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Incipit Francois Thual? Attacco a Charlie-hebdo?

D. Kalajic - Serbia Trincea d'Europa

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IncipitFrancois Thual? Attacco a Charlie-hebdo?

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La tesi di Dragos Kalajic ad Alfonsine (Ra)"L’autentico nemico dell’Europa non è la Russia, ma l’Islam"

Si è svolta ad opera della sezione leghista di Alfonsine (Ra) la presentazione del libro Stato e Potenza del leader comunista Gennadij Zjuganov cui è seguìto un pubblico dibattito sul nazional-comunismo russo e il rapporto America-Eurasia. A Marco Montanari dell’Università di Bologna che ha contestato la definizione di nazional-comunismo assegnata a Zjuganov, sottolineando come il comunismo russo abbia ancora come faro lo stalinismo centralista, ha risposto Carlo Terraciano della rivista "Rosso è nero" che in Russia, nel ’93, fu testimone diretto della nascita di un fronte nazional-comunista denominato "Fronte di Salvezza Nazionale". "Oggi - ha detto - lo scenario politico russo non si divide più tra destra e sinistra: il vero scontro è tra gli internazionalisti filoamericani e i patrioti russi di ogni colore. Dalla fine della guerra mondiale in poi, tutte le alleanze militari filo-Usa hanno come obiettivo l’accerchiamento della Russia e la sua riduzione a suddito politico ed economico. Ma non si è considerato che l’ex Urss ha sempre avuto una coscienza imperiale e la guerra di Cecenia suona da avvertimento a coloro che danno già per morta la Russia ortodossa". Di Caucaso e Balcani ha poi parlato il giornalista Massimiliano Ferrari che ha ricordato la grande simpatia che la Lega prova per il mondo cristiano-slavo che in Serbia e nel Caucaso combatte e fa da argine all’avanzata dell’Islam. "L’ala pura e non mercantilista della Lega - ha detto - mette l’interesse della comunità di sangue al di sopra del benessere del singolo egoista e simpatizza per i fratelli slavi che si sacrificano in nome della comune patria europea e rifiuta la visione di coloro che straparlano di una ricca Europa occidentale da chiudersi ad est e da aprirsi a milioni di lavoratori musulmani "purché in regola col permesso di soggiorno". La rivolta cecena non è classificabile come autonomista: i ceceni, già autonomi, avrebbero potuto ottenere la piena indipendenza con il famoso referendum deciso per il 2001. Invece hanno dato il via ad una nuova fase di espansionismo islamico ai danni dell’Europa. Inoltre la Russia che perde i giacimenti del Cacauso equivale alla definitiva sudditanza energetica dell’Europa nei confronti dell’accoppiata amero-islamica che avrà il totale controllo delle aree gas-petrolifere e degli oledotti". L’ultimo intervento è stato quello del Prof. Kalajic, dell’istituto geopolitico di Belgrado, che ha ricordato come il futuro della Padania dipenda in maniera vitale dai processi incorso in Russia. "L’alleanza russo-europea - ha detto - è stata osteggiata per secoli dall’Inghilterra e oggi dagli americani che mirano al controllo del nostro continente e creano conflitti che oppongono europei ad europei. A giovare di questa situazione sarà la Turchia che si vuole fare entrare nella Ue consentendo così a 70 milioni di turchi e ad altri 100 milioni di turcofoni islamici di insediarsi nel cuore dell’Europa. La politica anticomunista della guerra fredda aveva

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come vero obiettivo la Russia e non il sistema comunista. Oggi un eventuale alleanza alle elezioni di marzo tra i nazionalcomunisti e un autorevole Putin liberatosi dai parassiti di corte potrà rappresentare l’inizio di un processo di liberazione dell’Europa".Fe. P.

Tiberio Graziani

SERBIA, TRINCEA D'EUROPA

Postfazione a "Serbia, trincea d'Europa", di Dragos Kalajic

"L'Europa, una volontà unica, formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni" - F. Nietzsche

Mentre mi accingo a scrivere questa postfazione - richiestami dall’amico Dragoš Kalajic per l’edizione serba del suo Serbia, trincea d’Europa -, il telegiornale passa la notizia di altri due omicidi compiuti ai danni del popolo serbo da parte di alcuni terroristi albanesi: seguita dunque la mattanza, iniziata, giova ricordarlo, ben prima dell’aggressione NATO al popolo jugoslavo. Ora però, dopo il cessate il fuoco, il massacro seguita col benestare, perfidamente occulto, della KFOR: l’intera zona non deve essere affatto pacificata, devono rimanere tutte le tensioni possibili (1), immaginabili ed inimmaginabili, affinché sia necessaria e pertanto umanitariamente legittimata, agli occhi dell’opinione pubblica, la forza d’occupazione di una parte consistente del territorio federale. Sotto questo aspetto persino la presenza militare russa, importante elemento di bilanciamento nei confronti delle forze alleate e, per alcuni versi, di garanzia nei riguardi dei Serbi, sembra rappresentare, nel gioco delle parti architettato dai politici di Washington, un alibi bello e buono, giocato anch’esso sulla pelle dei popoli jugoslavi: occorre tuttavia fare sempre i conti con i reali rapporti di forza, e constatare che la Federazione Russa è, nonostante l’attuale dirigenza, l’obiettivo geopolitico che a medio termine le forze NATO si sono poste di contenere ed influenzare, sul piano militare, attraverso una serie di partenariati con i Paesi dell’ex-blocco sovietico. In tale prospettiva, gli ultimi episodi secessionisti avvenuti in Daghestan, nonostante le pur presenti motivazioni endogene, d’ordine storico e religioso (2), non possono essere considerati disgiunti dalla ampia e complessa strategia antirussa che prevede da una parte il contenimento NATO, cui già abbiamo accennato, e dall'altro la costituzione di quella che Claudio Mutti, nella presentazione di questo volume, definisce "una dorsale pseudoislamica” tale da imprigionare “la Russia e tutta quanta l'area ortodossa", alimentata e finanziata “dall’Islam rigido dei sunniti wahhabiti, il cui centro è l’Arabia saudita” (3). La presenza militare, oltre a limitare di fatto la legittima sovranità del governo di Slobodan Milosevic prelude, dietro i fantomatici aiuti per la ricostruzione, al condizionamento economico-produttivo (4) della ormai ridotta Repubblica Federale Jugoslava; è questo un copione già visto e recitato, sovente a malincuore, in primo luogo dall’Italia e dalla Germania, nell’ambito della pianificazione economica del Piano Marshall all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Il dramma che, in questi anni, ha come protagonisti/vittime i popoli della ex-Jugoslavia, trova la sua immediata ragione d’essere nella tendenza mondialista ad allargare al

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massimo, nel continente euroasiatico, i propri spazi economici - in nome del cosiddetto libero mercato. E’ questa una tendenza sostenuta militarmente e politicamente, passo dopo passo, da strategie geopolitiche ben definite e mirate, come evidenziato peraltro dalle acute e ponderate considerazioni di Kalajic. Analizzando gli ultimi dieci anni di storia europea anche dal solo, e pertanto riduttivo, punto di vista dei rapporti economici, è interessante notare come, a partire dal collasso dell’ex-impero sovietico, sia le Nazioni europee ad economia socialista che quelle dell’Europa occidentale con economia a forte partecipazione statale abbiano subito veri e propri cataclismi politici nonché la veloce disintegrazione di intere classi dirigenti e spesso una perdita e/o ridefinizione dei propri territori e confini. Nell’est europeo la nascita della Confederazione degli Stati Indipendenti ha tentato di mantenere, per certi versi, peraltro limitati, alcune posizioni di autonomia dalla politica mondialista, ma di fatto ha svolto il ruolo di pompiere dei reali interessi popolari e statuali dei Paesi appartenenti all’ex-blocco sovietico; tale ruolo, ben compreso e stigmatizzato dall’opposizione nazional-comunista russa, ha posto in essere le premesse - tutte ancora da valutare - di un processo di transizione al mondo liberista che le incomprensioni, d’ordine esclusivamente mercantile che talvolta sembrano emergere, tra l’oligarchia che fa capo ad El’cin e i diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non fanno altro che accelerare. Altre due Nazioni, sempre dell’est europeo, hanno pagato pesantemente il loro obolo agli imperativi del nuovo corso liberista: la Cecoslovacchia, che ha perduto la sua unitarietà politico-amministrativa scindendosi in due repubbliche e divenendo quindi facile preda di investimenti usurocratici da parte della finanza internazionale, e la Romania che, appena saldato il debito contratto col FMI, ha dovuto sacrificare Ceausescu e cedere nuovamente ai ricatti della Banca Mondiale. Ma se Atene piange, Sparta di certo non ride. Infatti nella parte occidentale del nostro continente abbiamo assistito, e tuttora assistiamo, allo sgretolamento progressivo dello stato sociale (baluardo residuale, quantunque degenerato e putrescente, di una economia e di una solidarietà sociale ancora connessa a interessi nazionali e di questi purtroppo il solo collante) dei principali Paesi (Italia, Francia, Germania), ed alla estromissione di intere classi dirigenti, politiche ed economiche (Italia)(5) . A tutto ciò si accompagna la crescente ondata migratoria che da oltre una quindicina di anni imperversa sull’intera Europa occidentale. La disgregazione economico-sociale e la scarsa attenzione dei governi europei al problema dell’immigrazione favoriscono i flussi migratori, aumentandone il grado d’intensità e di pervasività, fino a determinare, da un lato, episodi incontrollabili di intolleranza - finora limitati e sporadici, e comunque confinati nell’ambito di epidermica reazione a fenomeni di microcriminalità -, e, dall’altro, la crescita macroscopica di organizzazioni criminali transnazionali di stampo mafioso a base etnica, che compromettono, drammaticamente, il controllo di ampi spazi territoriali (nazionali ed extranazionale, come nel caso dell’area adriatica) da parte delle normali forze di polizia ed alimentano, con i loro illeciti ricavati, quote sempre più crescenti e costitutive della finanza internazionale, che, poiché pecunia non olet, le tollera e pertanto le legittima. L'immigrazione, fenomeno naturale e ricorrente nella storia dei popoli, assumendo sul finire del secolo proporzioni vieppiù gigantesche, date le condizioni storiche di sviluppo industriale del Nord del pianeta - per cui si può parlare di un vero e proprio “urbanesimo planetario” - diviene, oggettivamente, nel quadro delle strategie messe in atto dai governi degli USA e dagli organismi internazionali che fanno capo alle Nazioni Unite, un non trascurabile elemento aggiuntivo alla destabilizzazione e ridefinizione delle politiche economico-sociali dei Paesi dell’Europa occidentale (6), ove la presenza di residuali meccanismi economici ancora vincolati a interessi nazionali e statali limitano la completa globalizzazione dei mercati interni. I fenomeni secessionisti, come quello del Kosovo e Metohija o del Daghestan, che esplodono apparentemente in nome del principio di autodeterminazione dei popoli o di una specificità religiosa, nella

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generalità dei casi (a causa della loro posizione geostrategica) sono pretesti, che danno un senso agli interventi umanitari ed al presidio militare dei governi di Washington e di Londra e pongono inoltre le premesse per la definizione di un nuovo diritto internazionale, una sorta di un parodistico Jus planetario. Tale diritto è determinato anche dall'attuale fase del complesso processo di globalizzazione, che, superato lo stadio che potremmo definire dei Trattati (GATT, ASEAN, NAFTA etc.), esige, in particolare in Europa, la eliminazione formale di qualunque entità geopolitica sovrana, che si frappone al suo sviluppo. Oggi i micronazionalismi europei, lungi dal rappresentare una sana e giusta rivendicazione delle proprie particolarità e dignità, sono mine vaganti lanciate contro il nostro continente che potrà essere libero e sovrano solo se sarà unito, forte ed economicamente indipendente. E' proprio nella prospettiva dell'auspicata unità politica euroasiatica che la Serbia di Milosevic rappresenta, con il fermo e deciso no alle pretese dell'imperialismo atlantico, un primo e reale presidio della coscienza europea in lotta contro la crescente occidentalizzazione/omogeneizzazione delle proprie e multiformi peculiarità. Le incursione anglo-americane e le conseguenti distruzioni arrecate al popolo serbo ci ricordano che il nemico principale è l'Occidente, quello stesso Occidente che bombarda quotidianamente l'Iraq, si appropria con rapacità delle risorse dell'intero pianeta, mette ipoteche sul lavoro degli europei, specula sulle economie del cosiddetto Terzo mondo, determina crisi generalizzate ed endemiche in larghi settori dell'economia mondiale. L'unica e necessaria risposta alle tendenze totalizzanti del nuovo ordine mondiale risiede pertanto nella organizzazione politica di un blocco continentale europeo. Dalle considerazioni di Kalajic emerge che l'unità geopolitica euroasiatica potrebbe enuclearsi (e realizzarsi con successo se l'opposizione nazional-comunista russa riesce a prevalere sull'oligarchia el'ciniana) a partire dall'asse prioritario Roma-Berlino-Mosca; noi a questa terna aggiungeremmo anche Istanbul. La Turchia - attuale e determinante testa di ponte per l'attacco militare che i neocartaginesi muovono contro il nostro continente - è infatti costitutiva sia di qualunque ipotesi euroasiatista che di qualunque azione finalizzata al riscatto continentale. Nel quadro della prospettiva proeuropea, occorre superare però tutte le incomprensioni e le diffidenze che, alimentate ad arte dagli strateghi di Washington e Londra, provocherebbero quelle "fratture culturali" già analizzate dai think tank mondialisti e compiutamente espresse da Samuel Huntington nel suo The clash of Civilizations? Se tali fratture si realizzassero all'interno del nostro continente esse innescherebbero un sicuro processo di disintegrazione politica dell'Europa intera, facilitando così l'egemonia anglo-americana.

Note

(1) Il cosiddetto management of crises, cioè il mantenimento strategico di situazioni critiche, è stato recentemente messo in discussione, nei suoi risvolti militari ed economici, da Edward N. Luttwak nel saggio Give war a chance ("Foreign Affairs", 78, 4, 1999). Secondo Luttwak le continue interferenze delle Nazioni Unite nei conflitti ritardano le reali soluzioni di pace ed alimentano, sine die, il risentimento dei belligeranti che invece paradossalmente la guerra esaurirebbe. E.N. Luttwak (1942), specializzato in problemi militari, ha esteso l'applicazione della strategia ai fenomeni economici ed alle problematiche sociali. E' senior fellow presso il CSIS (Centro di studi strategici e internazionali) di Washington. 

(2) “Fino al 1928 esistevano (in Daghestan) circa 2000 moschee e circa 800 scuole islamiche. Le seconde furono chiuse e le prime ridotte a 17 dalle offensive ateiste di Stalin e di Kruscev. Furono chiusi gli oltre settanta luoghi sacri del Paese e i pellegrinaggi proibiti. Il Daghestan è stato il primo Paese dell’area Caucasia - Asia

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Centrale a essere islamizzato: per giunta, direttamente, dagli arabi, nell’VIII secolo. Ma non basta: al pari della Cecenia è stato centro delle due grandi guerre antirusse nel Caucaso di fine ‘700 e degli anni 1829 -1859” (Piero Sinatti, Un Paese “esplosivo” dove l’Islam si è radicalizzato, “Il Sole 24 ore”, mercoledì 11 agosto 1999). 

(3) Piero Sinatti, art. cit. 

(4) Già espresso, programmaticamente, da alcuni guru della finanza internazionale come G. Soros di cui vale la pena riportare quanto segue a titolo esemplificativo di un protocollo standard di pianificazione economico-politica incurante della libertà dei popoli e della dignità nazionale e sovranità degli stessi: “Non dobbiamo ripetere gli errori commessi in Bosnia. Gli sforzi di ricostruzione in Bosnia fallirono in quanto il territorio era troppo piccolo e le diverse entità di governo, da quella federale a quella locale, fecero pressioni per avere le mani in pasta. Questa volta il nostro impegno deve estendersi all’intera regione. Il punto è ben compreso dagli uomini politici. Il patto di stabilità per il sud-est europeo firmato in Germania – a Colonia il 10 giugno – rappresenta un eccellente punto di partenza. Esso stabilisce tre gruppi di lavoro: per la democratizzazione e i diritti umani; per la ricostruzione economica, lo sviluppo e la cooperazione; e per la sicurezza. Ecco quindi un quadro di riferimento che aspetta di essere utilizzato. Il nucleo essenziale del piano si basa su quattro passaggi: 1) l’Unione europea prende il controllo dei servizi doganali dei Paesi aderenti; 2) la Ue rimborsa i Paesi per la perdita delle entrate doganali tramite il budget dell’Unione. L’ammontare dei sussidi dovrebbe essere in ragione di cinque miliardi di euro all’anno. Ciò rientra perfettamente nell’Agenda 2000, approvata a Berlino. 3) La compensazione potrebbe riflettere la potenziale, piuttosto che l’effettiva perdita di introiti, ma la condizione per il sussidio dovrebbe essere strettamente legata ai risultati. Per esempio, in Serbia dovrebbero tenersi elezioni sotto l’egida dell’Osce come condizione per l’ottenimento dei sussidi. Questo costringerebbe alla resa Milosevic più delle bombe. 4) Con questo finanziamento della Ue, i Paesi dovrebbero muoversi verso l’euro (o verso il marco tedesco fino all’entrata in vigore della valuta unica europea) come moneta comune. La Bulgaria ha già introdotto un currency board basato sul marco tedesco; le altre nazioni non avrebbero neppure bisogno di un tale strumento. Insieme queste quattro misure creerebbero, in un primo momento, un’area di libro scambio simile al Benelux. Non appena l’Unione europea sarà soddisfatta dei controlli sulle dogane, potrebbe ammettere quest’area al mercato comune europeo. Il commercio di prodotti agricoli – il settore principale della regione – potrebbe rimanere soggetto a restrizioni, ma la Ue dovrebbe dimostrare una certa generosità perché il piano abbia successo. Il secondo passo dovrebbe avvenire entro un futuro ragionevole, diciamo due anni. In un futuro più lontano, i Paesi dovrebbero essere ammessi come candidati a Stati membri. Ulteriori passaggi saranno necessari: facilitazioni creditizie per la ricostruzione e gli investimenti; assistenza tecnica per stabilire le condizioni di legalità; sostegni all’educazione, formazione manageriale, mezzi di comunicazione indipendenti e società civile.” (G. Soros, Per una comunità dei Balcani, “Il Sole 24 Ore”, martedì 6 luglio 1999; cfr. anche Reconstruction, Soros sees a solution, intervista a Soros, “Newsweek”, 12 luglio 1999). 

(5) Per quanto attiene ridefinizioni d'ordine territoriale avvenute in Europa occidentale, si ricorda la riunificazione delle due Germanie. E' inoltre da tener presente il consolidamento di fenomeni localistici come quello rappresentato, in Italia, dalla Lega Nord le cui tesi separazioniste e strategie secessioniste mettono continuamente in discussione l'autorità dello stato nazionale italiano. 

(6) In Italia si prevede che nel 2004, su una popolazione complessiva di 54 milioni, oltre

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il 16% (circa 9 milioni) sarà costituita da immigrati. Questi dati suffragherebbero le tesi del ragioniere generale dello Stato italiano, Andrea Monorchio, che in un saggio di imminente pubblicazione, Dove va l’Italia, provocatoriamente, secondo l’opinion maker ed ex-ministro Alberto Ronchey, e demagogicamente (data l’importanza della funzione rivestita da Monorchio) per chi scrive, risolverebbe il problema della previdenza sociale demandandolo agli introiti che lo Stato acquisirebbe dalla forza lavoro degli immigrati. Cfr. Alberto Ronchey, L’immigrato pagherà la nostra pensione? La previdenza del ragioniere, “Il Corriere della sera”, mercoledì 18 agosto 1999. Tali tesi sono state condivise dal Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, vedi U. Gaudenzi, Fazio nuovo prosseneta dell'immigrazione selvaggia, "Rinascita", sabato 31 luglio 1999.

Agosto 1999

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Dragos, presente 

| Lunedi 25 Luglio 2005 - 9:13 | Ugo Gaudenzi |

Dragos Kalajic, il nostro amico, una potente voce di rinascita dell’Europa, un intellettuale-combattente senza macchia e senza genuflessioni verso il dominante pensiero unico liberaldemocratico che inquina il mondo, se n’è andato via ieri, allo scoccare della prima ora della notte di venerdì. Senatore della Repubblica Serba bosniaca martirizzata dagli atlantici, autore di saggi e libri di spessore storico e culturale, esteta onirico e realista nelle sue opere figurative, testimone e alfiere della volontà di riscossa degli ultimi europei che non si sono arresi al declino forzato della loro più grande patria, indossato il suo vestito bianco, ha sorriso ai suoi cari, alla sua Veriza e alla sua Sonia, alla famiglia ed agli amici tutti, ed ha lasciato le sue ceneri nella sua amata Belgrado. Ma non ha certo abbandonato il nostro mondo. La sua vita, la sua missione, non si è conclusa. Resta indelebile nei cuori di chi gli è stato vicino, è di sprone ad una nuova stagione di battaglie e di vittoria.L’ ultimo impegno del suo essere, della sua visione geopolitica nazional-europea, è stato quello di varare il ponte slavo, la rivista “Europa Nazjia”, Europa Nazione, di un nuovo asse di riscossa della nostra più grande patria: da Roma a Belgrado, da Belgrado a Mosca. Che resta anche il nostro, di Rinascita, di impegno.Sappiamo che lui sa di poter contare su di noi. Sappiamo di essere depositari e partecipi dei suoi desideri, della sua volontà di rappresentare valori immutabili, eterni.Sappiamo che non è utopia vedere, costruire, la rinascita della nostra Europa.

Onore a Dragos Kalajic, intellettuale militante della causa etno-nazionalista.

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Lo sporco conflitto del Patto Atlantico deciso da New York

di Gianluca Savoini

Quella nei Balcani è una guerra voluta da Washington e dai potentati finanziari mondialisti che vogliono impedire all’Europa di crescere senza alcun tipo di tutela o di controllo. Erano tutti d’accordo i relatori dell’incontro organizzato ieri presso l’Hotel Cavalieri di Milano dall’Associazione "Sinergie Europee" e da "Contropinione": l’attacco Nato alla Serbia maschera, dietro una fittizia motivazione umanitaria ("salvare" gli albanesi del Kosovo dalla repressione di Milosevic), la secolare volontà di dominio a stelle e strisce sul nostro continente. Moderati da Alessandra Colla, responsabile di "Sinergie Europee", gli interventi di Dragos Kalajic (direttore dell’Istituto di Geopolitica di Belgrado), Tomaso Staiti (responsabile di "Contropinione"), Archimede Bontempi (in rappresentanza del settore Esteri della Lega Nord) e il giornalista del "Giornale" Maurizio Cabona, hanno evidenziato come la "questione balcanica" non possa essere risolta bombardando la Serbia nè dipingendo Milosevic come novello Hitler. "Oggi i serbi devono subire un attacco increscioso ed illegittimo da parte del Patto Atlantico - ha cominciato Colla - e i veri motivi sono di natura geopolitica". Bontempi ha sottolineato che "in questo momento è in gioco non solo l’indipendenza della Federazione Jugoslava, ma quella di tutti i popoli che rischiano di avere un tutore americano e un cane da guardia come la Nato, entrambi usciti dagli schemi di alleanza difensiva e divenuta un potente aggressore del popolo serbo. La Lega Nord - ha precisato Bontempi - si batte coerentemente per difendere tutte le identità e le tradizioni delle genti europee, minacciate da ondate migratorie pilotate dai quei potentati economici e militari che si ergono a gendarmi del mondo".Durissimo Tomaso Staiti. "Sono un antianmericano viscerale - ha esordito l’ex deputato missino -, a differenza di Gianfranco Fini e la sua Alleanza... atlantica, pardon: nazionale...Non scambierei un mattone del Duomo di Firenze con tutta Miami, in quanto la nostra Europa è intrisa di storia e di arte millenaria che probabilmente gli usurai dell’Alta Finanza disprezzano profondamente". Staiti, storico emblema della destra milanese, ha poi elogiato il Carroccio, sia per la presa di posizione sull’attacco Nato, sia per il referendum proposto per abolire la Turco-Napolitano. E anche Dragos Kalajic ha ringraziato Bossi e tutta la Lega per la solidarietà espressa al popolo serbo. In sala la signora Augusta Formentini ha raccolto il ringraziamento e il pensiero di tutti è andato a suo marito, Marco Formentini, e agli altri tre deputati della delegazione del Carroccio attualmente a Belgrado (Comino, Maroni e Caparini).La guerra continua, ma il fronte filo-americano, anche da noi, comincia ad incrinarsi grazie ad iniziative come quella di ieri".

