.2015”, “adult 19+ years” ne sono stati esclusi 140, rimanendo perciò con 78 articoli. Di questi 78 ho fatto una selezione in base al tema di interesse del mio lavoro e sono arrivato a selezionarne 6, presenti nella mia tabella. CINAHL: trovati 473 articoli, inserendo i seguenti filtri “tutti i database”, “human”, “anno pubblicazione January 2000-December 2015”, “age group: all adult” ne sono stati esclusi 177, rimanendo perciò con 296 articoli. Di questi 296 ho fatto una selezione in base al tema di interesse del mio lavoro e sono arrivato a selezionarne 6, di cui 4 già presenti in PubMed.

• Ho utilizzato la bibliografia degli articoli in mio possesso per trovare ulteriori articoli da poter utilizzare.

Studi esclusi Sono stati esclusi tutti gli studi che si riferiscono all’applicazione della musicoterapia in psichiatria, con persone affetta da autismo, in quanto l’area di interesse è quella

   

15  

oncologica e di cure palliative; escluso anche l’intervento musicoterapico in ambito pediatrico perché l’area che vorrei indagare si riferisce alla fascia d’età adulta; articoli che parlano dell’utilizzo della musicoterapia pre/post-interventi chirurgici per ridurre l’ansia, musicoterapia per favorire il rilassamento muscolare, la fatica e alleviare lo stress, sono stati anch’essi esclusi.

Studi inclusi Gli studi inclusi nella ricerca sono 8 ed hanno un range di pubblicazione che va dal 2003 al 2014. Sono compresi 3 studi di controllo randomizzati, 2 studi quantitativi, 1 studio pilota, 1 introduzione alla musicoterapia, 1 presentazione di caso. La provenienza degli studi è variata: 5 USA, 2 Taiwan, 1 Italia. Sono stati inclusi nella revisione gli studi che descrivono il ruolo che può aver la musica in cure palliative e in cui sono presenti dei riscontri riguardo gli effetti della musicoterapia sul dolore e sulla qualità di vita in pazienti con patologie oncologiche.

   

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Sintesi degli articoli

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RISULTATI

Contenuto degli studi Negli studi presi in considerazione, sono stati utilizzati diversi metodi per condurre le ricerche. Gli obiettivi presentati da ognuna di esse sono abbastanza variati, essendo la musicoterapia in ambito oncologico una disciplina in fase di sviluppo ed essendo il mondo della musica ricco di diversità e quasi sempre in evoluzione. Negli articoli trovati, si vuole valutare l’effetto della musicoterapia su pazienti con malattie avanzate in cure palliative (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006), determinare se la musicoterapia può influenzare il sistema nervoso simpatico e parasimpatico ed avere un effetto sulla fatigue, sul comfort e sul rilassamento in persone affette da cancro (Chih-Yuan, Wei-Ru, Pei-Chun, Shuenn-Tsong, 2010), investigare se la musica ha un efficacia nell’alleviare il dolore in pazienti oncologici (Huang, Good, Zauszniewski, 2010; Gutgsell, Schluchter, Margevicius, DeGolia, McLaughlin, Harris, Mecklenburg, Wiencek, 2013; Burrai, Micheluzzi, Bugani, 2014) e osservare se la musicoterapia ha un effetto sulla qualità e sulla lunghezza della vita di queste persone (Hilliard, 2003). Andando a ricercare sul sito ufficiale della Federazione Mondiale di Musicoterapia ho costatato che durante il 14° congresso mondiale di musicoterapia, tenutosi dal 7 al 12 luglio 2014 in Austria, sono state presentate soltanto cinque ricerche concernenti la musicoterapia in ambito oncologico. Questo dato può far capire come la ricerca in questo campo sia ancora agli albori, anche se la letteratura concernente l’uso della musicoterapia con pazienti malati terminali o cronici è in continua crescita (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006). Come accennato inizialmente, le metodologie adottate sono svariate: nello studio svolto da Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand (2006), “The clinical effects of music therapy in palliative medicine” le sessioni di musicoterapia, comprendenti ognuna una valutazione e un intervento, sono state condotte da un musicoterapista certificato o da uno studente in musicoterapia guidato dal professionista. Gli obiettivi sono stati selezionati in modo da soddisfare non solo i bisogni del paziente, ma anche le esigenze dei familiari presenti durante la sessione; inoltre, sono stati presi in considerazione anche gli obiettivi che il musicoterapista ha ritenuto opportuno inserire. Per la raccolta dei dati sono state utilizzate sia all’inizio che alla fine di ogni seduta la Rogers’ Happy/Sad Faces Assessment Tool2 e la Visual Analog Scale (VAS) per indagare diversi sintomi, tra i quali si trovano ansia, depressione, dolore e mancanza di respiro. Inoltre è stata utilizzata una scala comportamentale adattata dalla Riley Infant Pain Scale e dalla Nursing Assessment of Pain Intensity per analizzare le espressioni facciali, i movimenti del corpo, il sonno e la verbalizzazione dei pazienti. Una popolazione di 23 donne è stata selezionata nello studio svolto da Chih-Yuan, Wei-Ru, Pei-Chun, Shuenn-Tsong (2010), “Effects of music therapy on subjective sensations and heart rate variability in treated cancer survivors, a pilot study”. Per essere incluse, le pazienti dovevano rispettare determinati criteri: i trattamenti chirurgici e la chemioterapia dovevano essere stati completati da almeno 6 mesi, non dovevano avere storie pregresse di problemi psichiatrici e le funzioni cognitive dovevano essere intatte. All’inizio della procedura si sono lasciati cinque minuti di riposo alle pazienti per stabilizzare la frequenza cardiaca e respiratoria, dopodiché è stato fatto un

