CC rr oo nn aa cc hh ee dal l ’ incompiuto1 9 6 5 - 2 0 0 5 , 4 0 A n n i d i A n f f a s n e l B i e l l e s e
G a l l e r i a B a n a l e C o n c e p t S t o r e
G a l l e r i a B a n a l e C o n c e p t S t o r e
1 8 n o v e m b r e 2 0 0 5 > 2 8 n o v e m b r e 2 0 0 5
Progetto a cura di:
> Associazione ANFFAS Biellese onlus
> Cooperativa Sociale Integrazione Biellese
> Banale Concept Store
> Harta Design
Con il contributo di:
> Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
> ACSV Biella
> Lions Club Biella Host
> Unione Industriale Biellese
> Ascom Panificatori
> Città Studi Biella
Con il patrocinio di:
> Provincia di Biella
> Comune di Biella
> Comune di Gaglianico
> Comune di Salussola
> Comune di Zumaglia
AssociazioneAnffas BielleseOnlus
Associazione ANFFAS Biellese
Cooperativa Sociale Integrazione
Biellese a marchio ANFFAS
via Cavour 104
13894 Gaglianico (BI)
Tel. 015/2493064 Fax 015/2496870
e-mail [email protected]
www.anffas.bi.it
CC rr oo nn aa cc hh ee dal l ’ incompiuto1 9 6 5 > 2 0 0 5 | 4 0 a n n i d i A n f f a s n e l b i e l l e s e
4
> 1965:
Costituzione della
sezione ANFFAS di Biella.
> 1968:
Via delle viti, Biella.
Sette Ragazze/i frequentano
il piccolo Centro.
> 2005:
- 67 ragazzi frequentano il
Centro Diurno di Gaglianico;
- 9 ragazzi sono inseriti presso
la Comunità alloggio in
Via Losana a Biella;
- 6 ragazzi sono inseriti presso
la Comunità alloggio
"Villa Virginia" di Zumaglia (BI);
- 9 ragazzi sono inseriti presso
il Centro di soggiorno agricolo
"Mario e Marie Gianinetto"
di Salussola (BI).
Molta acqua è passata sotto i pon-
ti dalla costituzione della Sezione
ANFFAS di Biella, una delle prime
in tutt'Italia. Il cammino non è sta-
to facile, dopo quarant’anni, dal
primo piccolo Centro, le strutture
danno ospitalità a 90 Ragazze/i.
I Biellesi con laboriosità e con ge-
nerosità sono riusciti a creare cen-
tri accoglienti e familiari.
Ancora oggi il percorso si rivela in
salita ma carico di soddisfazioni e,
nonostante le difficoltà, anche in
quest’occasione, come per magia,
si materializzano le risorse per por-
tare avanti un progetto significativo.
Ringraziamo, con i nostri Ragazzi,
chi tanto ha dato nel corso di que-
sti lunghi anni.
‘Cronache dall’incompiuto’ è stata
possibile grazie a loro.
Antonello Papa
Presidente
ANFFAS Biellese Onlus
Presentazione
5
Il senso delle cose
Nella richiesta di visionare le opere
da esporre per valutare l’opportu-
nità o meno di ospitare questa mo-
stra nei nostro spazi, devo ammet-
tere di essere stato immediata-
mente colpito dalla valenza esteti-
co-figurativa prima che non dalla
comunicazione di supporto e dal
contesto di provenienza.
L’Arte ha da sempre come primario
il valore Evocativo, ebbene anche
in questa occasione le opere espo-
ste hanno attivato questa opzione,
ma ciò che è apparso sin dal primo
istante non è l’associazione con
una situazione di disagio, bensì la
materializzazione di un potente im-
maginario, al di là del tempo, della
condizione e dell’età.
Caratteristica propria dell’Arte
contemporanea, secondo quanto
amiamo da sempre frequentare.
In ultimo mi piace pensare che in
questa occasione uno sguardo ba-
nale ed apparentemente superfi-
ciale sia stato funzionale al raffor-
zamento di una tesi che diviene os-
satura dell’intero progetto.
Il negozio Banale inizia la sua atti-
vità nel centro di Biella il 1° Settem-
bre 1991 con l’esplicita didascalia
che recitava: ‘Oggetti selezionati
per l’uso quotidiano’. Una chiara
dichiarazione di intenti che da allo-
ra, in forma di anticipazione dei
tempi, non ha più cessato di esse-
re una costante linea guida.
Dal 2002, conseguentemente al-
l’intervento di ristrutturazione del-
lo storico Cinema Teatro Apollo si-
tuato lungo via Italia nel centro pe-
donale di Biella, Banale affronta un
nuovo ciclo propositivo secondo
un modello previsto sin dal suo
esordio e presente in città e metro-
poli di più ampio respiro, divenen-
do a tutti gli effetti un Concept Sto-
re ed ampliandosi.
Nella proposta commerciale, grazie
all’affiancarsi alla consueta sele-
zione di oggetti di Design di una
ampliata sezione dedicata all’arre-
do domestico ed alle forniture per
locali, ad una sezione dedicata al-
l’abbigliamento femminile e ma-
schile, calzature ed accessori, e ad
una selezione di titoli nell’ambito
di Libri e Musica, intesi come natu-
rale compendio al vasto panorama
merceologico.
Nella attività culturale, grazie al
proseguire delle mostre dedicate
alla Fotografia, all’Arte, al Design
ed all’Architettura, volte alla divul-
gazione del pensiero che sempre di
più la Cultura deve divenire parte
della quotidianità.
Negli anni Banale si è sempre di-
stinto per la sua opera di selezio-
ne degli oggetti proposti, contri-
buendo all’identificazione di uno
stile di vita orientato verso la ri-
cerca della Qualità nelle cose che
ci circondano.
Tutto ciò reso con il consueto spiri-
to ed impegno, al servizio della af-
fezionata clientela.
