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DEMOCRAZIE E DEMOCRATIZZAZIONI Il testo di Leonardo Morlino contiene un’analisi dei processi di democratizzazione che hanno avuto luogo in questi anni nelle diverse aree del mondo. Tuttavia l’obiettivo dell’autore non è quello di discutere l’ampia letteratura pubblicata sul tema, ma egli intende invece presentare le principali riflessioni teoriche nate da ricerche da lui dirette, confrontandole con la letteratura esistente in materia. Introduzione In prima analisi la democratizzazione comprende sia la transizione da regimi non democratici (soprattutto autoritari), a regimi democratici diversi; sia i successivi eventuali processi di instaurazione, consolidamento, crisi o crescita della qualità democratica. Capitolo primo Democrazia, democrazie, quasi-democrazie Mutamento e democrazia I quesiti fondamentali che si pone l’autore riguardano soprattutto le seguenti cinque transizioni: 1) dalla democrazia a diversi tipi di autoritarismo; 2) da regimi non democratici a regimi democratici; 3) da un tipo di democrazia ad un altro; 4) da una democrazia reale di bassa qualità ad una democrazia di qualità maggiore; 5) da un tipo di democrazia nazionale ad uno sopranazionale. Per analizzare la democratizzazione occorre innanzitutto: a) definire in modo circostanziato una democrazia; quindi b) definire i diversi modelli di democrazia in modo da coglierne i passaggi ed i cambiamenti interni c) infine dare qualche indicazione riguardo alle situazioni in cui un certo assetto politico istituzionale in corso di mutamento non è ancora pienamente democratico, ma non è neanche completamente non democratico. Definizioni di democrazia Il termine “democrazia” (etimologicamente: potere del popolo) è denso di riferimenti ideali e reali, tanto che ha generato ambiguità e significati diversi. Negli ultimi decenni la definizione più accreditata definisce democrazie: “tutti i regimi contraddistinti dalla garanzia reale di partecipazione politica più ampia della popolazione adulta maschile e femminile e dalla possibilità di

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Teoria del consolidamento di Morlino

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DEMOCRAZIE E DEMOCRATIZZAZIONI Il testo di Leonardo Morlino contiene un’analisi dei processi di democratizzazione che hanno avuto

luogo in questi anni nelle diverse aree del mondo. Tuttavia l’obiettivo dell’autore non è quello di discutere l’ampia letteratura pubblicata sul tema, ma egli intende invece presentare le principali riflessioni teoriche nate da ricerche da lui dirette, confrontandole con la letteratura esistente in

materia.

Introduzione In prima analisi la democratizzazione comprende sia la transizione da regimi non democratici (soprattutto autoritari), a regimi democratici diversi; sia i successivi eventuali processi di instaurazione, consolidamento, crisi o crescita della qualità democratica.

Capitolo primoDemocrazia, democrazie, quasi-democrazie

Mutamento e democrazia

I quesiti fondamentali che si pone l’autore riguardano soprattutto le seguenti cinque transizioni:

1) dalla democrazia a diversi tipi di autoritarismo;

2) da regimi non democratici a regimi democratici;

3) da un tipo di democrazia ad un altro;

4) da una democrazia reale di bassa qualità ad una democrazia di qualità maggiore;

5) da un tipo di democrazia nazionale ad uno sopranazionale.

Per analizzare la democratizzazione occorre innanzitutto:

a) definire in modo circostanziato una democrazia; quindi

b) definire i diversi modelli di democrazia in modo da coglierne i passaggi ed i cambiamenti interni

c) infine dare qualche indicazione riguardo alle situazioni in cui un certo assetto politico istituzionale in corso di mutamento non è ancora pienamente democratico, ma non è neanche completamente non democratico.

Definizioni di democrazia

Il termine “democrazia” (etimologicamente: potere del popolo) è denso di riferimenti ideali e reali, tanto che ha generato ambiguità e significati diversi.

Negli ultimi decenni la definizione più accreditata definisce democrazie: “tutti i regimi contraddistinti dalla garanzia reale di partecipazione politica più ampia della popolazione adulta maschile e femminile e dalla possibilità di dissenso e opposizione”.

Per Sartori democrazia è: “un sistema etico-politico nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di minoranze concorrenti che l’assicurano” appunto attraverso il meccanismo elettorale.

Una formulazione più articolata definisce la democrazia come: “il meccanismo che genera una poliarchia aperta la cui competizione nel mercato elettorale attribuisce il potere al popolo e specificamente impone la responsività (con tale termine si intende la capacità dei governanti di rispondere alle domande dei governati) degli eletti nei confronti dei loro elettori”.

Tale definizione comprende anche i valori liberali e democratici come competizione e pluralismo propri degli assetti poliarchici.

Schmitter e Karl nella loro definizione di democrazia aggiungono alla competizione anche la cooperazione per evidenziare l’importanza di una adesione collettiva a valori regole e istituzioni, all’interno dei quali non solo si compete ma anche si collabora. Secondo Schmitter e Karl : “una

moderna democrazia politica è un sistema di governo nel quale i governanti sono considerati responsabili per le loro azioni nella sfera pubblica da parte dei cittadini, che agiscono indirettamente attraverso la competizione e la cooperazione dei loro rappresentanti eletti”.

Tra le norme e le istituzioni che contraddistinguono un regime democratico, si possono indicare almeno i seguenti aspetti: l’insieme di regole formali e procedure che disciplinano il voto a suffragio universale; le elezioni libere, periodiche, competitive; una struttura decisionale e di controllo eletta con le norme suddette (di solito corrispondente ad una assemblea parlamentare, un primo ministro, un governo responsabile verso il parlamento); un insieme di strutture di intermediazione rappresentate dai partiti. Accanto alla definizione di democrazia generale, si delineano le seguenti definizioni: democrazia genetica, procedurale, minima, normativa.

Tra le norme e le istituzioni che contraddistinguono un regime democratico, si possono indicare almeno i seguenti aspetti: l’insieme di regole formali e procedure che disciplinano il voto a suffragio universale; le elezioni libere, periodiche, competitive; una struttura decisionale e di controllo eletta con le norme suddette (di solito corrispondente ad una assemblea parlamentare, un primo ministro, un governo responsabile verso il parlamento); un insieme di strutture di intermediazione rappresentate dai partiti. Accanto alla definizione di democrazia generale, si delineano le seguenti definizioni: democrazia genetica, procedurale, minima, normativa.

Democrazia procedurale, è corretto sostenere che il regime democratico è quello che consente la maggiore incertezza in ordine al contenuto concreto delle decisioni che gli organi eletti o elettoralmente responsabili possono assumere.

Definizione genetica, di democrazia come insieme di norme e procedure che risultano da un accordo-compromesso per la risoluzione pacifica dei conflitti tra gli attori sociali, politicamente rilevanti, e gli attori istituzionali presenti nell’arena politica.

Tale definizione permette di cogliere un aspetto importante, ciò che la democrazia è un regime concretamente caratterizzato da regole e istituzioni che contemperano ovvero bilanciano aspetti diversi.

Definizione minima, indica quali siano gli aspetti minimi essenziali e controllabili che consentono di stabilire una soglia al di sotto della quale un regime non può essere considerato democratico.

Democrazia ideale o normativa include la protezione e affermazione di valori e diritti essenziali alla realizzazione di libertà ed eguaglianza.

Modelli di democrazia La tradizionale classificazione distingue:

1 democrazie presidenziali (elezione diretta del capo dello stato);

2 democrazie parlamentari (il capo dello stato è una figura rappresentativa e l’esecutivo dipende dalla fiducia del parlamento);

3 democrazie semipresidenziali.

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Tipologie multiple e tipologie polari

Un altro insieme di caratteristiche che definiscono una democrazia è dato dal sistema partitico.

I fattori salienti in un democrazia sono:

a) istituzioni di governo;

b) sistema partitico;

c) società civile/politica.

Altri due modelli rilevanti sono: la democrazia plebiscitaria e la democrazia fortemente maggioritaria.

Per Regimi di transizione si intendono tutti quei regimi preceduti da un’esperienza autoritaria o tradizionale, cui faccia seguito un inizio di apertura, liberalizzazione e parziale rottura della limitazione del pluralismo. Tali regimi di transizione potranno essere meglio compresi quando saranno analizzati i regimi autoritari e alcuni altri regimi non democratici, nei capitoli successivi.

Capitolo Secondo Le alternative non democratiche

I modelli di regime non democratico sono fondamentale tre:

1 l’autoritarismo,

2 il totalitarismo

3 regime tradizionale.

Le dimensioni più importanti per approfondire meglio i regimi non democratici sono: il grado di pluralismo politico, l’ideologia, il grado di partecipazione e mobilitazione politica, la composizione del gruppo che esercita il potere, infine, la presenza di norme ambigue e mal definite. Alle quali va aggiunto la strutturazione istituzionale che spesso viene dimenticata.

1 Partecipazione l’aspetto più importante da considerare è la mobilitazione ossia il quantum di partecipazione di massa indotta e controllata dall’alto, nonché l’assenza di garanzie reali attinenti i diversi diritti politici e civili.

2 Pluralismo , centrale è il grado di pluralismo limitato e non responsabile che può andare dal monismo ad un certo numero di attori rilevanti ed attivi nel regime. Per ogni regime sarà poi opportuno verificare quali siano gli attori rilevanti. Questi si possono distinguere in attori istituzionali (l’esercito la burocrazia l’eventuale partito unico), e attori sociali (la Chiesa, i gruppi industriali o finanziari, i proprietari). Ciò rimanda al concetto di pluralismo limitato e coalizione dominante.

Le elezioni o altre forme di partecipazione elettorale che eventualmente possano esserci, non hanno un significato democratico ma soprattutto un significato simbolico di legittimazione espressione di consenso e sostegno a favore del regime da parte di una società civile controllata e non autonoma. La coalizione è dominante in termini di risorse coercitive, al momento della instaurazione del regime.