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https://forum.termometropolitico.it/29630-stupida-europa-di-dragos-kalajic.html

Stupida Europa

| Lunedi 25 Luglio 2005 - 9:19 | Dragos Kalajic |

La nostra analisi è volta ad individuare e precisare quelle che sono le strutture essenziali sulle quali si fonda l’attuale l’Europa legale, ossia quella soggetta al potere delle sue (pseudo) élites e dei suoi forti centri di pressione economici, politici, culturali e mediatici.In particolare, per la nostra disamina, la trattazione-chiave verte sull’argomento chi ci appare di maggiore rilevanza e che più permette di svelare quelle che sono le linee portanti della destrutturazione culturale, sociale, politica in atto nel nostro continente: le politiche demografiche e immigratorie che condizionano il futuro del nostro continente.Le ondate di immigrazione dal Terzo e dal Quarto mondo, sempre più frequenti, alte e minacciose, sono il risultato dell’ultima e peggiore forma di colonialismo, sostanzialmente usuraia, quell’ economia del debito che ovunque provoca miseria e fame. Un’ economia del debito che provoca ad arte la fuga di masse di disperati convogliandole verso illusori “mercati del benessere”.Si tratta di una sfida che assume oramai la magnitudine di una vera e propria, sebbene non dichiarata, invasione d’ Europa.Se un tale processo non perderà nel breve-medio termine forza e consistenza, e se questo, anzi, verrà aggravato da un ingresso della Turchia nell’Unione europea, tutti i dati indicano che già durante questo secolo gli Europei perderebbero la propria patria e diventerebbero una minoranza etnica, votata alla decomposizione e alla sua scomparsa nell’oceano grigio-nero dei diversi (1).Se tale moto degenerativo non verrà arrestato, si confermerà la prognosi dell’osservatore turco Nazmi Arifi sulle conseguenze demografiche dell’entrata della Turchia nell’Unione europea, esposta una quindicina anni fa sulle pagine del Preporod (2), portavoce dei musulmani di Bosnia ed Herzegovina:“L’Europa è cosciente del potenziale turco, l’Europa è cosciente della moltitudine turca. L’Europa guarda alla Turchia come ad un paese che ha potenzialmente duecento milioni d’abitanti. (Sono calcolati anche un centinaio di milioni di turcofoni dell’Asia centrale, ai quali il governo di Ankara, fedele al panturchismo, offre la cittadinanza turca oggi e offrirà quella europea domani, nota di D.K.) È logico che l’Europa non ostacolerà la Turchia. E’ prevedibile che, dopo dieci anni (dall’ingresso della Turchia nell’Unione europea, nota di D.K.) metà degli abitanti dell’attuale Europa occidentale saranno musulmani per una serie di cause quali: l’alta natalità dei popoli musulmani, la consistente immigrazione proveniente da paesi di religione musulmana, la caduta verticale delle natalità dei popoli europei, le conversioni all’Islam. Tutti questi sono fatti che l’Europa, volendo o non volendo, deve accettare.”E’ dunque chiaro – e lo deve essere anche agli occhi più semplici e ingenui - che sono false ed ingannevoli quelle formule di soluzione del problema immigratorio fin qui instancabilmente prodotte dalle (pseudo) élites politiche europee - spacciate negli Anni

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settanta come progetto paternalistico di “assimilazione” – che propagandano il modello fallace dell’“integrazione” o i recenti ideali sentimentalisti di una “società multirazziale” e “multiculturale”.In questo modo le (pseudo) élites che dominano l’Europa hanno dimostrato la propria debolezza fondamentale, la tendenza ad abbandonarsi alle superstizioni del razionalismo, particolarmente alla convinzione che con le sole parole - prodotte per interpretare a priori le incognite dello sviluppo sociale - è possibile non solo spiegare, ma anche domare la realtà, con tutte le minacce che contiene.Su l“assimilazione”, “l’integrazione” e “la società multiculturale” - “che ci arricchisce” - è possibile discutere solo là dove è in questione una minoranza razziale o etnica che non minaccia la maggioranza.L’esperienza storica dimostra come ogni rapporto pacifico venga stravolto là dove la minoranza cresce in modo tale di minacciare il predominio della maggioranza, anche nel senso della legge di selezione naturale. La specie più forte sospinge e alla fine elimina la specie più debole. Per questo motivo, all’inizio del periodo neolitico, la massa del tipo d’uomo detto mediterraneo gracile, basso, brachicefalo, con scheletro fragile e pelle olivastra - che ha conquistato il Rimlend mackinderiano, dall’India fino alle Isole britanniche, dedicato all’agricoltura ed ai culti della Madre Terra (3) - ha completamente riassorbito o eliminato gli indigeni europei, l’uomo di Cro Magnon, alto, forte e robusto cacciatore. Solo alcuni millenni dopo i discendenti dell’uomo di Cro Magnon, i nostri progenitori indoeuropei, scesi dagli altipiani caucasici nell’Europa per riconquistare la patria perduta riuscirono nel loro intento, vincendo le culture ed etnie qui già inseditesi grazie all’etica aristocratica e all’arte della guerra.

L’Europa diventerà islamica?Le industrie mediatiche, produttrici dell’ opinione pubblica, che fino a ieri diffondevano un ottimismo roseo nei confronti dei modelli di coesistenza tra gli indigeni europei e gli immigrati, oggi cercano di nascondere la realtà dell’invasione d’Europa e dei processi di rovesciamento dei rapporti demografici, cercando di ridurre tutto unicamente al problema di opzione religiosa: L’Europa cristiana o islamica?Quasi mirassero a stabilizzare la sempre più diffusa irreligiosità degli Europei e la corrispondente indifferenza nei confronti del dilemma…Una cosa è certa: questo aut-aut non esiste perché il predominio dell’Islam sugli Europei è sicuro. Secondo una nuova formulazione del quesito che agli Europei - mediante i media più influenti, da Welt und Sontag e Welt, fino al Corriere della Sera - propongono le guide intellettuali dei musulmani perfino “moderati”, (ad esempio: Bassam Tibi) “il problema non è se la maggioranza degli Europei diventerà musulmana, ma piuttosto quale forma di islam è destinata a dominare in Europa: l’islam della sharia o l’euroislam” (4).Per rimuovere dalle teste degli Europei ogni pensiero o speranza di difesa della natura europea della patria comune, il messaggio citato viene abilmente accompagnato con il sostegno di “uno dei più grandi esperti mondiali del Medio Oriente”, Bernard Lewis: “Entro la fine di questo secolo il nostro continente diverrà islamico.”Davanti a questa prospettiva di trasformazione degli Europei in una minoranza etnica, il rapporto verso l’invasione degli immigrati deve essere radicalmente cambiato.Se alla fine di questo scenario temporale - attuato il rovesciamento demografico - sarà ancora possibile parlare di “assimilazione”, “’integrazione” o “società multiculturale”, lo potranno fare solo gli immigrati nei confronti della minoranza degli indigeni europei, a patto di avere “misericordia” per le loro debolezze e non un giustificato disprezzo, perché, tra l’altro, hanno capitolato e concesso la propria patria agli invasori senza la minima resistenza.In questa prospettiva, per gli Europei si pone un problema essenziale: come

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sopravvivere e non scomparire nell’oceano degli altri che inonda e sta per affondare la loro patria.Ma, invece di opporsi ai processi che minacciano la cultura e la civiltà degli Europei, le forze dominanti nell’Unione europea fanno tutto il possibile per mantenere ed anche rafforzare l’invasione degli immigrati, sostenendone pubblicamente la cosiddetta “necessità”. E anche quando le (pseudo) élites politiche si sforzano di contenere almeno l’impatto caotico dell’immigrazione - con le leggi, le regole e le misure restrittive – tutto questo si dimostra, prima o poi, non solo vano, ma anche controproducente.Il sistema di potere di quest’Europa legale, che agisce contro l’Europa reale, è composto, grosso modo, da quattro campi di forze dai corrispondenti interessi. Complice – o sicario - un’ Unione europea che sta abbandonando celermente il sistema di economia sociale proprio della storia, della cultura e della tradizione europea, per il desiderio di dissolversi nel magma angloamericano, ossia liberalcapitalista, le potenze sopranazionali e sovraeuropee del mondo finanziario ed industriale sono diventate la forza-guida dell’alto tradimento. Le (pseudo) élites nazionali servono gli interessi di questa centrale di dominio che oramai, da molto tempo, ha espulso la politica vera ed autentica dalla scena pubblica, riducendola ad uno dei propri servizi ausiliari.E’ cosa manifesta come queste (pseudo) élites politiche siano sottomesse ai condizionamenti e ai voleri del Leviatano atlantico (per usare un’allegoria schmittiana): una centrale di dominio che fa di tutto per far entrare la Turchia nell’Unione europea e per rafforzare l’invasione degli immigrati, e reagisce con rabbia contro ogni contromisura europea.La Chiesa Cattolica, con i propri ordini monastici e le organizzazioni caritatevoli è un magnete particolarmente attraente per la massa degli immigrati, che, a priori, sanno che saranno ben accolti e tutelati, malgrado la propria clandestinità e illegalità.Last but not least, particolarmente influenti fautori dell’invasione dell’Europa sono le grandi ‘fabbriche’ della cosiddetta “opinione pubblica”, che cercano ostinatamente di convincere gli Europei - con le buone, attraverso promesse fallaci, e con le cattive, attraverso ricatti morali - che l’immigrazione porta solo il bene (economico, culturale ed umano) e che ogni resistenza è un male, una specie di peccato mortale nell’epoca della secolarizzazione. Segue il latrato dei branchi al servizio del tradimento, liberati dai guinzagli. Così vengono continuamente demonizzate o criminalizzate le rare voci di coraggio che si alzano in difesa della patria europea.La nostra ricognizione vaglierà ora rapidamente - escludendo scientemente ogni presa di posizione ideologica, e dunque con un esame logico elementare - le principali e più frequenti giustificazioni sul bisogno o sulla necessità che l’Europa resti aperta alle invasioni immigratorie, addotte dalle (pseudo) élites dominanti.

Idolatriadel profittoI portavoce delle forze finanziarie ed industriali giustificano sempre l’apertura verso l’immigrazione in massa con motivazioni che derivano da contingenze effimere: dalla necessità di superare la crisi provocata dallo shock energetico degli anni settanta, fino a quella specie di imperativo categorico che viene spacciato come globalizzazione, un “modello” – dicono – ineluttabile che impone a tutti popoli - privati del diritto di decidere sulla propria sovranità economica - il libero flusso delle merci, dei capitali, dei servizi e degli uomini. Tutte queste ragioni sono riducibili ad una causa comune, alla demonia economica, ossia all’idolatria del profitto per il profitto.Siamo ormai di fronte ad un immenso complesso-guida di idiotismo attivo, nel senso originario del termine che gli antici Greci usavano per designare una forma estrema d’individualismo e d’egoismo antisociale.Pervase e guidate da questo idiotismo, le forze finanziarie ed industriali d’Europa non si

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sentono parte di una comunità e di una realtà culturale e storica, molto più ampia e alta. Nei centri di potere assoggettati alla globalizzazione, non esiste nemmeno la coscienza, immanente ad ogni cultura e civiltà normale, in tutti i tempi, che l’economia, perché semplice parte e semplice mezzo, deve servire per fini del tutto sociali, e non il contrario. Già il fatto stesso che la cosiddetta necessità delle porte spalancate verso le onde immigratorie viene giustificata con il bisogno impellente di manodopera - mentre dall’altra parte la disoccupazione dei propri concittadini assume oramai le proporzioni di un male cronico - ci dimostra quanto le forze in questione siano indifferenti dei destini del proprio contesto sociale. In questa visione di mondo alla rovescia il profitto è ueber alles.Forse è inutile illuminare qui la perniciosità di questa patologia e l’orizzonte enorme delle sue conseguenze catastrofiche, cominciando dai prezzi esistenziali e sanitari, sociali e culturali, ecologici e demografici che anche sul piano delle cifre trascendono diverse volte i profitti. In molti casi ci troviamo davanti ad un circulus vitiosus. Per esempio, l’immigrazione di massa viene solitamente giustificata come una manna che compensa il calo demografico degli Europei, mentre proprio l’imposizione del sistema liberalcapitalista - rendendo la vita estremamente incerta e precaria - è una delle cause maggiori di questo declino. Questo fatto viene tuttavia notato anche da certi politici, non ancora addomesticati. Così si esprime Vladimir Spidl, presidente del Consiglio della Repubblica Ceca, dubitando apertamente che l’immigrazione possa risolvere il problema demografico:“La gente è scoraggiata ad avere più figli a causa delle difficoltà a trovare la casa, della lunga attesa per l’’impiego, dell’ambiente ostile alla famiglia, e dall’instabilità del lavoro. (5)”.

L’idiozia in questione si manifesta anche nella cecità verso gli effetti disastrosi che prima o poi subiranno le stesse centrali che attivano e speculano sul fenomeno. E’ certo che l’importazione delle masse degli immigrati pronti a svendere le loro braccia, porti agli importatori un profitto a breve termine, grazie alla diminuzione o, almeno, al contenimento del prezzo del lavoro nonché la conseguente repressione delle proteste sindacali dei lavoratori “indigeni”, a difesa dei loro diritti. Dall’altra parte, in una prospettiva a lungo termine, questa strategia dello sfruttamento spietato porterà ad una specie di suicidio economico perché provoca una serie di conseguenze nefaste e autodistruttive. Un effetto primario sarà, per le aziende, il blocco del perfezionamento tecnologico ed organizzativo della produzione e il fermo della ricerca di alternative, perché tutto questo è molto più caro della manodopera a basso prezzo.In fin dei conti, l’asserzione che l’immigrazione è necessaria allo sviluppo economico e al mantenimento almeno del volume di produzione è contraddetta dall’attuale main stream industriale, che è sottoposto ad un’altrettanto spietata regola: quella per cui i profitti maggiori vengano ottenuti non soltanto con il perfezionamento tecnologico ed organizzativo, ma sopratutto là dove sono maggiori le riduzioni dei posti di lavoro. In questa prospettiva cade il ricatto, molto frequente, che l’importazione della giovane manodopera straniera sia necessaria per rimediare la caduta verticale della natalità ed il generale invecchiamento della società europea. Le tecnologie nuove, collegate alle nuove tecniche di organizzazione sociale, offrono buone possibilità di superamento dei problemi in questione (6).L’importazione avida di masse di manodopera straniera allarga d’altra parte il popolo dei disoccupati e provoca, conseguentemente, con la riduzione del potere d’acquisto dei cittadini, l’implosione del mercato europeo. Se con sguardo attento seguiamo le linee-forza dei processi di globalizzazione, inevitabilmente individueremo un orizzonte prossimo venturo dove i prezzi e le condizioni di lavoro - sotto l’imperativo della concorrenza mondiale - dovranno essere omogeneizzati o addirittura parificati.

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Dunque, a causa del tradimento dell’Europa legale, l’Europa reale dovrà rinunciare anche alle ultime briciole del welfare e del proprio standard of life, di uno stile di vita europeo. Sotto il peso di una concorrenza globale, gli Europei dovranno ridursi a massa planetaria che patisce miseria e privazioni, accettando di vivere, per esempio, come i Cinesi. Si tratta di un orizzonte che disegna una nuova forma di morte, peraltro prevista dalla Seconda legge di termodinamica, dove un determinato sistema perde la vita per via della parificazione della temperatura delle singole molecole che lo compongono.

La politicadelle contraddizioniL’atteggiamento generale delle (pseudo) élites nazionali ed burocratiche davanti alle sfide dell’immigrazione si propone sotto il segno delle contraddizioni intellettuali (7) e delle doppiezze morali. Tra la crescente inquietudine dell’Europa reale e le direttive delle forze che oramai da molto tempo hanno evacuato la politica vera dalla scena pubblica, le (pseudo) élites producono solo finte resistenze alle ondate immigratorie. Queste resistenze apparenti hanno le forme delle leggi, dei regolamenti, delle misure protettive… Ma rimangono sempre lettera morta sulla carta, che in seguito viene pure cancellata attraverso periodiche, ma regolari sanatorie. In sostanza, salvo rare eccezioni, le (psuedo) élites fanno di tutto per giustificare, sostenere e realizzare la tesi assurda che l’invasione d’Europa degli allogeni è una necessità economica, sociale e perfino biologica.Inoltre, sebbene queste (pseudo) élites in questione abbiano accettato in pieno i principi del liberalismo angloamericano e del corrispondente individualismo egoista ed avido, tale ideologia viene applicata soltanto nei confronti degli indigeni europei e non certo agli immigrati (8). E’ evidente che si tratta di una presa di posizione molto più profonda e non di una semplice “deviazione” dalla logica aristotelica.O si tratta di un moralismo ipocrita, che maschera la brama dei profitti, o è uno dei molti sintomi dell’autorazzismo degli Europei.Durante l’ultimo decennio del XX secolo, i governi cosiddetti di centro sinistra hanno tradito e distrutto tutto il patrimonio conquistato nelle lotte sindacali imprigionando il lavoro ed il popolo dei lavoratori nelle misere condizioni di un secolo fa. Tutte le “novità” sono state presentate sotto le designazioni cinicamente false e svianti: “le riforme”, “la deregolamentazione”, “la liberalizzazione del lavoro”, “la flessibilità”…Cercando esclusivamente il bene degli immigrati - per attrarre le nuove ondate d’invasione - la politica pro-immigratoria fa del male a tutti. Un buon esempio lo offre la legge sul “ricongiungimento familiare” - introdotta prima in Germania e ora applicata generalmente in Europa dell’ovest - che gli immigrati usano per non lasciare il paese dove vendono la propria manodopera, per non rischiare, andando a visitare la famiglia in patria, di non ottenere più il visto di reingresso. L’applicazione generalizzata di questa legge - solo formalmente umanitaria - altera completamente la ragione primaria, puramente economica, dell’immigrazione. In questo modo uno stanziamento temporaneo diventa permanente. Il venditore di manodopera e tutta la sua famiglia vengono così, forzosamente e indissolubilmente legati al mondo dell’esilio ed indotti a recidere tutti i vincoli con il mondo e la comunità dalle quali provengono. Così la massa di immigrati diventa una massa di alienati, infelici e nemici del mondo che li circonda (9).Le famiglie così attratte in esilio, richiedono, per il puro mantenimento, molto di più che nel paese d’origine. Questa spesa, moltiplicata per la prole e le parentele così stanzialmente immigrate, annulla il teorico “risparmio” economico vantato da chi indica nell’immigrazione una “risorsa” e vanifica ogni speranza di un lavoro “a tempo” e di un rientro di tali lavoratori-schiavi in patria. I figli delle “famiglie congiunte” non desiderano tornare perché non ricordano più la terra natale o perché sono consci che lì

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saranno molto più estranei. Nel nuovo ambiente sono costretti a vivere in condizioni indecenti, nei ghetti della criminalità cronica, dove viene prodotto e plasmato il nuovo Lumpenproletariat che, oltre l’odio di classe, nutre verso l’ambiente europeo che lo circonda e soprattutto verso i “visi pallidi” anche un profondo odio razziale (10).Così, oramai da molti anni, nelle metropoli e nelle grandi città europee - da Londra fino a Parigi e Marsiglia, abbiamo una guerriglia permanente - con saccheggi, distruzioni, incendi dolosi, violenze e stupri - che i media coprono con il proprio silenzio, per non turbare l’illusione di un ordine pubblico.

La Chiesa Cattolicaha perso il sennoPer affrontare le sfide dell’immigrazione la Chiesa Cattolica dispone di un mezzo molto potente e sviluppato: la propria dottrina sociale. Si tratta di un frutto prodotto e maturato con il lavoro di una serie di generazioni dei teologi, cominciato con l’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII che, alla lotta di classe e al presunto dualismo tra il lavoro ed il capitale, opponeva l’idea di collaborazione e della loro complementarietà naturale ed organica. Il contenuto dottrinario della Rerum Novarum era confermato ed arricchito con l’enciclica Quadragesimo anno (1929) di Papa Pio XI, che si rivolgeva direttamente allo Stato per invitarlo a riprendere le funzioni che gli nega o, addirittura, proibisce di svolgere l’ideologia del capitalismo liberale; per incitarlo ad aiutare o sostenere gli elementi portanti della comunità e del mondo di lavoro.Questi elementi erano individuati secondo l’ottica tradizionale ed europea, applicata anche da Hegel per la definizione della comunità, dove l’individuo è riconosciuto come essere politico solo in virtù della propria partecipazione negli ordini, nelle istituzioni sociali, da quello della famiglia, fino alle associazioni corporative. Questa dottrina della Chiesa era stata confermata ulteriormente da molte altre encicliche, fino al Laborem excercens (1981), Sollecitutudo rei socialis (1988) e Centesimus annus (1993) di Papa Giovanni Paolo II.Basato sull’insegnamento evangelico, l’asse della dottrina sociale della Chiesa Cattolica è composto dal principio di bene comune che raccomanda la creazione delle condizioni che permettono all’uomo e alla comunità di realizzarsi compiutamente, dunque non solo economicamente, ma anche esistenzialmente, socialmente e spiritualmente. Altrettanto sono importanti il dovere della sussidiarietà - messo in rilievo particolarmente con l’enciclica Quadragesimo anno - e della solidarietà, compresi anche come i principi formativi ed informativi della comunità, dunque molto al di sopra della pura compassione moralistica e sentimentale.E’ importante far notare che il generale De Gaulle - proprio lo statista che più risolutamente si opponeva all’invadenza del Leviatano atlantico, difendendo fieramente l’indipendenza della Francia ed impegnandosi per l’unità europea dall’Atlantico fino agli Urali - ha accolto pienamente questa dottrina, insieme con il sistema della partecipazione degli operai agli utili e nella gestione delle imprese. Aveva l’intenzione di realizzare queste idee e questa tradizione in alternativa al liberalismo capitalista, per superare i mali immanenti a quell’ideologia angloamericana, profondamente estranea all’anima europea. Purtroppo, al referendum del 1969, che conteneva troppi quesiti, questa rivoluzione dall’alto era respinta, insieme ad altre proposte, con una maggioranza di no ed appena il due o tre per cento in più di sì.Le ondate immigratorie offrono, oggi, alla Chiesa Cattolica un’occasione unica di passare dalle parole ai fatti, per applicare concretamente la propria dottrina sociale. Le stesse dimensioni intercontinentali e sovrastatali del fenomeno immigratorio corrispondono idealmente alla pretesa universalità dell’operare della Chiesa: nessuno potrebbe accusare la Chiesa di interferire negli affari dello Stato se si impegna, impugnando la propria dottrina sociale, nella lotta aperta contro le cause neocolonialiste

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ed usuraie che producono le immigrazioni di massa dei disperati del Sud verso il Nord. Purtroppo, e molto stranamente, l’inasprirsi dell’invasione pacifica degli immigrati coincide con un anomalo silenzio della Chiesa Cattolica sulla propria dottrina sociale.Invece di rilevare le catastrofi ed accusare i primi responsabili, ossia l’economia del debito e le compagnie sopranazionali, che con lo sfruttamento totalitario e la distruzione delle rimanenti strutture comunitarie, tradizionali e culturali causano la disgregazione sociale, la fame a la miseria, spingendo i milioni di vittime verso l’esilio e il presunto benessere, la Chiesa Cattolica , attraverso le proprie istituzioni, in primo luogo caritatevoli, accoglie le masse, asseconda i bisogni economici e strategici del Leviatano atlantico ed aiuta l’invasione d’Europa. Agli occhi di quelli che si preparano per l’immigrazione, la Chiesa Cattolica con le proprie istituzioni caritatevoli è diventata un magnete, una garanzia che saranno non solo accolti, ma anche nascosti, protetti, illegalmente. Così la Chiesa Cattolica non solo tace sulla propria dottrina sociale, ma contraddice anche ai suoi principi, diventando la serva peggiore del neocolonialismo.Sotto la luce di quello che abbiamo esposto, qualche cinico potrebbe osservare che nel Preambolo della (cosiddetta) Costituzione dell’Unione europea è assolutamente giustificata l’omissione di ogni cenno sul cristianesimo, sebbene per secoli c’era un segno di equazione tra l’Europa ed il mondo cristiano.Rimane una domanda fondamentale: perché la Chiesa Cattolica oggi fa di tutto per rovesciare il quadro demografico e religioso d’Europa? Le risposte a questo quesito sono diverse: dal sospetto che per gli elementi corrotti della Chiesa le attività caritatevoli servono per lucro ed arricchimento personale - fino all’opinione che, in fondo, si tratta di un’aspettativa ingenua che gli immigrati riconoscenti chiederanno la propria conversione, ingrandendo così il gregge cattolico, oramai divenuto misero come quello protestante, dopo l’autoeviramento commesso con il nefasto “aggiornamento”, che implicava, non solo la proscrizione delle tradizioni, ma anche le censure dei testi sacri.Le spiegazioni ufficiali – ad esempio quella offerta dal Presidente della Conferenza dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini, accompagnata con la raccomandazione che bisogna scoraggiare “l’immigrazione illegale” - riducono tutto ad “un imperativo morale, prima che giuridico, accogliere chi si trova effettivamente nelle condizioni del profugo in cerca di rifugio” (11). Dunque, qui siamo molto al di sotto del principio di solidarietà, immanente alla dottrina sociale della Chiesa; siamo a livello di un moralismo piagnucoloso ed impotente.Sebbene tale “l’imperativo morale” sia perfettamente conforme al principio evangelico, bisogna notare che la sua applicazione nell’ambito del bene pubblico, provoca molti danni e pochissimi benefici.Non è la prima volta nella storia del Cristianesimo che la Chiesa affronta paradossi del genere. E’ d’altra parte evidente che la letterale realizzazione dei principi evangelici può produrre degli orrori molto più grandi di quelli combattuti.Già il Concilio di Arles, dal 315, ha limitato drasticamente il comandamento “non uccidere” con la distinzione tra la guerra giusta ed ingiusta. Seguendo l’insegnamento di Cicerone, nella lettera ad Amon, dal 356, sant’ Ambrogio offre una più sottile limitazione dello stesso comandamento (che, in origine valeva solo per i rapporti tra gli Ebrei). Il grande esegeta insegna che esistono due forme elementari della ingiustizia: fare l’ingiustizia e permettere che gli altri la commettono, non prestando la difesa a quelli che sono minacciati.La Chiesa Cattolica sembra aver completamente perso il senno, l’acume ed il coraggio del proprio intelletto, che per secoli era stata la sua più famosa e rispettata proprietà.

