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n questi tempi confusi e rumo- rosi sembra sempre più difficile accorgersi della presenza di Dio, comprendere che il Signore cammina al nostro fianco, abita accanto a noi, condi- vide con noi il cammino della vita. Inoltre oggi sembra impossibile fermarsi ad ascoltare la sua voce forte e dolce, po- tente e umile che bussa al nostro cuore e che canta nel silenzio. Fin dalla creazione del mondo Dio vol- le essere presente con la sua provvidenza nella vita delle sue creature, una presenza discreta e insieme grandiosa, capace di tracciare la storia del mondo attendendo sempre che l’uomo accettasse questa pre- senza come proposta d’amore. Nella bel- lezza delle creature, che si rivela splendi- damente agli occhi dell’uomo, Dio pone un frammento delle sue perfezioni facen- dosi vicino con il suo volto meraviglioso. Quando il peccato stravolse l’armonia creaturale Dio non abbandonò l’uomo ma volle continuare ad essere presente accanto a lui, pur cacciandolo dal Paradi- so terrestre, ovvero pur allontanandolo dallo stato beato in cui poteva godere pienamente della presenza di Dio che “passeggiava alla brezza del giorno” (Gen 3) non volle lasciarlo solo nel duro cammino della vita mortale. Continuò a camminare al suo fianco facendosi per lui padre e maestro, severo ed esigente ma anche misericordioso e benevolo. Una presenza che si fa amicizia con Abramo, legame profondo reso solido dall’Allean- za, segno fondamentale della presenza amorosa di Dio che cerca l’uomo e lo in- contra nelle offerte sacrificali e nei san- tuari patriarcali, luoghi in cui Abramo e gli altri Patriarchi commemorano una manifestazione speciale di Dio e dove “si prostrano” rendendo omaggio alla sua presenza. Io sarò con voi Nel grande racconto di Esodo 3 que- sta presenza salvifica di Dio per l’uomo si fa ancora più evidente. La manifesta- zione del Signore a Mosè nel roveto ar- dente descrive il suo desiderio di farsi vicino al suo popolo, di diventare il “Dio di Israele” coinvolgendosi piena- mente con la sua storia. I quattro verbi che Es 3,7-8 ci presenta sono una ma- gnifica sintesi di questa azione amorosa di Dio verso di noi. Il Signore disse: Ho osservato la mi- seria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…e per farlo uscire da questo paese… (Es 3,7-8). 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 3-2007 La casa di Dio in mezzo agli uomini mons. Marco Frisina I

CULMINE e FONTE 3-2007 def. - Vicariato di Roma...Formazione Liturgica Culmine e Fonte 3-2007 2 Dio è vicino al grido di oppressione di Israele, è fedele all’alleanza stretta con

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n questi tempi confusi e rumo-rosi sembra sempre più difficileaccorgersi della presenza di Dio,

comprendere che il Signore cammina alnostro fianco, abita accanto a noi, condi-vide con noi il cammino della vita. Inoltreoggi sembra impossibile fermarsi adascoltare la sua voce forte e dolce, po-tente e umile che bussa al nostro cuore eche canta nel silenzio.

Fin dalla creazione del mondo Dio vol-le essere presente con la sua provvidenzanella vita delle sue creature, una presenzadiscreta e insieme grandiosa, capace ditracciare la storia del mondo attendendosempre che l’uomo accettasse questa pre-senza come proposta d’amore. Nella bel-lezza delle creature, che si rivela splendi-damente agli occhi dell’uomo, Dio poneun frammento delle sue perfezioni facen-dosi vicino con il suo volto meraviglioso.

Quando il peccato stravolse l’armoniacreaturale Dio non abbandonò l’uomoma volle continuare ad essere presenteaccanto a lui, pur cacciandolo dal Paradi-so terrestre, ovvero pur allontanandolodallo stato beato in cui poteva goderepienamente della presenza di Dio che“passeggiava alla brezza del giorno”(Gen 3) non volle lasciarlo solo nel durocammino della vita mortale. Continuò acamminare al suo fianco facendosi per lui

padre e maestro, severo ed esigente maanche misericordioso e benevolo. Unapresenza che si fa amicizia con Abramo,legame profondo reso solido dall’Allean-za, segno fondamentale della presenzaamorosa di Dio che cerca l’uomo e lo in-contra nelle offerte sacrificali e nei san-tuari patriarcali, luoghi in cui Abramo egli altri Patriarchi commemorano unamanifestazione speciale di Dio e dove “siprostrano” rendendo omaggio alla suapresenza.

Io sarò con voi

Nel grande racconto di Esodo 3 que-sta presenza salvifica di Dio per l’uomosi fa ancora più evidente. La manifesta-zione del Signore a Mosè nel roveto ar-dente descrive il suo desiderio di farsivicino al suo popolo, di diventare il“Dio di Israele” coinvolgendosi piena-mente con la sua storia. I quattro verbiche Es 3,7-8 ci presenta sono una ma-gnifica sintesi di questa azione amorosadi Dio verso di noi.

Il Signore disse: Ho osservato la mi-seria del mio popolo in Egitto e ho uditoil suo grido a causa dei suoi sorveglianti;conosco infatti le sue sofferenze. Sonosceso per liberarlo…e per farlo uscire daquesto paese… (Es 3,7-8).

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2007

La casa di Dio in mezzo agli uomini

mons. Marco Frisina

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Dio è vicino al grido di oppressione diIsraele, è fedele all’alleanza stretta conAbramo ma è anche fedele al suo ruolodi padre provvidente e vuole liberarel’uomo dalla sua schiavitù. Il nome stessoche Dio rivela a Mosè “Io sarò con te”(Es 3,12) e più tardi come dirà al popolo“Io sarò con voi per proteggervi” fa com-prendere il suo desiderio grande di essereaccanto al suo popolo.

L’alleanza del Sinai (Es 19-20) stipu-lerà questo incontro tra Dio e Israele,un’alleanza in cui doveri e diritti sono evi-denziati e in cui Dio promette la vicinan-za e la protezione al suo popolo.

Il Signore inoltre desidera “abitare”con il suo popolo, vuole che si edifichiper lui una tenda in cui incontrarlo echiedere a Lui ciò di cui Israele ha biso-gno ma anche e soprattutto doveascoltare la sua parola e i suoi coman-di. Dio descrive la sua tenda mostrandoa Mosè il suo modello celeste e vuoleche questo modello sia rispettato (Es25ss), la tenda, l’altare, l’arca, il cande-labro, tutto deve essere rigorosamenterispettato nella sua esecuzione, comeun’immagine simbolica del cielo stessodi cui il santuario è la realizzazione ter-rena. Tutta la liturgia del santuario e ladisciplina dei sacrifici esprime questomistero della presenza di Dio e dell’in-contro con Lui, una presenza che simanifesta anche nella nube e nella co-lonna di fuoco.

Le peregrinazioni nel deserto vedran-no costantemente la presenza di Diopresso il suo popolo, questi non sarà maisolo anche nei momenti più terribili e du-

ri della prova. Un dialogo serrato eprofondo continua a sostenere Israele e acostringerlo ad una presa di posizionechiara nei confronti dell’alleanza a voltetradita o dimenticata, altre volte osserva-ta ed amata.

Una casa in mezzo agli uomini

L’arca dell’alleanza accompagnerà an-che l’ingresso nella Terra promessa adopera dei più giovani e sarà quest’arca ilsegno eloquente della presenza di Dioquando Davide realizzò il regno di Israelee quando la portò trionfante in Gerusa-lemme danzando davanti ad essa così co-me si danza nella gioia della salvezza di-nanzi a Dio.

Fu allora che nacque nel cuore delRe il desiderio di un luogo, di un Tem-pio, in cui far dimorare il Signore, unacasa per lui tra le case degli uomini cosìcome un tempo Egli dimorava in unatenda tra le altre tende di Israele. Sarà ilfiglio Salomone a realizzare questo so-gno e lo farà con una costruzione gran-diosa, un edificio meraviglioso che po-tesse rendere visibile l’immensa gran-dezza di Dio in mezzo al mondo. Manella preghiera pronunciata da Salomo-ne nella festa di dedicazione del Tempioil re si lascia andare ad una considera-zione particolare:

Ma è proprio vero che Dio abita sul-la terra? Ecco i cieli e i cieli dei cielinon possono contenerti, tanto menoquesta casa che io ho cost ru i ta!(1Re 8,27).

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Lo stupore e il timore di Salomone ri-velano i sentimenti contrastanti del suocuore, egli conosce la trascendenza infi-nita di Dio e non può concepire una casafatta da mani d’uomo capace di contene-re tale presenza. Il re è cosciente del valo-re simbolico di tale struttura e nello stes-so tempo sa che in questo luogo il popo-lo può incontrare il suo Dio, può invocar-lo, può innalzare a lui la sua preghiera.

Ascolta la supplica del tuo servo e diIsraele tuo popolo, quando pregherannoin questo luogo. Ascoltali dal luogo dellatua dimora, dal cielo; ascolta e perdona.(1Re 8,30).

È evidente che Salomone sa che Diodimora in cielo, che la sua sfera è tra-scendente, ma sa pure che da questoluogo fisico Dio ascolta le suppliche degliuomini, sa che il tempio rappresenta sim-bolicamente il punto di incontro tra Dio el’uomo, un luogo in cui è possibile il dia-logo e l’ascolto. Soprattutto in questoluogo Dio può accettare la penitenza diIsraele e donare il suo perdono, può ac-cogliere i suoi sacrifici e donare la sua be-nevolenza, da questo luogo può diffon-dersi la benedizione di Dio anche per lostraniero (1Re 8,41ss) affinché “tutti ipopoli della terra conoscano il suo no-me”. Infine il Tempio viene ad essere unasola cosa con il popolo, questi è sacro alsuo Dio, è “separato da tutti i popoli”per lui (1Re 8,53), è sua proprietà perchéè consacrato alla sua gloria. Il Tempio eIsraele sono un’unica realtà al servizio delSignore.

Il vero culto

La realtà del Tempio di Gerusalemmesegnò una svolta profonda nella fede diIsraele. Le celebrazioni e le feste, con illoro regolare succedersi, educavano il po-polo alla preghiera e all’interiorizzazionedella storia salvifica. L’incontro con Diodivenne vero culto e i gesti della liturgiadel Tempio divennero forti segni di que-sta devozione al Signore. Ma sempre piùspesso si verifica una dicotomia tra la vitamorale del popolo e quella cultuale, trala realtà quotidiana di peccato e la gran-de preghiera del Tempio tanto da ingene-rare una autentica ipocrisia nei compor-tamenti del popolo che “con le labbrabenedice” e con la vita contraddice lasua preghiera.

Il profeta Isaia si scaglia più volte con-tro questa doppiezza e similmente, macon toni ancora più drammatici, lo faràGeremia.

In Ger 7 il profeta denuncia le frodi e icrimini che contraddicono il culto deltempio.

…Voi confidate in parole false e ciònon vi gioverà: rubare, uccidere, com-mettere adulterio, giurare il falso, bru-ciare incenso a Baal, seguire altri deiche voi non conoscevate. Poi venite evi presentate alla mia presenza in que-sto tempio, che prende il nome da me,e dite: Siamo salvi! Per poi compieretutti questi abomini. Forse è una spe-lonca di ladri ai vostri occhi questotempio che prende il nome da me?(Ger 7,8-11).

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La necessità di un culto vero ed au-tentico si fa sempre più strada nel cuoredei credenti di Israele e nel momento incui il tempio sarà distrutto, l’evento saràinterpretato come una punizione per l’in-fedeltà, un abbandono del popolo daparte del Signore. L’esilio insegnerà a ri-conquistare il significato del tempio inmodo più profondo facendo rinascere lanostalgia dei tempi antichi, del periododell’Esodo quando Israele, come una gio-vane sposa, amava e seguiva il suo Sposoe gli rimaneva fedele. Il Signore abitavanella tenda in mezzo al suo popolo equesta intimità faceva crescere l’amore.

La ricostruzione postesilica del Tem-pio divenne un nuovo inizio, facendoeco alle pagine luminose con cui si con-clude il libro di Ezechiele, in cui il profe-ta descrive il nuovo Tempio che il Mes-sia avrebbe edificato. Dal lato destrodel Tempio una sorgente stupenda di-viene ruscello e poi fiume e mare e lesue acque risanano il mondo (Ez 47).

La costruzione diviene segno della fe-de di Israele e col tempo simbolo dell’i-dentità religiosa e della fedeltà all’allean-za antica. La difesa della santità del Tem-pio si identifica con lotta di resistenzanei confronti dell’omologazione religiosaellenistica nel tempo dei Maccabei.Quando Erode abbellirà il Tempio, facen-dolo diventare una delle meraviglie delmondo antico il valore di questo luogo ri-sentì del formalismo religioso del tardogiudaismo. Le fazioni diverse, a volte l’u-na contro l’altra, avevano concezioni di-versificate del culto e dell’osservanza del-la legge. In un tempo di conflittualità nei

confronti degli occupanti romani e ditensioni religiose, Israele è in cerca di unaguida, di una direzione, ha bisogno dicomprendere in modo nuovo il senso delTempio, di questo meraviglioso luogo cheora non sembra più parlare al cuore ditutto Israele.

Il vero Tempio

Quando Gesù fu presentato al Tem-pio di Gerusalemme la sua presenza nelluogo della Presenza acquista un signifi-cato straordinario. Egli viene a “visitaree salvare il suo popolo” per usare le pa-role dei salmi e dei profeti, viene inmezzo al suo popolo per continuare atestimoniare la verità del nome stesso diDio: il “Dio con noi”, l’Emmanuele. Ilrapporto di Gesù con il tempio è sempreintimo, profondo, (Lc 2,41ss) per lui è ilsegno della dimora di Dio tra gli uominima sa che il suo corpo è il nuovo tem-pio, sa che il mistero pasquale avrebbesvelato che la vera dimora di Dio sareb-be stato il corpo di suo Figlio morto e ri-sorto. Quando scaccerà i mercanti dalTempio, ripetendo le parole e i gesti delprofeta Geremia, (Gv 2,13ss) egli indi-cherà la necessità della purificazione diquesto luogo che è solo per la preghie-ra, che è santuario di una presenza eche presto sarà ricostruito nei tre giornipasquali risorgendo dalla devastazione edalla profanazione compiuta dagli uomi-ni ai suoi danni, risorgerà nel corpo delRisorto che dopo l’umiliazione della pas-sione e della morte diviene tempio dellapresenza salvifica di Dio per il mondo.

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Nella visione contemplativa del Cro-cifisso narrata da Giovanni (Gv 19,31ss)l’evangelista “volge lo sguardo su coluiche hanno trafitto” e vi scorge l’Agnelloimmolato ma anche il nuovo Adamo ad-dormentato mentre Dio fa nascere dalsuo fianco la Chiesa, ma c’è ancheun’altra immagine da tener presente.Gesù a cui viene squarciato il fianco de-stro che diviene sorgente zampillanted’acqua e sangue rappresenta anche ilnuovo tempio che diviene sorgente disalvezza per il mondo. Quel corpo è lapietra angolare della nuova costruzione,dell’edificio meraviglioso in cui Dio vuo-le venire ad abitare.

Il Risorto diviene così il nuovo e au-tentico Tempio, in cui abita la pienezzadella divinità e in cui l’uomo può incon-trare in modo infallibile Dio e la sua sal-vezza. A quel corpo siamo tutti noi unitiper la comunione battesimale ed eucari-stica, su quella pietra angolare siamostati edificati come “tempio vivo” (1Pt2,4-10). La bellezza di questo tempio di-viene lo splendore stesso della Chiesaredenta, la “Dimora di Dio tra gli uomi-ni” (Ap 21), noi tutti siamo chiamati adessere “Tempio di Dio” in mezzo almondo, segno formidabile di quella pre-senza che testimonia l’amore infinito diDio per ogni uomo.

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ate questo in memoria di me”(Lc 22,19). Queste parole cheGesù pronunciò nel contesto

dell’ultima cena, rimasero impresse inde-lebilmente nella mente e nel cuore degliapostoli e non solo furono da loro ricor-date ma anche messe in pratica con unariunione liturgica celebrata ogni volta nelgiorno della risurrezione, che diventaproprio il giorno in cui si compie la frac-tio panis voluta dal Signore risorto.

Per i primi due secoli, le fonti storicheoffrono diversi accenni sull’uso di caseprivate utilizzate di volta in volta comeluoghi di culto. Il libro degli Atti degliapostoli ci fornisce la notizia secondo laquale, dopo la morte di Gesù, Maria ed idiscepoli si riunivano a pregare in una ca-mera alta situata in un piano soprelevato:“Entrati in città salirono al piano superio-re dove abitavano. C’erano Pietro e Gio-vanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tom-maso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo diAlfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Gia-como. Tutti questi erano assidui e con-cordi nella preghiera, insieme con alcunedonne e con Maria, la madre di Gesù econ i fratelli di lui.” (At 1,13-14).

Questa informazione porta ragione-volmente a ipotizzare l’esistenza di ca-mere analoghe utilizzate per le celebra-zioni liturgiche nel giorno del Signore,

alle quali si accenna ancora nello stessolibro: “Il primo giorno della settimana cieravamo riuniti a spezzare il pane e Pao-lo conversava con loro; e poiché dovevapartire il giorno dopo, prolungò la con-versazione fino a mezzanotte. C’era unbuon numero di lampade nella stanza alpiano superiore, dove eravamo riuniti;un ragazzo chiamato Eutico, che stavaseduto sulla finestra, fu preso da unsonno profondo mentre Paolo continua-va a conversare e, sopraffatto dal son-no, cadde dal terzo piano e venne rac-colto morto. Paolo allora scese giù, sigettò su di lui , lo abbracciò edisse:<<Non vi turbate; è ancora in vi-ta!>>. Poi risalì, spezzò il pane e nemangiò e dopo aver parlato ancora mol-to fino all’alba, partì” (At 20, 7-11)1.

San Paolo nelle sue lettere cita confrequenza le case private ove la comu-nità si raduna per celebrare il giorno delSignore: “ Vi salutano molto nel SignoreAquila e Prisca, con la comunità che siraduna nella loro casa” (1 Cor. XVI,19;Rm 16 3-5); “Vi saluta Gaio, che ospitame e tutta la comunità” (Rm 16,23);“Salutate i fratelli di Laodicea e Ninfacon la comunità che si raduna nella suacasa” (Col 4,15); “Paolo, prigioniero diCristo Gesù, e il fratello Timoteo al no-stro caro collaboratore Filemone, alla so-

Dalla ecclesia domesticaalla basilica

mons. Cosma Capomaccio

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rella Appia, ad Archippo nostro compa-gno d’armi e alla comunità che si radu-na nella tua casa” (Fm. 1, 2-3).

Anche Giustino intorno alla metà delII secolo riferisce che le riunioni nel gior-no del sole si svolgevano dove era possi-bile2, mentre già alla fine dello stesso se-colo Minucio Felice informa che col ter-mine sacraria si denominavano i luoghi diculto, dando quindi testimonianza di am-bienti destinati soltanto a tale funzione3.Qualche decennio più tardi, nel testo si-riaco delle “Recongnitiones Clementi-nae” (X, 71) si cita un certo Teofilo chedona la sua casa alla comunità cristiana4

perché venga adibita a luogo di culto.É comprensibile a chiunque l’impossi-

bilità di affrontare tutte le problemati-che di carattere storico ed archeologicoinerenti all’argomento in questo articoloe allora si esporrà in “sintesi sintetica”la presenza e l’evoluzione storica deiluoghi di culto delle comunità cristianedalle origini.

Dal momento che le fonti e i ritrova-menti archeologici che si riferiscono ailuoghi di culto prima del IV secolo a voltesono vaghi ed imprecisi si prenderà adesempio prevalentemente la diffusionedel cristianesimo in Roma.

È naturale pensare che la comunitàcristiana di Roma, nel periodo che pre-cedette la cosiddetta pace della Chiesa,anche per gli ambienti di culto fosse inuna situazione in continua evoluzione,perché di pari passo alla formazione delrituale liturgico e della gerarchia progre-diva l’allestimento dei luoghi usati per leadunanze. Il passaggio dall’occasionalità

dei tempi apostolici e delle persecuzionialla stabilità, incoraggiata dall’abitudinee dai lunghi momenti di pace, fu un fat-to importantissimo. Secondo Krauthei-mer, nel 312 all’incirca un terzo degliabitanti di Roma aderì al Cristianesimo oebbe simpatia per esso.

Si vennero così a formare a Roma e inogni altra parte le ecclesiae domesticae:dei luoghi di culto stabiliti all’interno diuna casa privata. Nel III secolo una mi-gliore organizzazione della comunità cri-stiana e una maggiore disponibilità eco-nomica posero le basi per un profondocambiamento. Alcune ecclesiae domesti-cae, già di proprietà privata, passaronoper lascito, donazione o acquisto in pienadisponibilità della comunità cristiana.Dunque, prima della realizzazione di edi-fici esteriormente distinti da altri tipi dimonumenti e adeguati al culto cristiano,la sede normale delle riunioni liturgichefu la casa privata. I luoghi di culto, del re-sto, non si differenziavano dalle altre fab-briche destinate ad abitazione e questasituazione fu comune in tutto l’Impero.

In effetti la comunità cristiana di Ro-ma aveva a disposizione per le sue esi-genze aree urbane appartenenti già allacomunità pervenute da donazioni di fe-deli facoltosi. Questi luoghi di ritrovo ori-ginariamente corrispondevano, nellamaggioranza dei casi, ad abitazioni uni-familiari e ciò può spiegare la connessacasualità nella sistemazione topograficadegli edifici cristiani nell’Urbe del IV e l’i-nizio del V secolo.

Le ecclesiae domesticae erano, quindi,normali case di abitazione adattate alla

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meglio per assolvere alla nuova funzione:dovevano far fronte alle necessità di mol-ti fedeli per il culto, la catechesi, l’assi-stenza sociale e l’amministrazione.

Krautheimer suppone che prima del312, agevolata da una maggiore tolle-ranza religiosa, qualche comunità abbiapotuto realizzare una semplice sala desti-nata unicamente al culto.

Ma di norma le comunità cristiane,per tutto il III secolo, continuarono ausare, acquistare e adattare alle proprieesigenze le case ordinarie, quando sirendevano disponibili. In ogni caso, era-no esclusivamente private, di dimensionimodeste e usate per la quotidiana vitadomestica.

Inoltre, sia i centri comunitari nati incase d’abitazione, sia le sale costruite ap-positamente, per il loro aspetto dimessosi mescolavano alle centinaia di case d’af-fitto, vecchie domus, magazzini e botte-ghe delle zone popolari. Grazie anche allimitato numero, solo venticinque nel IVsecolo, i centri comunitari si confondeva-no tra le 44.000 insulae di Roma. Questeinstallazioni, comunque, non ebberoconseguenze sull’urbanistica della cittàdal momento che gli isolati e le strade re-starono effettivamente identici ed i luo-ghi cristiani furono alla prova dei fattiinavvertibili dall’esterno.

Krautheimer porta l’esempio di uncentro comunitario che era riuscito adavere una sala apposita per la liturgianella basilica di S.Crisogono a Trastevere,costruita secondo l’autore intorno al 310sotto il regime tollerante di Massenzio5

La Cecchelli, invece, propone l’esistenza

a Roma, pur ammettendo che non tuttigli studiosi sono d’accordo, di un sololuogo con testimonianze cristiane prece-dente la pace della Chiesa ed è la famo-sa “casa celimontana” in cui nella se-conda metà del IV secolo, sarebbero sta-ti uccisi e poi sepolti i S.s. Giovanni ePaolo. Nelle case a bottega, tra la metàdel III e gli inizi del IV secolo, si insediòverosimilmente una domus ecclesiae co-me testimoniano gli affreschi con l’oran-te, i cosiddetti apostoli-filosofi e la sec-chia di latte, simbolo di refrigerio6.

Tuttavia, pur se non si possono col-locare, si devono supporre strutture sta-bili o mobili adatte alle riunioni, allaconservazione della suppellettile liturgi-ca, all’abitazione dei presbiteri, al rico-vero delle vedove e dei poveri almenoal tempo di papa Cornelio (251-253).Queste strutture data la relativa segre-tezza che dovevano mantenere, nonpotevano che essere ospitate in edificiprivati, magari in domus aristocratiche,con grandi triclini e altri locali adatti al-le esigenze appena indicate.7

Una prima svolta verso la nascitad’una struttura edilizia più complessa siha a partire dal III secolo, quando la co-munità cristiana si è notevolmente in-grandita e strutturata grazie ad un pre-ciso ordinamento gerarchico riconosciu-to dalle autorità, alla costituzione di unpatrimonio comunitario e all’appoggioe alla protezione di una parte della clas-se dominante. Cominciano allora a ma-nifestarsi le condizioni perché i luoghidi culto diventino stabili e di proprietàdella comunità.

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La ecclesia domestica, dove si adibival’ambiente più spazioso a sala di riunio-ne celebrativa, si trasforma così nelladomus ecclesiae dove tutti gli ambientivengono adibiti ad uso liturgico, con va-rie funzioni: vi sono una grande sala perle riunioni aperta sul cortile centrale, unbattistero, una stanza per l’agape frater-na e, talvolta al piano superiore, anchel’abitazione dei sacerdoti ed alcunestanze per coloro che si preparavano aricevere il battesimo.

La stabilizzazione del luogo di cultoprovoca anche un mutamento di signifi-cato nel termine greco ùcclhsia· (ekk-lesìa) che ora non designa più solo lacomunità dei fedeli, ma anche il luogodi riunione, la casa della preghiera,quindi un santuario, anche se ufficial-mente l’edificio di culto viene considera-to ancora profano. Questa graduale tra-sformazione pone alcuni dei presuppostiper la nascita della basilica cristiana.

Domus ecclesiae si ritrovano un po’ovunque in tutto l’impero ma, tra le piùantiche, si ricordano quella scoperta inSiria a Doura Europos8 sull’Eufrate e quel-la rinvenuta a Roma sotto la chiesa diSan Martino ai Monti.

Le fonti storiche parlano anche dellacasa di S.Pietro, vista dalla pellegrinaEgeria, trasformata in domus ecclesiae:in figura9.

Si ha notizia, ad esempio, dagli Attidei martiri di Abitene, nell’odierna Tuni-sia, che nel 304 molti cristiani furono sot-toposti al martirio perché celebravano laPasqua domenicale in casa di Emerito e/odi Ottavio Felice.

È ovvio che, pur avendo le stesse fun-zioni, questi edifici non avevano sempreuna struttura comune, ma piuttostoquesta dipendeva dalla regione geografi-ca, dalla tipologia dell’abitazione origi-naria e dalla possibilità di adattare unedificio preesistente alle esigenze di unacomunità. Nulla, del resto, suggerisceche prima della pace della Chiesa i cri-stiani abbiano sviluppato un’architetturamonumentale. Essi usarono, infatti, edi-fici di civile abitazione perfettamente in-seriti nella tradizione dell’architetturadomestica del luogo e del periodo. Soloin presenza di graffiti o di pitture con te-mi cristiani è possibile distinguere unadomus ecclesiae da una normale casad’abitazione; questo tipo di edificio resi-sterà ancora nel IV secolo, quando ver-ranno realizzate le prime basiliche, comedimostrano gli esempi più evoluti di do-mus ecclesiae del IV secolo, scoperti inSiria a Qirq-Bize e in Inghilterra a Lullin-

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Cafarnao, la casa di S. Pietro trasformata in chiesa

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ston, nella diocesi di Southwark, finchésaranno definitivamente sostituite dallechiese vere e proprie.