1 Giustificazione ideologica, importante è il grado di elaborazione della giustificazione ideologica del regime. Alcuni autoritarismi sono contraddistinti dal fatto che la loro legittimazione avviene sulla base di mentalità secondo l’espressione del sociologo tedesco Theodor Geiger, cioè semplicemente sulla base di alcuni “atteggiamenti mentali o intellettuali”, di alcuni valori, più o meno ambigui (patria, nazione, gerarchia, autorità ecc.), in altri regimi la giustificazione è di tipo personale, in altri ancora manca qualsiasi giustificazione.

2 Strutturazione istituzionale, riguarda le strutture politiche che vengono create ed istituzionalizzate nel regime non democratico.

AutoritarismiDiversi autori classici hanno tentato di definire l’autoritarismo, Marx lo faceva coincidere con la categoria di bonapartismo, Gramsci con quella di cesarismo, Linz lo spiega con la presenza di

mentalità caratteristiche, con la mancanza o quasi di mobilitazione politica estesa (tranne nel momento della loro ascesa),con la presenza di un leader o un ristretto gruppo che esercita il potere e che si garantisce un esercizio della repressione con scarsi limiti. Linz postula anche,riguardo alla definizione di autoritarismo, un pluralismo politico limitato, indicando così la presenza, per quanto limitata, di uno spazio oggettivo per le opposizioni anche se represse in gradi diversi. E infatti anche in un sistema o regime politico autoritario possono esistere diverse forme di opposizione, semi-opposizione o pseudo- opposizione: da quella attiva a quella passiva, legale o illegale. Molto spesso il regime fa mostra di tollerare un certo grado di pseudo- opposizione per dare una facciata liberale al proprio autoritarismo. I <<limiti formalmente mal definiti>>nell’esercizio della repressione, di cui parla Linz, risaltano il contrasto con la certezza del diritto propria della democrazia. Per quanto riguarda il leader che detiene l’autorità, di solito si tratta di personalità carismatiche che attuano una vera e propria personalizzazione del loro potere.Esistono quindi diversi modelli autoritari, di ognuno bisogna distinguere la struttura del regime, se è militare, burocratica, o politica, o ancora economica, la sua giustificazione ideologica e in particolare se il regime si poggia su valori moderni o tradizionali, il grado di mobilitazione,la sua istituzionalizzazione e cioè quanto la partecipazione possa essere indotta.Regimi personali e regimi militariCon regimi personali si intendono quei sistemi autoritari in cui un leader ha una funzione centrale e carismatica,la legittimazione del suo potere non proviene da alcuna istituzione e tutti, siano gruppi sociali o economici o militari, gli sono subordinati. Non esistono organizzazioni di massa, il pluralismo perde di significato e i rapporti politici diventano relazioni dirette con il leader. L’intero paese diventa una sua proprietà, patrimonialismo e personalismo si coniugano. Di solito i regimi personali nascono da un processo di trasformazione di regimi autoritari di altro tipo.Il regime militare invece ha per protagonista un gruppo di ufficiali o militari appunto, ed è un regime che nasce di solito da un colpo di stato, anche se non sono pochi gli esempi di colpi di stato che non sono sfociati necessariamente in regimi militari in senso stretto (come in Asia,Africa e America Latina tra il 1945 e il 1985). L’ideologia che sta alla base di questi regimi non è certo articolata e complessa, di solito fa appello all’interesse nazionale, alla sicurezza, all’ordine. Se vi è un leader militare prevalente si parla allora di autocrazia, o di tirannia militare, quando poi il tiranno giunge a dominare anche l’esercito in maniera personalistica allora il regime diventa di tipo personale. Si dice invece cleptocrazia un regime caratterizzato da personalismo e corruzione. Di solito l’esercito,la principale struttura di potere che caratterizza questi sistemi, è poco efficiente e professionale, ciò rende questi regimi instabili per le loro stesse caratteristiche. Nei regimi militari occorre anche distinguere il grado di penetrazione dei militari nelle strutture politiche o economiche preesistenti. Perciò distinguiamo tra un ruolo di controllo, ovvero di guida di settori già autonomi, o di direzione degli stessi settori, o ancora di amministrazione di questi settori, il che ne comporta una vera e propria colonizzazione. Nordlinger parla a questo proposito di militari moderatori ( ciò configura un regime militare-civile), guardiani (quei regimi che controllano direttamente il governo e si pongono il mantenimento dello status quo e dell’ordine come obiettivo) e militari governanti ( sono quei regimi che hanno un grado di controllo e penetrazione nelle strutture politiche, economiche o burocratiche più profondo). Nei regimi con militari governanti, più alta è la repressione, maggiore la probabilità di persistenza.Perché i militari intervengonoLe motivazioni più importanti dell’intervento militare non sono militari, ma politiche, come l’assenza di istituzioni politiche consolidate ( pensiamo alle fragili democrazie di molti stati del Terzo mondo che vengono rovesciate). Soggetti di questi interventi sono i militari perché naturalmente sono loro che detengono il monopolio della forza in ogni paese. Molto importanti sono poi le condizioni o pre-condizioni politiche che facilitano o meno l’intervento, quasi sempre la situazione politica interna del paese. Prendiamo il caso dell’Africa durante gli anni tra il 1960 e il 1975, qui i colpi di stato erano associati a una forte mobilitazione sociale, all’assenza di consolidate istituzioni politiche, alla presenza di forti divisioni etniche o locali. I militari inoltre, oltre a possedere armi pesanti, sono anche l’organizzazione più potente della società. Al di là di questi

aspetti, possiamo chiederci cosa effettivamente spinge i militari a intervenire? Nordlinger risponde sottolineando gli aspetti corporativi. In situazioni di disordine civile o di crisi, i militari difenderebbero i loro interessi, per prevenire tagli al bilancio delle spese per la difesa o aumentarle. Vi è anche un ulteriore interesse di classe consistente nella minaccia percepita dalle classi medie dalla politicizzazione delle classi inferiori. Gli interessi cambiano a seconda delle diverse aree geopolitiche, in Africa gli interessi di classe si identificano con interessi etnici o regionali. Un ufficiale che guida un gruppo o parte dell’esercito nell’intervento, lo fa per interessi personali. Naturalmente il principale fattore che limita l’azione di intervento è riscontrabile nell’esistenza di un partito di massa o sistema dominante che svolge un ruolo di stabilità.Regimi civili-militariI principali regimi civili-militari sono due: i regimi burocratici-militari e quelli corporativi. L’esempio di regime burocratico-militare più frequente è rappresentato da una coalizione di ufficiali e burocrati. Non vi è un partito di massa dominante, ma piuttosto un partito unico voluto dal governo che tende a ridurre la partecipazione politica della popolazione. Di solito in questi regimi, istituzioni tradizionali come la monarchia o la chiesa hanno un posto importante. Non si tratta di regimi tradizionali, anzi a volte possono dar vita a processi di modernizzazione, industrializzazione, urbanizzazione o sviluppo dell’istruzione. A emergere in questi casi è il ruolo di tecnici e il ricorso a maggiori misure repressive (esempi si sono avuti in Brasile, Argentina, nella Spagna di Primo de Rivera o nel Portogallo di Salazar). Il regime corporativo è invece caratterizzato da una partecipazione controllata della comunità politica (costituita da una oligarchia civile-militare), la stessa espressione sottolinea più la base ideologica più che una coalizione dominante. Il corporativismo è un sistema di rappresentanza degli interessi di alcune unità costituite, organizzate e riconosciute dallo stato. Sono regimi altamente strutturati e innovativi. Si distingue inoltre tra corporativismo includente( politiche dirette a includere gruppi importanti) o escludente. Al centro di questi regimi vi sono poi stati i regimi detti populisti, con riferimento all’America Latina. Sono regimi o movimenti caratterizzati da forme di mobilitazione dall’alto di masse popolari non sempre organizzate, dalla presenza di un forte leader carismatico e da un rapporto diretto, non mediato, tra questi e le masse. Qualcuno l’ ha definita una strategia politica di un leader personalista.Regimi di mobilitazioneI regimi di mobilitazione sono quei regimi nei quali ritroviamo il ruolo preminente del partito unico o egemonico, pur con significative differenze. Il primo modello è quello del regime nazionalista di mobilitazione, che nasce dalla lotta per l’indipendenza nazionale diretta da un’elite locale o da una personalità carismatica, che guida il partito verso una mobilitazione dal basso. Esempi di questi regimi si trovano in molti paesi africani durante il processo di decolonizzazione degli anni sessanta. Il secondo modello di regime mobilitativo è il regime comunista di mobilitazione, con chiaro riferimento ad aree geopolitiche come l’Europa orientale e l’Asia nel secondo dopoguerra. Si tratta di un regime corrispondente ad una sorta di <<stato-partito>>, a partito unico naturalmente, con una forte capacità di controllo sulla società. I militari in questi casi mantengono un ruolo di garanti del regime(non senza qualche confusione a volte tra ruoli militari e partitici). L’ideologia che legittima questi regimi è quella marxista-leninista. Le varianti ideologiche che si sono avute in alcuni paesi, come il titoismo o il maoismo, sono degli adattamenti alle condizioni sociali o culturali del paese. La diversità di questo modello rispetto al precedente, non sta nell’ideologia in sé, ma nel differente risultato che tale ideologia ha prodotto agendo in contesti diversi. Nel primo caso si tratta di paesi che hanno prima lottato per l’indipendenza, e , poi, hanno instaurato un nuovo regime. Nel secondo modello, la stessa ideologia si afferma in paesi già indipendenti, che magari escono da esperienze totalitarie. Il terzo modello è il regime fascista di mobilitazione, si applica a un caso solo, l’Italia tra il 1922 e il 1943, ed è stato un vero e proprio regime non democratico di massa, instaurato in seguito a un fenomeno di mobilitazione delle classi inferiori. Caratterizzato dalla presenza di un leader carismatico che ha guidato il processo instaurativo, e da un pluralismo limitato (che quindi lo differenzia da un totalitarismo vero e proprio) rappresentato dalla presenza di istituzioni tradizionali quali la chiesa e la monarchia. La sua ideologia è fortemente nazionalista,