I servi intellettualidel Leviatano atlantico

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I sostegni intellettuali, diretti o indiretti, all’invasione pacifica dell’Europa si stendono lungo l’intero arco pseudopolitico, dall’estrema sinistra (dove i figli del “1968” sono diventati “no-global”), fino alla destra radicale. Davanti alla sfida in questione i “no-global” confermano i sospetti che si tratta di un movimento creato altrettanto artificialmente come quello del “1968 francese” utilizzato a Parigi per rovesciare la politica antiatlantica del generale De Gaulle. Il fine dei creatori e dei manipolatori del movimento “no-global” è di avere un sostegno e di diffondere l’impressione che alla globalizzazione non c’è alternativa oltre questo manipolo degli spostati che fanno discorsi fumosi e si abbandonano ai vandalismi.E si tratta di “globalizzatori alla rovescia”: scopriamo infatti che contro la globalizzazione “del capitale delle multinazionali (che) non conosce frontiere” questi “no-new global” rispondono con una sfida “uguale e contraria: fare in modo che nessuna frontiera fermi la nostra solidarietà” (12).Forse è inutile qui far notare che la citata e presunta “sfida” dei “no-global” in verità si impegna per gli stessi fini ai quali mirano gli strateghi della globalizzazione, imponendo apertamente all’Unione europea - attraverso le proprie filiali ed i media, dal dipartimento di demografia delle Nazioni unite, fino alle pagine di New York Times - di aprire completamente le porte alle invasione immigratorie dal Sud (13).D’altra parte, ai neomarxisti, profondamente delusi per il crollo del sistema del socialismo reale e per il tradimento degli ex-compagni, postcomunisti - che per il potere hanno svenduto tutte le conquiste sociali delle sinistre - le immigrazioni in massa incutono la grande speranza per la nascita di un nuovo proletariato, il materiale umano necessario per la Rivoluzione (14).Tra le voci della destra tradizionale e radicale non sono rare le voci sostanzialmente proimmigratorie, mosse dai pensieri e anche dai sentimenti filoislamici e turcofili, con le motivazioni variegate, ma tutte inconsistenti. La ricognizione di questo fronte del tradimento può partire molto dall’alto, dalla cattedra dell’altrimenti illustre medioevalista Franco Cardini, che per suscitare sentimenti filoislamici è solito usare un puerile ricatto morale.Ma non c’è nessun debito europeo verso l’islam. Gli acquisti erano regolarmente pagati. Per coltivare la propria scienza molti Europei di quell’epoca non avevano il bisogno della mediazione araba o persiana o comunque islamica: da generazioni senza soluzione di continuità, leggevano i testi antichi in originale.Accettando acriticamente la teoria di Huntington sullo scontro tra le civiltà (religiose) e giudicando l’espansione militare delle forze atlantiche per la conquista delle risorse energetiche del continente euroasiatico come una guerra dell’America giudeoprotestante contro il mondo islamico - ma completamente cieca davanti al fatto che proprio la strategia atlantica produce i più famigerati movimenti islamisti per i propri bisogni (Del Valle, 1997) - una certa destra radicale saluta l’invasione immigratoria e, soprattutto, la futura entrata della Turchia nell’Unione europea, aspettando da questi un rafforzamento del debolissimo fronte antiatlantico, secondo la formula “il nemico del mio nemico è mio amico”.Qui non c’è neppure il minimo sospetto che il prezzo di questa strategia disinvolta della liberazione degli Europei dalla occupazione atlantica dovrà essere pagato con il loro assoggettamento ad un altro, forse anche peggiore occupante.Una visuale politico-storica ristrettissima, che scorge la realtà odierna da una sorta di retrovisore della storia, fantasticando che oggi si ripeta il rapporto di forze che c’era nella Seconda guerra mondiale, quando il mondo mussulmano era alleato delle forze d’Asse. Si dimentica che questa alleanza, per i musulmani non era mossa da motivi ideali o ideologici, ma puramente pragmatici: Hitler e Mussolini erano visti come liberatori dal giogo colonialista britannico.In ogni caso, i grado di influenza di queste opinioni che circolano nella destra radicale è

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molto basso, per via della loro emarginazione forzata, sotto la censura ufficiale del politically uncorrect.Molto più nefasto è il potere di persuasione dei media più forti, al servizio delle forze dominanti, con le corrispondenti truppe d’élite, composte da maitre-à-penser, opinionisti, esperti e così via. Molto spesso così assidui e zelanti nell’eseguire i compiti loro affidati dalle pseudo-elites al potere, che esagerano e così trasmettono suggestioni prive di ogni senso.Un buon esempio di questo ci viene offerto dallo sviluppo opinionistico del tema “necessità dell’accettazione della Turchia nell’Unione europea”, proposto da Zbigniew Brzezinski: “L’America deve sfruttare la propria influenza sull’Europa per sostenere un’eventuale accettazione di Turchia nell’Unione europea e che (la Turchia) sia trattata onorevolmente, come uno stato europeo… Se la Turchia si sentirà esclusa dall’Europa - sarà proclive alla marea islamica…” (Brzezinski, 1997).Alla vigila della recente decisione degli eurocrati ad aprire tutte le vie per l’entrata della Turchia nell’Unione europea, i cori dei presunti maitre-à-penser, opinionisti ed esperti erano stati mobilitati per convincere gli Europei - rimasti in gran parte scettici, anzi: contrari - che questa apertura fermerà la marea islamica non solamente in questo paese, ma ovunque, perché così sarà premiato un “islam moderato”, anzi un “islam laico” (sic!).Così premiato questo luminoso esempio turco, sarà la volta di altri paesi islamici e l’incubo dell’islamismo radicale sarà per sempre allontanato…In questo modo i buoni scolari nostrani di Brzezinski hanno trasformato una crepa nel suo tema in una fossa dell’assurdo per il proprio pensiero, suscitando nuove domande e ipotesi.Quanto enunciato deve essere forse interpretato come un’avvisaglia delle intenzioni eurocratiche di invitare anche altri paesi mussulmani a divenire membri dell’Unione europea?Altrimenti, se le porte dell’Unione europea, dopo l’ingresso della Turchia, rimanessero chiuse per gli altri paesi mussulmani, almeno dell’area mediterranea, questi resterebbero privi degli incentivi per seguire l’esempio turco nella via verso un “islam moderato” o perfino “l’islam laico” …Più probabilmente l’entrata della sola Turchia nell’Unione europea sarà vista in questi paesi come un modo subdolo degli occidentali di rottura dell’umma (la comunità) e cioè dell’unità del mondo musulmano.Non c’è bisogno di sottolineare come questi sentimenti possano inasprire le idiosincrasie e la marea islamista.

La saggezzaè nei mitiMalgrado le differenze notevoli di moventi e di ragioni pro-immigratorie tra i principali centri di potere - e che abbiamo toccato in veloce rassegna - esiste un elemento in comune a tutti. Se questo elemento deve essere designato con una sola parola, questa è indubbiamente la stupidità.E’ evidente che al tradimento dell’Europa partecipano anche molti altri moventi e interessi, spesso nascosti sotto quelli falsi, moralistici ed ufficiali. Ma anche molti di questi sono collegati - direttamente o indirettamente – con la stupidità. Bisogna ricordare che la luce della cattedra di Platone ci ha illuminato per sempre sulla relazione e sull’interdipendenza tra l’etica e la logica, ossia l’intelligenza, e che questo insegnamento, dopo secoli di oblio è stato riabilitato da Kant, Fichte e Weininger, proprio quale unico antidoto alla marea dilagante della stupidità moderna, mercantile e borghese (15). Eccoci dinanzi ad una domanda fondamentale che è di importanza essenziale per il destino degli Europei: che cosa ha provocato una così profonda,

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dilagante, ostinata e soprattutto dominante ed aggressiva stupidità? Come è stato possibile che proprio nel cuore dell’Europa - che per millenni era stato il centro del pensiero umano più avanzato, coraggioso e alto - la stupidità sia diventata la padrona?Forse si tratta di uno dei quesiti più difficili cui rispondere.Finora un tale quesito sull’origine e l’avanzare del predominio della stupidità - per quanto ne sappiamo - non era stato mai posto sul tavolo delle riflessioni sull’Europa.Per rispondere a questo interrogativo, secondo le regole delle scienze moderne, è necessario intraprendere una notevole ricerca retrospettiva, lungo le molte vie e le molte dimensioni assunte dall’uomo europeo e dalla sua comunità.E una ricerca così ampia e pluridisciplinare, oltre a richiedere l’opera di una massa di ricercatori e lunghi anni di lavoro, potrebbe avere un esito incerto, si potrebbe cioè perdere completamente nella giungla sempre fiorente di nuovi fatti e fenomeni.Perciò anche in questo caso il tesoro mitologico degli Europei ci offre un’alternativa, una prospettiva cognitiva molto più veloce e sicura.Il vero mito è una cristallizzazione delle esperienze della comunità che sono state raccolte e verificate nel corso di lunghi secoli ed anche millenni.Allora, quale mito conservato nel tesoro europeo ci può aiutare almeno per una tesi di lavoro se non proprio come l’indicatore diretto della verità?Il mito più antico sulla stupidità è quello sul fratello di Prometeo, Epimeteo, il cui nome significa “colui che comprende tardi”.A differenza di Eschilo, che nella tragedie Prometeo incatenato sostiene che l’unica causa del martirio di Prometeo è il suo amore sconfinato per il genere umano - Platone ci informa, nel Protagora, che il fuoco regalato agli uomini era una specie di compensazione di un errore di Epimeteo.Avendo avuto dagli dei il compito di distribuire al genere animale i mezzi per la sua autodifesa, Epimeteo aveva per tanto “risparmiato” il male e così era arrivato agli uomini con le mani vuote.Ad un certo punto della tragedia eschiliana, Kratos, l’incarnazione del potere supremo, alludendo al nome dell’incatenato - che letteralmente significa “quello che prevede” - gli dice: “A torto i divini ti chiamano Prometeo!”.Solo in questa epoca, assediati dalla catastrofe planetaria di una civilizzazione tutta fondata sul fuoco, sull’esplosione e sulla consumazione ignea, possiamo capire la lungimiranza di Zeus e la giustezza del castigo inflitto a Prometeo.Con una serie di indicazioni ed allusioni dirette e indirette, questo complesso di miti accusa hybris, la civilizzazione, come la prima causa dell’istupidimento.Sia nel Prometeo incatenato, sia nelle Eumenidi, dando la voce alle divinità vecchie, spodestate ed orrende, Eschilo ci trasmette la memoria della conquista e della vittoria euroariana, che ha portato il trionfo degli dei celesti sulle divinità sotterranee degli indigeni. L’Atlantide è la più compiuta immagine mitizzata di questa civilizzazione dei Titani che Prometeo ha tradito.Anche lui un Titano, il Prometeo eschiliano li ha traditi perché “spregiarono i mezzi di astuzia: le loro menti dure si figurarono un dominio senza fatica, grazie alla violenza.”Siamo liberi di concludere che la civilizzazione - alienando l’uomo dalla vita naturale - sia la principale causa dell’istupidimento?

Sì, però questa indicazione generale non ci può essere di grande aiuto perché nel contesto della civilizzazione occidentale il processo di istupidimento delle (psuedo) élites europee è molto più avanzato perché ha cause particolari e diverse.Un’altra importante trattazione delle esperienze di stupidità cristallizzate è rintracciabile nel ciclo dei racconti popolari sulle avventure di Guglielmo Tell. Si tratta dei racconti popolari tedeschi sulla Città degli stupidi.In questa città gli abitanti fanno tutto il contrario rispetto al buon senso, rallegrando il

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cinico Guglielmo Tell, che pure li sollecita ad essere ancora più stupidi, per il proprio divertimento.Per esempio, i cittadini hanno costruito la casa comunale dimenticando le finestre; per rimediare, hanno tentato di raccogliere e portare la luce, raccolta dentro dei secchi, dei vassoi e dei sacchi. Tagliando gli alberi alla cima del monte faticosamente hanno cercato di portare a mano dei tronchi, fino alla pianura. Solo l’ultimo tronco è scivolato dalle loro mani stanche e solo questo, rotolando, è arrivato alla destinazione. Questo fatto li ha illuminati: così hanno riportato tutti i tronchi in cima, per poi spingerli a rotolarsi, e così… si sono liberati dalla fatica.E’ opportuno precisare che gli abitanti della Città degli stupidi non erano sempre stupidi. Anzi, una volta godevano della fama di più intelligenti ed addirittura saggi. I sovrani di molti paesi si contendevano i loro servizi e consigli. Questa offerta del proprio acume è durata però finché le loro mogli non si sono stancate imponendo ai mariti un ordine ultimativo di tornare a casa. A questo punto un sovrano ha deciso di conquistare con la forza la città dei saggi per ottenere i loro servizi solo per sé. Consci che le loro forze erano troppo deboli per resistere all’armata che si avvicinava, i saggi cittadini hanno deciso di capitolare, ma anche di simulare la stupidità davanti al conquistatore, sicuri che alla fine, deluso, il nemico li avrebbe lasciati in pace. Infatti, entrando in città e vedendo intorno a sé solo gli spettacoli di incredibile stupidità, che potevano servire solo per un suo divertimento negativo, il sovrano decise di ritirarsi. Purtroppo, mossi dalla paura che il nemico sarebbe tornato a verificare il loro stato di intelligenza, a forza di simulare sempre ed ovunque la propria stupidità, i cittadini hanno dimenticato il perché del loro trucco e sono diventati veramente tutti stupidi. Così sono diventati famosi per le loro scemenze.Dunque, la paura è il movente di un’imitazione mimetica della stupidità che con il tempo, a forza di perdurare, può trasformarsi in uno stato reale?La leggenda popolare sulla Città degli stupidi, su come i saggi siano diventati scemi, è confermata con un fenomeno della nuova storia d’Europa, che dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale è stata divisa in due zone d’occupazione, con le corrispondenti ideologie, i sistemi di indottrinamento forzato e i guardiani del politically correct. Non sono mancate nemmeno le eliminazioni fisiche dei non correct e nei primi anni del dopo guerra sono stati eliminati almeno due milioni di “colpevoli” o potenzialmente nemici. Per sopravvivere gli Europei dovevano far finta di conformarsi alle ideologie imposte, di accettare gli occupanti come se fossero i liberatori, ossia dovevano far finta di essere stupidi.Come ci insegnano i racconti sulla Città degli stupidi, questo trasformismo mimetico, con il tempo, a forza di perdurare, ha soppiantato l’intelligenza nascosta ed è diventato la vera natura, la proprietà richiesta, obbligatoria ed essenziale per le (pseudo) élites al potere.

Una cena alla Casa bianca: l’inizio formale dell’istupidimentoSe è necessario fissare una data d’inizio dell’istupidimento degli Europei, è da fissare al 3 aprile del 1949. Quel giorno a Washington era stata firmata l’Alleanza atlantica, ed il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, con i segretari di Stato alla Difesa (Louis Johnson) e alla politica estera (Dean Acheson) aveva offerto una cena alla Casa bianca, per i ministri degli Esteri dei paesi membri. Come ci testimonia un fonogramma (16) delle conversazioni a tavola, il presidente degli Stati Uniti aveva aperto il conclave con una minaccia falsa, dicendo agli ospiti europei che era ormai imminente l’invasione sovietica sull’Europa occidentale: “Dobbiamo, infatti, avere ben presente che, a dispetto dell’enorme potenziale di guerra americano, le nazioni occidentali sono praticamente disarmate e non hanno nessuna possibilità di impedire che le cinquecento divisioni (sic!) sovietiche schiaccino l’Europa occidentale…” Per ridurre al silenzio a priori ogni

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richiamo alla superiorità militare degli Occidentali, basata sul possesso allora esclusivo delle bombe atomiche, il presidente Truman aveva detto gli ospiti europei di non illudersi: “…per non parlare poi della necessità di doverla eventualmente usare contro i nostri alleati dell’Europa occidentale quando fossero occupati.”Nessuno dei ministri europei presenti ebbe l’intelligenza o il coraggio di chiedere perché le bombe atomiche non potessero essere usate contro i centri militari del nemico nel primo giorno dell’invasione piuttosto che dopo la disfatta, ad occupazione conclusa, contro le città degli alleati.In verità, una possibilità di aiuto militare americano, il presidente Truman l’aveva fatta balenare dopo, ma sotto certe condizioni: “… il sacrificio di alcuni tradizionali obiettivi economici e di sicurezza: ciò potrebbe rendere l’accettazione non particolarmente auspicabile da parte vostra.”Dopo di lui avevano preso la parola i segretari di Stato per chiarire agli ospiti europei che i loro Stati dovevano sacrificare le colonie.Il ministro degli esteri dell’Olanda Dirk Stikker fu l’unico ad avere il coraggio di esprimere ad alta voce ciò che pensava: “Siamo preoccupati che gli Stati Uniti subentrino agli interessi olandesi nelle Indie per lo sfruttamento della ricchezza economica dell’area.”Gli altri rappresentanti dell’Europa occidentale pensavano probabilmente le stesse identiche cose sul ricatto atlantico, ma non avevano la forza di contraddire i loro padroni: facevano finta di non capire, di essere stupidi.Così è cominciato - ufficialmente e storicamente – il processo di istupidimento degli Europei, dalla recitazione mimetica fino al completo immedesimarsi con l’idiota.Ci rimane almeno la consolazione che poteva andare anche peggio. Il male che le (pseudo) élites al potere, a servizio del Leviatano atlantico, hanno fatto agli Europei poteva essere ben maggiore se fossero stati in possesso di un’alta intelligenza.E’ una consolazione che ci tramanda Donoso Cortes: “Se Dio non avesse condannato… gli ingannatori di professione ad essere perennemente stupidi, o se non avesse messo nella loro propria virtù un freno per quelli che hanno una prodigiosa sagacia, le società umane non avrebbero potuto resistere né alla sagacia degli uni, né alla malizia degli altri.” (Donoso Cortes, 1946).

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http://www.ecn.org/reds/mondo/europa/balcani/jugoslavia/balcani0102destraserba.html

DRAGOS KALAJIC: NERO PROFONDO, OCCASIONALMENTE ROSSOIMPRESE E FREQUENTAZIONI ITALIANE DI UN ESPONENTE DELL'ESTREMA DESTRA SERBA 

febbraio 2001, di Andrea Ferrario. Questo articolo viene pubblicato in contemporanea anche su Notizie Est.

 

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Probabilmente molti di coloro che hanno seguito le trasmissioni della RAI, la televisione di stato italiana, nel corso dei bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia e sul Kosovo nel 1999 si ricordano un signore serbo, ospite pressoché regolare della trasmissione "Pinocchio", allora quasi quotidiana, che con fare distinto e una buona padronanza della lingua italiana difendeva le ragioni della "parte serba". Alcuni forse si ricordano che, dopo avere partecipato a quasi tutte le trasmissioni, tale signore è stato accusato dal conduttore Gad Lerner, senza ulteriori particolari, di avere pubblicato uno scritto dai toni antisemiti e per tale motivo non è più stato invitato alla trasmissione, anche se ormai la cosa era irrilevante visto che "Pinocchio" stava chiudendo il suo ciclo. Tale distinto signore si chiama Dragos Kalajic ed è stato allora presentato a milioni di telespettatori come "esperto di geopolitica". Dopo i bombardamenti, Kalajic ha continuato a essere attivo in Italia, dividendo le sue attività tra le collaborazioni con la Lega Nord e la partecipazione a varie iniziative della sinistra internazionalista, in particolare quelle organizzate da esponenti della sezione italiana del Tribunale di Ramsey Clark. A tali iniziative Kalajic ha il più delle volte partecipato a fianco di Fulvio Grimaldi, editorialista di "Liberazione", organo di Rifondazione Comunista, con il quale è in rapporto di amicizia. Presentato anche dai leghisti e dai soggetti della sinistra internazionale come esperto di geopolitica, Kalajic è in realtà un estremista di destra della peggiore specie, che da anni è aperto fautore di idee razziste, antisemite, omofobe e fondamentaliste, oltre a essere stato strettamente legato a criminali di guerra

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serbo-bosniaci e al regime di Belgrado. Sebbene Kalajic non sia, a livello politico, un personaggio di primo piano, vi sono due motivi che rendono importante analizzarne nei dettagli la figura e il modo di agire, come faremo qui sotto. In primo luogo, egli riassume in sé tutte le caratteristiche fondamentali dell'estrema destra "slavo-ortodossa" (Kalajic ha intensi rapporti con l'estrema destra russa), in secondo luogo la sua collaborazione in Italia da una parte con la Lega Nord e dall'altra con alcuni soggetti della sinistra internazionalista costituisce un precedente pericoloso che è importante documentare e denunciare.

CHI E' DRAGOS KALAJIC

Dragos Kalajic è nato a Belgrado nel 1943 e ha portato a termine i propri studi in Italia nel 1966 diplomandosi presso l'Accademia di Belle Arti di Roma. Autore di alcuni libri di carattere "culturologico" e "cospirazionista" nella Jugoslavia degli anni '70, sotto Tito, Kalajic ha trovato il proprio momento d'oro nel 1987, con l'ascesa al potere di Milosevic e il lancio della sua politica di "risveglio nazionale". Proprio in quell'anno egli è infatti diventato redattore e collaboratore regolare del settimanale "Duga", una delle principali voci del nuovo nazionalismo serbo, noto per avere ospitato regolarmente articoli della moglie di Milosevic, Mira Markovic, e del suo entourage. Nei primi anni '90 Kalajic è diventato uno degli esponenti di punta di un gruppo di intellettuali belgradesi, i cosiddetti "nuovi fascisti", che riaffermavano le idee di uno dei principali fascisti e squadristi serbi degli anni '30, Dimitrije Ljotic. Più precisamente, come scrive a proposito Ognjen Pribicevic, "simile ai fascisti serbi di tale periodo, questo gruppo di intellettuali è favorevole all'abolizione del parlamento e all'introduzione di una monarchia autoritaria, nonché di uno stato corporativo molto forte, invece del capitalismo liberale. [...] Questo gruppo propone la cristianità ortodossa come il fondamento spirituale per costruire la 'nuova vita' della società" (Ramet, 199; pag. 202). Del gruppo dei "nuovi fascisti" faceva parte anche Dragoslav Bokan, capo delle "Aquile Bianche", una formazione paramilitare che ha commesso crimini in Bosnia e che considerava Kalajic il proprio padre spirituale (Bokan: "Dragos è per noi come un padre" [Kalajic, 2000; introduzione di I. Cislov, pag. 12]). Ed è proprio con la guerra in Bosnia che Kalajic ha fatto un nuovo salto di qualità: lui, serbo di Belgrado, è diventato amico e consigliere di Radovan Karadzic e di Ratko Mladic, ottenendo il posto di deputato del parlamento serbo-bosniaco e di rappresentante plenipotenziario del governo di Pale all'estero (Kalajic, 2000; introduzione di I. Cislov, pag. 8). Con la rottura, a livello ufficiale, dei rapporti tra Belgrado e Pale, alla fine del 1994 Kalajic ha cercato di darsi un'aura di dissidente nei confronti del regime di Milosevic. In realtà, molti elementi provano il contrario, come per esempio il fatto che negli anni successivi egli abbia continuato a partecipare a trasmissioni televisive dell'irregimentata televisione di stato serba o che alla presentazione di un suo libro a Mosca abbia partecipato ufficialmente la locale ambasciata jugoslava. Nel 1997 Kalajic hafondato a Belgrado, con alti ufficiali dell'esercito jugoslavo, l'Istituto di StudiGeopolitici, fatto che consentirà successivamente a questo personaggio, diplomatosi all'Accademia di Belle Arti e dedicatosi per tutta la vita unicamente alla propogazione di idee di estrema destra, di presentarsi all'estero come "esperto di geopolitica". In tutti questi anni Kalajic ha continuato tra le altre cose a mantenere intensi contatti con intellettuali dell'estrema destra russa (Glazunov, Dugin, Rasputin, Safarevic). Nel 1999, con la guerra in Kosovo, Kalajic è riuscito infine a cogliere una nuova occasione di rilancio sulla scena. Poco prima dell'inizio dei bombardamenti, e più precisamente nel febbraio di quell'anno, è stato nominato corrispondente in Italia dell'agenzia di stampa di regime Tanjug, secondo alcune fonti su raccomandazione della JUL di Mira Markovic (AIM Podgorica, 9 marzo 1999; "Republika", 1-15 aprile 2000 e "Reporter", 8 maggio 1999). Del suo recente "periodo italiano" riferiremo nei dettagli più avanti, ma prima di andare oltre vale la pena citare l'efficace profilo che di lui ha tracciato recentemente uno dei più noti giornalisti serbi, Teofil Pancic: "Dragos Kalajic [è un] noto dandy belgradese, snob e fascista da salotto, adoratore della 'società corporativa' di Mussolini, simpatizzante delle famigerate 'teorie sulla razza' e dei movimenti dell'estrema destra in tutta Europa, estimatore della letteratura 'revisionista' sulla Seconda guerra mondiale, di Radovan Karadzic, di Le Pen" (AIM Podgorica, 9 marzo 1999). Parole che vengono pienamente confermate alla lettura degli scritti di Kalajic.