Gian Luca Bazzan
art director
Banale Concept Store
6
La vera arte è sempre là ove non la
si attende. Là ove nessuno pensa a
lei, né pronuncia il suo nome.
Jean Dubuffet
Quando mi è stata offerta l’oppor-
tunità di formulare queste brevi
note, in margine alla mostra Crona-
che dall’incompiuto, il pensiero è
ritornato naturalmente all’incontro
personale - una performance rea-
lizzata più di dieci anni fa - con
l’Istituto per le Materie e le Forme
Inconsapevoli, importante espe-
rienza di arte-terapia, nata nell’ex
Ospedale Psichiatrico di Genova
Quarto grazie soprattutto alla de-
dizione dell’artista Claudio Costa.
In quell’occasione (dove nell’occa-
sione è insita anche la sua imper-
manenza: l’occasus è il tramonto, il
perire, il morire senza alcuna pre-
sunzione...), a contatto con i lavori
e le personalità presenti nell’Istitu-
to, ho provato l’emozione che può
dare un’arte - per definizione, ‘si-
stema rappresentativo’ - che comu-
nica l’incomunicabile.
Anche le esperienze espressive di
questa mostra rappresentano, con
una forza ‘naturale’, la solitudine
umana, il vuoto esistenziale, le
problematiche affettive - in ultima
analisi l’assenza - ma anche la gio-
ia del creare, la coscienza del-
l’esperienza, la padronanza delle
tecniche: proprio come l’arte con-
temporanea, nel suo Spirito del
Tempo.
Per questo ho sentito necessario
evidenziare, nella sintetica storia
dell’arte ‘irregolare’ delineata nelle
pagine seguenti, i collegamenti
con l’‘arte ufficiale’ per sottolinea-
re, piuttosto che la loro dicotomia,
la storia comune e la contiguità di
tematiche, forme espressive, lin-
guaggi.
Non ho voluto stabilire dei criteri
estetici pre-formati attraverso cui
osservare le opere presentate, nel-
le quali ha valore l’esperienza in
quanto tale; se nelle tradizioni
post-rinascimentali dell’arte è il
prodotto ad essere considerato,
come se potesse essere sottratto
al tempo, non così in questi lavori-
esperienza, dove il fare è più im-
portante del produrre.
Ho ricercato, piuttosto, gli archeti-
pi a cui spontaneamente i ragazzi
attingono, mettendo al centro del-
l’osservazione i condotti principali
di un’energia che si presenta di in-
tensità variabile, dal flusso al cor-
tocircuito, sfrondata da valutazioni
tecniche o pregiudizi artistici.
Sono stato aiutato, in questo lavo-
ro di sottrazione, dal non avere vo-
lutamente preso in esame altro che
le opere, ignorando contesti e sto-
rie personali; occorre altresì preci-
sare che, dal punto di vista del-
l’esperienza terapeutica, esistono
approcci differenti, determinati
dalle patologie coinvolte.
Le disabilità che sono all’origine
dei lavori presentati non possono
essere considerate, in questo con-
testo essenzialmente percettivo,
elementi di differenziazione; diffe-
renziazione che diventa necessità
imprescindibile nella pratica di ar-
te-terapia degli operatori respon-
sabili del laboratorio.
Un’ultima osservazione: consul-
tando i manuali di storia dell’arte
italiani si può verificare come, a
differenza di altri Paesi europei nei
cui libri già da tempo le opere di
Wölfli, di Aloïse, di Lange e di altri
artisti ‘irregolari’ sono ufficialmen-
te rappresentate, si preferisca
ignorare la storia, e il presente, di
tutte le forme espressive conside-
rate fuori dal mercato.
Questo testo vuole essere quindi
un piccolo contributo per pagare il
grande debito che l’arte moderna e
contemporanea ha con le radici
espressive dell’‘essere umano’:
l’arte dei primitivi, l’arte infantile,
Arte irregolare:testimonianze di una visione ‘altra’
di Roberto Rossini
7
l’arte dei malati mentali e degli
esclusi, quella che è stata definita
‘arte irregolare’.
La sparizione dell’arte
Nella situazione artistica contem-
poranea, dove tutto è possibile e
tutto - o nulla, a seconda dei punti
di vista - continuamente si trasfor-
ma, non si é più aiutati da una ra-
zionalità euclidea per determinare
e definire il campo d’azione del-
l’evento estetico: ci si muove ne-
cessariamente attraverso ‘raccolte’
di frammenti per individuare, all’in-
terno di questi, il dato, l’essenza
dei linguaggi artistici proposti e il
loro divenire.
Lo stesso concetto di ‘contesto’,
che era servito a tutta l’arte prece-
dente il Novecento a definire ciò
che era arte e ciò che non lo era -
come la distinzione tra arti maggio-
ri e arti minori - riceve, nel secolo
appena passato, la critica radicale
delle Avanguardie storiche, che
portano a compimento un vero atto
sacrificale attraverso la massima
laicizzazione del fare artistico, l’og-
gettivazione del ‘prodotto’ arte e
l’esaltazione del ‘concetto’.
Paradossalmente questo processo
di superamento dell’arte o di ‘mor-
te dell’arte’, come l’ha definita
Nietsche, non ha fatto che aumen-
tare la coscienza del valore spiri-
tuale dell’arte stessa.
Sul piano della de-strutturazione
del fare artistico esperienze come i
ready-made di Marcel Duchamp in-
troducono l’aspetto aleatorio come
elemento determinante dell’opera
d’arte, in cui, come precisa Lebel:
«La parte dell’inconscio è più im-
portante che in tutti gli altri lavori».
L’evento artistico si sviluppa quin-
di attraverso una libera associazio-
ne di gesti, rompendo il binomio
causa-effetto, promuovendo nel
corpo sociale l’irruzione di gesti
non economici e a-funzionali, di-
sinteressati, con l’unica finalità di
portare alla superficie zone rimos-
se, appartenenti all’inconscio.