perciò aggressiva ed imperialista. Possiamo citare un altro tipo di regime applicabile ad un caso in particolare e parlare di regime di mobilitazione a base religiosa. È il tipo di regime che si è instaurato in Iran attraverso una figura carismatica come Khomeini e presenta la particolarità di basarsi non sul partito ma sul clero e di avere una ideologia altrettanto totalizzante nelle sue applicazioni, come la religione musulmana.Questi regimi continueranno a proporsi come alternative ad assetti democratici identificati con un Occidente di cui non si condividono i valori e che continua ad essere visto nel ruolo di oppressore.TotalitarismiA differenza dei regimi autoritari, quelli totalitari sono caratterizzati da monismo,(ovvero assenza di pluralismo seppure limitato), con preminenza del partito unico come struttura burocratica e gerarchizzata che controlla tutta la società civile, da un’ideologia finalizzata alla legittimazione e al mantenimento del regime, dalla presenza di un’alta mobilitazione sostenuta dal partito e da limiti non prevedibili al suo potere. La repressione a cui fa ricorso questo tipo di regime è un terrore totalitario che colpisce nemici potenziali o oggettivi, perfino seguaci o membri della stessa èlite dirigente se giudicati di intralcio alle politiche del regime, o meglio del leader. Esempi noti di totalitarismo sono la Germania nazista e l’Unione Sovietica stalinista, nazionalista la prima, internazionalista la seconda, o anche la Cina di Mao, per certi versi Cuba, la Romania, il Vietnam del Nord. Il fascismo italiano si situa al confine tra autoritarismo e totalitarismo.Regimi tradizionaliSono quei regimi basati sul potere personale del sovrano che tiene legati i suoi collaboratori con un rapporto di paure e ricompense, dove il suo potere non è limitato da norme o giustificato da ideologie. Sono regimi tipici di paesi come il Medio Oriente e gli Emirati Arabi Uniti.Una conclusione parzialeAbbiamo elencato le principali alternative non democratiche che si sono succedute nei decenni passati e che sembrano concluse definitivamente, anche se non è improbabile che in paesi come l’Africa vi potrà essere in futuro un leader che convincerà èlite poco democratiche di riuscire a risolvere i loro problemi. L’alternativa autoritaria possibile invece alla democrazia occidentale potrà essere la pseudo-democrazia, cioè quel regime simile per molti aspetti formali alla democrazia, ma a cui non corrisponde una garanzia reale di diritti.

Capitolo Terzo

Dalla democrazia all’autoritarismo

Quali transizioni

In questo capitolo si analizzano le principali dinamiche di transizione da un regime democratico a uno non democratico. Queste transizioni possono essere diverse ma non tutte egualmente frequenti. La transizione per esempio dalla democrazia al totalitarismo è piuttosto rara, si è avuta solo con il passaggio dalla repubblica di Weimar al nazismo, così come rara risulta la transizione dalla democrazia a un regime militare. Le transizioni più frequenti sono dalla democrazia a regimi civili-militari e quella a regimi autoritari –civili, cioè regimi di mobilitazione (comunista o fascista).

Crisi e crollo democratico: le definizioni

Per capire queste transizioni bisogna capire le dinamiche interne al regime democratico. Si parla di crisi democratica quando emergono limiti all’espressione dei diritti politici e civili, quando la partecipazione politica è limitata. È la crisi delle liberal-democrazie di massa, capitaliste, nelle quali cioè la proprietà privata e il mercato rimangono aspetti cruciali del sistema. Oltre alla crisi della democrazia, vi sono anche crisi nella democrazia, quando cioè si registra il cattivo funzionamento di alcune strutture ( crisi governative), o quando si inceppano i rapporti tra società e

partiti. Una crisi nella democrazia può sfociare in una crisi della democrazia, e questa può degenerare fino a un mutamento di regime.

Crisi e crollo democratico : la dinamica

L’inizio della crisi presenta un inasprimento del conflitto politico, una polarizzazione o una maggiore radicalizzazione (aumento della distanza tra i diversi poli politici su problemi sostantivi, ha per arena la piazza o il parlamento), frammentazione partitica e instabilità governativa. Maggiore è la radicalizzazione o frammentazione politica, maggiore sarà l’inefficacia decisionale ( se quest’ultima aumenta, aumenta anche l’illegittimità del regime democratico). Si crea a questo punto un circolo vizioso che conduce all’immobilismo dell’azione politica. Sta alle èlite democratiche, mediante un accordo, il superamento della prima fase della crisi. Se ciò non si verifica, allora la crisi democratica nella sua seconda fase, pone le premesse per un crollo del regime.

Transizione e instaurazione autoritaria

A crisi avvenuta, si ha un periodo di transizione, ovvero quando due coalizioni politiche hanno le stesse pretese di sovranità sul territorio e sulla comunità ( l’esempio estremo di ciò si ha nel caso di una sovranità duale su un territorio, per esempio in una guerra civile). In questa fase nessuna coalizione è ancora riuscita a imporre le proprie strutture. Il punto di partenza della transizione è la crisi-crollo (transizione discontinua), o crisi-trasformazione (transizione continua) di un regime democratico La discontinuità o continuità tra il nuovo e il vecchio regime, dipendono dalla maggiore o minore aderenza alle norme di auto –mutamento. La transizione continua è più lenta e graduale, con limitato ricorso alla violenza. La transizione discontinua presenta una rottura più netta con le regole e strutture precedenti, maggiore ricorso alla violenza. Frequente il caso di transizione discontinua e successiva instaurazione di unità militari. Importante è poi considerare la durata della transizione e gli attori che ne sono protagonisti. L’instaurazione avviene quando uno degli attori riesce a imporsi guadagnando il monopolio e il controllo, creando norme e strutture del nuovo regime, e nuovi interessi rivolti al suo mantenimento ( autonomizzazione dello Stato), cioè l’instaurazione consiste nella presa del governo.

Dall’instaurazione al consolidamento

Il momento successivo all’instaurazione, cioè alla presa del governo, è la presa del potere, cioè il consolidamento. In questa fase la coalizione politica instaurata si assesta, si rinforza, completa l’opera di distruzione del vecchio regime, o la trasforma e riadatta alle nuove esigenze e ai nuovi programmi, aumentando il grado di legittimità interna o internazionale. Si creano nuove strutture chiamate strutture di legittimazione, cioè tutti quegli organi che hanno il compito di controllare la comunità politica e legittimare il regime (riducendo così il ricorso alla repressione) . Le modalità attraverso cui questi organi acquisiscono la legittimità stessa, sono i processi di socializzazione diretti ad educare la comunità ai nuovi valori e credenze del regime. Queste strutture possono essere la scuola, o il partito unico, con la sua organizzazione, i suoi quadri, i suoi militanti. La socializzazione rientra in un processo più ampio che è quello della mobilitazione dall’alto. Accanto ad un processo di mobilitazione non è infrequente riscontrare anche un processo di smobilitazione. Quest’ultima a differenza della mobilitazione dall’alto, non è volta a creare consenso attivo, ma è volta a neutralizzare gli oppositori del regime, a costringerli a conformarsi al nuovo regime, quasi sempre con mezzi coercitivi. Entrambi i processi, la mobilitazione e smobilitazione , puntano al consolidamento del regime, l’una con la persuasine, l’altra con la minaccia o la forza. Esiste un altro tipo do smobilitazione volto a ridurre all’apatia e alla non partecipazione gli stessi sostenitori che potrebbero creare problemi successivamente con la loro partecipazione attiva. Il ruolo della Chiesa in molti regimi è quello di attore principale, proprio perché la chiesa è l’unica struttura

sociale che i governanti non vogliono o non possono distruggere.

Persistenza e crisi autoritaria

Il consolidamento autoritario si conclude quando la coalizione dominante si è data un assetto stabile. Gli esiti del consolidamento possono essere tre: persistenza instabile, persistenza stabile, crisi. I primi due modelli di persistenza dipendono dal grado di rafforzamento e di legittimità della coalizione dominante ( cioè dalla presenza o meno di disordine civile, opposizioni forti o problemi non risolti). Quando la coalizione dominante si incrina, quando viene meno il patto alla base del regime, può giungere la crisi autoritaria. Ma quali sono le cause di una crisi autoritaria? Possono essere trasformazioni nella struttura e nelle preferenze della coalizione dominante,il passaggio all’opposizione di alcuni protagonisti della coalizione, trasformazioni socio-economiche. Senza dimenticare l’importanza del fattore internazionale come variabile decisiva per spiegare la crisi. Naturalmente le ragioni ipotizzabili di una crisi saranno più d’una.

Capitolo Quarto

Dall’autoritarismo alla democrazia

La prima instaurazione

La dinamica di un regime democratico comprende quattro processi: transizione, instaurazione, consolidamento e crisi. Parliamo qui della transizione e della instaurazione democratica.L’instaurazione di una democrazia per la prima volta in un paese, è un evento di particolare rilevanza. Ma come si giunge a questa prima instaurazione? Il primo elemento che la spiega è la comparsa dei diritti civili, la libertà di pensiero, di associazione e riunione, la libertà di stampa. Il secondo elemento è l’espansione dei diritti politici. Questi due elementi configurano uno spazio all’interno del quale possono collocarsi tutti i regimi politici, ma soprattutto impongono una serie di trasformazioni tali dalle quali non è più possibile tornare indietro. L’elemento civile rappresenta l’insieme dei diritti necessari alla libertà individuale, l’elemento politico riguarda l’acquisizione del diritto di voto, l’elemento sociale riguarda quell’insieme di istituzioni che rappresentano il welfare state. La democrazia riguarda soprattutto l’ingresso di nuovi strati della popolazione nella scena politica, processo reso possibile grazie al diritto di associazione e di riunione, ovvero la possibilità di creare sindacati e partiti, il che rappresenta uno dei modi per raggiungere una maggiore eguaglianza sostanziale ( che sfocerà tra l’altro nel suffragio universale maschile e femminile). Esiste una certa diversità nelle esperienze europee riguardo al raggiungimento dei regimi democratici, spiegabile con le diverse dimensioni relative alle diverse condizioni storiche, come ad esempio la persistenza di paesi di antica formazione contro quelli a recente indipendenza (soprattutto dopo la rivoluzione francese).. Nel processo di democratizzazione i fenomeni importanti risultano essere quello della legittimazione, della incorporazione, della soglia di rappresentanza, della soglia del potere esecutivo e dell’introduzione del controllo parlamentare sull’esecutivo.