I tituli: le prime chiese di quartieredestinate al servizio liturgico e alla pasto-rale territoriale.

Per quanto riguarda la città di Roma,gli scavi condotti presso alcune basiliched’origine paleocristiana hanno riportatoalla luce i resti di case private risalenti alIII secolo. La maggior parte delle chieseromane che vantano una tradizione pa-leocristiana sono, infatti, fondate su pre-cedenti domus ecclesiae o tituli.

Il titulus indicava originariamente latabella (di marmo, legno, metallo o per-gamena) che, posta accanto alla porta diun edificio, riportava il nome del proprie-tario. Successivamente ai tituli privati(che, oltre alla sala cultuale e ai locali an-nessi per usi liturgici, comprendevanol’abitazione privata), nascono quelli diproprietà della comunità, che conserva-vano il nome del fondatore o del dona-tore della casa o erano dedicate ad unsanto martire.

Con il mutamento radicale avviato daCostantino e la successiva legittimazionedel Cristianesimo si riversano nelle cassedella comunità cristiana molti beni mobilie immobili con i quali cambia l’immaginedi molte città dell’Impero e questa note-vole ricchezza, però, crea molteplici que-stioni per la inevitabile sua gestione. Il Li-ber Pontificalis presenta relazioni partico-lareggiate delle donazioni di Costantinoin favore del Laterano e delle chiese dovesi veneravano i martiri. Le liste contengo-no i beni mobili e immobili con i quali si

intende creare il patrimonio per garantirel’ordinaria manutenzione e una decorosaliturgia dei luoghi di culto. Con il tempoalla magnanimità degli imperatori e deiloro familiari subentrano altri tipi di ever-getismo: una donazione, cioè, alla comu-nità affinché con essa si possa edificareuna chiesa, dotarla di suppellettile liturgi-ca funzionale al culto e dei beni che ga-rantiscano il suo mantenimento e quellodel clero che le è preposto.

Le donazioni che danno ai tituli lapossibilità di esistere assicurarono i mezzifinanziari per l’acquisto di un’area adattaper la fondazione della chiesa, o un ter-reno in cui edificarla; in altri casi serviva-no per acquistare una domus di pro-prietà, nella quale alcuni ambienti pote-vano essere riutilizzati.

I tituli sono ben testimoniati nella se-conda metà del IV secolo: erano com-plessi autosufficienti e definiti topografi-camente, con costruzioni adibite ad al-loggio e per servizi e con mezzi di sosten-tamento propri, avuti da donazioni e darendite provenienti da case in affitto e te-nute agricole. Svolgevano una funzionecaritativa, parrocchiale ed amministrativaed avevano un edificio di culto non sem-pre di tipo basilicale. Dei tituli più antichidi rado si hanno riscontri archeologici.

Le informazioni sui tituli sono fornitedai documenti di due sinodi tenuti a Ro-ma nel 499 e nel 595, dove i presbiteripartecipanti firmarono nominando il titu-lus di appartenenza e da qui si puòestrarre una lista di 25 o 26 chiese; que-sto elenco, salvo qualche fluttuazione,non cambierà fino al XII secolo.

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A volte, tuttavia, alcuni ambienti didomus venivano abbattuti per realizzareex novo l’aula di culto. Non è possibilesapere quale sia stato l’impatto visivo diquesti centri comunitari, nati dalla tra-sformazione di spazi privati, nel tessutourbano della città. Il rilevante numero dicasi di collocazioni in domus, verosimil-mente aristocratiche, non è valutata co-me un fenomeno occasionale da Guido-baldi, ma messa in relazione all’evergeti-smo di ricchi benefattori che donavanoalla Chiesa beni immobiliari portatori direndita, come è documentato dal LiberPontificalis.

Con Costantino, dunque, inizia a Ro-ma un’importante trasformazione: sipensi alle chiese suburbane, a S. Crocein Gerusalemme, alla cattedrale latera-nense. La lenta trasformazione continuòcon gli imperatori e l’aristocrazia perpassare poi nelle mani della Chiesa cheincrementò la monumentalizzazionedella città di Roma con la costruzione dibasiliche cristiane trascurando i monu-menti tradizionali

Basiliche ex novo si costruiscono nel-la città in forma regolare come S. SistoVecchio, S. Pietro in Vincoli, S.s. Giovan-ni e Paolo e S. Vitale, tutte con tre nava-te, grande abside e polifora a colonne,con l’ingresso probabilmente precedutoda un atrio.

Queste chiese che si distinguonochiaramente nel panorama cittadino ediventano esse stesse dei monumenti,ancora una volta sono edificate a spesedi fabbricati privati nella maggioranzadei casi di tipo abitativo.

Continua in questo modo la progres-siva occupazione cristiana del territoriocon il passaggio, tramite donazioni, diedifici domestici nel patrimonio dellaChiesa, qualche volta con l’obbligo di si-stemarci un titulus.

Roma nel V secolo era una città cri-stiana; tra il 380 e il 440, infatti, quasi lametà delle domus ecclesiae venne rim-piazzata o accresciuta da ampie basiliche,splendidamente adornate, che aspirava-no ad un ruolo pubblico.

Le nuove chiese presentano notevoleomogeneità, hanno tutte una piantastandardizzata, costituita da una navataconclusa da un’abside, con un alto murosuperiore con finestre sorretto da arcatesu colonne e da due navate laterali.Quando era utilizzabile un edifico di que-sto tipo, per esempio una basilica terma-le, esso veniva comprato e rimesso anuovo come chiesa, come testimonia S.Pudenziana. Tutte avevano lo scopo diaccogliere grandi assemblee di fedeli, cheandavano, secondo Krautheimer, da ot-tocento a millequattrocento persone.

Contrariamente a quanto si potrebbepensare, il termine basilica originaria-mente non designava l’edificio cristiano,ma un edificio pubblico romano (basilicaforense o civile), descritto da Vitruvio co-me un ambiente coperto, a pianta ret-tangolare, suddiviso in più navate da co-lonnati o pilastri, il cui ingresso era gene-ralmente su uno dei lati lunghi.

La basilica, infatti, era la tipologia piùricorrente di edificio pubblico in epocaromana. La destinazione d’uso era piut-

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tosto varia, ma comunque sempre a ca-rattere “laico”, poiché il culto religiosoufficiale, quello pagano, si svolgeva pres-so i templi. E’ per questo motivo che Co-stantino, dovendo realizzare edifici cri-stiani, adottò la tipologia della basilica,facendone un edificio nuovo, grazie a lie-vi ma determinanti modifiche (ad esem-pio l’entrata su uno dei lati brevi di fron-te all’unica abside che si apriva sul latoopposto).

Riguardo all’origine della basilica cri-stiana, gli studiosi hanno a lungo dibat-tuto. Si trattava in sostanza, di stabilire sesia stata ripresa dall’architettura romanaanteriore, oppure se sia stata ideata exnovo dall’architettura paleocristiana.

Fino al XIX secolo l’opinione dominan-te rimase quella di Leon Battista Alberti, ilquale aveva visto nella basilica forense egiudiziaria romana il prototipo di quellapaleocristiana. Tuttavia nell’Ottocento lateoria dell’Alberti è stata più volte rivista esi elaborarono tre diverse ipotesi.

La prima teoria, quella di “derivazio-ne materiale”, considera la basilica cri-

stiana come una derivazione da prece-denti tipici architettonici classici.

La “teoria liturgica” sostiene inveceche la primitiva architettura cristianaavrebbe avuto un carattere originale, eche la forma dell’edificio basilicale sareb-be stata suggerita e determinata dalla li-turgia del nuovo culto.

La teoria di “derivazione composita”,quella più moderna e più largamente ac-cettata, tende a riconoscere una molte-plicità di apporti delle diverse culture e ci-viltà, ma al contempo scorge una sapien-te rielaborazione dei modelli preesistenti,tanto da riconoscere all’architettura pa-leocristiana una sua inconfutabile origi-nalità.

La basilica era un edificio eminente-mente funzionale, in cui il grande spaziointerno non solo permetteva di accoglie-re la comunità religiosa in un’assembleadi popolo, ma soprattutto, con il suo svi-luppo longitudinale, guidava lo sguardodei fedeli verso il centro ideale, l’altaresopraelevato, circondato dall’abside.

La basilica paleocristiana, pertanto,era costituita da un insieme d’ambienti,ciascuno dei quali svolgeva una funzioneliturgica o assistenziale. La classificazionedella comunità in vari gradi e la necessitàdi assicurare ad ogni categoria il proprioposto durante la celebrazione liturgicafecero sorgere davanti alla chiesa una se-rie di ambienti più o meno vasti. Qui sidisponevano i catecumeni, cioè coloroche si preparavano al battesimo. A loroera infatti consentito poter seguire dall’e-sterno la celebrazione, ma non potevanoentrare in chiesa.

La basilica di S. Pietro, fatta realizzare da Costantino

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La struttura architettonica era sobria.La grande aula era divisa in 3 o 5 navate,separate da filari di colonne unite fra loroda un architrave o da arcate, che termi-navano nella parete di fondo dove siapriva l’abside a coronamento dell’altare.La navata centrale, sopraelevata, si aprivalungo le pareti laterali in grandi finestreche riversavano nell’interno una lumino-sità intensa. La copertura era realizzatacon tetto a spioventi sorretto da capriatee coperto con tegole; le basiliche coperte

a volta costituivano un’ eccezione: saran-no una norma solo dopo vari secoli, dal-l’epoca romanica in poi.

La basilica romana generalmente sitrovava proprio nel cuore della città, cioèsu un lato del Foro, a fianco dei templidedicati agli dei più venerati. Le basilichecostantiniane furono realizzate invece inposizione molto periferica, come si addi-ceva ad una religione emergente, ma de-stinata ad occupare un ruolo di assolutorilievo.

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——————1 Il primo giorno della settimana, nel primo (giorno) dei sabati, cioè della settimana giudaica che per i cristiani

era divenuto giorno di assemblea: il giorno del Signore (cfr. Mt 28,1; 1Cor 16,2); spezzò il pane e nemangiò: evidente riferimento alla celebrazione eucaristica e alla comunione.

2 Giustino, L’Apologia, 67, 7, ed. E.J. Goodspeed, Die altesten Apologeten, Gottingen 1915, 138; trad. it. Ror-dorf, Sabato e domenica nella chiesa antica, Torino 1979, 137-139

3 Minucio Felice, Octavius IX,1.4 Il termine deriva dal latino ecclesia e dal greco ÂÎÎÏËÛÈ· (ekklesìa), cioè comunità che viene convocata dallo

Spirito5 R.Krautheimer, Tre capitali cristiane, pp.24-26.6 M.Cecchelli, Materiali e tecniche, p. 37.7 F.Guidobaldi, Topografia ecclesiastica di Roma (IV-VII secolo), in Roma dall’antichità al Medioevo, pp. 40-478 Quella di Doura Europos fu costruita nel 232 dC, come attesta un graffito. Il suo eccellente stato di conserva-

zione è dovuto al fatto che, essendo stata inglobata nella cinta muraria costruita nel III secolo per proteggerela città dagli attacchi, rimase sepolta dal crollo del terrapieno delle mura stesse durante l’assedio dei Parti nel258 dC. La casa non è distinta dalle altre abitazioni, ma normalmente inserita nel tessuto urbano. Il pianter-reno ci offre una nitida visione di quello che doveva essere l’aspetto delle prime chiese comunitarie. L’edificioè provvisto di un atrio circondato da ambienti di varie dimensioni e da un portico. La chiesa vera e propria èla stanza più grande del piano terra. Essa si apre a sud dell’atrio, ed è costituita dall’unione di due ambientipiù piccoli mediante l’abbattimento del muro divisorio. Sulla parete est dell’aula è visibile la cattedra per ilpresbitero: il sedile per l’anziano a capo della comunità. Adiacente a questa sala e comunicante con essa è ilcatecumeneo: il locale destinato alla catechesi per la preparazione al battesimo, ubicato sul lato ovest dell’a-trio e comunicante con quest’ultimo attraverso una larga apertura. Infine, da un piccolo passaggio sulla pa-rete nord del catecumeneo, si accede al battistero: un vano di modeste dimensioni, con una vasca battesima-le alla parete ovest ed affreschi raffiguranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento: particolarmente note-voli sono le figure di un’orante e di un Buon Pastore, la cui funzione, più che decorativa, era prettamentesimbolica. Al piano superiore erano le camere destinate ad abitazione.

9 La pellegrina Egeria descrive la domus-ecclesiae del quarto secolo con queste parole: “In Capharnaum autemex domo apostolorum principis ecclesia facta est, cuius parietes usque hodie ita stant, sicut fuerunt” (A Ca-farnao la casa del principe degli Apostoli fu trasformata in chiesa. I muri sono restati fino a oggi tali qualierano”. Questo brano attribuito ad Egeria, e fortunatamente tramandato da Pietro il Diacono (1137) è diuna importanza eccezionale: Egeria non parla d’una chiesa ordinaria, ma d’una casa cambiata in chiesa. Lapellegrina sottolinea inoltre che i muri della vecchia casa erano ancora in piedi. In terzo luogo questo cam-biamento della casa privata in un ambiente destinato al culto è un fatto già remoto nel tempo (facta est - futrasformata, divenne una chiesa). Infine la casa cambiata in chiesa è indicata come la casa del principe degliApostoli, cioè di Simon Pietro. La meravigliosa coincidenza della descrizione di Egeria con i resti archeologicidella domus-ecclesiae è davvero sorprendente e non può sfuggire a nessuno.

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Domus orationis ista,

Domus Dei nos ipsi.

Un po’ di storia

l rito della Dedicazione dellaChiesa e dell’altare (ODEA) èstato riformato e semplificato

nel 1977, Dico “semplificato” perchéprecedentemente il rito era molto lungoe complicato, nonostante le semplifica-zioni che già erano state apportate nel1961. Anche il titolo è stato cambiato:prima si parlava di “Dedicazione o con-sacrazione della Chiesa”, dove i due ter-mini apparivano come sinonimi; poi si èchiamato “dedicazione e consacrazionedella Chiesa”, come se fossero due cosediverse. Oggi si tralascia il termine “con-sacrazione”, e si parla solo di dedicazio-ne. Dopo la venuta di Cristo, che haconsacrato il mondo con la sua piissimavenuta” e con la sua Pasqua, nulla èprofano. La “dedicazione” esprime l’i-dea che quel luogo è destinato “ unica-mente” al culto di Dio e alla santifica-zione del suo popolo.

Nei primi tre secoli, anzi fino a Co-stantino (a. 313), i cristiani non dedicava-no le chiese, per il fatto che spezzavano ilpane nelle case” (At 2, 46) private. Non

sentivano il bisogno di avere dei templi,intesi come “casa di Dio”, perché sape-vano bene che il vero tempio è Cristo Si-gnore, dove “abita la pienezza della divi-nità”, e che essi stessi sono il tempio diDio, perché lo Spirito Santo abita in loro,e “dove sono due o tre riuniti nel suo no-me” Cristo è presente.

Quando l’imperatore Costantino ri-conobbe alla Chiesa la libertà di culto,egli stesso fece costruire dei luoghi de-stinati a tale culto. I cristiani però non lichiamarono “templi”, cioè casa di Dio,ma “basiliche”, che erano luoghi spa-ziosi per le riunioni. Essi hanno bisognodi un luogo dove riunirsi per celebrare ilculto. Proprio perché sono luoghi dovesi riunisce la Chiesa, essi furono e sonochiamati “chiese”.

Una volta costruite tali basiliche, sicominciò ben presto a “dedicarle”, sul-la falsariga della “dedicazione del tem-pio” di Gerusalemme, descritta in 1 Re8 e 2 Cr 5-7. Il rito, solenne fin dagliinizi, si è, poi, via via arricchito di tantielementi simbolici o allegorici, insisten-do molto sulla consacrazione, cioè sullapurificazione del luogo dagli influssimaligni, perché Dio vi potesse abitarecon la sua gloria. La celebrazione euca-ristica avveniva dopo, nel luogo giàconsacrato.

Dedicazione della chiesa e dell’altare

p. Ildebrando Scicolone, osb

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Il nuovo rito

Il nuovo Rito si compone di 7 capitoli,così intitolati: 1. Rito della posa della pri-ma pietra; 2. Rito della dedicazione dellachiesa; 3. Rito della dedicazione di unachiesa, in cui già si celebra; 4. Rito delladedicazione dell’altare; 5. Rito della be-nedizione di una chiesa; 6. Rito della be-nedizione dell’altare; 7. Rito della benedi-zione del cali-ce e della pa-tena.

Ve d i a m oora breve-mente il capi-tolo secondo,che è quellocentrale. Sitratta di unachiesa nuova,che deve es-sere “inaugu-rata” (in gre-co si dice:enckenia =vedi il siciliano‘ n c i g n a r e ) .S o s t a n z i a l -mente si tratta di celebrarvi la prima eu-caristia, perché è questa che santifica illuogo e le varie parti. Il rito è descrittonei nn. 11-17 delle speciali Premesse, e sicompone di quattro parti:

1 Ingresso nella Chiesa. Esso può avve-nire in tre modi. a Con una processione. Il popolo si

raduna in una chiesa vicina o in

altro luogo adatto. Qui il vescovo,attorniato dai presbiteri concele-branti, vestito dei paramenti dicolore bianco, saluta il popolo efa una breve introduzione. Quindici si avvia in processione verso lachiesa da dedicare, cantando ilsalmo 121 con l’antifona Andia-mo con gioia al la casa delSignore. Se si devono deporre sot-

to l’altare lerel iquie deimartiri o deisanti, questesi portano inprocessione.Arr ivat i da-vanti alla por-ta (chiusa),coloro chehanno pro-mosso e cu-rato la co-struzione del-la chiesa ( lepersone orappresentan-t i degl i ent iche l ’hanno

finanziata, gli architetti, la dittacostruttrice…) la cedono al vesco-vo, consegnandogli l’atto di dona-zione, o le chiavi, e ne possono il-lustrare le particolarità artistiche.Si apre quindi la porta e il vescovoinvita il popolo ad entrare, can-tando il salmo 23, con il ritornelloAlzatevi, porte eterne, ed entri ilRe della gloria. Il vescovo non ba-

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Roma, parrocchia S. Cleto, la nuova chiesa è pronta per la dedicazione

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cia l’altare, ma si reca direttamen-te alla sede.

b Con un ingresso solenne. Il rito co-mincia direttamente davanti allaporta della chiesa, che è semprechiusa. Qui si compiono i riti d’iniziofino all’ingresso nella chiesa, ecc.

c Con un ingresso semplice. Il popo-lo è radunato nella chiesa da dedi-care. Ha inizio la processione deiministri, come nella messa. Segue la benedizione dell’acqua el’aspersione. Il vescovo benedicel’acqua con la quale sarannoaspersi, come segno di penitenza ememoria del battesimo, i fedeli,l’altare e le pareti della chiesa.Quindi si canta il “Gloria” e il ve-scovo pronuncia la colletta.

2 La liturgia della Parola. È la prima vol-ta che la Parola di Dio risuona in quel-l’aula. Perciò si devono inaugurarel’ambone e il lezionario. Si avvicinanopertanto al vescovo un lettore e il sal-mista. Il vescovo presenta il lezionarioal popolo con queste parole: Risuonisempre in quest’aula la Parola di Dio,che vi annunzi il mistero di Cristo eoperi nella Chiesa la vostra salvezza.Quindi consegna il libro al lettore, chesi reca all’ambone, tenendo il libroben visibile al popolo. Si leggono treletture, tra quelle presenti nel Lezio-nario delle Messe rituali (vol. III), di cuila prima deve essere Neemia 8, 1-4.5-6.8-10, seguita dal salmo 18, con il ri-tornello Le tue parole, Signore, sonospirito e vita. Segue l’omelia e il Cre-

do. Si omette la preghiera dei fedeli,perché ci saranno le litanie.

3 La dedicazione. Il rito della dedicazionevero e proprio si compone di sei parti: a Le litanie dei Santi. La preghiera

del popolo pellegrinante è raffor-zata della intercessione dei Santidel cielo. È bene nominare anchei Santi propri di quella chiesa (iPatroni e i Titolari). Si invoca Dioper la Chiesa, per il Papa, per lapace, per l’assemblea (questa è lavera Chiesa), per la chiesa daconsacrare.

b La deposizione delle reliquie deiSanti sotto l’altare. Due sono imotivi per questo rito. I cristianidell’antichità solevano celebrarel’eucaristia sulle tombe dei mar-tiri, nel loro giorno natalizio, per-ché essi avevano partecipato nellaloro carne alla passione del Signo-re. Altro motivo è dato da Ap 6,9dove si dice: “vidi sotto l’altare leanime di coloro che furono immo-lati a causa della parola di Dio edella testimonianza che gli aveva-no resa”. Il Vescovo depone le re-liquie nell’apposito spazio, chepoi un muratore chiude, mentre ilcoro canta il salmo 14 con l’an-tifona II I corpi dei Santi sono se-polti nella pace, ma i loro nomi vi-vono in eterno (cfr. Sap 3, 1-3).Devono però essere delle reliquiedi una certa consistenza, non deipiccoli frammenti. Se non si trova-no, non si mettono.

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c La preghiera di dedicazione. Il Ve-scovo canta allora, o pronunzia adalta voce la solenne preghiera didedicazione. È una preghiera am-pia con cui la Chiesa vuol celebrareDio, dedicandogli questa casa dipreghiera, dove venera Dio, èistruita dalla Parola e nutrita daisacramenti. Questa costruzione,dice poi, adombra il mistero dellaChiesa (comunità) che, santificatadal sangue di Cristo sgorgato dalsuo fianco, è diventata Sposa glo-riosa di Cristo, Vergine per lasplendida fedeltà a lui, e Madre fe-conda per la forza dello Spirito. Se-guono le immagini della Chiesa,ispirate dalla Costituzione concilia-re Lumen Gentium: Chiesa santa,vigna eletta; Chiesa felice, tempiosanto costruito con pietre vive;Chiesa sublime, città innalzata sulmonte. Segue l’invocazione (epi-clesi): degnati di santificare abbon-dantemente questa chiesa e que-sto altare… E poi tre Qui: Qui l’on-da della divina grazia lavi i peccati(battesimo); qui i fedeli celebrino ilmemoriale della Pasqua (eucari-stia); qui risuoni la lode divina; quii poveri trovino misericordia, glioppressi la libertà e tutti gli uominisi vestano della dignità di tuoi fi-gli… [Vedi il testo completo nellascheda che segue].

d L’unzione dell’altare e delle paretidella chiesa. Il Vescovo versa il cri-sma al centro e ai quattro angolidell’altare e unge tutta la mensa.

Unge poi, anche con l’aiuto di pre-sbiteri le pareti della chiesa, segnan-do con il crisma le dodici croci di-stribuite opportunamente nelle pa-reti. Le dodici pietre ricordano i do-dici apostoli, che Cristo ha voluto afondamento della Chiesa. (Questecroci possono essere ridotte a quat-tro). L’altare è la pietra fondamenta-le, cioè Cristo; le pareti sono le altrepietre vive, cioè i cristiani, secondola 1 lettera di Pietro 2, 4: “stringen-dovi a lui, pietra viva, rigettata dagliuomini, ma scelta e preziosa davan-ti a Dio, anche voi venite impiegaticome pietre vive per la costruzionedi un edificio spirituale…”. Intantosi canta il salmo 83 con l’antifonaEcco la dimora di Dio con gli uomi-ni! Egli dimorerà tra loro ed essi sa-ranno suo popolo ed egli sarà il“Dio-con-loro” (Ap 21, 3).

e Incensazione dell’altare e dellachiesa. Sull’altare si pone un pic-colo braciere con il fuoco, sul qua-le il vescovo mette dell’incenso. Poicon il turibolo incensa l’altare. Poiviene incensato egli stesso, mentrei diaconi, attraversando la navata,incensano il popolo e le pareti. IlVescovo stesso ne spiega il senso:“salga come incenso la nostra pre-ghiera, o Signore; e come questacasa è riempita di soave odore, co-sì la tua Chiesa profumi della fra-granza di Cristo”. Durante l’incen-sazione si canta l’antifona: “un an-gelo si fermò all’altare, reggendoun incensiere d’oro” (Ap 8, 3), op-

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pure: “Dalla mano dell’angelo ilfumo degli aromi salì davanti aDio” (Ap 8, 3).

f Preparazione dell’altare e illumina-zione. Si pulisce l’altare, vi si sten-de la tovaglia come sulla mensa, visi pongono i candelieri. Il vescovopoi accende le candele, dicendo:“La luce di Cristo risplenda nellaChiesa, perché tutti gli uominigiungano alla pienezza della ve-rità”. Si accendono allora le lam-pade davanti alle croci crismale, etutte le luci della chiesa, in segnodi gioia, mentre si fa un canto aCristo-luce.

4 Liturgia eucaristica. Mentre i fedeliportano le offerte e si prepara l’altare,si canta l’antifona che riprende le pa-role di Davide, quando offrì l’occor-rente per la costruzione del tempio:“Signore mio Dio, con cuore retto, of-fro spontaneamente tutte queste co-se. Ora io vedo il tuo popolo qui pre-sente portarti offerte con gioia. Signo-re d’Israele custodisci questo senti-mento” (1 Cr 29, 17). La preghiera eucaristica si apre conun ringraziamento a Dio, che ha co-me tempio l’universo, ma non disde-gna che gli siano consacrati luoghiparticolari. A lui dedichiamo congioia questa “casa di preghiera”.Questa chiesa significa il mistero delvero Tempio (Cristo) ed è immaginedella Gerusalemme celeste. Dopo la comunione, si inaugura il ta-bernacolo, cioè la custodia permanen-

te dell’eucaristia. La pisside rimanesull’altare, mentre si conclude la mes-sa con la preghiera dopo la comunio-ne. Quindi il vescovo, in processionela porta al tabernacolo, incensa il SS.Sacramento, e chiude la porta. Con la benedizione del vescovo, sicongeda il popolo.

Conclusione

Come si vede, il rito è semplice, maricco e profondo. La dedicazione-consa-crazione della chiesa materiale è segno(sacramentale) della consacrazione a Diodella Chiesa, intesa come comunità deifedeli. Celebrando la dedicazione dellachiesa, che ricorderanno ogni anno, nel-l’anniversario, come solennità del Signo-re, essi ricorderanno che sono la vera casadi Dio, pietre vive attorno a Cristo pietraviva e preziosa, e che sono immagine cheanticipa la celeste Gerusalemme. I testi bi-blici, che sono alla base della teologia diquesto rito sono infatti la prima lettera diPietro e gli ultimi capitoli dell’Apocalisse.

La celebrazione prevede il rito dell’a-spersione, che ricorda il battesimo, quel-lo dell’unzione, che ricorda la nostracresima, e la messa nella quale riviviamola nostra piena comunione col Signore.In passato si vedeva nel rito della dedi-cazione un’allegoria alla iniziazione cri-stiana. Non è un’allegoria, ne è il segnoplastico. La chiesa viene lavata, unta colcrisma e vi si celebra l’eucaristia, perchéla Chiesa (con la lettera maiuscola) na-sce e cresce con i tre sacramenti dell’ini-ziazione cristiana.