È nella consapevolezza di questa
condizione ‘originaria’ che l’arte
del Novecento e l’‘arte irregolare’
intessono il loro dialogo proficuo e
sviluppano corrispondenze sul pia-
no del comune territorio dello Spi-
rito del Tempo.
L’uomo del Novecento è infatti
l’uomo della crisi esistenziale e
della frantumazione dell’Io, feno-
meno che si ravvisa, in campo
espressivo, nelle opzioni tematiche
e nelle modalità di rappresentazio-
ne che mostrano parallelismi sor-
prendenti tra i due campi, fino a
giungere a un vero e proprio collas-
so delle due dimensioni in un terri-
torio condiviso, libero, almeno a
priori, da pregiudizi.
La situazione odierna è la naturale
prosecuzione di questo quadro,
determinata da una parte dall’in-
gerenza dell’economia in tutte le
forme del reale, dall’altra dall’im-
possibilità del potere di controllare
adeguatamente tutte le catene bio-
logiche dell’esistente; anche la
mutazione delle dinamiche proprie
della realtà fa sì che risultino ina-
deguati i metodi di indagine mec-
canicistici ed analogici fino ad ora
utilizzati.
Ne consegue, nel fare arte, che il
‘progettare’ (la capacità di costrui-
re il futuro) appare oggi una strate-
gia perdente o desueta e che tutto
quello che è avvenuto negli ultimi
cent’anni è rimosso, negato, come
mai avvenuto; la rimozione del
passato e l’incapacità di ‘prevede-
re’ significano che una parte della
nostra vita è perduto.
I recenti cambiamenti tecnologici,
economici e politici hanno contri-
buito alla marginalizzazione e alla
frammentazione di strati sociali
sempre più ampi, non solo da un
punto di vista sociologico, ma piut-
Vincent Van Gogh
Marcel Duchamp
Edward Munch
8
tosto di tutto ciò che viene ‘espul-
so’ in quanto causa di paradossi e
contraddizioni: contraddizioni che
pur essendo perfettamente razio-
nali non offrono altre soluzioni se
non dei cambiamenti radicali.
È in questo tipo di marginalità che
si colloca la produzione artistica di
chi conduce una vita spesso dram-
matica, sofferente, che noi non vor-
remmo vivere.
Le avanguardie artistiche
e la psicoterapia
Nel 1924, André Breton definiva co-
sì, nel suo Manifesto, il Surreali-
smo: «Automatismo tipico puro col
quale ci si propone di esprimere,
sia verbalmete, sia per iscritto, sia
in qualsiasi altro modo, il funziona-
mento reale del pensiero. Dettato
del pensiero, in assenza di qualsia-
si controllo esercitato dalla ragio-
ne, al di fuori di ogni preoccupazio-
ne estetica o morale», palesando
così l’interesse degli artisti d’avan-
guardia per quelle forme espressi-
ve definite come ‘arte irregolare’ e
la loro ammirazione (peraltro non
ricambiata) a Sigmund Freud.
L’attrazione reciproca tra arte, psi-
coanalisi e psichiatria vede soprat-
tutto i Surrealisti - con Breton, Max
Ernst, Paul Eluard, René Magritte -
interessarsi alle manifestazioni
spontanee dei malati mentali (ma
non solo, anche dei popoli cosid-
detti primitivi e delle espressioni
artistiche infantili), leggendo, nelle
loro modalità di dipingere e raffigu-
rare la realtà, una vicinanza ai con-
cetti del dirompente Movimento
Surrealista, teso a ribaltare le cate-
gorie logiche convenzionali, i dog-
mi della critica razionalista e a
esaltare l’entusiasmo per l’incon-
scio, il sogno, il bizzarro come ele-
menti fondanti per la nuova rivolu-
zione sociale.
Questo ‘amore a prima vista’ si pre-
senterà ricco di contraddizioni dal-
l’una e dall’altra parte, generando
pregiudizi e idealizzazioni, contra-
sti e stimoli reciproci, ma anche
una vasta casistica di esperienze in
cui si è raggiunto l’obiettivo più al-
to di restituire dignità all’umano.
Il panorama composito dell’‘arte
psicopatologica’ - sia quella degli
artisti divenuti folli o quella dei fol-
li divenuti artisti, sia quella spon-
tanea creata di nascosto nelle case
di cura o quella incoraggiata nei la-
boratori di arte-terapia - sembra
ancora chiedere il chiarimento di
alcuni stereotipi e pregiudizi da cui
è stata afflitta fin dalla sua prima
evidenza, rappresentata da una
personalità come quella di Vincent
van Gogh.
Van Gogh, ‘icona delle icone’ nel-
l’arte dell’attuale società mercanti-
le, è la dimostrazione di quanto la
follia e la presunta menomazione
psichica siano state lette, nel sen-
so comune, come fonte della crea-
tività o, addirittura, del genio. In re-
altà, la produzione artistica ‘aliena-
ta’ appare molto lontana dal ro-
mantico binomio genio-follia.
La risposta definitiva a queste con-
traddizioni verrà proprio dall’inter-
no, attraverso la penna avvelenata
dello ‘psicotico’ per eccellenza An-
tonin Artaud, che dedicherà all’ar-
tista-uomo Van Gogh uno dei suoi
più appassionati, deliranti ed auto-
biografici testi.
Artaud, personalmente convinto di
essere una vittima della società, e
dei medici in particolare, vedrà nel
tragico destino di Van Gogh il
dramma stesso di una persona fra-
gile e creativa in una società che
tende ad escludere tutte le catego-
rie dei ‘diversi’, dei ‘marginali’, tan-
to più se detentori di una sensibili-
tà come quella dell’artista olande-
se; per dirlo con le parole di Ar-
taud: «Perché un pazzo è anche un
uomo che la società non ha voluto
ascoltare e a cui ha voluto impedi-
André Breton
René Magritte
Henri Michaux
9
re di pronunciare delle insopporta-
bili verità».
