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Cronache dall’incompiuto 1965 - 2005, 40 Anni di Anffas nel Biellese Galleria Banale Concept Store

cronache dall'incompiuto

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La vera arte è sempre là ove non la si attende. Là ove nessuno pensa a lei, né pronuncia il suo nome. Jean Dubuffet consul- tando i manuali di storia dell’arte italiani si può verificare come, a differenza di altri Paesi europei nei cui libri già da tempo le opere di Wölfli, di Aloïse, di Lange e di altri artisti ‘irregolari’ sono ufficialmen- te rappresentate, si preferisca ignorare la storia, e il presente, di tutte le forme espressive conside- rate fuori dal mercato.Questo catalogo vuole essere quindi un piccolo contributo per pagare il grande debito che l’arte moderna e contemporanea ha con le radici espressive dell’‘essere umano’.

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Page 1: cronache dall'incompiuto

CC rr oo nn aa cc hh ee dal l ’ incompiuto1 9 6 5 - 2 0 0 5 , 4 0 A n n i d i A n f f a s n e l B i e l l e s e

G a l l e r i a B a n a l e C o n c e p t S t o r e

Page 2: cronache dall'incompiuto

G a l l e r i a B a n a l e C o n c e p t S t o r e

1 8 n o v e m b r e 2 0 0 5 > 2 8 n o v e m b r e 2 0 0 5

Page 3: cronache dall'incompiuto

Progetto a cura di:

> Associazione ANFFAS Biellese onlus

> Cooperativa Sociale Integrazione Biellese

> Banale Concept Store

> Harta Design

Con il contributo di:

> Fondazione Cassa di Risparmio di Biella

> ACSV Biella

> Lions Club Biella Host

> Unione Industriale Biellese

> Ascom Panificatori

> Città Studi Biella

Con il patrocinio di:

> Provincia di Biella

> Comune di Biella

> Comune di Gaglianico

> Comune di Salussola

> Comune di Zumaglia

AssociazioneAnffas BielleseOnlus

Associazione ANFFAS Biellese

Cooperativa Sociale Integrazione

Biellese a marchio ANFFAS

via Cavour 104

13894 Gaglianico (BI)

Tel. 015/2493064 Fax 015/2496870

e-mail [email protected]

www.anffas.bi.it

Page 4: cronache dall'incompiuto

CC rr oo nn aa cc hh ee dal l ’ incompiuto1 9 6 5 > 2 0 0 5 | 4 0 a n n i d i A n f f a s n e l b i e l l e s e

Page 5: cronache dall'incompiuto

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> 1965:

Costituzione della

sezione ANFFAS di Biella.

> 1968:

Via delle viti, Biella.

Sette Ragazze/i frequentano

il piccolo Centro.

> 2005:

- 67 ragazzi frequentano il

Centro Diurno di Gaglianico;

- 9 ragazzi sono inseriti presso

la Comunità alloggio in

Via Losana a Biella;

- 6 ragazzi sono inseriti presso

la Comunità alloggio

"Villa Virginia" di Zumaglia (BI);

- 9 ragazzi sono inseriti presso

il Centro di soggiorno agricolo

"Mario e Marie Gianinetto"

di Salussola (BI).

Molta acqua è passata sotto i pon-

ti dalla costituzione della Sezione

ANFFAS di Biella, una delle prime

in tutt'Italia. Il cammino non è sta-

to facile, dopo quarant’anni, dal

primo piccolo Centro, le strutture

danno ospitalità a 90 Ragazze/i.

I Biellesi con laboriosità e con ge-

nerosità sono riusciti a creare cen-

tri accoglienti e familiari.

Ancora oggi il percorso si rivela in

salita ma carico di soddisfazioni e,

nonostante le difficoltà, anche in

quest’occasione, come per magia,

si materializzano le risorse per por-

tare avanti un progetto significativo.

Ringraziamo, con i nostri Ragazzi,

chi tanto ha dato nel corso di que-

sti lunghi anni.

‘Cronache dall’incompiuto’ è stata

possibile grazie a loro.

Antonello Papa

Presidente

ANFFAS Biellese Onlus

Presentazione

Page 6: cronache dall'incompiuto

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Il senso delle cose

Nella richiesta di visionare le opere

da esporre per valutare l’opportu-

nità o meno di ospitare questa mo-

stra nei nostro spazi, devo ammet-

tere di essere stato immediata-

mente colpito dalla valenza esteti-

co-figurativa prima che non dalla

comunicazione di supporto e dal

contesto di provenienza.

L’Arte ha da sempre come primario

il valore Evocativo, ebbene anche

in questa occasione le opere espo-

ste hanno attivato questa opzione,

ma ciò che è apparso sin dal primo

istante non è l’associazione con

una situazione di disagio, bensì la

materializzazione di un potente im-

maginario, al di là del tempo, della

condizione e dell’età.

Caratteristica propria dell’Arte

contemporanea, secondo quanto

amiamo da sempre frequentare.

In ultimo mi piace pensare che in

questa occasione uno sguardo ba-

nale ed apparentemente superfi-

ciale sia stato funzionale al raffor-

zamento di una tesi che diviene os-

satura dell’intero progetto.

Il negozio Banale inizia la sua atti-

vità nel centro di Biella il 1° Settem-

bre 1991 con l’esplicita didascalia

che recitava: ‘Oggetti selezionati

per l’uso quotidiano’. Una chiara

dichiarazione di intenti che da allo-

ra, in forma di anticipazione dei

tempi, non ha più cessato di esse-

re una costante linea guida.

Dal 2002, conseguentemente al-

l’intervento di ristrutturazione del-

lo storico Cinema Teatro Apollo si-

tuato lungo via Italia nel centro pe-

donale di Biella, Banale affronta un

nuovo ciclo propositivo secondo

un modello previsto sin dal suo

esordio e presente in città e metro-

poli di più ampio respiro, divenen-

do a tutti gli effetti un Concept Sto-

re ed ampliandosi.