                                                                                                               2  Scala  formata  da  cinque  facce  usata  per  indagare  l’umore  prima  e  dopo  la  seduta  di  musicoterapia.  

   

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elettrocardiogramma (ECG) ed è stata utilizzata la Visual Analog Mood Scale (VAMS) per misurare il livello di comfort, fatica e rilassamento. Lo stesso procedimento è stato messo in atto dopo l’intervento di musicoterapia della durata di due ore. La sessione consisteva in tre attività: la prima era volta ad instaurare un rapporto tra terapisti e partecipanti attraverso l’ascolto e il canto; la seconda attività consisteva nell’imparare a suonare degli strumenti semplici per far acquisire ai partecipanti sicurezza di sé; nella terza, l’obiettivo era quello di suonare le principali cinque note di “Grandfather’s clock”, accompagnati dal terapista alla tastiera. Lo scopo delle attività proposte era quello di incoraggiare le partecipanti ad esprimere sé stesse e di provare emozioni positive suonando. Nello studio svolto da Huang, Good, Zauszniewski (2010), “The effectiveness of music in relieving pain in cancer patients, a randomized controlled trial”, sono stati selezionati, in due centri ospedalieri di Kaoshiung City, uomini e donne di maggiore età provenienti dai reparti di oncologia, cure palliative e unità per il recupero respiratorio e gastrointestinale, con una diagnosi di cancro e con un livello di dolore maggiore o uguale a 3 su una scala da 1 a 10. I pazienti dovevano essere di lingua inglese o taiwanese ed essere in grado di dare il proprio consenso per la partecipazione alla ricerca. Sono stati esclusi i pazienti che nel mese precedente hanno subito un intervento chirurgico. Da 482 pazienti ne sono stati estratti 187, e di questi 187 soltanto 129 hanno dato il proprio consenso per lo svolgimento della ricerca. Il campione finale era composto da 126 persone di cui 62 inserite nel gruppo sperimentale e 64 nel gruppo di controllo. Il range di età andava dai 18 agli 85 anni. Più della metà dei pazienti presentava un tumore allo stadio IV (54%) e il 64% del campione aveva un cancro metastasico. La musica utilizzata per il gruppo sperimentale aveva caratteristiche ben precise: sono state utilizzate quattro audiocassette, due contenenti musica buddhista e folk taiwanese e due contenenti musica americana per arpa e pianoforte. Era presente un’importante componente melodica e i BPM erano compresi tra 60 ed 80. Il volume e l’intonazione erano controllati. L’ascolto è avvenuto per mezzo di auricolari per permettere alle persone coinvolte di concentrarsi di più ed evitare di disturbare gli altri. Il 71% ha scelto musica orientale, mentre solo il 29% ha scelto quella occidentale. Durante la sperimentazione, durata trenta minuti, è stata misurata l’intensità del dolore provocata dal cancro percepita nelle ultime ventiquattro ore e alla fine del test, i farmaci somministrati e in circolo durante la prova, le tipologie di risposte alla musica e le variabili demografiche. Il grado di dolore è stato indagato tramite l’utilizzo della scala VAS; per escludere eventuali interferenze con l’intervento musicoterapico, è stato monitorato l’effetto dei farmaci assunti in precedenza, registrando nome, frequenza, dosaggio di questi. Infine sia il gruppo sperimentale, sia il gruppo di controllo sono stati invitati a commentare la propria esperienza riguardo la fruizione musicale. Solo al gruppo sperimentale è stata sottoposta un’intervista riguardo l’efficacia della musicoterapia. Nello studio di Burrai, Micheluzzi e Bugani, “Effects of Live Sax Music on Various Physiological Parameters, Pain Level, and Mood Level in Cancer Patients, A Randomized Controlled Trial”, svolto nel 2014, si sono voluti indagare gli effetti della musica live, prodotta per mezzo di un sax, sui parametri fisiologici, sul livello del dolore e dell’umore in pazienti affetti da cancro. Sono state escluse le persone con problemi di udito, deficit cognitivi e un’aspettativa di vita minore di un mese. Le misure di outcome

   