La transizione.

Con il termine transizione si intende quel periodo intermedio che sancisce il passaggio dal precedente assetto istituzionale al nuovo regime. Poiché in molti casi il regime di partenza è un regime autoritario, la transizione comincia quando iniziano ad essere riconosciuti i primi diritti politici e civili, termina quando risulta evidente l’assetto democratico raggiunto, di solito ciò avviene con le prime elezioni libere e competitive.

L’instaurazione democratica: dimensioni di variazione

Per comprendere meglio questo processo distinguiamo tra liberalizzazione e instaurazione democratica. Con la prima si intende la concessione dall’alto di maggiori diritti politici e civili, al fine di allargare la base di sostegno sociale. L’instaurazione democratica è un allargamento completo dei diritti civili e politici, la civilizzazione completa della società. Le principali dimensioni di variazione dell’instaurazione da considerare sono: la durata e ruolo della violenza durante l’instaurazione, gli attori protagonisti, che possono essere attori istituzionali come l’esercito o la burocrazia o le forze autoritarie detentrici delle risorse coercitive e decisionali. Altro elemento è la coalizione fondante il regime, quindi l’instaurazione ha più probabilità di successo quanto più ampia è la coalizione fondante, comprendente tutte le forze politiche attive ( nel caso di conflitto destra-sinistra, l’ideale di successo dell’instaurazione sarebbe la presenza degli uni e degli altri). L’altro aspetto di notevole importanza che caratterizza l’instaurazione è la continuità/discontinuità delle strutture amministrative e giudiziarie del nuovo regime.

L’instaurazione democratica : fattori esplicativi

Una volta attuata l’instaurazione, si considera quale democrazia viene instaurata, considerando le tradizioni politiche del paese, ad esempio la presenza o meno di una tradizione monarchica., o di una guerra civile o altre esperienze conflittuali ( queste esperienze hanno un notevole effetto moderatore nei riguardi del successivo regime). Se un paese è reduce da una politica di massa, l’instaurazione viene detta di ridemocratizzazione, intendendo che il paese ha già conosciuto una democrazia liberale (con tutto ciò che ne comporta:libertà civili, suffragio, pluralismo politico). Tale precedente esperienza politica influisce sui nuovi assetti governativi agendo come una sorta di memoria storica. Ciò avviene anche nel caso la precedente esperienza politica sia stata di tipo autoritario, in tal caso, durata e tipo dell’esperienza sono fondamentali per capire le condizioni del successivo regime. Più il precedente regime autoritario è stato totalizzante nelle sue espressioni, più risulterà lenta l’attivazione della società civile. Le ragioni della caduta del precedente regime autoritario (sconfitta militare, intervento esterno di altro paese, divisione della coalizione ecc.) sono variabili utili da considerare per meglio capire la successiva instaurazione democratica.

Esiste una teoria della transizione o dell’instaurazione?

Cioè esiste una teoria del mutamento istituzionale? Vi sono stati alcuni tentativi in questo senso, in realtà risultano molto astratti e poco utilizzabili per farne una teoria. Una possibile teoria della transizione inevitabilmente si frammenta in quesiti più specifici, prendendo in considerazione ora gli aspetti economici, ora le strategie di regime. O’Donnel, Schmitter e Whitehead sono gli autori che più hanno tentato questa strada.

Capitolo QuintoTra consolidamento e crisi

Definizione

L’obiettivo di questo capitolo è dimostrare la possibilità di analizzare e identificare i processi di consolidamento e di crisi.

Il consolidamento democratico è quel processo di definizione e fissazione delle diverse strutture e norme del regime democratico e dei rapporti tra le istituzioni politiche e la società civile, che avviene soprattutto col tempo. Non è però un esito necessariamente scontato dell’instaurazione, ad esempio molte crisi e crolli dell’Europa tra le due guerre o nell’America Latina sono dovute a un mancato consolidamento della democrazia. Il consolidamento prevede anche una progressiva accettazione, cioè legittimazione del regime e di conseguenza un suo rafforzamento per evitare crisi future. La costruzione di questo rafforzamento, la costruzione di rapporti stabili tra il governo e la stessa società civile, avviene in due direzioni: dal basso verso l’alto, cioè dalla società alle istituzioni ( i partiti ad esempio operano come mezzi per creare consenso, legittimazione a favore

delle istituzioni), e dall’alto verso il basso, cioè dalle istituzioni e dai partiti alla società civile ( i partiti sono intesi come istituzioni pubbliche che incanalano la domanda politica della società, dirigendola e controllandola). Possiamo dire quindi che i due termini principali che definiscono il consolidamento sono: la legittimazione e l’ancoraggio. Se il consolidamento ha successo , avremo una persistenza stabile delle democrazia, cioè una lunga capacità di durata, in caso contrario, la democrazia sarà predisposta a subire diverse crisi nel tempo in relazione a fattori esterni di tipo economico o di altro tipo. La stabilità inoltre comporta condizioni positive quali istituzionalizzazione raggiunta,legittimità ed efficacia decisionale.

La legittimazione

La legittimazione è quel processo che sviluppa la legittimità, cioè un insieme di opinioni positive nei confronti delle istituzioni democratiche al potere, la convinzione che esse siano migliori di qualsiasi altra formula istituzionale. Il credere, come scrive Linz, che per un determinato paese o una particolare congiuntura, non ci sia altro regime adatto ad assicurare certi obiettivi collettivi in modo soddisfacente. Sono numerosi gli autori che sottolineano l’importanza della legittimazione e della legittimità. Non mancano autori, come Przeworski, che affermino come la legittimità non sia garanzia di sopravvivenza di un regime, che ciò che conta non è la presenza di legittimità, ma la mancanza di alternative. Il consenso e l’accettazione delle regole democratiche possono essere variegati, di solito se vi è legittimità vi è anche sostegno e azioni di osservanza e obbedienza nei confronti delle istituzioni. Vi potrebbe però anche essere una sorta di accettazione passiva, una tendenza all’abitudine, alla disillusione rispetto alla capacità della democrazia di risolvere problemi reali. Come si può misurare la legittimità e il consenso? Per molti studiosi tramite indicatori empirici ( come i sondaggi di opinione per esempio), per molti altri si tratta di un concetto impossibile da rilevare empiricamente. Emerge tuttavia, la possibilità di una legittimazione limitata, incompleta, esclusiva, in cui almeno un’alternativa politica è presente nella mente della gente, un consenso ristretto nel senso che interi settori delle elite non accettano le istituzioni democratiche e ne vengono esclusi, e una legittimazione piena, inclusiva, in cui tutte le organizzazioni politiche sono coinvolte nell’accettazione delle regole democratiche, in cui esiste un consenso esteso e scompare qualsiasi possibilità di regime alternativo. La legittimazione comporta inoltre la neutralità dei militari che restano nelle caserme una volta accettato il nuovo regime.

Le ancore del consolidamento

Il secondo fondamentale elemento di consolidamento, dopo la legittimazione, riguarda il consolidamento dall’alto verso il basso, l’ancoraggio, o la presenza di ancore, una metafora per indicare un processo di “aggancio” o legame che le èlite mettono in opera, non i singoli individui, che tuttavia accettano quegli agganci. In termini politici, le ancore empiricamente rilevate sono quattro: i partiti, il clientelismo, il neo –corporativismo, il gatekeeper dei partiti. I partiti rappresentano delle ancore di consolidamento del regime, con le loro strutture efficienti e funzionali, con la propaganda, con la loro presenza e le loro attività parlamentari. Tutto ciò porta i partiti ad acquisire un certo grado di controllo sulla società civile, a divenire delle vere strutture di integrazione e direzione della società civile ( è importante questo perché ci fa capire il paradosso della “integrazione negativa” a sinistra ad esempio, ovvero come alcuni partiti di sinistra, nati con obiettivi sovversivi, abbiano finito per incanalare e integrare una protesta che sarebbe potuta sfociare in contestazione delle istituzioni democratiche, questo tipo di integrazione, concorre anch’

essa al consolidamento di questi regimi). Perciò ai fini del consolidamento, esiste un controllo dell’ elite di partito sulla società civile, che si esplica ad esempio nei legami dei partiti con gli interessi organizzati, come le èlite imprenditoriali, i sindacati, le associazioni religiose o i rapporti clientelari.

Il clientelismo è infatti un’ancora forte, rende i singoli individui non organizzati, dipendenti dalle autorità pubbliche e partitiche che possono distribuire loro benefici di vario genere. Anche il neo-corporativismo, caratterizzato da stabili accordi tra associazioni imprenditoriali e sindacati, è un’ancora forte che può includere tutte le persone inserite in un’attività lavorativa. Il gatekeeper riguarda, invece, la capacità dei partiti di controllare l’accesso dei gruppi di interesse e delle èlite alle sedi decisionali e di stabilire la priorità degli interessi. Quindi per molte associazioni di interesse il gatekeeper partitico è la strada per difendere i propri interessi. Perciò il consolidamento democratico è più efficacemente descritto proprio a partire dalla varie connessioni tra la legittimazione e un insieme di ancore istituzionali.