Nella proposta commerciale, grazie

all’affiancarsi alla consueta sele-

zione di oggetti di Design di una

ampliata sezione dedicata all’arre-

do domestico ed alle forniture per

locali, ad una sezione dedicata al-

l’abbigliamento femminile e ma-

schile, calzature ed accessori, e ad

una selezione di titoli nell’ambito

di Libri e Musica, intesi come natu-

rale compendio al vasto panorama

merceologico.

Nella attività culturale, grazie al

proseguire delle mostre dedicate

alla Fotografia, all’Arte, al Design

ed all’Architettura, volte alla divul-

gazione del pensiero che sempre di

più la Cultura deve divenire parte

della quotidianità.

Negli anni Banale si è sempre di-

stinto per la sua opera di selezio-

ne degli oggetti proposti, contri-

buendo all’identificazione di uno

stile di vita orientato verso la ri-

cerca della Qualità nelle cose che

ci circondano.

Tutto ciò reso con il consueto spiri-

to ed impegno, al servizio della af-

fezionata clientela.

Gian Luca Bazzan

art director

Banale Concept Store

Page 7: cronache dall'incompiuto

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La vera arte è sempre là ove non la

si attende. Là ove nessuno pensa a

lei, né pronuncia il suo nome.

Jean Dubuffet

Quando mi è stata offerta l’oppor-

tunità di formulare queste brevi

note, in margine alla mostra Crona-

che dall’incompiuto, il pensiero è

ritornato naturalmente all’incontro

personale - una performance rea-

lizzata più di dieci anni fa - con

l’Istituto per le Materie e le Forme

Inconsapevoli, importante espe-

rienza di arte-terapia, nata nell’ex

Ospedale Psichiatrico di Genova

Quarto grazie soprattutto alla de-

dizione dell’artista Claudio Costa.

In quell’occasione (dove nell’occa-

sione è insita anche la sua imper-

manenza: l’occasus è il tramonto, il

perire, il morire senza alcuna pre-

sunzione...), a contatto con i lavori

e le personalità presenti nell’Istitu-

to, ho provato l’emozione che può

dare un’arte - per definizione, ‘si-

stema rappresentativo’ - che comu-

nica l’incomunicabile.

Anche le esperienze espressive di

questa mostra rappresentano, con

una forza ‘naturale’, la solitudine

umana, il vuoto esistenziale, le

problematiche affettive - in ultima

analisi l’assenza - ma anche la gio-

ia del creare, la coscienza del-

l’esperienza, la padronanza delle

tecniche: proprio come l’arte con-

temporanea, nel suo Spirito del

Tempo.

Per questo ho sentito necessario

evidenziare, nella sintetica storia

dell’arte ‘irregolare’ delineata nelle

pagine seguenti, i collegamenti

con l’‘arte ufficiale’ per sottolinea-

re, piuttosto che la loro dicotomia,

la storia comune e la contiguità di

tematiche, forme espressive, lin-

guaggi.

Non ho voluto stabilire dei criteri

estetici pre-formati attraverso cui

osservare le opere presentate, nel-

le quali ha valore l’esperienza in

quanto tale; se nelle tradizioni

post-rinascimentali dell’arte è il

prodotto ad essere considerato,

come se potesse essere sottratto

al tempo, non così in questi lavori-

esperienza, dove il fare è più im-

portante del produrre.

Ho ricercato, piuttosto, gli archeti-

pi a cui spontaneamente i ragazzi

attingono, mettendo al centro del-

l’osservazione i condotti principali

di un’energia che si presenta di in-

tensità variabile, dal flusso al cor-

tocircuito, sfrondata da valutazioni

tecniche o pregiudizi artistici.

Sono stato aiutato, in questo lavo-

ro di sottrazione, dal non avere vo-

lutamente preso in esame altro che

le opere, ignorando contesti e sto-

rie personali; occorre altresì preci-

sare che, dal punto di vista del-

l’esperienza terapeutica, esistono

approcci differenti, determinati

dalle patologie coinvolte.

Le disabilità che sono all’origine

dei lavori presentati non possono

essere considerate, in questo con-

testo essenzialmente percettivo,

elementi di differenziazione; diffe-

renziazione che diventa necessità

imprescindibile nella pratica di ar-

te-terapia degli operatori respon-

sabili del laboratorio.

Un’ultima osservazione: consul-

tando i manuali di storia dell’arte

italiani si può verificare come, a

differenza di altri Paesi europei nei

cui libri già da tempo le opere di

Wölfli, di Aloïse, di Lange e di altri

artisti ‘irregolari’ sono ufficialmen-

te rappresentate, si preferisca

ignorare la storia, e il presente, di

tutte le forme espressive conside-

rate fuori dal mercato.

Questo testo vuole essere quindi

un piccolo contributo per pagare il

grande debito che l’arte moderna e

contemporanea ha con le radici

espressive dell’‘essere umano’:

l’arte dei primitivi, l’arte infantile,

Arte irregolare:testimonianze di una visione ‘altra’

di Roberto Rossini

Page 8: cronache dall'incompiuto

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l’arte dei malati mentali e degli

esclusi, quella che è stata definita

‘arte irregolare’.

La sparizione dell’arte

Nella situazione artistica contem-

poranea, dove tutto è possibile e

tutto - o nulla, a seconda dei punti

di vista - continuamente si trasfor-

ma, non si é più aiutati da una ra-

zionalità euclidea per determinare

e definire il campo d’azione del-

l’evento estetico: ci si muove ne-

cessariamente attraverso ‘raccolte’

di frammenti per individuare, all’in-

terno di questi, il dato, l’essenza

dei linguaggi artistici proposti e il

loro divenire.

Lo stesso concetto di ‘contesto’,

che era servito a tutta l’arte prece-

dente il Novecento a definire ciò

che era arte e ciò che non lo era -

come la distinzione tra arti maggio-

ri e arti minori - riceve, nel secolo

appena passato, la critica radicale

delle Avanguardie storiche, che

portano a compimento un vero atto

sacrificale attraverso la massima

laicizzazione del fare artistico, l’og-

gettivazione del ‘prodotto’ arte e

l’esaltazione del ‘concetto’.

