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Il recente film Agorà, diretto dal regista spagnolo Alejandro Amenabar, ha come protagonista Ipazia, una filosofa di Alessandria, uccisa da alcuni fanatici cristiani nel 415. Si tratta di un altro attacco contro il Cristianesimo. È un film che ha un’ideologia chiara: il mondo pagano era molto più umano di quello che il Cristianesimo stava generando. Nulla di più falso... e molti abboccano all’amo. di Corrado Gnerre

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Il recente film Agorà, diretto dal regista spagnolo Alejandro Amenabar, ha come protagonista Ipazia, una filosofa di Alessandria, uccisa da alcuni fanatici cristiani nel 415. Si tratta di un altro attacco contro il Cristianesimo. È un film che ha un’ideologiachiara: il mondo pagano era molto più umano di quello che il Cristianesimo stava generando. Nulla di più falso... e molti abboccano all’amo.

di Corrado Gnerre

n. 19 - 16 maggio 2010 - Il Settimanale di Padre Pio - 23

mente sottomettere la Chiesa e alui si opponeva il Patriarca Cirillo.

Lo scontro fu forte e si forma-rono due partiti: uno favorevole alPrefetto, l’altro al Patriarca. Nelpartito del Vescovo s’inserironoanche i parabolani, che erano sìcristiani ma tendenzialmente ereti-ci perché andavano alla ricercaspasmodica del martirio. Addirit-tura si consacravano con giura-mento alla cura degli appestati inmaniera da assicurarsi la morte perCristo. Questi si convinsero chel’intransigenza del Prefetto Orestefosse dovuta ai “consigli” datiglida Ipazia. Ella venne accusata dipratiche magiche e negromantichee fu uccisa da alcuni esaltati. Ore-ste e Cirillo, proprio in conseguen-za di ciò che era avvenuto, si ri-conciliarono.

4) I parabolani non avevanomancato e non mancheranno diprendersela anche con alcuni cri-

stiani: nel 361, fu linciato Gior-gio di Cappadocia, un vescovoimposto da Costantinopoli; e nel457 verrà ucciso Proterio, ve-scovo anch’egli, nominato dal-l’Imperatore.

Il mondo pagano e quellocristiano

Adesso chiediamoci sel’“ideologia” del film è vera, secioè il mondo pagano fu davveropiù umano di quello cristiano.

Su questo punto si potrebbescrivere tantissimo. Ma per es-sere sintetici prendiamo in con-siderazione solo cinque questio-ni: 1) la dimensione esistenzia-le; 2) la diffusione della violen-za; 3) la dignità della personaumana; 4) la dignità della don-na; 5) il valore del progressoscientifico.

Il recente film Agorà, direttodal regista spagnolo Alejan-

dro Amenabar, ha come prota-gonista Ipazia, una filosofa diAlessandria, uccisa da alcunifanatici cristiani nel 415. Sitratta di un altro attacco controil Cristianesimo. È un film cheha un’ideologia chiara: il mon-do pagano era molto più umanodi quello che il Cristianesimostava generando. Soprattuttoper un motivo: perché quellopagano era più pluralista (il tito-lo del film, Agorà, da questopunto di vista è significativo);più favorevole alle donne, pro-muovendone una vera e propriaemancipazione anche da unpunto di vista culturale e acca-demico; e più favorevole allosviluppo scientifico. Insomma,Agorà è un film con quella giu-sta e opportuna dose di anticri-stianesimo che lo rende un altropuntuale “manifesto” del “poli-ticamente corretto” e della cri-stianofobia dominanti.

Ma chi fu veramente Ipa-zia e come davvero anda-rono le cose?

Che cosa c’è da dire su que-sta filosofa del IV secolo e per-ché fu uccisa? Su questo punto èbene essere schematici. Precisoche a riguardo farò riferimento

re la filosofa alessandrina del IVsecolo come una sorta di “marti-re dell’oscurantismo clericale”.

2) L’omicidio di Ipazia fuin realtà un omicidio politico,dove la religione non c’entrò af-

fatto. Ella, infatti, pur essendofiglia del filosofo Teone (erme-tista e cultore dell’orfismo) erauna neoplatonica, per nulla av-versa al Cristianesimo. Si pensiche ciò che si conosce della suaattività lo si deve ad alcuni suoidiscepoli, tra i quali c’erano di-versi cristiani, come Sinesio diCirene che divenne perfino ve-scovo. Ma non solo. Ella eratalmente lontana dall’anticri-stianesimo che lodava virtù tipi-che della “nuova religione” co-me la verginità e la modestia nelvestire. E ai suoi consigli ricor-reva spesso Oreste, cristiano ePrefetto di Alessandria.