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L'ESTREMA DESTRA IN VERSIONE SLAVO-ORTODOSSA

Kalajic è un personaggio camaleontico, nel senso che è molto abile a sintonizzare il proprio linguaggio e il proprio bagaglio concettuale sull'onda del contesto in cui si trova nel dato momento. Così, alla RAI è riuscito a fare passare certi concetti con toni moderati adatti al grande pubblico (sulle sue tecniche vedremo più avanti un'illuminante spiegazione). Nella sua produzione scritta, e in particolare quella dedicata direttamente al pubblico serbo e/o russo, Kalajic si esprime invece in maniera molto più chiara. Prenderemo qui come campione una sua vasta raccolta di scritti intitolata "Amerikanskoe zlo", uscita in russo a Mosca nel 1999 a cura di un suo amico, I. M. Cislov. Già una lettura dei titoli dei capitoli è abbastanza eloquente: dall'introduzione "L'ultimo ariano", ai brani intitolati "Francesi? No, stelle a sei punte", "Per un'unità indoeuropea dei popoli", "Il grande bluff dei froci", "Il pacifismo contro il cristianesimo", "Il capitale sovranazionale finanzia la sinistra", "Il futuro appartiene all'ortodossia" ecc. I capisaldi del "Kalajic-pensiero" sono quelli tipici dell'estrema destra: esiste una cospirazione "mondialista" contro l'umanità i cui agenti sono il capitale "sovranazionale" (quello nazionale invece è "buono"), gli ebrei, i massoni e i "froci"; questa cospirazione è stata organizzata nel corso degli anni dal capitale sovranazionale e dai comunisti, che sono i due grandi nemici (con qualche eccezione per i secondi quando sono nazional-comunisti - si veda nei dettagli più sotto); l'umanità può salvarsi da questa minaccia incombente solo facendo riferimento a valori tradizionali e ancestrali, alla famiglia procreatrice, al pugno di ferro autoritario, alla cultura tradizionale indoeuropea, ariana e bianca, al ritorno a prima della rivoluzione francese. Nella variante slavo-ortodossa di Kalajic questa salvezza verrà garantita da una Santa Russia liberatasi dagli ebrei e dalle minoranze musulmane. In questo momento però, secondo la variante slavo-ortodossa, sono i serbi che stanno guidando la lotta degli slavi e degli europei con la propria guerra di difesa dalla congiura mondiale, cercando di salvare l'Europa dal dominio degli ebrei-massoni americani e dall'invasione musulmana, i cui presupposti agenti sarebbero sia le minoranze islamiche dei Balcani, sia gli emigranti che "invadono" il continente dal Terzo Mondo. Il neofascismo slavo-ortodosso ha, fatte salve rare eccezioni, una sua peculiarità rispetto al neofascismo classico: non rivendica l'eredità del nazismo come propria, e questo è logico, visto che il nazismo non prevedeva per i popoli slavi altro che la schiavitù e lo sterminio. Solo occasionalmente si trovano accenni vaghi alla "tradizione germanica". E ora, tenendoci forte lo stomaco, andiamo a esaminare più direttamente il campionario ideologico di Kalajic.

RAZZISMO: Il curatore russo Cislov, amico personale di Kalajic, ci fornisce subito nell'introduzione al volume un'informazione illuminante sulle tecniche mediatiche dell'estremista di destra serbo. Nel 1998, prima di entrare in studio per una trasmissione della televisione serba, Kalajic ammonisce l'amico russo: "Saremo in diretta. Non pronunci la parola 'ebrei', ma dica semplicemente 'gente di altra stirpe' [inorodcy, traducibile anche come 'allogeni']. La gente capirà di cosa si tratta" (pag. 10). Un'altra tecnica tipica di Kalajic è quella di citare con ammirazione le frasi razziste di altri, facendone così passare il contenuto come proprio, senza tuttavia assumersene una responsabilità diretta. Per esempio, egli dedica un intero capitolo apologetico al pittore russo, ed estremista di destra, Glazunov, narrando tra le altre cose come quest'ultimo, mentre era in compagnia dello stesso Kalajic, sia stato riconosciuto in un taxi dall'anziano conducente, il quale con entusiasmo gli si confessa: "Con lei io andrei fino all'inferno, se fosse necessario. Lei non ha paura di dire la verità [...]. Ci hanno di nuovo sottratto il potere, come nel 1917. [Il suo amico serbo] sa che oggi qui sono tornati nuovamente al potere loro, gli ebrei? Tutti questi premier e vicepremier, ministri, economisti, consiglieri, sindaci e prefetti... perfino il mio vicino. Sentendo che è venuto nuovamente il suo tempo, tutto questo pattume è tornato da dove si trovava, nell'emigrazione. [...] Ci vogliono ridurre a bestiame che non può più fare nulla". Kalajic si commuove, ma è incapace di spiegare con parole semplici all'anziano taxista come tutto questo sia frutto di un "nichilismo plurisecolare". Ci pensa l'adorato (da Kalajic) Glazunov che risponde come segue: "Lei esagera... Io sono solo un piccolo soldato della grande Russia. Oggi ognuno deve stare al suo posto e fare tutto quello che può per la salvezza e la rinascita della Russia" (pagg. 46-47). Più avanti è lo stesso Kalajic ad affermare che "un

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gruppo di gente "di altra stirpe" (inorodcy) e di russofobi ha conquistato e mantiene il potere con metodi dittatoriali sul grande popolo russo". Poco più sotto, sempre di fronte all'amico serbo entusiasticamente conseziente, Glazunov se la prende con gli immigrati islamici, che "diffondono l'AIDS in Russia" e conducono "una guerra genocida" per "distruggere il nostro patrimonio genetico" (pag. 50). Kalajic, di suo pugno, si lamenta del fatto che su tutto questo "la Tel Avisione" russa non dice nulla, notando che una delle sue più note annunciatrici ha ributtanti tratti "mediorientali" (pag. 51-52) e che la "Tel Avisione" conduce "un'azione anticristiana" (pag. 53). Kalajic inoltre ci spiega che "le persone di altra stirpe hanno imposto un sistema genocida al fine di distruggere l'élite russa" (pag. 57). Ma la congiura ebrea non è una novità, spiega il neofascista, perché già "il partito comunista [sovietico] era un partito di gente di altra stirpe e di russofobi (quasi tutti i suoi dirigenti, come è noto, erano ebrei)" (pag. 64). Le allusioni a "gente d'altra stirpe" ricorrono in decine di punti del libro e, a livello più "teorico", Kalajic dedica l'intero capitolo di apertura a spiegarci come gran parte dei mali del mondo vengano da chi ha rifiutato il Nuovo testamento e continua a fare riferimento al Vecchio testamento. L'alternativa a questa degenerazione è costituita dalla "visione del mondo slava", e in particolare da quella russa e serba, superiore alle altre perché in essa l'individuo ha un "legame indissolubile e organico con la comunità spirituale, nazionale, etnica e culturale" (pag. 120). Gli slavi, inoltre, sono un popolo "dall'impulso creatore di stati [...] che per la sua potenza suscita analogie con l'impeto dei popoli germanici". Tale "impulso statale prende origine dalle radici metafisiche della quintessenza slava", la cui forza "si manifesta nelle aspirazioni transnazionali e imperiali - nel miglior senso di questa parola - dei russi e dei serbi" (pag. 121). Questi slavi spiritualmente superiori non vivono però in uno spazio nazionalmente omogeneo; in particolare, si trovano nella spiacevole situazione di dovere convivere con gli albanesi e altre minoranze islamiche. Da questo punto di vista, scrive Kalajic, le sanzioni economiche contro la Serbia hanno però avuto un effetto paradossalmente positivo: hanno costretto all'emigrazione una "massa di potenziali partecipanti a movimenti separatisti [...] togliendo in tal modo molto sangue alle loro forze e alle loro ambizioni". Secondo i "nazionalisti schipetari", spiega Kalajic, negli ultimi due-tre anni è emigrato all'estero circa "mezzo milione di schipetari". La cifra sembra gonfiata, prosegue Kalajic, "nel tipico stile delle esagerazioni islamiche, caratteristiche in genere del folklore arabo-semita", ma comunque "in questo caso vi sono tutti i presupposti per una grande felicità da parte di tutti coloro ai quali sta a cuore l'integrità territoriale della Serbia" (pag. 194). Più in generale, secondo Kalajic, è tutta l'Europa a essere minacciata da orde di islamici e di immigrati. A tale proposito cita l'esempio della Francia, oggetto degli attacchi del capitale sovranazionale che ha messo a punto un piano per "colonizzare il paese" con un "afflusso massiccio di immigranti". Questo è possibile perché "manca qualsiasi azione da parte delle autorità che sia in grado di interrompere o modificare i processi migratori" e quindi "i francesi devono adottare da soli misure immediate e dure per difendersi dall'immigrazione". Invece di sradicare il male dell'immigrazione, osserva Kalajic, le autorità francesi se la prendono con l'unica forza sana, il Fronte Nazionale di Le Pen, che propone giustamente "la deportazione degli immigrati". Si tratta "di un razzismo al contrario", perché "bolla [di razzismo] i francesi che si oppongono alla distruzione della propria identità e della propria sovranità nazionale", si tratta di "un'operazione per trasformare la Francia in un paese che non apparterrà ai francesi, bensì a qualche 'società multietnica' " e che ha già causato la "babilonizzazione di Parigi" (pag. 40-44). "I francesi si stanno trasformando in una minoranza nazionale a causa del continuo afflusso di immigrati dai paesi del Terzo mondo" e, aggiunge Kalajic, "non mi sorprende affatto che il presidente francese Chirac minacci i serbi di intervento armato, per consegnarli a un destino analogo a quello dei francesi" (pag. 230-231). Sullo stesso tema Kalajic, pur essendo un convinto anticomunista, deve ammettere di riconoscere un unico merito al socialismo reale: "ha salvato a suo tempo la Russia (e l'Europa Orientale) dall'invasione degli immigranti dai paesi del Terzo mondo" (pag. 102).

OMOSESSUALI, FAMIGLIA: Oltre agli ebrei, dietro alla cospirazione "mondialista" vi sono anche gli omosessuali, che Kalajic definisce con disprezzo "pederasty" [il termine, nelle lingue slave, ha un significato molto più volgare e offensivo della

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voce dotta italiana "pederasti", e va tradotto come "froci" o "finocchi"]. Nel capitoletto "Il grande bluff dei froci" Kalajic spiega come il capitale sovranazionale si basi sulle teorie del "cervello omosessuale di John M. Keynes" e giunge alle seguenti conclusioni: "Il sistema di Keynes e l'egemonia del dollaro sono fenomeni che vanno contro natura, così come va contro natura qualsiasi rapporto omosessuale, con il quale i partner non arricchiscono l'amore con nuove forme, ma si limitano a imitare pateticamente i rapporti tra uomo e donna consacrati dalla natura" (pag. 30). L'Occidente corrompe gli slavi anche con altri mezzi, per esempio con "l' 'arte' frocia di diversi degenarati in stile Andy Warhol" o con la televisione nella quale oggi "dominano le illusioni e le mistificazioni della pseudocultura occidentale, dalla psicoanalisi freudiano-cabalistica fino alla 'rivoluzione sessuale' e non a caso nel vocabolario della resistenza patriottica russa la televisione viene chiamata 'golubyj ekran' ('schermo azzurro')", termine che ha "una particolare sfumatura perché golubyi vengono definiti in russo anche gli omosessuali" e viene utilizzato per riferirsi alle trasmissioni "che attaccano il patriottismo russo e la Chiesa Ortodossa Russa [...] difendendo i diritti di determinate minoranze nazionali e quelli delle 'minoranze sessuali' e dei drogati" (pag. 51). Kalajic non esita a cadere ancora più nel ridicolo, come quando tesse una lode del "valzer, ultimo ballo dell'Europa monarchica" per prendersela poi subito dopo con il "ballo degli infrolliti barbari afroamericani" il cui nome "è un riassunto ideologico del programma nichilistico di distruzione dell'uomo: il rock'n'roll" e il cui "dum-dum è un invito all'autodistruzione, è una reclame alla perversione, al satanismo e alle droghe sintetiche" (pag. 125), righe, si prega di notare, che sono state scritte da Kalajic non nei lontani anni '50, bensì nel recente anno 1992! Il neofascista è anche un gran bacchettone, come dimostra la sua affermazione che questa cultura degenerata "ha lasciato all'uomo solo la tecnica del sesso, distruggendo l'istituto eroico e metafisico del matrimonio e della fedeltà coniugale e imponendo al suo posto, come modello, la promiscuità collettiva" (pag. 126). Tutto ciò è la conseguenza funesta "della rivoluzione studentesca del 1968, dalle cui conseguenze distruttrici le università europee non riescono ancora oggi a riprendersi" (pag. 127).

ANTICOMUNISMO: Kalajic, in quanto tipico estremista di destra, è un convinto anticomunista. Secondo i suoi ragionamenti, comunismo e capitale sovranazionale sono figli gemelli degli stessi genitori: la massoneria e l'ebraismo. La minaccia "mondialista" sarebbe nata negli anni della prima guerra mondiale, come spiega Kalajic: "Con l'aiuto operativo e il sostegno ideologico della massoneria speculativa il capitale usuraio ha infine provocato la Prima guerra mondiale e, dopo di essa, le rivoluzioni di Febbraio e di Ottobre, al fine di distruggere i tre imperi cristiani che fino a quel momento avevano resistito ostinatamente, in una certa misura con successo, a ogni tentativo di conquista" (pag. 112). "Nella seconda metà del XX secolo", prosegue Kalajic, "negli stati slavi sono giunti al potere dei criminali di altra stirpe e pseudoélite orientate internazionalmente. [...] Oggi anche agli scemi è chiaro che l''internazionalismo' di ieri era solo una variante del mondialismo" (pag. 118), infatti, "cacciato dall'Europa, Karl Marx, con il suo odio scatenato contro i valori e le tradizioni autenticamente europei si è ritirato negli USA, dove ha trovato nuovi adepti. In sostanza [...] il marxismo è tornato proprio là da dove era stato lanciato in Europa, e in primo luogo in Russia, con l'aiuto dei capitali investiti dalla 'internazionale' usuraia nella Rivoluzione d'Ottobre" (pag. 127). I serbi in particolare hanno dovuto subire "la politica serbofoba del regime antislavo di Tito" (pag. 190) e in Serbia "tutte le sventure, le tragedie, le privazioni, le sofferenze, i genocidi sono venuti sempre da sinistra, provocati da ideologie orientate a sinistra: dalla massoneria al comunismo" (pag. 179). Le frontiere interne alla Jugoslavia sono state tracciate a tutto danno dei serbi "dal massone Josip 'Ambroz' Tito", del quale ci viene spiegato in una nota che era di origini ebree (pag. 218). Nonostante il suo anticomunismo, tuttavia, Kalajic ritiene che tra i comunisti vi sia una sensibilità per i valori tradizionali e patriottici e pertanto ritiene "artificiosa" la separazione tra destra e sinistra, strumento del capitale "sovranazionale" che la utilizza per "dividere e comandare" (pagg. 64, 227 e 228). I comunisti, insomma, sono ricuperabili alla destra, come il neofascista argomenta più precisamente in un dialogo con l'estremista di destra russo Dugin contenuto nel volume collettivo, "Il segreto dei Balcani", pubblicato a Belgrado nel 1996 con finanziamenti del locale

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Ministero dell'educazione: "Noi, uomini di destra, dovremmo oggi smettere di attaccare i comunisti, tenendo presente che queste forze hanno subito una profonda trasformazione, in senso positivo, vale a dire che oggi i comunisti sono nostri alleati potenziali o effettivi". Alla sua osservazione risponde consenziente Dugin: "Gli attuali nazional-comunisti sono una realtà politica recente e nuova. Sono per loro natura più simili ai rivoluzionari conservatori del 'movimento germanico' che ai bolscevichi" (citato in "Feral Tribune", 26 febbraio 1996). Frasi da tenere presenti quando più sotto andremo ad affrontare i rapporti tra Kalajic e alcuni soggetti della sinistra italiana.

AUTORITARISMO, TUDJMAN, KOSTUNICA...: Per completare il quadro di questo personaggio emblematico dell'estrema destra "slavo-ortodossa", aggiungiamo alcuni ultimi particolari curiosi. In campo economico Kalajic ha come propri stati modello il Cile, il Giappone e la Corea del Sud. Il problema di questi stati è però evidentemente che sono troppo "morbidi". Nello stato "slavo" che piacerebbe a Kalajic ci sarebbe sì il capitale, ma con un governo dal pugno di ferro: "Le dimensioni enormi del potenziale mercato degli stati slavi, nel caso di una loro unione, [verranno garantite] se necessario, anche da un assolutismo estremo" (pag. 130). Abbiamo inoltre notato come Kalajic se la prenda costantemente con le minoranze islamiche e gli immigrati dal terzo mondo - trattandosi di un ultranazionalista serbo, sembrerebbe naturale attendersi da lui anche una posizione anticroata, tanto più che alcuni dei capitoli del volume "Amerikanskoe zlo" sono stati scritti proprio negli anni della guerra in Croazia o immediatamente successivi a essa. Invece nei suoi scritti non siamo riusciti a trovare nulla contro i croati. Anzi, alcune fonti parlano di suoi legami con l'estrema destra croata, come Petar Lukovic, corrispondente da Belgrado della rivista croata "Feral Tribune", nel suo articolo per quest'ultima pubblicato il 14 ottobre 2000, o l'agenzia bosniaca TWRA, la quale segnalava in un suo articolo del 27 settembre 1995 che a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90 "Kalajic avrebbe scritto lodi al presidente Tudjman, descrivendolo come 'un vero europeo' ". Infine, Kalajic ultimamente ha espresso valutazioni positive sul neoeletto presidente jugoslavo Kostunica ("Liberazione", 7 ottobre 2000). E' interessante notare a questo proposito che l'8 settembre 1997 era stata organizzata dal SDS a Banja Luka, in Bosnia, una riunione pan-serba alla quale erano invitati a partecipare, tra gli altri, Momcilo Krajisnik, Radovan Karadzic, il vescovo Artemije e... Dragos Kalajic e Vojislav Kostunica (Republic of Srpska Radio Station, 8 settembre 1997). Chissà se i due si sono poi effettivamente incontrati, visto che tra l'altro sono stati entrambi per anni sostenitori del SDS, il partito di Radovan Karadzic.

KALAJIC IN ITALIA

Il "grande lancio" di Kalajic in Italia lo si è avuto con la già menzionata trasmissione RAI "Pinocchio". Presentato come esperto di geopolitica, questo estremista di destra e fedele servitore di Milosevic, portatore di una posizione in fin dei conti assolutamente minoritaria in Serbia, è stato chiamato a più riprese a rappresentare davanti a milioni di telespettatori la "parte serba". Ci si chiede cosa abbia portato i responsabili della trasmissione a scegliere un tale personaggio. Certo, Kalajic parla bene l'italiano e in questo senso è "telegenico", ma non ci sembra che sia un requisito sufficiente. In Italia, l' "esperto di geopolitica" si è comunque dato in genere molto da fare: cercando un po' in Internet lo troviamo per esempio come relatore a un convegno su informazione e guerra organizzato nell'ambito del prestigioso Prix Italia (RAI) 1999 "sotto il patrocinio delle Nazioni Unite e in collaborazione con la rivista 'Limes' ", ma anche in compagnia di Pino Rauti in una meno prestigiosa manifestazione organizzata il 10 maggio 1999 a Roma dai neofascisti del M.S.I. - Fiamma Tricolore. I punti di riferimento regolari di Kalajic in Italia sono tuttavia stati da una parte la Lega Nord e dall'altra alcuni esponenti della sinistra internazionalista. Vista la sua lunga esperienza nella destra estrema, Kalajic ha correttamente compreso che l'estrema destra attualmente "più autentica e di massa" in Italia, al di fuori della galassia dei gruppuscoli neofascisti, è proprio la Lega. Con quest'ultima egli ha in comune molti punti: il razzismo nei confronti degli immigrati, in particolare quelli albanesi; la difesa dell'identità europea minacciata

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dagli islamici e dagli americani; la visione della Serbia come bastione contro questi nemici. Illuminante è a tale proposito la dichiarazione di un giornalista della "Padania" (organo della Lega Nord) fatta a un convegno di presentazione di un libro di Gennadi Zjuganov, organizzato dalla stessa Lega e al quale prendeva parte anche Kalajic: "[era presente] il giornalista Massimiliano Ferrari che ha ricordato la grande simpatia che la Lega prova per il mondo cristiano-slavo che in Serbia e nel Caucaso combatte e fa da argine all'avanzata dell'Islam. 'L'ala pura e non mercantilista della Lega - ha detto - mette l'interesse della comunità di sangue al di sopra del benessere del singolo egoista e simpatizza per i fratelli slavi che si sacrificano in nome della comune patria europea e rifiuta la visione di coloro che straparlano di una ricca Europa occidentale da chiudersi ad est e da aprirsi a milioni di lavoratori musulmani 'purché in regola col permesso di soggiorno' " ("La Padania", 23 gennaio 2000). A tale convegno, va tra l'altro notato, partecipava anche il nazional-comunista italiano Carlo Terraciano, direttore della rivista dal nome emblematico "Rosso e nero". L'entusiasmo di Kalajic per la Lega Nord è esplicito, come si rileva da quanto egli ha dichiarato a "La Padania" in occasione della sua partecipazione a un "Padania Day": "Presente alla manifestazione milanese c'era anche, mescolato tra la folla, il professor Dragos Kalajic, dell'Istituto di Studi geopolitici di Belgrado. 'Mi trovo a Milano di passaggio - ha spiegato Kalajic - e ne ho approfittato per assistere di persona al mio primo Padania Day'. Le impressioni riportate dal professore serbo sono state molto positive. 'Questa giornata ha ulteriormente rafforzato la mia convinzione che soltanto negli ambienti leghisti e padanisti si può avvertire ancora un grande calore umano' - ha raccontato Kalajic -. 'I leader del Carroccio e del governo padano amano stare a contatto con il popolo, non fanno come altri che del popolo si servono soltanto quando si tratta di chiedere voti'. Il professore di geopolitica ha inoltre precisato di condividere la battaglia leghista contro l'invasione extracomunitaria e contro la globalizzazione. 'Le cupole della grande finanza mondialista vogliono distruggere le radici identitarie dei popoli europei - ha concluso -. Chi non si adegua, e noi serbi lo sappiamo bene, viene bastonato' " ("La Padania", 12 dicembre 1999). Kalajic è stato a più riprese ospite del giornale "La Padania" nel corso del 1999 e ha scritto "con entusiasmo e grande disponibilità" la postfazione a "Good Morning Belgrado", il diario di guerra del giornalista della Padania Mauro Bottarelli, pubblicato nel 2000 ("La Padania", 24 marzo 2000).