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utilizzate sono state le seguenti: il livello dell’umore, misurato tramite VAS da 0 a 10, dove 0 indicava un umore positivo e 10 lo stato d’animo percepito dal paziente come peggiore in assoluto; il livello di dolore, misurato tramite VAS da 0 a 10, dove 0 indicava assenza di dolore e 10 il dolore peggiore; pressione sistolica e diastolica e frequenza cardiaca, misurate con un apparecchio digitale; la glicemia e la saturazione (misurate attraverso l’uso di apparecchi specifici). I pazienti randomizzati sono stati 52, 26 assegnati al gruppo di controllo e 26 al gruppo sperimentale. Un’infermiera con una formazione olistica e con abilità musicali ha suonato il sax ai pazienti appartenenti al gruppo di musica. Tutti gli interventi musicali sono stati eseguiti in una camera singola col paziente sdraiato sul letto e la porta chiusa. All’interno di questa stanza il paziente è stato invitato a scegliere 5 o 6 brani con stili e generi differenti. Dopodiché i brani scelti venivano suonati al sassofono per una durata complessiva di trenta minuti. I pazienti del gruppo controllo al posto della mezz’ora di musica rimanevano a riposo nel letto in silenzio. In uno studio svolto nel 2013 allo University Hospital Case Medical Center di Cleveland, dai ricercatori Gutgsell, Schluchter, Margevicius, DeGolia, McLaughlin, Harris, Mecklenburg, Wiencek, “Music therapy reduces pain in palliative care patients, a randomized controlled trial”, si è voluto indagare se la musica potesse avere un effetto sulla riduzione del dolore di pazienti degenti in cure palliative. I criteri per includere i pazienti nello studio sono stati i seguenti: diagnosi di una malattia avanzata e potenzialmente mortale, popolazione dai diciotto anni in su, dolore superiore o equivalente a 3 su una scala di valutazione numerica (NRS) da 0 a 10, capacità di comprendere l’inglese, pazienti vigili ed orientati a persone e luoghi e capaci di valutare il proprio dolore sulla scala numerica. La NRS è stata presa in considerazione come outcome primario. Come outcome secondario è stata usata la scala Face, Legs, Activity, Cry, Consolability (FLACC), che valuta il comportamento del paziente rispetto al dolore osservando i suoi atteggiamenti. Il punteggio totale è compreso tra 0 e 10, e ad ogni variabile suddetta si può attribuire un punteggio che va da 0 a 2. Un altro outcome secondario utilizzato è stata la Functional Pain Scale (FPS); questa scala valuta sia la percezione soggettiva del dolore provato dal paziente, sia il suo impatto sulle attività giornaliere. I punteggi delle varie scale sono stati sondati prima e dopo la seduta da un’infermiera specializzata. L’intervento è stato svolto da una musicoterapista professionista per una durata di 20 minuti. All’inizio della seduta sono state date indicazioni verbali per il rilassamento autogeno: per circa un minuto il paziente ha dovuto prestare attenzione al proprio respiro, in seguito, la musicoterapista ha guidato il paziente nello svolgimento di un rilassamento muscolare autogeno. Dopo questa procedura il paziente è stato invitato ad immaginare un luogo a sua scelta, di immaginare odori, suoni, sapori e sensazioni presenti in questo posto. A questo punto, la musicoterapista ha informato il/la paziente che avrebbe iniziato a suonare l’ocean drum (inizialmente è stato chiesto ai partecipanti se avessero gradito o meno un’introduzione musicale con questo strumento, prima di passare all’ascolto dell’arpa), per passare poi all’arpa, così da favorire l’esplorazione del luogo immaginato. Il brano riprodotto all’arpa è stato scelto dalla terapista in base alla propria esperienza ed è stato lo stesso per tutti i pazienti del gruppo sperimentale. Alla fine della seduta i pazienti sono stati invitati ad abbandonare il luogo immaginario per rientrare nella stanza d’ospedale, con la consapevolezza che quel luogo di salvezza è stato frutto di una loro ricerca interiore, e che avrebbero potuto ritornarci in ogni momento. Dopo la valutazione del dolore svolta dall’infermiera, la musicoterapista è

   

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rientrata in camera del paziente per terminare la seduta di trattamento, offrendo un CD contenente i brani utilizzati. Nel gruppo di controllo la musicoterapista ha semplicemente invitato il paziente a rilassarsi, senza nessun’altra spiegazione concernente il rilassamento muscolare autogeno e senza accompagnamento musicale, ed è uscita dalla stanza. Dopo venti minuti, la stessa infermiera ha valutato il dolore tramite le tre scale di misurazione, e la musicoterapista, finito il test, ha comunque concesso una seduta di musicoterapia e consegnato il CD alle persone del gruppo di controllo. Infine, lo studio di Hillard, “The effects of music therapy on the quality and lenght of life of people diagnosed with terminal cancer”, svolto nel 2003, ha voluto valutare l’effetto della musicoterapia sulla qualità di vita, sulla lunghezza della vita, sullo stato fisico e sul rapporto tra l’evento della morte e l’ultimo intervento musicoterapico. Sono stati selezionati 80 pazienti con una diagnosi di cancro, svolta da almeno due medici, e con una prognosi di vita di sei mesi o meno. Le persone selezionate, facenti parte della fascia d’età adulta, erano state recentemente ammesse in hospice, benché continuassero ad abitare nelle loro case. Sono stati scelti in numero eguale uomini e donne con un’età di circa 65 anni. I criteri di inclusione per la partecipazione alla ricerca erano i seguenti: diagnosi di cancro, soggetti adulti, soggetti risiedenti nelle loro case, soggetti con una speranza di vita di almeno 2 settimane, inoltre, i partecipanti dovevano essere in grado di rispondere a domande riguardanti la qualità di vita percepita ed essere consenzienti alla partecipazione. Sono stati creati due gruppi: un gruppo di controllo (N=40), ricevente le cure di routine dell’hospice (cure mediche, assistenza a casa per la cura personale, supporto spirituale, supporto psicologico), e un gruppo sperimentale (N=40), ricevente le cure di routine dell’hospice più la musicoterapia. Le variabili indipendenti erano le cure fornite dall’hospice e la musicoterapia, mentre quelle dipendenti erano la qualità della vita, misurata tramite la Hospice Quality of Life Index-Revised (HQLI-R) e la Palliative Performance Scale (PPS), la lunghezza della vita e la relazione tra il momento della morte e l’ultima visita del musicoterapista, misurate entrambe in giorni. All’ammissione in hospice i pazienti sono stati valutati da un’infermiera così da verificare i criteri di inclusione allo studio. Se il paziente veniva inserito nel gruppo di controllo, un consulente di supporto alla famiglia andava in visita dalla persona interessata per completare la valutazione psicosociale. Durante la visita veniva spiegata la natura dello studio e si rispondeva ad eventuali domande. Alla fine della visita veniva fatto compilare l’HQLI-R. Il consulente decideva di conseguenza con che frequenza passare (settimanalmente o due volte al mese) a fare la visita e a far compilare l’HQLI-R. Se, invece, il paziente veniva assegnato al gruppo sperimentale, era direttamente il musicoterapista a fargli visita a domicilio, così da effettuare una valutazione musicoterapica. Durante la prima visita, in questo caso, era il musicoterapista ad occuparsi delle spiegazioni sulla natura dello studio e a rispondere ad eventuali domande. Dopo la valutazione, il musicoterapista ha condotto anche una seduta live di musicoterapia. Infine è stato fatto compilare l’HQLI-R. Questo questionario veniva sottoposto ai pazienti del gruppo sperimentale ad ogni seduta di musicoterapia. Per entrambi i gruppi, un’infermiera sottoponeva la PPS entro 48 ore dall’ammissione in hospice. I musicoterapisti impegnati in questo studio hanno usato diverse tecniche musicoterapiche, tra le quali si ritrovano: la scelta di canzoni da parte dell’utente, la