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usebio, vescovo di Cesarea inPalestina, visse tra la metà delIII e la metà del IV secolo. Nella

sua vita fu testimone del passaggio del-la Chiesa dalla persecuzione alla tolle-ranza e al pieno diritto di cittadinanzanell’impero romano. Egli stesso sfuggìall’ultima persecuzione di massa, scate-nata da Diocleziano, e partecipò al con-cilio di Nicea. Può essere definito il pa-dre degli storici della Chiesa: in dueopere, la Cronaca e la Storia ecclesiasti-ca, egli ha trasmesso alle generazionisuccessive il ricordo di quel periodo, alcontempo duro ed esaltante, in cui i cri-stiani avevano prova quotidiana dellafedeltà di Dio e della durezza delle pro-ve alle quali erano sottoposti. La dedi-cazione di nuove chiese, nel secondodecennio del quarto secolo, diventa unsegno di primavera spirituale: i vescoviche avevano conosciuto le catene e letorture possono radunarsi, i fedeli pos-sono professare apertamente la loro fe-de, l’edificio chiesa è davvero segno diuna comunità viva e palpitante. Il com-piacimento, che il lettore avverte chia-ramente, e che si diffonde anche nella

descrizione compiaciuta dei luoghi e deimateriali, si comprende nel clima di en-tusiasmo quasi incredulo per sorti tantorapidamente mutate: l’imperatore, cheprima ordinava le persecuzioni, nel 325avrebbe presieduto un concilio!

Lasciamo la parola a Eusebio1. La chie-sa di cui parla è la basilica di Tiro, dedica-ta tra gli anni 316 e 319.

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Tutti gli uomini erano liberati dalla op-pressione dei tiranni; ed esenti dai maliprima sofferti, chi in modo e chi in altro,confessavano che solo vero Dio era Co-lui, che si era fatto soccorritore dei pii.Ma particolarmente noi, che avevamo ri-posto le nostre speranze nel Cristo diDio, eravamo ripieni di ineffabile allegrez-za, e una sorta di celeste felicità ci brilla-va a tutti sul volto. Vedevamo come ogniluogo poco prima messo a soqquadrodalla empietà dei tiranni, cominciava a ri-vivere come dopo lunga devastazione se-minatrice di morte, come le chiese nuo-vamente si ergevano dalle loro rovine aimmense altezze ed assumevano mag-

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La dedicazione di una chiesaall’indomani delle persecuzioni

Una testimonianza dalla storia anticaAdelindo Giuliani

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gior splendore di quelle che erano statedistrutte.

Gli imperatori supremi con continueleggi promulgate in favore dei Cristianiestendevano e moltiplicavano la grandegrazia, che la divina liberalità ci aveva lar-gito. […]

Si offerse allora lo spettacolo da noitutti auspicato e desiderato: nelle sin-gole città si celebravano solennità perdedicazioni e consacrazioni di edifici sa-cri recentemente eretti. Vescovi conve-nivano insieme; da terre lontane e stra-niere accorrevano uomini: c’erano reci-proche dimostrazioni di amore di popo-lo verso popolo; i membri del corpo diCristo si riunivano in una sola compagi-ne. Secondo l’oracolo del profeta, cheprediceva il futuro in maniera misterio-sa, l’osso si attaccava all’osso, la giun-tura alla giuntura, e si compiva verace-mente quanto la parola divina prean-nunziava in enigma. Una medesima for-za dello Spirito di Dio penetrava tutti imembri; tutti erano di un sol cuore, e diuna sola fede; tutti cantavano insiemeun solo cantico di lode a Dio. Vi si tene-vano perfette cerimonie di capi spiritua-li, sacrifici di sacerdoti, pii riti dellaChiesa. Qui si udiva il canto di salmi ola lettura di altre parole donateci daDio, là si compivano liturgie divine e mi-stiche. Comparivano pure i simboli inef-fabili della passione del Salvatore. Riuni-ti insieme uomini e donne di ogni età,con tutta la forza dell’anima in preghie-re e rendimento di grazie, lieti nello spi-rito e nel cuore glorificavano Dio, dato-

re dei beni. Ognuno dei presuli presentiteneva secondo le proprie possibilitàpanegirici, entusiasmando l’assemblea.

Allora un uomo di mediocre merito2 sifece in mezzo all’assemblea ecclesiasticaper tenere un discorso, da lui compostoper la circostanza. Erano presenti in gran-de numero i sacri pastori, che ascoltava-no in silenzio e ordine. L’oratore si rivolseal vescovo sotto ogni riguardo eccellentee pio, al cui zelo si deve se il tempio di Ti-ro, il più bello della Fenicia, fu alacremen-te costruito. Ecco il testo del discorso.

«Vi saluto, o amici di Dio, sacerdoti,che portate la sacra tunica e la coronaceleste di gloria, unti col crisma divino, ecircondati dalla veste sacerdotale delloSpirito Santo. Saluto te, giovane orna-mento del tempio santo di Dio, dotatoda Lui di una prudenza senile. Ecco chefai vedere opere ed imprese magnifiche,che la tua giovanile e fresca energia hacompiuto. A te il Dio, che contiene l’uni-verso, ha concesso l’insigne onore di ri-costruire e di rinnovellare la casa terrestrea Cristo, Suo Verbo unico e primogenito,come pure alla Sua santa e pia Sposa.[…] Saluto pur voi, pecorelle del santoovile di Cristo, focolare di buoni discorsi,scuola di modestia, uditorio grave e reli-gioso di vera pietà. Ascoltando la letturadei libri divini abbiamo già appreso i se-gni miracolosi di Dio e le meraviglie, cheEgli ha operato a vantaggio degli uomini,e abbiamo potuto innalzare inni e canticia Dio e dire, come ci è stato insegnato:“O Dio, abbiamo udito coi nostri orecchi,i nostri padri ci hanno raccontato l’opera,

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che Tu hai fatto ai giorni loro, nei giorniantichi”. […]

[Il Vescovo, Paolino di Tiro] ha asse-gnato all’edificio una totalità di superfi-cie molto maggiore di quella che ebbel’anteriore. Ha munito il suo ambito diun muro che lo circonda interamente eche forma un validissimo propugnacoloa tutto i lcomplessoedilizio. Unv e s t i b o l ogrande emolto ele-vato, cheegli ha fat-to ergeredalla partedel la lucedel sole na-scente, of-fre a coloropure, chestanno lon-tano e fuoridel santorecinto, unacomprensi-va immagi-ne di c iòche si con-templa dentro e attira gli sguardi persi-no degli estranei alla nostra fede verso iprimi accessi. Nessuno pertanto puòpassare senza commuoversi nel cuore, alpensiero della desolazione di prima edella magnificenza stupenda di adesso.Il vescovo forse ha sperato che il vian-dante, per impulso di tale sentimento e

a tale visione, sarebbe attratto e spintoad entrarvi. Non ha permesso che chivarcasse la soglia entrasse difilato nel-l’interno del santuario con piedi sudici enon lavati. Ha lasciato tra il tempio e isuoi primi accessi uno spazio più vastopossibile, che ha circondato e adornatodi quattro portici obliqui. Questi soste-

nuti tutt’in-torno dacolonne co-stituisconouna f iguraquadrango-lare. Gli in-terco lunnisono chiusida diafram-mi a formadi reticola-to, che s ie levano aconvenien-te altezza.Lo spazio dimezzo peròegl i ha la-sciato sco-perto, per-ché s i po-tesse vede-

re il sole l’aria fosse pura ed esposta airaggi del sole stesso. Qui egli ha postosimboli di purificazioni sacre, mentre difronte al tempio ha disposto fontane, lequali con copioso getto offrono acquada lavarsi a quanti intendono entrarenell’interno del recinto sacro. Tale luo-go, dove dapprima si soffermano i fre-

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Roma, Casa Generalizia Figlie della Divina Provvidenza: il card. Pio Laghi asperge il nuovo altare

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quentatori della chiesa procura a tuttol’insieme ornamento e gaiezza e a colo-ro che hanno bisogno delle prime no-zioni (della fede) è un ritrovo ben adat-to. Ma c’è meraviglia ben maggiore diquella, che offre la vista di queste parti.A mezzo dei propilei interiori, ancorapiù numerosi, egli ha fatto aprire ampliingressi al tempio. Esposte pure ai raggidel sole (nascente) ha eretto da un sollato tre porte, delle quali ha voluto chequella centrale sorpassasse di gran lun-ga le altre due collaterali per altezza elarghezza. Per distinguerla l’ha adornatadi piastre di bronzo legate in ferro, dicesellature varie in basso rilievo, e comea regina le ha messo le altre due ai lati aguisa di guardie. Similmente, avendo di-sposto ai porti innalzati ai due lati deltempio un pari numero di vestiboli, haideato di praticare sui portici stessi di-verse aperture, dalle quali provenissedall’alto nell’aula altra luce più copiosa,ed ha abbellito di finissimi lavori in le-gno pure il fregio attorno a queste fine-stre. Ha provvisto poi la Basilica di unmateriale ancor più ricco e prezioso,non badando a generosità di dispendio.Mi sembra inutile qui descrivere la lun-ghezza e la larghezza dell’edificio, lasua sfolgorante bellezza, la sua gran-dezza, che la parola non potrebbe espri-mere, l’aspetto splendido delle masse,lo slancio con cui queste si adergono aicieli, sorpassando gli stessi fastosi cedridel Libano, cui anche la divina parolanon ha omesso di ricordare là dove dice:“Si rallegreranno gli alberi del Signore ei cedri del Libano, che egli ha piantato”.

Devo ora io rivelare minutamente la per-fetta sapienza ed arte, con cui è ordina-to il complesso architettonico, e la raravenustà delle singole parti? La testimo-nianza degli occhi non rende forse su-perflua una istruzione da percepire amezzo delle orecchie? Terminata così lacostruzione del tempio [Paolino] haprovvisto questo di troni molto elevatiper onorare quelli che vi presiedono einoltre di banchi ordinatamente dispostiper tutto il tempio, ogni cosa con con-venienza. Ha eretto dopo tutto ciò inmezzo il santo dei Santi cioè l’altare e,perché ad esso non accedesse la molti-tudine, lo ha chiuso con reticolati lignei,nella parte superiore lavorati con straor-dinaria finezza artistica, per modo cheoffrisse agli spettatori una visione stu-penda. Anche al pavimento egli non hanegato la sua attenzione: lo ha adorna-to di marmo di ogni bellezza. Così puresi è curato dell’esteriore del tempio, eha fatto preparare d’ambo le parti consenso d’arte esedre e locali assai vasti,che si uniscono insieme ai lati della Basi-lica e sono connessi con gli aditi condu-centi nell’edificio di mezzo. Tali luoghisono stati costruiti dal nostro pacificoSalomone, edificatore della casa di Dioper coloro, che hanno bisogno ancoradi purificazioni e di abluzioni date amezzo dell’acqua e dello Spirito Santo.[…] Tutto il tempio egli lo ha ornato conun grandissimo vestibolo, che è la dos-sologia del solo e unico Dio, sovranouniversale e presenta ad ambo le partidella potestà suprema del Padre i secon-dari splendori della luce di Cristo e dello

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Spirito Santo. E infine egli ha mostratoin tutta la Basilica la chiarezza e la lu-centezza abbondante e distinta della ve-rità in ogni sua singola parte. Scelse daogni dove le pietre viventi, ferme e saldedelle anime e si è servito di tutte questeper costruire l’edificio grande, regale,splendido, pieno di luce di dentro e difuori. Infatti non soltanto l’anima e lamente, ma anche il corpo era in essi ab-bellito dalla fiorita venustà della purezzae della modestia. Ci sono ancora in que-sto santuario troni, innumerevoli banchie scanni; in tutte le anime cioè si posa-no i doni dello Spirito Santo, quali giàfurono visti sui compagni dei Santi Apo-stoli, a cui apparvero lingue divise a gui-sa di fuoco e si posero su ognuno di es-si. Ma nel capo di tutti, com’è giusto,abita Cristo intero; in coloro invece, chegli vengono dopo negli ordini subalter-ni, abita proporzionalmente secondo lacapacità recettiva di ciascuno rispetto aidoni della forza di Cristo stesso e delloSpirito Santo. Seggi degli Angeli potreb-bero essere le anime di alcuni, di quellicioè che hanno avuto l’incombenza del-la istruzione e della protezione. E checosa può essere l’altare venerando,grande e unico se non il Santo dei santiintemerato dell’anima del sacerdote co-mune a tutti? Alla sua destra sta il gran-de Pontefice dell’universo, Gesù, l’Uni-genito di Dio, e prende da tutti l’incensoodoroso e i sacrifici incruenti e immate-riali delle preghiere con lo sguardo lietoe con le palme rivolte in alto, e trasmet-te ciò al Padre celeste e Dio dell’univer-so; Egli stesso per il primo adora il Padre

stesso e solo Gli tributa adeguato e de-gno onore e poi Gli chiede di essere ver-so noi tutti benefico e propizio. Questoè il vasto tempio, che il grande arteficedell’universo, il Verbo, si è costituito sututta la terra abitata sotto il sole e concui sulla terra stessa si è formato unaimmagine spirituale di ciò che è di làdalle volte celesti, onde il Padre sia ono-rato e riverito da tutto il creato e dagliesseri spirituali. Ma nessun mortale puòadeguatamente magnificare la regionesopraceleste, gli esemplari che ivi sonodelle cose di quaggiù, quella ch’è chia-mata la Gerusalemme superna, il monteSion celeste, la città sopraterrena delDio vivente, in cui innumerevoli schieredi angeli e la Chiesa dei primogeniti in-scritti nei cieli celebrano il loro Creatoree Sovrano dell’universo con teologieineffabili e al nostro intelletto inaccessi-bili, “perché né l’occhio ha mai visto nél’orecchio ha inteso né mai è entrato nelcuore dell’uomo ciò che Dio ha prepara-to a coloro che lo amano”. Delle qualicose sin d’ora per divino beneficio par-tecipi sotto un certo aspetto, uomini,bambini e donne, piccoli e grandi, tuttiinsieme in un solo spirito e in una solaanima, non tralasciamo di confessare edi lodare l’autore di tanti beni a noi lar-giti “Colui che perdona tutte le nostreiniquità, che risana tutte le nostre ma-lattie, Colui che libera la nostra vita dal-la corruzione, che ci corona nella miseri-cordia e nella pietà, che soddisfa nei be-ni il nostro desiderio, perché non ha agi-to con noi secondo i nostri peccati enon ci ha chiesto il fio del nostri misfat-

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ti, perché quanto è lontano l’orientedall’occidente, ha allontanato da noi leiniquità. Come un padre ha pietà verso isuoi figli, il Signore ha pietà verso colo-ro, che lo temono”.

Conserviamo queste cose vive nel ri-cordo adesso e per tutto il tempo avveni-re! Giorno e notte, in ogni ora e, per cosìdire, a ogni respiro vogliamo aver presen-te davanti agli occhi dello spirito l’autore

e preside di questa assemblea e di questagiornata splendida e raggiante, amando-lo e onorandolo con tutta la forza dell’a-nima. Ora alziamoci e preghiamolo convoce alta, che parta dal cuore, che ci ten-ga nel Suo gregge sino alla fine, che cisalvi, che ci dia la sua pace inviolabile, in-concussa ed eterna in Gesù Cristo, Salva-tore nostro, per il quale a Lui sia glorianei secoli. Così sia».

——————1 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Firenze 1943, libro X, cap. II-III.2 È una formula di umiltà per dire che l’autore di tale panegirico è lo stesso Eusebio.

Roma, Parr S. Massimiliano Kolbe, benedizione della prima pietra per la nuova chiesa

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a preghiera di dedicazione diuna chiesa fa parte del più am-pio complesso eucologico e ri-

tuale che il Pontificale romano, nell’edi-zione ufficiale italiana, riserva ai riti di Be-nedizione degli oli e dedicazione dellachiesa e dell’altare1. La Congregazioneper il culto divino e la disciplina dei sacra-menti, nel decreto di promulgazione delnuovo Rito di dedicazione della chiesa(29 maggio 1977, solennità di Penteco-ste), riconosceva come fosse necessario,tenendo presenti i principi e le normedella riforma liturgica del Concilio Vatica-no II, riassunti nella Costituzione liturgicaSacrosanctum concilium, rivedere e adat-tare alle condizioni del nostro tempo il ri-to già riformato nel 1961. Anche la pre-ghiera di dedicazione, come vedremobrevemente più avanti, subirà qualchemodifica sostanziale. Noi prenderemo inesame l’ultima stesura della preghierastessa, ossia quella appartenente al ritoriformato del 1977.

In riferimento all’importanza che essaassume nel dinamismo dell’intero rito didedicazione, potremmo affermare che la

preghiera di dedicazione rappresenta ilnucleo dell’intero rito. Dopo infatti averpreparato simbolicamente la chiesa e l’al-tare attraverso l’aspersione dell’assem-blea celebrante e dell’altare stesso; dopoaver disposto la comunità dei fedeli aduna partecipazione attiva al rito, nel ri-cordo del loro battesimo, con l’ascoltodella Parola di Dio e con la preghiera; im-mediatamente dopo il canto delle Litaniedei Santi, segno della Chiesa pellegrinasulla terra che entra nella sua tenda por-tando processionalmente le reliquie deiMartiri e invocando i Santi, nostri inter-cessori e già cittadini della Gerusalemmeceleste2, la preghiera di dedicazione dellachiesa diventa la dichiarazione solenne,fatta dal vescovo a nome dell’intera co-munità riunita in Ecclesia, della volontà didedicare a Dio il nuovo tempio. Attraver-so questa preghiera, che come ogni pre-ghiera solenne presenta il suo aspettoanamnetico, di ricordo e allo stesso tem-po di rendimento di grazie per ciò cheDio stesso ha operato per noi, si chiedeal Padre di santificare, con la presenzadel suo Spirito, tutte le azioni cultuali che

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“Il popolo fedele dedica a te per sempre questa casa

di preghiera…”La preghiera di dedicazione di una chiesa

don Pierangelo Muroni

L

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in nome del Figlio suo saranno compiuteall’interno della nuova chiesa. Sebbene ilpiù importante e indispensabile rito perla dedicazione di una chiesa sia la cele-brazione dell’eucaristia, tuttavia, in ri-spetto alla comune tradizione che uniscele Chiese d’Oriente e d’Occidente, si diceanche la pre-ghiera di de-dicazione laquale espri-me la volontàdi dedicare inperpetuo aDio il nuovotempio, chie-dendone lasua benedi-zione3.

La pre-ghiera di de-d i c a z i o n e ,definita dallefonti medie-vali come“ p r e f a z i oconsacrato-rio”, è unacomposizionenuova chesostituisce ip r e c e d e n t idue “prefazi consacratori” (presenti an-cora nell’edizione del 1961), previsti eper la chiesa e per l’altare. L’Ordo restau-rato infatti li accorpora a sé in un’unicasoluzione, di modo da mettere maggior-mente in evidenza i l rapporto cosìprofondo e inscindibile tra chiesa ed alta-

re. Pur essendo una composizione nuova,ha mantenuto la sua ispirazione ai mo-delli classici, sia per quanto riguarda lastruttura che la terminologia. Ciò nemette in risalto la sua bellezza e la suasorprendente valenza poetica, arricchitadal suo profondo radicamento dottrinale

e dalle evi-denti ispira-zioni biblichee patristiche.

Dopo que-sta presenta-zione genera-le, cerchiamodi penetrarepiù a fondonella ricchez-za di questap r e g h i e r a ,analizzando-ne i diversip a s s a g g i .Pensando cheil lettore pos-sa esserne av-vantaggiato,abbiamo scel-to di riportareintegralmen-te i l testoche, sebbene

lungo, merita di essere preso in conside-razione per la sua bellezza e ricchezzadottrinale.

(Introduzione) O Dio, che reggi e san-tifichi la tua Chiesa accogli il nostro cantoin questo giorno di festa; oggi con solen-

Firma del verbale prima della disposizione delle reliquie sotto l’altare

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ne rito il popolo fedele dedica a te persempre questa casa di preghiera; qui in-vocherà il tuo nome, si nutrirà della tuaparola, vivrà dei tuoi sacramenti.

(Prima parte) Questo luogo è segnodel mistero della Chiesa santificata dalsangue di Cristo, da lui prescelta comesposa, vergine per l’integrità della fede,madre sempre feconda nella potenzadello Spirito.

Chiesa santa, vigna eletta del Signore,che ricopre dei suoi tralci il mondo interoe avvinta al legno della croce innalza isuoi virgulti fino al cielo.

Chiesa beata, dimora di Dio tra gli uo-mini, tempio santo costruito con pietrevive sul fondamento degli Apostoli, inCristo Gesù, fulcro di unità e pietra ango-lare.

Chiesa sublime, città alta sul monte,chiara a tutti per il suo fulgore dovesplende, lampada perenne, l’Agnello, e siinnalza festoso il coro dei beati.

(Seconda parte) Ora, o Padre, avvolgidella tua santità questa chiesa, perché siasempre per tutti un luogo santo; benedicie santifica questo altare, perché sia men-sa sempre preparata per il sacrificio deltuo Figlio.

(Terza parte) Qui il fonte della grazialavi le nostre colpe, perché i tuoi figlimuoiano al peccato e rinascano alla vitanel tuo Spirito.

Qui la santa assemblea riunita intornoall’altare celebri il memoriale della Pa-squa e si nutra al banchetto della parolae del corpo di Cristo.

Qui lieta risuoni la liturgia di lode e lavoce degli uomini si unisca ai cori degliangeli; qui salga a te la preghiera inces-sante per la salvezza del mondo.

Qui il povero trovi misericordia, l’op-presso ottenga libertà vera e ogni uomogoda della dignità dei tuoi figli,

(Conclusione) finché tutti giunganoalla gioia piena nella santa Gerusalemmedel cielo4.

Ciò che colpisce subito il lettore, ad unprimo approccio al testo, è il fatto che essonon si riferisca tanto alla chiesa (con la “c”minuscola)-edificio, quanto invece allaChiesa (con la “C” maiuscola)-«sposa»,«vergine», «madre», «vigna eletta», «di-mora di Dio tra gli uomini», «città alta sulmonte». Come sottolinea la preghiera stes-sa infatti, l’edificio-chiesa non è altro che«segno del mistero della Chiesa santificatadal sangue di Cristo». La preghiera, e le se-quenze rituali annesse al rito di dedicazio-ne, non sono perciò orientate alla “santifi-cazione” delle pareti e dell’altare del nuovoedificio cultuale, ma a ravvivare la coscienzache il cristiano, in forza del battesimo (vediaspersione iniziale), è il vero tempio di Dio ea ricordare che egli è divenuto dimora san-ta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santoattraverso i sacramenti (ai quali si fa allusio-ne nella preghiera stessa) ricevuti e checontinua a ricevere ancora, specie quandol’assemblea cristiana, «la stirpe eletta, il sa-cerdozio regale, la nazione santa, il popoloche Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9) si riuni-sce insieme, nel giorno del Signore, attornoalla mensa della parola e dell’eucaristia.

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Passando ora ad un’analisi più ap-profondita della preghiera di dedicazionedi una chiesa, ne riconosciamo la suastruttura come composta da una introdu-zione, tre parti e una conclusione.

Oggi…il popolo fedele dedica a teper sempre questa casa di preghiera

L’introduzione situa la preghiera nell’in-tero contesto celebrativo e, allo stesso tem-po, rappresenta una sintesi di quello chesarà lo sviluppo teologico successivo. Vienesottolineata la volontà della comunità riuni-ta e la finalità del rito stesso: dedicare pe-rennemente a Dio il nuovo tempio. Si trattaperciò di un’offerta al Padre che riguarda ecoinvolge l’intera comunità, e non soltantocolui che presiede il rito. È chiaro già dall’i-nizio l’orientamento teologico che fa dasupporto all’intera preghiera la quale, men-tre è rivolta all’edificio da dedicare, esalta ilmistero dell’Ecclesia5.

Chiesa santa, Chiesa beata, Chiesasublime

Nella prima parte si è invitati a riflette-re, come accennato in precedenza, sulrapporto tra chiesa-edificio e Chiesa-po-polo di Dio. Chiaro è anche il riferimentoalla Vergine Maria, santa icona dellaChiesa. Ciò è maggiormente evidentequando si definisce la Chiesa stessa quale“vergine fedele”, “sposa gloriosa” e“madre feconda”. Si ricorre alle sem-bianze di Maria per rappresentare il voltodella Chiesa. Seguono tre strofe, dove ri-corrono diverse immagini bibliche, checominciano definendo la Chiesa con unattributo sempre differente. «Queste

“strofe” delineano come una historia sa-lutis in cui gli interventi dell’amore di Diosono espressi in termini più di pura lodeche di rigorosa successione cronologica;e sono anche canto ammirato per la bel-lezza della santa Sposa di Cristo, carmeche sgorga dal cuore di un popolo dipeccatori, i cui peccati macchiano real-mente l’abito nuziale della Sposa, il qualetuttavia, misteriosamente, resta impollu-to per la purificante presenza del Signoree dello Spirito»6.

Padre, avvolgi della tua santitàquesta chiesa

Di chiara struttura e terminologia epi-clettiche, la seconda parte presenta la ri-chiesta principale di tutta la preghiera: checioè la presenza santificatrice dello Spiritopossa pervadere, riempire, permeare laChiesa e l’altare, affinché possano diven-tare “luogo santo” e “lieta mensa” peraccogliere il sacrificio di Cristo e, insieme alui, della Chiesa intera. Si nota in questopassaggio l’unione profonda tra chiesa ealtare, luoghi della medesima presenza edel medesimo sacrificio di Cristo.

Qui la santa assemblea…celebri ilmemoriale della Pasqua

È evidente, in questa terza parte, l’allu-sione alla dimensione sacramentale dellaChiesa; una Chiesa che è tale grazie allapartecipazione ai sacramenti che diventa-no strumenti di salvezza per ciascun cri-stiano. Dalla petizione generale espressanell’epiclesi, si passa qui a delle richiestepiù particolari, precise, nelle quali l’edifi-cio-chiesa è posto in rapporto con l’as-

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semblea celebrante che in essa vi si riuni-sce; l’edificio ecclesiale appare allora comela “vasca battesimale” nella quale i cate-cumeni sono rigenerati a vita nuova me-diante il battesimo; “cenacolo” nel quale icristiani si riuniscono, di domenica in do-menica, per nutrirsi al banchetto della pa-rola e del pane di vita; “tempio” dove levoci degli uomini si uniscono a quelle de-gli angeli in un unico coro di lode a Dio;“dimora” nella quale il povero è accolto,l’oppresso può ritrovare la vera libertà eogni uomo la propria dignità di figlio.