A sinistra il punto di riferimento principale di Kalajic sono stati alcuni gruppi che hanno promosso in Italia il Tribunale Internazionale per i crimini di guerra della NATO di Ramsey Clark. Di questo giro fa parte tra gli altri il giornalista Fulvio Grimaldi che, come accennavamo, ha stretto legami di amicizia con Kalajic, fino a portarlo sulle pagine di "Liberazione". Il nesso tra il Tribunale Clark e Kalajic non è così strano: Clark, ex ministro della giustizia degli Stati Uniti, è stato recentemente avvocato del criminale di guerra Radovan Karadzic (amico e compagno di "avventure" di Kalajic) in un processo che negli Stati Uniti vedeva l'ex leader serbo-bosniaco difendersi da accuse di crimini contro l'umanità mosse da donne bosniache vittime di violenze nel corso della guerra in Bosnia, appoggiate da organizzazioni della sinistra statunitense ("Slobodna BiH", 16 agosto 1999; "The Shadow", http://shadow.autono.net/sin001/clark.htm). Inoltre Clark è stato più volte in visita ufficiale in Jugoslavia, dove ha tenuto cordiali colloqui con Milosevic e altri esponenti del regime ("Politika", 31 marzo 1999 e 29 ottobre 1999), grazie anche al fatto che il suo Tribunale e il suo International Action Center hanno sempre giustificato i crimini commessi dal regime di Belgrado in Kosovo come normali operazioni di polizia. Kalajic è stato così tra il 1999 e il 2000 relatore in incontri organizzati dalla rivista marxista italiana Praxis (il 10 ottobre 1999, con la partecipazione tra gli altri dell'ambasciatore jugoslavo in Vaticano, Dojcilo Maslovaric), dall'Associazione d'Amicizia Italo-Jugoslava (il 29 gennaio 2000), presso l'Università di Teramo (iniziativa promossa il 29 marzo 2000 da membri della sezione italiana del Tribunale Clark e in particolare dal docente della stessa università Aldo Bernardini) e ha preso parte al convegno Il mondo neoNATO (svoltosi l'8-9 ottobre 1999, sempre con altri promotori del Tribunale Clark). Particolarmente grave è stata la partecipazione di un estremista di destra come Kalajic all'importante assemblea del Tribunale Clark tenutasi a Roma il 1 novembre 1999 (Tanjug, 2 novembre 1999), alla quale ha preso parte lo stesso Ramsey Clark, che arrivava direttamente da Belgrado dove aveva

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appena avuto un amichevole colloquio con Milosevic. Pur essendo promosso in Italia perlopiù da piccole formazioni che hanno negato o giustificato i crimini del regime di Milosevic in Kosovo, il Tribunale riceve l'adesione di molte altre realtà che si sono impegnate positivamente contro la guerra della NATO, anche se va detto che se per Kalajic può valere la scusa che non a tutti è noto chi sia (scusa un po' fragile, comunque, visto il suo attivismo pubblico in Italia), ciò non vale per il rappresentante della Jugoslavia in Italia (nei fatti ambasciatore dopo il richiamo di Miodrag Lekic), che ha preso anch'egli parte alla riunione nella sua qualità ufficiale. Kalajic è riuscito così ad associare il suo nome, in tale occasione, anche a personaggi dal ruolo importante nella sinistra internazionalista italiana come il senatore di Rifondazione Comunista Giovanni Russo Spena e il redattore del "Manifesto" Tommaso Di Francesco. Per Fulvio Grimaldi, ex giornalista RAI ed editorialista di "Liberazione", la partecipazione a iniziative con Kalajic è stata invece non un'eccezione, bensì quasi una regola. Grimaldi ha inoltre instaurato rapporti stretti con l'estremista di destra serbo e lo ha portato direttamente sulle pagine dell'organo di Rifondazione Comunista in un suo articolo del 7 ottobre scorso, in cui descrive il suo peregrinare per le strade della Belgrado del dopo-Milosevic proprio in compagnia di Kalajic, che anche Grimaldi si limita a definire docente di geopolitica tacendo il suo ben più lungo e rilevante curriculum nella destra radicale, fatto salvo un accenno di sfuggita ai "suoi pluralistici e un po' fantasiosi [sic!] legami con la Jul da un lato e i radicali di Seselj dall'altra". Nell'articolo, teso a criminalizzare le manifestazioni allora appena terminate nella capitale serba, Grimaldi definisce Kalajic l' "amico analista". L'editorialista di Liberazione riconosce che Kalajic è un nazionalista, ma dal ruolo positivo e ingiustamente "stigmatizzato": "Nazionalista serbo è anche Kalajic, se si usa il termine per stigmatizzare quelli che si oppongono alla diasporizzazione di quel popolo e alla sua cacciata dalle terre d'origine". I due concordano su quasi tutto, nelle valutazioni che esprimono, fino a paventare un ritorno di Milosevic e dei suoi: "il momento dei socialisti tornerà non appena il liberismo incomincerà a mordere, la mafia ad arrivare, il divario tra pochi ricchissimi e molti poverissimi a crescere". L'amicizia e la comunità di vedute tra Kalajic e Grimaldi non devono meravigliare: Grimaldi ha apertamente simpatizzato per la Serbia di Slobodan Milosevic e di Mira Markovic; inoltre, proprio nello stesso modo in cui Kalajic riesce a fare capire benissimo che sta parlando di ebrei utilizzando il termine più vago di "gente di altra stirpe", Grimaldi è riuscito a fare passare in Italia un discorso che criminalizza l'intero popolo albanese (altra posizione che condivide con Kalajic) senza mai giungere a formulazioni esplicitamente razziste.

CONCLUSIONE

Kalajic rimane una figura secondaria sulla scena di un panorama politico serbo in cui hanno avuto un ruolo di gran lunga più importante (e cruento) altri esponenti dell'estrema destra, come Seselj o Arkan. Da questo punto di vista è stato solo uno dei tanti "manovali" di Milosevic. La sua figura ci pare tuttavia emblematica della degenerazione di certi settori politici (la coalizione "rosso-nera" di Milosevic, Seselj e Markovic) in un paese che ha invece una storia e un presente ricchi di figure democratiche. L'armamentario ideologico di Kalajic, inoltre, è utile a capire i concetti su cui si basa la nuova estrema destra "slavo-ortodossa" e a individuare quale base essi possono costituire per collegamenti con altri soggetti della destra radicale europea, dal Fronte Nazionale di Le Pen alla Lega Nord di Bossi. Per quanto riguarda l'Italia, se i legami con la Lega ci sembrano scontati e "naturali", la presenza di Kalajic in iniziative della sinistra internazionalista o, seppure per interposta persona, su organi di stampa di quest'ultima sono sicuramente "innaturali" e deleteri, perché rischiano di screditare il lavoro di molte realtà impegnatesi positivamente contro la guerra della NATO e del tutto ignare del fatto che un estremista di destra stia cercando di intrufolarsi indebitamente tra le loro fila. Una chiave di lettura del perché Kalajic sia in parte riuscito a trovare accoglienza in questo ambito la si può trovare, a mio parere, proprio nel fatto che egli venga presentato regolarmente come "esperto di geopolitica". E' proprio l'interpretazione di quanto avviene nei Balcani in chiave esclusivamente o prevalentemente geopolitica, incentrata cioè sugli stati e i loro "spazi vitali", che costituisce il terreno di coltura ideale per collaborazioni altrimenti impensabili, quali per esempio quella tra gli editorialisti della rivista "nazional-ministeriale" "Limes" e

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un quotidiano comunista come il "Manifesto" o, in casi ancora peggiori, per un nesso, diretto o indiretto, tra leghisti, estremisti di destra serbi e soggetti della "sinistra internazionale". Ma questo è un argomento che meriterebbe di essere affrontato più nei particolari in altra sede.

 

**Oltre alle fonti della stampa, citate nel testo, sono stati utilizzati:

*Kalajic, Dragos, "Amerikanskoe zlo", Mosca, 2000*Pribicevic, Ognjen, "Changing Fortunes of the Serbian Radical Right", in Ramet, Sabrina P. (ed.), "The Radical Right In Central and Eastern Europe Since 1989", Pennsylvania, 1999

http://www.atuttadestra.net/index.php/archives/20338

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Ieri è stato il  giorno in cui la Corte di “giustizia” dell’Aja si apprestava a pronunciarsi sulla legittimità dell’indipendenza della provincia serba di Kosovo e Metohija, strappata alla Madre Patria, con la vergognosa complicità dell’Italia di D’Alema, dalla barbara aggressione NATO del 1999 alla Serbia di Milošević, ricorreva il quinto anniversario della scomparsa di quello che per me è stato un caro amico che non mi stancherò mai di ricordare e rimpiangere: Dragos Kalajic. Sì, il 22 Luglio di cinque anni fa lasciava questa vita terrena, stroncato da una grave malattia, uno dei più brillanti e intelligenti esponenti della cultura europea, la cultura di quell’Europa dei popoli e delle nazioni che, come Entità Suprema immanente nella Storia, pulsa ancora palpitante nei cuori e nelle menti di ogni Uomo libero; la cultura di un’Europa che resiste, che non si piega ai diktat dei propri nemici, di una globalizzazione strisciante che vorrebbe divorarla e annientarla.Nato a Belgrado nel 1943, Dragos compì i propri studi in Italia, diplomandosi all’Accademia di Belle Arti di Roma, e con il nostro Paese ha sempre mantenuto un rapporto privilegiato. Giornalista, fu fin dal 1987 redattore dell’autorevole settimanale “Duga” ed in breve divenne uno dei più stimati intellettuali belgradesi, sull’onda della politica di risveglio nazionale di Slobodan Milošević.Durante tutto il corso della guerra civile jugoslava, ed in particolare durante gli anni delle operazioni in Bosnia, Kalajic seppe farsi autorevole portavoce delle ragioni nazionali dei Serbi, adoperandosi attivamente per questa causa e facendone una ragione di vita.Amico e consigliere dell’allora Presidente della Repubblica Serba di Bosnia-Herzegovina, Radovan Karadzic, Kalajic ebbe un seggio di Deputato al Parlamento Serbo-Bosniaco e la qualifica di rappresentante plenipotenziario del Governo di Pale all’estero. Fu a quel tempo che ebbi l’onore di fare la sua conoscenza. Passavamo a volte ore intere a discutere, trovandoci sorprendentemente d’accordo su tutto, sia spiritualmente che politicamente. Ne nacque un’amicizia fraterna, a cui soltanto la sua prematura dipartita ha posto fine. Conservo di lui splendidi ricordi, in particolare dei suoi quadri (fu anche un artista di talento) e delle iniziative culturali e delle conferenze che organizzammo insieme in Italia nel 1999, nei giorni dei bombardamenti della NATO sulla Serbia, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla cappa di vergogna che era in quel momento calata sull’Italia e sull’Europa intera: si aggrediva una Nazione europea soltanto perchè “colpevole” di difendere la propria sovranità nazionale e la propria indipendenza, nell’indifferenza generale di una società ottenebrata dalla propaganda a stelle e strisce che voleva imporci la versione ufficiale dei Serbi “cattivi” e degli Albanesi “povere vittime”.Oggi che il Kosovo, la terra che fu culla della civiltà serba, è stato consegnato nelle mani delle peggiori organizzazioni malavitose albanesi, ho appreso con soddisfazione che il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja ha emesso un mandato di arresto nei confronti del mafioso (sì, sottolineo mafioso e non temo le querele di chicchessia!) Ramush Haradinaj, ex leader di quella formazione terroristica denominata U.C.K. a suo tempo appoggiata da Bill Clinton e da Emma Bonino, ed ex “primo ministro” (autoproclamatosi tale) del Kosovo, con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.Insieme a lui sono stati incriminati il suo ex braccio destro, Idriz Balaj, e Lahi Brahimaj. Haradinaj era stato assolto dallo stesso Tribunale dell’Aja un paio di anni fa da accuse simili poichè era riuscito molto abilmente a intimidire i teste d’accusa a suo carico. Pur non riconoscendo, personalmente, l’autorità morale di un Tribunale quale quello dell’Aja, poiché a mio parere illegittimo e fautore di indebite ingerenze nella politica di stati sovrani, non posso che plaudere all’arresto di Haradinaj e dei suoi sodali, cosa che avrebbe fatto anche l’amico Dragos Kalajic.Oggi, quando mi reco di tanto in tanto a Belgrado, la città che ho imparato a conoscere e ad amare negli anni ’90, la città con la quale ho condiviso undici anni fa la paura dei bombardamenti, ma anche il senso di orgoglio patriottico dei suoi fieri abitanti, devo ammettere che sono pervaso da un senso di tristezza e di malinconia. Passeggiando fra strade ancora segnate e straziate dalle bombe della NATO e sostando davanti a quei palazzi distrutti che ancora si ergono (nonostante la pronta opera di ricostruzione) qua e là come muti testimoni di

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quei giorni terribili, quasi come solenni sacrari di qualcosa che non si può dimenticare, mi fermo a volte a riflettere sul fatto che Milošević non c’è più, che il Kosovo è ancora nelle mani sporche di sangue a cui l’hanno consegnato gli Americani, e che molti giovani preferiscono oggi dimenticare quanto la loro Patria ha saputo insegnare a quel tempo al mondo intero, divenendo la Trincea d’Europa.Ma io non posso dimenticare, ed è per questo che scrivo oggi queste righe in onore dell’amico Dragos Kalajic. Potrà far sorridere molti, ma, a cinque anni dalla sua scomparsa, forse in segno di rispetto, non ho mai cancellato dalla memoria del mio cellulare il suo numero di telefono.Auspico che presto un circolo del partito politico che rappresento, Nuova Destra Sociale, venga a lui dedicato, e mi impegnerò affinchè la rivista che ho fondato, “Novum Imperium” dedichi alla sua memoria un numero speciale.Arrivederci Dragos, figlio dell’Europa! Samo Sloga Srbina Spasava!Nicola Bizzi

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http://etleboro.blogspot.it/2008/08/leuropa-degli-idioti.html

L'Europa degli idioti

Un'analisi di Dragos Kalajic, intellettuale e politico serbo (nella foto), del presente e del futuro dell'Unione Europea e dei sistemi macchinosi che hanno ormai incatenato il suo popolo in una concezione "democratica" che non appartiene alla sua storia.

L’oggetto principale di questa nostra analisi è il carattere che conforma la nostra Europa legale, ossia le sue (pseudo) élites e i suoi forti poteri economici, politici, culturali e mediatici. Lo spaccato su cui si indirizza questo esame è proprio quello che permette la più completa conoscenza di questo “carattere”: la questione dell’immigrazione. E’ un fatto che le ondate di immigrati dal Terzo e dal Quarto mondo che si abbattono sull’Europa siano sempre più frequenti, alte e minacciose. Di queste ondate sono vittime i disperati sudditi dell’ultima e peggiore forma di colonialismo e di usura: la cosiddetta economia del debito, che ovunque provoca miseria e fame. Questi flussi migratori assumono le magnitudini di una vera e propria invasione d’Europa. Se un tale processo non perderà forza e consistenza, e se la Turchia entrerà nell’area mercantile chiamata Unione europea, tutto indica e fa prevedere che già entro questo secolo gli Europei perderanno la propria patria e diventeranno una minoranza etnica nella loro propria terra, decomponendosi e scomparendo nell’oceano grigio-nero dei diversi.Dunque, se tutto andrà avanti come oggi, si confermeranno le previsioni dell’osservatore turco Nazmi Arifi sulle conseguenze demografiche dell’entrata della Turchia nell’Unione europea, esposte una quindicina anni fa, sulle pagine del Preporod, la stampa portavoce dei musulmani di Bosnia ed Herzegovina: “L’Europa è cosciente del potenziale turco, l’Europa è cosciente della moltitudine turca. L’Europa guarda alla Turchia come ad un paese che ha potenzialmente duecento milioni d’abitanti. (Sono calcolati anche un centinaio di milioni di turcofoni dell’Asia centrale, ai quali il governo di Ankara, fedele al panturchismo, offre la cittadinanza turca oggi e offrirà quella europea domani, nota di D.K.) È logico che l’Europa non ostacolerà la Turchia. E prevedibile che, dopo dieci anni (dall’ingresso della Turchia nell’Unione europea, nota di D.K.) metà degli abitanti dell’attuale Europa occidentale saranno musulmani per una serie di cause quali: l’alta natalità dei popoli musulmani, la consistente immigrazione proveniente da paesi di religione musulmana, la caduta verticale delle natalità dei popoli europei, le conversioni all’Islam. Tutti questi sono fatti che l’Europa, volendo o non volendo, deve accettare”.

Adesso è chiaro anche agli occhi più semplici e creduli che si sono dimostrate false ed ingannevoli le formule di soluzione del problema immigratorio - instancabilmente prodotte dalle (pseudo) élites politiche - a cominciare dal progetto paternalistico di “assimilazione”, degli anni settanta, per passare poi al modello non meno ottimista e fallace dell’“integrazione”, fino ai recenti ideali mondialisti di una “società multirazziale” e “multiculturale”. In questo caso le (pseudo) élites che dominano l’Europa hanno dimostrato la propria debolezza fondamentale, la tendenza ad abbandonarsi alle superstizioni del razionalismo liberale, particolarmente alla convinzione che con l’uso delle sole parole è possibile non solo spiegare, ma anche domare la realtà, con tutte le minacce che contiene. In realtà di “assimilazione”, “integrazione” e “società multiculturale” - “che ci arricchisce” - è possibile discutere solo là dove è in questione una minoranza razziale o etnica che non minaccia la maggioranza. L’esperienza storica ci dimostra che questi rapporti pacifici vengono stravolti là dove la minoranza cresce in modo tale di minacciare il predominio

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della maggioranza, anche nel senso della legge di selezione naturale.

La specie più forte sospinge e alla fine elimina la specie più debole. E’ per questo motivo, all’inizio del periodo neolitico, che la massa del tipo d’uomo detto mediterraneo gracile, basso, brachicefalo, con scheletro fragile e pelle olivastra - che aveva conquistato il Rimlend mackinderiano, dall’India fino alle Isole britanniche, dedicato all’agricoltura ed ai culti della Madre Terra - era riuscita completamente ad assorbire o eliminare gli indigeni europei, l’uomo di Cromagnon, alto, forte e robusto cacciatore. Solo alcuni millenni dopo i discendenti dell’uomo di Cromagnon, i nostri progenitori, sono ridiscesi dagli altipiani caucasici dove si erano rifugiati, nell’Europa per riconquistare la patria perduta. Furono quelle ondate di popoli indoeuropei ad emergere vittoriosi grazie all’arte della guerra. 

L’Europa diventerà islamica? Le industrie mediatiche, produttrici dell’opinione pubblica, che fino a ieri diffondevano un ottimismo roseo nei confronti dei modelli di coesistenza tra gli indigeni europei e gli immigrati, oggi cercano di nascondere la realtà dell’invasione d’Europa e dei processi di un rovesciamento dei rapporti demografici e di ridurre tutto unicamente al problema di opzione religiosa: L’Europa cristiana o islamica? Forse mirano alla sempre più diffusa irreligiosità degli Europei e alla corrispondente indifferenza nei confronti del dilemma proposto... Una cosa è certa: tale dilemma non esiste perché il predominio dell’Islam sugli Europei è sicuro. Secondo una nuova formulazione del quesito che agli Europei - mediante i media più influenti, da Welt und Sontag e Welt, fino al Corriere della Sera - propongono le guide intellettuali dei musulmani perfino “moderati”, ad esempio, Bassam Tibi, “il problema non è se la maggioranza degli Europei diventa musulmana, ma piuttosto quale forma di islam è destinata a dominare in Europa: l’islam della sharia o l’euroislam”.

Per cacciare via dalle teste degli Europei ogni pensiero o ogni speranza di difesa della natura europea della patria comune, il messaggio citato viene abilmente accompagnato con il sostegno di “uno dei più grandi esperti mondiali del Medio Oriente”, Bernard Lewis: “Entro la fine di questo secolo il nostro continente diverrà islamico.” Davanti a questa prospettiva della trasformazione degli Europei in una minoranza religiosa (ma in realtà etnica), il rapporto verso l’invasione degli immigrati deve essere radicalmente cambiato. Se alla fine di questa prospettiva temporale - nel segno di un rovesciamento demografico - sarà ancora possibile parlare di “assimilazione”, “’integrazione” o “società multiculturale”, lo potranno fare solo gli immigrati nei confronti della minoranza degli indigeni europei, a patto di avere la misericordia per le loro debolezze e non un giustificato disprezzo, perché, tra l’altro, hanno capitolato e concesso la propria patria agli invasori senza la minima resistenza. In questa prospettiva, per gli europei si pone un problema essenziale: come sopravvivere e non scomparire nell’oceano degli altri che inonda e sta per affondare la loro patria. Invece di opporsi ai processi che minacciano la cultura e la civiltà degli Europei, le forze dominanti nell’Unione europea fanno tutto il possibile per mantenere ed anche rendere più potente l’invasione degli immigrati, sostenendone pubblicamente la necessità. Anche nei casi quando le (pseudo) élites politiche si sforzano di contenere almeno l’impatto caotico dell’immigrazione, con le leggi, le regole e le misure restrittive – tutto questo si dimostra, prima o poi, non solo vano, ma anche controproducente.

Questo complesso dell’Europa legale, che agisce contro l’Europa reale, è composto, grosso modo, da quattro campi di forze e da interessi corrispondenti. Poiché l’Unione europea sta abbandonando celermente un sistema economico che è proprio della storia, della cultura e della tradizione europea, assoggettandosi al sistema angloamericano, ossia liberalcapitalista, le potenze sopranazionali e sovraeuropee del mondo finanziario ed industriale sono la forza-guida nell’alto tradimento. Le (pseudo) élites politiche servono gli interessi di questa forza-guida che oramai, da molto tempo, ha espulso la politica autentica dalla scena pubblica, riducendola ad uno dei propri servizi ausiliari. In un’ottica più larga, schmittiana, è evidente che queste (pseudo) élites politiche sono sottomese ai condizionamenti e ai voleri del Leviatano atlantico (per usare un’allegoria schmittiana), che fa di tutto per far entrare la Turchia nell’Unione europea e per

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ingrandire l’invasione degli immigrati, reagendo con rabbia contro ogni contromisura europea. La Chiesa Cattolica, con i propri ordini monastici e le organizzazioni caritative è un magnete particolarmente attraente per la massa degli immigrati, che, a priori sanno dove saranno ben accolti e difesi, malgrado la propria clandestinità e illegalità. Last but not least, particolarmente influenti fautori dell’invasione dell’Europa sono i maggiori produttori d’opinione pubblica che cercano ostinatamente di convincere gli Europei - con le buone, attraverso promesse fallaci e con le cattive, con i ricatti morali - che l’immigrazione porta solo il bene (economico, culturale ed umano) e che ogni resistenza è un male, una specie di peccato mortale nell’epoca della secolarizzazione. Segue il latrato dei branchi a servizio del tradimento, liberati dai guinzagli. Così vengono continuamente demonizzate o criminalizzate le rare voci di coraggio alzate per la difesa della patria europea.

Ora occorre esaminare - a grandi linee e senza alcun ideologismo - le principali e più frequenti giustificazioni sul “bisogno” che l’Europa resti aperta alle invasioni immigratorie, offerte dalle (pseudo) élites dominanti. I portavoce delle forze finanziarie ed industriali giustificano sempre l’apertura verso l’immigrazione di massa con ragioni dedotte da contingenze effimere: dalla necessità di superare la crisi provocata con lo shock energetico, degli anni settanta, fino ad una specie di imperativo categorico della globalizzazione, che impone a tutti popoli -privati del diritto di decidere sulla questione - il libero flusso delle merci, dei capitali, dei servizi e degli uomini. Tutte queste ragioni sono riducibili alla causa comune, alla demonia economica, ossia all’idolatria del profitto per il profitto. E’, questa, la prova di un immenso complesso psichico di idiotismo attivo: è questo il termine che gli antici Greci usavano per designare una forma estrema d’individualismo e d’egoismo antisociale. Pervase e guidate da questo idiotismo, le forze finanziarie ed industriali d’Europa non si sentono parte di una comunità e di una realtà culturale e storica. Anzi. Le forze in questione - assoggettate alla globalizzazione - non posseggono nemmeno la coscienza - immanente ad ogni cultura e civiltà normale, in tutti i tempi - di considerare l’economia, come una parte ed un mezzo che debba servire per fini del tutto sociali, e non il contrario. Già il fatto stesso che la cosiddetta necessità dell’apertura verso le onde immigratorie venga giustificata con il bisogno impellente di manodopera - mentre la disoccupazione degli indigeni assume oramai le proporzioni di un male cronico - ci dimostra quanto le forze in questione siano indifferenti verso i destini del proprio contesto sociale.

Per questa visione di mondo alla rovescia il profitto è ueber alles. Forse è inutile illuminare qui la perniciosità di questa patologia e l’orizzonte enorme delle conseguenze catastrofiche, cominciando dalla crescita esponenziale dei prezzi assistenziali e sanitari, sociali e culturali, ecologici e demografici. Per di più in molti casi ci troviamo davanti ad un circulus vitiosus. Per esempio, l’immigrazione in massa viene solitamente giustificata come una manna che compensa il calo demografico degli europei, mentre proprio l’imposizione del sistema liberalcapitalista - rendendo la vita estremamente incerta e precaria - è una delle cause maggiori di questo declino. Questa evidenza viene notata anche da certi politici non ancora addomesticati. Ecco come si esprime Vladimir Spidl, nel suo ruolo di presidente del Consiglio della Repubblica Ceca, dubitando apertamente che l’immigrazione possa risolvere il problema demografico: “La gente è scoraggiata ad avere più figli a causa delle difficoltà a trovare la casa, della lunga attesa per l’impiego, dell’ambiente ostile alla famiglia, e dall’instabilità del lavoro. ”. L’idiotismo di cui stiamo trattando si manifesta anche nella cecità verso le conseguenze disastrose che prima o poi subiranno gli stessi complessi di interessi e di profitti. E’ certo che l’importazione delle masse degli immigrati, pronti a svendere le loro braccia, porti agli importatori buoni profitti a breve termine, cominciando dall’abbassamento o almeno dal contenimento del prezzo del lavoro e la conseguente repressione delle proteste sindacali dei lavoratori indigeni, desiderosi di difendere i loro diritti.

Dall’altra parte, in una prospettiva a lungo termine, questa strategia dello sfruttamento spietato porterà ad una specie di suicidio economico perché provoca una serie di conseguenze nefaste e autodistruttive. Una prima conseguenza è evidentemente il fermo di ogni perfezionamento tecnologico ed organizzativo della produzione. La ricerca, si sa, è molto più cara della

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manodopera a basso prezzo... In fine dei conti, asserire che l’immigrazione è necessaria allo sviluppo economico e al mantenimento almeno del volume di produzione, è contraddetto dall’attuale main stream industriale. Esiste infatti una ben altra e spietata regola che i profitti maggiori vengano ottenuti non solo con il perfezionamento tecnologico ed organizzativo, ma sopratutto laddove sono maggiori le riduzioni dei posti di lavoro. Ecco smascherato il ricatto, molto frequente, che dichiara l’importazione della giovane manodopera straniera come “necessaria per rimediare la caduta verticale della natalità ed il generale invecchiamento della società europea”. Le tecnologie nuove, collegate alle nuove tecniche di organizzazione sociale, offrono buone possibilità di superamento dei problemi in questione. Ma costano e riducono i profitti. L’importazione avida delle masse di manodopera straniera aumenta il popolo indigeno dei disoccupati e causa, riducendo le loro capacità d’acquisto degli europei, l’implosione del mercato europeo. Se con lo sguardo attento seguiamo le linee-forza dei processi di globalizzazione, inevitabilmente giungiamo a scorgere un futuro dove i prezzi e le condizioni di lavoro - sotto l’imperativo della concorrenza mondiale - dovranno essere omogeneizzati o addirittura parificati a quelli del Terzo o Quarto Mondo.