Paradossalmente questo processo

di superamento dell’arte o di ‘mor-

te dell’arte’, come l’ha definita

Nietsche, non ha fatto che aumen-

tare la coscienza del valore spiri-

tuale dell’arte stessa.

Sul piano della de-strutturazione

del fare artistico esperienze come i

ready-made di Marcel Duchamp in-

troducono l’aspetto aleatorio come

elemento determinante dell’opera

d’arte, in cui, come precisa Lebel:

«La parte dell’inconscio è più im-

portante che in tutti gli altri lavori».

L’evento artistico si sviluppa quin-

di attraverso una libera associazio-

ne di gesti, rompendo il binomio

causa-effetto, promuovendo nel

corpo sociale l’irruzione di gesti

non economici e a-funzionali, di-

sinteressati, con l’unica finalità di

portare alla superficie zone rimos-

se, appartenenti all’inconscio.

È nella consapevolezza di questa

condizione ‘originaria’ che l’arte

del Novecento e l’‘arte irregolare’

intessono il loro dialogo proficuo e

sviluppano corrispondenze sul pia-

no del comune territorio dello Spi-

rito del Tempo.

L’uomo del Novecento è infatti

l’uomo della crisi esistenziale e

della frantumazione dell’Io, feno-

meno che si ravvisa, in campo

espressivo, nelle opzioni tematiche

e nelle modalità di rappresentazio-

ne che mostrano parallelismi sor-

prendenti tra i due campi, fino a

giungere a un vero e proprio collas-

so delle due dimensioni in un terri-

torio condiviso, libero, almeno a

priori, da pregiudizi.

La situazione odierna è la naturale

prosecuzione di questo quadro,

determinata da una parte dall’in-

gerenza dell’economia in tutte le

forme del reale, dall’altra dall’im-

possibilità del potere di controllare

adeguatamente tutte le catene bio-

logiche dell’esistente; anche la

mutazione delle dinamiche proprie

della realtà fa sì che risultino ina-

deguati i metodi di indagine mec-

canicistici ed analogici fino ad ora

utilizzati.

Ne consegue, nel fare arte, che il

‘progettare’ (la capacità di costrui-

re il futuro) appare oggi una strate-

gia perdente o desueta e che tutto

quello che è avvenuto negli ultimi

cent’anni è rimosso, negato, come

mai avvenuto; la rimozione del

passato e l’incapacità di ‘prevede-

re’ significano che una parte della

nostra vita è perduto.

I recenti cambiamenti tecnologici,

economici e politici hanno contri-

buito alla marginalizzazione e alla

frammentazione di strati sociali

sempre più ampi, non solo da un

punto di vista sociologico, ma piut-

Vincent Van Gogh

Marcel Duchamp

Edward Munch

Page 9: cronache dall'incompiuto

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tosto di tutto ciò che viene ‘espul-

so’ in quanto causa di paradossi e

contraddizioni: contraddizioni che

pur essendo perfettamente razio-

nali non offrono altre soluzioni se

non dei cambiamenti radicali.

È in questo tipo di marginalità che

si colloca la produzione artistica di

chi conduce una vita spesso dram-

matica, sofferente, che noi non vor-

remmo vivere.

Le avanguardie artistiche

e la psicoterapia

Nel 1924, André Breton definiva co-

sì, nel suo Manifesto, il Surreali-

smo: «Automatismo tipico puro col

quale ci si propone di esprimere,

sia verbalmete, sia per iscritto, sia

in qualsiasi altro modo, il funziona-

mento reale del pensiero. Dettato

del pensiero, in assenza di qualsia-

si controllo esercitato dalla ragio-

ne, al di fuori di ogni preoccupazio-

ne estetica o morale», palesando

così l’interesse degli artisti d’avan-

guardia per quelle forme espressi-

ve definite come ‘arte irregolare’ e

la loro ammirazione (peraltro non

ricambiata) a Sigmund Freud.

L’attrazione reciproca tra arte, psi-

coanalisi e psichiatria vede soprat-

tutto i Surrealisti - con Breton, Max

Ernst, Paul Eluard, René Magritte -

interessarsi alle manifestazioni

spontanee dei malati mentali (ma

non solo, anche dei popoli cosid-

detti primitivi e delle espressioni

artistiche infantili), leggendo, nelle

loro modalità di dipingere e raffigu-

rare la realtà, una vicinanza ai con-

cetti del dirompente Movimento

Surrealista, teso a ribaltare le cate-

gorie logiche convenzionali, i dog-

mi della critica razionalista e a

esaltare l’entusiasmo per l’incon-

scio, il sogno, il bizzarro come ele-

menti fondanti per la nuova rivolu-

zione sociale.

Questo ‘amore a prima vista’ si pre-

senterà ricco di contraddizioni dal-

l’una e dall’altra parte, generando

pregiudizi e idealizzazioni, contra-

sti e stimoli reciproci, ma anche

una vasta casistica di esperienze in

cui si è raggiunto l’obiettivo più al-

to di restituire dignità all’umano.

Il panorama composito dell’‘arte

psicopatologica’ - sia quella degli

artisti divenuti folli o quella dei fol-

li divenuti artisti, sia quella spon-

tanea creata di nascosto nelle case

di cura o quella incoraggiata nei la-

boratori di arte-terapia - sembra

ancora chiedere il chiarimento di

alcuni stereotipi e pregiudizi da cui

è stata afflitta fin dalla sua prima

evidenza, rappresentata da una

personalità come quella di Vincent

van Gogh.

Van Gogh, ‘icona delle icone’ nel-

l’arte dell’attuale società mercanti-

le, è la dimostrazione di quanto la

follia e la presunta menomazione

psichica siano state lette, nel sen-

so comune, come fonte della crea-

tività o, addirittura, del genio. In re-

altà, la produzione artistica ‘aliena-

ta’ appare molto lontana dal ro-

mantico binomio genio-follia.

La risposta definitiva a queste con-

traddizioni verrà proprio dall’inter-

no, attraverso la penna avvelenata

dello ‘psicotico’ per eccellenza An-

tonin Artaud, che dedicherà all’ar-

tista-uomo Van Gogh uno dei suoi

più appassionati, deliranti ed auto-

biografici testi.