   

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reminiscenza indotta dalla musica, il canto, l’ascolto di musica live, l’analisi di testi, suonare uno strumento, eccetera. Tutti i partecipanti hanno ricevuto almeno due sessioni di musicoterapia.

Risultati ottenuti Da questi studi emerge che la musica può avere degli effetti benefici sulle quattro sfere, citate nel background, che costituiscono l’essere umano: la sfera biologica, la sfera psicologica, la sfera sociale e la sfera spirituale. L’ipotesi iniziale è la seguente: la musicoterapia può portare beneficio a persone affette da una patologia oncologica per quanto concerne il dolore e la qualità di vita. Dai risultati che sono emersi dagli studi presi in considerazione si può concludere affermando la valenza dell’ipotesi iniziale ed escludendo quindi l’ipotesi nulla. Le metodologie adottate sono state diverse e così anche i risultati ottenuti. In quattro studi si è potuta riscontrare una diminuzione della percezione del dolore da parte dei pazienti sottoposti a musicoterapia (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006; Huang, Good, Zauszniewski, 2010; Gutgsell, Schluchter, Margevicius, DeGolia, McLaughlin, Harris, Mecklenburg, Wiencek, 2013; Burrai, Micheluzzi, Bugani, 2014). Per quanto riguarda la qualità di vita, soltanto uno studio di quelli trovati ne parla ed il risultato è abbastanza interessante: nello studio svolto da Hillard (2003), si è constatato come la qualità di vita aumentasse di sessione in sessione musicoterapica. La cosa interessante è che questo miglioramento non era dettato dal regredire della malattia, anzi, malgrado la malattia continuasse a progredire, i pazienti percepivano una buona qualità di vita, o comunque migliore dei pazienti del gruppo di controllo, in cui la qualità di vita percepita diminuiva con l’avanzare della patologia. Inoltre sono stati recepiti altri benefici dati dalla musicoterapia nell’ambito palliativo, tra cui il miglioramento di sintomi come l’ansia, la depressione (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006; Burrai, Micheluzzi, Bugani, 2014), la mancanza di respiro (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006), la sensazione di fatigue (Chih-Yuan, Wei-Ru, Pei-Chun, Shuenn-Tsong, 2010) e l’angoscia percepita (Huang, Good, Zauszniewski, 2010; Burrai, Micheluzzi, Bugani, 2014). Dal punto di vista fisiologico si è notato anche un aumento della saturazione in alcuni pazienti che mostravano una diminuzione della fatigue, della sonnolenza, un aumento della forza e un miglioramento dei movimenti coordinati. Per quanto riguarda la sensazione di rilassamento, pare che la musica faciliti le attività del sistema nervoso parasimpatico correlate ad essa (Chih-Yuan, Wei-Ru, Pei-Chun, Shuenn-Tsong, 2010). L’umore è un'altra variabile che può essere influenzata dalla musica, come è stato evidenziato nello studio di Burrai, Micheluzzi, Bugani (2014), si è visto come la musica live prodotta da un sassofono porti ad un miglioramento dell’umore con un effetto conseguente sulla riduzione dell’ansia, della depressione e del livello del dolore. In più il livello di coping dei pazienti risultava migliore, così come la comunicazione delle loro difficoltà e la percezione del loro corpo erano differenti. Altri risultati hanno dimostrato che la musica non ha degli effetti evidenti sulle funzioni fisiche soggettive e sulla lunghezza della vita (Hilliard, 2003) e sulle variabili fisiologiche (Burrai, Micheluzzi, Bugani, 2014). Un ulteriore dato interessante riguarda il fatto che non vi è alcuna differenza statistica tra le persone che possiedono un background musicale e quelle che non ce l’hanno (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006; Huang, Good, Zauszniewski, 2010).

   

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Infatti, come ho già affermato nell’introduzione, non bisogna avere doti particolari per apprezzare la musica in quanto è un linguaggio universale e chiaro, accessibile e comprensibile per chiunque. Per concludere questa parte ho deciso di soffermarmi maggiormente sui risultati dello studio svolto da Huang, Good, Zauszniewski (2010) poiché mi sono sembrati significativi. Dopo la prova di trenta minuti, il valore medio dell’intensità più bassa di dolore percepito e dell’angoscia nel gruppo sperimentale è risultata lieve, invece, nel gruppo di controllo resta moderata. Sebbene nessun partecipante avesse mai avuto esperienze dirette di tipo musicale in passato (il 97% ha dichiarato di non aver mai cantato in un coro o suonato uno strumento), dopo trenta minuti di ascolto musicale, il 65% dei pazienti appartenenti al gruppo sperimentale ha riferito di aver utilizzato la musica sia per rilassarsi che per distrarsi dal dolore provocato dal cancro. Il 43% del gruppo ha considerato la musica da moderatamente a molto utile per alleviare il dolore ed il 46% dei partecipanti si addormenta. In più, quasi tutti i componenti del gruppo (92%) hanno giudicato soddisfacenti le scelte musicali dei ricercatori. Riguardo la scelta del tipo di musica (americana o taiwanese), non si sono riscontrate differenze significative di dolore post-test tra le persone che hanno scelto l’uno o l’altro tipo di musica. Nel gruppo soggetto alla musicoterapia recettiva, i livelli di dolore e di angoscia percepiti sono stati significativamente più bassi, rispetto a quelli del gruppo di controllo. Gli autori hanno ottenuto questi risultati:

1. La musicoterapia può essere un efficace analgesico non invasivo e privo di controindicazioni.

2. Il gruppo sperimentale ha ottenuto dei punteggi in percentuale più bassi del 37% per il dolore percepito e del 44% per l’angoscia rispetto al gruppo di controllo.