Dunque, a causa di un tradimento dell’Europa legale, l’Europa reale dovrà rinunciare anche alle ultime briciole del benessere sociale e della propria qualità della vita, di stile europeo. Sotto il peso di una concorrenza globale, gli europei dovranno ridursi allo stesso livello delle masse planetarie che patiscono la miseria e le privazioni, accettando di vivere, per esempio, come i cinesi. Si tratta di un orizzonte futuro nel segno della realizzazione di una forma di morte, prevista dalla Seconda legge di termodinamica, dove un determinato sistema perde la vita per via della parificazione della temperatura delle singole molecole che lo compongono. La politica delle contraddizioni L’atteggiamento generale delle (pseudo) élites nazionali ed eurocratiche davanti alle sfide dell’immigrazione è anche nel segno delle contraddizioni intellettuali e delle doppiezze morali. Tra l’inquietudine dell’Europa reale e le direttive delle forze che oramai da molto tempo hanno espulso la politica vera dalla scena pubblica, le (pseudo) élites producono solo le finte resistenze alle ondate immigratorie. Queste resistenze apparenti hanno le forme delle leggi, dei regolamenti, delle misure protettive… Ma rimangono sempre le lettere morte, parole sulla carta, poi pure cancellate con le periodiche, ma regolari, sanatorie. In sostanza, salvo rare eccezioni, le (psuedo) élites fanno di tutto per giustificare, sostenere e realizzare la tesi assurda che l’invasione d’Europa degli allogeni è una necessità economica, sociale e perfino biologica. Sebbene le (pseudo) élites in questione abbiano accettato in pieno i principi del liberalismo angloamericano e del corrispondente individualismo egoista ed avido - questa ideologia la applicano solo nei confronti degli indigeni europei e non anche agli immigrati. E’ evidente che si tratta di una presa di posizione molto più profonda di una pura sregolatezza nei confronti della logica aristotelica. Se non si tratta di un moralismo ipocrita, che maschera la brama dei profitti - è uno dei molti sintomi dell’autorazzismo degli Europei.

Durante l’ultimo decennio del XX secolo, i governi del centro sinistra hanno tradito e distrutto tutto il patrimonio delle lotte sindacali per far ricadere il lavoro ed il popolo dei lavoratori nelle condizioni di un secolo fa. Tutte le “novità” erano presentate sotto le designazioni cinicamente false e svianti: “le riforme”, “la deregolamentazione”, “la liberalizzazione del lavoro”, “la flessibilità”… Cercando di fare tutto il bene per gli immigrati e di migliorare le loro condizioni di vita - per attrarre le nuove ondate d’invasione - troppo spesso la politica proimmigratoria fa del male a tutti. Un buon esempio lo offre la generale legge sul “congiungimento famigliare” - introdotta prima in Germania - che gli immigrati usano per non lasciare il paese dove vendono la propria manodopera, altrimenti sarebbero terrorizzati dall’idea che, andando a visitare la famiglia, in patria, non otterrebbero più il visto di reingresso. L’applicazione in massa di questa legge - solo formalmente umanitaria - altera completamente la ragione primaria, puramente economica dell’immigrazione. In questo modo uno stanziamento temporaneo diventa permanente. Non solo il venditore di manodopera, ma anche tutta la sua famiglia vengono legati indissolubilmente al mondo dell’esilio ed indotti a recidere tutti i legami con il mondo e la comunità dalle quali provengono. Così la massa di immigrati diventa la massa degli alienati, infelici e nemici del mondo che li circonda. Spesso numerosissime, le famiglie così portate all’esilio richiedono, per il

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puro mantenimento, molto di più che nel paese d’origine. Questa spesa annulla il risparmio e vanifica la speranza di tornare in patria. I figli delle “famiglie congiunte” non desiderano tornare perché non ricordano più la terra natale o perché sono consci che lì saranno molto più estranei. Nel nuovo ambiente sono costretti di vivere in condizioni indecenti, nei getti della criminalità cronica, dove viene prodotto e plasmato il nuovo Lumenproletariat che, oltre l’odio di classe, nutre verso l’ambiente europeo che lo circonda e soprattutto verso i visi pallidi anche un profondo odio razziale. Così, oramai da molti anni, nelle metropoli e nelle grandi città europee - da Londra fino a Parigi e Marsiglia, abbiamo una guerriglia permanente - con saccheggi, distruzioni, incendi dolosi, violenze e stupri - che i media coprono con il proprio silenzio, per non turbare l’illusione di un ordine pubblico.

Per affrontare le sfide dell’immigrazione la Chiesa cattolica dispone di un mezzo molto potente e sviluppato: la propria dottrina sociale. Si tratta di un frutto prodotto e maturato con il lavoro di una serie di generazioni dei teologi, cominciando con l’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII che, alla lotta di classe e al presunto dualismo tra il lavoro ed il capitale, opponeva l’idea di collaborazione e della loro complementarietà naturale ed organica. Il contenuto dottrinario della Rerum Novarum era confermato ed arricchito con l’enciclica Quadragesimo anno (1929) di Papa Pio XI, che si rivolge direttamente allo Stato per invitarlo a riprendere le funzioni che gli nega o, addirittura, proibisce di svolgere l’ideologia del capitalismo liberale; per incitarlo ad aiutare o sostenere gli elementi portanti della comunità e del mondo di lavoro. Questi elementi erano individuati secondo l’ottica tradizionale ed europea, applicata anche da Hegel per la definizione della comunità, dove l’individuo è riconosciuto come essere politico solo in virtù della propria partecipazione negli ordini, da quello della famiglia, fino alle associazioni corporative. Questa dottrina della Chiesa era confermata ulteriormente da molte altre encicliche, fino al Laborem excercens (1981), Sollecitutudo rei socialis (1988) e Centesimus annus (1993) di Papa Giovanni Paolo II. Basato sull’insegnamento evangelico, l’asse della dottrina sociale della Chiesa cattolica è composto dal principio di bene comune che raccomanda la creazione delle condizioni che permettono all’uomo e alla comunità di realizzarsi compiutamente, dunque non solo economicamente, ma anche esistenzialmente, socialmente e spiritualmente. Altrettanto sono importanti il dovere della sussidiarietà - messo in rilievo particolarmente con l’enciclica Quadragesimo anno - e della solidarietà, compresi anche come i principi formativi ed informativi della comunità, dunque molto al di sopra della pura compassione moralistica e sentimentale.

E’ importante far notare che il generale De Gaulle - proprio lo statista che più risolutamente si opponeva all’invadenza del Leviatano atlantico, difendendo fieramente l’indipendenza della Francia ed impegnandosi per l’unità europea dall’Atlantico fino agli Urali - ha accolto pienamente questa dottrina, insieme con il sistema della partecipazione degli operai agli utili e nella gestione delle imprese. Aveva l’intenzione di realizzare queste idee e questa tradizione in alternativa al liberalismo capitalista, per superare i mali immanenti a quell’ideologia angloamericana, profondamente estranea all’anima europea. Purtroppo, al referendum del 1969, che conteneva troppi quesiti, questa rivoluzione dall’alto fu respinta, insieme ad altre proposte, con una maggioranza di no di appena il due o tre per cento in più rispetto ai sì. Detto ciò, però, rimane una domanda fondamentale: perché la Chiesa cattolica oggi fa di tutto per rovesciare il quadro demografico e religioso d’Europa? Le risposte a questo quesito sono diverse: dal sospetto che per gli elementi corrotti della Chiesa le attività caritative servono per lucro ed arricchimento personale fino all’opinione che, in fondo, si tratta di un’aspettativa ingenua che gli immigrati riconoscenti chiederanno la propria conversione, ingrandendo così il gregge dei cattolici, oramai divenuto misero come quello protestante, dopo l’autoeviramento commesso con il nefasto “aggiornamento”, che implicava, non solo le proscrizioni delle tradizioni, ma anche le censure dei testi sacri. Le spiegazioni ufficiali - ad esempio quella offerta dal (l’ex, n.d.R.) presidente della Conferenza dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini, accompagnata con la raccomandazione che bisogna scoraggiare “l’immigrazione illegale” - riducono tutto ad “un imperativo morale, prima che giuridico, accogliere chi si trova effettivamente nelle condizioni del profugo in cerca di rifugio” .

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Dunque, qui siamo molto al di sotto del principio di solidarietà, immanente alla dottrina sociale della Chiesa; siamo a livello di un moralismo piagnucoloso ed impotente. Sebbene detto “l’imperativo morale” sia perfettamente conforme al principio evangelico, bisogna notare il fatto che l’applicazione, nell’ambito del bene pubblico, provoca molti danni e pochissimi beni. Non è la prima volta nella storia del Cristianesimo che la Chiesa affronta i paradossi del genere, trovandosi davanti all’evidenza che la letterale realizzazione dei principi evangelici può produrre degli orrori molto più grandi di quelli combattuti. Già il Concilio di Nicea, nel quarto secolo, sapeva di dover “precisare”, per così dire, i comandamenti sacri. Per esempio, era stato notato che chi non offriva la difesa armata alle vittime degli attacchi dei malvagi - anche se rispettava letteralmente il comandamento “non uccidere!” - si rendeva corresponsabile per i delitti e gli assassinii. Così agli albori del Cristianesimo. Ma oggi la Chiesa cattolica sembra aver completamente perso il senno, l’acume ed il coraggio del proprio intelletto, che per secoli erano stati la sua più famosa e rispettata proprietà. In Italia, nell’Italia legale, quella della politica, i sostegni intellettuali, diretti o indiretti, all’invasione pacifica dell’Europa si sono stesi lungo l’intero arco pseudopolitico, dall’estrema sinistra (dove i nipotini del (falso) “1968” sono diventati “no-global”), fino alla destra radicale. Davanti alla sfida in questione l’opposizione “no-global” conferma i sospetti che si tratta di un movimento finanziato artificialmente come quello del “1968” a Parigi, per rovesciare la politica antiatlantica del generale De Gaulle. Il fine dei creatori e dei manipolatori del movimento “no-global” è di avere un sostegno e di diffondere l’impressione che alla globalizzazione non c’è alternativa oltre questo manipolo degli spostati che fanno discorsi fumosi e si abbandonano ai vandalismi. Così scopriamo che alla globalizzazione “del capitale delle multinazionali (che) non conosce frontiere” bisogna rispondere con una sfida “uguale e contraria: fare in modo che nessuna frontiera fermi la nostra solidarietà”. Forse è inutile qui far notare che la citata e presunta “sfida” dei “no-global” in verità si impegna per gli stessi fini ai quali mirano gli strateghi della globalizzazione, imponendo apertamente all’Unione europea - attraverso le proprie filiali ed i medium, dal dipartimento di demografia delle Nazioni unite, fino alle pagine di New York Times - di aprire completamente le porte alle invasione immigratorie dal Sud.

D’altra parte, ai neomarxisti, profondamente delusi per il crollo del sistema del socialismo reale e per il tradimento degli ex-compagni, postcomunisti - che per il potere hanno svenduto tutte le conquiste sociali delle sinistre - le immigrazioni in massa incutono la grande speranza per la nascita di un nuovo proletariato, il materiale umano necessario per la Rivoluzione. Anche tra le voci della destra tradizionale e radicale non sono rare le voci sostanzialmente proimmigratorie, mosse dai pensieri e anche dai sentimenti filoislamici e turcofili, con le motivazioni più variegate, ma tutte inconsistenti. La ricognizione di questo fronte del tradimento può partire molto dall’alto, dalla cattedra dell’altrimenti illustrissimo medievalista Franco Cardini, che per suscitare i sentimenti filoislamici è solito usare un puerile ricatto morale, ossia un luogo comune, ma falso storico - simile alle “leggende metropolitane” - e cioè che gli Europei debbono la riscoperta della filosofia greca ai mussulmani. Per meglio dire: ai mercanti arabi che effettivamente vendevano le traduzioni dei testi antichi. In prossimità della decisione degli eurocrati per l’apertura - voluta da Madre America - di tutte le vie per l’entrata della Turchia nell’Unione europea, i cori dei presunti maitre-à-penser, opinionisti ed esperti sono stati mobilitati per convincere gli Europei - rimasti non convinti, anzi contrari - che questa apertura fermerà la marea islamista non solo in questo paese, ma ovunque, perché con questo sarà premiato un “islam moderato”, anzi un “islam laico” (sic!). Così premiato... a questo luminoso esempio turco seguiranno altri paesi islamici (e anche della stessa Israele...) e l’incubo dell’islamismo radicale sarà per sempre allontanato. Così i buoni scolari nostrani di Brzezinski hanno trasformato una crepa nel suo tema in una fossa dell’assurdo per il proprio pensiero.

Chissà se questo enunciato lo dobbiamo interpretare come l’avvisaglia delle intenzione eurocratiche di invitare anche altri paesi mussulmani a divenire membri dell’Unione europea. Altrimenti, se le porte dell’Unione europea, dopo entrata della Turchia, rimanessero chiuse per gli altri paesi mussulmani, almeno dell’area mediterranea, questi resterebbero privi degli incentivi per seguire l’esempio turco nella via verso un “islam moderato” o perfino “l’islam laico”... Probabilmente l’entrata della sola Turchia nell’Unione europea sarà vista in questi paesi come un

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modo subdolo degli occidentali per rompere l’umma (la comunità) e l’unità degli musulmani. Non c’è bisogno di sottolineare che questi sentimenti possano inasprire le idiosincrasie e la marea islamista. Malgrado le differenze notevoli tra i moventi e le ragioni proimmigratorie che caratterizzano i principali centri dei poteri forti e decisionali - che abbiamo indicato in una rassegna veloce - un elemento in comune li associa tutti. Se questo elemento deve essere designato con una sola parola, questa è indubbiamente la stupidità. E’ evidente che nel tradimento dell’Europa partecipano anche molti altri elementi, i moventi e gli interessi, spesso nascosti sotto quelli falsi, moralistici ed ufficiali, ma anche molti di questi sono collegati - direttamente o indirettamente - con la stupidità. Bisogna ricordare che la luce della cattedra di Platone ci ha illuminato per sempre sull’interdipendenza tra l’etica e la logica, ossia l’intelligenza, e che questo insegnamento, dopo secoli di oblio è stato riabilitato da Kant, Fichte e Weininger, forse sotto la spinta di una marea dilagante della stupidità moderna, borghese. Il tesoro mitologico degli europei ci offre un’alternativa, una prospettiva cognitiva molto più veloce e sicura. Il vero mito è una cristallizzazione delle esperienze della comunità raccolte e verificate nel corso di lunghi secoli ed anche millenni. E quale mito europeo ci può aiutare almeno per una tesi di lavoro se non proprio come l’indicatore diretto della verità? Il mito più antico sulla stupidità è quello sul fratello di Prometeo, Epimeteo, il cui nome significa “colui che comprende tardi”. A differenza di Eschilo, che nella tragedia Prometeo incatenato sostiene che l’unica causa del martirio di Prometeo è il suo amore sconfinato per il genere umano - Platone ci informa, nel Protagora, che il fuoco regalato agli uomini era una specie di compensazione dell’errore di Epimeteo. Avendo avuto dagli dei il compito di distribuire ai generi animali i mezzi di autodifesa - Epimeteo aveva economizzato il male e così era arrivato agli uomini con le mani vuote. Ad un certo punto della tragedia eschiliana, Kratos, l’incarnazione del potere supremo, alludendo al nome dell’incatenato - che letteralmente significa “quello che prevede” - gli dice: “A torto i divini ti chiamano Prometeo!”.

Solo in questa epoca, nell’assedio delle catastrofi planetarie di una civilizzazione tutta fondata sul fuoco, l’esplosione e la consumazione ignea, possiamo capire la lungimiranza di Zeus e la giustezza del castigo inflitto a Prometeo. Con una serie di indicazioni ed allusioni dirette e indirette, questo complesso di miti accusa hybris, la civilizzazione, come la prima causa dell’istupidimento. Allora in questione era la civilizzazione dei popoli vinti e sottomessi dalle invasioni dei popoli indoeuropei, ossia euroariani, alla fine del secondo millennio. Sia nel Prometeo incatenato, sia nelle Eumenidi, dando la voce alle divinità vecchie, spodestate ed orrende, Eschilo ci trasmette la memoria della conquista e della vittoria euroariana, che ha portato il trionfo degli dei celesti sulle divinità sotterranee degli indigeni. L’Atlantide è la più compiuta immagine mitizzata di questa civilizzazione dei Titani che Prometeo ha tradito. Anche lui un Titano, il Prometeo eschiliano li ha traditi perché “spregiarono i mezzi di astuzia: le loro menti dure si figurarono un dominio senza fatica, grazie alla violenza.” Un altro importante complesso delle esperienze di stupidità cristallizzate fa parte del ciclo dei racconti popolari sulle avventure di Guglielmo Tell. Si tratta di racconti popolari tedeschi sulla Città degli stupidi. In questa città gli abitanti fanno tutto il contrario al buon senso, rallegrando il cinico Guglielmo Tell, che pure li sollecita ad essere ancora più stupidi, per il proprio divertimento. Per esempio, i cittadini hanno costruito la casa comunale, dimenticando le finestre; per rimediare, hanno tentato di raccogliere e portare la luce raccolta dentro nei secchi, vassoi e sacchi. Tagliando gli alberi alla cima del monte, faticosamente hanno portato a mano dei tronchi, fino alla pianura. Solo l’ultimo tronco è scivolato dalle loro mani stanche e da solo, rotolandosi, è arrivato alla destinazione. Questo fatto li ha illuminati: così hanno riportato tutti i tronchi in cima, per poi spingerli a rotolarsi, liberati dalla fatica… Bisogna rilevare che gli abitanti della Città degli stupidi non erano sempre stupidi. Anzi, una volta godevano della fama dei più intelligenti ed addirittura saggi.

I sovrani di molti paesi si contendevano i loro servizi e consigli. Questo vendere il proprio acume durava finché le loro mogli non si sono stancate e perciò hanno spedito ai mariti un ordine ultimativo di tornare a casa. A questo punto un sovrano ha deciso di conquistare con la forza la città dei saggi per avere i loro servizi solo per sé. Consci che le loro forze erano troppo deboli per resistere alla armata che si avvicinava, i saggi cittadini hanno deciso di capitolare, ma anche di

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simulare la stupidità davanti al conquistatore, sicuri che alla fine, deluso, il nemico li lascerà in pace. Infatti, entrando in città e vedendo intorno a sé solo gli spettacoli di incredibile stupidità, che potevano servire solo per il divertimento negativo, il sovrano ha deciso di ritirarsi. Purtroppo, mossi dalla paura che il nemico tornerà a verificare il loro stato di intelligenza, a forza di simulare sempre ed ovunque la stupidità, i cittadini hanno dimenticato la ragione e sono diventati veramente tutti stupidi. Dunque, la paura è il movente dell’imitazione mimetica di stupidità, che con il tempo, a forza di perdurare, può trasformarsi in uno stato reale? La leggenda popolare sulla Città degli stupidi, su come i saggi siano diventati scemi, è confermata con un fenomeno della nuova storia d’Europa, che dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale è stata divisa in due zone d’occupazione, con le corrispondenti ideologie, i sistemi di indottrinamento forzato e i guardiani del politically correct. Come ci insegnano i racconti sulla Città degli stupidi, questo trasformismo mimetico, con il tempo, a forza di perdurare, ha soppiantato l’intelligenza nascosta ed è diventato la vera natura, la proprietà richiesta, obbligatoria ed essenziale per le (pseudo) élites al potere. Se è necessario fissare una data d’inizio dell’istupidimento degli Europei - questo è il 3 aprile del 1949. Quel giorno a Washington era stata pattuita l’Alleanza atlantica, ed il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, con i segretari dello Stato per la difesa (Louis Johnson) e per la politica estera (Dean Acheson) aveva offerto una cena, alla Casa Bianca, per i ministri degli esteri dei paesi membri. Come ci testimonia un fonogramma delle conversazioni a tavola, il presidente degli Stati Uniti aveva aperto il conclave con una minaccia falsa, dicendo agli ospiti europei che è imminente l’invasione sovietica sull’Europa occidentale: “Dobbiamo, infatti, avere ben presente che, a dispetto dell’enorme potenziale di guerra americano, le nazioni occidentali sono praticamente disarmate e non hanno nessuna possibilità di impedire che le cinquecento divisioni (sic!) sovietiche schiaccino l’Europa occidentale…”

Dragos Kalajic

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Sulla recente guerra nei Balcani sono state avanzate molte analisi, alcune convincenti altre meno. Il problema che resta insoluto è quello dei dettagli, degli aspetti meno risaltanti di un conflitto che - dopo cinquanta anni di guerra minacciata tramite la guerra fredda - ha visto per la prima volta una guerra convenzionale tra Est e Ovest che ha coinvolto ufficialmente e materialmente la NATO e dietro di questa i principali stati a capitalismo avanzato dell'area euroatlantica. Un commentatore de "La Repubblica", Sandro Polito, ha recentemente classificato questi Stati e le loro ambizioni internazionali (in questo caso la NATO) come "portatori della medesima cultura guidaico-cristiana" (La Repubblica del 5 agosto 1999). Questo passaggio, per molti aspetti inquietante anche se non determinante ai fini dell'analisi, ha fatto scattare un campanello d'allarme. Non avevamo forse ritenuto che le "guerre di religione" appartenessero al passato ? Perchè mai un commentatore del secondo quotidiano italiano (e uno dei maggiori in Europa) ha sentito l'esigenza di marcare la supremazia di diritto di questa "specificità" del modello politico-culturale dei maggiori paesi occidentali ? L'affermazione gettata con nonchalance da Polito nel suo articolo, ha così stimolato l'avvio di una ricerca su "dettagli analoghi" emersi prima, durante e dopo la recente guerra tra la NATO e la Repubblica Federale di Jugoslavia. Più volte sui principali quotidiani di quelle settimane, abbiamo visto dare notevole risalto alle origini "ebraiche" di molti dei protagonisti delle scelte che hanno portato alla guerra. In alcuni casi la sottolineatura era visibile solo agli osservatori più attenti, in altri il richiamo delle radici razziali o religiose era più smaccato e non si comprende a quale scopo.Il problema sono le singolari coincidenze che prese una per una non dicono nulla ma collegate tra loro destano sicuramente una certa impressione che dovrebbe essere smentita.....ma non sembrano riuscirci. La guerra contro la Jugoslavia è piena di questa coincidenze. 1) Mesi addietro la stampa italiana diede ampio risalto al fatto che Madeleine Albright (il Segretario di Stato USA che ha voluto fortemente questa guerra) aveva scoperto le sue origine ebraiche. Il fatto che l'altro "falco" dell'amministrazione Clinton nella guerra sia stato il Segretario alla Difesa Stephen Cohen o che il teorico della supremazia statunitense su tutta l'Eurasia (Europa, Balcani, ex URSS) sia Zbignew Brzezisnki, può apparire come una prima singolare coincidenza. 2) "Spunta il nome di Soros tra gli "amici" dei ribelli". E' il titolo di un articolo del principale quotidiano italiano sulla diplomazia parallela degli USA nei Balcani. Più avanti l'articolo precisa che esistono dei consiglieri americani sul campo a fianco dell'UCK e non sono neppure tanto misteriorsi. Scrive testualmente: " Il più famoso è Morton Abramowitz, ex ambasciatore (tra l'altro è stato in due punti caldi come Turchia e Thailandia) che ora rappresenta una istituzione privata chiamata "Industrial Crisis group" legata alla fondazione Soros"....."(Soros). Ebreo, di origine ungherese che ha fatto fortuna negli Stati Uniti, colto, uomo politico prima ancora che tycoon di Wall Street sostiene i movimenti di liberazione che stanno cambiando i connotati dell'area balcanica". (Corriere della Sera del 15 febbraio). 3) "Lo spettro dei "pogrom" guida il generale". Questo è il titolo di un lungo articolo con cui si viene informati che anche il generale della NATO Weseley Clark - analogamente alla Albright e come lei protagonista guerrafondaio di questo conflitto - ha scoperto le sue origini ebraiche. L'articolo in questione riporta un articolo del New York Times, il quale si è preso la briga di segnalare che il vero padre del generale Clark si chiamava B.J Kanne e il nonno Jacob Nemerowski era scappato in America per sottrarsi ai progrom. anti-ebrei in Russia. Ciò serve alla giornalista per riprendere la tesi secondo cui la Albright e Clark sono così oltranzisti contro Milosevic in memoria delle persecuzioni subite dai loro antenati. Ma serve anche per far sapere che la moglie del mediatore statunitense nei Balcani - Holbrooke - ha scoperto a 30 anni di essere di

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origine ebraiche. (Corriere della Sera del 4 maggio 1999). 4) Un noto conduttore televisivo come noto di origine ebraica,- Gad Lerner - ha sorpreso molti (sia tra coloro che lo conoscevano ai tempi di Lotta Continua sia coloro che lo hanno scoperto con le trasmissioni televisive Milano-Italia prima e con Pinocchio poi) per l'acrimonia e l'aggressività con cui ha condotto le trasmissioni televisive sulla guerra contro la Jugoslavia. Ma il colpo da maestro - che conferma la regola e non l'eccezione - è stata la vera e propria campagna da lui condotta contro uno studioso serbo - Dragos Kalajic - che era diventato un pò la voce "controcorrente" nelle trasmissioni di Pinocchio. Dalle polemiche in diretta nelle trasmissioni, Lerner è passato alle campagne stampa con un articolo pregno di razzismo comparso su "La Repubblica" del 19 aprile ("Le parole avvelenate della Serbia in TV"). Il tono di Lerner è inquietante e nauseante allo stesso tempo ("In lui (Kalajic) abbiamo creduto di vedere un rappresentante autentico della metastasi europea con cui dobbiamo fare i conti, e abbiamo deciso di esibire come in provetta davanti alla telecamera, un piccolo quantitativo della materia prima costitutiva della guerra"). Ma non è solo questo articolo a porre Gad Lerner in una posizione moralmente indefinibile, infatti le trasmissioni successive (quelle senza la "metastasi Kalajic") sono state impostate all'insegna di una nuova "guerra di religione" in cui il mondo ortodosso (che a noi materialisti piace né più nè meno di quello cattolico, islamico, ebraico, confuciano, taoista etc. etc.) veniva rappresentato come medioevo incombente anche sull'Europa occidentale se non si interveniva a bloccarlo e indebolirlo in quella orientale. 5) Le cose peggiori le abbiamo però dovute leggere ancora sul principale quotidiano italiano che ha sentito l'esigenza di pubblicare in prima pagina un inquietante intervento dello storico Daniel Goldhagen docente ad Harvard. Questo storico ebreo- autore de "I volonterosi carnefici di Hitler" - sostiene nel suo libro e nell'intervento pubblicato dal quotidiano italiano una tesi aberrante: i popoli vanno puniti quanto i loro governi. La sua tesi è che le popolazioni hanno avallato ieri gli orrori del nazismo ed oggi la repressione serba, per cui tedeschi e serbi possono essere bombardati senza pietà. La tesi di Goldhagen rasenta il razzismo "La stragrande maggioranza dei serbi è animata da una variante particolarmente virulenta del carattere nazionalista della civiltà occidentale. La conseguenza raccapricciante è rappresentata da tutti i civili bosniaci e albanesi morti alla stessa stregua degli ebrei, dei polacchi, degli omosessuali e di altri (e qui Goldahen omette gli stessi serbi) uccisi durante il periodo hitleriano.....La maggior parte del popolo serbo, sostenendo o perdonando le politiche di eliminazione di Milosevic si è resa sia legalmente sia moralmente incompetente a condurre i propri affari interni. Il loro paese deve avere essenzialmente una amministrazione controllata...Il popolo serbo dovrebbe riprendere la piena sovranità soltanto quanto potrà dimostrare di essere una vera democrazia". (Corriere della sera del 5 maggio) Una domanda: Se le tesi di Goldhagen non sono condivisibili per il loro estremismo perchè hanno trovato ampio spazio sulla prima pagina del più venduto quotidiano italiano? 66) I paesi della NATO dopo la guerra vogliono non solo "protettorare" il Kossovo ma decidere anche le sorti della vita politica interna della Serbia. Si parla di escludere dalla ricostruzione la Serbia se Milosevic non viene allontanato dal potere. Si dà spazio e legittimità ad un governo mafioso come quello del Montenegro e si dà spazio ai partiti dell'opposizione a Milosevic. Ma tra tutti i leader dell'opposizione - inclusi quelli più noti anche da noi - i paesi della NATO nella conferenza di Sarajevo sulla ricostruzione dei Balcani hanno già deciso che sarà uno quello su cui punterà le sue carte e lo ha nominato (senza nemmeno attendere le consultazioni elettorali) capo dell'opposizione e successore di Milosevic : Dragomir Avramovic, ex banchiere centrale della Repubblica Jugoslava sulle cui origini è fin troppo semplice indagare. Altra singolare coincidenza: due settimane dopo la sua "nomina" a capo dell'opposizione, Avramovic è partito per un viaggio di venti giorni negli Stati Uniti. 