Artaud, personalmente convinto di

essere una vittima della società, e

dei medici in particolare, vedrà nel

tragico destino di Van Gogh il

dramma stesso di una persona fra-

gile e creativa in una società che

tende ad escludere tutte le catego-

rie dei ‘diversi’, dei ‘marginali’, tan-

to più se detentori di una sensibili-

tà come quella dell’artista olande-

se; per dirlo con le parole di Ar-

taud: «Perché un pazzo è anche un

uomo che la società non ha voluto

ascoltare e a cui ha voluto impedi-

André Breton

René Magritte

Henri Michaux

Page 10: cronache dall'incompiuto

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re di pronunciare delle insopporta-

bili verità».

Il successivo affermarsi dell’‘arte

irregolare’ ha in parte liberato la

storia dell’arte (come desiderava-

no, almeno nelle loro intenzioni, i

Surrealisti) dalla dicotomia tra arte

colta - la crociana ‘Arte con la A ma-

iuscola’ - e arte non-colta.

Il tratto del pittore è diventato me-

tonimia di una visione del mondo,

testimonianza di una visione ‘al-

tra’, segno intangibile di una condi-

zione perduta e irripetibile.

Se, per i canoni dell’estetica comu-

nemente accettata, non tutta la

produzione irregolare può essere

definita ‘artistica’, il valore incon-

trovertibile di queste opere è pro-

prio nel loro essere testimonianza

di un’esistenza unica, vera e non ri-

producibile .

Secondo lo stesso principio di uni-

cità di ogni esistenza per cui solo

Van Gogh poteva dipingere Campo

di grano con corvi riuscendo, per

usare le parole di Artaud, ad esse-

re «più vero della natura stessa»,

solo il segno di quel pittore, mala-

to o sano che sia, può diventare

rappresentativo della sua partico-

lare capacità - o incapacità - cogni-

tiva ed esecutiva. Non dimentichia-

mo che la menomazione o il rifu-

giarsi nella psicosi rappresenta

spesso, per alcuni individui, l’unica

via di esistenza possibile; ci accor-

giamo così che è l’umano - in tutta

la sua complessità ed interezza - a

comparire dirompente nei loro

quadri, nei loro disegni, nei qua-

derni riempiti di schizzi, nella co-

struzione dei loro oggetti.

Queste opere sono la testimonian-

za della vita come ‘assenza di pro-

tezione’, una dimensione che si in-

frange contro le definizioni rigide e

prestrutturate per lasciare spazio

al manifestarsi di esistenze che -

seppur ‘altre’ - riescono tuttavia ad

esistere e, in questo ex-sistere, es-

sere fuori e dunque mostrar-si,

hanno un’unica via per farlo: la ma-

lattia, l’alienazione, l’emarginazio-

ne e, tuttavia, ancora, la vita.

Museificazione e

mercato dell’arte irregolare

Le prime esperienze di conserva-

zione di tracce o manufatti prodot-

ti da internati in case di cura o di

detenzione risalgono alla fine del

XIX secolo, nel contesto del positi-

vismo scientifico dell’epoca, spes-

so acquisite come documentazioni

con cui sostenere le diagnosi, giu-

stificare le contenzioni, gli interna-

menti e il grado di responsabilità

degli ‘imputati’. Questi allegati del-

le cartelle cliniche, unitamente alle

collezioni che all’interno degli isti-

tuti ospedalieri avevano la funzio-

ne di strumenti didattici (come

quella del discusso antropologo

criminale Cesare Lombroso), costi-

tuirono la base della oramai famo-

sa Collezione Prinzhorn.

La genesi e la fama di questa colle-

zione straordinaria hanno la loro

ragione nel concetto di ‘essenza

originaria’ e della sua trasformazio-

ne in mito; le avanguardie artisti-

che dei primi del ‘900, in particola-

re Espressionismo e Surrealismo,

avevano posto al centro delle loro

ricerche l’‘autenticità’ del processo

artistico, attraverso l’attenzione al-

l’arte ‘dilettantesca’, a quella dei

‘folli’ e a ‘gli albori dell’arte’, per

dirla con le parole di Paul Klee, in

una visione estetica coerentemen-

te idealistica.

Hans Prinzhorn (1886-1933), spiri-

to libero, sperimentatore, ma so-

prattutto medico e storico dell’arte

al tempo stesso, fece propri questi

principi modellando su di essi la

sua collezione di opere di malati di

mente.

Questa attività, incarico ufficiale

presso l’istituto ospedaliero di Hei-

delberg, si svolse sempre conside-

Antonin Artaud

Adolf Wölfli

August Natterer (Neter)

Hans Prinzhorn

Page 11: cronache dall'incompiuto

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rando il doppio binario consentito-

gli: da una parte una valutazione

estetica del prodotto artistico, al fi-

ne di « fare chiarezza nel caos del-

l’arte contemporanea » per dirla

con le parole di Prinzhorn, dall’al-

tra con l’intento ‘scientifico’ di ca-

talogare e dare norma ad aspetti

patologici già preventivamente ca-

talogati nell’ambito della schizo-

frenia.

Questi assunti a priori gli faranno

sottacere elementi di indagine im-

portanti come, ad esempio, il fatto

che molti casi di malattia mentale

presi in esame fossero conseguen-

za stessa del ricovero istituziona-

lizzato e che molti artisti presenti

nella collezione avessero esperien-

ze artistiche acquisite prima o du-

rante la contenzione.

Bisogna aggiungere che Prinzhorn

non aveva una grande esperienza

clinica, nè una precedente cono-

scenza su cui basarsi; tentava

quindi di indagare questo diverso

‘senso del mondo’ attraverso la vi-

sita ai pazienti o, pratica diffusa

nell’ambiente psichiatrico del-

l’epoca, con l’assunzione di mesca-

lina in via sperimentale, ritenendo-

ne gli effetti la «medesima perce-

zione degli schizofrenici».