3. Il 42% del gruppo sperimentale (26/62 persone) ha ottenuto un abbassamento della soglia del dolore maggiore o uguale al 50%, con un valore di NNT (numero di pazienti da sottoporre al trattamento per avere da uno di essi un sollievo del 50%) uguale a 3. Nel gruppo di controllo questo è avvenuto solo nell’8% del sottocampione (5/64 persone).

La conclusione finale che hanno tratto i ricercatori è che la musica può essere molto utile ad alleviare le sofferenze dei pazienti affetti da cancro ed è scevra da effetti collaterali.

Possibili sviluppi di ricerca Secondo gli studi presi in considerazione Non sono ancora chiari gli effetti che la musicoterapia può avere sul nostro organismo. Proprio per questo alcuni autori, alla fine della loro ricerca, hanno voluto dare dei suggerimenti per lo sviluppo di ricerche future. Si potrebbero investigare i benefici della musicoterapia non solo sull’umore del paziente, ma anche sull’umore dei familiari. Un altro tema interessante su cui indagare sarebbe la durata dell’effetto della musicoterapia; valutare l’impatto della musicoterapia rispetto a quello dell’effetto placebo; indagare se il beneficio della musicoterapia sia cumulativo, cioè se aumenti con l’avanzare delle sedute; ci sono diversi fattori che potrebbero influenzare i risultati di una seduta musicoterapica che si potrebbero analizzare per scoprire se uno di questi prevale sugli altri. Di questi fanno parte la musica in sé, il fatto che qualcuno si stia prendendo cura del paziente, la relazione terapeutica che s’instaura tra paziente e terapista o una combinazione dei tre fattori precedenti (Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand, 2006).

   

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Altri autori hanno dato ulteriori spunti di indagine. Si potrebbe indagare sulla richiesta di farmaci per la gestione del dolore da parte dei pazienti dopo aver ricevuto un trattamento musicoterapico; verificare se gli interventi musicoterapici hanno un effetto cumulativo sulla riduzione del dolore; osservare per quanto perdura l’effetto di riduzione del dolore dopo la seduta di musicoterapia; indagare se il dolore diminuisce nei pazienti inclusi nel gruppo di controllo che in seguito ricevono un intervento musicoterapico; verificare se, registrando una sessione di musicoterapia e somministrandola come trattamento, si ottengono gli stessi effetti della medesima seduta condotta dal vivo (Gutgsell, Schluchter, Margevicius, DeGolia, McLaughlin, Harris, Mecklenburg, Wiencek, 2013). Il mio punto di vista Durante lo svolgimento della tesi, approfondendo le tematiche concernenti il suono e la musica in generale, e in base a quanto viene esposto dai ricercatori, sento di potermi esprimere riguardo a quelli che possono essere dei possibili spunti per le ricerche future. Il nostro cervello è in grado di lavorare su diverse frequenze in risposta ai diversi bisogni. Sono presenti le onde beta, che vanno da 12 a 30 hertz, le onde alfa, da 8 a 11 hertz, le onde theta, da 4 a 7 hertz, le onde delta, da 0.5 a 3 hertz. Ad ognuna di queste frequenze appartiene uno stato specifico: lo stato beta corrisponde allo stato di allerta e concentrazione (stato di veglia), lo stato alfa rende la mente calma e ricettiva, acutizza la concentrazione e permette un rilassamento vigile, lo stato theta è lo stato della meditazione profonda, della visualizzazione, dell’ispirazione creativa e della fase REM (sogno), allo stato delta appartengono invece il sonno profondo e il subconscio (Tristano Tuis3, 2010). Nella società odierna, i ritmi quotidiani e lavorativi sempre più elevati portano il nostro corpo e il nostro cervello a sintonizzarsi su una frequenza disarmonica (chiamata dai ricercatori “decoerenza neurale dello stato beta”). Se questo stato permane, non viene favorito un sonno ristoratore, necessario al buon funzionamento e all’equilibrio del nostro organismo. Questo permanere per tempi prolungati sulla banda dello stato beta cronicizza lo stato di allerta, andando a sovraccaricare il nostro sistema nervoso e causando quello che, attualmente, viene chiamato “stress”. Tutto ciò è il risultato dell’effetto neuroendocrino di questa disarmonia di frequenze presente nell’ecosistema umano che, non essendo biocompatibile, facilita l’instaurarsi di processi patologici nell’uomo ed ostacola un processo cognitivo ottimale (Tristano Tuis, 2010). Sarebbe interessante indagare quale effetto a lungo termine possa avere l’esposizione a queste frequenze sul nostro organismo, osservando il comportamento del sistema nervoso autonomo.