Tutti giungano alla gioia pienanella santa Gerusalemme del cielo

Seppur breve, la conclusione espri-me in maniera esplicita il rimando esca-

tologico che soggiace al rito e all’interacomposizione della preghiera di dedica-zione stessa: «Chiesa santa…che innal-za i suoi virgulti fino al cielo», «Chiesasublime, città alta sul monte, dove si in-nalza festoso il coro dei beati», nellaquale «la voce degli uomini si unisca aicori degli angeli», come già preannun-ziato anche dal canto delle Litanie deiSanti. L’immagine dell’arrivo esultantealla Gerusalemme celeste richiama laprocessione festosa attraverso la qualel’assemblea dei fedeli è entrata nellachiesa-edificio, segno della Chiesa cele-ste7. La Chiesa terrena è infatti immagi-ne della stessa Chiesa celeste, nellaquale tutti sono attesi per condividerela gioia piena.

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——————1 Pontificale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa

Paolo VI, Benedizione degli oli e dedicazione della Chiesa e dell’altare, Città del Vaticano 1980 (=BODCA).2 Cf. I. CALABUIG, «L’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris. Appunti di una lettura», Notitiae 13 (1977) 416.3

Cf. BODCA 41.4 BODCA 85.5 Cf. F. TRUDU, Immagini simboliche dell’Ecclesia nel Rito di Dedicazione della Chiesa (Bibliotheca «Ephemerides

Liturgicae» «Subsidia» 112), Roma 2001, 87.6 Cf. CALABUIG, «L’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris. Appunti di una lettura», 429.7

Cf. CALABUIG, «L’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris. Appunti di una lettura», 429.

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La preghiera di dedicazione di un altare

l Rito di dedicazione dell’altareoccupa il capitolo quarto del-

l’Ordo dedicationis ecclesiae et altaris1

che, nella versione ufficiale italiana allaquale faremo riferimento in questo arti-colo, ospita anche il Rito della benedizio-ne degli oli2. I riti e le preghiere che han-no accompagnato sino a questo momen-to il Rito di dedicazione di un altare (ritiiniziali, benedizione dell’acqua e asper-sione, liturgia della Parola), trovano il loropunto di convergenza e la loro massimaespressione nella preghiera di dedicazio-ne dell’altare, che segue al canto delle li-tanie. Come infatti la liturgia della dedi-cazione della chiesa, nella sequenza deigesti e delle parole che l’accompagnano,esprime una dottrina riguardo la Chiesavivente, di cui lo stesso edificio-chiesa neè il simbolo, così la liturgia della dedica-zione dell’altare, nella semplicità ma an-che nell’intensità dei riti e dell’eucologiache la costituiscono, esprime un insegna-mento riguardo la persona di Cristo e ilsuo mistero, di cui l’altare rimane il se-gno visibile. Perciò stesso possiamo direche le due liturgie di dedicazione si corri-

spondono, dando un’immagine visibile eautentica di quelli che sono i rapporti traCristo e la sua Chiesa.

Volendo passare ad un’analisi più ap-profondita della preghiera di dedicazionedi un altare, riteniamo necessario ripor-tarne integralmente il testo, di modo chesi abbia l’opportunità di confrontare, conla fonte diretta, ciò che andremo a dire ariguardo e se ne possa sperimentare an-che la sua bellezza.

(Prima parte) Ti lodiamo e ti benedi-ciamo, Padre santo, perché il Cristo tuoFiglio nel disegno mirabile del tuo amoreha dato compimento alle molteplici figu-re antiche nell’unico mistero dell’altare.

Noè, patriarca della stirpe umanascampata dal diluvio, eresse a te un alta-re e ti offrì un sacrificio; e tu lo gradisti, oDio, rinnovando con gli uomini la tua al-leanza.

Abramo, nostro padre nella fede, inpiena obbedienza alla tua parola, edificòun altare, pronto a immolarvi, per piace-re a te, Isacco, suo diletto figlio.

Anche Mosè, mediatore della leggeantica, costruì un altare, che asperso conil sangue dell’agnello, fu annunzio profe-tico dell’altare della croce.

L’altare: ara del sacrificio di Cristo e mensa del convito festivo

don Pierangelo Muroni

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Infine il Cristo nel mistero della suaPasqua compì tutti i segni antichi; salen-do sull’albero della croce, sacerdote e vit-tima, si offrì a te, o Padre, in oblazionepura per distruggere i peccati del mondoe stabilire con te l’alleanza nuova edeterna.

(Seconda parte) E ora ti preghiamoumilmente, Signore, avvolgi della tuasantità questo altare eretto nella casadella tuaC h i e s a ,perché siadedicato ate per sem-pre comeara del sa-crif icio diCristo emensa delsuo convi-to, che re-dime e nu-tre i l tuopopolo.

( Te r z aparte) Questa pietra preziosa ed eletta[Questo altare] sia per noi il segno di Cri-sto dal cui fianco squarciato scaturisconol’acqua e il sangue fonte dei sacramentidella Chiesa.

Sia la mensa del convito festivo a cuiaccorrano lieti i commensali di Cristo esollevati dal peso degli affanni quotidianiattingano rinnovato vigore per il lorocammino.

Sia luogo di intima unione con te, Pa-

dre, nella gioia e nella pace, perchéquanti si nutrono del corpo e sangue deltuo Figlio, animati dallo Spirito Santo,crescano nel tuo amore.

Sia fonte di unità per la Chiesa erafforzi nei fratelli, riuniti nella comunepreghiera, il vincolo di carità e di concor-dia.

Sia il centro della nostra lode e del co-mune rendimento di grazie, finché nellapatria eterna ti offriremo esultanti il sacri-

ficio dellalode pe-renne conC r i s t o ,pontef icesommo ealtare vi-vente3.

Già dalprincipio, sipuò ap-prezzare ilcarattere diinno di lo-de, di be-nedizione

e di rendimento di grazie della preghierarivolta a Dio Padre. L’azione rituale è cer-tamente trinitaria: si fa riferimento infattiquindici volte a Dio Padre (utilizzando di-versi nomi come Padre, Dio, Signoreecc.), al Figlio nominato tredici volte (Cri-sto, Figlio, Dio, Sacerdote, Vittima ecc.) eallo Spirito Santo per due volte.

La preghiera di dedicazione di un alta-re può essere suddivisa in tre parti, cia-scuna delle quali presenta una propria

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Il nuovo altare viene unto con il crisma

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caratteristica ed accentuazione teologicae simbolica.

Noè, Abramo, Mosè, Cristo

La prima parte della preghiera presen-ta una sorta di prologo che annuncia im-mediatamente quello che sarà il tema ditutta la sezione: Cristo è il compimentodelle molteplici figurazioni antiche riguar-do il mistero dell’altare o che, comun-que, ebbero come punto di riferimentoun altare4.Questo èl ’ a r g o -mento, i ltema sulquale ruo-terà l’inte-ro svolgi-m e n t odella pre-g h i e r a .N e l l ’ i n -t r e c c i ocon le per-sone divi-ne dellaSantissima Trinità entrano perciò i perso-naggi umani, tratti dalla Sacra Scrittura,che hanno a che fare con il tema dell’al-tare. Ecco perché la parte successiva alprologo rappresenta quella che defini-remmo una sezione anamnetica, in riferi-mento all’Antico Testamento, nella qualecompare Noè, posto in relazione con lastirpe umana della quale rappresenta ilsecondo progenitore, il quale uscito dal-l’arca edificò un altare e offrì olocausti

quale rinnovazione dell’alleanza tra Dio el’uomo (Gn 8, 20-21); Abramo, posto inrelazione con il figlio Isacco per il cui sa-crificio, gradito a Dio, aveva eretto un al-tare (Gn 22, 9-10); Mosè, rappresentatonell’atto di erigere un altare per il sacrifi-cio dell’alleanza con Dio (Es 24, 4-8). Intutti questi episodi l’altare, e il sacrificioche in esso sarà compiuto, diventa segnodi alleanza tra l’uomo e Dio. Sopra tutti,nell’anamnesi riguardante la realtà delNuovo Testamento, si erge Cristo, defini-

to dallePremesseal rito co-me «altaredel suo sa-crificio»5.A tal pro-posito in-fatti, ci-tando Epi-fanio e Ci-rillo Ales-sandrino,le Premes-se affer-m a n o :

«Gli antichi Padri della Chiesa, meditan-do sulla parola di Dio, non esitarono adaffermare che Cristo fu vittima, sacerdotee altare del suo stesso sacrificio»6. Lostesso aspetto viene sottolineato nell’ulti-ma parte della preghiera quando Cristoviene definito come «pontefice sommo ealtare vivente». Il centro di tutta la litur-gia di dedicazione dell’altare perciò è Cri-sto, del quale l’altare antico è prefigura-zione mentre l’altare che viene dedicato

Casalmorena (RM), Parr. S. Anna, il decano accende le candele sull’altare appena consacrato

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è segno. Questa prima parte della pre-ghiera mette in evidenza il progetto salvi-fico di Dio portato a compimento dal Fi-glio suo ed enunciato in maniera chiaraproprio dal rapporto tra Cristo e l’altare.Questo “riepilogare tutto in Cristo” èchiaro nell’ultima strofa della preghiera:«Infine il Cristo nel mistero della sua Pa-squa…». Un “infine” da non interpretaresecondo una scala di valori, ma bensì ri-capitolativo, che dà l’enfasi giusta riguar-do il compiersi di tutti i sacrifici antichinell’unico sacrificio pasquale di Cristo.Ecco allora l’immagine stupenda di que-sto «albero della croce» che diventa il ve-ro altare sacrificale nel quale l’uomo, at-traverso la morte di Cristo, è strappatoalla morte e dove egli stesso divental’“offerente” («sacerdote») e l’“offerto”(«vittima») allo stesso tempo (cf. Eb 7,26-27; 9, 11-12). E all’offerta sacrificaledi Cristo si unisce quella dei fedeli. Essen-do infatti Cristo vero altare, capo e mae-stro, come affermano le Premesse al rito,«anche i discepoli, membra del suo cor-po, sono altari spirituali, sui quali vieneofferto a Dio il sacrificio di una vita san-ta»7.

Avvolgi della tua santità questoaltare

Questa sezione, di chiara espressio-ne epiclettica nella richiesta di santifica-zione dell’altare attraverso il dono delloSpirito impetrato dal Padre, può essereletta in parallelo con l’analoga invoca-zione della preghiera di dedicazionedella chiesa, nella quale si invoca il do-

no dello Spirito sia sulla chiesa che sul-l’altare stesso8. «Lo Spirito Santo comu-nica all’altare la santità divina e, cosìsantificato, l’altare viene dedicato aDio, viene cioè reso proprietà di Dio, ri-servato a Dio per il culto, viene reso arasacrificale, mensa conviviale in cui il ci-bo sacrificale è Cristo, diventa il luogodella celebrazione dell’Eucaristia»9.

Sia la mensa del convito festivo

L’altare perciò è non solo «ara del sa-crificio di Cristo», che si perpetua nelmemoriale eucaristico, ma diventa an-che la «mensa del convito festivo», co-me sottolineato dalla terza parte dellapreghiera, alla quale tutti i cristiani, da«commensali di Cristo», sono chiamati anutrirsi e a sfamarsi. Ecco perché lamensa dell’altare rappresenta non solola pietra del Calvario sulla quale la crocedi Cristo fu issata, creando così laprofonda unità tra sacrificio della crocee sacrificio eucaristico, ma anche lamensa dell’ultima cena nella quale Cri-sto si offrì ai suoi nel segno del pane edel vino. Per questo motivo l’altare, al-l’interno dell’edificio-chiesa, diventa ilpunto di convergenza dell’intera archi-tettura ma anche di tutta l’azione ritua-le, perché è il luogo nel quale avviene ilmistero più grande, fontale e rigenerati-vo della vita del cristiano: il sacrificio pa-squale di Cristo. Per questo l’altare, at-traverso il rito di dedicazione, diventanon solo «la mensa del convito festivo»,ma anche «luogo di intima unione con ilPadre», «fonte di unità per la Chiesa» e

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«centro della nostra lode e del comunerendimento di grazie». È il luogo attornoal quale la comunità, nel giorno del Si-gnore, si riunisce insieme per fare me-moria della sua passione e risurrezione,in profondo atteggiamento di lode e diringraziamento. Sette sono le volte che,all’interno della preghiera, l’altare vienenominato. Ma in realtà si fa riferimentoad esso, specie in questa terza parte del-la preghiera, identificandolo con diversedenominazioni tra le quali ara, pietra esoprattutto mensa. Il Pontificale infattinon si è lasciato sfuggire l’occasione disottolineare che l’altare cristiano implicaun’altra idea, un’altra realtà che è ap-punto quella della mensa. Se infatti iltermine “altare”, almeno nel nuovo rito,viene riferito principalmente a Cristo,mutuando tale idea dagli scrittori eccle-siastici che videro nell’altare un segno diCristo stesso (da cui l’affermazione «l’al-tare è Cristo»10), il termine “mensa” ri-

chiama invece la comunità ecclesiale riu-nita insieme per prendere parte al ban-chetto eucaristico. Ma se noi prendiamoparte al sacrificio di Cristo, come Cristofu altare a se stesso, così anche noi sia-mo altare a noi stessi, e di conseguenzal’altare di pietra non è solo “segno” diCristo, ma è anche “segno” nostro. Diconseguenza l’altare di pietra è anchesegno dell’altare-Chiesa, perché è pro-prio nell’offerta della comunità che siperpetua l’offerta di Cristo11. Volendoconcludere questa nostra riflessione sul-la preghiera di dedicazione di un altare,potremmo affermare che, come altarereale fu Cristo, altare reale è oggi, graziealla sua unione con lui non solamente ilsingolo cristiano, ma la comunità cristia-na come tale, chiamata a formare il Cor-po di Cristo, cibandosi del corpo sacra-mentale di lui finché, giunti alla patriaeterna, «offriremo esultanti il sacrificiodella lode perenne con Cristo».

——————1 Pontificale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP.

VI promulgatum, Ordo dedicationis ecclesiae et altaris , Typis Polyglottis Vaticanis 1977, 82-111.2 Pontificale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo

VI, Benedizione degli oli e dedicazione della Chiesa e dell’altare, Città del Vaticano 1980 (=BODCA), 89-114.3 BODCA 200.4 Cf. G. FERRARO, Cristo è l’altare. Liturgia di dedicazione della chiesa e dell’altare, Roma 2004, 240.5 BODCA 152.6 BODCA 152.7 BODCA 153.8 Cf. BODCA 85.9 G. FERRARO, «Il mistero di Cristo nella liturgia della dedicazione dell’altare», La Civiltà Cattolica 137/III (1986) 246.10 BODCA 155.11 Cf. S. MARSILI, «Dedicazione senza consacrazione. Ossia: teologia liturgica in una storia rituale», Rivista Liturgica

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oncludiamo con questo inter-vento la presentazione dell’Ordi-namento Generale del Messale

Romano (OGMR), illustrando il conte-nuto degli ultimi tre capitoli. Ricordiamocomunque che è sempre necessaria al-meno una conoscenza, se non uno stu-dio, del testo completo dell’OGMR, pertutti coloro che sono coinvolti a qualsiasititolo nell’animazione liturgica e nei di-versi ministeri: in questa sede ci siamo li-mitati infatti a riprendere alcuni principigenerali e gli aspetti che si incontranocon maggior frequenza.

Alla “scelta delle parti della Messa”è dedicato il capitolo VII, che precisainnanzitutto quanto segue: “L’efficaciapastorale della celebrazione aumentase i testi delle letture, delle orazioni edei canti corrispondono il meglio possi-bile alle necessità, alla preparazionespirituale e alle capacità dei parteci-panti. Nel preparare la Messa il sacer-dote tenga presente più il bene spiri-tuale del popolo di Dio che la propriapersonale inclinazione. Si ricordi ancheche la scelta di queste parti si deve fareinsieme con i ministri e con coloro chesvolgono qualche ufficio nella celebra-zione, senza escludere i fedeli in ciòche li riguarda direttamente”. Primadella celebrazione è necessario che tut-

ti coloro che ricoprono qualche ruolo(diacono, lettore, salmista, cantore,commentatore, schola cantorum…),sotto la guida del Presidente, sappianocosa fare e quando.

Vengono quindi fornite alcune indi-cazioni per la scelta della Messa, secon-do i vari tempi dell’anno liturgico, per lequali rimandiamo alla lettura del testocompleto dell’OGMR. Altre norme ri-guardano invece la scelta delle parti del-la Messa. Per le letture si ricorda che “ladomenica e nelle solennità vi sono treletture: il Profeta, l’Apostolo e il Vange-lo; la loro proclamazione educa il popo-lo cristiano al senso della continuità nel-l’opera di salvezza, secondo la mirabilepedagogia divina. Queste letture sianoscrupolosamente utilizzate. Nel tempopasquale, secondo la tradizione dellaChiesa, al posto dell’Antico Testamento,la lettura viene tratta dagli Atti degliApostoli”. Nelle memorie dei Santi, senon vi sono letture proprie, si proclama-no normalmente le letture assegnate al-la feria. In alcuni casi si propongono let-ture appropriate, che pongono in luceun particolare aspetto della vita spiritua-le o dell’azione del Santo. Non si deveperò esagerare con l’uso di queste lettu-re se non lo suggerisce una autenticaragione pastorale.

Ordinamento generale del Messale romano – 9

Stefano Lodigiani

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Nel Lezionario feriale sono propostedelle letture per ogni giorno della setti-mana, lungo tutto il corso dell’anno,che si dovranno abitualmente usare neigiorni a cui sono assegnate. Nelle Mes-se per gruppi particolari, il sacerdotepotrà scegliere le letture più adatte aquella particolare celebrazione, purchétratte dai testi del Lezionario approvato.Il Lezionario per le Messe rituali com-prende poi una raccolta particolare ditesti della Sacra Scrittura da usare in oc-casione della celebrazione di sacramentio di sacramentali, o per le Messe chevengono celebrate per diverse neces-sità. Si ricorda comunque che i testi daleggersi nella celebrazione “si devonoscegliere in base a un’opportuna consi-derazione pastorale, e tenuta presentela libertà di scelta prevista per questicasi”. Nelle possibilità di scelta occorresempre tenere presente il criterio pasto-rale, con una attenzione alla capacitàdei fedeli di ascoltare e comprendereuna lettura più lunga o più breve. “LeConferenze Episcopali hanno la facoltàdi indicare, per particolari circostanze,alcuni adattamenti per le letture, a con-dizione che i testi vengano scelti da unLezionario debitamente approvato”.

Per la scelta delle orazioni, “in ogniMessa, salvo indicazioni in contrario, sidicono le orazioni proprie di quellaMessa. Nelle memorie dei Santi si dicela colletta propria o, se questa manca,quella del Comune adatto; le orazionisulle offerte e dopo la Comunione, senon sono proprie, si possono sceglieredal comune o dalle ferie del tempo cor-

rente. Nelle ferie del tempo ordinario,oltre all’orazione della domenica prece-dente, si possono dire le orazioni diun’altra domenica del tempo ordinario,oppure un’orazione scelta tra i formula-ri per «varie necessità» che si trovanonel Messale. Di queste Messe si puòsempre comunque scegliere anche lasola colletta.

In tal modo viene proposta una mag-gior ricchezza di testi, con i quali vienenutrita più abbondantemente la preghie-ra dei fedeli”.

La scelta tra le Preghiere eucaristicheche si trovano nel rito della Messa, è re-golata dalle norme seguenti: a) La Pre-ghiera eucaristica I o Canone romano,si può sempre usare. b) La Preghiera eu-caristica II è più indicata per i giorni fe-riali o in circostanze particolari. c) LaPreghiera eucaristica III si può dire conqualsiasi prefazio. È preferibile usarlanelle domeniche e nei giorni festivi. d)La Preghiera eucaristica IV ha un prefa-zio invariabile e offre un compendio piùcompleto della storia della salvezza. Sipuò usare quando la Messa manca diun prefazio proprio e nelle domenichedel tempo ordinario.

Un’ultima annotazione riguarda i can-ti: a quelli stabiliti nell’ordinario dellaMessa, come ad esempio l’Agnello diDio, non si possono sostituire altri canti,mentre la scelta degli altri canti deve es-sere fatta secondo le norme indicate nel-lo stesso OGMR.

Alle Messe e Orazioni per diverse cir-costanze e alle Messe per i defunti è de-dicato l’VIII capitolo. Si sottolinea che “è

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bene che delle Messe per diverse circo-stanze si faccia un uso moderato, cioèquando lo esige l’opportunità pastorale”,e si elencano quindi le possibilità. “Neigiorni in cui ricorre una memoria obbli-gatoria o una feria di Avvento fino al 16dicembre, del tempo natalizio a comin-ciare dal 2 gennaio, e del tempo pasqua-le dopo l’ottava di Pasqua, sono per séproibite le Messe per varie necessità equelle votive. Se però lo richiede un’au-tentica necessità o un’utilità pastorale,nella Messa con partecipazione di popolosi può usare il formulario corrispondentea questa necessità o utilità, a giudizio delrettore della chiesa o dello stesso sacer-dote celebrante”.

Tra le Messe per i defunti ha il primoposto la Messa esequiale, che si può ce-lebrare tutti i giorni, eccetto le solennitàdi precetto, il Giovedì della Settimanasanta, il Triduo pasquale e le domenichedi Avvento, Quaresima e Pasqua. NellaMessa esequiale si tenga normalmenteuna breve omelia, escludendo però laforma dell’elogio funebre. Si invitino i fe-deli, specialmente i familiari del defunto,a partecipare anche con la santa Comu-nione al sacrificio eucaristico offerto peril defunto stesso.

L’OGMR si conclude enumerando,nell’ultimo capitolo, “gli adattamentiche competono ai Vescovi diocesani ealle Conferenze episcopali” perché “lacelebrazione risponda più pienamentealle norme e allo spirito della sacra Litur-gia”. Il Vescovo diocesano, “da conside-rare come il grande sacerdote del suogregge”, deve promuovere, guidare e

vigilare sulla vita liturgica nella sua dio-cesi. A lui è affidato il compito di rego-lare la disciplina della concelebrazione,stabilire le norme circa il compito di ser-vire il sacerdote all’altare, circa la distri-buzione della sacra Comunione sotto ledue specie, circa la costruzione e la ri-strutturazione delle chiese. “Ma a luispetta prima di tutto coltivare nei pre-sbiteri, nei diaconi e nei fedeli lo spiritodella sacra Liturgia”.

Alle Conferenze Episcopali spettaanzitutto preparare e approvare l’edi-zione del Messale Romano nelle linguemoderne approvate, affinché, dopo laconferma della Sede Apostolica, si usipoi nelle rispettive regioni. Dopo la con-ferma della Sede Apostolica, spetta alleConferenze Episcopali, definire e intro-durre nel Messale gli adattamenti indi-cati nell’Ordinamento generale delMessale Romano e nel rito della Messa,come: i gesti dei fedeli e gli atteggia-menti del corpo; i gesti di venerazioneverso l’altare e l’Evangeliario; i testi deicanti all’ingresso, all’offertorio e allaComunione; le letture della sacra Scrit-tura da usare in particolari circostanze;la modalità dello scambio di pace; ilmodo di ricevere la sacra Comunione;la materia dell’altare e della sacra sup-pellettile, e la materia, la forma e il co-lore delle vesti liturgiche.

Le Conferenze Episcopali devono poidedicare “una cura particolare alla tradu-zione dei testi biblici che si usano nellacelebrazione della Messa”, usando unlinguaggio che “risponda alla capacitàdei fedeli e che sia adatto ad una procla-

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Testi e Documenti

mazione pubblica, osservando tuttaviaciò che è proprio dei diversi modi di par-lare nei libri biblici”. “Spetta inoltre alleConferenze Episcopali preparare congrande diligenza la traduzione degli altritesti, cosicché, nel rispetto anche del ca-rattere proprio di ciascuna lingua, vengareso pienamen-te e fedelmen-te il senso deltesto originalelatino…Si usiun linguaggioadatto ai fedelidella regione;tuttavia sia di-gnitoso e dota-to di qualitàletteraria, fer-ma restando lanecessità diuna catechesisul senso bibli-co e cristianodi alcune paro-le ed espressio-ni.”

Inf ine, dalmomento chei l canto ha“un postoe m i n e n t e ”nella celebrazione, come parte neces-saria e integrale della Liturgia, è com-pito delle Conferenze Episcopali “ap-provare melodie adatte, specialmenteper i testi dell’Ordinario della Messa,per le risposte e le acclamazioni delpopolo e per riti particolari che ricorro-

no durante l’anno l iturgico. È lorocompetenza, inoltre, giudicare qualiforme musicali, quali melodie e qualistrumenti musicali sia lecito ammetterenel culto divino, perché siano vera-mente adatti all’uso sacro o possanoadattarvisi”.

Si sottolineain questo capi-tolo la neces-sità che ognidiocesi abbia ilsuo Calendarioe il Proprio del-le Messe. LaC o n f e r e n z aEpiscopale poideve preparareil calendarioproprio dellanazione o, conle altre Confe-renze, un Ca-lendario peruna più vastaregione, da ap-provarsi dallaSede Apostoli-ca. Nel farequesto lavoro,“si deve rispet-tare e difende-

re la domenica, come festa primordiale,quindi ad essa non siano anteposte altrecelebrazioni, se non sono davvero digrandissima importanza. Inoltre si prestiattenzione che l’anno liturgico, rinnovatoper volere del Concilio Vaticano II, nonsia oscurato da elementi secondari”.

L’ultima Cena, Icona, sec XV

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2007

mistero di comunione, di vita e di amore. Lalettura del libro dei Proverbi parla della Sa-pienza come la prima delle opere di Dio esuo strumento nella creazione del mondo,che la tradizione cristiana ha interpretato ri-ferito al Verbo incarnato (cf. Gv 1). San Pao-lo (seconda lettura) afferma che l’uomo, giu-stificato per la fede, è “in pace con Dio permezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Fi-nalmente, il vangelo ripropone le parole diGesù che promette lo Spirito Santo per por-tare a compimento la stessa opera sua in noi.

Prima lettura: Prv 8,22-31Salmo responsoriale: dal Sal 8Seconda lettura: Rm 5,1-5Vangelo: Gv 16,12-15

Nel giorno di Pentecoste gli apostoli han-no ricevuto lo Spirito Santo e, fedeli al coman-do del Maestro, sono partiti per annunciare labuona novella e battezzare tutte le genti nelnome del Padre e del Figlio e dello SpiritoSanto. E’ dunque giusto che la solennità dellaSs.ma Trinità segua immediatamente quelladella Pentecoste. Il Sal 8, da cui è tratto il sal-mo responsoriale, è un inno che esalta lagrandezza di Dio che si manifesta nell’operadella creazione e splende, in modo particola-re, nell’uomo che, creato a sua immagine e so-miglianza, è stato “fatto poco meno degli an-geli”. Dio ha raccolto e sintetizzato nella crea-tura umana la gloria e lo splendore dell’uni-verso intero, che ha “posto sotto i suoi piedi”.In questo inno Israele trovava un motivo disanta compiacenza nel Signore, che si erapreso cura di lui e l’aveva costituito padronedi una terra abbandonata. Nella solennità del-la Ss.ma Trinità, con questo salmo cantiamo leopere mirabili del Dio creatore e salvatore. Inquesta domenica più che celebrare un parti-colare mistero cristiano, celebriamo le radicidi tutto.

Le letture bibliche della solennità sonoun invito a non fermarsi sulla soglia di undogma, ma a contemplare la Trinità come un

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

SANTISSIMA TRINITÀ (C)3 Giugno 2007O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!