Nel 1922 pubblicò, presso l’editore

Springer di Berlino, Bildnerei der

Geisteskranken. Ein Beitrag zur

Psycologie und Psycopatologie der

Gestaltung (trad. it. L’arte dei folli.

L’attività artistica dei malati di

mente), libro che ebbe molto suc-

cesso, soprattutto nell’ambiente

artistico e che influenzò notevol-

mente vasti settori dell’arte con-

temporanea.

Resta da dire, in queste brevi note,

che la prima manifestazione uffi-

ciale che accomunerà sullo stesso

livello le opere degli artisti delle

avanguardie e le produzioni raccol-

te in campo psichiatrico sarà la mo-

stra Entartete Kunst (Arte degene-

rata) del 1937, promossa dal Mini-

stro della Propaganda del Terzo

Reich, Joseph Goebbels.

L’obiettivo di questa infamante

operazione era di convincere il

pubblico della natura patologica

dell’arte “giudaico-bolscevica”, at-

traverso l’accostamento di opere di

Kirchner, Nolde, Kokoschka, Cha-

gall, Kandinsky, Klee e altri a opere

provenienti proprio dalla Collezio-

ne del dottor Prinzhorn, sottoline-

ando in tal modo l’ambiguità di

fondo di questa esperienza, d’al-

tronde già conclusa prima della

morte di Prinzhorn, nel 1933.

Nell’immediato dopoguerra, con

Jean Dubuffet e l’apertura del Mu-

sée de l’Art Brut a Losanna, l’‘arte

irregolare’ entra ufficialmente nei

manuali come produzione artistica

vera e propria.

La Collezione dell’Art Brut prende il

via nel 1945 dalla ricerca, fatta dal

pittore e scultore francese Jean Du-

buffet, di opere realizzate al di fuo-

ri dei circuiti ufficiali e delle ten-

denze di moda da artisti «indenni

da cultura, nei quali dunque il mi-

metismo, contrariamente a ciò che

accade presso gli intellettuali, ha

poco o per nulla parte».

Con il termine di art brut si identi-

fica quindi l’espressione artistica

praticata da coloro che, per una ra-

gione o per un’altra, sono sfuggiti

al condizionamento culturale e al

conformismo sociale.

Individui solitari, disadattati, rico-

verati di ospedali psichiatrici, de-

tenuti, emarginati di tutti i tipi che

hanno prodotto per se stessi, al di

fuori della tradizione e delle mode,

al di fuori del sistema delle arti,

delle scuole, gallerie, musei, ope-

re altamente originali per contenu-

ti e tecniche.

L’art brut è intesa inizialmente co-

me ogni genere di manifestazione

spontanea e priva di intenzioni cul-

turali, ma nel corso del tempo si

Auguste Forrestier

Else Blankenhorn

Aloïse Corbaz

Page 12: cronache dall'incompiuto

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definisce nell’interesse per l’arte

marginale dei reclusi, degli aliena-

ti, dei clandestini, dei fous; non si

presenta quindi come un movimen-

to pittorico in senso stretto, ma co-

me una definizione ampia che com-

prende opere di artisti, a volte in-

consapevoli, colpiti da gravi distur-

bi psichici ai quali la pittura ha con-

segnato uno straordinario veicolo

di comunicazione.

La psicosi o, a volte, l’handicap

psichico vengono definiti da larga

parte della psichiatria essenzial-

mente come una ‘crisi del linguag-

gio’. Se si pensa all’arte come a

uno dei più alti sistemi di espres-

sione, l’‘arte irregolare’ appare

quindi come un’oasi dove - nel de-

serto della comunicazione autisti-

ca e nella condanna all’impossibili-

tà di parlare - la comunicazione ri-

vela il suo potenziale catartico.

È necessario fare un distinguo tra

l’art brut e quella che viene defini-

ta arte naïf perché quest’ultima,

anche se realizzata ‘ingenuamen-

te’, si inserisce nei canali della

grande pittura di stile accademico

ed è perfettamente integrata nelle

regole di mercato, mentre chi prati-

ca l’art brut inventa proprie tecni-

che, utilizza materiali insoliti, crea

a proprio uso e consumo come in

una sorta di teatro privato e senza

preoccuparsi del giudizio altrui.

Sosteneva Jean Dubuffet : «L’Art

Brut ha in sé tutti gli elementi che

richiede un’opera d’arte: una bru-

ciante tensione mentale, invenzio-

ne senza freni, libertà totale. Pazzi?

Certamente. Potreste concepire

un’arte che non fosse un poco fol-

le? Nietzsche diceva: Noi vogliamo

dell’arte che danzi».

Grazie anche all’art brut, la storia

dell’arte si è liberata dai vincoli

dell’estetica tradizionale, della ste-

rile opposizione tra arte colta, ‘uffi-

ciale’, e arte non-colta, riuscendo a

formulare un nuovo statuto disci-

plinare in cui tutte le pratiche arti-

stiche fanno parte della medesima

storia. D’altro canto anche la psi-

chiatria ha rinunciato, in parte, a

catalogare e incasellare l’espres-

sione dell’umano, per lasciare spa-

zio anche a margini di incomprensi-

bilità e di espressione pura.

Il linguaggio dell’anima

Il pregiudizio, lo stereotipo, l’erige-

re barriere - anche fisiche - tra follia

e normalità, tra arte ‘riconosciuta’

e arte ‘alienata’, ma soprattutto

l’idealizzazione di quelle esperien-

ze tragiche e distruttive che sono -

comunque - la psicosi e l’handicap

hanno dimostrato, come abbiamo

visto, quanto sia faticoso trasfor-

mare realmente queste esperienze

in ‘segno umano’.

Le opere raccolte nella mostra Cro-

nache dall’incompiuto sono la pro-

va di come sia importante non tan-

to ‘valutare’, quanto imparare ad

‘ascoltare’, a ‘riorganizzare’ e a ‘ri-

spondere’ alle immagini-esperien-

za prodotte.