3) Fu proprio la figura diOreste che spiega l’omicidio diIpazia. Oreste voleva politica-

ad un ottimo articolo che RinoCammilleri ha pubblicato sul n.87 del mensile Il Timone.

1) Prima di tutto quello diIpazia è stato un vero e propriomito costruito per finalità anti-

cristiane da personaggi comeJohn Toland (la cui coerenza èdiventata famosa, tanto è veroche era illuminista ma anche oc-cultista) e soprattutto da Voltai-re, “padre” dell’anticlericali-smo. Furono costoro a presenta-

1) La dimensione esistenzialeL’uomo pagano era tutt’altro

che felice. Né poteva essere diver-samente, visto che doveva convin-cersi di non essere libero nella sto-ria. Piuttosto doveva accettare ladura realtà di una vita completa-mente sottomessa al capriccio de-gli dèi e, al di sopra di essi, del De-stino. D’altronde la stessa conce-zione circolare della storia, domi-nante in quella cultura, stava ap-punto a significare la posizione divittima dell’uomo nei confrontidella storia stessa. È scritto in unaTragedia di Eschilo: «[...] adessoil fato, meglio ch’io possa, sop-portar conviene: ché del destinoabbattere la possa nessuno vale»(Prometeo legato, Prologo, vv. 18-21). L’uomo greco non sapeva dadove provenisse, ignorava le ra-gioni della sua presenza sulla ter-ra. Non riusciva a cogliere lo sco-po della sua vita. Attribuiva la pro-pria esistenza all’esito di un ca-priccio o ad un gesto arbitrario diun’entità a lui superiore, scono-sciuta ed inconoscibile. Le forzedella natura, che lo trascendevanoe lo dominavano e sulle quali eglinon poteva influire, gli insegnava-no che la vita su questa terra nongli apparteneva. L’uomo greco sisentiva straniero in terra straniera.Così Sofocle fa dire ad Ulisse nel-l’Aiace: «Altro non siam, lo vedo,che fantasmi, tutti quanti viviamo,ed ombre vane» (vv. 125-126).L’uomo greco non riusciva a com-prendere il fine della sua vita. Sub-iva la vita così come subiva lamorte. Doveva fare continuamentei conti con quelli che erano i verisignori del pianeta: una miriade diforze e di entità immanenti e laten-ti in ogni luogo, che oltrepassava-no i limiti della sua umanità. Ilmondo divino di cui tratta Eschiloera pieno di misteri e di brutalità.Gli uomini erano impotenti: nonpotevano affatto eludere le vendet-te ingiuste e le più sgradevoli fata-

Ipazia di Alessandria,illustrazione del 1908

Alejandro Amenabar,regista del film Agorà

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lità. Nel dramma eschileo il pro-blema non è l’uomo, ma il De-stino che gli incombe immutabi-le. È scritto nel Prometeo lega-to: «Giove solo implacabile, confuria perenne, oppressa tiene lastirpe degli Urani» (Eschilo,Canto d’ingresso, vv. 4-6). Di-pendenza nei confronti dei ca-pricci degli dèi, dipendenza neiconfronti di forze animistiche,dipendenza nei confronti del Fa-to (cf P. Scarpi, La religione gre-ca). Quest’ultimo dominava sututto. Zeus stesso riconoscevache la sua potenza avesse dei li-miti. Egli non poteva far nulla

nei confronti del volere del Fato.E così il mondo greco – perchéconvinto che l’uomo avesse do-vuto fare i conti con la precarie-tà, con il dolore, con il problemadella morte, nell’assoluta condi-zione di essere vittima del Fato– faceva della Tragedia l’espres-sione di maggiore consapevo-lezza del fallimento della pro-pria dimensione esistenziale.Nell’Ippolito di Euripide il pro-tagonista così esprime il tormen-to del suo animo: «Sempre mitravaglia la vista dei casi e del-le azioni degli uomini: vicendasuccede a vicenda e la vita deimortali muta continuamente inbalìa di un eterno capriccio»(vv. 1103-1110).