Limiti della ricerca Secondo gli studi presi in considerazione In due studi che ho preso in considerazione sono stati esposti alcuni dei limiti che presentavano: nello studio svolto da Gallagher, Lagman, Walsh, Davis, LeGrand (2006), il musicoterapista si è occupato anche della raccolta dati. Questo fatto potrebbe aver traviato i risultati in quanto egli poteva essere un po’ di parte. Inoltre, ci potrebbe essere la possibilità che i pazienti rispondessero in modo positivo per accontentare il                                                                                                                3  Riccardo  Tristano  Tuis  è  compositore,  scrittore,  ricercatore  e  creatore  della  Neurosonic  Programming,  una  neuro-­‐tecnologia  per  la  riprogrammazione  neurale  e  l’auto-­‐miglioramento  che  sincretizza  e  ottimizza  tecniche  foniche,  neurolinguistiche  ed  iniziatiche.  

   

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terapista, sebbene l’intento era quello di rimanere il più oggettivo possibile. Per evitare questo inconveniente sarebbe meglio designare una persona, diversa dal musicoterapista, che si occupi della raccolta dati. Gli autori Gutgsell, Schluchter, Margevicius, DeGolia, McLaughlin, Harris, Mecklenburg, Wiencek, svolto nel 2013, hanno posto come limite il fatto che il risultato della loro ricerca non si può generalizzare a tutti i pazienti in cure palliative. Il mio punto di vista A mio parere, le ricerche che prendono in considerazione l’ambito artistico, in questo caso quello musicale, applicato a una disciplina sanitaria, hanno principalmente un limite legato, di fatto, alla variabilità e vastità dei contenuti. Infatti, in campo musicale il territorio è vastissimo, i generi musicali sono moltissimi e sono in continua evoluzione. Inoltre, quando si parla di musicoterapia ricettiva suonata live, il ruolo del musicista e dell’interpretazione del/i brano/i scelto/i, hanno un ruolo importante. La visione soggettiva delle persone coinvolte negli studi è una variabile fondamentale: in uno studio quantitativo, il procedimento deve essere standardizzato e riproducibile. In ricerche di questo tipo, risulta limitante applicare i canoni metodologici tipici della ricerca quantitativa, dato l’elevato grado di soggettività che impone il trattamento musicale: il carattere, la cultura, i vissuti delle persone influenzano assai il modo di percepire e quindi di “metabolizzare” un certo tipo di musica.

DISCUSSIONE

Considerazioni personali sui risultati Aree cerebrali poste ad una certa distanza tra loro si attivano grazie all’esposizione ad uno stimolo sonoro musicale: le aree uditive primaria e secondaria si occupano del riconoscimento di input acustici; l’area di Broca per la sintassi musicale e l’area di Wernicke per la comprensione, sono entrambe aree deputate alle abilità linguistiche e all’interpretazione cognitiva dei suoni; l’emisfero destro si occupa delle caratteristiche più complessive della percezione, quali tempo e profilo melodico, mentre l’emisfero sinistro analizza gli intervalli, il ritmo e la costruzione armonica; l’armonia, la melodia, il ritmo e il metro attivano il giro fusiforme di destra; il talamo, la corteccia frontale e l’amigdala vengono stimolati da input emotivi come quelli dati dalla voce umana. Durante l’ascolto della musica, si attivano anche il sistema di controllo motorio e dell’immaginazione motoria, solitamente attivati durante una performance musicale, e comprendenti le aree premotorie frontali di destra, l’emisfero del cervelletto sinistro e una maggiore attivazione della corteccia frontale mediale: in sostanza si esegue un’attività di allenamento mentale (mental training). L’intenzione e la motivazione del soggetto sono correlate all’attività dell’area parietale posteriore; infine, secondo i ricercatori del Wisconsin Medical College e del Veterans Affairs Medical Center del New Mexico (2000), la corteccia parietale destra e i gangli della base sono responsabili della percezione dello scorrimento del tempo (Manarolo, 2006). Questo è il contributo degli studi neuroscientifici sulla musica e l’effetto di essa sul cervello umano. Come si è potuto osservare dagli studi analizzati nella revisione e dalla precedente digressione sulle neuroscienze, sembra che la musica possa avere degli effetti sul nostro organismo, benché non siano ancora del tutto chiari i meccanismi con cui essa agisca sul corpo e la mente della persona.

   