Nella psicologia, il potere terapeu-

tico delle immagini non risiede in

un effetto letterale (dipingo il pro-

blema che mi affligge) e nella sua

interpretazione, ma al dialogo che

si instaura con esse.

Occorre rivolgere attenzione a que-

ste immagini, perchè dietro c’è

sempre una storia, meno palese di

quella conosciuta, più ricca di infor-

mazioni della diagnosi clinica: esse

parlano il linguaggio dell’anima.

È nella duplice funzione percettiva

ed espressiva di queste opere che

possiamo ritrovare le tracce del

percorso creativo che, partendo

dalla gestualità, trasferisce sulla

carta l’esperienza del movimento,

la padronanza del linguaggio, e

reinventa sempre le stesse confi-

gurazioni: il cerchio primordiale, i

diagrammi, gli aggregati, i manda-

la, le figure umane.

Jean Dubuffet

Jean Fautrier

Copertina de ‘L’Art Brut’

(Jean Dubuffet)

Page 13: cronache dall'incompiuto

12

Attraverso il gesto, che lascia trac-

cia, si produce la testimonianza di

una visione ‘altra’, il punto di in-

contro di una condizione perduta e

irripetibile.

Il filosofo Agamben ne dà questa

esauriente definizione: «Gesto è il

nome di questo punto di incrocio

della vita e dell’arte, dell’atto e

della potenza, del generale e del

particolare, del testo e dell’esecu-

zione. Esso è un pezzo di vita sot-

tratta al contesto della biografia in-

dividuale e un pezzo di arte sottrat-

ta alla neutralità dell’estetica:

prassi pura. Né valore d’uso né va-

lore di scambio, né esperienza bio-

grafica, né evento impersonale, il

gesto è il rovescio della merce, che

lascia precipitare nella situazione i

‘cristalli di questa comune sostan-

za sociale’».

Il valore performativo di questi la-

vori risiede proprio nel vedere, at-

traverso di essi e in trasparenza, il

corpo come matrice di segno, ma-

teria espressiva, ‘ricettacolo del-

l’anima’: l’origine della pittura e

dell'azione, esso stesso materiale,

strumento linguistico, mezzo per la

produzione artistica.

Questa valenza, che trascende il

dato individuale per produrre un

linguaggio archetipico, è il terreno

ottimale per costruire, attraverso il

gesto - e il segno che il gesto pro-

duce- la dimensione ontologica

dell'esperienza, come imprescindi-

bile condizione di possibilità di

ogni esistenza: sia essa ‘normale’ o

‘anormale’.

Così queste opere non sono più da

considerare oggetti esterni, che si

guardano dal di fuori, da rappre-

sentare ed interpretare, non più un

semplice dato della realtà da narra-

re o riprodurre, ma campo privile-

giato di indagine per l’approfondi-

mento del problema della costru-

zione della soggettività.

Sono Cronache dall’incompiuto

proprio perché incompiuta è la

possibilità di affermazione da par-

te dei ragazzi attraverso la conti-

nuità del loro lavoro, rispetto alla

compiutezza dell’artista dotato

della possibilità di sviluppare la

propria ricerca e di estenderla nel

mondo delle relazioni possibili.

Incompiuta non è l’elaborazione

dell’archetipo da parte del ragazzo

che dipinge o elabora un manufat-

to ma incompiuto è il riconosci-

mento e la consapevolezza ‘ufficia-

le’ che dal mondo degli archetipi

emergono delle immagini universa-

li, a disposizione di chiunque sia

interessato a coglierle.

Incompiuta è quindi da parte no-

stra, da parte della nostra ‘normali-

tà’, la presa di coscienza e la sen-

sazione di meraviglia per l’esisten-

za di questo mondo, le cui crona-

che sono generalmente delegate e

riconosciute solo all’ufficialità del-

l’arte; per comprenderlo è neces-

sario mettere tra parentesi ogni

aspetto della vita che noi diamo

per consolidato e rimanere ricettivi

alla meraviglia.

Di fronte all'immagine, credo sia

necessario mantenere il più possi-

bile aperto il campo d’osservazio-

ne, rispettando il linguaggio visivo

delle forme e dei colori visti nella

loro prospettiva fenomenologica,

per saper quindi sospendere il giu-

dizio.

L’immagine prodotta deve essere

protetta da inopportune incursioni

interpretative; non deve pretende-

re di ‘normalizzare’ l’arte, né di fare

dell’oggetto estetico prodotto nel

lavoro terapeutico una sorta di arte

minore, chiusa nei confini della psi-

copatologia. Kandinski diceva: «Un

quadro è ben disegnato se vive con

la piena vita interiore... l’artista è e

deve lavorare con le forme, nel mo-

do in cui gli è necessario per i suoi

obiettivi. Chiunque sia, oltre la sa-

lute mentale, è libero di scegliere

Antoni Tàpies

Asger Jorn

Alberto Burri

Page 14: cronache dall'incompiuto

13

tali forme, può inventarne di nuo-

ve, conosciute solo da lui. Solo le

vibrazioni spirituali del pubblico gli

diranno se è vera arte o no».

Lo dimostrano alcune tematiche

presenti nelle opere esposte - co-

me la frammentazione dell’Io, il

senso di spaesamento e di estra-

neità dal mondo - che si traducono,

all’interno della rappresentazione

figurativa del corpo umano, nella

deformazione del soggetto, fagoci-

tato dal corpo o annullato nella

materia, negazione/affermazione

dell’identità.

Le grandi figure verticali, totemiche

e fortemente espressionistiche,

premono per uscire dal formato,

avanzano verso lo spettatore, dan-

zano quasi minacciose. Lo vediamo

concretamente, nell’arte contem-

poranea, anche in artisti come Ar-

nulf Rainer - esponente dell’Azioni-

smo viennese con Nitsch, Muehl,

Brus e Schwarzkogler - nei lavori

del quale la figura assume su di sé

la ferita della carne, andando al di

là della finzione e della rappresen-

tazione artistica per agire sulla re-

altà stessa, sul corpo stesso.