Il successivo affermarsi dell’‘arte
irregolare’ ha in parte liberato la
storia dell’arte (come desiderava-
no, almeno nelle loro intenzioni, i
Surrealisti) dalla dicotomia tra arte
colta - la crociana ‘Arte con la A ma-
iuscola’ - e arte non-colta.
Il tratto del pittore è diventato me-
tonimia di una visione del mondo,
testimonianza di una visione ‘al-
tra’, segno intangibile di una condi-
zione perduta e irripetibile.
Se, per i canoni dell’estetica comu-
nemente accettata, non tutta la
produzione irregolare può essere
definita ‘artistica’, il valore incon-
trovertibile di queste opere è pro-
prio nel loro essere testimonianza
di un’esistenza unica, vera e non ri-
producibile .
Secondo lo stesso principio di uni-
cità di ogni esistenza per cui solo
Van Gogh poteva dipingere Campo
di grano con corvi riuscendo, per
usare le parole di Artaud, ad esse-
re «più vero della natura stessa»,
solo il segno di quel pittore, mala-
to o sano che sia, può diventare
rappresentativo della sua partico-
lare capacità - o incapacità - cogni-
tiva ed esecutiva. Non dimentichia-
mo che la menomazione o il rifu-
giarsi nella psicosi rappresenta
spesso, per alcuni individui, l’unica
via di esistenza possibile; ci accor-
giamo così che è l’umano - in tutta
la sua complessità ed interezza - a
comparire dirompente nei loro
quadri, nei loro disegni, nei qua-
derni riempiti di schizzi, nella co-
struzione dei loro oggetti.
Queste opere sono la testimonian-
za della vita come ‘assenza di pro-
tezione’, una dimensione che si in-
frange contro le definizioni rigide e
prestrutturate per lasciare spazio
al manifestarsi di esistenze che -
seppur ‘altre’ - riescono tuttavia ad
esistere e, in questo ex-sistere, es-
sere fuori e dunque mostrar-si,
hanno un’unica via per farlo: la ma-
lattia, l’alienazione, l’emarginazio-
ne e, tuttavia, ancora, la vita.
Museificazione e
mercato dell’arte irregolare
Le prime esperienze di conserva-
zione di tracce o manufatti prodot-
ti da internati in case di cura o di
detenzione risalgono alla fine del
XIX secolo, nel contesto del positi-
vismo scientifico dell’epoca, spes-
so acquisite come documentazioni
con cui sostenere le diagnosi, giu-
stificare le contenzioni, gli interna-
menti e il grado di responsabilità
degli ‘imputati’. Questi allegati del-
le cartelle cliniche, unitamente alle
collezioni che all’interno degli isti-
tuti ospedalieri avevano la funzio-
ne di strumenti didattici (come
quella del discusso antropologo
criminale Cesare Lombroso), costi-
tuirono la base della oramai famo-
sa Collezione Prinzhorn.
La genesi e la fama di questa colle-
zione straordinaria hanno la loro
ragione nel concetto di ‘essenza
originaria’ e della sua trasformazio-
ne in mito; le avanguardie artisti-
che dei primi del ‘900, in particola-
re Espressionismo e Surrealismo,
avevano posto al centro delle loro
ricerche l’‘autenticità’ del processo
artistico, attraverso l’attenzione al-
l’arte ‘dilettantesca’, a quella dei
‘folli’ e a ‘gli albori dell’arte’, per
dirla con le parole di Paul Klee, in
una visione estetica coerentemen-
te idealistica.
Hans Prinzhorn (1886-1933), spiri-
to libero, sperimentatore, ma so-
prattutto medico e storico dell’arte
al tempo stesso, fece propri questi
principi modellando su di essi la
sua collezione di opere di malati di
mente.
Questa attività, incarico ufficiale
presso l’istituto ospedaliero di Hei-
delberg, si svolse sempre conside-
Antonin Artaud
Adolf Wölfli
August Natterer (Neter)
Hans Prinzhorn
10
rando il doppio binario consentito-
gli: da una parte una valutazione
estetica del prodotto artistico, al fi-
ne di « fare chiarezza nel caos del-
l’arte contemporanea » per dirla
con le parole di Prinzhorn, dall’al-
tra con l’intento ‘scientifico’ di ca-
talogare e dare norma ad aspetti
patologici già preventivamente ca-
talogati nell’ambito della schizo-
frenia.
Questi assunti a priori gli faranno
sottacere elementi di indagine im-
portanti come, ad esempio, il fatto
che molti casi di malattia mentale
presi in esame fossero conseguen-
za stessa del ricovero istituziona-
lizzato e che molti artisti presenti
nella collezione avessero esperien-
ze artistiche acquisite prima o du-
rante la contenzione.
Bisogna aggiungere che Prinzhorn
non aveva una grande esperienza
clinica, nè una precedente cono-
scenza su cui basarsi; tentava
quindi di indagare questo diverso
‘senso del mondo’ attraverso la vi-
sita ai pazienti o, pratica diffusa
nell’ambiente psichiatrico del-
l’epoca, con l’assunzione di mesca-
lina in via sperimentale, ritenendo-
ne gli effetti la «medesima perce-
zione degli schizofrenici».
Nel 1922 pubblicò, presso l’editore
Springer di Berlino, Bildnerei der
Geisteskranken. Ein Beitrag zur
Psycologie und Psycopatologie der
Gestaltung (trad. it. L’arte dei folli.
L’attività artistica dei malati di
mente), libro che ebbe molto suc-
cesso, soprattutto nell’ambiente
artistico e che influenzò notevol-
mente vasti settori dell’arte con-
temporanea.