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È proprio osservando i risultati di questi studi che vorrei cominciare la discussione parlando della musica negli ospedali o nei luoghi di cura. La routine quotidiana, sia degli operatori, sia degli utenti, in queste strutture è spesso accompagnata da un sottofondo “musicale”, emesso dalle stazioni radio, e da tutta una serie di suoni provenienti dagli strumenti tecnologici, dai campanelli, dal via vai delle persone e delle loro voci. Suoni che siamo obbligati a sentire durante tutto l’arco del giorno e, a volte, della notte, senza avere la possibilità di scegliere un ambiente sonoro consono al nostro modo di essere. Insomma, ci troviamo in un vortice di frequenze e di sonorità, capace di destabilizzare l’equilibrio del nostro organismo, non per forza in modo negativo. L’udito è un senso, e attraverso i sensi l’uomo prova emozioni; per questo motivo la musica trova posto nel contesto fisioterapico. Questo mio pensiero nasce dalle esperienze che ho avuto fino ad ora, dove in sedi di stage la radio era costantemente accesa. Per questo motivo penso che la musica rientri, in un certo qual modo, nel setting fisioterapico, perciò potrebbe essere utile curare anche questo aspetto nella presa in carico dei nostri pazienti. Osservando il contesto fisioterapico attraverso i cinque sensi, si può notare come almeno quattro su cinque abbiano un ruolo importante nell’accoglienza della persona e nel farla sentire a proprio agio: la vista, l’olfatto, l’udito e, molto importante in questa professione, il tatto. Se si riuscisse a creare un equilibrio tra queste variabili, a mio parere, la presa in carico potrebbe diventare ottimale. Al giorno d’oggi, si presta molta attenzione ai fattori visivi, olfattivi e tattili. Quindi, perché non prendere in considerazione anche quello uditivo, visti i benefici privi di controindicazioni e di effetti collaterali che la musica può dare? La musica potrebbe diventare un potente mezzo relazionale e terapeutico che, in alcuni casi, faciliterebbe il contatto tra terapista e paziente e il contatto del paziente con sé stesso, con il suo corpo e con le sue emozioni. La musica è un canale astratto, ma contemporaneamente concreto, del mondo emozionale. Non è soltanto suono, alla musica appartiene anche il silenzio. Si pensi a uno spartito musicale: laddove il brano richiede un momento di silenzio, la pausa è indicata con dei simboli precisi sul pentagramma (Figura 4). Si pensi anche ad un’orchestra composta da vari strumenti: a seconda di ciò che il brano vuole trasmettere, saranno presenti dei momenti in cui gli strumenti, sostenendosi su dei silenzi, si daranno degli spazi, così da creare un rapporto dinamico ed armonico tra gli elementi dell’orchestra e tra l’orchestra stessa ed il pubblico. Questo discorso potrebbe essere applicato anche nel contesto fisioterapico, per quanto concerne la relazione tra terapista e paziente. A mio parere, soprattutto il primo contatto con il paziente e il conseguente processo di raccolta dati, possono risultare abbastanza delicati: i momenti di dialogo tra paziente e terapista sono intercalati da momenti di silenzio; silenzi di riflessione, silenzi di ascolto, silenzi di raccoglimento e, alcune volte, silenzi necessari al terapista per trascrivere le informazioni raccolte, che per la persona bisognosa potrebbero trasformarsi in situazioni spiacevoli, dove possono emergere pensieri sulla situazione attuale e ricordi sui vissuti passati. A tal proposito, è significativo questo paragrafo estrapolato dal libro Manuale di musicoterapia - Teoria, metodo e applicazioni della Musicoterapia di Manarolo (2006):

Figura  4  http://www.accordiespartiti.it/wp-­‐content/uploads/2013/01/valori-­‐musicali-­‐pause.png

   

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L’incontro con l’altro, il suo ascolto, presuppone il silenzio, un silenzio, come afferma Petrella (1996-1997), sia esterno che interno (…). Ma questo ritrarci in uno spazio silenzioso per predisporci all’incontro con l’altro implica un incontro preliminare; quello con noi stessi o meglio con quelle parti di noi solitamente coperte dal brusio esterno e interno; questo incontro può essere problematico, il silenzio, il vuoto che esso descrive può essere abitato dai nostri fantasmi, si possono evidenziare aspetti non integrati, possono emergere vissuti depressivi se non persecutori (il silenzio amplifica l’assenza sollecitando un vissuto abbandonico, il silenzio si riempie di minacciose presenze). È necessario attraversare questi territori, bonificarli dalle presenze più inquietanti e dolorose per poter vivere il silenzio come una dimensione introspettiva, non un non-luogo dove perdersi, confusi dall’emergere dei propri fantasmi, ma uno spazio domestico dove ritrovarsi in una dimensione integrata pronti ad accogliere l’altro (Manarolo, 2006, p.170).

Inevitabilmente l’ascolto diventa un altro punto cardine correlato sia al tema della musica e del suono, sia alle professioni sanitarie, in particolare alla relazione tra terapista e paziente. Anche in questo caso mi è sembrato utile riprendere un passo del suddetto libro:

In musicoterapia ascoltiamo il nostro paziente per dare voce alla sua musica interiore, alla sua espressività, ma altresì impieghiamo l’ascolto in quanto parte integrante di un setting di musicoterapia attiva e di musicoterapia recettiva, per educarlo ad ascoltare e ad ascoltarsi (Manarolo, 2006, p.173).

Queste parole riassumono molto bene anche quel che avviene nella relazione di cura che si stabilisce tra fisioterapista e paziente: come “terapista del corpo”, il fisioterapista, generalmente si pone l’obiettivo di “riaccordare” il corpo, riarmonizzandolo rispetto al dolore, alle problematiche, ai fastidi e alle limitazioni date dalle condizioni patologiche (nei limiti delle sue competenze). Il musicoterapista aiuta il paziente a ritrovare le proprie energie, il proprio essere; grazie alla musica, grazie alla possibilità di esprimersi che viene data al paziente, gli si fa capire che è ancora in grado di provare emozioni positive, che non deve riconoscersi nella malattia, ma deve riconoscersi per quello che è stato. Anche il fisioterapista svolge un lavoro simile, rivolto piuttosto verso la percezione e l’accettazione del proprio corpo. Infatti, anche in questo caso, soprattutto quando i pazienti presentano dolore cronico, tendono ad identificarsi con il proprio dolore e non con la globalità della propria persona, fatta di vissuti anche positivi e non solo negativi. Sia musicoterapista, sia fisioterapista dovrebbero riuscire a portare il paziente ad ascoltare il proprio corpo, il proprio essere, non la propria malattia. La società di oggi, basata sullo stress, sulla competizione e sui soldi, a mio parere, predispone molto i soggetti a dimenticarsi di sé. Ci si dimentica di ascoltare i propri bisogni interiori, si vuol fare sempre di più, si vuol dimostrare di essere sempre i migliori, dimenticandosi di prendersi cura del proprio Io interiore. Siamo perennemente bombardati da stimoli esterni, provenienti da apparecchi elettronici, automobili, lampioni, ecc., che ci allontanano sempre di più quel legame profondo che un tempo avevamo con noi stessi e al contempo con la natura. Dico ciò perché leggendo le ricerche che ho revisionato in questa tesi, mi sono fatto una personale idea sulla patologia tumorale: vedo il cancro come un accumulo eccessivo di emozioni negative che, inconsapevolmente, sovraccaricano il nostro sistema “uomo”, inteso come unione tra mente e corpo, creando uno stress subdolo che di conseguenza carica in modo smisurato un nostro organo fino a portarlo allo stremo delle sue capacità causando un malfunzionamento di esso e mandandolo in esaurimento. Per questo motivo è importante che ogni persona si ritagli i propri momenti di riflessione, che coltivi le proprie passioni per poter arricchire la propria persona, che esprima il proprio benessere e il proprio disagio nel momento del bisogno.