Di diverso indirizzo appaiono i la-

vori dove la percezione frantumata,

frammentaria, della realtà produce

invece un segno polverizzato, che

rimanda ad una dimensione oniri-

ca, pulsionale della memoria - qua-

si psichedelica - tesa alla ricostru-

zione di una mappa identitaria e di

‘ri-conoscimento’ dell’ambiente,

oppure alla destrutturazione dello

spazio e, quindi, del tempo.

Questo operare richiama le tecni-

che dell’Action painting (Pittura

d’azione), a volte chiamata astra-

zione gestuale, uno stile di pittura

nella quale il colore viene fatto

sgocciolare spontaneamente, lan-

ciato o macchiato sulle tele, spes-

so ‘danzandoci’ intorno o facendo-

lo semplicemente cadere, lascian-

do che si esprima la parte incon-

scia dell’artista.

Il pittore Jackson Pollok, esponente

di spicco di questa tendenza nata

tra gli anni ‘40 e ‘50, dipingeva fa-

cendo colare dall’alto vernici e co-

lori su supporti di grandi dimensio-

ni, creando textures molto partico-

lari. Era l’attività spontanea ad es-

sere considerata l’‘azione del di-

pingere’.

Le brillanti esaltazioni cromatiche

di alcuni lavori linoleografici in mo-

stra, peraltro eseguiti con perizia e

senso della composizione, comuni-

cano il senso di vuoto e di solitudi-

ne, evidente nelle ‘ferite’ inferte al-

la materia, simbolicamente aggre-

dita. Non a caso questa tecnica, e

altre tecniche similari, furono riva-

lutate nel XX secolo dagli espres-

sionisti del Künstlergruppe Brücke

e da Edward Munch.

La stessa materia regredisce, in al-

cuni lavori qui presentati, fino a

una turbolenza originaria che rap-

presenta la tangibile problematici-

tà di una cosmogonia umana: ma-

teria che è al contempo corpo e

anima, tessuto umano e sentimen-

to d’essere, materia che diventa

corpo, tessuto organico in senso

stretto. Possono essere considera-

te forme espressive con le stesse

modalità che caratterizzano le ri-

cerche del nostro Pinot Gallizio,

pittore-alchimista-situazionista, o

del Gruppo Cobra - acrostico dai

nomi delle città di Copenhagen,

Bruxelles, Amsterdam dalle quali

provenivano gli artisti (Corneille,

Appel, Alechinsky, Jorn) che nel

1949 si fusero in gruppo a Parigi -

che perseguivano uno stile violen-

temente espressionista, di forte

gestualità e impatto materico auto-

significante. Il gruppo concepiva

l’arte come una manifestazione

che si pone prima della lingua e

prima della tecnica.

Anche questa estrema libertà

espressiva, mediata da una eviden-

Jackson Pollock

Jackson Pollock al lavoro

Arnulf Rainer

Arnulf Rainer

Page 15: cronache dall'incompiuto

14

te attenzione al mondo della comu-

nicazione, spesso si esprime con

un linguaggio nativo, selvaggio, ge-

nerando nuove calligrafie pittori-

che. L’opera diventa così un dia-

gramma di segni-scritture, di graffi

di rabbia che parlano di un difficile

rapporto col mondo esterno.

Del resto in tutti i graffitisti c’è l'in-

contenibile bisogno di comunicare

le proprie angosce invadendo gli

spazi pubblici, come in Keith Ha-

ring e Jean-Michel Basquiat, o nel-

l’esperienza del gruppo Wurmkos,

un progetto la cui peculiarità consi-

ste nell’aver creato un’opera d’arte

permanente in uno spazio inusua-

le: una comunità psichiatrica in cui

vivono anche alcuni degli autori,

un gruppo aperto di artisti, disa-

giati e non, che lavora dal 1987.

Questa è una delle (poche) espe-

rienze italiane che riproducono so-

lo in parte quanto avviene in molti

paesi europei.

Già lo stesso Basaglia si era occu-

pato attivamente della prospettiva

critica della ‘psicopatologia del-

l’espressione’, prefigurando una

lettura terapeutica della produzio-

ne artistica. Ancora oggi l’arte tera-

pia, rimasta di fatto estranea alla

nostra tradizione, nel nostro paese

è una disciplina in via di formazio-

ne e resta una pratica, nel bene e

nel male, priva di una definizione

tecnica e teorica.

L’Ospedale Fatebenefratelli di San

Colombano, il San Giacomo di Ve-

rona, l’atelier La Tinaia - un centro

nato all’interno dell’Ospedale psi-

chiatrico fiorentino di San Salvi -

l’Istituto per le Materie e le Forme

Inconsapevoli all’Ospedale psi-

chiatrico di Genova Quarto, sono

tra le realtà che si propongono, o

si sono proposte, come esempi di

comunità terapeutiche in cui l’arte

è praticata liberamente e quotidia-

namente.

Alcune di queste esperienze han-

no visto crescere, al proprio inter-

no, un numero rilevante di pazien-

ti di grande statura artistica, le cui

opere sono state accolte in musei

e istituzioni internazionali, a parti-

re proprio dalla Collection de l’Art

Brut di Losanna.

Al di là delle loro diverse forme, i

lavori qui presentati recuperano e

testimoniano l’umanità della rela-

zione che deve intercorrere tra l’in-

dividuo e le forme di espressione

artistica. Quando la malattia sepa-

ra l’uomo dall’universo, dalla na-

tura, dal corpo, la pratica delle arti

aiuta a riallacciare tale rapporto.

Questo vale tanto per il malato co-

me per l’artista terapeuta. Non si

possono far condividere a lungo i

benefici dell’arte senza riceverli in

prima persona, senza praticarli, se

no l’arte diventa una semplice tec-

nica e non una nuova fonte di vita.

In un saggio su Oreste Fernando

Nannetti, che ha impresso la sua

straordinaria carica artistica ai mu-

ri dell’Ospedale psichiatrico di Vol-

terra, si legge: «quando un’opera

è così piena di significato e ascen-

de alla dimensione dell’arte, non

c’è più bisogno di critici, basta es-

sere uomini e guardare».