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7) Un navigatore internettista americano - Jared Israel, ebreo di sinistra - ha inviato in rete la sua lettera di replica all'editoriale del Jewish Bulletin della California curato da Brad Blitz (professore universitario e autore di un libro sulla politica estera degli USA nell'Europa del Sudest). La tesi di Blitz è piuttosto sballata e pericolosa: la Serbia è stata sostenuta in America da organizzazioni di destra per cui la Serbia rappresenta un focolaio di neo-nazismo e dunque è nemica degli ebrei. Il nostro amico americano accusa apertamente il prof. Blitz di usare contro i serbi concetti e categorie di carattere anti-semita e di esprimere uno spirito serbofobo. Il fatto che questi concetti, categorie e spirito segnino l'editoriale della pubblicazione della comunità ebraica della California è un brutto, bruttissimo segno dei tempi ed un'altra, ulteriore, coincidenza. Dagli anni '80 in poi, la sinistra italiana è stata spesso messa sulla difensiva dalle accuse - totalmente pretestuose ma estremamente puntuali - di antisemitismo. La solidarietà con la causa del popolo palestinese - soprattutto negli anni dell'Intifadah è stata oggetto di attacchi strumentali da parte di commentatori e opinionisti di origine ebraica ogni qualvolta che il sionismo (e la sua ideologia ipernazionalista e razzista) e la politica israeliana (dunque del suo governo e delle sue istituzioni e non della sua popolazione) venivano accusati per la loro azione repressiva e per la legislazione sostanzialmente razzista adottata contro la popolazione palestinese. Nel 1988 la campagna di boicottaggio dei prodotti provenienti da Israele e Sudafrica lanciata da una cartello di associazioni di solidarietà con il popolo palestinese, fu oggetto di un fuoco di fila - che penetrò anche dentro la sinistra - per aver ardito un accostamento tra la politica di Israele e quella dell'allora Sudafrica dell'apartheid cioè l'esempio più classico di un paese retto su una legislazione razzista. Eppure i legami economici, militari, tecnologici e politici tra Israele e Sudafrica erano materiali noti a tutti. Allo stesso modo il modello dei "bantustan" sudafricani non era affatto dissimile da quello adottato dallo stato israeliano verso la popolazione palestinese. Nonostante questo - all'epoca abbiamo dovuto combattere una aspra ma efficace battaglia politica per sostenere un accostamento che era nei fatti ancora più che nelle ideologie. Anni più tardi, allo stesso "processo accusatorio" fu sottoposto il dossier di una rivista marxista ("La Lente di Marx") sugli "ebrei brava gente" che contestava una serie di luoghi comuni presentando (anche se in maniera disordinata) una tesi in larga parte condivisibile e cioè che i cittadini di origine ebraica non si dividevano mai di fronte agli "altri", ai non ebrei, muovendosi compattamente e aggressivamente verso tutti coloro che non fanno parte di "loro" realizzando così una forma di razzismo culturale e politico che - nonostante i cambiamenti che intervengono nella cultura politica e sociale di ogni società o gruppo sociale - sembra destinato a rafforzarsi ed a diffondersi sul piano internazionale. In questo senso il legame -ad esempio - tra le comunità ebraiche nel mondo (indipendentemente dalla loro nazionalità) e lo Stato di Israele è venuto ad assumere un carattere di identificazione inesistente in tutte le altre comunità, anche tra quelle più radicalizzate e tormentate dalle diaspore (es : gli armeni). Ma la questione più inquietante è la coincidenza tra i personaggi che muovono pedine decisive sullo scacchiere euroasiatico e mediorientale e la loro comune identità religiosa e razziale. A nessuno sfugge che in queste due aree (Iraq e Balcani) si sono prodotti i due conflitti più estesi e più gravi degli anni '90 ed altri se ne stanno innescando in funzione apertamente anti-russa nelle aree definite strategiche da Brzezisnki (vedi il Caucaso e la nuova frontiera petrolifera del Mar Caspio). Quelli che abbiamo indicato, sono solo alcune notizie comparse in questi mesi e che hanno in qualche modo colpito l'attenzione per lo sforzo di mettere in evidenza dettagli e fattori spesso secondari e non rilevanti. Sorge un primo dubbio: chi ha scelto di dare evidenza a questa "specificità ebraica" nella guerra dei Balcani lo ha fatto per mettere in luce il ruolo da protagonisti dei suoi membri? Oppure è un messaggio che lascia trapelare una sorta di allarme per

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l'invandenza e la potenza della cosiddetta "lobby sionista"? (Ad esempio perchè il CorrierEconomia del 7 giugno mette in evidenza il potere crescente di un nuovo oligarca in Russia, tal Roman Abramovich ex braccio destro del finanziere ebreo Berezovskij alla luce delle recenti polemiche sul potere della finanza ebraica in Russia?) Se queste due domande - anche se tra loro in contraddizione - risultassero però pertinenti, ci sarebbe da chiedersi in modo estremamente serio se non sia il sionismo contro cui dovremo combattere in Europa o quantomeno nell'Europa dell'Est nel prossimo secolo ormai alle porte. Il "popolo di sinistra" si trova così di fronte ad un orribile dubbio che le pretestuose e potenti campagne stampa su un presunto "antisemitismo della sinistra" non possono dirimere.

http://euro-synergies.hautetfort.com/archive/2009/02/11/entretien-avec-dragos-kalajic-1997.html

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

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Entretien avec Dragos Kalajic

 

Tandis que l'on vote en Serbie, le vent de la guerre souffle à nouveau sur les Balkans et les accords de Dayton risquent d'être balayés par les tensions provoquées par l'intransigence des Etats-Unis qui viennent de se ranger du côté de la “Dame de fer” de la République Serbe, la Présidente Plavsic.

Les principaux observateurs internationaux sont d'accord pour dire qu'une simple étincelle suffirait à embraser une situation déjà bien critique. Ils nous rappellent également que l'avenir de l'aire balkanique préoccupe non seulement les Serbes, les Bosniaques et les Croates mais aussi les Européens, les Russes et les Américains. C'est dans ce contexte que le nouveau quotidien milanais La Padania a recueilli les propos du Sénateur serbe Dragos Kalajic, co-directeur de l'Institut des Etudes géopolitiques de Belgrade. Kalajic nous a expliqué l'actuelle crise balkanique avec le regard d'un (géo)politologue serbe qui connaît bien la situation italienne.

 

DK: Les sanctions et l'embargo subis par la Serbie depuis plusieurs années ont appauvri l'économie du pays et provoqué un fort taux de chômage. Aujourd'hui encore la Serbie est isolée de la communauté internationale et le FMI déconseille d'investir chez nous, tandis qu'une caste de nouveaux riches, authentiques requins de la finance, spécule sur cette situation tragique. Ceux qui hier faisaient chez nous l'apologie du communisme se sont transformés aujourd'hui en thuriféraires de la “démocratie” capitaliste libérale. C'est un peu ce qui s'est passé en Italie après la chute du fascisme, le 25 juillet 1943...

GS: Monsieur le Sénateur, regrettez-vous le régime communiste?

DK: Absolument pas! Il me déplait que l'Europe ait utilisé deux poids deux mesures, en reconnaissant arbitrairement le droit à la sécession de la Croatie et de la Slovénie, et, en même temps, ait avalisé les frontières entre les diverses républiques yougoslaves que le régime communiste avait tracées.

GS: Mais le référendum sur la sécession en Yougoslavie a été proposé démocratiquement par Zagreb, tandis que la Serbie ne l'a pas acceptée et a envoyé des troupes...

DK: Ce référendum a été imposé par la coalition croato-musulmane à la suite d'une suggestion américaine; les Serbes, eux, voulaient suivre à la lettre la Constitution de la République de Yougoslavie. C'est la raison pour laquelle ils n'ont pas accepté la sécession: elle était contre la loi constitutionnelle. Mais parlons d'autre chose que de la guerre entre Serbes et Croates, évoquons plutôt du gros problème que pose l'émergence d'un Etat musulman en plein cœur de l'Europe.

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GS: Vous voulez que nous parlions de la Bosnie?

DK: Exactement. Durant la guerre entre nous, les Serbes, et les Croates, j'ai rencontré un soldat ennemi que nous avions fait prisonnier et qui m'a dit: “Dans le futur, la Croix ne combattra plus, parce que le danger, c'est le Croissant”. L'Europe de Bruxelles et les Américains font semblant de ne pas comprendre que l'Islam vise l'“arabisation” du monde. Nous nous trouvons en tant qu'Européens en face d'une religion qui propage un totalitarisme implaccable, mais, à cause de sordides intérêts d'argent, personne n'ose le dire. Je voudrais vous rappeler qu'en mars 1992, un projet intéressant a été proposé aux parties belligérantes: la création d'une fédération de cantons ethniques en Bosnie-Herzégovine. Si ce projet avait été accepté, des flots de sang auraient été épargnés au pays. Mais c'est le leader bosniaque Izetbegovic qui a fait pression sur l'ambassadeur américain Zimmermann pour que celui-ci fasse marche arrière et retire sa signature. Ce petit jeu cynique de la superpuissance américaine, en paroles adversaire tenace de l'Islam, mais en fait grande financière et protectrice des Musulmans quand ceux-ci représentent un danger pour l'Europe.

GS: N'êtes-vous pas en train d'exagérer?

DK: En disant cela, je me base sur des données et des rapports internationaux qui n'ont jamais été démentis. Saviez-vous que les politologues turcs les plus influents annoncent l'islamisation de l'Europe dans les prochaines décennies? En 1991, la revue de géopolitique des musulmans bosniaques, Preporod (Sarajevo), donnait la parole au professeur turc Nazmi Arifi qui y préconisait l'islamisation de l'Europe par l'explosion démographique des résidents musulmans dans notre continent.

GS: En Italie, le gouvernement de l'Olivier (gauche) veut donner le droit de vote à tous les “extra-communautaires”, alors que l'immigration clandestine demeure un problème irrésolu. Que pourrait-on bien faire, selon vous, pour éviter toutes tensions futures?

DK: C'est Umberto Bossi qui a raison quand il prévoit une véritable invasion d'immigrants dans les prochaines décennies. Or vos jeunes, en Italie, ne bénéficient plus d'aucune protection sociale. Pire, les groupes de la criminalité organisée pourront recruter partout, chez vos jeunes comme chez les immigrants, des hommes désespérés et déracinés prêts à tout. Ce problème de l'exclusion et de l'immigration n'est pas l'affaire de chaque Etat en particulier, c'est un problème qui est désormais international. Hélas, les déséquilibres géopolitiques d'aujourd'hui ne laissent rien présager de bon, vu la prépondérance de l'idéologie mondialiste dans tous les gouvernements d'Europe.

GS: Depuis longtemps, vous suivez les événements d'Italie. Que pensez-vous de l'émergence d'une Padanie indépendante?

DK: Ce phénomène interpelle, à mon avis, deux dimensions politiques différentes: premièrement, la volonté réelle du peuple de se débarrasser de la fiscalité étouffante imposée par Rome et, deuxièmement, les retombées possibles de cet état d'esprit

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révolutionnaire. L'histoire nous enseigne que la route de l'enfer est pavée de bonnes intentions. En tant qu'observateur étranger, je ne peux qu'enregistrer les énormes différences qui existent en tous domaines entre Lombards et Siciliens, entre Vénétiens et Campagnols, etc. Ensuite, force est de constater que la carte de l'Europe se modifie sur base des ethnies et se recompose de façon telle que nous retrouverons bientôt une situation comme avant la révolution française, c'est-à-dire, pour l'Italie, à une situation d'avant le Risorgimento. A mon avis, c'est une évolution positive, qui démontrer que l'unité politique de votre péninsule est artificielle, qu'elle a été voulue par les intérêts idéologiques de la franc-maçonnerie et les intérêts matériels de la finance, mais qu'elle n'a jamais reflété la volonté populaire. Mais cette évolution, bien que positive dans bon nombre de ses aspects, recèle également un grave danger: la désagrégation des Etats nationaux pourrait aussi apporter de l'eau au moulin du mondialisme des financiers et de leurs hommes de main dans la sphère politique. Il faut donc que les peuples qui sont réellement animés du désir de liberté et de paix trouvent une voie conjugant le réveil des nations authentiques et l'émergence d'une Europe forte, non seulement sur le plan économique, mais aussi sur les plans militaire et politique. Mais si vous voulez entendre l'avis d'un homme qui vient de faire la guerre, je vous dirai que je ne crois pas que la sécession éventuelle de la Padanie provoquera un affrontement armé. En Yougoslavie, la situation était beaucoup plus compliquée, mais, vous Italiens, possédez une conscience historique qui s'étend sur trois millénaires.

(propos recueillis par Gianluca Savoini lors de l'Université d'été de “Synergies Européennes” et parus dans le quotidien La Padania, édition du 21/22 septembre 1997).

http://www.eurasia-rivista.org/la-russia-e-i-suoi-vicini/524/ RAZZISMO ANTIEUROPE

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http://www.eurasia-rivista.org/con-i-serbi-incontro-con-yves-bataille/13317/

Con i Serbi: incontro con Yves Bataille

Serbia :::: Yves Bataille :::: 24 gennaio, 2012 ::::     

Yves Bataille è una attivista impegnato da decenni nella lotta per la liberazione dell’Europa contro l’occupante atlantista. Ora è sul fronte di Kosovska Mitrovica, dove i Serbi del Kosovo resistono alle truppe di occupazione della NATO.1) Come è nato il “Movimento delle barricate”?Yves Bataille – Il movimento nasce a fine luglio, dopo la distruzione del posto di blocco di Jarinje sul confine tra Serbia e Kosovo. È la seconda volta è stato presa d’assalto e incendiata tale postazione. La prima volta fu nel febbraio 2008, dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia occupata. Questa volta i fantocci albanesi installati dalla NATO hanno inviato la loro “forza speciale Rosa”, creata dagli statunitensi per controllare quello che chiamano confine. In risposta, i serbi hanno eretto barricate e vietato le pattuglie di EULEX (1), la struttura di tutela statunitense-occidentale della colonia. Contrariamente a quanto implica il suo acronimo, EULEX è una

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macchina statunitense.2) Qual è la natura di questo movimento? E’ sostenuto nel resto della Serbia?YB – Non è un’azione marginale. Se l’operazione ha un massiccio sostegno nel nord del Kosovo, ha anche un ampio consenso nel resto della Serbia. A Belgrado il potere filoccidentale di Boris Tadic ha prima cercato di controllare le informazioni e poi, appena le barricate sono state erette, ha imposto un oscuramento totale sull’azione ed ha arrestato diverse persone. I media liberi, soprattutto via Internet, cercavano di spezzare la censura. Le decine di barricate del Nord hanno questo significato: voi ci bloccate, noi vi blocchiamo. Noi non vogliamo dipendere dalle autorità criminali di Pristina. Ci sono diversi tipi di barricate. Le grandi barricate erette nei punti caldi, come quelle delle due postazioni di frontiera, Jarinje e Brnjak, e quello sul “Ponte Austerlitz” sul fiume Ibar, quella di Dudin Krs sulla strada per Pristina, e alcuni altri sono grandi cumuli di blocchi di cemento e di ghiaia o di tronchi di legno, che impediscono la circolazione. Vecchi camion, autobus e macchine per il movimento terra, in genere vengono aggiunti al dispositivo. Le altre barricate sono dei posti di blocco che filtrano il traffico. Le barricate impediscono ad EULEX di muoversi, in modo che le postazioni di frontiera devono essere rifornite da elicotteri. Il traffico in uscita dalla frontiera serba passa attraverso i “percorsi alternativi” dei sentieri di montagna attrezzati, che sono problematici per i camion quando il tempo è cattivo. Ma funziona. Le barricate non si limitano alle barricate. Sono integrate da una sistema di guardia e vigilanza costante, giorno e notte, con una rotazione dei volontari e un sistema di allarme in grado di mobilitare migliaia di volontari nei punti caldi in pochi minuti, se l’allarme viene dato. Nelle chiese i sacerdoti sono incaricati di far suonare le campane. Caratteristica, se la NATO (la “KFOR”) (2) smantella una barricata, una nuova barricata viene eretta velocemente vicino e delle bandiere vengono piantate su di essa. Così attaccare le barricate è inutile. Solidi striscioni idrorepellenti con slogan semplici e leggibili come “Fuori la Nato!”, “Stop KFOR! Stop Eulex!”, “Risoluzione 1244″, o “Referendum”, tutti con i colori della Serbia sono piantati nei dintorni. Il movimento si basa sul metodo della difesa con l’azione civile, la Dac, con strumenti come le tende, che permettono di riposare, riscaldarsi e se necessario curarsi. Una eesistenza con l’azione civile, che non è dissimile dalle teorie della “guerra civile” dello statunitense Gene Sharp, il padre delle “rivoluzioni colorate”, ma che il movimento usa contro i suoi amici. Tutte i professionisti sono mobilitati, in primo luogo medici e vigili del fuoco. Il Movimento delle Barricate non è fine a se stesso. Al suo settimo mese sfocerà in una forte iniziativa politica che irrita la cosiddetta comunità internazionale e i suoi cloni di Belgrado, si terrà il 14 febbraio con un referendum: “Sei per l’istituzione della Repubblica del Kosovo nel nord del Kosovo e Metohija?”. Il Nord troverà la sua via alla posizione del Pridniestrovie (“Transnistria”) a est della Moldova, con un territorio, una bandiera, un inno, una moneta, istituzioni e un’amministrazione. Non ci sarà un esercito, ma forse l’embrione dell’esercito popolare è nel Movimento delle Barricate … In ogni caso, rappresenta la resistenza.3) Qual è la posizione del potere a Belgrado?YB – Il potere di Tadic non riconosce l’indipendenza del Kosovo, perché sa che se lo facesse verrebbe spazzato via nelle prossime elezioni, che si terranno quest’anno. Il governo è sotto una duplice pressione, degli Stati Uniti e dei loro seguaci, e quello dell’opinione pubblica serba. Quindi temporeggia. E “negozia” a Bruxelles con i trafficanti di organi albanesi. Prodotto da mani straniere e da combinazioni parlamentari, il governo Tadic ha ottenuto una maggioranza

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risicata con l’allineamento dei socialisti comprati e corrotti dell’SPS, il partito fondato da Slobodan Milosevic. I tutori statunitensi-occidentali non volevano un governo socialista nazionale con i Radicali. Hanno lavorato affinché i socialisti fossero “premiati” (soldi e ministeri) e per distruggere il Partito Radicale. Hanno indotto una scissione di “destra” al suo interno e creando il Partito Progressista (SNS) del tandem Nikolic – Vucic, sulla falsariga di Alleanza Nazionale in Italia.4) Qual è lo stato attuale della corrente nazionale in Serbia?YB – Il Movimento nazionale serbo ha le proprie caratteristiche, ma di recente subisce l’influenza benefica di idee esterne, in particolare dalla Russia e dai settori nazionali rivoluzionari d’Italia e di Francia. L’evoluzione è notevole; fino ai bombardamenti della NATO nel 1999, il movimento nazionalista era dominato dal culto del passato, l’eroica resistenza ai Turchi e agli Austro-tedeschi, i cetnici di Draza Mihailovic, il rifugio nell’Ortodossia. Ma i settori patriottici della vecchia sinistra e dei nazionalisti illuminati alla fine hanno riflettuto sulla geopolitica, rivelando una nuova prospettiva. Così, il Movimento nazionale serbo si è reso conto che il movimento dei Paesi Non Allineati del periodo di Tito non era privo di interesse. E i socialisti hanno (ri)scoperto il nazionalismo. Le guerre di aggressione contro Iraq, Libia e Siria hanno provocato una ondata di solidarietà che si è collegata ad esso. La Libia di Gheddafi ha mobilitato un numero di militanti maggiore che altrove. Lo si può vedere sulle pareti affrescate di Kosovska Mitrovica, alla gloria della Jamahirya.Penso che dovremmo rendere omaggio a un uomo che era una sorta di precursore, intendo Dragos Kalajic. Dragos ha introdotto in Serbia, negli anni ’90, una nuova dottrina dell’essenza nazionale europea, in un momento in cui il nazionalismo era limitato alla rievocazione delle battaglie del passato e al sostegno a Milosevic. Un sostegno forzato e costretto, perché l’attacco USA-occidentale rendeva obbligatorio difenderlo. Ma il regime statico di Slobodan Milosevic non aveva nessuna visione del mondo, né un qualsiasi progetto politico. Allo stesso tempo, un combattente della Milizia delle Aquile Bianche, Dragoslav Bokan, svolse un ruolo importante nel combinare arte e politica, nazionalismo e bolscevismo in riviste sperimentali. Un ex consigliere di Milosevic, Smilja Abramov, da parte sua ha svolto un lavoro essenziale di documentazione su circoli globalisti e opachi come Bilderberg, Trilateral, Opus Dei, producendo libri. Un Istituto di Studi Geopolitici è stato fondato nell’anno della guerra, ma è stato sabotato dopo i bombardamenti (1999). Il fondatore del gruppo di studio marxista rivoluzionario Praxis (ai tempi di Tito), Mihailo Markovic, con il quale ho avuto per molti anni interessanti conversazioni, era passato, grazie alla crisi (crollo della Jugoslavia, embargo, guerre separatiste dell’Occidente) verso una interessante sintesi del socialismo e del nazionalismo. Mihailo ha svolto un ruolo importante nell’articolare discussioni e argomentazioni.D’altra parte dei giornali come “Ogledalo” (ora scomparso) e “Geopolitika” di Slobodan Eric, siti informatici d’informazione o di gruppi militanti come Srpska Politika, Apisgroup, Vidovdan, Dveri, 1389, Nasi-1389, Obraz, Nova Srpska Politika Misao, Pokret za Srbiju, ecc. hanno svolto un ruolo innegabile nella diffusione di argomenti innovativi. Si noti anche, adesso, l’importanza delle reti sociali come Facebook per diffondere le idee. Posso aggiungere che nei miei frequenti interventi politico-mediatici dal 1993 ad oggi, ho introdotto nel Movimento nazionale serbo l’approccio geopolitico e soreliano dei fatti. Il russo Aleksandr Dugin è venuto a Belgrado, dove i suoi principali libri sono stato tradotti. Ha tenuto conferenze, ha incontrato tutti. Gli scambi con russi, francesi e italiani, soprattutto quelli del Coordinamento Progetto Eurasia, si