L’analisi empirica: il Sud Europa

Vediamo i principali meccanismi di ancoraggio che hanno operato in alcune democrazie contribuendo al loro consolidamento. In Italia sono state le organizzazioni di partito le ancore più importanti, riscontriamo poi la presenza di una legittimità di tipo esclusivo, cioè le sue istituzioni venivano accettate solo in modo parziale e limitato. Anche in Grecia si riscontra un ruolo importante dell’organizzazione di partito ma anche una legittimità quasi inclusiva. In Spagna troviamo una debole organizzazione partitica ma diversi accordi corporativi pilotati dalle èlite politiche con , anche qui, una legittimità quasi inclusiva. In questi ultimi due casi il processo di legittimazione è stato fondamentale per il consolidamento delle èlite democratiche. In Italia invece, la limitata legittimazione non sarebbe stata sufficiente al consolidamento, perciò le altre ancore (cioè il dominio partitico e il suo rapporto con gli interessi organizzati), appaiono particolarmente rilevanti e ciò è vero per ogni paese in cui il processo di legittimazione non risulta abbastanza ampio da portare da solo al consolidamento. Quindi in assenza di una legittimazione inclusiva del regime, affinché questo divenga consolidato, possono essere necessari l’organizzazione partitica, il clientelismo. Il processo di consolidamento italiano è, dunque, un processo di consolidamento attraverso i partiti. In mancanza di partiti ben organizzati in grado di controllare la società civile, ed essendo quest’ultima più autonoma, le èlite politiche possono giocare un ruolo fondamentale per assicurare legittimità e consolidare il governo, per questo si parla di consolidamento attraverso èlite. La Spagna è un esempio di questo tipo di consolidamento attraverso le èlite. Un regime con una legittimazione inclusiva, con la presenza o meno di partiti ben organizzati, con il controllo della società tramite pratiche clientelari, con una presenza forte dell’apparato burocratico dello Stato, è un regime che ha conosciuto il proprio consolidamento attraverso lo Stato. E’questo il caso del Portogallo, con una legittimità quasi inclusiva, dovuta all’incompleta integrazione del partito comunista nel gioco della competizione democratica. Anche la Grecia può essere considerata un caso di consolidamento attraverso lo Stato, ma in questo caso un ruolo fondamentale è stato svolto anche da un leader come Papandreu, perciò si potrebbe parlare anche di consolidamento carismatico, inteso come sottocategoria di quello basato sullo Stato. Se ne ricava che in determinati regimi democratici, un basso livello di legittimità può essere compensato dalla presenza di partiti forti e stabili. In pratica le forme di ancoraggio sono favorite e auspicate dalle èlite democratiche poiché introducono stabilità e continuità nelle politiche di lungo periodo.

Disancoraggio e crisi

È importante tener presente, ed è anche la conclusione principale, che il consolidamento del regime democratico può avvenire anche in presenza di un basso livello di legittimità. In questo caso molto forte sarà l’ancoraggio. Una volta raggiunto il consolidamento, un forte ancoraggio diventa superfluo e costoso, ciò può portare ad una crisi, perciò un consolidamento con un forte ancoraggio, può portare successivamente ad una crisi interna al regime, ad un rapido processo di disancoraggio. Tipico è l’esempio del caso italiano durante il periodo di crisi della democrazia cristiana, così come la scomparsa dei socialisti. Ciò avviene perché in un processo di disancoraggio si inseriscono alcuni incentivi, alcuni condizionamenti. Per il consolidamento della democrazia cristiana nella metà degli anni quaranta, un fattore condizionante è stata la memoria collettiva del fascismo che ha avuto per molti anni un effetto unificante politicamente, ma anche paralizzante, derivato dal fatto che anche se quel governo non piaceva, era sempre meglio del fascismo, era, quindi, meglio aspettare. Questo condizionamento viene meno solo con un ricambio generazionale. L’altro condizionamento importante è stato il venir meno dell’ideologia anticomunista propria di molti partiti, con la fine del terrorismo, con la maggiore integrazione politica della sinistra, con la fine dell’Urss e anche con un processo di secolarizzazione della società e di de-ideologizzazione. In ultimo, la crescente complessità della società civile insieme all’emergere dell’Unione Europea, rende sempre più difficile il ruolo di gatekeeping dei partiti ( ossia la possibilità di ampio condizionamento della strutture partitiche nelle sedi decisionali). In pratica viene meno, attraverso una serie di condizionamenti e incentivi che alimentano il disancoraggio, l’intera formula italiana di consolidamento, basata sui partiti, sul clientelismo e sul gatekeeping. Di qui la crisi e l’emergere di una formula che presenta un segno di continuità con il passato. Per cui gli elementi in cui si articola la crisi sono : la lunga durata del governo, la forte centralizzazione statale, legami forti tra interessi e partito, un elettorato congelato.

<<Esportabilità>> della teoria dell’ancoraggio?

Le ipotesi affrontate fin qui si riferiscono al sud Europa, vediamo se sono esportabili alla situazione di altri paesi. Per l’America Latina, anche qui, legittimazione e ancoraggio sono i due elementi da considerare. Paesi come Colombia, Venezuela. Cile, Costa Rica e Uruguay sono caratterizzati da un forte consolidamento, quindi da una legittimazione inclusiva raggiunta grazie ad un impegno concordato delle èlite, grazie a veri e propri patti nella fase instaurativa, e grazie ad una spesa sociale elevata che serve a mantenere il consenso di massa. Si evince un modello di consolidamento basato sulle èlite, del tipo spagnolo. Argentina, Brasile ed Ecuador conoscono una legittimazione inclusiva, quindi un consolidamento debole, con poche forme di ancoraggio. In questi paesi, l’assenza di ancoraggi forti porta ad una accentuata insoddisfazione, a reazioni di protesta di fronte a problemi economici, è il caso della crisi argentina all’inizio del XXI secolo. La stessa assenza di legittimazione o ancore riguarda paesi come il Messico o Cuba, in generale tutta l’America Latina è interessata da processi di consolidamento più deboli che nei paesi sud-europei. Riguardo, invece, ai paesi dell’est Europa si può parlare di una legittimazione complessa. Pensiamo a paesi come la Slovenia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che hanno dovuto affrontare il problema di una legittimazione dello Stato con una diversa popolazione, una diversa comunità politica, numerose minoranze ( alcune delle quali erano fino a pochi anni fa espressione dei gruppi sociali dominanti). La legittimazione politica si accompagna a quella economica e l’aiuta, grazie sia all’esperienza fallimentare delle economie del passato, sia all’attrazione esercitata dalle prospere economie occidentali. Mentre in molti paesi del sud Europa e dell’America Latina, la legittimazione è solo politica, nei paesi est-europei vi sono tre forme di legittimazione che si intrecciano:statale, economica, politica; una sorta di legittimazione tridimensionale, o, nel caso sia solo politica ed economica, bidimensionale. Il sistema di ancoraggio di questi paesi è molto scarso poiché si tratta di società divenute poco articolate e differenziate a causa dei precedenti regimi autoritari. Forse

solo la Polonia, con una forte presenza cattolica, presenta una qualche forma di articolazione della società civile. L’unico ancoraggio forte che si può riscontrare è quello legato ai partiti. Naturalmente la prospettiva di integrazione spinge questi paesi sulla via della modernizzazione della struttura burocratica, dovendo inglobare parte del sistema legale europeo.

Capitolo sestoAlla ricerca di spiegazioni

I quesitiCome si spiega l’invenzione democratica, la prima instaurazione di una liberal-democrazia di massa; come si spiega la sua diffusione dall’Europa occidentale alle diverse aree del mondo; quali sono le condizioni essenziali della democrazia oggi.

Come spiegare la prima democratizzazione?

L’invenzione democratica si colloca nell’Europa occidentale tra il XIX e il XX secolo e i suoi primi passi ci vengono spiegati da uno studioso come Barrington Moore, il quale individua alcune condizioni di fondo che portano per la prima volta all’instaurazione democratica. In primo luogo, l’esistenza di un equilibrio tra la monarchia e l’aristocrazia terriera, equilibrio in cui nessuno dei due elementi debba prevalere. Secondo luogo, una trasformazione economica, prima in senso mercantile, poi in senso industriale, importante ai fini delle trasformazioni politiche.

Un indebolimento dell’aristocrazia terriera, o una sua trasformazione in classe dedita alle attività industriali e mercantili, fatto che presuppone l’integrazione, in un meccanismo economico volto alla produzione per il mercato, degli stessi contadini. Altro fattore che spiega l’instaurazione democratica, la fine del <<matrimonio tra la segale e l’acciaio>>, cioè della coalizione aristocrazia terriera -industriali ( via sicura verso l’autoritarismo) contro contadini e lavoratori, ma al suo posto una maggiore competizione, anche per la conquista di un appoggio popolare, e, quindi , l’esistenza di un’ampia borghesia urbana.

Ultimo fattore importante, la rottura rivoluzionaria col passato, in questo senso le rivoluzioni americana, francese e inglese, si sono rivelate essenziali per la democratizzazione, le stesse guerre mondiali hanno accelerato il passaggio alla democrazia di massa. Ma perché le èlite politiche e sociali ammettono, a un certo punto, nell’arena politica, le classi inferiori o i loro partiti e sindacati? Perché si sentono costrette ad accettare un tale radicale cambiamento di regime? Ciò avviene se, per esempio, esistono pressioni per un allargamento dei diritti da parte delle classi sociali inferiori, e il rischio che tali pressioni possano sfociare in aperta minaccia o violenza ( quindi il timore di una radicalizzazione nella mobilitazione delle classi inferiori), oppure se alcuni diritti e libertà sono ormai radicati nella cultura politica, se, ancora, alcune classi aristocratiche o borghesi aspirano all’appoggio di aree sempre maggiori della popolazione ( vi è, quindi, una consapevole strategia, da parte delle èlite, di inclusione/esclusione volte a deradicalizzare i possibili esisti negativi della nuova coscienza di classe), allora esistono le basi per un pacifico allargamento politico alle masse organizzate. Una volta imboccata la strada dell’allargamento del suffragio, per le èlite politiche stesse, proseguire nell’allargamento verso la democrazia è una scelta obbligata per evitare una guerra civile. Così, ad esempio, la democrazia inglese è il risultato di pressioni della classe operaia, organizzata in sindacati e poi nel partito laburista, e con una forte borghesia industriale che non si sente minacciata.