Resta da dire, in queste brevi note,
che la prima manifestazione uffi-
ciale che accomunerà sullo stesso
livello le opere degli artisti delle
avanguardie e le produzioni raccol-
te in campo psichiatrico sarà la mo-
stra Entartete Kunst (Arte degene-
rata) del 1937, promossa dal Mini-
stro della Propaganda del Terzo
Reich, Joseph Goebbels.
L’obiettivo di questa infamante
operazione era di convincere il
pubblico della natura patologica
dell’arte “giudaico-bolscevica”, at-
traverso l’accostamento di opere di
Kirchner, Nolde, Kokoschka, Cha-
gall, Kandinsky, Klee e altri a opere
provenienti proprio dalla Collezio-
ne del dottor Prinzhorn, sottoline-
ando in tal modo l’ambiguità di
fondo di questa esperienza, d’al-
tronde già conclusa prima della
morte di Prinzhorn, nel 1933.
Nell’immediato dopoguerra, con
Jean Dubuffet e l’apertura del Mu-
sée de l’Art Brut a Losanna, l’‘arte
irregolare’ entra ufficialmente nei
manuali come produzione artistica
vera e propria.
La Collezione dell’Art Brut prende il
via nel 1945 dalla ricerca, fatta dal
pittore e scultore francese Jean Du-
buffet, di opere realizzate al di fuo-
ri dei circuiti ufficiali e delle ten-
denze di moda da artisti «indenni
da cultura, nei quali dunque il mi-
metismo, contrariamente a ciò che
accade presso gli intellettuali, ha
poco o per nulla parte».
Con il termine di art brut si identi-
fica quindi l’espressione artistica
praticata da coloro che, per una ra-
gione o per un’altra, sono sfuggiti
al condizionamento culturale e al
conformismo sociale.
Individui solitari, disadattati, rico-
verati di ospedali psichiatrici, de-
tenuti, emarginati di tutti i tipi che
hanno prodotto per se stessi, al di
fuori della tradizione e delle mode,
al di fuori del sistema delle arti,
delle scuole, gallerie, musei, ope-
re altamente originali per contenu-
ti e tecniche.
L’art brut è intesa inizialmente co-
me ogni genere di manifestazione
spontanea e priva di intenzioni cul-
turali, ma nel corso del tempo si
Auguste Forrestier
Else Blankenhorn
Aloïse Corbaz
11
definisce nell’interesse per l’arte
marginale dei reclusi, degli aliena-
ti, dei clandestini, dei fous; non si
presenta quindi come un movimen-
to pittorico in senso stretto, ma co-
me una definizione ampia che com-
prende opere di artisti, a volte in-
consapevoli, colpiti da gravi distur-
bi psichici ai quali la pittura ha con-
segnato uno straordinario veicolo
di comunicazione.
La psicosi o, a volte, l’handicap
psichico vengono definiti da larga
parte della psichiatria essenzial-
mente come una ‘crisi del linguag-
gio’. Se si pensa all’arte come a
uno dei più alti sistemi di espres-
sione, l’‘arte irregolare’ appare
quindi come un’oasi dove - nel de-
serto della comunicazione autisti-
ca e nella condanna all’impossibili-
tà di parlare - la comunicazione ri-
vela il suo potenziale catartico.
È necessario fare un distinguo tra
l’art brut e quella che viene defini-
ta arte naïf perché quest’ultima,
anche se realizzata ‘ingenuamen-
te’, si inserisce nei canali della
grande pittura di stile accademico
ed è perfettamente integrata nelle
regole di mercato, mentre chi prati-
ca l’art brut inventa proprie tecni-
che, utilizza materiali insoliti, crea
a proprio uso e consumo come in
una sorta di teatro privato e senza
preoccuparsi del giudizio altrui.
Sosteneva Jean Dubuffet : «L’Art
Brut ha in sé tutti gli elementi che
richiede un’opera d’arte: una bru-
ciante tensione mentale, invenzio-
ne senza freni, libertà totale. Pazzi?
Certamente. Potreste concepire
un’arte che non fosse un poco fol-
le? Nietzsche diceva: Noi vogliamo
dell’arte che danzi».
Grazie anche all’art brut, la storia
dell’arte si è liberata dai vincoli
dell’estetica tradizionale, della ste-
rile opposizione tra arte colta, ‘uffi-
ciale’, e arte non-colta, riuscendo a
formulare un nuovo statuto disci-
plinare in cui tutte le pratiche arti-
stiche fanno parte della medesima
storia. D’altro canto anche la psi-
chiatria ha rinunciato, in parte, a
catalogare e incasellare l’espres-
sione dell’umano, per lasciare spa-
zio anche a margini di incomprensi-
bilità e di espressione pura.
Il linguaggio dell’anima
Il pregiudizio, lo stereotipo, l’erige-
re barriere - anche fisiche - tra follia
e normalità, tra arte ‘riconosciuta’
e arte ‘alienata’, ma soprattutto
l’idealizzazione di quelle esperien-
ze tragiche e distruttive che sono -
comunque - la psicosi e l’handicap
hanno dimostrato, come abbiamo
visto, quanto sia faticoso trasfor-
mare realmente queste esperienze
in ‘segno umano’.
Le opere raccolte nella mostra Cro-
nache dall’incompiuto sono la pro-
va di come sia importante non tan-
to ‘valutare’, quanto imparare ad
‘ascoltare’, a ‘riorganizzare’ e a ‘ri-
spondere’ alle immagini-esperien-
za prodotte.
Nella psicologia, il potere terapeu-
tico delle immagini non risiede in
un effetto letterale (dipingo il pro-
blema che mi affligge) e nella sua
interpretazione, ma al dialogo che
si instaura con esse.