poteva essergli ostile, perché ognicosa avrebbe potuto nascondereuna forza negativa. Spiriti avversie maligni potevano nascondersinelle cinture annodate o neglianelli. Così anche in alcuni vege-tali come l’edera e la vite. Era pe-ricoloso per le donne gravide ac-cavallare le gambe o intrecciare ledita: i nodi formati con parti delcorpo sarebbero potuti essere ri-cettacolo di spiriti maligni. Non sipoteva attraversare la strada o gi-rare presso i campi con il fuso inmano: poteva essere causa disventura, perché il filo avrebbepotuto ostacolare il passaggio dispiriti benevoli, indispensabili perla buona riuscita del raccolto. Diquesti esempi se ne potrebbero fa-re tanti.

Con il Cristianesimo, invece,l’uomo acquistò un atteggiamen-to positivo nei confrontidella vita. Egli “conqui-stò” la libertà di poter ge-stire e costruire la storia.Ciò, da una parte, lo re-sponsabilizzò; dall’altra,lo gratificò. Con il Cristia-nesimo l’uomo non dove-va più temere il divino, senon il Giudizio di Dio pereventuali errati comporta-menti personali. In pienafedeltà con la prospettivabiblica, il Cristianesimovalorizzò ampiamente lapersona. San Tommasod’Aquino – Dottore dellaChiesa – afferma che lapersona è ciò che di piùperfetto esiste in natura:«La persona significaquanto di più nobile c’è in tuttol’universo, cioè il sussistente dinatura razionale» (Summa Theo-logiæ, p. I, art. III, q. 29). In real-tà, la grande valorizzazione delconcetto di persona in ambito cri-stiano fu determinata principal-mente da due Verità: il fatto cheDio ha voluto l’uomo creandolo a

Anche nel-la cultura romanaera difficile ritrovareun concetto di personalegato ad una visioneprotagonistica dell’esi-stenza. Per la mentalitàromana, l’uomo potevasolo illudersi di essereprotagonista. Con il ter-mine “persona” s’indica-va inizialmente la ma-schera dell’attore, a signi-ficare appunto l’illusio-ne dell’uo-

mo di ritenersi libero: così comel’attore finge di essere libero,ma non fa altro che agire deter-minato da uno scritto e da unprogetto teatrale, l’uomo crededi essere libero nella sua vita, inrealtà questa è determinata dauna volontà nei confronti dellaquale egli è costretto a fare espe-rienza della sua impotenza. Scri-ve Lucrezio nel De rerum natu-ra: «Tanta paura infatti incombesugli uomini tutti, che sulla ter-ra e in cielo di molti fenomeniindarno tentan di penetrare leascose ragioni, ed ai numi ne ri-portan la causa» (I, vv. 151-155). Come già nella religiositàgreca, anche in quella romanaera evidente la paura dell’uomonei confronti del divino. Il ter-mine “religio” aveva in sé il sen-so del terrore che l’uomo dove-va nutrire nei confronti del so-

prannaturale. Questa parola,anche nelle fasi più sviluppatedella lingua latina, non indica-va semplicemente il culto e lariverenza nei confronti delladivinità, ma anche superstizio-ne, senso di terrore di fronte atutta quell’atmosfera oscura edi mistero che riguardava lagran parte della realtà. Per gliantichi romani la “religio” eraanche un sistema di rapporticon cui si cercava di strapparein qualche modo lo spazio ne-cessario per vivere ai veri pa-droni della terra, che erano leforze animistiche sconosciuteed inconoscibili. L’uomo ro-mano tendeva a ritenersi conti-nuamente vittima nei confrontidi queste forze inconoscibili edanche incapace di controllarle.L’uomo romano era costretto aguardarsi da tutto. Ogni cosa

sua immagine e somiglianza (cfGen 1,26) e il mistero dell’Incar-nazione, ovvero che Dio stesso siè fatto liberamente, veramente edefinitivamente uomo.