La democrazia francese è stata invece segnata dalla distruzione del sistema feudale, dalla rivoluzione, dalla diffusione della proprietà contadina dopo l’espropriazione dei nobili. Così troviamo una Terza Repubblica (1877), espressione di un’alleanza tra borghesia industriale e classe media ( la classe operaia uscì sconfitta dall’esperimento della Comune del 1870). La democratizzazione americana procede, invece, per tre fasi diverse : fino alla guerra civile, il nord e

la parte occidentale del paese si democratizzano completando il suffragio universale maschile bianco, dalla guerra civile alla seconda guerra mondiale, e dagli anni quaranta alla fine degli anni sessanta, quando i neri del sud acquistano la piena cittadinanza. In genere si sviluppano due generi di democrazia, la liberaldemocrazia, come quella francese o inglese, con partiti operai non forti, valori liberali diffusi ; e la socialdemocrazia, con sindacati ben organizzati, partiti socialdemocratici forti.

Come spiegare la diffusione della democrazia?

Le democrazie si stabilizzano in diversi paesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, grazie soprattutto al mutato contesto internazionale, alle nuove forme di cooperazione come la NATO, la Comunità Europea, grazie alle mutate strutture socio-economiche e alla creazione del welfare state, o Stato sociale. Si sono poi trasformati i partiti, ponendosi, come ancore, al centro del consolidamento democratico, i sindacati, e sono sorte nuove forme di neo-corporativismo. Il regime democratico si consolida nelle aree che presentano queste caratteristiche e poi si diffonde in altre zone dove si riscontra il fallimento dei regimi autoritari, della loro economia, a confronto, invece, del benessere che la democrazia sembra poter assicurare. Le ragioni profonde del successo della democrazia, si legano anche ad istituzioni, quelle democratiche, che hanno dimostrato la maggiore adattabilità alle più diverse situazioni e a una coincidenza non casuale tra democrazia e crescita economica. Altre volte l’insediamento della democrazia è favorito da una serie di incentivi volti a promuoverla, come ad esempio interventi militari veri e propri, assistenza elettorale, finanziamenti a forze politiche interne, guidati in genere dagli Stati Uniti.

Gli ostacoli, invece, alla democrazia, sono principalmente di natura culturale, come in quei paesi chiusi ad ogni flusso di comunicazione, o in quei paesi le cui culture religiose sono fortemente connesse con la politica. Naturalmente povertà, arretratezza o estreme disuguaglianze economiche nei paesi con economie egemonizzate dal petrolio coincidono con culture non secolarizzate. Un ultimo ostacolo si può individuare nelle differenze etniche, la probabilità che un paese con un solo gruppo etnico sia una democrazia è tre volte superiore rispetto a un paese multietnico, poiché qui, partiti e movimenti si strutturano intorno a divisioni che impediscono la comunicazione, tipico è il caso delle democrazie dette consociative, caratterizzate da società segmentate da divisioni religiose, etniche, linguistiche. Presentano governi con larghe coalizioni, con meccanismi di veto per garantire le minoranze a livello decisionale, governi che prevedono l’applicazione del principio di proporzionalità in tutte le sedi rilevanti.

Quali sono le condizioni essenziali della democrazia contemporanea?

Cioè quali sono le condizioni che possono assicurare legittimazione e ancoraggio? Buona parte degli studiosi concordano sul fatto che un primo gruppo di condizioni è dato da fattori economici, cioè più una nazione è ricca, più aumentano le probabilità che essa sostenga un regime democratico. Diversi fattori misurano la ricchezza e la stabilità democratica di una nazione, dal reddito pro capite, all’indice di alfabetizzazione adulta, dal tasso di mortalità infantile alle aspettative di vita, tanto più alto è lo sviluppo, tanto più stabile sarà la democrazia. Altri autori, ricordando la lezione di Montesquieu, hanno sottolineato l’importanza di atteggiamenti e valori quali la credenza nella libertà, la disponibilità a partecipare, l’apertura alla negoziazione, al compromesso, alla tolleranza, il rispetto delle leggi.

Per altri autori, Almond e Verba, la cultura che meglio sostiene una democrazia, è la cultura civica, una cultura caratterizzata da partecipazione, da un’attività politica vivace, dall’assenza di dissensi profondi, da fiducia nel proprio ambiente sociale, da rispetto per l’autorità. Per altri autori ancora, una maggiore stabilità democratica si ha in paesi con tradizioni religiose protestanti invece che cattoliche. Insomma le variabili possono essere molte, ma il senso rimane lo stesso, ovvero che la povertà nutre povertà e dittature.

Alla base dello sviluppo delle democrazie, vi è anche la condizione del pluralismo sociale, cioè l’esistenza di una società ampiamente articolata e differenziata in diversi gruppi sociali nei quali

sono distribuite diffusamente le risorse economiche, è il tipo di pluralismo considerato più adatto per gli assetti democratici.

Capitolo settimoDemocrazie senza qualità?

Il punto di partenzaLasciando da parte i regimi ibridi, le <<democrazie difettose>> caratterizzate da una garanzia limitata dei diritti politici (democrazia esclusiva), dalla presenza di gruppi di potere che possono limitare l’autonomia dei leader eletti (democrazia dominata) o contraddistinta da una garanzia solo parziale dei diritti civili ( democrazia illiberale), analizziamo le qualità che rendono buona una democrazia e cosa si intende per buona democrazia. Lo facciamo richiamandoci all’uso che comunemente si fa nel mondo industriale della nozione di qualità, da cui emergono tre possibili connotazioni: qualità in relazione alle procedure, qualità in relazione al contenuto, e qualità in relazione al risultato.

Il punto di partenzaLasciando da parte i regimi ibridi, le <<democrazie difettose>> caratterizzate da una garanzia limitata dei diritti politici (democrazia esclusiva), dalla presenza di gruppi di potere che possono limitare l’autonomia dei leader eletti (democrazia dominata) o contraddistinta da una garanzia solo parziale dei diritti civili ( democrazia illiberale), analizziamo le qualità che rendono buona una democrazia e cosa si intende per buona democrazia. Lo facciamo richiamandoci all’uso che comunemente si fa nel mondo industriale della nozione di qualità, da cui emergono tre possibili connotazioni: qualità in relazione alle procedure, qualità in relazione al contenuto, e qualità in relazione al risultato.

Che cos’è una buona democrazia

Una buona democrazia, cioè una democrazia di qualità è, prima di tutto, un regime ampiamente legittimato, dunque stabile, di cui i cittadini sono soddisfatti (qualità rispetto al risultato), è quell’assetto istituzionale stabile che attraverso istituzioni e meccanismi correttamente funzionanti realizza la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. I cittadini che fanno parte di questo tipo di democrazia godono di libertà ed eguaglianza in misura superiore alla soglia minima ( qualità rispetto al contenuto). Inoltre i cittadini di una buona democrazia devono poter controllare se e come quei due valori, libertà e uguaglianza, sono realizzati attraverso il pieno rispetto delle norme vigenti, cioè devono poterne sorvegliare l’efficiente applicazione e la responsabilità politica circa le scelte fatte dai delegati eletti in relazione ai bisogni della società civile ( qualità rispetto alla procedura). Esistono almeno cinque dimensioni o gradi diversi di qualità da poter considerare. Due sono di carattere procedurale, ovvero attengono alle regole piuttosto che ai contenuti, sono: la rule of law, cioè rispetto della legge e, accountability cioè responsabilità. La terza riguarda il risultato ed è la responsiveness, cioè la rispondenza, la capacità di risposta che incontra la soddisfazione dei cittadini. Le altre due sono sostantive cioè : rispetto pieno dei diritti e la progressiva realizzazione di una maggiore eguaglianza politica, sociale ed economica.

Le dimensioni procedurali (qualità rispetto alla procedura)

Intorno a questi diversi elementi costitutivi delle qualità democratiche si sviluppa tutto un ragionamento sulle condizioni di questi stessi elementi e sui numerosi problemi di rilevazione empirica che comportano. Prendiamo in esame il primo elemento, la rule of law, che rientra, insieme alla accontability, nella dimensione procedurale. La rule of law non indica semplicemente l’esistenza di un sistema legale chiaro, o la superiorità della legge ( secondo il principio del legum servi sumus), che devono darsi per certi in un sistema che si voglia non solo democratico ma civile. La rule of law di una buona democrazia deve essere caratterizzata da un sistema legale anche sovranazionale, a garanzia di tutti i cittadini; da apparati amministrativi, politici e giudiziari non corrotti; da una burocrazia competente, efficiente e responsabile; da un facile accesso alla giustizia

da parte dei cittadini; dalla completa indipendenza del giudice da qualsivoglia influenza del potere politico. Naturalmente i casi in cui si esplicano queste variabili sono numerosi, perciò l’analisi della rule of law democratica varia da paese a paese anche se rimane un aspetto essenziale della qualità democratica. Per fare un esempio di problemi concreti che emergono in relazione ad alcuni aspetti contrastanti, pensiamo alle conseguenze vessatorie che può avere una rigorosa applicazione delle leggi, o il rapporto con una burocrazia poco efficiente su soggetti sociali più deboli. O pensiamo alla diffusa tentazione dei politici di usare la legge contro gli avversari, cioè di usare la legge come una vera e propria arma politica, e ancora alla tentazione di diversi gruppi economici di ricorrere alle leggi per affermare i propri interessi, o al contrario a vedere nelle leggi impedimenti dannosi ai loro interessi. Si capisce come le condizioni essenziali che consentano alla rule of law di essere presente in misura più che minima in una democrazia sono difficili da creare, queste condizioni di fondo sono essenzialmente: l’esistenza di valori liberali e democratici diffusi a livello di massa e di èlite, e l’esistenza di adeguati mezzi legislativi, burocratici ed economici.