Occorre rivolgere attenzione a que-
ste immagini, perchè dietro c’è
sempre una storia, meno palese di
quella conosciuta, più ricca di infor-
mazioni della diagnosi clinica: esse
parlano il linguaggio dell’anima.
È nella duplice funzione percettiva
ed espressiva di queste opere che
possiamo ritrovare le tracce del
percorso creativo che, partendo
dalla gestualità, trasferisce sulla
carta l’esperienza del movimento,
la padronanza del linguaggio, e
reinventa sempre le stesse confi-
gurazioni: il cerchio primordiale, i
diagrammi, gli aggregati, i manda-
la, le figure umane.
Jean Dubuffet
Jean Fautrier
Copertina de ‘L’Art Brut’
(Jean Dubuffet)
12
Attraverso il gesto, che lascia trac-
cia, si produce la testimonianza di
una visione ‘altra’, il punto di in-
contro di una condizione perduta e
irripetibile.
Il filosofo Agamben ne dà questa
esauriente definizione: «Gesto è il
nome di questo punto di incrocio
della vita e dell’arte, dell’atto e
della potenza, del generale e del
particolare, del testo e dell’esecu-
zione. Esso è un pezzo di vita sot-
tratta al contesto della biografia in-
dividuale e un pezzo di arte sottrat-
ta alla neutralità dell’estetica:
prassi pura. Né valore d’uso né va-
lore di scambio, né esperienza bio-
grafica, né evento impersonale, il
gesto è il rovescio della merce, che
lascia precipitare nella situazione i
‘cristalli di questa comune sostan-
za sociale’».
Il valore performativo di questi la-
vori risiede proprio nel vedere, at-
traverso di essi e in trasparenza, il
corpo come matrice di segno, ma-
teria espressiva, ‘ricettacolo del-
l’anima’: l’origine della pittura e
dell'azione, esso stesso materiale,
strumento linguistico, mezzo per la
produzione artistica.
Questa valenza, che trascende il
dato individuale per produrre un
linguaggio archetipico, è il terreno
ottimale per costruire, attraverso il
gesto - e il segno che il gesto pro-
duce- la dimensione ontologica
dell'esperienza, come imprescindi-
bile condizione di possibilità di
ogni esistenza: sia essa ‘normale’ o
‘anormale’.
Così queste opere non sono più da
considerare oggetti esterni, che si
guardano dal di fuori, da rappre-
sentare ed interpretare, non più un
semplice dato della realtà da narra-
re o riprodurre, ma campo privile-
giato di indagine per l’approfondi-
mento del problema della costru-
zione della soggettività.
Sono Cronache dall’incompiuto
proprio perché incompiuta è la
possibilità di affermazione da par-
te dei ragazzi attraverso la conti-
nuità del loro lavoro, rispetto alla
compiutezza dell’artista dotato
della possibilità di sviluppare la
propria ricerca e di estenderla nel
mondo delle relazioni possibili.
Incompiuta non è l’elaborazione
dell’archetipo da parte del ragazzo
che dipinge o elabora un manufat-
to ma incompiuto è il riconosci-
mento e la consapevolezza ‘ufficia-
le’ che dal mondo degli archetipi
emergono delle immagini universa-
li, a disposizione di chiunque sia
interessato a coglierle.
Incompiuta è quindi da parte no-
stra, da parte della nostra ‘normali-
tà’, la presa di coscienza e la sen-
sazione di meraviglia per l’esisten-
za di questo mondo, le cui crona-
che sono generalmente delegate e
riconosciute solo all’ufficialità del-
l’arte; per comprenderlo è neces-
sario mettere tra parentesi ogni
aspetto della vita che noi diamo
per consolidato e rimanere ricettivi
alla meraviglia.
Di fronte all'immagine, credo sia
necessario mantenere il più possi-
bile aperto il campo d’osservazio-
ne, rispettando il linguaggio visivo
delle forme e dei colori visti nella
loro prospettiva fenomenologica,
per saper quindi sospendere il giu-
dizio.
L’immagine prodotta deve essere
protetta da inopportune incursioni
interpretative; non deve pretende-
re di ‘normalizzare’ l’arte, né di fare
dell’oggetto estetico prodotto nel
lavoro terapeutico una sorta di arte
minore, chiusa nei confini della psi-
copatologia. Kandinski diceva: «Un
quadro è ben disegnato se vive con
la piena vita interiore... l’artista è e
deve lavorare con le forme, nel mo-
do in cui gli è necessario per i suoi
obiettivi. Chiunque sia, oltre la sa-
lute mentale, è libero di scegliere
Antoni Tàpies
Asger Jorn
Alberto Burri
13
tali forme, può inventarne di nuo-
ve, conosciute solo da lui. Solo le
vibrazioni spirituali del pubblico gli
diranno se è vera arte o no».
Lo dimostrano alcune tematiche
presenti nelle opere esposte - co-
me la frammentazione dell’Io, il
senso di spaesamento e di estra-
neità dal mondo - che si traducono,
all’interno della rappresentazione
figurativa del corpo umano, nella
deformazione del soggetto, fagoci-
tato dal corpo o annullato nella
materia, negazione/affermazione
dell’identità.
Le grandi figure verticali, totemiche
e fortemente espressionistiche,
premono per uscire dal formato,
avanzano verso lo spettatore, dan-
zano quasi minacciose. Lo vediamo
concretamente, nell’arte contem-
poranea, anche in artisti come Ar-
nulf Rainer - esponente dell’Azioni-
smo viennese con Nitsch, Muehl,
Brus e Schwarzkogler - nei lavori
del quale la figura assume su di sé
la ferita della carne, andando al di
là della finzione e della rappresen-
tazione artistica per agire sulla re-
altà stessa, sul corpo stesso.