2) La diffusione della violenzaAffermare – così come il

film vorrebbe far intendere – cheil mondo cristiano sarebbe stato,a differenza di quello pagano,portatore di maggiore intolleran-za è quanto di più antistoricopossa essere detto. Si potrebberoricordare le cifre dei màrtiri cri-stiani causati dalle persecuzionivolute dai pagani, ma basterebbesolo ricordare i “passatempi” dimolti pagani, “passatempi” intri-si di gusto per la violenza. I gio-chi gladiatori li conoscono tutti!Non a caso le scuole gladiatoriefurono abolite da Teodosio, l’im-

peratore che volle il Cat-tolicesimo come religioneufficiale dell’Impero. Magià prima, da Costantino,iniziarono le proibizioni.La celebre Anne Bernet,specialista in storia roma-na, in un’intervista ha co-sì risposto alla domanda:

«Come e perché scomparve ilmestiere del gladiatore?». Ri-sposta: «È stata una delle piùbelle vittorie del Cristianesimoil fatto di essere riusciti, tra laconversione di Costantino el’anno 438, ad allontanare lementi dai giochi sanguinosi,dapprima convincendo i potentiorganizzatori a non sperperarele loro fortune in cose similiquando tanti disgraziati recla-mavano un aiuto finanziario, poirestituendo ai gladiatori dignitàumana. Nel momento in cui essinon sono più oggetti da distrug-gere senza senso di colpa per pu-ro divertimento e tornano ad es-sere esseri umani, non si può piùdire che è divertente vederli mo-rire. I Cesari cattolici non posso-no avallare la morte dei loro fra-telli per semplice gioco. L’assas-

Zeus

I giochi gladiatori

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sinio nel Colosseo, il 1° Gen-naio 401, di un monaco, sanTelemaco, o Almachio, cheaveva voluto interrompere uncombattimento e fu massacra-to sia dai gladiatori che daglispettatori, fu causa di talescandalo che l’imperatoreOnorio fu obbligato a mettere

al bando la pratica gladiato-ria, la quale non si ritirò piùsu da tale interdizione che di-venne definitiva nel 438» (Igladiatori. Intervista ad AnneBernet, in Nova Historica, n.4, anno 2, 2003).

Ma sulla diffusione dellaviolenza nella Grecia e nellaRoma antiche basterebbe leg-gere un utile libro: I supplizicapitali in Grecia e a Roma, diEva Cantarella, pubblicato nel1991 da Rizzoli.

Importante è il ritrova-mento nel Palazzo reale di Pi-lo di una tavoletta nella qualesi fa cenno a sacrifici umaniper ingraziarsi gli dèi nel ten-tativo di sventare un imminen-te pericolo. Ma attenzione, isacrifici umani non riguarda-rono solo le radici miceneedella civiltà ellenica. In situa-zioni di eccezionale gravità si

ricorreva – anche nell’età dellapolis – all’istituto dei pharma-kòi, ad Atene inserito all’internodelle feste Targhelie: si trattavadi uomini e donne, per lo piùstranieri o mendicanti, che veni-vano scacciati, percossi e uccisiper purificare la città (cf P. Scar-pi, La religione greca).

Nel nostro territorio nazio-nale, in epoca pagana, non erararo che si costruissero pontimediante il sacrificio rituale dimurare vittime umane all’inter-no delle costruzioni, vittime chefungevano da “reliquie” (cf P.Jorio, Acque, ponti, diavoli nelleggendario alpino, in Quader-ni di cultura alpina, n. 64).

3) La questione della dignità

della persona umanaNel mondo pagano la di-

gnità della persona umana eratanto teoricamente quanto difatto inesistente. Non è un casoche in tutte le civiltà pre-cristia-ne (con percentuali diverse) siriconosceva legittima la schia-vitù, ovvero che una parte con-sistente dell’umanità potesseessere ridotta a “strumento”.Anche questo non era casuale,

bensì esito di concezioni antropo-goniche (relative alla concezionedell’uomo) secondo cui gli uomi-ni non nascerebbero uguali equindi aventi la stessa dignità.

A Roma gli schiavi non rien-travano nella comunità dei citta-dini. Non potevano contrarre ma-trimoni riconosciuti ufficialmen-te. Non potevano esercitare il sa-cerdozio. Non potevano possede-re nulla. Non potevano andare ingiudizio. Erano completamente inbalìa del loro padrone. Molte vol-te veniva fissato loro un collare dibronzo o di ferro e da questo pen-deva una medaglia su cui erascritto il nome del proprietario.