La seconda dimensione procedurale, l’accountability, la responsabilità politica, cioè la chiamata a rispondere di una decisione da parte dei cittadini-elettori. Ha tre aspetti centrali: l’informazione, la giustificazione, la ricompensa o punizione. L’informazione, sull’attività di un politico o di un intero organo politico, è la premessa per valutare l’accountability, la responsabilità; la giustificazione si riferisce alle ragioni fornite dal politico per la sua attività o per le sue decisioni; la ricompensa o la punizione è la conseguenza che ne trae il cittadino-elettore, la sua valutazione dopo aver riflettuto sulle informazioni, sulle giustificazioni e sulle proprie aspettative. L’ accountability può essere verticale, cioè quella responsabilità che può far valere l’elettore nei confronti dell’eletto, e orizzontale, cioè la responsabilità che viene fatta valere nei confronti dei governanti da altre istituzioni che hanno il potere di valutarne il comportamento ( accorre a tal fine un sistema legale e dei media indipendenti). Molto spesso infatti l’accountability si gioca sull’immagine delle persone, più che sulla valutazione delle loro decisioni o dei risultati, la realtà si presta, di conseguenza, ad essere facilmente manipolata come pure i risultati, sia attraverso i media che attraverso i politici, all’interno di un processo politico che si fa opaco e complesso proprio nel momento dell’informazione e della valutazione.

L’attenzione al risultato, ovvero soddisfazione e legittimità (qualità rispetto al risultato)

Parlando della qualità democratica si analizza la responsiveness o rispondenza, cioè la capacità di risposta dei governanti alle domande dei cittadini e la loro soddisfazione. Premettendo che la capacità di ritenersi soddisfatti o meno, dei cittadini, quindi la coscienza delle proprie domande e la capacità di valutare la risposta dei governanti, presuppone un giudizio di responsabilità, perciò la rispondenza va considerata connessa con la responsabilità, cioè con l’accountability. La soddisfazione dei cittadini di solito è facilmente misurabile empiricamente attraverso i sondaggi, oppure rilevando la distanza tra governanti e cittadini su determinate politiche, ma soprattutto, la modalità migliore per valutare questa dimensione ( che riguarda più la percezione che ne hanno i cittadini, piuttosto che la realtà vera e propria) è la legittimità. Diciamo che a un livello ideale la rispondenza alle politiche governative si misura attraverso il grado di legittimità accordato alle stesse, quindi il diffuso sostegno alle istituzioni democratiche e di conseguenza interesse e partecipazione politica. La realtà, invece, registra un sempre maggiore declino della fiducia nelle istituzioni pubbliche, l’emergere di <<democrazie insoddisfatte>> legate a fenomeni di corruzione, di scarsa applicazione della legge e all’esistenza di problemi oggettivi difficili da risolvere ( disoccupazione, pensioni, immigrazione e bilanci statali). Le condizioni ideali della responsiveness sono le stesse indicate per l’accountability, una società civile, indipendente, informata e partecipante, che renda possibile almeno un elemento della responsiveness, cioè la percezione dei propri bisogni. Per quanto riguarda la risposta dei governanti, solo una democrazia e una società ricca e sviluppata può generare una qualche risposta governativa alle esigenze dei cittadini.

Le due dimensioni sostantive (qualità rispetto al contenuto)

Libertà ed uguaglianza sono i valori assoluti di una democrazia, i suoi diritti sono, invece, i diritti politici (diritto di voto); i diritti civili (la libertà personale, la riservatezza, la libertà di espatrio e circolazione, libertà di stampa, di pensiero, di associazione ed anche i diritti relativi al lavoro, come il diritto di retribuzione o quello al riposo); i diritti sociali ( diritto alla salute, all’assistenza, alla previdenza sociale, al lavoro, allo sciopero, allo studio). Insieme, questi diritti, politici, civili e sociali, comportano numerosi costi per la società. La realizzazione più ampia dei diritti sociali sarebbe l’ideale democratico per attenuare le disuguaglianze, ma solo una società ricca ha i mezzi per attuare politiche sociali. Anche il principio dell’uguaglianza rappresenta un ideale democratico (non condiviso da tutti i sostenitori della democrazia), distinguibile in una uguaglianza formale (cioè uguaglianza di fronte alla legge, divieto di discriminazioni in base al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione e alle condizioni sociali) e una sostanziale ( cioè il pieno sviluppo della persona). L’insieme di questi diritti è presente nelle carte costituzionali e nella cultura giuridica di diversi paesi, anche l’Italia , perciò il problema non è la loro conoscenza, ma la loro attuazione. Ai fini di una completa attuazione dei principi di libertà ed uguaglianza è essenziale la perfetta realizzazione della rule if law, ma essenziale è soprattutto la completa legittimità, dei governanti e dei governati, al regime che intenda realizzare questi valori, e la disponibilità di mezzi economici adeguati alla loro attuazione.

Modelli di buona democrazia, e loro contrari

Le diverse dimensioni di variazione che determinano una buona democrazia, vengono realizzate differentemente a seconda delle condizioni che presenta ciascun paese. Ricordiamo come le due dimensioni procedurali (rule of law e accountability), riguardano prevalentemente le regole più che i contenuti, cioè l’efficiente applicazione del sistema legale e la responsabilità politica da ambo le parti; mentre le due dimensioni sostantive riguardano la misura in cui si realizzano la libertà e l’uguaglianza. L’altra dimensione riguarda il risultato, la responsiveness, cioè la rispondenza, la soddisfazione. A seconda della maggiore o minore realizzazione di una dimensione piuttosto che di un’altra, si danno democrazie con qualità diverse e diverse combinazioni possibili, come una democrazia responsabile ( con un’accountability accentuata), oppure una democrazia liberale o una egualitaria. L’ideale, naturalmente, sarebbe quello di una democrazia completa in cui tutte le dimensioni siano realizzate, ma in generale si può dire che una democrazia di qualità è quella che va a soddisfare queste condizioni anche se in misura diversa. Il contrario di una buona democrazia, quindi una democrazia senza qualità, è esattamente un regime sprovvisto di tali dimensioni, se non per quello stretto necessario per definirsi democratico. Sono quindi dette democrazie inefficienti, peraltro molto diffuse, caratterizzate da un debole sistema legale, corruzione, crimine. Democrazie irresponsabili, con strutture deboli e scarsa competizione politica, o ancora democrazie con scarsa legittimità, di conseguenza con un alto grado di scontento e che si trovano ad essere sfidate da gruppi e partiti ( il che genera provvedimenti di autodifesa che incidono sul grado di libertà). Le democrazie ridotte, in cui i diritti politici ( il voto soprattutto) e sociali risultino limitate e l’informazione monopolizzata. Cattive democrazie si definiscono anche quelle dette ineguali, caratterizzate da una costante crescita delle distanze economiche e sociali nella popolazione, e infine, le democrazie minime, quelle cioè in cui nessuna delle caratteristiche di qualità risulta presente, ma in cui si è appena al disopra della soglia minima per rientrare nel genus democratico.

Conclusioni. Costruire la qualità

Quali problemiUna volta fissate le definizioni e classificate le democrazie, vediamo quali sono i quattro problemi teorici la cui soluzione permetterebbe di migliorare la qualità di un determinato assetto democratico, e cioè : come superare le tradizioni autoritarie; se esiste un disegno costituzionale più adatto per una buona democrazia; qual è il senso e l’importanza dell’ancoraggio in democrazia; infine che peso ha il fattore internazionale per una buona democrazia.

Come è possibile superare le tradizioni autoritarie?

Con tradizioni autoritarie indichiamo quell’insieme di modelli di comportamento, di regole, rapporti, norme o istituzioni che sono stati introdotti dal regime autoritario che ha preceduto la transizione democratica. Esistono due tipi di eredità autoritaria, quella relativa ai valori, alle istituzioni e ai comportamenti voluti dal regime, oppure quelle che rafforzano valori precedenti con nuove istituzioni e comportamenti, ed è questo il tipo di eredità più persistente e ricorrente. Un’eredità implica una continuità con un fenomeno precedente, ma anche una reazione al fenomeno che l’ha preceduta. Prendiamo l’esempio della Costituzione Italiana la cui elaborazione ha conosciuto numerosi tentativi di dar forma a istituzioni di governo opposte al precedente regime fascista, approdando ad un risultato che ha sottolineato il ruolo importante del parlamento rispetto al governo. I fattori della fase autoritaria che più pesano sulla qualità della democrazia sono : la durata del regime autoritario; l’innovazione prodotta da quel regime (cioè il grado di trasformazione e istituzionalizzazione delle regole); la modalità di transizione dall’autoritarismo (cioè i modi in cui la transizione ha alterato regole e procedure istituzionali autoritarie, o il grado di violenza che l’ha caratterizzata). Le innovazioni prodotte dal regime autoritario possono essere più o meno importanti a seconda della transizione avvenuta. Se la transizione è discontinua, cioè se la nuova classe politica trasforma le istituzioni autoritarie precedenti, l’innovazione istituzionale di queste ultime sarà meno importante. Diversamente, se la transizione è continua, l’innovazione autoritaria sarà più rilevante poiché influenzerà le istituzioni e politiche successive ( è il caso della, Spagna, del Cile, del Brasile, dell’Uruguay). Un altro tipo di eredità riguarda il livello culturale, è il tipo di eredità più profondo e radicato. In Italia i sentimenti negativi nei confronti della politica vengono perpetuati anche perché fanno parte di specifiche tradizioni culturali, così come in Spagna e in Brasile. Alcune eredità sono state utili ai fini del consolidamento democratico, perciò è giusto mantenere in vita la memoria storica di esse, se non altro per evitare di ricadere negli stessi errori.

Esiste un disegno costituzionale adatto per una buona democrazia?

La difficile risposta a questo quesito passa attraverso l’analisi di diversi modelli di democrazia e a questo fine l’autore riprende le argomentazioni di Lijphart, che tenta anche una traduzione empirica delle qualità democratiche.