Georg Kern (Baselitz)

Jean-Michel Basquiat

Oreste Fernando Nannetti

Wurmkos

Page 16: cronache dall'incompiuto

Questi lavori sono il frutto del per-

corso dell’attività di un laboratorio

sperimentale avviato nel 2002 nel-

l’ambito delle attività psico-riabili-

tative svolte presso il Centro Diur-

no ANFFAS di Gaglianico.

Il laboratorio artistico ha accolto al

suo interno persone non preceden-

temente ‘contaminate’ da metodo-

logie classiche generalmente utiliz-

zate in ambito educativo-terapeuti-

co ed è stato condotto con l’obbiet-

tivo di sviluppare il linguaggio indi-

viduale e di gruppo.

Ciascuno si è raccontato ed ha

scoltato parti di sé attraverso il rac-

conto degli altri, ha intrecciato la

propria storia con la storia altrui,

ha tessuto il percorso di un viaggio

emozionante lasciando tracce visi-

bili e condivisibili.

Si è realizzato, così, quello che uni-

versalmente è definibile come

espressione artistica, al di là della

produzione generalizzata e del-

l’omologazione che viene più facil-

mente riconosciuta come ‘compiu-

ta’. Sono state utilizzate tecniche

di diverso tipo al fine di stimolare

le parti più profonde dell’io, attiva-

re le emozioni e ripercorrere le sto-

rie di ognuno.

La traduzione del segno è l’equiva-

lente di un bisogno personale di

esprimere e raccontare l’esperien-

za con un linguaggio privo di condi-

zionamenti, carico di forza espres-

siva e di suggestione, riportando

indietro nel tempo, sino a quei pri-

mordi in cui l'immagine iniziava a

farsi simbolo e archetipo.

I dipinti, nella loro simbologia, evi-

denziano quegli elementi linguisti-

ci che sono propri della prima in-

fanzia. La loro definizione, fatta di

gesto e segno, trascende la propria

individualità e traduce il sentire in

una universalità riconoscibile.

Il colore, nella sua spontaneità e

naturalezza, comunica al di là della

forma, una autentica espressione

del proprio mondo interiore: emo-

zioni e sentimenti si integrano con

la corporeità e il pensiero.

L’informalità comunica il bisogno

individuale di scaricare tensioni,

rabbia e dolore, mettendo anche in

luce tendenze e possibilità positive

nascoste o troppo poco manifeste,

dimostrando inoltre la capacità di

esprimere le reazioni intellettuali

ed emotive all'ambiente. L’origina-

lità di questi lavori è il prodotto

dello sforzo di quelli che, comuni-

cando il proprio pensiero e senti-

mento, sono arrivati a tradurre i

propri pensieri e sentimenti, inse-

rendoli nella propria esperienza di

vita. Il valore di questi dipinti va vi-

sto nella specifica funzione che ha

avuto l’atto esecutivo; ciascuno at-

traverso il disegno e il colore è riu-

scito a manifestare la propria per-

sonalità, liberandosi dalle inibizio-

ni e dalle frustrazioni ambientali,

esprimendo le ansie e le preoccu-

pazioni che, se non liberate, ri-

schiano di sedimentarsi nel fondo

della coscienza.

Cristina Magnani

psicologa

Francesco Orrù

conduttore del laboratorio

I l g e s t o c h e ra c c o n t a

15

Page 17: cronache dall'incompiuto

16

Operatori responsabili

del laboratorio:

Francesco Orrù, pittore

Luisella Baroni, assistente

Page 18: cronache dall'incompiuto
Page 19: cronache dall'incompiuto

Francesco TascaAutoritratto

pastello a cera, cm 46x60

a lato:Giovanni Vigato

Natura mortadisegno, cm 30x45

Page 20: cronache dall'incompiuto

opere

Page 21: cronache dall'incompiuto

20

Paolo AcottoPaesaggio

tempera, cm 35x50

Page 22: cronache dall'incompiuto

21

Chiara RicondaIngresso nel verdetempera, cm 50x70

Page 23: cronache dall'incompiuto

22

Jean Claude SellaChiesa

linoleografia, cm 20x30

Francesco TascaTracce

linoleografia, cm 20x30

Page 24: cronache dall'incompiuto

23

Franccsco TascaCasalinoleografia, cm 20x30

Giovanni VigatoNuvolalinoleografia, cm 20x30

Renzo AlberelliRitrattolinoleografia, cm 20x30

Page 25: cronache dall'incompiuto

24

Giuseppe AvolaAtelier

linoleografia, cm 30x20

Saverio RodiFigura maschile

linoleografia, cm 20x30

Page 26: cronache dall'incompiuto

Giuseppe AbatePrato fioritolinoleografia, cm 30x20

Cesarina AggioFiorilinoleografia, cm 20x30

Alessandro RondoPrimaveralinoleografia, cm 20x30

Page 27: cronache dall'incompiuto

26

Page 28: cronache dall'incompiuto

27

Marco Bonadeo eGiuseppe AvolaFemminile+maschiletecnica mista,ognuno cm 100x200

Page 29: cronache dall'incompiuto

28

Paolo AcottoBlu

tempera, cm 22x14

Alberto BordinAlberto Coppa

Paolo MassazzaA più mani

collage, cm 20x14

Marco BonadeoColore

tempera, cm 23x17

Maurizio SquizzatoSenza titolo

tempera, cm 150x220

Page 30: cronache dall'incompiuto

29

Saverio RodiAutoritrattotempera, cm 100x70

Page 31: cronache dall'incompiuto

30

Saverio RodiFigura femminile

tempera, cm 100x70

Marco BonadeoVerde su giallo

tempera, cm 100x70

Page 32: cronache dall'incompiuto

Antonella CrollaCase (porte con lingue)tempera, cm 145x180

Giovanni Vigato“900”pastelli a cera, cm 46x60

Giuseppe AvolaL’accoglientedisegno cm 20x30

Page 33: cronache dall'incompiuto

progetto grafico

Harta Design

foto

Maurizio Tonelli

stampa

Arte della Stampa

novembre 2005

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BielleseOnlus

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