Non erano altro che merce. Anchei loro figli divenivano automati-camente schiavi. Gli schiavi a Ro-ma venivano portati al mercato edesposti ai compratori. Su di essi siponeva una scritta che ne indica-va il luogo di nascita, le attitudini,le capacità, ecc. Si portavano le-gati al mercato con i piedi dipintidi bianco, con calce, per renderloro più difficile la fuga. Dopoaver concluso l’acquisto, l’acqui-rente poteva portare immediata-mente con sé la nuova proprietà.

Dal De Agricoltura di Catone sicapisce bene come gli schiavi ve-nissero “considerati” nella societàdella Roma repubblicana: «Le ve-sti per gli schiavi siano una tuni-ca [...] e una mantellina ogni dueanni. Ogni volta che darai a unouna tunica e una mantellina ritiraprima quelle vecchie per farcistracci. Ogni due anni dà alloschiavo un buon paio di zoccoli»(De Agricoltura, LXVIII). «Sivendano i buoi invecchiati, i capidi bestiame difettosi, [...] loschiavo vecchio, lo schiavo ma-landato e ogni altro peso morto»(De Agricoltura, II).

Sempre relativamente allamancanza di riconoscimento diuna vera dignità della personaumana, va detto che il concettodi pater familias implicava la to-tale padronanza, da parte del pa-dre, sulla vita dei figli. Egli difatto era una sorta di magistrato,autorizzato ad uccidere la moglie(per adulterio, ubriachezza,ecc...) e i figli. Con il Cristianesi-mo, invece, nasce il concetto dipersona, che non solo significarealtà individuale libera e prota-gonista della sua storia, ma an-che dignità inalienabile da rico-noscere a livello individuale, perogni uomo!

4) La questione

della dignità della

donnaIl film vorreb-

be far capire che, adifferenza di ciòche poi avverrà conil Cristianesimo,nel mondo paganola condizione fem-minile, soprattuttoper quanto riguardal’accesso alla cultu-ra, era senz’altromigliore. Prima ditutto va detto che

nella cultura pagana la donnanon beneficiava della pienezzadei diritti. Un solo dato che dicetante cose: nella Roma imperia-le le famiglie avevanoquattro/cinque maschi, ma soli-tamente non andavano oltre ledue femmine. Quando il paterfamilias elevava il figlio, appe-na partorito dalla matrona, insegno di ringraziamento aglidèi, lo scaraventava a terra se lovedeva deforme e molto spessose lo vedeva femmina. E quan-do non lo scaraventa-va a terra, lo esponevanelle pubbliche cloa-che, dove moriva difreddo o veniva divo-rato dai topi. Nel Cri-stianesimo l’infantici-dio verrà condannato,sia nel caso dei ma-schi che delle femmi-ne, e inoltre l’accessodelle donne alla cultu-ra era perfino incorag-giato. Anche a tal ri-guardo si potrebberodire tante cose. La piùcelebre storica delMedioevo, la franceseRegine Pernoud, haspesso scritto che nel-la facoltà di medicinadella Sorbona, ai tem-

pi di san Luigi IX, vi erano mol-te docenti donne.

Ma torniamo al mondo pa-gano. Nell’Antica Grecia, adAtene, l’impiccagione era ungenere di morte tipicamentefemminile. Un modo di morireper chi sapeva di dover incon-trare una fine ancora peggiore.«Ricorrono all’impiccagione levergini che temono l’assaltomaschile e siccome ad Atenemolte fanciulle, per emulazione,si danno la morte, l’oracolo di

Apollo suggerisce chevadano in altalena,potendo così dondola-re senza toccare terra.Il rito dell’altalenarestò poi nelle gestadelle Pentole che sicelebrava annual-mente ad Atene» (P.Mauri, Per le vergini?O la corda o l’altale-na, in La Repubblicadel 31.05.1991).

Colosseo romano: i cristiani martirizzati

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I maschi romani avevanoun nome proprio, il præno-men, che li contraddistingue-va all’interno della famiglia.La donna romana, invece,non aveva diritto a un nome.Aveva semplicemente, comegli schiavi, un soprannomeche derivava dal nomen, cioèdal cognome della famiglia.Si prenda per esempio la gensCornelia: la figlia non ha unprænomen, si chiama sempli-cemente Cornelia. Mentre isuoi fratelli sono Gaio Corne-lio e Publio Cornelio.