Di diverso indirizzo appaiono i la-
vori dove la percezione frantumata,
frammentaria, della realtà produce
invece un segno polverizzato, che
rimanda ad una dimensione oniri-
ca, pulsionale della memoria - qua-
si psichedelica - tesa alla ricostru-
zione di una mappa identitaria e di
‘ri-conoscimento’ dell’ambiente,
oppure alla destrutturazione dello
spazio e, quindi, del tempo.
Questo operare richiama le tecni-
che dell’Action painting (Pittura
d’azione), a volte chiamata astra-
zione gestuale, uno stile di pittura
nella quale il colore viene fatto
sgocciolare spontaneamente, lan-
ciato o macchiato sulle tele, spes-
so ‘danzandoci’ intorno o facendo-
lo semplicemente cadere, lascian-
do che si esprima la parte incon-
scia dell’artista.
Il pittore Jackson Pollok, esponente
di spicco di questa tendenza nata
tra gli anni ‘40 e ‘50, dipingeva fa-
cendo colare dall’alto vernici e co-
lori su supporti di grandi dimensio-
ni, creando textures molto partico-
lari. Era l’attività spontanea ad es-
sere considerata l’‘azione del di-
pingere’.
Le brillanti esaltazioni cromatiche
di alcuni lavori linoleografici in mo-
stra, peraltro eseguiti con perizia e
senso della composizione, comuni-
cano il senso di vuoto e di solitudi-
ne, evidente nelle ‘ferite’ inferte al-
la materia, simbolicamente aggre-
dita. Non a caso questa tecnica, e
altre tecniche similari, furono riva-
lutate nel XX secolo dagli espres-
sionisti del Künstlergruppe Brücke
e da Edward Munch.
La stessa materia regredisce, in al-
cuni lavori qui presentati, fino a
una turbolenza originaria che rap-
presenta la tangibile problematici-
tà di una cosmogonia umana: ma-
teria che è al contempo corpo e
anima, tessuto umano e sentimen-
to d’essere, materia che diventa
corpo, tessuto organico in senso
stretto. Possono essere considera-
te forme espressive con le stesse
modalità che caratterizzano le ri-
cerche del nostro Pinot Gallizio,
pittore-alchimista-situazionista, o
del Gruppo Cobra - acrostico dai
nomi delle città di Copenhagen,
Bruxelles, Amsterdam dalle quali
provenivano gli artisti (Corneille,
Appel, Alechinsky, Jorn) che nel
1949 si fusero in gruppo a Parigi -
che perseguivano uno stile violen-
temente espressionista, di forte
gestualità e impatto materico auto-
significante. Il gruppo concepiva
l’arte come una manifestazione
che si pone prima della lingua e
prima della tecnica.
Anche questa estrema libertà
espressiva, mediata da una eviden-
Jackson Pollock
Jackson Pollock al lavoro
Arnulf Rainer
Arnulf Rainer
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te attenzione al mondo della comu-
nicazione, spesso si esprime con
un linguaggio nativo, selvaggio, ge-
nerando nuove calligrafie pittori-
che. L’opera diventa così un dia-
gramma di segni-scritture, di graffi
di rabbia che parlano di un difficile
rapporto col mondo esterno.
Del resto in tutti i graffitisti c’è l'in-
contenibile bisogno di comunicare
le proprie angosce invadendo gli
spazi pubblici, come in Keith Ha-
ring e Jean-Michel Basquiat, o nel-
l’esperienza del gruppo Wurmkos,
un progetto la cui peculiarità consi-
ste nell’aver creato un’opera d’arte
permanente in uno spazio inusua-
le: una comunità psichiatrica in cui
vivono anche alcuni degli autori,
un gruppo aperto di artisti, disa-
giati e non, che lavora dal 1987.
Questa è una delle (poche) espe-
rienze italiane che riproducono so-
lo in parte quanto avviene in molti
paesi europei.
Già lo stesso Basaglia si era occu-
pato attivamente della prospettiva
critica della ‘psicopatologia del-
l’espressione’, prefigurando una
lettura terapeutica della produzio-
ne artistica. Ancora oggi l’arte tera-
pia, rimasta di fatto estranea alla
nostra tradizione, nel nostro paese
è una disciplina in via di formazio-
ne e resta una pratica, nel bene e
nel male, priva di una definizione
tecnica e teorica.
L’Ospedale Fatebenefratelli di San
Colombano, il San Giacomo di Ve-
rona, l’atelier La Tinaia - un centro
nato all’interno dell’Ospedale psi-
chiatrico fiorentino di San Salvi -
l’Istituto per le Materie e le Forme
Inconsapevoli all’Ospedale psi-
chiatrico di Genova Quarto, sono
tra le realtà che si propongono, o
si sono proposte, come esempi di
comunità terapeutiche in cui l’arte
è praticata liberamente e quotidia-
namente.
Alcune di queste esperienze han-
no visto crescere, al proprio inter-
no, un numero rilevante di pazien-
ti di grande statura artistica, le cui
opere sono state accolte in musei
e istituzioni internazionali, a parti-
re proprio dalla Collection de l’Art
Brut di Losanna.
Al di là delle loro diverse forme, i
lavori qui presentati recuperano e
testimoniano l’umanità della rela-
zione che deve intercorrere tra l’in-
dividuo e le forme di espressione
artistica. Quando la malattia sepa-
ra l’uomo dall’universo, dalla na-
tura, dal corpo, la pratica delle arti
aiuta a riallacciare tale rapporto.
Questo vale tanto per il malato co-
me per l’artista terapeuta. Non si
possono far condividere a lungo i
benefici dell’arte senza riceverli in
prima persona, senza praticarli, se
no l’arte diventa una semplice tec-
nica e non una nuova fonte di vita.
In un saggio su Oreste Fernando
Nannetti, che ha impresso la sua
straordinaria carica artistica ai mu-
ri dell’Ospedale psichiatrico di Vol-
terra, si legge: «quando un’opera
è così piena di significato e ascen-
de alla dimensione dell’arte, non
c’è più bisogno di critici, basta es-
sere uomini e guardare».