La santa Trinità, Icona, A. Rublyov, sec XV

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2007

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Il disegno di Dio, che si è compiuto piena-mente in Cristo, trova attuazione in noi permezzo dello Spirito Santo. Attraverso GesùCristo e guidati dallo Spirito abbiamo acces-so al Padre. Possiamo riassumere il messag-gio delle tre letture dicendo che Dio crea,salva e santifica. Il mistero della Trinità nonè un mistero lontano, ma il mistero della no-stra vita che si svolge nel tempo verso l’eter-nità di Dio. Ecco quindi che la Trinità non sipresenta come una realtà misteriosa chiusain se stessa, irraggiungibile, ma come comu-nione di vita che tende ad espandersi e araggiungere ogni altra realtà, attraendola conil suo amore: Dio non è il solitario perfetto,ma ha voluto essere più persone che si ama-no in una comunione di essere, di vita e didonazione assoluti.

La solennità della Trinità, celebrata dopoche abbiamo percorso tutte le tappe dellastoria della salvezza, è un invito a scoprire lafonte e il senso di tutto, il protagonista asso-

luto della storia della salvezza: il Dio uno etrino. La riflessione sulla Trinità non è quin-di semplice speculazione astratta, ma è untentativo di comprensione del mistero di Dioper meglio comprendere il mistero dell’uomoin Cristo. E’ alla Ss.ma Trinità che ricondu-ciamo insieme il mistero della creazione e ilmistero della redenzione. Il Dio in cui cre-diamo è colui che ci ha creati e ci ha salvatiricomponendo quel che era al principio conquel che ora sperimentiamo in Cristo. Perciòanche la liturgia, il cui cuore è l’eucaristia, èopera della Santa Trinità (cf. Catechismo del-la Chiesa Cattolica, n.1077). Adorare “l’uni-co Dio in tre persone” (orazione colletta) nonvuol dire alienarci da questo mondo e met-terci in una dimensione spirituale o astratta.Cristo, inviato dal Padre, ha ricreato con laforza dello Spirito quel che era stato creato.E’ dunque proprio dal mistero trinitario cheprendono nuova luce, mentre aspettiamo laluce eterna, il mondo in cui viviamo, il mi-stero dell’uomo, e la varietà delle cose.

Prima Lettura: Gn 14,18-20Salmo responsoriale: dal Sal 109Seconda Lettura: 1Cor 11,23-26Vangelo: Lc 9,11b-17

Il breve Sal 109 è un testo eminentemen-te messianico. Viene riferito a Cristo già nelNuovo Testamento: Eb 7,11 cita questo sal-mo per approfondire la natura del sacerdoziodi Cristo “alla maniera di Melchisedek”.Con l’offerta del pane e del vino, Gesù rial-laccia il sacrificio della nuova alleanza al ri-to di Melchisedek, il quale, più e meglio deiriti mosaici, esprime il carattere di universa-

lità e di spiritualità del suo sacrificio pa-squale.

Anche la prima lettura parla di Melchise-dek, “re di Salem” e “sacerdote del Dio al-tissimo, che, come segno di ospitalità e ami-cizia, “offrì pane e vino” e “benedisse”Abram che tornava da una vittoriosa campa-gna militare. La seconda lettura invece ripor-ta la descrizione dell’ultima cena, in cui Ge-sù istituisce l’eucaristia col pane e col vino,sacrificio della nuova ed eterna alleanza. Ilbrano evangelico racconta la moltiplicazionedei pani e dei pesci, in cui Gesù compie gli

SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (C)10 Giugno 2007Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore

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stessi gesti con cui istituisce poi l’eucaristia:“prese i cinque pani e i due pesci e, levatigli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e lidiede ai discepoli” (v. 16). Le tre letture fan-no riferimento al mistero eucaristico che laChiesa propone oggi di nuovo alla nostra at-tenzione dopo averlo contemplato la sera delGiovedì santo con gli occhi rivolti alla Crocedel Venerdì santo. Che cos’è l’eucaristia?Non è possibile dare una risposta esauriente.Ci limitiamo ad una lettura del mistero euca-ristico a partire dalla persona di Cristo sa-cerdote, come suggeriscono le letture bibli-che odierne.

Possiamo prendere come punto di parten-za un aspetto tipico del racconto di Paolo,soffermandoci cioè sul mandato di Gesù, ri-corrente ben due volte in questa breve lettu-ra: “fate questo in memoria di me”. Farequalcosa “in memoria” non è semplicementeripetere e neppure ricordare qualcosa o qual-cuno. Sullo sfondo del contesto del ritualedella Pasqua biblica, “fare memoria” vuol di-re rendere presente l’evento salvifico perprendervi parte. Nell’orazione della messa sidice che nell’eucaristia il Signore Gesù “ciha lasciato il memoriale della sua Pasqua”.Gesù, che ha vissuto una vita di totale obbe-dienza al Padre e di servizio agli uomini, cioèil vero culto e il vero sacrificio, alla fine dellasua esistenza la riprende riassumendola ed

esprimendola con il gesto simbolico, cultuale,del pane spezzato e condiviso e del calice delvino distribuito. Riassunta in un gesto ritua-le, ripetibile, celebrativo, Gesù consegna lasua vita ai discepoli perché noi tutti ne fac-ciamo memoria nel rito (“fate questo in me-moria di me”) e nella propria esistenza(“prendete e mangiate”) inseparabilmente.Come Cristo ha raccolto la sua esistenza (ilvero culto) nei segni, così l’esistenza umana(il culto spirituale) si raccoglie in momenti –segno che in certo qual modo separano dalquotidiano per celebrare però il grande even-to che dà senso al quotidiano. Ciò che dàconsistenza all’eucaristia non è un rito, maun’esistenza, quella di Cristo. Ciò che quindiè essenziale in questa celebrazione è la “me-moria” di questa esistenza e di questa perso-na, la comunione con essa, l’appropriazionedei suoi stessi atteggiamenti esistenziali.

Il sacerdozio di Cristo non è né rituale nésemplicemente esteriore, bensì personale evitale. Cristo si rende presente nell’eucari-stia perché, partecipando ad essa, facciamonostra la sua vita di oblazione e di condivi-sione. Celebrare l’eucaristia vuol dire ripro-durre in noi i sentimenti di Cristo, di coluiche ha vissuto una vita di totale obbedienzaal Padre donandosi per la nostra salvezza.Egli diventa per noi pane, perché noi impa-riamo a diventarlo per gli altri.

Prima lettura: 2Sam12,7-10.13Salmo responsoriale: dal Sal 31Seconda lettura: Gal 2,16.19-21Vangelo: Lc 7,36-8,3

Il messaggio dominante nelle letture bibli-che di questa domenica è il perdono dei peccatida parte di Dio. La prima lettura riporta la sto-ria del re Davide che, innamoratosi di Betsa-bea, sposa di Uria, per averla manda il valoroso

DOMENICA XI DEL TEMPO ORDINARIO (C)17 Giugno 2007 Ridonami, Signore, la gioia del perdono

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soldato in prima fila in modo che venga ucciso.A Davide interessa più in quel momento appa-rire “pulito” di fronte ai suoi sudditi che non difronte a Dio. Ecco però che il re, adultero eomicida, viene ricondotto dalla parola del pro-feta Natan alla sua autenticità e, spogliato dalledifese dell’arroganza del potere, si apre since-ramente a Dio confessando umilmente i suoipeccati: “Ho peccato contro il Signore”. Quelloche Davide ha fatto non è solo un adulterio e unomicidio, ma un peccato davanti al Signore chelo ha scelto e consacrato re di Israele. E il Si-gnore annuncia per mezzo del profeta la suapunizione; l’ultima parola però è quella del per-dono: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato”.Non ci dobbiamo sentire totalmente schiavi delnostro passato di peccato se sappiamo accoglie-re il perdono di Dio che salva.

Il salmo responsoriale è come la risonan-za amara nell’animo di Davide di quanto èavvenuto. Riflette i suoi sentimenti di penti-mento, ma anche di gioia nella ritrovata ami-cizia di Dio. Infatti, il Sal 31, pur formandoparte di quei salmi che la tradizione cristia-na chiama “salmi penitenziali”, è una pre-ghiera piena di speranza in un Dio miseri-cordioso che rimette i peccati a coloro che liriconoscono e confessano con umiltà. Si puòparlare quindi di un salmo di ringraziamentopenitenziale. Un grande convertito, sant’A-gostino, aveva particolare affezione per que-sto salmo, e scopriva in esso, tra le lacrime,la gioia del perdono ricevuto e dato.

Anche il brano evangelico parla del perdo-no di Dio. Oltre a Gesù, i protagonisti del rac-conto sono due personaggi molti diversi: un uo-mo religioso, Simone il fariseo che invita Gesùa tavola, e una donna peccatrice, che si avvici-

na a Gesù e piangendo bagna i suoi piedi conle lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li baciae li cosparge di olio profumato. Il fariseo siscandalizza del fatto che Gesù lasci che unanota prostituta compia un gesto di tenerezzanei suoi confronti. Gesù risponde allo scanda-lizzato fariseo con il racconto di una parabola,in cui si parla di due debitori insolventi ai qua-li il creditore condona il debito: il primo, il cuidebito era più grande, è il simbolo della donnache ha coscienza del grande perdono ricevuto;il secondo è simbolo invece del fariseo che,convinto della sua superiorità morale, chiude ilcuore alla riconoscenza e si attiene ad una mi-nima e formale gratitudine nei confronti di Dioche perdona. Gesù allora gli svela l’insensibi-lità della sua coscienza rispetto alla tenera sen-sibilità della donna. Notiamo che nel ritrattodella peccatrice perdonata Gesù stabilisce unarelazione inscindibile tra “amore” e “perdono”.

Sulla stessa linea di pensiero si pone sanPaolo nella seconda lettura quando affermache “l’uomo non è giustificato dalle opere del-la legge, ma soltanto per mezzo della fede inGesù Cristo”. La priorità della fede nell’operadella salvezza, significa accettare di esseresalvati esclusivamente per mezzo di Cristo,abbandonandosi al suo amore, come la pecca-trice di cui parla Luca. E’ solo con questo ab-bandono di amore e non allegando opere emeriti insufficienti a salvarci che scopriamol’irruzione in noi della forza dell’amore divino.Come il peccato è povertà d’amore, così ilperdono è ricchezza d’amore. San GiovanniCrisostomo lo esprime molto bene quando di-ce: “Vuoi essere perdonato? Ama. L’amore co-pre la moltitudine dei peccati”. Questo amoreè alla base della fedeltà ai “comandamenti”divini di cui parla la colletta della messa.

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Prima lettura: Ger 1,4-10Salmo responsoriale: dal Sal 70Seconda lettura: 1Pt 1,8-12Vangelo: Lc 1,5-17

Il Sal 70 è la preghiera di un anzianoche fin da giovane ha posto la sua speran-za nel Signore. I versetti ripresi dal salmoresponsoriale odierno, alla luce della pri-ma lettura, vengono applicati invece allavocazione e missione profetica di GiovanniBattista, scelto dal Signore fin dalla giovi-nezza per proclamare la salvezza. Possia-mo affermare che tutte e tre le letture bi-bliche fanno riferimento a questo ruoloprofetico del Battista.

La prima lettura riporta la vocazione diGeremia, uno dei profeti maggiori, chiamatoad essere profeta quando era ancora giovanein un momento in cui il popolo di Dio attra-versava uno dei più difficili sconvolgimentidella sua storia. Leggendo la vocazione di Ge-remia si comprende la vocazione di Giovanni,che è chiamato dal Signore “fin dal seno disua madre” (vangelo) in un momento crucialedella storia di Israele per indicare al suo po-polo e al mondo intero, solo fra tutti i profeti,l’Agnello del nostro riscatto (prefazio). Secon-do Gesù, Giovanni “è più che un profeta” (Lc7,26). Profeta senza pari, egli prepara le viedel Signore di cui è il precursore e il testimo-ne (cf. canto al vangelo). San Pietro nella se-conda lettura parla dei “profeti che profetizza-rono sulla grazia a voi destinata”.

Chi sono i profeti? Il Catechismo dellaChiesa Cattolica descrive la missione profe-tica in questi termini: “Attraverso i profetiDio forma il suo popolo nella speranza della

salvezza, nell’attesa di una alleanza nuovaed eterna destinata a tutti gli uomini e chesarà inscritta nei cuori” (n. 64). Queste paro-le trovano una sua eminente espressione nel-la missione di Giovanni Battista: Egli “cam-minerà innanzi [al Signore] con lo spirito e laforza di Elia, per ricondurre i cuori dei padriverso i figli e i ribelli alla saggezza dei giustie preparare al Signore un popolo ben dispo-sto” (vangelo). Come i profeti antichi, Gio-vanni traduce la legge in termini di esistenzavissuta, annunzia l’imminenza dell’ira e del-la salvezza e, soprattutto, discerne il Messiapresente senza essere conosciuto e lo indica.Giovanni chiude l’economia dell’antica al-

S. Giovanni Battista, Icona, Scuola di Rublev, sec XV

NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA23 Giugno 2007Messa vespertina della vigiliaHai posto su di me la tua mano

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leanza, succedendo all’ultimo dei profeti,Malachia, di cui compie l’ultima predizione:“Ecco, io invierò il profeta Elia prima chegiunga il giorno grande e terribile del Signo-re” (Ml 3,23).

I profeti sono amici di Dio che, animatinel profondo dallo Spirito Santo, indicano alpopolo il senso degli eventi, ammoniscono,scuotono. Più che predire il futuro, i profetihanno il dono di capire e interpretare il pre-sente. Sono persone che, come dice Pietronella seconda lettura, indagano e scrutano ipercorsi della salvezza, che trova realizzazio-ne piena in Cristo. Anche Gesù viene consi-derato un profeta dai suoi contemporanei (Gv6,14) ed egli stesso lo afferma di sé stesso

(Lc 13,33). Anzi, Gesù non è solo un profeta,ma il profeta, l’inviato dal Padre per annun-ciare agli uomini la buona novella della sal-vezza (Lc 4,24). I profeti esistono ancora, so-no presenti in mezzo a noi. Infatti, la profeziaè un dono e una dimensione comune dell’e-sistenza cristiana perché tutti i battezzatipartecipiamo alla missione di Cristo sacer-dote, profeta e re. Questo dono si manifestain modo particolarmente fecondo in alcunisanti e in semplici e umili credenti che vivo-no il loro battesimo in profondità. La profezianon mancherà mai nella comunità ecclesialecome forma permanente di memoria che ob-bliga a non assumere mai nella vita alcun as-soluto, ma piuttosto a relativizzare ogni cosadavanti all’unico necessario.

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Prima lettura: Is 49,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 138Seconda lettura: At 13,22-26Vangelo: Lc 1,57-66.80

La solennità della nascita di san GiovanniBattista è situata sei mesi prima del Natale etre mesi dopo l’Annunciazione (cf. Lc 1,36).Già nel secolo III, fondandosi sul simbolismodel Cristo-sole, nella riflessione sulla storiadella salvezza fu dedicata particolare attenzio-ne ai solstizi; così si arrivò all’opinione che ilPrecursore fosse concepito all’equinozio diautunno e nato al solstizio di estate, in cui lalunghezza dei giorni incomincia a diminuire,mentre riprende ad aumentare dopo quello diinverno, in cui celebriamo la nascita di Gesù.La tradizione dei Padri vede in questo unaconferma alle parole del Battista: “Egli devecrescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). Al

momento dovuto, Giovanni Battista scompa-rirà dalla scena per far posto a Cristo.

Le letture bibliche e le preghiere della li-turgia odierna sottolineano il ruolo di Gio-vanni come “Precursore”, come colui che“prepara”, “annuncia”, “indica”, “rende te-stimonianza alla luce” che è Cristo Signore.Egli, come dice sant’Agostino, “sembra siaposto come un confine fra due Testamenti,l’Antico e il Nuovo” (Discorso proposto dal-l’Ufficio delle letture). Giovanni Battista èl’ultimo profeta di Israele e il primo del nuo-vo Israele.

La prima lettura riporta un brano del se-condo canto del “Servo del Signore”, miste-riosa figura messianica che viene presentatacome un profeta, oggetto di una predestina-zione divina; la sua missione è estesa non

NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA24 Giugno 2007Messa del giornoDal grembo di mia madre tu mi hai chiamato

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solo a Israele, ma anche alle nazioni per illu-minarle con la luce della salvezza. Il branodi Isaia è riferito anzitutto a Cristo. Ma an-che di Giovanni si può dire con il salmo re-sponsoriale: “dal grembo di mia madre tu mihai chiamato”. Anche il Precursore è statochiamato ad essere “testimone della luce”:“Egli non era la luce, ma doveva render te-stimonianza alla luce” (Gv 1,8). Sulla stessalinea, nel brano evangelico, san Luca, nelnarrare la nascita di Giovanni, stabilisce uncerto parallelismo con quella di Cristo, ma altempo stesso fa emergere la totale finalizza-zione del Precursore al Salvatore. La frase fi-nale: “E davvero la mano del Signore stavacon lui” (v. 66) e l’aggiunta del v. 80 sullacrescita mirabile del bambino evocano lestesse circostanze e realtà che si ripeterannoin modo pieno in Cristo Gesù. Giovanni ci sipresenta come vera icona di Cristo.

La seconda lettura riporta un brano deldiscorso tenuto da Paolo ad Antiochia. L’A-postolo sottolinea il ruolo di Precursore del

Messia che Giovanni ha saputo interpretarecon fedeltà: “Io non sono ciò che voi pensateche io sia! Ecco, viene dopo di me uno, alquale io non sono degno di sciogliere i san-dali”. Giovanni ha avuto l’umiltà e la saggez-za di sentirsi solo strumento in ordine a Cri-sto. Non ha preteso di attirare su di sé glisguardi degli uomini, ma si è preoccupatounicamente di orientarli verso il Cristo.Ognuno di noi nella storia ha un suo ruolo dacompiere, una sua missione da espletare.Ruolo e missione che non devono esserefraintesi o indebitamente esaltati.

Come ci ricorda il prefazio della messa,Giovanni non solo è stato eletto e consacrato“a preparare la via a Cristo Signore”, ma an-che ha indicato al mondo “l’Agnello del no-stro riscatto”. L’orazione dopo la comunioneriprende lo stesso tema quando afferma chela Chiesa, “nutrita alla cena dell’Agnello”, èinvitata a riconoscere “l’autore della sua ri-nascita, Cristo, che la parola del Precursoreannunziò presente in mezzo agli uomini”.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2007

Prima lettura: At 3,1-10Salmo responsoriale: dal Sal 18Seconda lettura: Gal 1,11-20Vangelo: Gv 21,15-19

Il salmo responsoriale è formato dai vv. 2-5 del Sal 18. San Paolo vede profetizzata inquesti versetti la missione evangelizzatricedella Chiesa: “La fede dipende dunque dallapredicazione e la predicazione a sua volta siattua per la parola di Cristo: Non hanno forseudito? Tutt’altro: per tutta la terra è corsa laloro voce, e fino ai confini del mondo le loro

parole” (Rm 10,17-18). Le letture bibliche egli altri testi della messa d’oggi esaltano l’ope-ra evangelizzatrice degli apostoli Pietro e Pao-lo. Così già l’antifona d’ingresso: “Pietro apo-stolo e Paolo dottore delle genti hanno inse-gnato a noi la tua legge, Signore”.

Le figure degli apostoli emergono nellaChiesa come garanzia di fedeltà alle origini.Al tempo stesso portano con sé, oltre al si-gnificato di riferimento legittimo alle origini,la carica missionaria, carismatica ed asceti-ca rimaste ad essi indissolubilmente legate.

SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI28 Giugno 2007Messa vespertina della vigiliaLa loro voce si è diffusa per tutta la terra

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Prima di indicare un titolo, il termine “apo-stolo” ha voluto esprimere una missione:quella dell’essere “inviati” con delle creden-ziali per annunciare il vangelo (cf. At 11,3;15,22). Gli apostoli hanno il compito di an-nunciare con autorità la buona novella dellasalvezza in Cristo Gesù. Da parte sua, laChiesa si autocomprende e si definisce come“apostolica” fondata, quindi, da Cristo sugliapostoli perché la rivelazione abbia ad esse-re trasmessa e mediata in tutto il mondo finoal suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.

Il racconto della guarigione dello storpiooperata da Pietro (prima lettura) mira ad evi-denziare la potenza “taumaturgica” della pro-fessione di fede in Gesù quale unico Salvatoredegli uomini. Nella seconda lettura, Paolo neldelineare la propria autobiografia descrive l’i-niziativa radicale di Dio nei suoi confrontimediante due riferimenti di vocazione profeti-ca: la chiamata del giovane Geremia (Ger 1,5)e quella del servo di Dio (Is 49,1). Elezione evocazione per un compito storico nel progettodi salvezza risalgono all’amore e alla volontàsovrana di Dio. Nel brano evangelico di Gio-vanni, la confessione di Pietro è da interpre-tarsi nel contesto di una riconferma del ruolospecifico del suo servizio pastorale. L’immagi-ne del pastore in Giovanni evoca soprattuttol’amore e la capacità di donarsi per il gregge:“il buon pastore dà la vita per le pecore” (Gv10,11). Proprio perché lo associa a sé nel ser-vizio pastorale, Gesù vuole da Pietro una con-ferma di amore: egli potrà essere pastore delgregge di Cristo, se avrà capacità di amare fi-no al dono della sua stessa vita.

Riprendendo l’immagine del salmo re-sponsoriale della messa (cf. anche Ap 21,1),possiamo considerare la Chiesa come il nuo-vo “firmamento” ove, mediante gli apostoli eil susseguirsi delle generazioni, corre l’an-nuncio della salvezza, opera delle “mani di

Dio”, e quindi sua gloria. Perciò ciascun cri-stiano, redento dal sangue di Cristo, fatto vo-ce di ogni creatura, deve essere nel firma-mento di Dio come una stella che insieme al-le altre costellazioni manifesta la gloria delSignore annunciando a tutti l’opera della re-denzione. Infatti, tutta la Chiesa è apostoli-ca, in quanto è “inviata” in tutto il mondo adannunciare la buona novella della salvezza.Il Vaticano II lo afferma nel Decreto Aposto-licam actuositatem sull’apostolato dei laici,quando dice che “la vocazione cristiana èper sua natura anche vocazione all’apostola-to” (n. 2), apostolato che la Chiesa esercitacertamente mediante tutti i suoi membri, inmodi però e con compiti diversi.

S. Pietro e S. Paolo

(Deesis), Scuola di

Mosca, sec, XVII

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2007

Prima lettura: At 12,1-11Salmo responsoriale: dal Sal 33Seconda lettura: 2Tm 4,6-8.17-18Vangelo: Mt 16,13-19

La Chiesa celebra e onora assieme nellostesso giorno i due santi apostoli Pietro ePaolo, che “Dio ha voluto unire in gioiosafraternità” (prefazio della messa). Due per-sonaggi molto diversi, ma ambedue spintidallo stesso amore per Cristo e la sua Chie-sa. Secondo sant’Agostino, il loro martirio è

segno diunità del-la Chiesa:“Un sologiorno èconsacratoalla festadei duea p o s t o l i .Ma an-c h ’ e s s ierano unacosa sola.B e n c h ésiano statimar t i r i z -zati ingiorni di-versi, era-no una co-sa sola.P i e t r oprecedet-te, Paoloseguì. Ce-l eb r i amop e r c i ò

questo giorno di festa, consacrato per noidal sangue degli apostoli” (Discorso lettonell’Ufficio delle letture). In questo giornocelebriamo il mistero della Chiesa, fondatasul sangue e sull’insegnamento degli apo-stoli (cf. l’orazione colletta)..

La prima lettura racconta che re Erodefece mettere in prigione Pietro per poi ucci-derlo appena passata la Pasqua. Ma Dio loliberò prodigiosamente in virtù della pre-ghiera incessante della comunità di Gerusa-lemme. Nella seconda lettura Paolo, ormai altramonto, fa il bilancio della sua vita e anchelui, nonostante le difficoltà trovate e le provesubite nell’adempimento della sua missioneapostolica, dichiara che il Signore gli è statovicino e, guardando al futuro, conclude: “ilSignore mi libererà da ogni male…” Perciònel salmo responsoriale proclamiamo: “Be-nedetto il Signore che libera i suoi amici”. Ilvangelo riporta la confessione di fede chePietro fa a nome di tutti gli apostoli: “Tu seiil Cristo, il Figlio del Dio vivente”, e la ri-sposta di Gesù: “Tu sei Pietro e su questapietra edificherò la mia Chiesa…” Il prefa-zio fa riferimento a questo passaggio quandodice che “Pietro per primo confessò la fedenel Cristo”, ma subito dopo aggiunge: “Paoloilluminò le profondità del mistero”. La fededi Pietro è illuminata dal mirabile magisterodi Paolo. Pietro e Paolo sono le colonne dellaTradizione cristiana. Pietro, la roccia sullaquale Cristo ha fondato la sua Chiesa; Paolo,“il maestro e dottore, che annunziò la salvez-za a tutte le genti” (prefazio).

Oltre al prefazio anche e le orazioni dellamessa delineano il significato ecclesiologico

SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI29 Giugno 2007Messa del giornoBenedetto il Signore che libera i suoi amici

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dei due apostoli. Il prefazio afferma che i san-ti Pietro e Paolo “con diversi doni hanno edi-ficato l’unica Chiesa”. E l’orazione dopo lacomunione contempla questa unica Chiesa al-la luce delle note che hanno caratterizzato l’i-deale della primitiva Chiesa gerosolimitana:perseveranza nella frazione del pane, nelladottrina degli apostoli, per formare nel vincolodella carità un cuor solo e un’anima sola. Iltesto fa riferimento a At 2,42 (e paralleli), chedescrive la vita della comunità primitiva comecomunione fraterna o koinonia, termine grecoche definisce la comunione di fede con Dio ocon Cristo e l’unione profonda tra i credentiche si esprime e si attua nella fede comune,nell’esperienza eucaristica e nella partecipa-zione spontanea dei beni. Questa comunionedei beni esprime tuttavia una realtà più

profonda: la comunione dei cuori e delle ani-me. L’immagine della comunità delle originisarà in seguito per la Chiesa di tutti i tempil’ideale a cui tendere.

La festa degli apostoli Pietro e Paolo ciricorda che la Chiesa è un mistero di comu-nione. Possiamo quindi affermare che lamissione primaria della Chiesa è quella diessere segno di comunione nel mondo. Il cri-stiano deve avere un cuore grande, sgombrodi pregiudizi, un cuore pulito e trasparente,pronto all’incontro e al servizio. “La Chiesa èfamiglia dei figli di Dio, nella quale siamotutti fratelli […] essa si accresce nel misticoscambio di tutto ciò che ciascuno è e compienella Chiesa” (CEI, Comunione e Comunità,n. 19).