Un’altra conside-razione. Nella conce-zione pagana la donnaveniva ritenuta essereassai inferiore all’uo-mo. Platone, nel Timeo,ritiene la donna comela prima possibile de-gradazione della rein-carnazione: coloro iquali si sono comporta-ti male nella prima vita,per punizione, rinasco-no donne. Invece, laconcezione biblica èben altra cosa. Dio creadirettamente la donna(tutto ciò che Dio crea èbene) e la crea addirit-tura con materiale piùnobile di quello utiliz-zato per la creazionedell’uomo: la costola è piùnobile del fango.

5) Il valore del progresso

scientificoEbbene, anche su questo

punto il film Agorà vuol tra-smettere convinzioni assolu-tamente sbagliate. Il progres-so scientifico-tecnologico sisvilupperà proprio a partiredall’avvento del Cristianesi-mo. Per due motivi di fondo.Primo: perché il mondo pa-

gano si fermò ad una sviluppataconoscenza scientifica senzaperò trasformarla in adeguataapplicazione tecnica, e questoperché il mondo pre-cristiano sigiovava della forza degli schia-vi. Fu proprio quando gli schia-vi dovettero essere affrancatiche si “aguzzò l’ingegno” e sitrasformò opportunamente lascienza in tecnica. Secondo: lacultura pagana era essenzial-mente gnostica, ovvero diffi-dente nei confronti della realtànaturale e della materia, per cuitutto ciò che comportava (come

per esempio l’attività scientifi-co-tecnologica) un’applicazio-ne intellettuale sulla materia ve-niva considerato non lodevole.Da qui anche il giudizio negati-vo nei confronti delle attivitàmanuali. A Roma il termine la-bor aveva un’accezione negati-va perché significava “trava-glio”, “fatica”. I Romani per in-tendere invece le attività ammi-nistrative (che erano ritenutenobili) usavano il termine nego-tium, composto di nec e otium,cioè “assenza di ozio”. Lo ab-

biamo già detto: nel mondoclassico il livello delle scienzenon era affatto basso, anzi. IGreci conoscevano tutti gli au-tomatismi principali e la geome-tria di base (pensiamo ad Archi-mede o ad Eratostene). Ma per iloro sapienti si trattava solo di“amore del sapere” (philoso-phia) e nient’altro. Platone cac-ciò dalla sua scuola un allievoche osò chiedergli a cosa servis-se la geometria. Dunque, scien-za sì, ma non tecnica. Cono-scenza ma non applicazione pra-tica della conoscenza. Perdere

tempo per migliorare lecondizioni materiali di vitaera considerato qualcosa disbagliato.

Tutto questo fino aquando? Fino a quando lastoria dell’Occidente nonprese forma dal libro delGenesi. L’insistenza del:«Dio disse» e del: «Dio videche era cosa buona» stannoa significare che Dio ha vo-luto creare la natura e chequesta, proprio perché volu-ta da Dio, ha un valore posi-tivo. Ma non solo. Il Gene-si, dopo aver detto che l’uo-mo fu creato ad «immaginee somiglianza di Dio», af-ferma che l’uomo può e de-ve dominare sulla natura

(«che l’uomo domini sui pe-sci del mare e sugli uccellidel cielo»). L’uomo non so-lo può conoscere la natura,ma può anche dominarla emodificarla. Da qui lo svi-luppo non solo scientificoma anche tecnologico. Daqui anche la frase che ha ve-ramente fatto l’Occidente:«Ora et labora». Anche leattività manuali hanno unagrande dignità. E ogni uo-mo deve farne esperienza.Non a caso san Benedettopretese che ogni monaco,oltre alla preghiera e allostudio, si dedicasse al lavo-ro manuale.

Da questo è nato l’Oc-cidente! �

Il testo de Le bugiedi Agorà è statopubblicato in unopuscolo, edito da-gli Studi apologeticiJoseph obœdientis-simus (editrice legata a Il Cammi-no dei Tre Sentieri). L’opuscolo può es-sere utile per la ca-techesi o per rega-larlo a qualcunoche è andato a ve-dere il film. Ricor-diamo che la piùgrande carità chepossiamo fare alnostro prossimo èquella di donargli laverità e quindi diproteggerlo dallamenzogna.

L’opuscolo può essere richiesto direttamenteagli Studi apologetici, scrivendo

via e-mail a [email protected] telefonando al 349.5498571

Le bugie di AgoràDI CORRADO GNERRE

Ed. Studi apologeticiJoseph obœdientissimus

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Ed. Studi apologeticiJoseph obœdientissimus

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