Georg Kern (Baselitz)
Jean-Michel Basquiat
Oreste Fernando Nannetti
Wurmkos
Questi lavori sono il frutto del per-
corso dell’attività di un laboratorio
sperimentale avviato nel 2002 nel-
l’ambito delle attività psico-riabili-
tative svolte presso il Centro Diur-
no ANFFAS di Gaglianico.
Il laboratorio artistico ha accolto al
suo interno persone non preceden-
temente ‘contaminate’ da metodo-
logie classiche generalmente utiliz-
zate in ambito educativo-terapeuti-
co ed è stato condotto con l’obbiet-
tivo di sviluppare il linguaggio indi-
viduale e di gruppo.
Ciascuno si è raccontato ed ha
scoltato parti di sé attraverso il rac-
conto degli altri, ha intrecciato la
propria storia con la storia altrui,
ha tessuto il percorso di un viaggio
emozionante lasciando tracce visi-
bili e condivisibili.
Si è realizzato, così, quello che uni-
versalmente è definibile come
espressione artistica, al di là della
produzione generalizzata e del-
l’omologazione che viene più facil-
mente riconosciuta come ‘compiu-
ta’. Sono state utilizzate tecniche
di diverso tipo al fine di stimolare
le parti più profonde dell’io, attiva-
re le emozioni e ripercorrere le sto-
rie di ognuno.
La traduzione del segno è l’equiva-
lente di un bisogno personale di
esprimere e raccontare l’esperien-
za con un linguaggio privo di condi-
zionamenti, carico di forza espres-
siva e di suggestione, riportando
indietro nel tempo, sino a quei pri-
mordi in cui l'immagine iniziava a
farsi simbolo e archetipo.
I dipinti, nella loro simbologia, evi-
denziano quegli elementi linguisti-
ci che sono propri della prima in-
fanzia. La loro definizione, fatta di
gesto e segno, trascende la propria
individualità e traduce il sentire in
una universalità riconoscibile.
Il colore, nella sua spontaneità e
naturalezza, comunica al di là della
forma, una autentica espressione
del proprio mondo interiore: emo-
zioni e sentimenti si integrano con
la corporeità e il pensiero.
L’informalità comunica il bisogno
individuale di scaricare tensioni,
rabbia e dolore, mettendo anche in
luce tendenze e possibilità positive
nascoste o troppo poco manifeste,
dimostrando inoltre la capacità di
esprimere le reazioni intellettuali
ed emotive all'ambiente. L’origina-
lità di questi lavori è il prodotto
dello sforzo di quelli che, comuni-
cando il proprio pensiero e senti-
mento, sono arrivati a tradurre i
propri pensieri e sentimenti, inse-
rendoli nella propria esperienza di
vita. Il valore di questi dipinti va vi-
sto nella specifica funzione che ha
avuto l’atto esecutivo; ciascuno at-
traverso il disegno e il colore è riu-
scito a manifestare la propria per-
sonalità, liberandosi dalle inibizio-
ni e dalle frustrazioni ambientali,
esprimendo le ansie e le preoccu-
pazioni che, se non liberate, ri-
schiano di sedimentarsi nel fondo
della coscienza.
Cristina Magnani
psicologa
Francesco Orrù
conduttore del laboratorio
I l g e s t o c h e ra c c o n t a
15
16
Operatori responsabili
del laboratorio:
Francesco Orrù, pittore
Luisella Baroni, assistente
Francesco TascaAutoritratto
pastello a cera, cm 46x60
a lato:Giovanni Vigato
Natura mortadisegno, cm 30x45
opere
20
Paolo AcottoPaesaggio
tempera, cm 35x50
21
Chiara RicondaIngresso nel verdetempera, cm 50x70
22
Jean Claude SellaChiesa
linoleografia, cm 20x30
Francesco TascaTracce
linoleografia, cm 20x30
23
Franccsco TascaCasalinoleografia, cm 20x30
Giovanni VigatoNuvolalinoleografia, cm 20x30
Renzo AlberelliRitrattolinoleografia, cm 20x30
24
Giuseppe AvolaAtelier
linoleografia, cm 30x20
Saverio RodiFigura maschile
linoleografia, cm 20x30
Giuseppe AbatePrato fioritolinoleografia, cm 30x20
Cesarina AggioFiorilinoleografia, cm 20x30
Alessandro RondoPrimaveralinoleografia, cm 20x30
26
27
Marco Bonadeo eGiuseppe AvolaFemminile+maschiletecnica mista,ognuno cm 100x200
28
Paolo AcottoBlu
tempera, cm 22x14
Alberto BordinAlberto Coppa
Paolo MassazzaA più mani
collage, cm 20x14
Marco BonadeoColore
tempera, cm 23x17
Maurizio SquizzatoSenza titolo
tempera, cm 150x220
29
Saverio RodiAutoritrattotempera, cm 100x70
30
Saverio RodiFigura femminile
tempera, cm 100x70
Marco BonadeoVerde su giallo
tempera, cm 100x70
Antonella CrollaCase (porte con lingue)tempera, cm 145x180
Giovanni Vigato“900”pastelli a cera, cm 46x60
Giuseppe AvolaL’accoglientedisegno cm 20x30
progetto grafico
Harta Design
foto
Maurizio Tonelli
stampa
Arte della Stampa
novembre 2005
AssociazioneAnffas
BielleseOnlus
Associazione ANFFAS Biellese
via Cavour, 104
13894 Gaglianico (BI)
Tel. 015/2493064
Fax 015/2496870
Cooperativa Sociale
Integrazione Biellese
a marchio ANFFAS
via Cavour, 104
13894 Gaglianico (BI)
Tel. 015/2493064
Fax 015/2496870