DOMENICA XIII DEL TEMPO ORDINARIO (C)1 Luglio 2007 Sei tu, Signore, il mio unico bene

Prima lettura: 1Re 19,16b.19-21Salmo responsoriale: dal Sal 15Seconda lettura: Gal 5,1.13-18Vangelo: Lc 9,51-62

Il cuore del Sal 15 sono le parole che civengono proposte nella loro sostanza dallostesso ritornello del salmo responsoriale: “Seitu, Signore, il mio unico bene”. Sembra disentire già le parole di santa Teresa d’Avila:“Nulla manca a chi possiede Dio: Dio solo glibasta!”. Animato da questa fiducia, l’autoredel salmo osa lanciare anche una sfida allapaura suprema dell’uomo, quella della morte.Da un lato egli vede il fluire inesorabile deigiorni verso la tomba, ma dall’altro egli intui-sce che il Dio della vita non può permettereche il suo fedele piombi nel nulla o nel sog-giorno spettrale dei morti. Soltanto nel Signo-

re possiamo trovare la fonte della gioia, dellapace e la promessa sicura di una vita peren-ne, al di là della morte. Chi sceglie Dio nonrimane deluso. Ce lo ricorda il messaggiodella presente domenica, che è un invito aseguire il Signore Gesù, a fare di lui l’unicopunto di riferimento della nostra vita.

La prima lettura racconta la vocazione diEliseo. La chiamata giunge ad Eliseo nell’or-dinario della vita quotidiana: mentre Eliseoarava il campo, Elia, “passandogli vicino, gligettò addosso il suo mantello”. Il mantello èsegno di colui che lo indossa, prolungamentodella sua personalità. Nel caso di Eliseo, laconsegna del mantello significa la trasmis-sione del carisma profetico. Ma non è il sem-plice mantello a fare il profeta. Dio attendela risposta di Eliseo, il quale lascia i suoi

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buoi e corre dietro Elia. Sulla stessa lun-ghezza d’onda si pone il brano evangelico,soprattutto nella sua seconda parte. San Lu-ca racconta di tre che vogliono seguire Gesùe diventare suoi discepoli. Che significa se-guire Gesù, diventare suoi discepoli? E’ lostesso Gesù a spiegarlo e a indicarci le con-dizioni per seguirlo. Al primo che si avvicinaa lui con volontà di seguirlo, Gesù risponde:“Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli delcielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo nonha dove posare il capo”. Seguire Gesù signi-fica distacco dalle cose e dagli appoggi uma-ni e materiali. E’ necessaria poi la prontezzae l’abbandono del passato, come ricorda ilSignore al secondo che intende seguirlo af-fermando al tempo stesso che prima vuoleandare a seppellire suo padre. Finalmente,chi sceglie il Cristo lo fa definitivamente, persempre. Sul cammino di colui che diventadiscepolo di Gesù c’è una chiamata chespezza i legami con il passato e traccia unnuovo e definitivo percorso per il futuro.Possiamo constatare come Gesù sia più esi-gente che Elia. Eliseo ha il tempo di andarea salutare i familiari e allestire un banchettodi commiato da quelli del suo clan; il distac-co è quindi progressivo. Gesù invece vuoleuna risposta immediata e senza ripensamentidi nessun genere. Con la venuta del Messia,

non si è più nel tempo dell’attesa ma inquella del compimento.

Tutti, ciascuno nel proprio stato di vita,siamo chiamati a seguire Gesù. Ciò comportauna scelta radicale, che non si addice a for-me di compromesso, o ad esigenze paralleleo contrarie al vigore della proposta che civiene fatta. Seguire Gesù significa collocarloal primo posto tra i nostri interessi, primaancora dei vincoli di sangue, dei rapporti af-fettivi (cf. Mt 10,37). Ma seguire Gesù signi-fica soprattutto avere la certezza che, oltre ilcammino pietroso, vi è la felicità della vitavera: “chi segue me avrà la luce della vita”(Gv 8,12: canto al vangelo). La risposta allachiamata la diamo ogni giorno, sempre checerchiamo di essere fedeli al vangelo. E’ unarisposta che si dà nella gioia libera e totaledell’amore: nella seconda lettura, Paolo diceche “Cristo ci ha liberati perché restassimoliberi”. La libertà non si conquista, è un do-no che viene dall’alto, ma è altrettanto unimpegno concreto. Il discepolo di Gesù è unuomo libero che aderisce a Dio attraverso loSpirito con tutto il suo cuore e la sua anima.Solo chi segue il dinamismo dello Spirito èlibero, perché attingendo alla fonte profondadell’amore, vive in armonia con se stesso,con gli altri e con Dio.

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Prima lettura: Is 66,10-14cSalmo responsoriale: dal Sal 65Seconda lettura: Gal 6,14-18Vangelo: Lc 10,1-12.17-20

Con ampio respiro l’orante, autore del Sal65, invita tutta la terra a inneggiare alla glo-

ria del nome di Dio. E’ il tono festoso propriodegli inni. Dio è il signore di tutta la terra, èil creatore del mondo. E’ giusto dunque chetutta la terra si unisca nella sua lode. I moti-vi sono tanti. Si pensi solo alle sue opere infavore degli uomini, e alle dimostrazioni delsuo potere. Ecco quindi che da tutta la terra

DOMENICA XIV DEL TEMPO ORDINARIO (C)8 Luglio 2007 Grandi sono le opere del Signore

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sale una sinfonia di lode verso Dio che agi-sce nel cosmo e nella storia, in particolareattraverso quel grande evento emblematicoche è stato la liberazione del suo popolo dal-la schiavitù dell’Egitto. La tradizione dellaChiesa attribuisce questo canto di ringrazia-mento a Cristo, che dopo essere stato messoalla prova e passato al crogiolo come l’argen-to, è stato glorificato. Pure noi nel battesimosiamo passati dalla morte alla vita nuova, equindi glorifichiamo Dio dicendo: “Grandisono le opere del Signore”. Sulla stessa li-nea, nella colletta della messa chiediamo alSignore: “donaci una rinnovata gioia pasqua-le”.

Le tre letture parlano della salvezza, dellarealtà nuova che Dio ha operato in noi. Nelvangelo vediamo che Gesù invia i suoi settan-tadue discepoli (tanti quanti sono le nazionipagane secondo Gn 10) in missione di “pace”,a “curare i malati” e ad annunciare: “E’ vici-no a voi il regno di Dio”. Che cos’è il regno diDio? Per rispondere a questa domanda, ini-ziamo dalla prima lettura, la quale riporta unbrano profetico pronunciato in un momentodifficile per la storia d’Israele: dopo l’esilio diBabilonia, la situazione di coloro che sono ri-tornati a Gerusalemme è disperata; pratica-mente c’è penuria di tutto. E’ il momento im-pegnativo della ricostruzione. In questo conte-sto, il profeta annuncia un futuro di gioia e dibenessere. Quale rapporto ha tutto ciò col re-gno di Dio? Quando la Bibbia parla del regnodi Dio usa un concetto molto generale. Essocomprende anche l’appagamento di quei desi-deri umani che sorgono nei cuori degli uominie nutrono le speranze dei popoli specie neimomenti di prova. Così si oppongono al regnodi Dio la malattia, la morte, la povertà oppri-

mente, la fatica, l’oppressione politica e socia-le, la guerra. Possiamo quindi affermare chequando il profeta consola i rimpatriati da Ba-bilonia e annuncia un futuro migliore, la pro-spettiva di fondo è quella del regno di Dio,quella situazione ideale di salvezza che l’uo-mo spera di poter raggiungere. Ciò che è tipi-camente cristiano del regno di Dio è che ilraggiungimento di un tale traguardo non èsperato solo in quanto frutto dell’opera uma-na, ma come dono che Dio ha promesso defi-nitivamente per mezzo di Cristo.

Nel brano della seconda lettura, san Pao-lo annunzia al centro del suo vangelo la cro-ce di Cristo, sorgente dell’essere “nuovacreatura”. Il regno di Dio, di cui stiamo par-lando, si realizza anche attraverso la via del-la croce. La croce assume in sé tutta la vio-lenza dell’uomo, anzi essa è il risultato tene-broso dell’azione stessa di satana; ma nellostesso tempo la croce afferma la vittoria defi-nitiva dell’amore di Dio sulle tenebre delpeccato e della morte. E’ solo la conformitàesistenziale alla croce, che ci unisce intima-mente al Cristo glorioso.

Il messaggio di questa domenica lo si puòriassumere in tre immagini: la gioia chescende su Gerusalemme, di cui parla il pro-feta, e anche la gioia che, secondo il vangelo,riempie il cuore dei settantadue discepoli alritorno della missione; la cura dei malati co-me segno del regno di Dio che è vicino; lacroce che ci rende partecipi della passione diCristo e non veniamo meno perché sappiamodi essere partecipi anche della sua forza edella sua risurrezione. Tre immagini dellasalvezza, della realtà nuova, della nuovacreatura, del regno di Dio.

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Prima lettura: Dt 30,10-14Salmo responsoriale: dal Sal 18Seconda lettura: Col 1,15-20Vangelo: Lc 10,25-37

Il Sal 18 celebra la Sapienza di Dio, cheordina e regge l’universo e dirige e vivifica lospirito e il cuore dell’uomo. La seconda partedell’inno, da cui è tratto l’odierno salmo re-sponsoriale, è un testo didattico sulla legge.L’autore tesse l’elogio della legge divina: es-sa è pura, radiosa ed eterna; rinfranca l’ani-ma e dona saggezza ai semplici. La leggefondamentale dell’alleanza, cioè il Decalogo,è detta semplicemente nella Bibbia “le dieciparole” (Es 34,28; Dt 4,13; 10,4). All’uomoche cerca il perché del mondo, della vita,Dio offre la sua Parola. E’ Parola viva, sicu-ra, indirizzo per la nostra esistenza; Paroladivenuta persona, uno di noi, Gesù il nostroSalvatore. In Cristo Gesù la legge è stataadempiuta una volta per tutte (cf. Mt 5,17).Perciò per il cristiano l’osservanza della leg-ge si risolve in un rapporto personale d’amo-re con Cristo e con i fratelli.

Il tema del comandamento dell’amore vi-cendevole di cui parla il brano evangelico civiene proposto più volte lungo l’anno liturgi-co. Si tratta della legge fondamentale del cre-dente, quella legge di cui Mosè tesse le lodinella la prima lettura. Alla domanda del dot-tore della legge su che cosa debba egli fareper ereditare la vita eterna, Gesù non rispon-de ma rimanda l’interlocutore a ciò che stascritto nella Legge di Mosè e che lo stessodottore della legge riassume bene così:“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuocuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua

forza e con tutta la tua mente e il prossimotuo come te stesso”. Partendo dall’amore disé e da quello di Dio, diventa autentico l’a-more per l’altro. Diversamente, c’è il pericolodi amare il prossimo, presentandogli il conto.La novità però dell’insegnamento di Gesù stanella risposta alla seconda domanda formula-ta dallo scriba: “chi è il mio prossimo?”, que-stione dibattuta dal rabbinismo. A questa do-manda Gesù risponde con la splendida para-bola del Samaritano. Con questa parabolaGesù invita a superare ogni diatriba teoricaed evasiva sul contenuto reale da dare al ter-mine “prossimo”: ogni uomo che si trova inbisogno, sia esso amico o nemico, è “prossi-mo” a tutti gli altri uomini che, in qualsiasimaniera, vengono in contatto con lui.

Cosa fa il Samaritano? Prima di tutto siferma perché si muove a compassione, chequi è vero amore. Per chi ha sempre troppoda fare, preso dai propri interessi, fermarsiper interessi altrui significa accorgersi cheesiste un altro, che soffre e che è nel biso-gno. In secondo luogo, si fa vicino all’uomosofferente, non solo fisicamente ma anchecon una vicinanza affettiva: se i cuori sonodistanti, la vicinanza fisica non serve. In ter-zo luogo, si prodiga nei primi aiuti, cioè sirimbocca le maniche e offre un aiuto concre-to. Finalmente, il buon Samaritano si assicu-ra che il suo assistito possa ricuperarsi pie-namente dalla disavventura. Non si accon-tenta di fare una buona azione, ma si preoc-cupa dell’individuo incontrato per caso affin-ché questi possa ritornare alla vita normale.

Nella seconda lettura si parla di Cristo“immagine del Dio invisibile”, espressione

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DOMENICA XV DEL TEMPO ORDINARIO (C)15 Luglio 2007 Chi è il mio prossimo?

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perfetta del volto del Padre, e perciò anchedel suo amore infinito. Nel malcapitato i Pa-dri vedono l’umanità peccatrice e nel buonSamaritano vedono il Cristo, che su taleumanità si china per prendersene cura. InCristo Dio si è fatto “vicino” (cf. Rm 10,5-10) e in lui e con lui è possibile amare il

prossimo. Nell’eucaristia “l’agape di Dio vie-ne a noi corporalmente per continuare il suooperare in noi e attraverso di noi. Solo a par-tire da questo fondamento cristologico-sacra-mentale si può capire correttamente l’inse-gnamento di Gesù sull’amore” (BenedettoXVI, Deus caritas est, n. 14).

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Prima lettura: Gn 18,1-10aSalmo responsoriale: dal Sal 14Seconda lettura: Col 1,24-28Vangelo: Lc 10,38-42

Il salmo responsoriale inizia con una do-manda: “Signore, chi abiterà nella tua ten-da?”. Possiamo dire in altre parole che l’oran-te si interroga su chi sia degno di essere ac-colto nell’intimità del Signore. Dopo aver for-mulato questa domanda, il testo del salmo de-scrive una sorta di itinerario spirituale ad usodi colui che intende appunto essere accoltonell’intimità del Signore e fare esperienza diDio nella sua vita. Gli antichi rabbini consi-deravano questo salmo una specie di compen-dio della legge data da Dio ad Israele. Soltan-to un cuore semplice, sincero, amante dellagiustizia, libero da ogni cattiveria riesce apercepire la presenza di Dio nelle vicende diogni giorno. Soltanto un cuore trasparente,umile e mite, capace di ascoltare la parola delSignore si rende degno di abitare in eternonella casa del Signore. Le tre letture odierneci invitano a passare dall’ospitalità che il Si-gnore concede a noi, all’ospitalità che noi sia-mo chiamati ad offrire a Dio.

Il racconto proposto dal vangelo d’oggi èassai noto a tutti. Ci si potrebbe soffermare

subito su Marta e Maria, spesso viste arbitra-riamente come simboli contrapposti di unavita data all’attività, al servizio, alle opere,come quella di Marta, e di una vita data in-vece alla preghiera, alla contemplazione, co-me quella di Maria. E’ però più opportunodare uno sguardo anche alle altre letture bi-bliche, in particolare alla prima. Vediamo in-fatti che sia la prima lettura che il raccontoevangelico parlano dell’ospitalità: quella of-ferta da Abramo a tre personaggi misteriosiarrivati a casa sua, e quella offerta dalle so-relle Marta e Maria a Gesù. Possiamo quindiaffermare che il tema centrale di questa do-menica è l’ospitalità: sia Abramo che le so-relle di Lazzaro vengono presentati comemodelli di accoglienza dell’ospite. Nei dueepisodi quest’ospite è Dio stesso. Possiamoperciò circoscrivere l’argomento e dire che sitratta di dare ospitalità a Dio. Non di rado lanostra vita appare frammentata, vuota, in ba-lia degli eventi. Dio può dare senso e armo-nia alla nostra esistenza. E’ necessario peròmettersi in atteggiamento di ascolto della suaparola, come Maria.

Le due sorelle rappresentano due modidiversi, non in contrasto ma complementari,di accogliere il Signore. Non si tratta diproclamare la superiorità della contempla-

DOMENICA XVI DEL TEMPO ORDINARIO (C)22 Luglio 2007 I puri di cuore abiteranno nella casa del Signore

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zione sull’azione ma di richiamare sia Mar-ta che Maria all’esigenza dell’ascolto dellaparola di Dio che deve precedere, alimenta-re e sostenere ogni scelta religiosa e umanadel discepolo di Gesù. Perciò Maria è raffi-gurata nell’atteggiamento del discepolo da-vanti al maestro, “ai piedi di Gesù” mentre

ascolta la sua parola. Abbiamo bisogno dinutrire in noi un atteggiamento di ascoltodella parola di Dio, sia che la nostra vita siacome quella di Marta, indaffarata in un la-voro che assorbe, o come quella di Maria,soli nell’interno di una casa quotidiana esolitaria. Nella seconda lettura, Paolo, cheha ricevuto da Dio la missione di “realizza-re la sua parola”, ci ricorda che l’ascolto dicui parliamo porta all’impegno nel quotidia-no. Anche il canto al vangelo parla di “co-loro che custodiscono la parola di Dio” e“portano frutto con perseveranza” (cf. Lc8,15). E nella colletta alternativa l’assem-blea chiede di poter ascoltare la parola delFiglio per poi accogliere e servire il Figliostesso nei fratelli. Non ha senso la contrap-posizione tra ascoltare e darsi da fare, tracontemplare e agire. Si tratta di due mo-menti che si compenetrano a vicenda. L’a-scolto della Parola offre le motivazioniprofonde che danno senso al servizio. Eccoquindi che ci viene offerta una linea per da-re unità alla vita: l’ascolto. Tutti abbiamobisogno di ascoltare la parola del Signore,che è capace di avvolgere di luce nuova ilnostro lavoro, il nostro riposo, le nostrepreoccupazioni, le nostre lotte quotidiane.

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Gesù, in casa di Marta e Maria

DOMENICA XVII DEL TEMPO ORDINARIO (C)29 Luglio 2007 Il povero invoca e Dio lo ascolta

Prima lettura: Gn 18,20-21.23-32Salmo responsoriale: Sal 137Seconda lettura: Col 2,12-14Vangelo: Lc 11,1-13

Nel Sal 137, l’orante rende grazie a Dioal cospetto dei suoi angeli, rivolto verso ilsuo tempio, perché Egli ha ascoltato le paro-le della sua creatura. Tre sono i motivi per

cui Dio non resta muto e indifferente davantial dolore dell’uomo. Innanzitutto perché Egliè fedele alla alleanza stipulata che lo vincolaal giusto. In secondo luogo perché il Signoresceglie sempre l’oppresso e il povero e rifiutail superbo e il potente. Finalmente perchéEgli è costante nel portare a termine ciò cheha iniziato: Dio non crea l’uomo per abban-donarlo ai bordi di una strada, ma lo segue

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sempre con amore paterno e premuroso, por-tando a termine l’opera che ha intrapreso.Sia il ritornello del salmo (“Il povero invocae Dio lo ascolta”) sia il canto al vangelo(“Chiedete e vi sarà dato”) ci invitano a ri-flettere sulla preghiera, tema che unifica laprima e terza lettura di questa domenica.

La prima lettura ci parla della supplicacoraggiosa e insistente di Abramo che si ri-volge al Signore perché conceda misericor-dia alle città colpevoli di Sodoma e Gomorra,anche solo per la presenza di alcuni giusti.Purtroppo però questi giusti non ci sono. Inogni modo, il testo biblico sottolinea tutto ilvalore di intercessione di questa preghieradel patriarca, “nostro padre nella fede”; nel-lo stesso tempo sta pure a dire che il Signorericonosce ai “giusti” una vera funzione “sal-vifica”. San Luca, nel brano evangelico ciracconta che un giorno Gesù si trovava in unluogo a pregare e, quando ebbe finito, unodei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci apregare”. Gesù risponde con la preghiera delPadre nostro e aggiunge due brevi paraboleche descrivono l’atteggiamento di fiduciosaperseveranza con cui i discepoli devono ri-volgersi a Dio nella preghiera.

Notiamo anzitutto che la domanda deldiscepolo a Gesù è provocata dall’esempiodello stesso Gesù. I discepoli, come ogniebreo, sapevano pregare, e tuttavia intui-vano che c’era qualcosa di diverso nellapreghiera di Gesù, un modo nuovo di rivol-gersi a Dio. La novità della preghiera cri-stiana consiste in un nuovo rapporto conDio, che viene invocato semplicemente co-me “Padre” in modo familiare: Abbà, caro

Padre. L’audacia di Abramo è superatadall’audacia di Gesù e dei suoi discepoliche nel suo nome dicono: Abbà. Le paroledi san Paolo (cf. seconda lettura) sembranospiegarci il perché Dio va invocato comePadre: attraverso la morte di Cristo, Figliodi Dio, i nostri peccati sono stati perdona-ti, il “debito” con Dio è stato “pagato”; or-mai possiamo avere con lui rapporti filiali.Un’antica tradizione raccomanda di recita-re il Padre nostro “tre volte al giorno” (Di-daché 8,3), mattino, mezzogiorno e sera,come preghiera fondamentale che conservain noi l’atteggiamento filiale verso Dio.Sintesi di tutto il vangelo, come affermaTertulliano, il Padre nostro più che unaformula da recitare, esprime un atteggia-mento da interiorizzare.

La preghiera si può compiere più facil-mente durante il tempo libero delle vacan-ze. Non è però una semplice attività daeseguire accanto ad altre. Nella preghieradiventiamo noi stessi nel modo più auten-tico, ci ritroviamo senza maschera, espri-miamo il nostro nucleo più intimo. Dopo larivelazione del mistero della preghiera fi-liale di Cristo, per noi cristiani questo nu-cleo più intimo è il nostro essere “figli”,con un atteggiamento di piena sottomissio-ne e di altrettanto piena fiducia in Dio, no-stro Padre. Pregare non significa cercaredi imporre a Dio la nostra volontà, machiedergli di renderci disponibili alla sua,al suo progetto di salvezza (“venga il tuoregno”). Troppo spesso le nostre preghiereguardano invece l’immediato, senza incro-ciare lo sguardo di Colui che sa in cosaconsista la nostra felicità.

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Preg

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CANTO:

Rit. Noi pietre vive per costruire un edificio santo,noi graditi a Dio lo saremo stringendoci ancora più forte a Gesù…Lui pietra viva, pietra angolare scelta e preziosa,per Dio, uniti a tutti.siamo pietre che sempre sorridono,pietre che insieme camminano,pietre che si danno la mano!!!

Eravamo dei sassi,uno contro l’altro senza maivolerci bene. Ma lo Spirito Santoci ha plasmati e formati ad immagine di Gesù! Rit.

Eravamo divisi,pietre spigolose buone percostruire barriere! Ma l’Amore di Dioha distrutto il peccato e ci ha dato la libertà ! Rit.

Eravamo ammassati,gente senza volto che non sapiù dove andare. Ma, per grazia di Dionella Chiesa ciascuno ha un posto per lavorar! Rit.

P. Nel nome del Padre…La grazia e la pace nella santa Chiesa di Dio sia con tutti voi.

A. E con il tuo spirito.

P. O Dio, che con pietre vive e scelte prepari il tempio della tua gloria, effondisulla Chiesa il tuo Santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti che for-merà la Gerusalemme del cielo. Per il nostro Signore.

Veglia di preghieranell’anniversario della dedicazione

della ChiesaRita Di Pasquale

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Preg

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o I LETTURA: I Re 8,10-13; 22-29; Dio prende possesso del suo tempio.

Preghiera personale di Salomone.

SALMO 23

Rit. Apritevi, porte antiche: entri il Re della gloria.

Del Signore è la terra e quanto contiene,l’universo e i suoi abitanti.È lui che l’ha fondata sui mari,e sui fiumi l’ha stabilita. Rit.

Chi salirà il monte del Signore,chi starà nel suo luogo santo? Rit.

Chi ha mani innocenti e cuore puro,chi non pronunzia menzogna,chi non giura a danno del suo prossimo. Rit.

Egli otterrà benedizione dal Signore,giustizia da Dio sua salvezza.Ecco la generazione che lo cerca,che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. Rit.

Sollevate, porte, i vostri frontali,alzatevi, porte antiche,ed entri il re della gloria. Rit.

Chi è questo re della gloria?Il Signore forte e potente,il Signore potente in battaglia. Rit.

Sollevate, porte, i vostri frontali,alzatevi, porte antiche,ed entri il re della gloria. Rit.

Chi è questo re della gloria?Il Signore degli eserciti è il re della gloria. Rit.

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Preg

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oII LETTURA: I Pietro 2,1-10; Il sacerdozio nuovo.

P. Cristo è la vita: per questo la Chiesa è madre dei viventi, e sullo stesso GesùCristo, pietra d’angolo, Dio l’ha edificata, e in lui tutta la costruzione, bencompaginata, cresce sino a formare un tempio. Venga Dio a formare la Don-na: la prima fu compagna di Adamo; la seconda è collaboratrice di Cristo:non che Cristo cerchi un aiuto, siamo noi a desiderare e a cercare la sua gra-zia tramite la Chiesa. Essa è tuttora edificata e formata; tuttora come donnaè creata e plasmata. Vieni, Signore Dio ad animare questa donna.

III LETTURA: Dalle Omelie su Giosuè di Nun di Origene, sacerdote.

Noi tutti che crediamo in Cristo siamo chiamati pietre vive, secondo l’affermazionedella Scrittura: Voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificiospirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, permezzo di Gesù Cristo (1Pt 2,5 ). Ma come per le pietre materiali vediamo che si pon-gono a fondamento le più solide e le più resistenti perché si possa affidare ad esse eporre su di esse il peso di tutto l’edificio, così avviene anche per le pietre vive: alcunesono poste nelle fondamenta dell’edificio spirituale. Quali sono queste pietre postenelle fondamenta? Gli apostoli e i profeti. Così infatti insegna Paolo: Edificati sopra ilfondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù ( Ef 2,20 ). O ascoltatore, per renderti più atto alla costruzio-ne di quest’edificio, per ritrovarti, come pietra, più vicino al fondamento, sappiche Cristo stesso è il fondamento dell’edificio che stiamo descrivendo. Così in-fatti si esprime l’apostolo Paolo: Nessuno può porre un fondamento diverso daquello che già vi si trova, che è Gesù Cristo ( 1 Cor 3,11 ). Beati dunque coloroche costruiscono edifici religiosi e santo sopra un così nobile fondamento. Manell’edificio della Chiesa deve esistere anche l’altare. Perciò io penso che chiun-que di voi, pietre vive, è atto e pronto all’orazione e ad offrire suppliche a Diogiorno e notte, appartiene a coloro con i quali Gesù edifica l’altare. Ma vediquali lodi vengono tributate alle pietre dell’altare: Mosé, il legislatore, ordinò chel’altare fosse costruito di pietre integre, non tagliate da scalpello. Chi sono que-ste pietre intatte? Probabilmente queste pietre integre e intatte sono i santi apo-stoli, formanti insieme un unico altare per la loro unanimità e concordia. Si nar-ra, infatti, che tutti insieme pregando e aprendo la loro bocca abbiano detto: Tu,Signore, che conosci il cuore di tutti ( At 1,24 ). Proprio essi, dunque, che pote-rono pregare unanimi, con un’unica voce e un solo spirito, sono degni di forma-re tutti insieme l’unico altare, sul quale Gesù offre il sacrificio al Padre. Ma an-che noi adoperiamoci per avere tutti un unico parlare, un unico sentire, nientefacendo per contesa né per vana gloria, ma fermi nello stesso sentimento e nellastessa convinzione, perché possiamo anche noi diventare pietre atte all’altare.

PAUSA DI SILENZIO.

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o IV LETTURA: I Re 8,30-40; Preghiera per il popolo.

SALMO 83

Rit. Lode a te, Signore, che dimori in mezzo a noi.

Quanto sono amabili le tue dimore,Signore degli eserciti!L’anima mia languiscee brama gli atri del Signore. Rit.

Il mio cuore e la mia carneesultano nel Dio vivente. Rit.

Anche il passero trova la casa,la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli,presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,mio re e mio Dio. Rit.