In primo luogo, alla base di una buona democrazia ci sono le istituzioni meglio adatte a realizzare la rule of law, l’accountability, responsiveness, libertà e uguaglianza, cioè quell’insieme di indicatori correlati alle democrazie consensuali che creano qualità democratica. In un regime democratico, la rule of law si misura sul grado di corruzione esistente, sui dati dell’incarcerazione, su alcuni dati della giustizia penale insomma, l’accountability sulla base della competizione e partecipazione elettorale, la responsiveness dal grado di soddisfazione per la democrazia, l’uguaglianza, dalla rappresentanza politica femminile nel governo, dalle politiche sociali, dalla distribuzione del reddito, dal grado di istruzione. Perciò le democrazie che si basano sulla ricerca del consenso sono spinte a realizzare responsiveness ed uguaglianza, se si conviene che queste due dimensioni sono importanti, allora si può ottenere una qualità maggiore da questo tipo di democrazia. Uno dei problemi che emerge, nell’uso di questi indicatori, è che a volte possono risultare ingannevoli, ad esempio quando riteniamo che il sostegno popolare è un indicatore di qualità, e che quindi le democrazie che hanno ampie coalizioni governative siano democrazie di maggiore qualità. Sappiamo invece che l’ampiezza del sostegno al governo si ha anche in situazioni di crisi democratica, di difficoltà o di transizione, con scarsa presenza di qualità. Altro problema connesso all’uso di questi indicatori: di solito si considera il modello di democrazia basato sulla dimensione governativa-partitica come il più adatto a sviluppare qualità democratica, piuttosto che in una dimensione federale-unitaria (caratterizzata da un certo grado di unitarietà o decentramento, dipendenza o indipendenza della banca centrale dal governo, rigidità o flessibilità della costituzione). Invece secondo alcuni studiosi certi aspetti della seconda dimensione, come il decentramento ( che avvicina i centri decisionali al cittadino) o l’indipendenza della banca centrale dal potere politico, sarebbero elementi più importanti per la qualità. Altro problema: prendiamo la distinzione tra modello consensuale e modello maggioritario: sostenere che le democrazie più

vicine al modello consensuale presentano una più alta qualità democratica, potrebbe non essere esatto, poiché le stesse democrazie consensuali presentano notevoli differenze, ed è inoltre difficile sostenere che le democrazie maggioritarie, come quella inglese, siano di qualità inferiore a quelle consensuali, come quella italiana. Non vi è, in pratica, un modello superiore all’altro in termini di qualità democratica, una certa concezione di qualità può portare a sostenere il consensualismo , un’altra il maggioritarismo. Inoltre, entrambi i modelli, possono migliorare attraverso un’attenuazione del principio, consensuale o maggioritario, che li sostengono, poiché il consensualismo, è spesso all’origine di stallo decisionale e inefficienza, il maggioritario invece, pecca nella continua alternanza di politiche realizzate e poi smantellate da decisioni opposte a seconda dei cambi di governo, realizzando così una democrazia efficace solo nel breve periodo di un mandato, inefficace nel lungo periodo. Se prendiamo l’esempio di un altro tipo di democrazia, quella <<deliberativa>>, vediamo che presenta un buon esempio di relazione tra modello istituzionale e qualità democratica. Il termine deliberativo non fa riferimento alle decisioni prese, ma alla fase precedente, quella del dibattito. La democrazia deliberativa è caratterizzata dalla presenza di arene di discussione politica, da un processo decisionale collettivo, presenta di conseguenza alcuni caratteri come la libertà, il pluralismo, il rispetto delle opinioni. Se attuata, questo tipo di democrazia porterebbe a una qualità caratterizzata da responsiveness, libertà e uguaglianza. Queste arene deliberative fanno parte di quelle strutture politiche intermedie che ora vedremo.

Le ancore sono essenziali per una buona democrazia?

Abbiamo già osservato precedentemente come, durante il processo di consolidamento democratico, la presenza di alcune ancore risultasse essenziale per la riuscita di quel processo, nel caso in cui la legittimità del regime democratico fosse limitata o relativa. Vediamo ora se le quattro forme di ancoraggio (organizzazione partitica, gatekeeping, legami clientelari e strutture neo-corporative) possono dare un contributo alla qualità democratica. Gatekeeping e clientelismo per le loro caratteristiche opache e che rimandano a rapporti di potere personali, non sono ancore che possono contribuire alla qualità democratica. Per quanto riguarda le organizzazioni partitiche, se queste fossero senza ideologie divisive e conflittuali, ma attente agli aspetti programmatici, allora potrebbero contribuire alla qualità democratica. Ma perché ciò si verifichi bisognerebbe trasformare l’ancoraggio partitico, cioè bisognerebbe trasformare le strutture partitiche in vere e proprie arene deliberative, in cui diventerebbe essenziale la partecipazione di una società civile, che da scontenta e passiva diventi più istruita e disposta ad attivarsi. Si potrebbe così costruire una catena deliberativa all’interno di un partito dal livello locale a quello centrale che assicuri la partecipazione dei membri della società civile. Naturalmente per far sì che queste arene non divengano <<piazze>>dominate dal radicalismo in mezzo a una società disinteressata, bisognerebbe stanziare fondi pubblici per i partiti, vincolati alla creazione di aree di partecipazione a livello locale. Queste associazioni dovrebbero poi reclutare la propria leadership privilegiando qualità morali ed intellettuali. Qualità della classe politica è anche qualità della democrazia. L’obiettivo è far crescere il capitale sociale, ovvero la fiducia reciproca tra i cittadini e l’impegno civile. Ciò significa anche investire in un certo tipo di istruzione, di informazione, di educare alle questioni politiche rilevanti.. Naturalmente sono tutte condizioni difficili da realizzare anche solo parzialmente.

Il fattore internazionale è un ostacolo per la buona democrazia?

Il problema della dimensione sovranazionale o internazionale è rappresentato dall’impossibilità per i cittadini di controllare eventi o macro fenomeni che hanno luogo al di fuori di un certo territorio. D’altra parte è solo con un’organizzazione politica più ampia che si possono affrontare alcuni grandi problemi del mondo contemporaneo. Le vie della buona democrazia internazionale sono ancora utopiche e problematiche. La via principale consiste nell’esportare, a livello più ampio, a livello sovrastatale e sopranazionale, istituzioni nate all’interno della democrazia statale occidentale. E’ ciò che ha fatto l’Unione Europea, cioè consolidare una democrazia su base

sopranazionale, anche se con diverse applicazioni del principio rappresentativo. Infatti le istituzioni europee prendono decisioni, regolano il mercato, svolgono tutte le funzioni proprie di un regime politico. Queste istituzioni non configurano un’autorità superiore a quelle statali, non hanno capacità di applicare direttamente le decisioni prese. Le decisioni, ad esempio, sono prese da organi di secondo grado, cioè da esponenti di governo nominati, che rispondono ai propri parlamenti nazionali, quindi anche in contrasto con altri interessi nazionali. Mancano molti elementi indispensabili perché si possa parlare di regime politico indipendente ed autonomo, che superi la soglia minima di democrazia. La strada per compiere una completa transizione da una democrazia statale a una inter-statale passa attraverso l’emergere, anche a livello sovranazionale, delle dimensioni proprie della qualità democratica, ovvero la rule of law, l’accountability, la responsiveness, i valori di libertà ed uguaglianza.

Una ricerca da proseguire

Il libro di Morlino ha presentato un’analisi approfondita dei processi di democratizzazione che si sono avuti in diverse aree del mondo negli anni passati, partendo dalla definizione di regime democratico, analizzandone i processi di cambiamento, in particolare l’instaurazione, il consolidamento e la crisi. Poi ha analizzato le qualità di una buona democrazia e se sia possibile costruirne una. Lo studio del buon governo attiene alla filosofia politica, mentre lo studio empirico della buona democrazia, cioè di come migliorare la qualità dei regimi democratici, è uno studio che sta proseguendo ancora, è un settore aperto all’approfondimento delle diverse problematiche e ad una ricerca empirica particolareggiata

DOMANDE DI VERIFICA

Democrazia, democrazie, quasi-democrazie

1) Definizione di democrazia

2) Qual è la definizione minima di democrazia, cioè quali sono gli elementi che indicano una soglia al di sotto della quale un regime non è più democratico

3) Quali sono i principali modelli di democrazia

4) Quali sono e in cosa si caratterizzano le tipologie <<polari>>

5) Cosa sono i regimi di transizione

DOMANDE DI VERIFICA 2

attenzione le seguenti domande costituiscono una verifica ed un ripasso di quanto appreso.

Le alternative non democratiche

1) Quali sono i principali modelli di regime non democratico e quali le dimensioni che li caratterizzano

2) Definizione di regime autoritario

3) Qual è la differenza tra regime personale e regime militare

4) Quali sono e in cosa consistono i modelli di regime di mobilitazione

5) Cosa contraddistingue e differenzia un regime totalitario da uno autoritario

DOMANDE DI VERIFICA 3

attenzione le seguenti domande costituiscono una verifica ed un ripasso degli argomenti studiati

Dalla democrazia all’autoritarismo

1) Cos’è una crisi democratica

2) Cos’è la transizione autoritaria

3) Quando avviene l’instaurazione di un nuovo regime autoritario

4) Come avviene il consolidamento di un regime autoritario e quali possono essere i suoi esiti

5) Cosa sono le strutture di legittimazione

DOMANDE DI VERIFICA 4

Dall’autoritarismo alla democrazia

1) Quali sono gli aspetti centrali che caratterizzano la transizione democratica

2) Che differenza c’è tra liberalizzazione e instaurazione democratica

3) Quali sono i fattori esplicativi dell’instaurazione democratica

DOMANDE DI VERIFICA 5

Tra consolidamento e crisi

1) Come si definisce il consolidamento democratico e quali sono le due dimensioni principali che lo rafforzano

2) Cos’è la legittimazione e qual è la differenza tra legittimazione esclusiva e inclusiva

3) Quali sono le ancore empiricamente rilevate

4) Che tipo di legittimità e di consolidamento democratico si sono avuti in Italia