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sono sviluppati con reciproco vantaggio. Questo lavoro politico opera a monte, cosicché la continuità della crisi (un paese senza frontiere, un popolo che si vede costantemente accusato e attaccato) spiega la forza del pensiero nazionale e la nascita dei blog che rivendicano la prospettiva eurasiatista. Temi e prospettive eurasiatiste sono ora ampiamente discusse. L’Eurasia è vista come un progetto fondamentalmente antioccidentale e non-allineato, che collega la Serbia alla Russia e ad un’altra Europa.Il Movimento nazionale serbo ha un vantaggio su quelli d’Italia e soprattutto della Francia: è sostenuto da molti intellettuali. Un settore in cui gli statunitensi hanno fallito, qui, è il fronte culturale. Questo non significa che i fastidi USA-occidentali non vengano trasmessi. Usano i media audiovisivi “liberi e democratici” nelle mani delle società capitalistiche anglosassoni e tedesche. Ma fuori di questo paravento artificiale, c’è nelle élite reali e nei popoli un riflesso del rifiuto della sottocultura occidentale. Così la coscienza verticale, la “memoria più lunga” e la proiezione nel futuro si armonizzano. La poesia e i canti popolari e folclorici vivi sono armi di distruzione di massa che l’imperialismo statunitense-occidentale non può bombardare. L’USAID (ambasciata USA), NED (3) e la Fondazione Soros hanno speso parecchio denaro per corrompere il settore culturale, come avevano corrotto il settore politico (politicante) e finanziario, ma i loro rappresentanti hanno finalmente ammesso la sconfitta, in privato.Va aggiunto che, se i nazionalisti sono rappresentati in parlamento dal Partito Radicale serbo (SRS), indebolito da una scissione della “destra nazionale”, il cuore del movimento è extraparlamentare. Lo si ritrova in una varietà effervescente di associazioni e gruppi. Il Movimento Barricate del Kosovo, per quanto lo concerne, è un movimento di base e autonomo, guidato da uomini e donne del popolo, al di fuori e al di sopra dei partiti. Legato alla “resistenza senza dirigenti”, non è limitato a piccole cellule non collegate, ma si articola sul campo dei gruppi autogestiti e di solidarietà. Nella situazione di disagio in cui si trova, il popolo ha preso in mano il proprio destino. Coloro che nei partiti rifiutano l’irredentismo albanese, la NATO e l’UE, l’appoggiano, ma non ne sono il motore.5) Ci sono tra la popolazione albanese delle correnti eurasiatiste favorevoli alla restaurazione della Jugoslavia?YB – Non lo so. La posizione di coloro che potrebbero essere presentati come “nazionalisti albanesi” è insostenibile e inaccettabile: i “nazionalisti” sono ora i soli al mondo, oltre agli israeliani, ad applaudire gli statunitensi, a sventolare le bandiere yankee. La loro identità (etnica, piuttosto che religiosa) li separa dagli Slavi dell’ex Jugoslavia. Come ieri i banditi di Lucky Luciano in Sicilia, essi sono utilizzati come cavallo di Troia dall’invasore, sono immersi in una società criminale dove l’unica industria è quella della prostituzione e della droga; hanno eretto una copia in plastica della Statua della Libertà di New York, alle porte di una Pristina ripulita dai Serbi, hanno dato i nomi delle loro strade a Clinton, Albright e Clark. A titolo di aiuto per la ricostruzione, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e le monarchie petrolifere arabe hanno versato milioni di euro e dollari in parte stornati dalla mafia. L’Arabia Saudita ha riversato un fiume di denaro per creare moschee conformi all’eterodossia wahhabita. In Bosnia ci sono gruppi islamici, ma sono una minoranza.Ne approfitto anche fare una osservazione. Gli Albanesi sono meno di quanto affermino: dal 1999, 250.000 Serbi se ne sono andati o sono stati espulsi. Un piccolo numero è riuscito a tornare. Vi sono oggi 170.000 Serbi. I due milioni di albanesi dichiarati nel 1999 per giustificare l’attacco della NATO, sono una

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bugia, in quanto il censimento albanese ha identificato 1.700.000 abitanti nell’aprile 2011 (il nord serbo ha rifiutato il censimento). Sappiamo che dal 1999 una parte della popolazione dell’Albania si è riversata nella provincia per avere sovvenzioni e contributi dalla “comunità internazionale”, aggiungendosi a quelli che già avevano fatto tale passo a nord, durante la colonizzazione precedente, sapendo anche che ben pochi albanesi del Kosovo sono emigrati in Occidente per ragioni di passaporto e visto, si deve concludere che le cifre erano false. Questa gigantesca menzogna, largamente ripresa dalla stampa occidentale, ha facilitato la nuova pulizia etnica a danno dei Serbi e delle minoranze etniche non albanesi. Quindi ricostruire la Jugoslavia con gli emuli di questi albanesi forieri di invasioni e occupazioni, non è all’ordine del giorno.Le cose potranno sistemarsi un giorno con le altre nazionalità, ma per il gruppo albanese in quanto tale, etnocentrico, gregario e “americanolatra” non vedo come. Lo sguardo degli Shqipetar (4) è rivolto agli Stati Uniti, non all’Eurasia. Gli statunitensi hanno fatto loro credere che avrebbero diritto ad una Grande Albania a scapito di Serbi, Montenegrini, Macedoni e Greci – a spese di tutti i vicini dell’Albania – ed essi ne approfittano, perché tutto è loro permesso.6) Cosa succede nelle altre enclavi serbe in Kosovo?YB – Il Nord non è un enclave. Si appoggia sulla Serbia. Le enclavi serbe sono isole e isolotti a sud del fiume Ibar che divide la città di Kosovska Mitrovica. L’entità principale, quella di Strpce, 10.000 abitanti, si trova sulle pendici della montagna Sar Planina, che confina con la Macedonia. Strpce è formata prevalentemente da una dozzina di villaggi serbi che sono sopravvissuti ai bombardamenti del 1999 e alle pulizie etniche del 1999 e 2004. Nelle vicinanze, ma fuori, c’è l’enclave di Velika Hoca, un grazioso borgo medievale conservato, con 14 chiese ortodosse e una specialità che risale al Medioevo, la produzione di vino. Il paese è circondato da vigneti. Nel Kosovo centro-orientale, a pochi chilometri da Pristina, c’è anche Gracanica, centro dell’ortodossia serba, un enclave grande ma porosa, con circa 30.000 abitanti. Le altre enclavi sono sparse. Sono dei villaggi completamente isolati come Gorazhdevac, 1000 abitanti a 6 km da Pec, pezzi di enclavi, ghetti, quartieri come la Collina di Orahovac, dove la maggior parte se ne è andata nel 2004, e rimanendo in condizioni di estrema precarietà che 400 serbi. Poi un serbo mi ha mostrato la strada a 40 metri, e mi ha detto: “vedete questo angolo, mio fratello è andato lì due anni fa e non è mai tornato.”Grazie e coraggio, compagno …Traduzione di Alessandro LattanzioFonte: http://corsicapatrianostra.over-blog.com/article-avec-les-serbes-rencontre-avec-yves-bataille-97160403.html

Note:(1) EULEX: missione di polizia e giustizia dell'UE.(2) KFOR: Kosovo Force (NATO e partner)(3) NED: National Endowment for Democracy. Principale strumento di ingerenza degli Stati Uniti, uno schermo della CIA. La NED crea e finanzia in tutto il mondo organizzazioni non governative (ONG) che fungono da operazioni da relè per le operazioni politico-militari anglo-statunitensi nei paesi presi di mira.

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Kosovo résistent aux troupes d'occupation de l'OT.A.N.  

 1) Comment est né le «Mouvement des Barricades »?

Yves Bataille - Le mouvement est né fin juillet après la destruction du poste de Jarinje sur laligne de démarcation Serbie-Kossovo. C’est la deuxième fois que ce poste est pris d’assaut et incendié. La première fois c’était en février 2008 après la déclaration unilatérale d’indépendance de la province occupée. Cette fois-ci les fantoches albanais installés par l’Otan ont envoyé leur « force spéciale Rosa » fabriquée par les Américains pour garder ce qu’ils appellent une frontière. En riposte, les Serbes ont érigé des barricades et interdit les patrouilles d’Eulex (1), la structure de tutelle américano-occidentale de la colonie. Contrairement à ce que supposerait son acronyme, Eulex est aussi un machin américain. 2) Quelle est la nature de ce mouvement et est-il soutenu dans le reste de la Serbie?

YB - Il ne s’agit pas d’une action marginale. Si l’opération a un soutien massif dans le nord du Kossovo elle dispose aussi d’un large soutien dans le reste de la Serbie. A Belgrade le pouvoir « pro occidental » de Boris Tadić a d’abord essayé de contrôler l’information puis comme les barricades étaient maintenues il a imposé un blackout total sur l‘action et arrêté quelques personnes. Des médias libres, notamment via Internet, essaient de briser la censure. Les dizaines de barricades du Nord ont la signification suivante: vous nous bloquez, nous vous bloquons. Nous ne voulons pas dépendre des autorités criminelles de Pristina. Il y a plusieurs types de barricades. Les grandes barricades placées aux points chauds comme celles des deux postes de la ligne de démarcation, Jarinje et Brnjak, celle du « pont Austerlitz » sur la rivière Ibar, celle de Dudin krš sur la route de Priština et quelques autres sont de volumineux monticules de gravier et de parpaings bétonnés ou truffés de coupe de bois qui empêchent la circulation. De vieux camions, autobus et engins de terrassement s’ajoutent généralement au dispositif. Les autres barricades sont des points de contrôle qui filtrent les allées et venues. Les barricades interdisent à Eulex de passer, ce qui fait que les postes de la ligne de démarcation doivent être ravitaillés par hélicoptère. La circulation serbe hors de la ligne de démarcation se fait par les « routes alternatives », des sentiers de montagne aménagés qui posent problème aux poids lourds quand le temps est mauvais. Mais ça marche. Les barricades ne se limitent pas à des barricades. Elles sont appuyées par un système de garde et de veille permanente, jour et nuit, avec une rotation des volontaires et un système d’alarme qui permet de mobiliser des milliers de volontaires sur les points chauds en quelques minutes si l‘alerte est donnée. Dans les églises les popes sont chargés de faire sonner les cloches. Particularité, si l’Otan (la « Kfor »)(2) démantèle une barricade, une nouvelle barricade est rapidement érigée à proximité et des drapeaux plantés dessus. Ainsi s’en prendre aux barricades ne sert à rien. De solides banderoles hydrophobes avec des slogans simples et lisibles comme « Otan Dégage! », « Stop Kfor! Stop Eulex! » « Résolution 1244! » ou « Référendum!» toutes aux couleurs de la Serbie sont accrochées aux alentours. Le Mouvement repose sur la méthode de la Défense par action civile, la Dac, avec ses outils comme les tentes qui permettent de se reposer, se réchauffer et au besoin se soigner. Une résistance par action civile qui n’est pas sans rappeler les théories de la « guerre civilisée » de l’américain Gene Sharp, le père des « révolutions de couleur » mais là le mouvement se déploie contre ses amis. Toutes les professions sont mobilisées, et en premier les médecins et les pompiers. Le Mouvement des Barricades n’est pas une fin en soi. A son septième mois il débouchera sur une initiative politique qui irrite fort la dite communauté internationale et ses clones de Belgrade: la tenue le 14 février d’un référendum posant cette question: « Êtes-vous pour les institutions de la République du Kossovo au nord du Kossovo et Métochie? ». Le Nord va se retrouver à sa façon dans la position du Pridniestrovie (« Transnistrie ») à l’est de la Moldavie avec une territoire, un drapeau, un hymne national, une monnaie, des institutions, une administration. Il manquera une armée mais peut-être que l’embryon d’armée populaire se trouve au sein du Mouvement des Barricades… En tout cas il incarne la Résistance. 3) Quelle est la position du pouvoir de Belgrade?

YB - Le pouvoir de Tadić ne reconnait pas l’indépendance du Kossovo parce qu’il sait que s’il le faisait il serait balayé aux prochaines élections qui auront lieu cette année. Le gouvernement est soumis à une

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double pression, celle des Etats-Unis et de leur suite et celle de l’opinion serbe. Alors il temporise. Il « négocie » à Bruxelles avec les trafiquants d’organes albanais. Produit de la main étrangère et de combinaisons parlementaires, le gouvernement Tadić n’a obtenu une courte majorité qu’avec le ralliement des socialistes achetés et corrompus du SPS, le parti fondé par Slobodan Milosević. Les tuteurs américano-occidentaux ne voulaient surtout pas d’un gouvernement socialiste national avec les Radicaux. Ils ont œuvré pour que les socialistes soient « récompensés » (argent et ministères) et pour détruire le Parti radical. Ils ont provoqué en son sein une scission « de droite » et cela a donné le Parti progressiste (SNS) du tandem Nikolic - Vucic, sur le modèle de l’Alliance Nationale en Italie.

4) Quelle est l'état du courant national en Serbie ?

YB - Le Mouvement national serbe a ses propres caractéristiques mais depuis peu il subit l’influence bénéfique des idées venues d’ailleurs, en particulier de Russie et du secteur national révolutionnaire d’Italie et de France. L’évolution est notable: jusqu’aux bombardements de l’Otan en 1999, le mouvement nationaliste était dominé par le culte du passé, la geste héroïque de la résistance aux Turcs et aux Austro-Allemands, les Tchetniks de Draza Mihailović, le refuge dans l’Orthodoxie. Mais les secteurs patriotiques de l’ancienne gauche et les nationalistes éclairés ont fini par se rejoindre et mener une réflexion géopolitique qui dévoile un nouveau champ de vision ouvert aux grands espaces et à l’univers. C’est ainsi que le Mouvement national serbe s’est aperçu que le Mouvement des non alignés de la période titiste n’était pas dépourvu d’intérêt. Et les socialiste ont (re)découvert le nationalisme. Les guerres d’agression contre l’Irak, la Libye et maintenant la Syrie ont provoqué un élan de solidarité qui s’est branché là-dessus. La Libye de Kadhafi a mobilisé un nombre de militants plus important qu’ailleurs. On peut voir sur les murs de Kosovska Mitrovica des fresques murales à la gloire de la Jamahirya.

Je crois qu’il faut rendre hommage à un homme qui a été une sorte de précurseur, je veux parler deDragoš Kalajić. Dragoš a introduit en Serbie dans les années 1990 une matière doctrinale nouvelle d’essence nationale européenne à un moment où le nationalisme se réduisait à l’évocation des batailles du passé et au soutien à Milosević. Un soutien contraint et forcé car l’attaque américano-occidentale obligeait à le défendre. Mais le régime statique de Slobodan Milosević n’était porteur d’aucune vue du monde, d’aucun projet politique. Dans le même temps, un combattant issu de la Milice des Aigles Blancs, Dragoslav Bokan, a joué un rôle important en conjuguant art et politique, nationalisme et bolchévisme dans des revues expérimentales. Une ancienne conseillère de Milosević, Smilja Abramov, a fait pour sa part un travail essentiel de documentation sur les cercles mondialistes et opaques comme Bilderberg, Trilatérale, Opus Dei. Cela s’est traduit par des livres. Un Institut d’Etudes Géopolitique a vu le jour dans les années de la guerre mais il devait se saborder après les bombardements (1999). Le fondateur du groupe d’études marxiste révolutionnaire Praxis (époque de Tito), Mihailo Marković, avec lequel j’ai pu avoir pendant des années de nombreuses et intéressantes conversations, avait évolué à la faveur de la crise (éclatement de la Yougoslavie, embargo, guerres séparatistes de l’Occident) vers une intéressante synthèse du socialisme et de la nation. Mihailo a joué un rôle important dans la manière d’articuler le discours et d’argumenter.

D’autre part des journaux comme Ogledalo (aujourd’hui disparu) et Geopolitika de Slobodan Erić, des sites internet d’information ou de groupes militants comme Srpska Politika, Apisgroup, Vidovdan,Dveri, 1389, Nasi -1389, Obraz, Nova Srpska Politika Misao, Pokret za Srbiju etc ont joué un rôle indéniable dans l’information et la diffusion d’arguments novateurs. On notera aussi en ce moment l’importance des réseaux sociaux comme Facebook pour l’essaimage des idées.

Je peux ajouter que par mes fréquentes interventions politico-médiatique, de 1993 à aujourd’hui, j’ai introduit dans le Mouvement national serbe l’approche géopolitique et sorélienne des faits. Le russe Alexandre Douguine est venu à Belgrade où ses principaux livres ont été traduits. Il a tenu des conférences, rencontré

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du monde. Les échanges avec des Russes, des Français et des Italiens, en particulier ceux du groupe Eurasia, se sont développés avec bénéfice mutuel. Ce travail politique en amont ainsi que la pérennité de la crise (un pays sans frontières et un peuple qui se voit en permanence accusé et attaqué) expliquent la vigueur de la pensée nationale et l’essor des blogues se réclamant du nouveau nationalisme et de l’Eurasisme.

Le thème et les perspectives de l’Eurasisme sont donc en ce moment largement discutés. L’Eurasisme est vu comme un projet fondamentalement anti-occidental et non aligné reliant la Serbie à la Russie et à une autre Europe. Un mouvement de libération nationale.

Le Mouvement national serbe a un avantage sur ceux d’Italie et surtout de France, il bénéficie du soutien de nombreux intellectuels. Un domaine où les Américains ont échoué ici c’est le Front culturel. Cela ne veut pas dire que les nuisances américano-occidentales ne sont pas véhiculées. Elles le sont via les médias audio-visuels « libres et démocratiques » aux mains de sociétés capitalistes anglo-saxonnes et allemandes. Mais en dehors de ce placage artificiel il y a dans les élites réelles et dans le peuple un réflexe de rejet de la sous-culture occidentale. Ainsi la conscience verticale, la « mémoire la plus longue » et la projection vers le futur s‘harmonisent. La poésie, les chansons traditionnelles et le folklore vivant sont des armes de destruction massives que l’impérialisme américano-occidental ne peut bombarder. L’Usaid (ambassade américaine), Ned (3) et la Fondation Soros ont dépensé beaucoup d’argent pour corrompre le secteur culturel comme ils avaient corrompu le secteur politique (politicien) et financier mais leurs représentants ont fini par avouer en privé un échec sur la cible.Il faut ajouter que si les nationalistes sont représentés au parlement avec le Parti radical serbe (Srs) affaibli par une scission de « droite nationale », le cœur du Mouvement est extra-parlementaire. On le retrouve dans une foule d’associations et de groupes effervescents. Le Mouvement des Barricades du Kossovo, pour ce qui le concerne, est un mouvement basiste et autonome impulsé par des hommes et des femmes du peuple en-dehors et au-dessus des partis. Apparenté à la « résistance sans chefs », il ne se réduit pas à de petites cellules sans lien entre elles mais articule sur le terrain des groupes solidaires et autogérés. Dans la situation de détresse où il se trouve, le peuple a pris en main lui-même son destin. Ceux qui dans les partis refusent l’irrédentisme albanais, l’Otan et l’Ue l’appuient mais ils n’en sont pas le moteur.

5) Existe-t-il au sein de la population albanaise des courants eurasistes favorables au rétablissement de la Yougoslavie?

YB - Je n’en connais pas. La position de ceux que l’on pourrait présenter comme des « nationalistes albanais » est intenable et dans tous les cas inacceptable: ces « nationalistes » sont aujourd’hui les seuls au monde, si l’on excepte les Israéliens, à applaudir les Américains, à brandir des drapeaux yankees. Leur identité ethnique, plus que la religieuse, les sépare des Slaves de l’ex Yougoslavie. Comme hier les bandits de Lucky Luciano en Sicile, ils ont servi de cheval de Troie à l’envahisseur; ils baignent dans une société criminelle où la seule industrie est celle de la prostitution et de la drogue; ils ont érigé une copie en plastic de la statue de la Liberté de New York à l’entrée de Priština nettoyée des Serbes; ils ont donné les noms de Clinton, d’Albright et de Clark à leurs rues. Au titre de l’aide à la reconstruction l’Union européenne, les Etats-Unis et les Pétromonarchies arabes ont déversé des millions d’euros et de dollars en partie détournés par la Mafia. L’Arabie Séoudite a répandu un flot d’argent pour créer des mosquées selon la normewahhabite. Des groupes islamiques existent comme en Bosnie mais ils sont minoritaires.J’en profite pour faire une remarque. Les Albanais sont moins nombreux qu’ils ne le prétendaient: depuis 1999, 250.000 Serbes sont partis ou ont été chassés. Un nombre infime a pu revenir (« Povratak », le retour) Il reste aujourd’hui 170.000 Serbes. Les 2 millions d’Albanais annoncés en 1999 pour justifier l’attaque de l’Otan étaient un mensonge puisqu’un recensement albanais a relevé en avril 2011 1.700.000

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habitants (le Nord serbe a refusé le recensement). Comme on sait que depuis 1999 une partie de la population de l’Albanie déversée dans la province pour toucher subsides et subventions de la « communauté internationale » s’est ajoutée à ceux qui avaient déjà fait le saut vers le nord lors des colonisations de peuplement antérieures, comme on sait aussi que très peu d’Albanais du Kossovo ont pu émigrer en Occident pour des raisons de passeport et de visa, on doit en conclure que les chiffres étaient faux. Ce mensonge de taille, largement repris par la presse occidentale, a facilité le nouveau nettoyage ethnique des Serbes et des minorités ethniques non albanaises. Nouveau nettoyage car, constantes de l’Histoire, les « nationalistes albanais » sont les continuateurs de ceux qui ont toujours essayé d’étendre leur domaine vers le nord par l’immigration et l’expulsion des Serbes. Même s’ils se sont révoltés à de courts moments contre les envahisseurs de la région (contre les Ottomans, les communistes albanais d’Enver Hodja aidés par les partisans yougoslaves de Tito furent eux très minoritaires contre les forces de l’axe qui s‘appuyaient sur lesBallistes). Alors refaire la Yougoslavie avec les émules de ces Albanais fourriers des invasions et des occupations n’est pas à l’ordre du jour.Les choses pourront un jour s’arranger avec les autres nationalités mais pour le groupe albanais tel qu’il se présente, ethnocentriste, grégaire et « américanolâtre » je ne vois pas comment. Le regard des Shiptars (4) est tourné vers les Etats-Unis, pas vers l’Eurasie. Les Américains leur ont fait croire qu’ils auraient droit à une Grande Albanie au détriment des Serbes, des Monténégrins, des Macédoniens et des Grecs - au détriment de tous les voisins de l‘Albanie - et ils en profitent puisque tout leur est permis. 6) Que deviennent les autres enclaves serbes au Kossovo ?

YB - Le Nord n’est pas une enclave. Il jouxte la Serbie. Les enclaves serbes, ce sont des îles et des îlots au sud de la rivière Ibar qui partage en deux la ville de Kosovska Mitrovica. La principale en étendue, celle de Strpce, 10.000 habitants, se situe au flanc de la montagne Sar Planina qui fait frontière avec la Macédoine. Strpce c’est une douzaine de villages majoritairement serbes qui ont survécu aux bombardements de de 1999 et aux nettoyages ethniques de 1999 et de 2004. Non loin de là mais en dehors on trouve l’enclave de Velika Hoča, un joli village médiéval préservé, avec 14 églises orthodoxes et une spécialité qui remonte au Moyen âge, la fabrication du vin. Le village est entouré de vignes. Au centre-est du Kossovo à quelques kilomètres de Pristina, il y a aussi Gračanica, haut lieu de l’Orthodoxe serbe, enclave étendue mais poreuse, quelques 30.000 habitants. Les autres enclaves sont éparses. Ce sont soit des villages complètement isolés, comme Goraždevac, 1000 habitants à 6 kilomètres dePeć, soit des morceaux d’enclaves, des quartiers-ghettos comme celui de la colline d’ Orahovac où ne survivent plus depuis 2004, dans des conditions extrêmement précaires, que 400 Serbes. Là un Serbe m’a montré la rue à 40 mètres et m’a dit: « tu vois ce coin, mon frère est allé là il y a deux ans et il n’en est jamais revenu ».     Merci et courage , camarade ...

.(1) Eulex: Mission européenne de police et de justice.

(2) Kfor: Kosovo force (Otan et associés).(3) Ned: National Endowment for

Democracy. Principal instrument d’ingérence des Etats-Unis, paravent de la CIA. Ned

crée et finance de par le monde des Organisations non gouvernementales (Ong) qui

servent de relais aux opérations politico-militaires anglo-américaines dans les pays

cibles.(4) Shiptars: les Aigles. Nom donné aux Albanais du Kossovo par eux-mêmes.

 Lors de l'agression terroriste de la Serbie par l'O.T.A.N. en 1999 ,comme

pour celle de la Libye récement ,les raids meurtriers partirent entre autres

de la base de Sulinzara , en Corse . Le peuple Corse , colonisé , dont les

droits sont niés ,a condamné cette politique impérialiste et réaffirme sa

solidarité avec la résistance héroique du peuple serbe .

 A SQUADRA

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