Beato chi abita la tua casa:sempre canta le tue lodi!Beato chi trova in te la sua forzaE decide nel suo cuore il santo viaggio. Rit.

Passando per la valle del piantola cambia in una sorgente,anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni. Rit.

Cresce lungo il cammino il suo vigore,finché compare davanti a Dio in Sion. Rit.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe. Vedi, Dio, nostro scudo,guarda il volto del tuo consacrato. Rit.

Per me un giorno nei tuoi atriE più che mille altrove,stare sulla soglia della casa del mio Dioè meglio che abitare nelle tende degli empi. Rit.

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Preg

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oPoiché sole e scudo è il Signore Dio;il Signore concede grazia e gloria,non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine. Rit.

Signore degli eserciti,beato l’uomo che in te confida. Rit.

V LETTURA: Apocalisse 21,9-27; Visione della celeste Gerusalemme.

P. Signore, ti preghiamo: veglia ogni giorno, come capo supremo, sopra questacasa e sopra questo altare a Te dedicati; veglia su queste mistiche pietre, conciascuna delle quali ti viene consacrato un tempio vivente. Accogli, con la tuadivina misericordia, le suppliche che i tuoi servi qui ti innalzano. Salga a tecome soave profumo ogni sacrificio che ti sarà offerto in questo tempio confede e con devoto fervore.

VI LETTURA: Dai Discorsi di sant’Agostino, vescovo.

La dedicazione della casa di preghiera è la festa della nostra comunità. Questoedificio è divenuto la casa del nostro culto. Ma noi stessi siamo casa di Dio. Ve-niamo costruiti in questo mondo e saremo dedicati solennemente alla fine deisecoli. La casa, o meglio la costruzione, richiede fatica. La dedicazione, invece,avviene nella gioia. Quello che qui avveniva mentre questa casa si innalzava, sirinnova quando si radunano i credenti in Cristo. Mediante la fede, infatti, diven-gono materiale disponibile per la costruzione come quando gli alberi e le pietrevengono tagliati dai boschi e dai monti. Quando vengono catechizzati, battezza-ti, formati sono come sgrossati, squadrati, levigati fra le mani degli artigiani edei costruttori. Non diventano tuttavia casa di Dio se non quando sono uniti in-sieme dalla carità. Questi legni e queste pietre se non aderissero tra loro con uncerto ordine, se non si connettessero armonicamente, se collegandosi a vicendain un certo modo non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa. Infattiquando vedi in qualche costruzione pietre e legni ben connessi tu entri sicuro,non hai paura d’un crollo. Volendo dunque Cristo Signore entrare ed abitare innoi, diceva, quasi nell’atto di costruire: Vi do un comandamento nuovo: che viamiate gli uni gli altri ( Gv 13,34 ). Ha detto: Vi do un comandamento nuovo.Eravate infatti invecchiati, non mi costruivate ancora una casa, giacevate nellevostre macerie. Perciò, per liberarvi dal disfacimento delle vostre macerie, ama-tevi gli uni gli altri. Consideri dunque la vostra carità che questa casa è ancora incostruzione su tutta la terra, come è stato predetto e promesso. Quando si stavaedificando il tempio dopo l’esilio, com’è scritto in un salmo, si diceva: Cantate al

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o Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra ( cfr. Sal 149,1 ). Quelche qui è detto canto nuovo, è chiamato dal Signore comandamento nuovo. Qual èinfatti la caratteristica del canto nuovo se non l’amore nuovo? Cantare è di chi ama.La voce di questo cantore è fervore di santo amore. Dunque, quanto qui vediamofatto materialmente nei muri, sia fatto spiritualmente nelle anime; e ciò che vediamocompiuto nelle pietre e nei legni, si compia nei vostri corpi per opera della grazia diDio. Anzitutto perciò ringraziamo il Signore nostro Dio, da cui viene ogni buon rega-lo e ogni dono perfetto; rendiamo lode alla sua bontà con tutto l’ardore del cuore,perché ha eccitato l’animo dei suoi fedeli alla costruzione di questa casa di orazione,ne ha stimolato l’amore. Ha prestato l’aiuto; ha ispirato a volere coloro che ancoranon volevano, ha aiutato gli sforzi della buona volontà perché passassero all’azione;per questo è Dio stesso che ha cominciato e portato a termine tutto questo, egli chesuscita nei suoi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni ( Fil 2,13 ).

PAUSA DI SILENZIO

CANTO AL VANGELO

ALLELUIA…

I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.

ALLELUIA…

VANGELO: Giovanni 4,19-24.

OMELIA

PROFESSIONE DI FEDE

INTERCESSIONI

P. Innalziamo la nostra preghiera al Cristo Salvatore, che ha dato la sua vita perriunire in una sola famiglia tutti i figli di Dio dispersi:

Ricordati della tua Chiesa, Signore.

Signore che hai edificato la tua casa sulla roccia,confermaci nella fede e nella speranza.

Signore Gesù, che dal tuo petto squarciato hai fatto scaturire sangue e acqua,purifica e rinnova la tua Chiesa con i sacramenti della nuova alleanza.

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oSignore Gesù, presente in mezzo a coloro che si riuniscono nel tuo nome,esaudisci la preghiera unanime della tua Chiesa.

Signore Gesù, che insieme al Padre e allo Spirito Santo stabilisci la tua dimora incoloro che ti amano,rendi perfetta la tua Chiesa nell’esperienza del tuo amore.

Signore Gesù, che non respingi coloro che vengono a te,accogli tutti i defunti nella casa del Padre.

A. Padre nostro.

P. Dio, che hai voluto chiamare tua Chiesa la moltitudine dei credenti, fa’ che il popolo radunato nel tuo nome ti adori, ti ami, ti segua, e sotto la tua guidagiunga ai beni da te promessi. Per Cristo nostro Signore.

A. Amen.

(Durante la veglia sono accese le candele sui luoghi di unzione fatte sulle paretinel giorno della dedicazione)

Il Card. Camillo Ruini unge con il crisma l’altare di una nuova chiesa

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orreva l’anno del Signore1263 quando il sacerdotePietro da Praga, dubbioso cir-

ca la realtà della transustanziazioneeucaristica, nella chiesa di Santa Cristi-na in Bolsena vide l’ostia da lui stessoconsacrata stillare sangue sul corpora-le. L’anno seguente, e precisamentel’11 agosto 1264, papa Urbano IV isti-tuì la festa del Corpus Domini con labolla Transiturus. Fu in quell’occasioneche egli commissionò al frate domeni-cano Tommaso d’Aquino, teologo dichiara fama, la composizione di alcuniinni destinati alla liturgia, con l’incaricodi ribadire attraverso l’espressionepoetica l’autentica dottrina eucaristica.Nacquero così – stando alla tradizione– cinque tra i più famosi testi della fe-de cattolica: la lunga sequenza LaudaSion e i famosissimi Adoro te devote,Pange lingua, Sacris sollemnis e Ver-bum supernum. L’Adoro te devote ègià stato commentato in queste pagi-ne1, e su di esso non ci soffermiamo.Gli ultimi tre testi, ancora conservatinella liturgia oraria della solennità, so-no previsti rispettivamente per i vespri,l’ufficio delle letture e le lodi mattuti-ne. A ragion veduta sono pagine estre-mamente popolari, che tutti conosco-no almeno superficialmente anche nel-l’originale latino, in particolare le ulti-me strofe, che iniziano con le paroleTantum ergo, Panis angelicus e O salu-taris hostia. È verosimile che il papa

Benedetto XVI abbia pensato anche aqueste composizioni, quando ha chie-sto che «siano recitate in latino le pre-ghiere più note della tradizione dellachiesa ed eventualmente eseguiti braniin canto gregoriano» (Esortazione apo-stolica Sacramentum caritatis, n. 62).Del resto, non solo le melodie grego-riane tradizionali sono meravigliosa-mente suggestive, ma anche le innu-merevoli versioni musicali che questicomponimenti hanno conosciuto nelcorso dei secoli riflettono una tradizio-ne nobilissima e gloriosa: basterebbecitare il Panis angelicus di César Franck(1822-1890), la cui commovente eispirata melodia sarebbe riconosciutaanche da molti di coloro che ignoranoperfino il nome dell’autore. Sono dun-que pagine che ogni uomo vissuto inOccidente e consapevole della tradi-zione cattolica (a maggior ragione secristiano) dovrebbe conoscere e fre-quentare.

Ci soffermiamo più a lungo sul Lau-da Sion, la lunga sequenza che si èconservata, seppur in forma facoltati-va, prima della proclamazione del Van-gelo nella liturgia eucaristica della so-lennità. Ho scelto di limitare la mia ri-flessione a questo solo testo, sebbenea stretto rigore non faccia parte del-l’innodia oraria, al fine di non disper-dermi in troppi elementi. Del restol’eccezionale ricchezza di dottrina cheesso riassume merita bene uno specifi-

L’innodia del Corpus Dominidon Filippo Morlacchi

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co sforzo di approfondimento, senzaneppure l’illusione di poterne esaurirela spiegazione. Come sempre, la miatraduzione è di modestissimo valore

letterario ma strettamenteaderente all’originale, per in-vogliare alla lettura personale del testolatino.

Lauda Sion Salvatorem,lauda ducem et pastorem,in hymnis et canticis.Quantum potes, tantum aude:quia maior omni laude,nec laudare sufficis.

Laudis thema specialis,panis vivus et vitalishodie proponitur.Quem in sacrae mensa cenae,turbae fratrum duodenaedatum non ambigitur.

Sit laus plena, sit sonora,sit iucunda, sit decoramentis iubilatio.Dies enim solemnis agitur,in qua mensae prima recoliturhuius institutio.

In hac mensa novi Regis,novum Pascha novae legis,phase vetus terminat.Vetustatem novitas,umbram fugat veritas,noctem lux eliminat.

Quod in coena Christus gessit,faciendum hoc expressitin sui memoriam.Docti sacris institutis,panem, vinum in salutisconsecramus hostiam.Dogma datur christianis,quod in carnem transit panis,

Loda, o Sion, il Salvatore,loda la tua guida e il tuo pastore,con inni e cantici.Sii audace quanto ti è possibile:perché egli supera ogni lode,e non riuscirai mai lodarlo a sufficienza.

Il pane vivo che dà vita:questo il tema speciale della lodeche oggi viene proposto.Nella mensa della sacra cenaal gruppo fraterno dei dodiciveramente esso fu donato.

Sia piena e sonora la lode,sia lieto ed armoniosoil giubilo dello spirito.È infatti solenne questo giorno,in cui si celebra la primaistituzione di questa cena.

In questa mensa del nuovo Rec’è la nuova pasqua della nuova legge,l’antica economia ha termine.Il nuovo ordine fuga l’antico,la realtà disperde l’ombra,la luce elimina la notte.

Ciò che fece nella cena Cristo lo lasciò in sua memoriaaffinché lo facciamo anche noi.Istruiti dal suo santo insegnamento,consacriamo pane e vinonell’ostia di salvezza.Ai cristiani è donata una certezza,che il pane si converte in carne

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et vinum in sanguinem.Quod non capis, quod non vides,

animosa firmat fides,praeter rerum ordinem.

Sub diversis speciebus,signis tantum, et non rebus,latent res eximiae.Caro cibus, sanguis potus:manet tamen Christus totussub utraque specie.

A sumente non concisus,non confractus, non divisus:integer accipitur.Sumit unus, sumunt mille:quantum isti, tantum ille:nec sumptus consumitur.

Sumunt boni, sumunt mali:sorte tamen inaequali,vitae vel interitus.Mors est malis, vita bonis:vide paris sumptionisquam sit dispar exitus.

Fracto demum sacramento,ne vacilles, sed mementotantum esse sub fragmento,quantum toto tegitur.Nulla rei fit scissura:signi tantum fit fractura,qua nec status, nec staturasignati minuitur.

Ecce Panis Angelorum,factus cibus viatorum:vere panis filiorum,non mittendus canibus.In figuris praesignatur,cum Isaac immolatur,agnus Paschae deputatur,datur manna patribus.

e il vino in sangue.Non lo vedi e non comprendi,ma la fede ardente ti conferma,oltre la natura delle cose.

Sotto forme diverse,che son segni e non sostanza,si nascondono realtà sublimi.La carne si fa cibo, il sangue bevanda:ma Cristo rimane tuttoin ciascuna delle specie.

Chi ne mangia non lo spezza,non lo sbriciola né lo divide:(Cristo) è ricevuto intatto.Ne prende uno, ne prendono mille:ma tanto ne prendono questi, quanto quello,né è consumato da chi se ne ciba.

Si comunicano sia i buoni che i malvagi,la sorte però è ben diversa:dà vita o – al contrario – fa perire.È morte per i malvagi e vita per i buoni:vedi come la stessa comunioneproduca un effetto differente.

Nel momento in cui spezzi il sacramentonon temere, e tieni a menteche tanto ce n’è in un frammentoquanto se ne nasconde nell’intero.Non c’è nessuna scissione nella sostanza,solo il segno è spezzato:né l’identità né la grandezzadi Colui che è nascosto è diminuita.

Ecco il pane degli angeli,fatto cibo ai pellegrini:vero pane dei figli,non va dato ai cani.Prefigurato nei simboli,con Isacco fu immolato,considerato agnello pasquale,dato ai padri come manna.

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Bone pastor, panis vere,Iesu, nostri miserere:Tu nos pasce, nos tuere,Tu nos bona fac viderein terra viventium.Tu qui cuncta scis et vales,qui nos pascis hic mortales:tuos ibi commensales,coheredes et sodalesfac sanctorum civium.Amen. Alleluia.

Buon pastore, vero pane,o Gesù pietà di noi.Tu nutrici e difendici,facci conseguire i beni (eterni)nella terra dei viventi.Tu che tutto sai e tutto puoi,che nutri noi mortali qui in terra:rendici lassù tuoi commensali,coeredi e compagnidei santi cittadini (del cielo).Amen. Alleluia.

La Chiesa intera, prefigurata daiprofeti nella «figlia di Sion» (Is 1,8;62,11; Ger 4,32; Lam 2,1ss; Sof 3,14;Zac 9,9), a sua volta immagine profeti-ca della «Gerusalemme di lassù» (Gal4,26), è invitata a lodare il sacramentodell’eucaristia. Infatti se è innegabil-mente vero che «la Chiesa fa l’eucari-stia», è ancor più originariamentevero2 che «l’eucaristia fa la Chiesa»,perché il dono che Cristo fa di sé la co-stituisce come popolo di salvati. Dun-que cantare le lodi dell’Eucaristia, e delSignore Gesù che in essa si rende sa-cramentalmente presente, è un doveredi riconoscenza a cui la Chiesa nonpuò né deve sottrarsi. Nondimeno,non deve mancare ai cantori l’umilecoscienza che la loro lode, per quantosublime, non potrà mai essere all’altez-za del compito. Il Signore è superioread ogni lode (maior omni laude) e perquesto nella festa del Corpus Domini sipropone soprattutto l’adorazione si-lenziosa del mistero.

Il sacramento dell’altare è presenta-to come il thema specialis, l’argomen-to specifico o la prospettiva peculiare

secondo la quale la Chiesa è invitata alodare il suo Signore. L’eucaristia è il«pane vivo e datore di vita» (panis vi-vus et vitalis): non è semplice materiainerte, per quanto benedetta, ma è ve-ro pane spirituale, «pane della vita»(Gv 6,48), cibo pneumatico e celeste,«pane vivo» (Gv 6,51) perché nascon-de Colui che è «la risurrezione e la vi-ta» (Gv 11,25) e “datore di vita” (vita-lis) perché tutto penetrato dello SpiritoSanto vivificante (cfr Gv 6,63).

Il testo ripercorre quindi le tappedell’istituzione dell’eucaristia. Non c’èdubbio (non ambigitur) che il panedella vita fu donato al mondo durantel’ultima cena di Cristo con i dodiciapostoli; la solennità del Corpus Domi-ni proclamata dal papa Urbano IV cele-bra innanzi tutto questa prima institu-tio del sacramento. Mettendo in rilievola dimensione oblativa che caratterizzail santissimo sacramento, e trascuran-do quindi per un momento gli altrieventi funesti di quella notte (il tradi-mento, l’agonia del Getsemani, il pro-cesso, ecc.), la composta mestizia checaratterizza i riti del giovedì santo cede

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il passo alla gioia completa eincontenibile. Se si pensa non

al prezzo pagato da Cristo, ma al frut-to della sua offerta, la lode non puòessere che piena, senza riserve, lieta earmoniosa.

L’istituzione dell’eucaristia porta acompimento le antiche profezie e sipresenta come il sacramento della“nuova ed eterna alleanza”. Da un la-to essa è il compimento di tutte le pro-fezie veterotestamentarie: dall’agnellopasquale (Es 12), alla manna (Es 16),alla giara di farina inesauribile di Elia(1Re 17), alla moltiplicazione dei panidi Eliseo (2Re 4), ecc.; d’altro canto asua volta essa è anticipazione del sacri-ficio della croce e segno prognosticodel banchetto escatologico.

Dapprima la sequenza prende inconsiderazione la sua dimensione dicompimento: l’eucaristia è la veritas dicui l’antica alleanza era solamenteun’ombra o prefigurazione. Viene sot-tolineata soprattutto la dimensione dinovità: il termine compare quattro vol-te in poche righe. Nuovo è il Re; nuovala legge, che è la stessa grazia delloSpirito Santo; nuova la pasqua cristia-na rispetto al vecchio rito pasquale,quello celebrato e insieme superato daGesù nell’ultima cena.

La novità non è però cancellazioneo soppressione della vecchia econo-mia, ma il suo compimento. Ricordaregli eventi del giovedì santo significa fa-re memoria, anzi fare memoriale (lozikkaron ebraico): un ricordo dinami-co, attivo, che trasforma il presente e

che diventa esortazione a rivivere il ge-sto oblativo di Cristo: «fate questo inmemoria di me». Fedeli a quanto ci hainsegnato a fare (docti sacris instituis),perpetuiamo l’offerta eucaristica con-sacrando il pane ed il vino e trasfor-mandoli in offerta di salvezza (salutis…hostiam).

La dottrina eucaristica non è una in-certa speculazione dei teologi, ma cer-tezza di fede donata a tutti i credenti.In questa prospettiva, il dogma non èuna pastoia che costringe l’intelligenza,ma salda àncora di verità dinanzi allavacillante conoscenza dei misteri. Inparticolare, è certezza di fede il misterodella transustanziazione. Il termine, in-trodotto da San Tommaso nei suoi scrit-ti teologici, non compare in questo te-sto di natura poetica e liturgica; ma ilconcetto di “totale trasformazione dellasostanza” vi è chiaramente espresso: ilpane diventa carne, il vino sangue (incarnem transit panis, et vinum in san-guinem). Tutto ciò non è percepibilecon i sensi (non vides) né è comprensi-bile dall’intelligenza (non capis): è la fe-de che sostiene il credente, al di là diquanto è nell’ordine naturale delle co-se. Il vero miracolo eucaristico si realizzain ogni santa Messa.

Questo pensiero viene approfonditocon il riferimento alla duplice formadelle specie eucaristiche, il pane e il vi-no: l’una e l’altra sono solo un segno(signum), non la sostanza (res). In essisi nascondono (latent) misteri sublimi,cioè la persona stessa del Verbo incar-nato. Egli è tutto presente anche in

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una sola delle specie eucaristiche: ma-net Christus totus sub utraque specie.Non solo: Egli è tutto presente anche inun singolo frammento di pane o unagoccia di vino. È ricevuto integralmente(integer accipitur) da chiunque si co-munichi: spezzare la specie eucaristichenon significa spezzare il corpo di Coluial quale – secondo la profezia – «nonfu spezzato alcun osso» (cfr Gv 19,33-36) e la cui tunica «tessuta tutta d’unpezzo da cima a fondo» rimase senzalacerazione (cfr Gv 19,23). Da unostesso frammento eucaristico possonocomunicare una o mille persone: cia-scuno riceve tutto intero il Signore, néegli viene consumato o può esaurirsi acausa del gran numero di comunicanti.Il Risorto viene assunto (sumptus), manon consunto (con–sumptus, con ele-gante gioco di parole) da chi si accostaalla comunione. Come viene ribaditopoco più avanti, né l’identità né lagrandezza (nec status nec statura) diColui che è presente nelle specie euca-ristiche vengono ferite o diminuite dal-lo spezzare il pane. Solo il segno visibileviene spezzato, la sostanza (res) rimaneuna ed integra in qualsiasi frammentodi pane o goccia di vino.

L’effetto della comunione eucaristi-ca è diverso solo a seconda delle di-sposizioni con cui vi si accede, «perchéchi mangia e beve senza riconoscere ilcorpo del Signore, mangia e beve lapropria condanna» (1Cor 11,29). Edunque se per i buoni esso è vero pa-ne di vita, che cancella i peccati venialie preserva dai peccati mortali (cfr CCC

1394-1395), per coloro che visi accostano privi dell’«abitonuziale» (cfr Mt 22,12), cioè dello sta-to di grazia, diventa “giudizio di con-danna”.

Con le parole Ecce panis angelo-rum inizia la parte conclusiva della se-quenza, quella più famosa, che sareb-be bene non omettere mai anche nellacelebrazione più affrettata. L’eucaristiaè cantata come «pane degli angeli»(cfr Sal 77,25), cibo per i pellegrini incammino verso la patria del cielo (cfrFil 3,20). Essa è il vero «pane dei figli»(Mc 78,27) che il Padre buono non ne-ga ai suoi, e le cui briciole preziosenon vanno date ai cani (cfr Mt 15,26;vedi anche Mt 7,7-10; Lc 11,13).

Riassumendo i temi precedente-mente esposti, il testo richiama poi al-cune prefigurazioni dell’Antica Allean-za: Isacco che porta la legna per l’olo-causto come profezia di Cristo cheporta la croce; l’agnello pasquale il cuisangue versato sugli stipiti delle portediventa segno di salvezza; la mannache nel deserto nutre il popolo affa-mato.

Da ultimo, il testo diventa preghie-ra che si indirizza direttamente al Si-gnore Gesù, presente nel sacramentodell’altare. Egli è il «buon pastore» (Gv10,11.14) che nutre e protegge il suogregge: a lui è rivolta la supplica di po-ter un giorno conseguire i beni del cie-lo. Egli, che si è fatto nostro cibo sullaterra mediante l’eucaristia, possa esse-re nostro cibo e nostra beatitudine ineterno, nel banchetto escatologico.

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Viene qui messa in rilievo la di-mensione di profezia escatolo-

gica del mistero eucaristico: sebbenetutto il Signore vi sia già presente, at-tendiamo ancora il suo compimentodefinitivo quando vedremo Dio «facciaa faccia» (1Cor 13,12). Allora il si-

gnum sacramentale verrà meno, per-ché resterà solo la res. E in questa fi-duciosa attesa del banchetto celeste,quando il Signore stesso «si cingerà lesue vesti, ci farà mettere a tavola epasserà a servirci» (cfr Lc 12,37) la se-quenza si chiude.

——————1 Culmine e fonte n. 63 (2005/1) pp. 52-56.2 «Nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la

causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero diCristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificiodella Croce. La possibilità per la Chiesa di “fare” l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cri-sto le ha fatto di se stesso. […] L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in defini-tiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati “per primo”» (Sa-cramentum caritatis n. 14).

L’adorazione dell’Agnello, miniatura, sec. XI

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1644Nascono Alessandro Stradella e HeinrichI. von Biber. Stradella, di nobile famiglia,studia con diversi maestri e conduce unavita sregolata e avventurosa, venendoassassinato a Genova nel 1682. E’ consi-derato uno dei protagonisti del Seicentomusicale italiano: per i suoi lavori teatra-li, per gli oratori e soprattutto per le ol-tre duecento cantate da camera, soventenon prive di riferimenti autobiografici. Ilboemo Biber entra da giovane nella cap-pella arcivescovile di Salisburgo, passan-do negli ultimi anni alla corte bavarese.Nome di riferimento della scuola violini-stica tedesca, compone pagine per l’arcosegnate da grande virtuosismo e straor-dinaria inventiva: sono a lui dovute, fral’altro, le Sonate del Rosario, uno deivertici della musica seicentesca, e l’impo-nente Missa Salisburgensis a cinquanta-due voci, fino a qualche anno fa erro-neamente attribuita ad Orazio Benevoli.Il cardinale Giovanni Bona pubblica Dedivina salmodia, nel quale approfondiscele problematiche ideali e pratiche dellamusica sacra.

1647muore Giovanni Battista Doni (1594),erudito e teorico musicale fiorentino. Alservizio dei Barberini, è poi professore di

eloquenza all’Università di Firenze. Neisuoi trattati propone una prosecuzionedei principi della Camerata Fiorentina,volta a ricuperare il teatro musicale del-l’antica Grecia. Si deve a lui la sostituzio-ne nella scale musicale della denomina-zione della prima nota, anticamente ut,con la sillaba do, iniziale del suo cogno-me.

1650Viene edita la Musurgia Universalis (il piùgrande trattato sul sapere musicale deltempo) di Athanasius Kircher (1601-1680), teologo e teorico musicale tede-sco. Professore al Collegio Romano dal1633, concepisce la musica come spec-chio dell’armonia divina che si manifestain rapporti numerici, riprendendo in que-sto la concezione di Boezio.E’ pubblicato postumo il Compendiummusicae di Cartesio, scritto già nel 1618,nel quale anch’egli, come il Kircher edaltri, correla musica e passioni, fondandole sue analisi sull’acustica e sulla psicolo-gia uditiva.

1652nasce a Fusignano Arcangelo Corelli.Dopo gli studi a Bologna, si stabilisce nel1675 a Roma, dove entra nella cerchiadei cardinali Pamphilj e Ottoboni, non-

IL VESPRO D’ORFEOIl Seicento musicale

tra Rinascimento e Barocco (II)don Maurizio Modugno

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ché in quella della regina Cristi-na di Svezia, il cui palazzo è in

quegli anni un cenacolo intellettuale diriferimento. Muore nel 1713. Il suo no-me è legato indissolubilmente alla sona-ta da camera e da chiesa e ai concertigrossi, forme nelle quali egli scrive unaparola fondamentale tanto dal punto divista strutturale, quanto per una scrittu-ra nobile, espressiva, ricca, vigorosa edinsieme serenamente contemplativa.

1657papa Alessandro VII promulga il docu-mento Piae sollicitudinis studio, testo es-senziale per la disciplina della musicanelle celebrazioni liturgiche, nelle cap-pelle e nelle cantorie, nonché dello stiledella musica sacra.

1659nasce a Londra Henry Purcell. Provenien-te da una famiglia di musicisti, organistaa Westminster, responsabile dei “violinidel re”, riceve incarichi ufficiali sottoCarlo II, Giacomo II e Guglielmo III. Au-tore di straordinaria musica per il teatro(l’opera Dido and Aeneas, The fairyqueen etc.), ha scritto musica sacra so-prattutto legata alle occasioni celebrati-ve della corte inglese.

1660nasce a Palermo Alessandro Scarlatti.Forse allievo di Carissimi a Roma, entraanch’egli nella cerchia di Cristina di Sve-zia, trasferendosi poi a Napoli, comemaestro della Cappella reale. Vi rimarràsino al 1702, tornandovi dopo soggiornie viaggi a Venezia, Urbino, Roma e rima-

nendovi sino alla morte nel 1725. Perquanto attiene il melodramma, la sua èla figura di maggior spicco in Italia fraMonteverdi e Rossini. Anche nell’ambitodella musica sacra, tuttavia, non posso-no essere taciuti i pregi eccelsi delle suecantate e dei suoi oratori, dove l’inven-zione melodica è stupefacente per ric-chezza e cantabilità e l’armoniosa perfe-zione costruttiva forse resta ineguaglia-ta. Negli ultimi anni le nuove correnti sti-listiche lo emargineranno dalla vita musi-cale, pur con un intatto prestigio.

1661viene fondata a Parigi l’Académie dedanse, cui seguirà nel 1669 l’AcadémieRoyale de musique.

1665è promulgato il 30 luglio dalla Congre-gazione della Sacra Visita Apostolica unEditto sopra le musiche, forse promossodai cantori della Sistina, in attuazionedella bolla di Alessandro VII del 1657. Ladisciplina delle “musiche concertate conorgano […] mentre si celebrano i divinioffizi” è dettagliata e severa.Muore a Bologna Giovanni M. Galli det-to il Bibbiena: è il capostipite di una del-le più grandi famiglie di architetti e sce-nografi teatrali.Muore a Roma Domenico Mazzocchi,sacerdote e musicista. Insieme al fratelloVirgilio e al Marazzoli, è il maggior rap-presentante del barocco romano, tantonell’opera (paridgmatica la sua Catenad’Adone), quanto nel madrigale e nel re-pertorio sacro. I due fratelli furono legatirispettivamente alle famiglie Farnese, Al-

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dobrandini e Borghese e alla CappellaGiulia in S. Pietro.

1670nasce a Venezia Antonio Caldara. Dopogli studi forse con Legrenzi, è maestro dicappella del duca di Mantova e quindimusico al servizio del principe Ruspoli aRoma. Si stabilisce, dopo diversi incari-chi, a Vienna come vicemaestro di cap-pella. Ampia e significativa la sua produ-zione, sintesi della scuola veneziana conquella napoletana di Scarlatti e quella ro-mana di Corelli. Più che la sua produzio-ne operistica, va apprezzata quella stru-mentale e sacra, nella quale spiccano al-cuni oratori ancor celebri, fra il quali Il redel dolore.

1673Il compositore e teorico Giovanni MariaBononcini (1642-1678) pubblica il tratta-to di contrappunto Musico prattico.Considerato il maggior esponente dellascuola strumentale modenese, è padredi Giovanni Battista (1670-1747), primanotissimo virtuoso di violoncello, poicompositore a Roma, al servizio del car-dinale Pamphilj, quindi alle corti di Vien-na e di Berlino. Famoso in tutta Europa,si trasferisce a Londra, ove diviene il riva-le di Haendel. La sua produzione sacra èprevalentemente del periodo italiano.

1678Nasce a Venezia Antonio Vivaldi. Allievodel Legrenzi, è ordinato sacerdote nel1703, ma è presto dispensato dalla Mes-sa, probabilmente per una grave asma.Entra come insegnante di violino nel

Conservatorio della Pietà, ove ri-mane sino al 1740, dedicandoai complessi strumentali e vocali del pioistituto la maggior parte delle sue operepiù famose. Già dal 1705 pubblica rac-colte di composizioni ampiamente ap-prezzate, quasi tutte di concerti stru-mentali, tra i quali si devono almeno ri-cordare l’Estro armonico, La cetra, Il ci-mento dell’armonia e dell’ inventione.Dal 1713 inizia una produzione operisti-ca oggi giustamente rivalutata. Sonocerti numerosi suoi viaggi all’estero, tracui Vienna, ove muore nel 1741. La suaproduzione sacra è di altissimo livello ecomprende una Messa, numerosi salmi, imottetti, i celebri Gloria, la stupendooratorio Juditha triumphans, il Salve Re-gina, lo Stabat Mater. Oltre l’insuperataqualità della pittura strumentale e l’ine-sausta vitalità ritmica, anche il tratta-mento delle parti vocali e corali trova inVivaldi un maestro senza eguali nell’Italiadel suo tempo per la purezza delle lineee la trasparente bellezza dell’ordito po-lifonico, retaggio estremo della più gran-de tradizione rinascimentale.

1685Nasce ad Eisenach Johann Sebastian Ba-ch. Formato in una famiglia di musicisti,è prima fanciullo cantore, poi violinista aWeimar ed organista ad Arnstadt e an-cora a Weimar. Nel 1716 diviene diretto-re dell’orchestra da camera del principeLeopoldo a Coethen. Nel 1723 ottiene ilposto di Cantor a S. Thomas a Lipsia, di-rigendo anche il Collegium Musicumdella stessa città e rimanendovi sino alla

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morte nel 1750. Apprezzatissi-mo come organista, non è in vi-

ta altrettanto noto come compositore.La sua opera tuttavia resta fra le più alteche il genio musicale abbia mai conse-gnato alla storia. Il senso del sacro lapervade profondamente, anche in quan-to non attiene strettamente alla produ-zione liturgica. Il corpus organistico è va-stissimo e vi spiccano la Passacaglia, iPreludi e fughe, le Toccate e soprattuttole mirabili raccolte di Corali. Non minoreè l’imponente blocco delle Cantate dedi-cate alle domeniche e alle festività del-l’anno: semplici e commoventi le parti ri-servate all’assemblea, complesse talora esempre massimamente espressive quellesolistiche, sia vocali che strumentali. LaMessa in si minore e le due Passioni so-no peraltro i vertici d’una sua riflessione,rispettivamente sulla liturgia cattolica(assunta ad emblema universale della fe-de) e sul sacrificio di Cristo, nella qualel’ispirazione artistica si coniuga in modosublime con il sentimento credente. Sideve all’Ottocento quella riscoperta diBach che, dalla ripresa della Passione se-condo S. Matteo realizzata nel 1829 daMendelssohn ad oggi, ha dato luogo astudi, esegesi, esecuzioni di fondamen-tale pregio. Nasce lo stesso anno di Bach, ad Halle,Georg Friedrich Haendel. Figlio di un ce-rusico, entra all’università per studiarediritto, ma ben presto l’abbandona perassumere il posto di organista ad Halle.Trasferitosi ad Amburgo, suona come

violinista nell’orchestra diretta da Kaiser.Nel 1706 scende in Italia, divenendo pre-sto celebre come compositore di cantatee melodrammi: Roma, Firenze, Venezialo acclamano. Nominato Kapellmeisterdell’Elettore di Hannover, passa nel1711 a Londra, ove rappresenta il Rinal-do. Vi rimarrà quasi ininterrottamente(leggendaria la trionfale prima del Mes-siah a Dublino nel 1742) sino alla mortenel 1759, ormai cieco. La sua produzio-ne si incentra principalmente sull’operae sulla musica sacra, ma ha esiti superbianche nella musica strumentale. Com-positore cosmopolita ed eclettico al disopra d’ogni altro del suo tempo, madotato d’una fantasia creativa pressochéillimitata, di un’arte della vocalità chesarà fra le matrici dell’ intero belcanto,di un senso della costruzione e del colo-re orchestrale e corale sommo (bastipensare tanto al Giulio Cesare quanto alMessiah), Haendel ha segnato in mododeterminante il genere dell’oratorio, sta-gliandovi con forza eccezionale sia loscenario epico e morale complessivo, siail profilo personale dei protagonisti:Samson, Judas Maccabeus, Saul, Israel inEgypt, Deborah, Theodora sono affreschidi grandiosa bellezza nei quali il ritrattoumano si fa spazio con mirabile intro-spezione lirica. Il barocco musicale, ini-ziato con Monteverdi, proseguito con lescuole romana e veneziana, francesizza-to da Lully, trova in Haendel la sua altis-sima sintesi conclusiva.

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Il mio aiuto viene dal Signore,che ha fatto cielo e terra.Non lascerà vacillare il tuo

piede, non si addormenterà il tuo cu-stode. Non si addormenterà, nonprenderà sonno, il custode d’Israele. IlSignore è come ombra che ti copre, esta alla tua destra” (Sal 121,2-5).

Quale grande consolazione quella

di un Dio che fin dalle origini camminaaccanto alla sua creatura eletta, l’uo-mo: lo nutre, lo protegge, lo guida, lodifende, lo custodisce con amore dipadre lungo il cammino tortuoso dellavita, per poi un giorno condividere l’e-redità eterna del Regno dei cieli!

Conversò con lui nel paradiso terre-stre, lo fece erede della sua promessa

in Abramo: ”In te sarannobenedette tutte le famigliedella terra”(Gn 12.3). Inviòal suo popolo schiavo inEgitto Mosè per liberarlo econdurlo verso la terra pro-messa. Si posò nella tendadel convegno, nella “Dimo-ra”, dove tutti potevano dinotte vedere il suo bagliore(Nm 9.16) e abitò nel suoSanto Tempio quando gli fueretta una sontuosa dimora.Nella pienezza del tempo ilVerbo di Dio “si fece carne evenne ad abitare in mezzo anoi, e noi vedemmo la suagloria”(Gv 1.14), la gloriadell’Emmanuele, Dio con noi(Is 7.14). Nella sua infinitamisericordia decise di abitarestabilmente con gli uomini:nel giorno di Pentecoste visi-bilmente sulla sua Chiesa in-

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Salvatore “Occhio che veglia”

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Salvatore “Occhio che veglia”, Roberta Boesso 1998, Vicenza

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viò il suo Spirito. Quale graziaquella di essere chiamati ad

adorarlo in spirito e verità nel tempiovivo del nostro corpo, tabernacolo vi-vente e missionario per le strade delmondo. E’ in forza di questa profondae intima unione con Dio che siamorealmente in Lui una cosa sola, un uni-co corpo: c’è Dio con me, in me, connoi.

L’immagine iconografica che vi pro-pongo per questo tempo racchiude insé il mistero di questa presenza di Dio,provvidenza che ama tutte le cose daLui create e se ne prende cura (Sap11,24-26; 12,1). Si tratta di una com-posizione abbastanza complessa i cuiesempi più antichi risalgono all’XI-XIIsecolo. Nella pittura russa il titolo datoall’icona sta a sottolineare che ci trovia-mo di fronte alla rappresentazione diDio che veglia sul mondo per proteg-gere il suo popolo; è un genere icono-grafico a carattere difensivo che nellapittura monumentale spesso era ubica-to sopra l’ingresso del tempio.

Adagiato su un giaciglio rosso po-sto sulla sommità di un monte (“…Eglimi risponde dal suo monte santo” Sal3,5) riposa l’Emmanuele raffiguratodormiente ma vigile nello stesso tem-po. Anche se la posizione del suo cor-po simboleggia il sonno, gli occhi sonoaperti: “Mentre ti contemplavamomorto, tu come Dio salivi vivo dallaterra ai cieli donde eri disceso, oGesù” (Liturgia del Sabato Santo).Analogamente nel IX e X secolo Cristocrocifisso veniva ancora raffigurato

con gli occhi aperti: in virtù della suaduplice natura umana e divina è il redella vita, vittorioso sulla morte.

Se da un lato si contempla il miste-ro della passione e morte di Gesù, dal-l’altro forte è il richiamo del suo sacrorinnovarsi durante la liturgia all’internodella Chiesa. Ecco che allora il letto‘funebre’ su cui è adagiato è anchesimbolo di altare su cui viene prepara-to il sacrificio eucaristico per la reden-zione dell’umanità. Il rigoglioso alberoche sembra quasi essere prolungamen-to del giaciglio simbolicamente richia-ma l’albero della vita, i cui frutti di sal-vezza eterna sono stati resi possibiliproprio dalla croce di Gesù. Non è uncaso che l’atteggiamento dell’angeloaccanto al letto, che con la destra reg-ge la croce del Calvario e con la sini-stra un ramo secco da cui germogliaun fiore, ricordi la raffigurazione delbuon ladrone di molte icone pasquali,il primo a entrare nel paradiso. Que-st’ultimo, simboleggiato da erbe e fioriche si stagliano su uno sfondo bianco,è stato restituito all’umanità per mez-zo del sacrificio pasquale di Cristo: “Siaddormentò Adamo, ma dalle sue co-stole scaturì morte; Tu che pure ti seiaddormentato ora, Verbo divino, faisgorgare dalle tue costole la vita per ilmondo” (Liturgia del sabato santo)

Un altro angelo si dirige in volo ver-so l’Emmanuele con in mano un ripi-dion, ventaglio sul quale è raffiguratoun cherubino usato dal vescovo duran-te l’offertorio nella liturgia orientaleper indicare la discesa dello spirito san-

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to sui doni eucaristici. L’eucaristia è ilbanchetto in cui i commensali si nutro-no di Cristo, la vittima sacrificale, edentrano in comunione con lui e tra lo-ro; è il memoriale del mistero pasqualedella nostra salvezza; è la fonte da cuiscaturisce la vita divina che unisce Dioall’uomo e l’uomo a Dio santificandola Chiesa; è il farmaco dell’immorta-lità, il luogo di unione tra cielo e terra,pegno della partecipazione alla gloriadel paradiso.

Il ramo fiorito nelle mani del primoangelo sottolinea il ruolo della Madredi Dio nell’opera della salvezza. Mariaè presente accanto al letto quale ‘nuo-

va Eva’ tratta dal costato del ‘nuovo Adamo’, Cristo, che in-dica con l’atteggiamento delle mani: èla madre che Gesù ci ha affidato sottola croce e che incessantemente inter-cede presso il suo figlio. E’ a lei chedobbiamo affidare e consacrare noistessi, è lei la via sicura che ci conducea Gesù. Consacriamo a lei la nostra vi-ta e la nostra famiglia, lasciamoci con-durre al Salvatore e in una rinnovataPentecoste purificare, rinnovare, gui-dare, consolare dal suo spirito per es-sere sempre membra vive nella Chiesa,strumenti di salvezza e annunciatorigioiosi della buona novella.

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ppartiene a quel genere didonne che hanno testimonia-to con la vita il valore di esse-

re sposa e madre… Una vita quella diAnna Maria Taigi intessuta di cristiane-simo praticato e amato, di semplicità,di fedeltà matrimoniale. Avvicinarla inquesto tempo così travagliato dovenon si fa altro che parlare di crisi dellafamiglia o di lotte per conquistare altridiritti, ecco che lei sintetizza in sé ognigenere di virtù, ogni diritto e dovere,proprio com’è nella normalità di unavita fondata sull’armoniae l’amore condiviso conl’altro nel nome di Dio.

Proviamo ad avvici-narla per saperne un po’di più: La Beata AnnaMaria Taigi nacque a Sie-na il 29 Maggio 1769 inuna casa detta allora diS. Martino, perché, pro-babilmente, proprietàdel Convento omonimo.Ricevette il Battesimo ilgiorno successivo, 30Maggio, nella Pieve di S.Giovanni Battista. Dellasua infanzia non si cono-sce molto se non che labambina venne allattataed educata dalla madree che all’età di sei annifu costretta con i genito-

ri, a lasciare Siena per trasferirsi a Ro-ma, da dove non si sarebbe più mossa.

La causa di questo spostamentoprobabilmente va attribuita ad alcunetraversie che ridusse la famiglia inpreoccupanti condizioni economiche,per cui il farmacista Luigi Giannetti, fucostretto a trovare altrove, e precisa-mente a Roma i mezzi per vivere. Lapiccola Anna Maria aveva allora sei an-ni e giunse a Roma nel 1775 quandoera papa Pio VI; una data memorabilequesta che coincide con il grande

ANNA MARIA TAIGIsuor Clara Caforio, ef

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evento del Giubileo indetto in quel-l’anno. La piccola venne, dunque, aRoma con i genitori dove ebbe la pri-ma educazione cristiana sotto la guidaattenta della madre e la prima istruzio-ne dalle Maestre Pie Filippini del Rionedei Monti, dove la bambina abitava edove si distinse immediatamente perobbedienza, bontà e pietà. Tre virtù si-gnificative in un’età così giovane!

Nonostante fosse figlia di genitorimolto poveri, Anna Maria crescendo sisentiva spinta sempre più dalla tene-rezza del suo cuore a soccorrere i biso-gnosi, verso i quali prodigò, con l’an-dare degli anni, tutte le cure più amo-revoli della pietà cristiana. La compas-sione che provava per tutti gli emargi-nati e i deboli che la società di allorarelegava negli angoli più disparati dellacittà la rendevano prossima ai biso-gnosi di ogni genere. Per aiutare la fa-miglia dissestata fu cameriera in unacasa signorile dove fu stimata e benvoluta per la sua bella presenza, la cor-tesia dei modi, la piacevolezza del suoparlare e la capacità con cui svolgevale mansioni affidatele.

Conobbe in questo periodo un gio-vane cristiano ed onesto, DomenicoTaigi, servitore della casa principescadei Chigi, con cui si fidanzò e dopo so-li 40 giorni, lo sposò nella Chiesa di S.Marcello al Corso il 7 luglio 1790. Inun primo tempo abitò in alcune stan-ze del medesimo palazzo Chigi, quindisi trasferì altrove. Nel breve spazio dipochi mesi, cambiò tre case; finalmen-te nel 1835 si stabilì in via del Corso al

n.262 dove rimase fino allamorte. La vita di Anna Maria,come ho premesso, fu costellata dinormalità; una vita di famiglia instan-cabile, ricca di lavoro in casa e fuori.Come ho già avuto modo di sottoli-neare, ritengo che l’essenza del cristia-nesimo stia esattamente in questa bel-la armonia tra ciò che si crede e si vive,senza grandi cose o gesti eclatanti.Anche la vita di Gesù, dei discepoli odei primi cristiani è stata una bellissimasintesi di ordinarietà…Una celebrazio-ne della ferialità, delle cose piccole, deisegni semplici. Chissà perché a voltepensiamo che vale solo quello che èstraordinario… No, c’è una vita chescorre nella maglie di un tessuto quoti-diano che Anna Maria scoprì e vissecon instancabile ardore all’interno del-la sua famiglia nella quale seppe com-binare e regolare le giornate tra doveridi madre e di moglie e atti di pietàsquisiti verso il prossimo più miserabilee non solo.

Ella visse a Roma oltre 60 anni, cioèdal 1775 al 1837, quando la Santa Se-de e la città attraversavano momentidifficili a causa della Rivoluzione Fran-cese e il potere napoleonico. La vita diAnna Maria Taigi, come la vita dei santie dei mistici, fu costellata al tempostesso di pesanti croci e di gioie inde-scrivibili. Ciò che fa di lei una donnaeccezionale e la colloca fra i mistici piùcelebrati della cristianità, è un donoche ricevette: il dono del “sole”. Unasera, all’inizio dell’anno 1791, nel pri-mo periodo della sua esperienza misti-

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ca, mentre si trovava da solanella sua camera, raccolta nella

preghiera, Anna Maria vide risplenderedavanti a lei una grande luce, come unsole appena velato da sottili nuvole. Lagiovane donna pensò, come può esse-re naturale, ad un attacco del diavolo.Ma il sole compariva anche nei giorniseguenti, tanto che finì con l’abituarsialla sua presenza. Questo sole miste-rioso che si levava sopra la sua testa,accompagnava Anna Maria dovunqueandasse, di notte come di giorno, finoalla fine della sua vita. Per quarantaset-te anni il cerchio luminoso fu una fon-te inesauribile di informazioni sopran-naturali riguardanti sia il passato che ilpresente ed il futuro. Col tempo, il solesi faceva sempre più luminoso, fino araggiungere lo splendore di “sette solimessi assieme”. Il soprannaturale hale sue vie per rendersi manifesto e cer-to a noi povere creature risulta difficilecomprenderne i l l inguaggio, cosìdev’essere stato per la beata che tutta-via continuava a svolgere la sua vita or-dinaria. Questo fenomeno straordina-rio che l’accompagnava, come ebbe adirle il Signore: “E’uno specchio, quelloche ti mostro, che serve per farti com-prendere il bene e il male”. Volendodescrivere questo sole Anna Maria pre-cisò anche che “nel disco, c’era una fi-gura seduta, di un’infinita dignità emaestà, la cui testa era rivolta verso ilcielo, come nell’immobilità dell’estasi;dalla sua fronte uscivano due raggi lu-minosi verticali”. Questa figura simbo-leggiava probabilmente la saggezza.

C’era anche nel “sole” l’immagine diuna corona di spine e di una croce, chesignificavano l’incarnazione di Gesù.“In questo sole scorrevano delle imma-gini, come se ne possono vedere inuna lanterna magica”, continua anco-ra la beata. Dicevo che una compo-nente della santità è anche la capacitàdi armonizzare nella vita comune ognievento straordinario e di fatti AnnaMaria accettò questa manifestazionesoprannaturale con umiltà, servendo-sene esclusivamente per il bene delprossimo. Durante praticamente mez-zo secolo, Anna Maria Taigi vide svol-gersi, nel suo sole, gli avvenimenti so-ciali e politici di tutta l’Europa, in parti-colare quelli che riguardavano le vicissi-tudini della Chiesa.

Le immagini che ella percepiva nonsono frutto di illusione o di immagina-zione. Anna Maria descrisse con esat-tezza luoghi che non ha mai visitato,in Italia o in altri paesi; ritrae personeche non ha mai incontrato; profetizzaanche eventi che poi si realizzerannocome lei aveva annunciato. Fra i moltieventi storici, ella ebbe modo di pre-vedere la sconfitta dell’esercito napo-leonico in Russia, la conquista dell’Al-geria da parte della Francia, la guerradi Grecia, la rivoluzione del 1830 a Pa-rigi, la liberazione degli schiavi nelleAmeriche, il destino di gran parte del-la monarchia europea, la fine di diver-se nazioni e la nascita di alcune altre,le catastrofi naturali e le epidemie. Eper ultimo previde anche anche ilpontificato di Giovanni Mastai Ferretti,

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che non era ancora cardinale quandoAnna Maria morì, nel 1837. Tutti ibiografi della Beata l’avvicinano a S.Caterina da Siena, sua concittadina,perchè vissero ambedue tempi storicianaloghi e talvolta in identiche diffi-coltà e apprensione per la Chiesa eper la città di Roma. Anche della Bea-ta Anna Maria Taigi si può affermareche fu baluardo della Chiesa; consi-gliera e sostegno spirituale per i Papidi allora; essa sembrò ripetere di Cate-rina la vasta azione politica ed ebbe ilsuo stesso zelo e ardore cattolico. Conil Papa Pio VII la nostra beata ebbe pa-recchi colloqui, fra cui quello celebrein casa di Maria Luisa di Borbone il 17Giugno 1814. La bufera napoleonicache attanagliò la città riducendo il Pa-pa prigioniero, trovò nelle preghiere enelle straordinarie penitenze di AnnaMaria il più nascosto e il più efficaceostacolo contro ogni prepotenza. Frail giubilo della città eterna e del mon-do il giorno 24 Maggio 1814 il Papagiungeva a Roma e Anna Maria Taigiimmersa nel tripudio generale potéesclamare: «È entrato Gesù Cristo inGerusalemme». L’amore della Taigiper la Chiesa e per il Papa la spinserospesso alla preghiera e a numerosi sa-crifici che sopportava con animo sem-pre lieto. Fu una donna determinatache non s’impauriva di nulla perchécredeva nella perennità della Chiesa edel Pontificato; la Beata profetizzandoConclavi, Elezioni e vicende dei Ponte-fici da Pio VI a Gregorio XVI, sembròaffermare dinanzi alle incertezze e allo

sbigottimento dei buoni e allamalvagità dei cattivi, la supre-ma certezza della tangibile perennitàdella Chiesa, pur tra il variare degliuomini e delle circostanze più contra-stanti.

La carità di Anna Maria era impre-gnata di amore per il Signore, unamore intenso che sapeva equilibraree ripartire con la sua famiglia…., unamore tenace il suo, per Gesù a cui ri-volgeva i suoi pensieri più intimi eprofondi: «Amiamo Dio e serviamolocon fedeltà, siamo uniti a Lui e nondubitiamo di nulla», ripeteva a chiun-que l’avvicinasse. Ecco, la fedeltà è unaltro valore che visse f ino infondo…Oggi sembra essere una paro-la difficile, uno di quei vocaboli chehanno perso la consistenza di un tem-po. Eppure è possibile essere fedeli aDio, nella coppia, alla parola data, alleproprie idee quando sono utili per co-struire. Dovremmo ricorrere più spessoa questi campioni che la Chiesa ci pro-pone come modelli da imitare, do-vremmo implorarne il sostegno, quel-l’aiuto particolare di cui abbiamo biso-gno quando la fede, la speranza ven-gono meno, quando non crediamopiù a certi valori, quando la logica delmondo ci trascina nel suo vortice diinutilità o di non senso. Tornando allanostra beata c’è da dire che benchéAnna Maria non facesse sfoggio delsuo dono straordinario di profezia ene parlasse esclusivamente su richiestadel suo confessore o di altri sacerdoti,non poté nasconderlo. Una folla di

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persone si rivolgevano a lei,per essere illuminate, consi-

gliate o confortate e lei con la suasquisita umanità dava il suo aiuto inmille modi, ovunque fosse possibile,sia fornendo dettagli precisi su unamalattia, sui rimedi e gli esiti prevedi-bili, sia prevedendo situazioni a venireriguardanti lo stato delle anime di vivio di defunti. Intercedeva sempre conla preghiera ed esortava i suoi ospiti afare altrettanto. In realtà, questo “so-le” rivelava ad Anna Maria, l’animadegli esseri umani nei loro più profon-di segreti. Si servì tante e tante volte diquesta facoltà per condurre o ricon-durre queste anime a Dio. In effetti,numerosi furono coloro che, avendoconstatato che nulla gli era nascosto,si affidarono a lei come guida della lo-ro vita spirituale.

Una donna grande, insomma, chevisse lunghissimi anni di malattia sop-portata sempre con dignità, senza la-mentarsi mai, proprio come certe“mamme nostre”, quelle che la vita haaddestrato al sacrificio e alla donazio-ne completa, sempre e senza mai stan-carsi.

Anna Maria Taigi si spense il 9giugno 1837 all’età di 68 anni. Glisplendori della sua nobile vita furono

noti al mondo 25 anni dopo la mortedi Lei, allorché fu introdotta la Causadella Beatificazione (1863) e le suevirtù eroiche furono riconosciute dalPontefice Pio X nel 1906. Il 30 Maggio1920 Benedetto XV decretava gli onoridella Beatificazione alla Taigi e Siena eRoma videro sfolgorare nella gloriadella Basilica Vaticana la loro concitta-dina. Oggi il suo corpo riposa nellaChiesa di San Crisogono in Trastevere.La sua memoria si celebra il 9 giugno.La Colletta ci fa pregare implorando labontà di Dio verso ogni fedele, chie-dendo l’intercessione della beata AnnaMaria:

Ascolta benigno, o Dio, le preghieredei tuoi fedeli,e per intercessione della beata AnnaMariache hai dato loro come esempio diogni virtù,confermali nella santità delle opere,perché insieme a leimeritino di essere partecipi della gloriaceleste.Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuoFiglio, che è Dio,e vive e regna con te, nell’unità delloSpirito Santo,per tutti i secoli dei secoli.

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Bibliografia:www.paginecattolche.itwww.profezie3m.altervista.orgwww.santitoscani.it/beataannamariataigi

Culmine e Fonte 3-2007