   

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Ecco perché penso che la musica, e le terapie basate sull’arte in generale, possano dare un valido sostegno e aiuto alle persone affette da questa patologia. Proprio perché danno la possibilità ad esse di confrontarsi con sé stesse, con le proprie paure, con i propri perché, portandole ad ascoltarsi, a scoprire la propria forza creatrice interiore e a trovare nuove strategie di coping volte ad agevolare la loro situazione attuale migliorando la qualità di vita e la percezione delle varie problematiche che si presentano. Le ricerche sono metodologicamente ancora poco strutturate e i risultati approssimativi, ma, dal mio punto di vista, la scientificità non è tutto: trascurando la parte più “umana” della presa a carico di un paziente, senza prendere in considerazione la persona nella sua globalità, soprattutto nell’ambito delle cure palliative, il trattamento non porterà il giovamento ipotizzato, ma sarebbe ridotto ad un mero gesto tecnico. L’arte, l’espressività, l’esprimersi, sono la miglior cura contro la sofferenza interiore.

CONCLUSIONI

Valutazione personale Questo lavoro di tesi mi ha permesso di affrontare il tema delle cure palliative e di avere un primo approccio con la musicoterapia, ambito su cui vorrei indirizzare la mia futura professione. Riguardo alla domanda che mi sono posto all’inizio della ricerca, posso dire di essermi avvicinato al raggiungimento dell’obiettivo che mi ero prefissato ovvero quello di indagare se la musica possa incidere sulla qualità di vita e sulla modulazione del dolore nei pazienti oncologici. Tramite la stringa di ricerca che ho utilizzato, ho trovato pochi studi riguardanti la musicoterapia applicata a quest’ambito, proprio perché è un’applicazione della professione ancora poco esplorata. I risultati degli studi sembrano essere comunque incoraggianti riguardo all’utilizzo della musica come terapia aggiuntiva ai pazienti ricoverati in cure palliative. Infatti, riprendendo le due variabili su cui mi sono basato per formulare la stringa di ricerca, posso dire di essere soddisfatto dei risultati ottenuti: in quattro studi si è riscontrata una diminuzione della percezione del dolore, mentre in un solo studio si è osservato un aumento della qualità di vita. La difficoltà a reperire articoli, non era del tutto inaspettata: la musicoterapia di per sé, è una disciplina ancora poco approfondita a livello scientifico e i suoi effetti non sono valutabili quantitativamente. Inoltre, applicata all’ambito oncologico, vi sono ancora meno evidenze. La difficoltà principale che ho riscontrato durante la stesura della tesi, è stata l’inesperienza nell’impostare la struttura per svolgere una revisione della letteratura in linea con gli schemi scientifici imposti (elaborare un background adeguato che fornisse le informazioni teoriche necessarie a comprendere gli argomenti trattati, strutturare la ricerca nei database seguendo una metodologia corretta, analizzare e discutere i contenuti e i risultati degli studi). Un’altra difficoltà è stata la selezione degli argomenti più importanti meritevoli di approfondimento, soprattutto per il background e per la discussione. Questo è da attribuire al fatto che l’ambito, essendo molto vasto, permette di spaziare su più fronti.

   

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Svolgere questa tesi e scoprire che la musica può incidere sul nostro organismo e di conseguenza sulla nostra quotidianità, oltre a rendere più consistenti le mie riflessioni sull’entità musica, mi ha portato a ragionare sul ruolo che riveste il suono in ambito sanitario e nella società in generale. Nonostante la scienza sia necessaria per comprovare l’efficacia dei trattamenti e per svolgere la nostra professione in un’ottica EBP (Evidence Based Practice), in modo da offrire all’utenza un servizio di qualità e basato su studi comprovati, sono dell’idea che le terapie complementari - tra cui la musicoterapia - non debbano essere sottovalutate solo per il fatto che la produzione di letteratura scientifica di qualità sia difficoltosa. Pertanto, mi sento di concludere questa tesi esponendo un mio pensiero: spero che il futuro doni, all’ambito sanitario, una maggiore flessibilità riguardo l’utilizzo delle terapie complementari, riconoscendone la validità in termini di relazione e accoglienza della persona e dei suoi bisogni, basandosi non solo su ciò che è scientificamente dimostrabile e dimostrato. La musica è una forma d’arte antica, che affonda le sue radici nella natura. In passato è già stata utilizzata in ambito curativo, si pensi all’utilizzo che ne facevano gli sciamani: durante un rituale sciamanico, egli poteva incanalare l’energia spirituale per riporla in una persona sofferente, attribuendo così al suono una caratteristica curativa (Walker, 2003). Perciò, perché non dare maggior rilevanza a quella “medicina” arcaica e misteriosa che, in fondo, altro non è che la base primordiale della medicina moderna?

RINGRAZIAMENTI Ringrazio le persone a me più care per il sostegno, il mio direttore di tesi Gianpiero Capra per gli utili consigli e la musica, che ogni giorno mi regala grandi soddisfazioni.

   

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FONTI

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Lavoro approvato in data: